psicologia giuridica lez. 2

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Psicologia giuridica Lez. 2 Paola Magnano [email protected] Devianza e marginalità Struttural-funzionalismo (Parsons, 1937; Merton, 1938): gli “attori sociali”, cioè i soggetti che agiscono nella società, regolano il loro comportamento in funzione di norme che vengono fatte proprie da ciascuno. il comportamento sociale, in funzione dell’osservanza o della non osservanza delle norme, si colloca tra due opposte alternative: conformità o devianza.

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Page 1: Psicologia giuridica Lez. 2

Psicologia giuridica

Lez. 2

Paola Magnano

[email protected]

Devianza e marginalità

Struttural-funzionalismo (Parsons, 1937; Merton, 1938):

• gli “attori sociali”, cioè i soggetti che agiscono nella società, regolano il loro comportamento in funzione di norme che vengono fatte proprie da ciascuno.

• il comportamento sociale, in funzione dell’osservanza o della non osservanza delle norme, si colloca tra due opposte alternative: conformità o devianza.

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Devianza e marginalitàStruttural-funzionalismo (Parsons, 1937; Merton, 1938)

• Conformità è lo stile di vita coerente con l’insieme delle norme (leggi codificate, regole del costume, usi, tradizioni, ecc.).

• La conformità è una scelta, fa parte della personalità dei singoli che agiscono consapevoli della conformità o meno della loro condotta, anche se non sempre conoscono, in ogni dettaglio, l’insieme normativo.

• Tale conoscenza deriva da processi di socializzazione: nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, l’apprendimento delle norme avviene attraverso l’educazione, con l’esempio, con l’imitazione o con l’insegnamento; oppure attraverso meccanismi psicologici, quali l’identificazione, cioè col rendersi simili a soggetti eletti a propri modelli e l’interiorizzazione, cioè l’includere nella propria coscienza norme e principi che diventano così parte integrante della personalità di ciascuno.

Devianza e marginalitàStruttural-funzionalismo (Parsons, 1937; Merton, 1938)

• Poi il sistema di controllo sociale, cioè quelle strutture e istituzioni che consentono ad ogni individuo di conoscere le conseguenze (pene giudiziarie o sanzioni quali il rimprovero, l’emarginazione) della non osservanza delle norme, rafforzano e mantengono la conformità.

• Un ulteriore supporto emotivo è rappresentato dalla ideologia che contiene i valori generali sanciti dalle norme: in una società dinamica, creatasi con l’era industriale, sono determinanti l’ideologia del successo individuale, il consumismo, l’elevazioni delle proprie condizioni.

• A volte gli “interessi costituiti”, cioè il vantaggio che il rispetto delle norme comporta, inducono alla conformità alle norme sociali del proprio momento.

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Devianza e marginalitàStruttural-funzionalismo (Parsons, 1937; Merton, 1938)

• Devianza: è la condizione opposta alla conformità

• È un concetto più ampio di quello di delinquenza: comprende sia le condotte che violano le norme penali (i delitti) sia quelle contrarie alle semplici regole sociali (gravi comportamenti contrari alla morale e ai costumi).

• La vera devianza non è accidentale, ma frutto di una scelta precisa: non è deviante perciò un comportamento che viola le norme per mero caso o che infrange una regola disattesa da tutti

Devianza e marginalitàStruttural-funzionalismo (Parsons, 1937; Merton, 1938)

• Quando esiste un atteggiamento oppositivo verso una norma che mantiene la sua pregnanza vi è devianza.

• Il deviante ha un atteggiamento ambivalente: conosce la persistente imperatività di quella norma ma la disattende non accettando l’autorità normativa.

• Poiché esiste una gerarchia di priorità fra le varie norme, non tutte le inosservanze sono da ritenersi devianti in quanto talune norme possono essere infrante senza che si verifichino quelle reazioni sociali di disapprovazione che la devianza suscita: sono devianti solo quei comportamenti non rispettosi di norme che, in un certo contesto sociale e in un certo momento, sono ritenute fondamentali.

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Devianza e marginalità

Scuola di Chicago

• l’origine di molte forme contemporanee di devianza deriva da nuove forme di alienazione sociale, connesse all’estendersi dell’urbanizzazione, al moltiplicarsi delle periferie, all’accentuarsi di forme di disorganizzazione sociale.

• il comportamento deviante è appreso attraverso i rapporti interpersonali e costituisce perciò il frutto di una trasmissione sociale e culturale (Sutherland, 1924, 1937, 1940)

Devianza e marginalità

• La ‘nuova criminologia’ considerava i devianti vittime della società a causa delle discriminazioni subite da parte delle classi egemoni che consideravano “diversi” tutti coloro che non accettavano il sistema dominante (Taylor e al., 1973).

• Il concetto di devianza si dilatò a tal punto da diventare equivoco. Basti pensare che negli anni ’70 si parlò di “maggioranza deviante” per indicare l’intera popolazione, con esclusione della borghesia considerata l’unica detentrice del potere.

• E poiché nei confronti dei devianti viene esercitata abitualmente l’emarginazione, e poiché pure i delinquenti vengono emarginati, si finì per includere fra i devianti anche i criminali.

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Devianza e marginalità• Bisogna perciò fare una distinzione fra i diversi comportamenti che sono stati

denominati devianti:

• vi sono condotte che non provocano giudizi morali negativi (ad esempio, la protesta giovanile del Sessantotto);

• altre che suscitano reazioni di disapprovazione e censura con richiesta di sanzioni; sono comportamenti frutto di una scelta (es. terrorismo, tossicodipendenza).

• La qualificazione di devianza esprime una valutazione morale negativa, in funzione dei principi etici di comune accettazione.

“non ci sono criteri universali per ciò che è etichettato come deviante, e ciò che è devianza oggi può essere normalità domani e viceversa” (Berger, 1979, p. 387)

Devianza e marginalità

MARGINALITÀ

•Sostituisce il termine devianza e indica la condizione statica di alcuni individui che vivono in condizioni diverse, solitamente peggiori, di quelle della restante società.

•i devianti si trovano ai margini della società a causa della loro condotta, gli altri lo sono non per colpa loro.

•Vi sono quindi dei marginali per loro colpa e marginali senza colpa.

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Dalla devianza alla criminalità

CRIMINALITÀ

• Comprende un gran numero di comportamenti delittuosi molto diversi fra di loro: violenze, le lesioni personali, gli stupri o gli omicidi; ma anche furti e rapine, corruzioni, insolvenze fraudolente, truffe, falsificare denaro …

• Diversi sono la criminodinamica (il “come”) e la criminogenesi (il “perché”) a seconda dei tipi di delitti e dei tipi di autori, così come diverse sono le strategie per combattere le differenti modalità delinquenziali, i criteri punitivi, ed anche la prevenzione e il trattamento risocializzante.

• È necessario distinguere anche tra la delittuosità che ha come suo obiettivo il profitto economico, e la delittuosità violenta.

• Inoltre diversificati sono i casi in cui la modalità di raggiungere il comune fine economico è gestita da una grande banda con criteri manageriali, da quella del singolo ladro.

Dalla devianza alla criminalità

CRIMINALITÀ

• Un’altra distinzione importante riguarda la criminalità compiuta dal singolo o dai piccoli gruppi e quella delle organizzazioni criminali, di tipo mafioso o di tipo comune.

• I delitti si diversificano pure in funzione dell’ambiente e del substrato sociale nel quale si realizzano; le forme e i modi di attuazione di molte condotte delittuose sono infatti in stretta correlazione con le caratteristiche dei rapporti sociali che legano fra di loro gli autori dei delitti, con l’habitat nel quale essi sono inseriti, con i ruoli che essi occupano, con il tipo di attività svolta nei diversi contesti sociali.

• Non esiste la categoria dei delinquenti, dei ladri o dei truffatori, ma tanti singoli individui che rubano o che imbrogliano, ciascuno con la sua storia individuale, con le sue motivazioni, con le sue peculiari modalità di delinquere, con una sua carriera criminosa, ovvero con una condotta delittuosa che è stata occasionale.

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La questione minorile

•Aumento della delinquenza nelle fasce 14-18 anni preoccupante delittuosità degli infraquattordicenni, anni addietro del tutto sporadica.

•Gravi delitti (omicidi, sevizie, stupri di gruppo di coetanei di ambo i sessi) compiuti da bambini delle scuole elementari: la letteratura anglosassone ha addirittura creato il termine di baby-killer, proprio perché questo fenomeno ha assunto negli USA, in Brasile ed anche in Europa dimensioni preoccupanti.

• In Italia la delinquenza dei ragazzini è presente, anche se assai modesta e in buona parte rappresentata da furti compiuti da bambini di clan di zingari.

•Particolarmente allarmante il coinvolgimento non solo dei minorenni ma anche degli infraquattordicenni nella criminalità organizzata di tipo mafioso in Sicilia, Campania, Calabria, Puglie, ove si sono verificati anche casi di omicidio eseguiti da infraquattordicenni nella guerra fra cosche rivali. Questi ragazzini vengono anche impiegati nel piccolo spaccio degli stupefacenti, sfruttando la loro non imputabilità se fermati dalla polizia.

La questione minorile

•L’incompleta maturazione della personalità, l’inesperienza di vita, la minore accortezza nello sfuggire all’identificazione, oltre a molteplici fattori psicologici e sociali propri dei giovani, minor conformismo, impulsività, rendono conto della larga partecipazione dei giovani alle attività illecite;

•per converso, il conseguimento della maturità psicologica, le esperienze accumulate, la maggior consapevolezza delle conseguenze negative della delinquenza e la deterrenza penale favorirebbero, in termini statistici, l’allontanamento della criminalità prima ancora della soglia dell’età adulta.

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La questione minorile Il processo di socializzazione del minore si articola in due momenti:

• la socializzazione primaria in cui si viene a costruire il primo mondo dell’individuo e, soprattutto, si verifica gradualmente quell’astrazione da ruoli e da atteggiamenti concreti di persone a lui realmente vicine, astrazione denominata “altro generalizzato”;

• la socializzazione secondaria, in cui vengono interiorizzati i “sotto-mondi” istituzionali e si acquisisce una conoscenza legata ai diversi ruoli, ciascuno dei quali, a sua volta, rispecchia ed assicura la divisione dei ruoli esistente nella società.

Per la socializzazione primaria esiste nella nostra società un problema generale di individuazione dei valori da trasmettere, ma la disgregazione presente nei quartieri marginali rende questo problema enormemente più drammatico: la mancanza di stabili modelli di riferimento “positivi” cui rifarsi e la diffusa crisi di valori pongono i genitori in uno stato di penosa incertezza relativamente al modo di allevare i figli e, in primo luogo, relativamente ai valori da consegnare loro.

Molto spesso, i veri processi di socializzazione secondaria hanno come protagonista la strada e non la scuola.

Teorie multifattoriali• Prendono in esame congiuntamente l’individuo e il suo contesto sociale

• Cercano di considerare i fattori, definiti fattori di vulnerabilità individuale che, integrati con le condizioni di rischio ambientale, hanno permesso di rendere conto della “risposta differenziale” dei vari individui alle sollecitazioni criminogenetiche.

TEORIANONDIREZIONALEDEIGLUECK

• I coniugi Glueck (1968) hanno messo a confronto due gruppi di minorenni, l’uno composto da giovani che avevano commesso delitti e l’altro da coetanei che avevano avuto una condotta normale. I gruppi avevano in comune la residenza in zone povere e periferiche, l’età, il livello intellettivo, la razza; per cui, neutralizzando questi fattori di rischio si poteva analizzare cosa era intervenuto a fare sì che uno divenisse delinquente e l’altro no.

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Teorie multifattoriali: la teoria non direzionale dei Glueck

• Vennero individuati specifici fattori di vulnerabilità individuale e ambientale legati a:

• caratteristiche fisiche (costituzione robusta, solida, muscolosa),

• temperamento (irrequieti, energici, aggressivi),

• atteggiamento psicologico (ostili, pieni di risentimento, sospettosi, non convenzionali, desiderosi di affermazione)

• capacità intellettive (capacità di apprendere in esame congiuntamente l’individuo e il suo contesto sociale secondo modalità concrete e dirette).

• La caratteristica più tipica dei giovani delinquenti riguardava la famiglia.

• famiglie con poca coesione, basso livello di aspirazione, scarsi valori sociali;

• genitori, cioè, non adatti ad essere guida o a fungere da modello di identificazione positiva.

i fattori legati all’inadeguatezza dell’ambiente familiare costituirebbero condizioni di rilevanza tale da comportare di per sé un elevato rischio di futura criminalizzazione.

Teorie multifattoriali: la teoria dei contenitori (Reckless, 1961)

Identifica quei fattori che favoriscono il contenimento della condotta nell’ambito della legalità, e sottolinea che, viceversa, la carenza di tali “contenitori” favorisce la scelta criminale.

• contenitori interni, legati alle caratteristiche psicologiche dell’individuo: buon autocontrollo, buon concetto di sé, forza di volontà, principi etici, buona socializzazione, senso di responsabilità. Ma le variabili psicologiche non sono da sole sufficienti a spiegare il comportamento socialmente conforme perché esse agiscono in modo differenziale a seconda dello status del soggetto e delle caratteristiche peculiari del suo ambiente.

• contenitori esterni, derivanti dal suo ambiente di vita rappresentano i freni strutturali che non permettono di oltrepassare i limiti normativi. Tra questi: le prospettive di successo, il consenso del proprio ambiente, l’appartenenza a un gruppo sociale ben integrato, il disporre di modelli di identificazione.

• i sistemi di controllo istituzionale (apparati di repressione e di prevenzione) e altri sistemi di controllo informale (famiglia, scuola, associazioni).

Quando i contenitori esterni sono carenti e anche quelli interni sono deficitari, la condotta criminosa può essere altamente facilitata

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La criminologia del conflittoSICOLLOCANELPERIODOSTORICODELLEMANIFESTAZIONISTUDENTESCHE(1968)

• Si diffuse un’etica solidaristica verso i poveri, i diseredati, gli emarginati e, addirittura, verso i devianti ed i delinquenti ritenuti anch’essi vittime della società.

• Alcuni filoni della criminologia - la “criminologia del conflitto” - consideravano la delinquenza come conseguenza dell’assetto sociale ed economico: la si può eliminare solo dopo una radicale trasformazione della struttura sociale-economica, solo dopo l’eliminazione di conflitti di classe e delle ingiustizie sociali e anche con una soluzione rivoluzionaria che dovrebbe abbattere la società esistente.

• Le difficoltà economiche, le discriminazioni sociali, la riduzione delle opportunità di successo sono il motivo principale per cui i giovani delle classi disagiate vengono attirati dalle sottoculture criminose, giovani destinati, poi, a divenire delinquenti cronici.

Teoria delle subcultureCULTURA

quel complesso insieme che include conoscenze, fede, arte, morale, usanze e altre capacità acquisite dall’uomo come componente della società, cioè modelli di valori morali e di norme riguardanti il comportamento, che vengono appresi nell’interazione sociale. Per cultura di gruppo si intendono norme, ideali, principi fatti propri dagli appartenenti a quel gruppo (Taylor, 1958).

SUBCULTURA

Quando un gruppo sociale ha norme proprie differenti rispetto a quelle della cultura dominante per alcuni valori particolarmente importanti, si parlerà di sottogruppo e di ‘subcultura’ (subcultura degli zingari o dei drogati o degli alcolisti etc.) Subcultura delinquenziale è quella di un sottogruppo che, pur condividendo con gli altri gruppi molti valori normativi, se ne diversifica per quanto attiene a certi comportamenti inibiti dalla legge che la cultura generale considera, quindi, illegali. La subcultura criminale, ha, infatti, propri costumi, regole, codici morali, rituali ma condivide con la cultura della maggioranza altre norme (quelle che attengono ai valori familiari, religiosi, amicizia, etc.)

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Teoria della cultura delle bande criminali (Cohen, 1955)

• I giovani di bassa estrazione sociale vivono un conflitto con la cultura della classe media dalla quale si sentono estraniati: i loro coetanei dei ceti più favoriti hanno opportunità di successo sociale da cui si sentono esclusi

• per superare il conflitto interiore, mettono in atto il meccanismo difensivo della formazione reattiva: non potendo raggiungere i traguardi dei borghesi, li rifiutano e li disprezzano.

• Le loro azioni diventano vandaliche e motivate solo dal desiderio di provocazione.

• Solo la condotta delinquenziale può offrire loro un mezzo, anche se illegittimo, per conseguire successo, prestigio, per ottenere beni materiali, solo così essi possono ottenere uno stato prestigioso nell’ambito dei gruppi sociali di appartenenza (il “bullo”).

Teoria della cultura delle bande criminali (Cohen, 1955)

• La teoria di Cohen rende conto di come la maggior parte dei delinquenti abituali provenga prevalentemente appunto da strati sociali sfavoriti

• Però non fornisce alcun elemento per comprendere perché, fra tutti i giovani che gravitano sulla strada per le sfavorevoli condizioni economiche delle loro classi di appartenenza, solo una parte finisce per confluire nelle file della delinquenza.

• Risponde invece a questo interrogativo la teoria non direzionale dei Glueck che, con le ricerche eseguite sui giovani dei quartieri poveri di Boston, ha messo in evidenza come siano l’inidoneità educativa e morale delle famiglie a giocare un importante ruolo ‘differenziale’ sul destino criminale dei giovani.

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Teoria della cultura delle bande criminali (Cloward & Ohlin, 1968)

• I soggetti socialmente sfavoriti si organizzano in bande criminali (gangs) in cui si dedicano ad attività illecite quali furti, rapine, estorsioni, truffe e così, solo per vie illegali, acquisiscono denaro e successo.

• Altri possono creare bande conflittuali dedite alle violenze e al vandalismo senza finalità lucrative con il solo scopo di distruggere i simboli irraggiungibili del successo (tipico è il danneggiamento di auto o dei negozi di lusso) esprimendo così la protesta per essere esclusi.

• Altri giovani ancora trovano rifugio nell’abuso di droghe e di alcool con cui esprimono il rifiuto della cultura stessa; queste sono le bande astensioniste.

Teoria della cultura delle bande criminali (Cloward & Ohlin, 1968)

• Queste teorie hanno una visione troppo radicalizzata sul conflitto di classe; la radicale divisione fra classe operaia e borghesia oggi suona certamente anacronistica.

• La delinquenza dei più giovani non è poi necessariamente organizzata in bande, e si esercita anche in modo isolato.

• Inoltre vandalismi e violenze non sono esclusive prerogative dei giovani di basso ceto, ma si ritrovano, anche se con modalità diverse, pure fra quelli abbienti.

• Lo stesso va detto per le condotte caratterizzate da abuso di sostanze.

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Teoria dell’etichettamento (labelling) (Kitsuse, 1962; Becker, 1964; Lemert, 1967)

• la devianza è, in un certo senso, creata dalla società perché il deviante non è tale in quanto commette certe azioni: è la società che qualifica come deviante chi compie certe azioni.

• Il deviante viene utilizzato come “capro espiatorio”, in quanto l’attenzione si polarizza intorno a lui e così non si percepiscono come devianti altre condotte, ugualmente dannose alla società, che sono proprie delle classi dominanti.

• Stereotipo del crimine e stigma: il furto, la rapina, l’omicidio, la truffa sono percepiti come delitti; ma se il furto è commesso mediante certe operazioni finanziarie, se l’appropriazione del denaro altrui avviene non con la violenza materiale ma con la manipolazione di bilanci, allora la reazione non è di squalifica, come invece avviene per il delitto convenzionalmente inteso

• la stigmatizzazione di criminalità viene così a colpire quei delitti che sono tipici delle classi marginali, lasciando invece immuni i delitti propri dei gruppi di maggiore potere.

Teoria dell’etichettamento (labelling) (Kitsuse, 1962; Becker, 1964; Lemert, 1967)

• Insieme alla teoria della stigmatizzazione (Goffman, 1963) e alla teoria dello ‘stereotipo criminale’ (Chapman, 1968) fornisce un’efficace spiegazione dei meccanismi psico-sociali con i quali si può essere facilitati a diventare stabilmente devianti, anche se ricade nel determinismo perché la persona che ha subìto lo stigma sembrerebbe non potersi sottrarre al suo destino delinquenziale.

• E’ un approccio sostanzialmente deresponsabilizzante nella misura in cui non sottolinea abbastanza che la reazione sociale negativa si manifesta in molti casi perché, in origine, vi è stato un comportamento deviante o criminoso attivamente posto in essere dal soggetto.

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Teoria di Matza (1969)Critica alle teorie delle subculture

• Non esiste una scissione tra i valori accettati dai soggetti conformi a quelli di coloro che delinquono: infatti molti giovani, dopo avere commesso un reato, esprimono vergogna e senso di colpa.

• Inoltre, numerosi studi su giovani devianti rivelano che essi possono anche portare rispetto a coloro che non violano la legge, perciò si può affermare che il mondo dei giovani delinquenti non è completamente avulso da quello dell’ordine sociale dominante.

• Secondo Matza, gran parte delle attività delinquenziali sono sostenute da forme di autogiustificazioni che il delinquente mette in atto per difendersi dall’atto delinquenziale commesso.

• Egli, infatti, opera un processo di razionalizzazione per cui neutralizza il conflitto con la morale sociale, escludendo così la responsabilità individuale.

Teoria di Matza (1969)• Matza individua cinque tecniche di neutralizzazione:

1. La negazione della propria responsabilità per cui il delinquente si definisce una “palla da biliardo” e si percepisce come trascinato nelle diverse situazioni evitando così di assumersi le proprie responsabilità.

2. La minimizzazione del danno provocato. Egli, cioè, ridefinisce le proprie condotte: un furto diventa per lui una “presa in prestito”, uno scontro tra bande diventa “uno scambio di opinioni”, e così via.

3. La negazione della vittima. Con una manovra di ribaltamento di termini, il deviante si definisce “un giustiziere” nei confronti di “un malfattore” (la vittima, appunto). Basti pensare alle aggressioni agli omosessuali, oppure a individui che fanno parte di minoranze etniche.

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Teoria di Matza (1969)

4. La condanna di coloro che condannano. Con tale tecnica il delinquente definisce i cittadini conformi degli “ipocriti”, la polizia “corrotta”, i giudici “parziali”.

5. Il richiamo a ideali più alti. Possono essere considerati superiori alcuni ideali quando la fedeltà al gruppo di appartenenza, la solidarietà tra amici, la lotta tra bande di quartiere con cui si neutralizzano le istanze più generali della società (norme, doveri, aspettative).

La criminologia critica (anni ’70-80)

• La criminologia critica identificò la devianza con il dissenso, i criminali furono definiti oppositori del “sistema”: nella forma più estremistica di questo indirizzo (Schwendinger e Schwendinger, 1975), criminale veniva ritenuta la classe dominante con le sue ingiustizie, con lo sfruttamento, con la negazione della libertà umana.

• La New criminology inglese definisce la devianza una scelta consapevole dei singoli dinanzi ai disagi sociali e sottolinea come le istituzioni penali con la “persecuzione” e la stigmatizzazione dei criminali e dei devianti li trasformavano in delinquenti di fatto con lo scopo di escluderli dal contesto sociale e di vanificare così le loro cariche rivoluzionarie.

• La devianza, in questa prospettiva, si identifica con la non accettazione dell’ideologia borghese: viene repressa dalle istituzioni perché è percepita come una minaccia al sistema capitalistico.

La criminalità è intesa come fatto politico più che sociale

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Il Nuovo Realismo (anni ’80)

Parte dall’osservazione empirica dello street crime nei quartieri popolari delle metropoli

• “Criminalità povera”: malcontento delle classi meno favorite che, vivendo in condizioni di marginalità, si trovano in una situazione di insoddisfazione perché hanno delle aspettative eccessive rispetto alle concrete possibilità di realizzarle.

• La criminalità è quindi frutto della comparazione fra gruppi sociali da cui risulta la consapevolezza, per i marginali, di non poter realizzare tutte le loro aspettative e, quindi, un sentimento di ingiusta differenziazione (De Leo, 1987)

L’approccio economico-razionaleSi fonda sugli studi della Sociology of Economy di G.S. Becker (1968)

• Non sono i fattori biologici, psicologici, ambientali o sociali causa del comportamento criminale: alla base dell’agire criminale vi è una forte componente di calcolo e un’analisi dei costi-benefici connessi alla commissione del reato.

• Il delinquente calcola e valuta i vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla commissione di un fatto illecito e, se i benefici attesi risultano essere significativi e superiori ai costi e agli svantaggi, si determinerà a delinquere.

• I costi sono legati all’organizzazione, all’esecuzione del reato e al rischio di essere condannati; ma anche la violazione di valori etici, l’educazione civile e religiosa, i legami di tipo affettivo e le variabili di tipo psicologico.

• I benefici posso essere quantificati sia in termini monetari sia come piacere e soddisfacimento di pulsioni.

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L’approccio economico-razionaleBowles (1985)

• Il potenziale delinquente valuterà in maniera razionale, la possibilità di essere scoperto, condannato e la presunta severità della sanzione.

• Dall’altro lato valuterà l’utile, non solo economico, che potrà ricavare dal delitto.

In questa scelta operano anche la presenza di valori etici come, ad esempio, quelli provenienti dalla famiglia e dalla scuola.

L’approccio economico-razionale non può trovare applicazione per i delitti d’impulsività o connessi a disturbi psichici.

Vi sono, però, molte condotte criminose che perfettamente si adattano a tale approccio teorico (delinquenza dei colletti bianchi, frodi e bancarotte fraudolente, criminalità organizzata di tipo mafioso ma anche a gran parte della delinquenza comune).

La devianza come azione comunicativa

• L’uomo è un soggetto attivo, inserito in un sistema di relazioni e di rapporti all’interno dei quali si confronta sia con la sua esperienza interiore, sia con la sua appartenenza ai gruppi sociali, perciò l’azione deviante comunicativa è considerata come un linguaggio che “rinvia, fra l’altro, al rapporto fra l’individuo, il suo Sé, la sua famiglia, gli altri sistemi relazionali” (De Leo e Mazzei, 1989, p. 22).

• Un meccanismo psicologico fondamentale è l’anticipazione mentale degli effetti (Von Cranach & Harré, 1982). Infatti, sia nelle azioni ordinarie quotidiane che in quelle più complesse, l’individuo vuole raggiungere uno scopo e, consapevolmente o inconsapevolmente, anticipa gli effetti delle sue azioni.

L’azione umana viene pensata come un vero e proprio sistema composto di parti in interazione; esso combina insieme aspetti comportamentali, cognitivi e sociali e comunica

attraverso ridondanze che rinviano ad altri contesti e sistemi

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La devianza come azione comunicativa

• Tali effetti possono essere suddivisi in due categorie:

• effetti strumentali: sono quelli anticipati dal soggetto in maniera cosciente e consapevole (“rubo una macchina perché mi serve”). Molte azioni hanno, in parte, effetto strumentale, ma c’è da dire che tale effetto raramente si trova isolato dagli altri, soprattutto quando le azioni riguardano soggetti in età evolutiva adolescenziale;

• effetti espressivi e comunicativi: sono quelli che comunicano esigenze di organizzazioni del Sé e dei contesti relazionali significativi (De Leo, 1989).

effetti legati al Sé e all’identità effetti relazionali (contengono messaggi di relazioni interpersonali che riguardano sia le persone direttamente interessate in quell’azione sia i propri gruppi di appartenenza (famiglia, amici, istituzioni in genere) effetti di sviluppo effetti normativi e di controllo che riguardano il rapporto con le norme penali e con le regole non formalizzate;

è come se rispondessimo sempre alla domanda: “come reagiranno gli altri a quello che stiamo facendo?”

La devianza come azione comunicativa

• Lo sviluppo di questa prospettiva suggerisce che la devianza, e soprattutto la delinquenza giovanile, siano spiegabili sia in termini di disfunzioni che di funzioni connesse a varie dimensioni: l’organizzazione del proprio Sé, della propria identità e quella dei contesti rilevanti di appartenenza.

• la devianza è una delle possibilità di comunicazione degli esseri umani e questo vale, soprattutto, per gli adolescenti. “Scegliere” la devianza permette di rendere più “evidente” il messaggio, diffondere meglio il suo significato e difendere la propria identità.

• Il comportamento deviante, infatti, produce e sollecita risposte di reazione sociale.

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La devianza come azione comunicativa

• E’ tanto più importante parlare di devianza come azione comunicativa nell’età evolutiva perché, come dimostrano molti studi e molte ricerche, proprio in tale età la componente espressiva della devianza prevale su quella strumentale.

• I comportamenti fuori legge più frequenti nell’età adolescenziale riguardano diverse forme di vandalismo, il consumo e lo spaccio di sostanze stupefacenti, reati contro il patrimonio e reati contro la persona (i più rilevanti legati alla sessualità).

• Tali comportamenti sembrerebbero esprimere, da parte dei giovani, aggressività verso la società, sentita come distante e poco disponibile verso le loro esigenze; bisogno di protagonismo tra coetanei e di confronto verso il mondo degli adulti.