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1 Gioacchino LAVANCO Psicologia del gioco d’azzardo sociale Il gioco d’azzardo richiama immagini contraddittorie di divertimento e di preoccupazione. Queste ultime sono relative non solo all’ambito della morale o della legalità, ma anche all’ambito clinico, in relazione ai sempre più diffusi casi di patologia da gioco, i quali evidenziano gravi situazioni di compromissione, di escalation, di compulsività e di vera e propria dipendenza con pesanti costi sociali. Ma è anche vero che il gioco è un’occupazione frivola e libera dai vincoli della vita reale, che pone tutti i giocatori, grandi e piccoli, sullo stesso piano. L’esperienza ludica diviene, quindi, un momento indispensabile della vita umana traducendosi in una dimensione capace di rapimento, di elargire gioia e liberare l’uomo dalla ripetitività dell’esistenza. Questa importanza del gioco, nel nostro secolo in particolare, è sostenuta e formalizzata soprattutto da Eugen Fink nel suo saggio Oasi della gioia (1986), in cui scrive: «Il gioco rassomiglia a un’oasi di gioia, raggiunta nel deserto del nostro tendere e della nostra tantalica ricerca. Il gioco ci rapisce. Giocando siamo per un po’ liberati dall’ingranaggio della vita, come trasferiti su un altro mondo dove la vita appare più leggera, più aerea, più felice». Il gioco, insomma, risveglia il nostro desiderio di onnipotenza che di solito deve fare i conti con una quantità di fattori incontrollabili. Il gioco si scopre, in tal modo, un’"isola di perfezione" nella quale regna una regola, rispettata da tutti, che non favorisce né danneggia nessuno. Giocare equivale a interrompere la routine, prendersi una pausa e un alleggerimento del peso dell’esistenza. Ma parlare di "oasi della gioia" se, da una parte, ci dà l’idea del fatto che il gioco è divertimento, dall’altra può indurci in errore sulla sua natura. L’esperienza ludica è, a volte, talmente coinvolgente da non avere nulla in comune con un’isola di gioia, il gioco da magico può diventare "demoniaco". Così giocare assume una doppia valenza: ci si lascia attraversare da una dimensione attraente quanto instabile e ci si espone al rischio di trovarsi immersi in un clima "incandescente" che è tipico del gioco d’azzardo. Troppo spesso si ha del gioco d’azzardo una visione elitaria, estrema, dostoevskjiana e relativa a mondi "lontani e diversi" che, proprio perché lontani e diversi, magari, ci affascinavano ma sostanzialmente ci lasciavano indifferenti. Ora, invece, più semplicemente e più spesso, sono persone come noi che si giocano uno stipendio al bar vicino casa. Quando parliamo di gioco d’azzardo dimentichiamo che si tratta di scommesse, cioè di occasioni in cui i soggetti coinvolti sfidano non solo la razionalità ma anche il destino irrazionale e "scommettono" – si tratta, nei fatti, di un "pensiero magico" – di prevedere il futuro sapendo in anticipo cosa accadrà di un evento (gara sportiva, estrazione, carte). Magia, spirito demoniaco, autoerezione a dio vivente, sono solo alcuni degli aspetti che possono aiutarci a comprendere la particolarità del gioco d’azzardo tramite scommesse, rispetto a più pericolose ma, per fortuna, meno diffuse forme di "giocarsi la vita": si pensi all’ordalia e alle condotte ordaliche, o ai comportamenti a rischio. A Huizinga, autore del primo classico contemporaneo sul gioco, si dà il merito di aver analizzato molte caratteristiche dell’esperienza ludica. Si ritiene che egli abbia compiuto una sorta di rivoluzione copernicana nello studio del gioco; sin dall’introduzione al suo saggio Homo ludens (1982), sostiene che nel corso della storia, l’uomo, oltre a essere definito sapiens è stato descritto anche come faber, cioè come uomo produttore. Secondo l’antropologo olandese, chi considera il gioco come un’attività secondaria se non inutile commette un grave errore di giudizio, poiché ogni attività umana e ogni aspetto della vita può essere ricondotto al gioco: «ogni azione umana appare un mero gioco». Il gioco non viene più inteso come un semplice antagonista del lavoro o un elemento secondario della cultura; ad esso viene attribuito un ruolo fondamentale nello sviluppo della civiltà come primo "operatore culturale". Il gioco diviene una vera e propria forma di cultura. Roger Callois, nota che l’analisi di Huizinga, secondo cui il gioco è un’azione «situata al di fuori della vita consueta», escludeva completamente i giochi d’azzardo (bische, casinò, lotterie, corse dei cavalli) che invece costituiscono una parte importante nella vita economica degli individui e degli Stati. Callois fornisce una fondamentale classificazione ludica (ndr, vedi anche a pag. 13), in I giochi e gli uomini (1981), ne distingue quattro tipologie: giochi di Agon (competizione), giochi di Mimicry (imitazione), giochi di Alea (rischio) e, per finire, giochi di Ilinx (vertigine). Immagina che essi si trovino in una grande piattaforma ruotante che permette loro diverse combinazioni e quindi infinite varietà di giochi. «(...) se i giochi di competizione, o di Agon, sono una rivendicazione del merito e della responsabilità personale, quelli di rischio, o di Alea, sono un’abdicazione della volontà e un abbandono al destino». Particolare attenzione egli attribuisce a queste tipologie di giochi: in quelli di Agon è presente la padronanza del sé, l’affidamento alle proprie capacità e responsabilità; mentre in quelli di Alea l’individuo assume un ruolo di passività e la sua stessa soggettività scompare quasi del tutto dinanzi alla "cecità della sorte". L’ Alea rappresenta la negazione del lavoro, della pazienza, della qualificazione personale e appare come

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Page 1: Psicologia del gioco d’azzardo sociale · 2019. 1. 17. · importanza del gioco, nel nostro secolo in particolare, è sostenuta e formalizzata soprattutto da Eugen Fink nel suo

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Gioacchino LAVANCO

Psicologia del gioco d’azzardo sociale

Il gioco d’azzardo richiama immagini contraddittorie di divertimento e di preoccupazione. Queste ultime sono

relative non solo all’ambito della morale o della legalità, ma anche all’ambito clinico, in relazione ai sempre più diffusi casi di patologia da gioco, i quali evidenziano gravi situazioni di compromissione, di escalation, di

compulsività e di vera e propria dipendenza con pesanti costi sociali. Ma è anche vero che il gioco è un’occupazione frivola e libera dai vincoli della vita reale, che pone tutti i giocatori, grandi e piccoli, sullo

stesso piano.

L’esperienza ludica diviene, quindi, un momento indispensabile della vita umana traducendosi in una dimensione capace di rapimento, di elargire gioia e liberare l’uomo dalla ripetitività dell’esistenza. Questa

importanza del gioco, nel nostro secolo in particolare, è sostenuta e formalizzata soprattutto da Eugen Fink nel suo saggio Oasi della gioia (1986), in cui scrive: «Il gioco rassomiglia a un’oasi di gioia, raggiunta nel

deserto del nostro tendere e della nostra tantalica ricerca. Il gioco ci rapisce. Giocando siamo per un po’ liberati dall’ingranaggio della vita, come trasferiti su un altro mondo dove la vita appare più leggera, più

aerea, più felice». Il gioco, insomma, risveglia il nostro desiderio di onnipotenza che di solito deve fare i

conti con una quantità di fattori incontrollabili. Il gioco si scopre, in tal modo, un’"isola di perfezione" nella quale regna una regola, rispettata da tutti, che non favorisce né danneggia nessuno.

Giocare equivale a interrompere la routine, prendersi una pausa e un alleggerimento del peso dell’esistenza. Ma parlare di "oasi della gioia" se, da una parte, ci dà l’idea del fatto che il gioco è divertimento, dall’altra

può indurci in errore sulla sua natura. L’esperienza ludica è, a volte, talmente coinvolgente da non avere

nulla in comune con un’isola di gioia, il gioco da magico può diventare "demoniaco". Così giocare assume una doppia valenza: ci si lascia attraversare da una dimensione attraente quanto instabile e ci si espone al

rischio di trovarsi immersi in un clima "incandescente" che è tipico del gioco d’azzardo. Troppo spesso si ha del gioco d’azzardo una visione elitaria, estrema, dostoevskjiana e relativa a mondi

"lontani e diversi" che, proprio perché lontani e diversi, magari, ci affascinavano ma sostanzialmente ci

lasciavano indifferenti. Ora, invece, più semplicemente e più spesso, sono persone come noi che si giocano uno stipendio al bar vicino casa. Quando parliamo di gioco d’azzardo dimentichiamo che si tratta di

scommesse, cioè di occasioni in cui i soggetti coinvolti sfidano non solo la razionalità ma anche il destino irrazionale e "scommettono" – si tratta, nei fatti, di un "pensiero magico" – di prevedere il futuro sapendo in

anticipo cosa accadrà di un evento (gara sportiva, estrazione, carte). Magia, spirito demoniaco, autoerezione a dio vivente, sono solo alcuni degli aspetti che possono aiutarci a comprendere la particolarità del gioco

d’azzardo tramite scommesse, rispetto a più pericolose ma, per fortuna, meno diffuse forme di "giocarsi la

vita": si pensi all’ordalia e alle condotte ordaliche, o ai comportamenti a rischio. A Huizinga, autore del primo classico contemporaneo sul gioco, si dà il merito di aver analizzato molte

caratteristiche dell’esperienza ludica. Si ritiene che egli abbia compiuto una sorta di rivoluzione copernicana nello studio del gioco; sin dall’introduzione al suo saggio Homo ludens (1982), sostiene che nel corso della

storia, l’uomo, oltre a essere definito sapiens è stato descritto anche come faber, cioè come uomo

produttore. Secondo l’antropologo olandese, chi considera il gioco come un’attività secondaria se non inutile commette un grave errore di giudizio, poiché ogni attività umana e ogni aspetto della vita può essere

ricondotto al gioco: «ogni azione umana appare un mero gioco». Il gioco non viene più inteso come un semplice antagonista del lavoro o un elemento secondario della cultura; ad esso viene attribuito un ruolo

fondamentale nello sviluppo della civiltà come primo "operatore culturale". Il gioco diviene una vera e propria forma di cultura.

Roger Callois, nota che l’analisi di Huizinga, secondo cui il gioco è un’azione «situata al di fuori della vita

consueta», escludeva completamente i giochi d’azzardo (bische, casinò, lotterie, corse dei cavalli) che invece costituiscono una parte importante nella vita economica degli individui e degli Stati.

Callois fornisce una fondamentale classificazione ludica (ndr, vedi anche a pag. 13), in I giochi e gli uomini (1981), ne distingue quattro tipologie: giochi di Agon (competizione), giochi di Mimicry (imitazione), giochi di

Alea (rischio) e, per finire, giochi di Ilinx (vertigine). Immagina che essi si trovino in una grande piattaforma

ruotante che permette loro diverse combinazioni e quindi infinite varietà di giochi. «(...) se i giochi di competizione, o di Agon, sono una rivendicazione del merito e della responsabilità personale, quelli di

rischio, o di Alea, sono un’abdicazione della volontà e un abbandono al destino». Particolare attenzione egli attribuisce a queste tipologie di giochi: in quelli di Agon è presente la padronanza

del sé, l’affidamento alle proprie capacità e responsabilità; mentre in quelli di Alea l’individuo assume un

ruolo di passività e la sua stessa soggettività scompare quasi del tutto dinanzi alla "cecità della sorte". L’Alea rappresenta la negazione del lavoro, della pazienza, della qualificazione personale e appare come

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«un’insolente derisione del merito» proprio perché reca al giocatore fortunato infinitamente più di quanto gli

può procurare il lavoro e la fatica. Agon e Alea esprimono entrambi atteggiamenti opposti e simmetrici, pur

obbedendo a una stessa legge: la creazione artificiale fra i giocatori di un’uguaglianza assoluta che nella realtà è negata agli uomini. Secondo Callois, in tutti «i giochi non si tratta di vincere su un avversario, ma sul

destino». Da quest’affermazione si evidenzia il valore del Fato che governa da protagonista indiscusso su tutti i giochi.

Nell’era multimediale il gioco d’azzardo cambia faccia e, naturalmente, nomi: comprende il videopoker, leslot machines e il gioco d’azzardo virtuale (casinò virtuali, aste on line). In realtà, il gioco d’azzardo è un modo di cui dispone l’uomo per poter «gareggiare con il proprio destino», nell’illusione di controllarlo, anche solo

nell’intervallo di una scommessa. Per quanto un individuo non si dichiari un "giocatore", difficilmente rimane impassibile di fronte alla tensione che avvolge la mente di chi attende l’esito della propria sorte. La gente

gioca perché ciò è insito nella sua stessa natura; comunque, quasi tutte le teorie generali sul gioco d’azzardo si riferiscono a qualche forma d’insoddisfazione o di deprivazione personale.

L’amore per il brivido Sarchielli (1997) ritiene che l’attrazione del gioco stia proprio nel desiderio di «controllare l’incontrollabile».

Quasi tutte le teorie sul gioco d’azzardo confermano che questo senso d’onnipotenza, che caratterizza il giocatore, può essere messo in relazione a qualche forma d’insoddisfazione o debolezza, oppure al senso di

sopraffazione della realtà, o ancora alla disgregazione della famiglia, o all’incertezza circa il proprio futuro

economico o, infine, a minacce di distruzione della società. In sintesi, il gioco, corrisponde a un bisogno d’immediato sollievo e di gratificazione e praticarlo produce un senso di potere che, se per alcuni è

rilassante, per altri è stimolante. Quando rivediamo gli aspetti decisionali del gioco, dobbiamo considerare due importanti fenomeni che

illustrano bene l’irrazionalità del pensiero e delle decisioni prese da chi vi partecipa: l’illusione di controllo e la

fallacia del giocatore, che unitamente a altre variabili, quali il sensationseeking e il risk-taking, sono considerati dei meccanismi cognitivi e motivazionali volti alla spiegazione delle dinamiche psicologiche che

sottostanno al comportamento del giocatore d’azzardo. Il primo fenomeno è stato indicato da Langer (1975) e rappresenta la prova che gli individui, spesso, si

comportano diversamente da quanto è compatibile con la loro conoscenza delle leggi che regolano il caso. L’illusione di controllo viene definita come «un’aspettativa di successo personale erroneamente alta rispetto a

quanto l’obiettivo possa garantire».

Un altro fenomeno che, come l’illusione di controllo, illustra bene l’irrazionalità del pensiero e delle decisioni del giocatore, è la fallacia del giocatore, detta anche «fallacia di Montecarlo». Si verifica quando il giocatore

tende a sopravvalutare la propria probabilità di successo in seguito a una sequenza di previsioni inesatte o di scommesse perse. Il giocatore, inoltre, stima la propria probabilità di vincere come bassa quando gioca in

seguito a una scommessa vinta.

Un’altra spiegazione del perché gli individui sono attratti dal gioco d’azzardo si collega all’amore per il rischio e per il brivido. Alcuni individui sono sedotti dal fascino del gioco d’azzardo rispetto ad altri in quanto hanno

il bisogno di rispondere a necessità che possono essere appagate solo dal gioco. Vi sono dei soggetti che ricercano il rischio di per sé e per comprenderne meglio le dinamiche psicologiche sottese a questo

comportamento, possiamo riferirci a diverse ricerche condotte nell’area del sensation-seeking (ricerca del

sensazionale). Zuckerman considera la ricerca di sensazioni un tratto di personalità che sta alla base del comportamento di ricerca del "rischio".

Il gioco è anche un’attività sociale e competitiva, in quanto c’è sempre un avversario contro cui ci si deve scontrare: può essere il casinò, l’allibratore, lo Stato o il Destino. L’"incertezza dell’esito" e il "rischio" sono la

parte essenziale del gioco (Kusyszyn, 1984) e procurano al giocatore stimolazioni cognitive, emozionali e fisiche. Tali stimolazioni, insieme alla sensazione che la situazione è sotto controllo, lasciano il giocatore in

uno stato d’animo molto confortevole detto di "beatitudine artificiosa", all’interno del quale si succedono, a

seconda del momento di gioco o del risultato, piccole reazioni emotive. La caratteristica intrinseca del gioco che rende così ricco il piacere psicologico del giocatore, è il sentirsi in

uno stato d’animo aperto alla fantasia. È assiomatico che i giocatori si assumano le responsabilità di vincite e perdite: la libertà di scelta nel partecipare procura autostimolazione, che unitamente alla presa di

responsabilità per le proprie azioni, conduce a sensazioni di efficienza, di controllo e di merito. Nel gioco

d’azzardo sono ripetuti alcuni valori che svolgono un ruolo rilevante nella nostra società: il valore dell’audacia, della competitività, della capacità di approfittare delle situazioni e di assumersi dei rischi. Ma

una cosa sembrerebbe differenziarli, cioè l’irrazionalità tipica dei giocatori e meno degli attori sociali. Che i giocatori non costituiscano un gruppo eterogeneo è confermato anche da molti altri studi. Blaszczynski

(1999) ha proposto di considerare tre gruppi di giocatori patologici: i giocatori normali, i disturbati emotivamente, coloro che presentano disfunzioni neurologiche o neurochimiche e che evidenziano

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impulsività e deficit di attenzione; Guerreschi (2000), invece, suggerisce una distinzione tra sei gruppi (ndr, vedi anche a pag. 32) di giocatori:

Giocatori d’azione con sindrome da dipendenza. Giocare d’azzardo è la cosa più importante nella

vita, l’unica cosa che li mantiene in azione; la famiglia, gli amici e il lavoro vengono influenzati

negativamente dalla sua attività di gioco. Giocatori per fuga con sindrome da dipendenza: «giocherebbero per trovare alleviamento dalle

sensazioni di ansietà, depressione, rabbia, noia o solitudine» e «usano il gioco d’azzardo per

sfuggire da crisi o difficoltà». A tali soggetti il gioco provocherebbe un effetto analgesico invece di

una risposta euforica. Giocatori sociali costanti: «il gioco d’azzardo è la fonte principale di relax e divertimento, sebbene

questi individui mettano il gioco in secondo piano rispetto alla famiglia e al lavoro». Tali giocatori,

secondo Guerreschi, «mantengono ancora il controllo sulle loro attività di gioco». Giocatori sociali adeguati: «giocano per passatempo, per socializzare e per divertirsi. Per essi,

giocare d’azzardo può essere una distrazione o una forma di relax. Il gioco non interferisce con le

obbligazioni familiari, sociali o lavorative». Sempre secondo lo stesso autore, a questa categoria di

giocatori apparterrebbe la maggioranza della popolazione adulta. Giocatori antisociali: sono individuabili in coloro che si servono del gioco d’azzardo per ottenere

guadagni in maniera illegale. Giocatori professionisti non patologici: si mantengono giocando d’azzardo e considerano tale attività

una professione.

Passaggi progressivi Il fenomeno del gioco d’azzardo si configura quale percorso segnato da una serie di passaggi progressivi che

vanno dal gioco occasionale a quello abituale, dal gioco problematico al gioco patologico; un continuum che

prende avvio da un approccio inoffensivo al gioco d’azzardo – quale spazio ricreativo fondato sul divertimento e la socializzazione – sino a giungere a un atteggiamento abusante dello stesso da parte del

soggetto che, in tal modo, compromette totalmente la sua esistenza. Non si tratta di tappe obbligate, ma di un percorso in cui l’individuo "sceglie" – più o meno consapevolmente – di fermarsi a una di esse o di

procedere drammaticamente fino al capolinea. Il gioco, insomma, da fonte di sensazioni positive può

trasformarsi in un’attività di cui il giocatore non ha più il controllo. Elevato è il pericolo che, nella nostra società, si sviluppino forme di dipendenza da gioco tanto gravi da sfociare nella patologia o, ancora,

l’assunzione di condotte comportamentali a rischio principalmente in età adolescenziale. Per lungo tempo, in letteratura, l’attenzione è stata centrata soprattutto sulla dimensione patologica del

gioco d’azzardo, mirando al suo inquadramento diagnostico e al suo studio come forma di addiction; di

recente, l’analisi del fenomeno in questione si è allargata fino a comprendere anche la dimensione sociale del gioco e, quindi, l’aspetto non patologico del gioco d’azzardo occasionale e di quello abituale. Ciò su cui

ancora bisognerà riflettere sono le zone buie, di passaggio, tra l’una e l’altra fase. La definizione e la comprensione delle tappe cui facciamo riferimento, rischia di segnare confini rigidi e configurazioni del tipo

o/o che, nella realtà, non ci sono. Lo sforzo deve essere quello di realizzare un’accurata comprensione dei fattori che determinano il passaggio da una modalità all’altra – i fattori di rischio – e dei fattori che

impediscono tale passaggio – i fattori protettivi.

Il nostro è un invito a non rimanere ancorati soltanto all’idea che esista un gioco d’azzardo problematico e patologico da diagnosticare, prima, e sottoporre a intervento terapeutico, dopo; bisogna interrogarsi, anche,

riguardo ai fattori che possono lasciare presagire il drammatico passaggio dalla dimensione occasionale del gioco a quella patologica, quali lente d’ingrandimento per comprendere il percorso da una condizione di

"normalità" all’assunzione di comportamenti impropri e problematici, fino alla patologia vera e propria. Un

invito che implica un impegno affinché tali indicatori di rischio, una volta individuati, diventino il punto di partenza per progettare nella logica della prevenzione. Il giocatore sociale Tutti almeno una volta hanno giocato d’azzardo; ciò non significa che chi gioca d’azzardo sia, o diventerà un

giocatore d’azzardo problematico o, addirittura patologico. Elevato, infatti, è il numero dei giocatori sociali, che comprende sia i giocatori "occasionali" che quelli "abituali"; si tratta di una tipologia di giocatori che può

interrompere il gioco quando desidera e che, nella maggioranza dei casi, non esperirà un’evoluzione

sfavorevole nella relazione con il gioco. I giocatori problematici, al contrario, non riescono ad avere un controllo pieno del gioco: rischiano fortemente di diventare dei giocatori patologici, anche se non hanno

ancora raggiunto la fase della disperazione. Essere un giocatore patologico significa, invece, perdere completamente il controllo del proprio comportamento, tanto da non riuscire a fermarsi dal giocare, finché

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non si è perso tutto. Il gioco, in questo caso, compromette la vita affettiva, sociale e lavorativa della

persona.

La distinzione tra gioco patologico e gioco sociale risulta tutt’altro che semplice e univocamente accettata dai diversi autori. L’estesa indagine sul gioco come forma di dipendenza e quindi come patologia, non ha

precluso – seppure in misura minore – l’analisi del giocatore normale, o social gambler, ovvero di colui che gioca occasionalmente in base anche all’entità del denaro. Alcune caratteristiche di tale giocatore sono: il

desiderio di rilassarsi, l’incentivo del guadagno senza fatica, il piacere che deriva dalla stimolazione di varie

funzioni dell’ego e, non ultima, l’attrazione per il rischio. Custer (1982) sostiene inoltre che il giocatore sociale, a differenza del patologico, può smettere in qualunque momento di giocare; sembra infatti che

nessuno dei valori personali sia legato alla vincita o alla perdita e sono altri, rispetto al potere del gioco, gli aspetti della vita sentiti come più importanti e gratificanti.

Ma cosa spinge il "giocatore sociale" a giocare d’azzardo? Quale bisogno viene soddisfatto da colui che sfida la sorte scommettendo sull’esito di una partita di calcio, su dei numeri o su una corsa dei cavalli? Il gioco ha

una sua forza autonoma e inesauribile e si fa ricorso a esso come forma di svago per eludere la realtà

cercando, così, di conviverci in modo migliore. Consente, quindi, una sorta di "fuga psichica" dalla realtà, una fuga che lo protegge dai problemi del mondo esterno e lo aiuta a conviverci; una sorta di "spazio altro"

in cui concentrare dimensioni dicotomiche: identità/dis-identità, aspettative/frustrazioni, ansie/sogni, onnipotenza/fragilità. Il gioco è un modo per divertirsi con gli altri, ma anche un mezzo attraverso cui poter

sperare di sistemarsi economicamente.

All’inizio c’è sempre un senso di insoddisfazione, più o meno acuta a seconda dei casi, che dà origine al desiderio di cercare e di vivere in prima persona un’esperienza appagante, quale può essere il gioco

d’azzardo. Lo svolgersi stesso del gioco, dal momento in cui si verifica la partecipazione, trasforma l’insoddisfazione di fondo in un movente, sia esso l’eccitazione, lo sfoggio d’abilità o l’intrattenimento; e poi

l’appagamento, soprattutto quando si vince. Alla luce di tali riflessioni il gioco può essere considerato, anche per il "giocatore sociale", uno spazio magico e vitale attraverso cui può costruirsi una ricchezza immaginaria,

fatta di sogni e fantasie, di altri sé, libero da scelte, da limiti, da fatiche, da "principi di realtà".

Il gioco, dunque, problema di patologia o innocua e funzionale attività sociale? In realtà, entrambe le posizioni non sembrano rispecchiare la complessità del fenomeno in questione; di certo, comunque, è

auspicabile che i membri di una comunità vedano nel gioco una "risorsa" in termini di libertà, autenticità e creatività, piuttosto che trasformarlo in vincolo, patologia e morte. Senza una corretta diffusione di una

cultura del gioco come forma di socializzazione, di divertimento e, quindi, di crescita si rischia di assistere

allo sviluppo di comportamenti problematici e patologici legati alla dipendenza dal gioco stesso.

Il gioco ha successo non soltanto per questo elemento di totale abbandono al caso ma vanta almeno altri tre importanti punti di forza:

il gioco a esecuzione istantanea e l’eventuale vincita è simultanea allo stesso atto del giocare. Il gioco è sostenuto dal cosiddetto meccanismo del rinforzo. Si vince frequentemente infatti una

somma pari al costo del biglietto che viene dal giocatore solitamente reimpiegata nella prosecuzione del gioco. Questo meccanismo rafforza il gioco perchè induce a ricordare le vincite e a rimuovere la

perdita con effetti compensativi o gratificanti. Il costo del gioco è ponderato al di sotto della soglia di allarme del senso di colpa. La parvità del

costo ed il primitivo e biologico gesto del grattare sonno stati i principali artefici della diffusione del

gioco tra i più giovani.

Mauro CROCE

Come cambiano i giochi, come cambiano i giocatori

Se per la maggior parte delle persone giocare costituisce un’attività del tutto priva di rischi e conseguenze, per alcuni l’incontro con il gioco può essere punto di partenza verso un’evoluzione con esiti negativi.

Un’evoluzione che, partendo da modalità di gioco moderato, sporadico, occasionale si amplifica in intensità

ed esclusività sino a rendere il gioco centrale, totalizzante e irrinunciabile. Tale evoluzione tuttavia può essere molto diversa da persona a persona e se per taluni può presentarsi in

maniera costante e progressiva per altri può apparire alternata a tentativi di moderazione o di astinenza. Molte altre persone presentano invece vere e proprie "sbornie" di gioco che successivamente riescono a

superare o a confinare.

Nonostante nelle modalità problematiche e patologiche il gioco sia una attività prevalentemente di tipo

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solitario, nelle prime fasi tale attività non solo può essere condivisa con altri, ma addirittura altri membri

della famiglia possono partecipare attivamente ad alcuni momenti di gioco. Alcuni giocatori patologici

raccontano infatti di avere iniziato a giocare insieme alla propria moglie per vivere emozioni diverse, per divertirsi, per condividere un’attività oppure di avere iniziato a studiare e rincorrere con la propria famiglia i

numeri ritardatari al Lotto. Da una parte quindi una coppia può ricorrere al gioco per trovare momenti di svago, di distrazione, di

possibilità di condividere esperienze di rischio, di sfida, di coinvolgimento oppure può iniziare a giocare

sperando in un colpo fortunato. All’inizio vi è sempre un senso di insoddisfazione, più o meno acuta a seconda dei casi, che dà origine al desiderio di cercare di vivere e condividere un’esperienza appagante,

diversa, il trovare un antidoto alla noia, il risolvere un problema economico. Tuttavia lo svolgersi stesso del gioco, dal momento in cui si verifica la partecipazione, trasforma

l’insoddisfazione di fondo in un movente, sia esso l’eccitazione, lo sfoggio di abilità e l’intrattenimento; e poi l’appagamento, soprattutto quando si vince (Croce, Lavanco, Varveri, 2001).

Successivamente però cominciano a suonare alcuni campanelli d’allarme che possono spingere la coppia a

discuterne il senso e i costi. Ma in questa fase possono nascere incomprensioni e ciò che un coniuge interpreta come necessità di smettere o regolare fortemente il coinvolgimento con il gioco, può trasformarsi

nell’altro in tentativo di rifarsi, di riprovare, di continuare autonomamente e spesso di nascosto a giocare. In generale comunque il primo incontro con il gioco avviene insieme ad altri. Può essere una serata al

casinò, può essere il partecipare a un sistema con colleghi, può essere l’invito a giocare a carte. Se per molti

(la maggior parte delle persone), tale incontro con il gioco resta limitato e circoscritto, per altre persone scattano dei meccanismi che portano a giocare con sempre maggiore frequenza, intensità e coinvolgimento.

Nelle prime fasi il giocatore gioca sporadicamente, sente che può smettere con relativa facilità e questa prima fase può essere assimilabile alla nota fase della luna di miele con la sostanza dei tossicomani. Vede

altri che si sono rovinati con il gioco ma pensa che lui potrà smettere quando vorrà. È abbastanza moderato, gioca in maniera oculata, cerca di darsi dei limiti e se sconfina ha la sensazione di poter recuperare o

smettere. Le vincite gli offrono la sensazione di potere guadagnare facilmente e anche divertirsi, mentre le

perdite sono vissute come parentesi e comunque razionalizzate dalla speranza di potersi rifare. La famiglia in questa fase solitamente non se ne accorge o comunque non se ne preoccupa eccessivamente.

L’avvicinamento iniziale può derivare da svariate ragioni e il gioco offre una distrazione, una fuga, una possibilità di eccitazione che nella vita non si riesce ad avere. Ma una persona può anche essere all’inizio

attratta, ad esempio, dai numeri ritardatari del Lotto e pensare sia relativamente facile, possibile e divertente

vincere e guadagnare del denaro e pertanto essere tentato di sfidare la sorte e in caso di insuccesso, pensare non valga la pena e interrompere di giocare e successivamente dimenticarsene o dedicare

pochissimo interesse. Può però innescarsi una sfida al recupero del denaro perso che conduce a un pericolosa escalation alimentata dal pensiero che il fatto che il numero ritardatario non sia uscito possa aumentare le probabilità

alla prossima estrazione. In fondo il giocatore pensa di avere investito una piccola somma di denaro e basterebbe raddoppiarla per rifarsi ampiamente.

D’altro canto sarebbe stato troppo facile vincere al primo colpo e in fondo la prima volta non si è rischiato molto. Basta ora insistere e aumentare la posta. Alla fine si sarà premiati.

Se si innesca tale processo il rischio è piuttosto alto. In caso di successiva vittoria il giocatore sarà portato a pensare che insistendo è possibile rifarsi delle perdite e in fondo il giocare "in maniera oculata" può essere

un’ottima occasione per guadagnare facilmente. In caso di perdita può continuare a insistere oppure

abbandonare la partita.

Ma se, pur abbandonando la partita, continuerà a osservare i numeri estratti, qualora i numeri non giocati fossero successivamente estratti potrà pensare che in fondo ne sarebbe valsa la pena di tentare e rifarsi

della somma persa: «la prossima volta basterà non mollare ai primi insuccessi e alla fine non si potrà che

essere premiati!». In caso di non estrazione potrà invece sentirsi soddisfatto per "lo scampato pericolo" e per la prudenza dimostrata e anche provare un senso di commiserazione per chi ha continuato a insistere.

Tuttavia tale attenzione e interesse verso il gioco, verso i numeri estratti, quelli ritardatari, può presentare notevoli rischi e essere preludio a nuovi tentativi ed escalation, soprattutto se il soggetto diventa sempre più

attratto e interessato a ricorrenze di numeri, teorie bizzarre sulla probabilità, e precognizioni (sogni,

ricorrenze). In questa fase possono verificarsi anche pensieri quali: «Ho giocato l’81 ma è uscito l’82 oppure l’80 e quindi

ci sono andato vicino, oppure è uscito il 18 (che è l’81 rovesciato) oppure ancora il 9 (8+1) oppure ancora l’81 può effettivamente uscire ma su un’altra ruota o può uscire un numero del tutto diverso ma al quale il

giocatore aveva pensato in quei giorni o, infine, può uscire un numero per lui significativo. In questa modalità di pensiero le possibilità sono teoricamente infinite. Il numero effettivamente estratto

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può essere simile o coincidere con la propria data di nascita, quella della moglie, dei figli, dei genitori, la data

del matrimonio, la targa dell’auto, il numero civico, del telefono e così via.

Quando si innesca tale pensiero, questo diventa sempre più monopolizzante e i numeri si trasformano da entità astratte a elementi che si pensa di potere controllare, prevedere. Il rischio diventa molto forte.

Il mondo del gioco, con i suoi numeri, i suoi riti, le sue complicità, diventa gradualmente un’isola dalla vita reale e dalla quotidianità. Mentre infatti la realtà diventa sempre più problematica (i debiti, le incomprensioni

della famiglia, il lavoro che si trascura, i problemi che si rimandano e che si amplificano, la perdita di fiducia

e di stima), il mondo del gioco diviene sempre più il mondo "vero". Quello che vale la pena di vivere. I sensi di colpa e di fallimento vengono rimandati e giustificati dalla necessità e possibilità di potersi rifare.

La rincorsa al denaro

Quando si innesca questo meccanismo e la rincorsa al denaro perso diventa sempre più intensa e assillante,

il gioco diviene sempre più solitario e centrale nelle preoccupazioni e nelle occupazioni della persona. Le assenze dalla famiglia sono sempre più frequenti e le giustificazioni sempre più difficili da inventare e

sostenere. Cominciano a presentarsi delle difficoltà economiche e se, nelle prime fasi, il giocatore riusciva a mentire e a recuperare – attraverso la famiglia, i parenti, gli amici, i colleghi, la banca – il denaro perso, «il

gioco di recuperare il denaro e di giustificarsi» diventa sempre più difficile da sostenere. Per recuperare il denaro perso diventa necessario rischiare maggiormente e giocare su combinazioni e tipi di

giochi che promettono maggiori guadagni ma minori probabilità. E il denaro chiesto in prestito finisce presto

mentre le vincite vengono reinvestite nel gioco. Le scuse in casa sono le più varie e se, nelle prime fasi sembravano tenere, ora si innesca una spirale molto difficile da controllare. I debiti sono sempre più forti.

Difficilmente si possono onorare e qualcuno comincia a sospettare vi sia qualcosa che non funziona. La famiglia può trovarsi in una situazione che viene definita di "cecità" (Coletti, 2001), ovvero assiste a una

realtà che presenta segni incontrovertibili ma ciò nonostante non riesce a vederla.

Tale cecità nulla ha a che vedere con un disegno cosciente di disinteresse. Anzi, «i familiari e il partner possono, al contrario essere angosciati senza riuscire a percepire con chiarezza ciò che accade. Da una parte

ci si rifiuta di pensare e vedere la realtà per quella che è; dall’altra si vuole credere alle spiegazioni, alle negazioni, al tentativo di minimizzare del soggetto. Dall’altra ancora, esiste un "guadagno secondario del

sintomo" ben noto e studiato in altre forme di dipendenza: ovvero una sorta di funzionalità che il comportamento patologico svolgerebbe all’interno del sistema familiare nel quale il giocatore assume "la

funzione di sintomo del malessere e stabilizzatore dell’omeostasi familiare"» (Guerreschi, 2000, pag. 122).

Tuttavia certi segnali non possono più essere negati e la famiglia può rendersi conto della drammaticità della situazione nei più svariati modi, compresa la possibilità di trovarsi improvvisamente senza luce, acqua o gas

in quanto il denaro che doveva servire per pagare le utenze è stato utilizzato per giocare. Il giocatore a questo punto si trova in una situazione molto delicata. Un misto di elementi di orgoglio e di

vergogna e la difficoltà a riconoscere quello che veramente avviene (insieme alla speranza che con una

buona vincita si possa mettere tutto a posto) spingono a negare, a isolarsi ancora di più, a sentirsi incompresi e insistere nell’attività del gioco.

Forse si è già ricorsi all’usura, ai piccoli reati, forse era già stato promesso di non ritornare più a giocare ma si cerca di minimizzare, o confessare strumentalmente che si tratta di un problema che ora comunque è

superato o sotto controllo.

Lo stupore e la rabbia

Il rendersi conto di un problema di gioco risulta per la famiglia un qualcosa di incomprensibile. Un qualcosa che crea in un primo momento stupore più che rabbia, incredulità piuttosto che disperazione. Se si scopre

che un proprio familiare utilizza droga o abusa di alcol, "almeno" ce la si può prendere con una sostanza

esterna, con un qualcosa che ha minato la capacità di scelta, qualcosa che un "qualcun altro" gli ha dato. La colpa è degli spacciatori, la colpa è di una sostanza tossica la quale è la causa di tutto. Nel caso del gioco

d’azzardo questo è più difficile da sostenere. Da un lato vi è il tentativo di minimizzare, di consolarsi pensando che avrebbe potuto accadere qualcosa di

peggio. Il gioco d’azzardo a differenza di altre forme di dipendenza che presentano evidenti segni, danni, rischi di ordine fisico, offre maggiori alibi alla negazione e alla minimizzazione e questo non solo da parte del

paziente ma anche dei familiari. Ma lo stupore, la negazione e la minimizzazione lasciano presto il posto alla

rabbia e all’impotenza. Rabbia contro «il giocatore, ma anche verso tutto ciò che è identificato come responsabile del disastro: le

case da gioco, i croupier, coloro che si pensa abbiano lucrato sull’ingenuità del giocatore; gli amici che non hanno fatto molto per fermarlo o che non hanno denunciato la situazione alla famiglia» (Coletti, 2001) e la

società in generale che trae profitti dalla debolezza di alcuni. Ma anche rabbia contro il giocatore che non ha

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raccontato prima il suo vizio o che peggio ancora ha negato di fronte a tante evidenze. Che li ha ingannati

così a lungo, non è stato in grado di fermarsi in tempo, di chiedere aiuto e di portare alla rovina la famiglia.

Si scoprono i debiti. Alcuni sono insanabili ma si spera ancora che basti un atto di buona volontà e un impegno preciso. In taluni casi può essere la scoperta di una situazione inaspettata e incomprensibile in una

persona che non manifestava segni di difficoltà oppure, in altri casi, può essere lo scoprire tale nuovo problema in una persona che aveva manifestato e magari risolto altri problemi di dipendenza.

Falliti i primi tentativi di aiuto da parte della famiglia spesso i familiari provano a chiedere aiuto a qualcuno

per aiutare il giocatore a smettere ma egli non ne vuole sapere. Minimizza, dice che lui non ha alcun problema e non raramente può diventare aggressivo. Sono gli altri che hanno problemi. Lui ha attraversato

un momento difficile ma ora tutto è a posto. Il suo è solo un problema di denaro. Se riesce a pagare i debiti le cose andranno a posto. Si pone per la famiglia una scelta assai problematica e rischiosa: aiutarlo? Pagargli

i debiti e sperare che si possa chiudere questo capitolo? Oppure lasciarlo in una situazione disperata e sentirsi responsabili di questo?

Il ricatto emotivo è molto forte e la famiglia può essere tentata dalla speranza di dare denaro al giocatore

sotto forma di "cauzione" con la promessa di abbandonare il gioco o di ridurlo drasticamente. Ma tale cauzione rischia di essere dannosa quanto la grande vincita poiché tende a non responsabilizzare il giocatore

bensì a rafforzare il suo ottimismo irrazionale e dargli la possibilità di ricominciare a giocare. In preda a una specie di delirio di onnipotenza, credendo comunque di averla vinta, il giocatore si giocherà anche questo

denaro e nella famiglia si accrescerà la sensazione di fallimento e di rabbia.

Distruggersi o farsi aiutare?

Pur non avendo nel caso del gioco d’azzardo a differenza delle tossicodipendenze (Zerbetto, 2001), una ricchezza di ricerche relative a ipotesi e trattamenti di tipo familiare, tuttavia molte esperienze e molti studi

indicano nel coinvolgimento della famiglia un elemento di straordinaria importanza (Heineman, 1989;

Haustein e al., 1992; Abbott e al., 1995; Hammond, 1997; Guerreschi, 2000). Talune esperienze segnalano come, qualora il soggetto rifiuti di partecipare, sia opportuno iniziare il

trattamento con i soli familiari (De Luca, 2001). È infatti importante che anche «i familiari per prima cosa comprendano come far fronte al proprio scompiglio prima di spostare il problema sul giocatore o altri»

(Federman e al., 2000). Tuttavia se forti possono essere le resistenze ad accettare un processo di impegno e di cambiamento, forti

sono anche i rischi di interromperlo non solo da parte del soggetto ma anche da parte dei familiari.

Le possibili ricadute o gli apparenti e immediati successi possono infatti portare ad abbandoni precoci. La ricaduta può essere interpretata come segnale di non volontà di cambiamento con conseguente

colpevolizzazione del paziente, mentre i primi successi possono illudere che tutto ormai sia risolto. Se il coinvolgimento e la sofferenza causati dal gioco patologico investono non solo il soggetto ma anche la sua

famiglia, e pertanto è opportuno e necessario strutturare interventi di tipo multimodale e multifasico, che

possano cioè prevedere, a seconda delle situazioni e delle fasi, momenti di intervento individuale, di coppia, di gruppo e della famiglia, va anche detto che le aree interessate dalle conseguenze del gioco patologico

necessitano di interventi, di attenzioni e di professionalità diverse. Esiste infatti il dato concreto dell’indebitamento del giocatore e della famiglia che deve essere affrontato. Si può porre allora l’esigenza di

nominare un tutor esterno e esperto e questo organizzare un piano di risanamento dei debiti e gestire il

rapporto con i creditori. Come suggerisce Guerreschi tuttavia: «È sconsigliabile arrivare a una soluzione che permetta l’immediato pagamento dei debiti» (Guerreschi, 2000, pag. 127) in quanto il giocatore potrebbe

interpretare questa ipotesi alla stregua di una vincita con il risultato di rafforzare il suo comportamento verso il gioco.

La cosa diventa ancora più problematica quando si tratta di usurai o di organizzazioni criminali. Il giocatore può essere terrorizzato delle possibili reazioni e, per vergogna o timore – ma sempre soggiace la speranza di

potersi rifare e chiudere "magicamente" il tutto – non volere sporgere denuncia. Tale aspetto è da

considerare con straordinaria delicatezza. Il giocatore può fuggire per non affrontare tale situazione. Ma è veramente importante chiedere aiuto e consulenza a persone esperte e affidabili.

È poi necessario privare il giocatore di carte di credito, bancomat, anche se va ricordato come, nella maggior parte dei casi a tali livelli gli istituti di credito possano già avere sospeso tali servizi.

La gestione dei soldi Rimane aperta la questione del denaro contante. Bisogna infatti considerare come il giocatore soprattutto

nelle prime fasi di promesse di cambiamento sia fortemente a rischio. Un familiare, potrebbe farsi carico della co-gestione del denaro insieme al giocatore consegnandogliene solo per le spese correnti quotidiane,

programmate e verificabili. È questa una funzione di particolare delicatezza.

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Il rischio può essere quello di una gestione troppo rigida, sadica e colpevolizzante, ovvero di un rifiuto più o

meno cosciente di tale funzione con tentazioni di proiettare "la parte cattiva" sul terapeuta, sul gruppo, sugli

altri, e colludere con il giocatore minimizzando, concedendosi "qualche infrazione", considerando il problema come risolto o in via di risoluzione.

Nel primo caso il rischio è di trattare come un bambino una persona che fino a ieri maneggiava grandi quantità di denaro e relegare in un ruolo di umiliazione e dipendenza chi fino a ieri nella famiglia poteva

avere un ruolo di riferimento.

Umiliandolo in questo modo (gli scontrini del bar per il caffè, le sigarette comprate dalla moglie...) senza comprendere e condividere l’importanza e anche la delicatezza e la provvisorietà di tale fase – ecco un

motivo in più per aiutare e coinvolgere la famiglia nel progetto terapeutico – può portare a rifiutare il trattamento, a diventare aggressivo, oppure a "recitare la parte" aspettando tempi migliori. Nel secondo

caso si rischia invece di trattare il giocatore come alcuni genitori trattano gli adolescenti ovvero costruendo insieme un pericoloso processo di infrazione di regole, di collusioni, di complicità.

Il gioco d’azzardo patologico (Gap) sta sempre più evidenziando nel nostro Paese un progressivo passaggio

da un’immagine stereotipata e romantica che lo confinava in "mondi lontani, diversi" verso una diffusione sociale che coinvolge sempre più persone di diversi strati sociali e con costi umani e sanitari molto alti

(Croce, 2001). Tuttavia, tale problema risulta ancora fortemente misconosciuto o sottovalutato e le famiglie che si trovano

al loro interno un familiare con problemi di gioco patologico, spesso non sanno a chi rivolgersi e cosa fare.

Risulta quindi necessario promuovere maggiormente forme di aiuto e di consulenza in modo che "tale problema" e tale sofferenza possano avere il proprio spazio di ascolto, di attenzione e di cambiamento.

E questo anche per permettere di comprendere e affrontare la questione fin dalle prime fasi in modo da evitare il rischio che "il gioco venga scoperto" tardi, oppure non venga chiesto aiuto tempestivamente ma

solo quando tutto è compromesso sia sul piano economico, che su quello delle relazioni familiari. Anche allora, e tante esperienze ce lo insegnano, è possibile fare molto, ma è necessario che i familiari, il giocatore

e in fondo tutti noi, cominciamo a comprendere come dietro a un mondo che offre svago, illusione, facili

guadagni, molte volte si nascondano e si confondano drammi, sofferenze e solitudini che hanno bisogno di altre risposte

:"in Italia ci sono milioni di persone che tentano la fortuna. Recenti indagini affermano che ci

provano 30 milioni di persone, cioè il 58% della popolazione adulta. ( Eurispes, Giochi,

scommesse e lotterie: italiani d’azzardo. Indagine sul gioco in Italia, Roma 2000).

Il dilagare del fenomeno sottolinea l’urgenza di fare chiarezza, in particolare di denunziare le

informazioni false messe in giro e di approfondire le implicazioni morali per l’uomo e la famiglia che "da un lato ha molte difficoltà a capire che cosa sta avvenendo, anche perché non si trova di

fronte a un "avversario" esterno, l’alcool, la droga ecc…., a cui dare la colpa e contro cui prendersela. La grande maggioranza delle famiglie sono impreparate alla scoperta di un

famigliare che gioca e non sanno a chi rivolgersi. Dall’altro lato l'esperienza dimostra che il coinvolgimento della famiglia è molto importante anche per il recupero dello stesso giocatore".

(P.G.Selvini)

Michele SFORZA

Costretti a giocare: il giocatore compulsivo

La letteratura sul gioco ci mostra che questo fenomeno è stato osservato e indagato a partire da diverse prospettive: storico-letteraria, socio-antropologica, psicoanalitica, pedagogica, linguistica, etologica,

sperimentale e, più recentemente, clinica.

Questo fiorire di indagini e la varietà dei punti di osservazione denotano come il fenomeno si allarghi a coinvolgere campi estremamente diversi e apparentemente poco collegati gli uni agli altri. Il gioco sembra

attraversarli longitudinalmente, accomunandoli in una sovradimensione. Per interessare settori così diversi, le funzioni del gioco devono essere quindi molteplici e ne abbiamo riprova esaminando la polisemia e

l’ambiguità della parola che descrive questa funzione. La parola gioco, infatti, come avviene anche in altre

lingue, ad esempio per l’inglese play o per il tedesco spiel, assume una quantità di significati diversi che vengono utilizzati per descrivere attività ed esperienze ludiche altrettanto diverse.

Procederemo quindi partendo da un inquadramento teorico del concetto di gioco e dalla descrizione delle sue caratteristiche, per passare infine a osservare come dall’attività ludica "normale" si possa manifestare, in

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alcune persone, un approccio patologico con caratteristiche di compulsività e di dipendenza.

Il gioco è una forma di attività comune sia agli esseri umani che al mondo animale. Numerosi sono gli studi e

le osservazioni fatti dagli etologi e dai primatologi. Questi ultimi, in particolare, hanno osservato e descritto nei primati una notevole varietà di attività ludiche che assumono significati diversi. Nel gioco dei primati sono

state descritte, soprattutto nei soggetti giovani, funzioni relative all’apprendimento. Si è visto che i giovani scimpanzé osservano attentamente i comportamenti degli adulti per poi riportarli nei loro giochi, al fine di

esercitarsi a ricreare e utilizzare quelle strategie che saranno proprie dell’età adulta.

La modalità ludica compare anche nelle strategie usate per la soluzione dei conflitti che sorgono all’interno

del gruppo per l’attribuzione dei ruoli sociali, per l’accoppiamento e per la difesa del territorio. Nei babbuini sono stati osservati scontri ritualizzati sotto forma di balletti stereotipati e apparentemente buffi, che

rappresentano "giochi di guerra". Un’attività, quindi, che simula la guerra, ma senza produrne le

conseguenze letali, e che ha lo scopo di appianare, senza spargimento di sangue, le dispute all’interno del gruppo. Così pure l’espressione di atteggiamenti minacciosi, attraverso il linguaggio del corpo, prende

significato e funzione di lanciare avvertimenti, allo scopo di dissuadere il nemico dallo scontro diretto. La minaccia non è l’aggressione ma "sta per" l’aggressione, simula ed esprime un comportamento che non è

ancora presente ma che potrebbe eventualmente comparire in futuro. Questo gioco di mettere in scena un comportamento rappresenta una forma di comunicazione che si realizza attraverso metasegnali e si traduce

in vantaggi per la difesa e la sopravvivenza del soggetto e di tutto il gruppo. Sembra quindi plausibile che la

funzione del gioco possa ricoprire un ruolo significativo nella costruzione dell’attività simbolica e del linguaggio, che nell’uomo porterà al più complesso fenomeno dell’astrazione e della cultura come aspetto

della dinamica dei simboli. Anche in altri animali, oltre ai primati, si osservano scene di gioco finalizzate a obiettivi diversi, ma che sono,

in ogni caso, orientati verso l’adattamento della specie a una sezione dell’ambiente naturale e alla

costituzione delle relazioni fra individui (Bruner, 1975). Nell’uomo la natura dell’attività ludica è ancora più complessa ed è talmente importante da costituire una

vera e propria Weltanschauung, un modo di vedere il mondo e di stare al mondo. Questa particolare forma di attività caratterizza l’essere umano in modo specifico tanto che lo storico olandese Huizinga la considera

una qualità costitutiva fondamentale. Egli ha parlato quindi della qualità di homo ludens da accostare a quella di homo faber per rafforzare e potenziare il concetto di "uomo produttore". Anche molti animali hanno

la capacità di essere faber, cioè produttori, ma nell’uomo questa funzione assume una complessità

particolare, che Huizinga attribuisce proprio alla "qualità" ludens dell’essere umano. Nel suo notissimo saggio (Huizinga, trad. it., 1982) parte proprio dalla convinzione che la stessa «civiltà umana sorge e si sviluppa nel

gioco, come gioco». Nel gioco e col gioco l’essere umano realizza il fare, il costruire, che si manifesta in forme specifiche nelle

svariate attività umane, coinvolgendo sia la realtà interiore che la dimensione sociale. Nell’uomo il gioco

assume infinite forme e funzioni: diventa esercizio preparatorio ai diversi compiti esistenziali (biologici, sociali, relazionali, culturali), serve ad appagare i bisogni fondamentali del controllo sulle cose, del bisogno di

dominare, di competere e misurarsi, di autoaffermarsi attraverso la sfida. Serve anche a concedersi svago, sollievo in forma di autogratificazione.

Per Piaget (1970) il gioco consente al bambino l’assimilazione dell’esperienza ai propri schemi mentali circa

l’ambiente che lo circonda. È indispensabile all’individuo, oltre che per i suoi compiti biologici, per i legami che il gioco crea, per la sua funzione di elemento essenziale per la nascita della cultura. Le funzioni di

rappresentazione simbolica si incarnano nelle forme dell’arte esprimendosi attraverso gli strumenti della drammaturgia, poesia, teatro, musica, architettura, scultura, e così via. Si spingono perfino a dare forma ai

riti, alle sacre rappresentazioni, ai miti.

Il bambino fa esperienza

Sul piano psicologico, oltre all’aspetto della gratificazione, il gioco assume ruoli sostanziali nel processo formativo dello sviluppo della mente e della personalità.

Per Bruner uno dei compiti del gioco del bambino è quello di esercitarsi ad assumere dei «...ruoli all’interno di quella che egli gradualmente impara essere la versione della realtà data dalla sua società», e di costruire

una sua identità proprio «all’interno dei ruoli e delle tecniche che sono a sua disposizione».

Contributi fondamentali sono venuti da Winnicott, Anna Freud, Melanie Klein sul ruolo che il gioco riveste nell’economia della psiche infantile. Per Winnicott (1981) l’esperienza ludica è fondamentale per creare

quell’area "intermedia" fra madre e bambino, un’area dove si origina l’idea del magico e dove il piccolo può fare esperienza, in un luogo protetto, del controllo sugli oggetti, per imparare a riconoscere il passaggio fra

realtà interna ed esterna. Questa esplorazione permette al bambino, secondo Winnicott, di sperimentare

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sensazioni di onnipotenza connesse al controllo degli oggetti transizionali e della comunione con la madre. È

l’area dove si crea «una linea diretta di sviluppo dai fenomeni transizionali al gioco, e dal gioco al gioco

condiviso, e da questo alle esperienze culturali». Per M. Klein (1969) il gioco infantile rappresenta il terreno nel quale il bambino riversa tutto sé stesso e dove

può manifestare vissuti altrimenti inesprimibili. Il gioco rappresenta per la Klein l’equivalente delle associazioni libere dell’adulto e diventa pertanto una via privilegiata per la comprensione psicodinamica del

bambino e per la sua cura. Anche Anna Freud (1970) si inserisce sulla stessa linea teorico-clinica e considera

il gioco infantile indispensabile per comprendere il vissuto del bambino proprio per la sua impossibilità di utilizzare codici linguistici e verbali più elaborati.

Elementi comuni e condivisi

Il fatto che il gioco sia in grado di permeare e dare forma a funzioni così diverse ci induce a pensare che alla

base di tutte ci sia un comune denominatore sul quale si costruisce una specifica attività. È quindi lecito chiedersi quale possa essere il procedimento che caratterizza l’attività ludica e che diventa elemento comune

e condiviso. Per capirlo ci sarà utile esaminare alcune caratteristiche del gioco che ci renderanno conto dei meccanismi fondanti.

Ci sono dei postulati da cui bisogna partire: innanzitutto il fenomeno del gioco si può presentare solo se i giocatori sono capaci, in qualche misura, di metacomunicare (con altri e con sé stessi) cioè di scambiarsi i

segnali che portano il messaggio «questo è un gioco». Vale a dire possedere la consapevolezza che «le

azioni che ora stiamo compiendo non denotano ciò che denoterebbero quelle azioni per cui esse stanno» (Bateson, 1975). Il gioco si basa pertanto su livelli diversi di comunicazione e di consapevolezza: il giocatore

prova contemporaneamente la certezza che l’attività che sta facendo (il gioco) è reale perché fatta di azioni, di movimenti, di "gesti" attuati con grande concentrazione, impegno, serietà, pur nell’ambito di un aspetto

gratificante, giocoso. Ma allo stesso tempo ha la coscienza che le sue azioni non sono vere in quanto

appartengono alla finzione del gioco. Il giocatore quindi è (e deve essere) consapevole della distinzione fra "gioco" e "non gioco", fra realtà e fantasia.

Il fenomeno si sviluppa in un’area particolare che si situa fra il concreto e l’immateriale (Huizinga), fra il mondo interno e il mondo esterno (Winnicott). È una zona "convenzionale" che, pur godendo del diritto di

extra-territorialità dal mondo reale, non è meno "vera" della realtà esterna. La costruzione di quest’area parte da una negoziazione che il giocatore fa con sé stesso o con altri giocatori per stabilire e concordare i

parametri del setting dell’area di gioco.

Una frase tipica che usano i bambini nei loro giochi di ruolo è questa: «Facciamo che eravamo...». In questo modo costruiscono la "scena" del gioco, le regole e i ruoli che intendono ricoprire.

Lo stesso uso del verbo coniugato all’imperfetto, per collocare un avvenimento che si svolge al presente, è indicativo della "finzione" che situa gli eventi in un’area virtuale e in un tempo indefinito.

Per inquadrare meglio i confini e il significato di quest’area può venirci in aiuto il termine tedesco spielraum (spazio del gioco), che significa, appunto, spazio di libertà ma nell’ambito di limiti prestabiliti. In questo spazio è indispensabile al giocatore godere di un margine di libertà, di variazione (leeway) come pure è

indispensabile la limitazione del campo a opera di regole ben precise. In assenza di libertà per il giocatore o di regole del gioco, quest’ultimo non può sussistere. Il gioco, per essere tale, deve svolgersi entro limiti di

tempo e di spazio determinati e avere regole molto chiare e ineludibili.

È questa l’impalcatura su cui la costruzione del gioco si regge. La messa in dubbio delle regole farebbe subito crollare tutto il mondo del gioco. Questo spazio "speciale" è creato dal giocatore con il meccanismo

comunemente definito illusione (in-lusio = essere nel gioco) che è l’espressione di un’attività della mente umana che permette di mettere un piede nell’irrealtà pur senza delirare. È l’attività che caratterizza l’atto

creativo, la capacità di "immaginare" situazioni e realtà non ancora presenti, di costruire scenari per prevedere, fare ipotesi e congetture. È la base fondamentale per esplorare nuove conoscenze, approfondire

quelle esistenti, e accostarsi ad altre esperienze di carattere simbolico, immateriale, spirituale. È il mezzo con

cui ci proiettiamo nel futuro e verso mondi sconosciuti con progetti, piani e intenzioni. Ed è anche ciò che ci fa sopravvivere consentendoci di prevedere, prefigurandoli, pericoli e situazioni rischiose. Rappresenta,

infine, ciò che conforta e arricchisce la nostra esistenza permettendoci di vivere la speranza, i desideri, i sogni, le fantasie.

Una volta creato il "nuovo mondo" del gioco, il soggetto vi si immerge totalmente, ne viene completamente

assorbito, diventa un personaggio che fa parte integrante di quel mondo, pur mantenendo sempre la sensazione che – secondo quanto scrive Huizinga – «questo è solo un gioco». Il soggetto sa che sta

«facendo per finta» o «per scherzo». Il gioco è intenso, coinvolgente, provoca tensione e grandissima partecipazione emozionale, è tremendamente serio anche se contiene elementi di divertimento e di

giocosità. Il poeta Pascoli scriveva: «Nel gioco seri al pari di un lavoro». E tutto questo avviene pur non essendo "vita ordinaria", "vera", anzi essendo un allontanamento da quella.

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Le categorie di Callois

Se mettiamo la nostra attenzione su quelle particolari forme in cui il fenomeno generale del gioco si incarna,

ci troveremo di fronte alle svariate attività ludiche che sono comunemente presenti nella nostra esperienza: i giochi.

Callois già nel 1958 raggruppava i giochi sotto 4 grandi categorie: giochi di Agon (competizione), Mimicry (imitazione), Alea (rischio), Ilinx (vertigine). Se anche vogliamo tralasciare altre categorie di attività ludiche

che punteggiano la nostra vita e vogliamo fermarci a queste quattro, che abbracciano un vasto arco di

possibilità concrete di gioco, vediamo che ciascuna di queste va a soddisfare uno o più bisogni fondamentali per l’uomo. I giochi di competizione soddisfano bisogni di autoaffermazione, senso di controllo sulla realtà,

senso di potenza. È facile pensare a quanto questa modalità connessa con l’aggressività sia fortemente collegata ai bisogni fondamentali dell’essere vivente (sopravvivenza, nutrizione e riproduzione).

Un individuo capace di buona efficienza nel raggiungere questi obiettivi avrà maggiori possibilità di sopravvivere e riprodursi. Potrà infatti difendersi efficacemente, fuggire, procurarsi il cibo predando e

difendendo il territorio di caccia e avere migliori probabilità di riprodursi (sarà più ambito e potrà difendere il

partner da altri pretendenti). Sono strategie premiate dalla selezione naturale, in quanto strettamente legate all’adattamento, ed é quindi naturale che queste strategie siano "premiate" anche nell’individuo da rinforzi

positivi. I giochi basati sul rischio producono eccitazione e susseguente gratificazione quando la risposta é

appagante. Si connettono alla sfida, alla gara con altri contendenti o con il Fato, mirano a dimostrare la

propria forza e superiorità e a procurare l’illusione di «controllare l’incontrollabile» (Sarchielli, Dallago, 1997). Sono emozioni che comportano l’utilizzo del "pensiero magico" e che soddisfano bisogni di controllo

onnipotente. Il senso di appagamento del giocatore che vince dopo aver puntato sulla sua previsione, produce emozioni di trionfo che spesso vengono descritte come sensazioni orgasmiche.

I giochi di vertigine si collegano alla ricerca del brivido e sono connessi alla dimostrazione di coraggio, di rituali di iniziazione, di predominio sociale, di rendersi appetibile nella ricerca del partner.

Pur nella loro diversità e nella variabile combinazione di bisogni appagati, tutte le categorie dei giochi hanno

l’obiettivo di soddisfare bisogni della persona. Sono bisogni diversi per i vari individui e addirittura diversi nello stesso individuo nel corso della sua vita. L’obiettivo é in ogni caso lo stesso.

Perché si gioca?

Se il gioco riesce a soddisfare l’ampio ventaglio di necessità (da quelle biologiche a quelle esistenziali)

possiamo dedurne che la gente gioca perché ne ha bisogno. E quando dei bisogni vengono soddisfatti se ne ricava un grande benessere, un profondo appagamento psichico e fisico. Tale appagamento serve a

ricompensare gli sforzi fatti e a motivare le azioni future. I percorsi che abbiamo utilizzato per ottenere i nostri obiettivi vengono "premiati" e quindi rafforzati nella nostra memoria e nelle nostre esperienze. Le

strategie usate vengono privilegiate rispetto ad altre che, meno efficienti, vengono abbandonate.

Non possiamo ignorare, a questo punto, che una delle caratteristiche fondamentali del gioco è proprio l’aspetto divertente, gratificante. Perfino le emozioni di tensione, paura, brivido di certi giochi sono fonte di

gratificazione sia perché vengono percepite come stimolazione gradevole in sé, sia perché sono, in previsione, seguite da appagamento. Il fenomeno del gioco non sarebbe assolutamente comprensibile, né

potrebbe esistere al di fuori di una risposta gratificante.

Come mai il gioco da attività utile, addirittura indispensabile e fonte di tante utili gratificazioni, si può trasformare in un’attività patologica ripetitiva? Attualmente sappiamo che la percezione ed elaborazione delle

sensazioni di piacere, sia che esse provengano da stimoli chimici (droghe e sostanze psicoattive in genere) sia da stimoli comportamentali (come è appunto il gioco), è mediato da complessi sistemi neuronali e

neurotrasmettitoriali. Tali sistemi prevalentemente hanno sede nell’area ventrale tegmentale, a livello mesencefalico dove prendono origine neuroni dopaminergici che hanno come bersaglio altri neuroni situati in

altre regioni cerebrali come il nucleo accumbens e la corteccia prefrontale mediale. In particolare l’area

denominata conchiglia del nucleo accumbens è deputata a mediare le funzioni di ricompensa del cervello. Vale a dire che sostanze chimiche o comportamenti in grado di stimolare risposte gratificanti vengono

"premiati" attraverso un rinforzo che darà a quei circuiti neuronali maggiore forza e precedenza su altre afferenze. Infatti è il meccanismo fisiologico della memoria e della motivazione che ci spinge ad agire e a

ripetere i comportamenti risultati utili.

La ripetizione dura fino a quando un meccanismo inibitorio (comunemente detto sazietà o appagamento) non frena la ripetizione, arrestandola.

Se compare la dipendenza

In alcune persone si ipotizza che il blocco della ripetizione non funzioni adeguatamente e che, pertanto, il

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comportamento si reitera all’infinito senza potersi mai appagare fino a trasformarsi in un loop inarrestabile.

L’alterazione di questo elaborato meccanismo dovuta a complessi disturbi neutrasmettitoriali (convolgimento

di serotonina, noradrenalina, dopamina, Gaba), ad aspetti genetici (alterazioni di geni che concorrono a codificare recettori della dopamina) e ad altri complessi fattori psicologici, sociali e relazionali appare

responsabile del fenomeno dell’addiction. La causa della dipendenza patologica é quindi la risultante di una serie di fattori predisponenti bio-

psicosociali che, in presenza di uno stimolo scatenante, danno origine alla patologia compulsiva conclamata.

Solo la concomitanza di questi fattori può spiegare l’insorgenza della malattia. Si é visto infatti che uno solo dei fattori predisponenti non é in grado di precipitarla.

Quando la malattia compare, si manifesta con le caratteristiche tipiche di tutte le dipendenze: assuefazione (il giocatore deve giocare sempre di più), perdita del controllo (il giocatore non può evitare di giocare e di

fermarsi quando inizia), sindrome di astinenza (il giocatore sta male fisicamente e/o psichicamente se non gioca), craving (bisogno compulsivo di giocare).

In presenza di queste manifestazioni il gioco non esiste più, vengono a mancare le premesse indispensabili

perché quell’attività sia un gioco: manca la libertà del soggetto, ormai schiavo della compulsione, mancano le regole di spazio e tempo prestabilite, manca la possibilità di uscire dal gioco quando lo si desidera. Come

abbiamo visto, senza le regole di un setting definito, la dimensione ludica crolla e ci lascia di fronte a una situazione molto diversa.

È la situazione di una terribile malattia in grado di devastare la vita del soggetto, quella dei suoi cari e quella

di tante altre persone che gli ruotano intorno nell’ambito sociale.

Daniela CAPITANUCCI

Disponibilità e caratteristiche dei servizi sul territorio

A fronte di una sempre crescente disponibilità di giochi d’azzardo e di una progressiva disillusione circa le

proprie possibilità individuali di raggiungere attraverso sforzi e capacità personali quell’immagine sempre più frequentemente proposta dai mass media, in cui i valori sono quelli di avere piuttosto che di essere, dalla

fine degli anni Novanta si è osservato un forte incremento degli italiani disposti ad affidarsi al caso, praticando tali giochi come unica opportunità di successo e si è constatato il conseguente aumento di

situazioni patologiche (Eurispes, 2000).

Parallelamente le istituzioni politiche e socio-sanitarie sembrano però sottostimare l’impatto del "gioco d’azzardo eccessivo", nonostante esso abbia tutte le premesse per configurarsi come uno dei più gravi

problemi psico-socio-sanitari che la nostra comunità potrebbe trovarsi a fronteggiare tra breve. Lo psichiatra Cancrini, già nel 1996, definiva il gioco d’azzardo (in lingua inglese, gambling) «una tossicomania senza

farmaci». Ciò nonostante, gli operatori dei Sert (Servizi territoriali), travolti dai loro inconoscibili destini futuri

legati a una politica socio-sanitaria che di gioco d’azzardo non ha ancora cominciato a occuparsi, nella migliore delle ipotesi hanno finito col relegare questa patologia ai margini delle loro attività, talvolta persino

scotomizzandola tra i loro stessi pazienti tossico e alcoldipendenti in trattamento. In modo analogo, gli operatori sociali dei Comuni non rilevano dati di allerta e, salvo sporadici casi, come per

l’alcolismo, sono i gruppi di "mutuo aiuto" a fornire in molti territori le risposte a questi pazienti e ai loro

familiari, consunti dalle conseguenze del gioco sfuggito a ogni controllo ed estenuati dalle ricerche, spesso tortuose, compiute per riuscire a identificare un luogo ove portare la richiesta di aiuto.

Mancano, è vero, dati epidemiologici precisi sulla prevalenza di questo disturbo nella nostra popolazione e le poche ricerche disponibili sono state condotte nell’arco degli ultimi due anni. Ma un dato per tutti fa

riflettere: possiamo ritenere che il 6% della popolazione adulta di sesso maschile abbia un problema di gioco eccessivo (Eurispes, 2000) e tale percentuale sarebbe assai più elevata nei soggetti dipendenti da sostanze,

oscillando tra il 22 e il 32% (Capitanucci e Biganzoli, 2000).

Non entrerò qui nel merito dell’inquadramento diagnostico, trattato dettagliatamente altrove (Croce, Zerbetto, 2001). Mi limiterò solo a sottolineare che la complessità del problema (che investe il giocatore

patologico a più livelli – individuale, familiare, sociale – impattando su più sfere della sua esistenza – psicologica, sanitaria, relazionale, economica, legale, occupazionale, e quant’altro –) necessita di una

risposta pluridimensionale.

Le équipe multidisciplinari dei Sert, abituate da anni a un lavoro integrato sulle dipendenze patologiche, sono particolarmente adeguate ad accogliere il problema del gambling, sia per modalità di lavoro adottate, sia per

tipologia di figure professionali presenti. L’aggiunta di un consulente fiscale e legale nello staff, per orientare i pazienti e i loro familiari a gestire situazioni ormai complesse e compromesse quali sono quelle che si

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presentano ai servizi nel momento in cui viene finalmente formulata la richiesta di aiuto, sarebbe

un’integrazione auspicabile. Anche la possibilità di fare inserimenti in regime residenziale a breve termine

sarebbe utile, sia in quei pochi casi in cui le risorse familiari del paziente fossero insufficienti o esaurite, sia nel caso di severe depressioni e rischio suicidario, non infrequenti in questa patologia.

Pur essendo di importanza decisiva, questo intervento di primo livello sul paziente giocatore e sulla sua rete primaria ristretta non dev’essere necessariamente erogato esclusivamente dai Sert: esso può essere infatti

garantito anche da enti del privato sociale che lavorino in collaborazione con il servizio pubblico o secondo i

criteri stabiliti. Vi è un altro livello di intervento, tanto necessario al buon esito del trattamento quanto spesso trascurato,

che è quello in cui i Sert (o i dipartimenti delle dipendenze dell’Asl, laddove esistano), a mio avviso, rivestono inequivocabilmente un ruolo cruciale che solo loro possono svolgere: costruire, con quanti più interlocutori

possibile, una rete territoriale di supporto al giocatore d’azzardo. Negli anni in cui la sua patologia è progredita, infatti, il giocatore è entrato in contatto, oltre che con i suoi

familiari, conoscenti, amici, compagni di gioco e colleghi di lavoro (rete primaria allargata), certamente

anche con fornitori di gioco, banche, finanziarie, usurai (reti secondarie di mercato), con enti di volontariato, parrocchie, Caritas, gruppi di mutuo aiuto (reti secondarie di terzo settore) e infine, con i servizi sociali del

Comune, i servizi specialistici dell’Azienda ospedaliera e dell’Asl, con il sistema giudiziario penale (reti secondarie formali) rendendo auspicabile, per la risoluzione del problema portato, un intervento di rete che

ricomponga in un unico quadro di intervento il mondo ormai frantumato delle relazioni del giocatore.

In questa prospettiva, dunque, i Sert, pur essendo solo uno dei numerosi attori in gioco, hanno una posizione privilegiata nell’ambito della rete nella quale si è mosso il giocatore e attribuire a tali servizi

esclusivamente un ruolo clinico, per quanto di competenza, sarebbe riduttivo.

1- Che cos'è il gioco d'azzardo

Il gioco d'azzardo è un'attività ludica che ha tre caratteristiche fondamentali:

Lo scopo del gioco è l'ottenimento di un premio (denaro, beni materiali, buoni ecc.)

Per parteciparvi è necessario rischiare una somma più o meno ingente di denaro o equivalenti (propri beni ecc.)

La vincita è più dovuta al caso che alla perizia del giocatore. Torna all'inizio

2 - Breve storia del gioco d'azzardo

La storia del gioco d'azzardo è strettamente legata alla storia dell'uomo, tanto che i primi cenni a questa attività si riscontrano addirittura nel 3000-4000 a.C. Nella civiltà egiziana, infatti, era già praticato il gioco dei dadi (il termine "azzardo" deriva dal francese "hasard", a sua volta termine di origine araba, "az-zahr", che significa proprio "dadi"). Più a est, in India, Giappone e Cina, si hanno testimonianze di forti scommesse, sia al gioco dei dadi che alle corse dei carri. Non da meno, nella Roma imperiale, personaggi come Nerone, Caligola, Claudio furono certamente accaniti giocatori (oggi probabilmente diremmo "giocatori patologici o compulsivi"). Connaturata con il gioco d'azzardo, inoltre, pare essere la propensione per il barare, confermata dal ritrovamento di dadi appesantiti da un lato. Se il gioco dei dadi vanta la storia più lunga, nei secoli a noi più vicini c'è stata una notevole espansione delle modalità di gioco, a partire dalle scommesse sui cavalli ("lo sport dei re"), alle lotterie, delle quali si ha testimonianza dai secoli XVI-XVII. La roulette fu inventata nel XVI secolo dal filosofo Blaise Pascal, mentre le slot-machine nel 1895 dall'americano Charles Fay. Torna all'inizio

3 - Gioco d'azzardo: vizio o malattia?

3.1 - Il vizio e la malattia

Spesso capita di sentirsi dire: "Ho il vizio del bere; del gioco..."; più raramente invece le persone affermano: "Sono un alcolista; un fumatore dipendente (tabagista); un giocatore patologico". Ma l'alcol, il fumo, il gioco d'azzardo sono vizio o malattia? La risposta più corretta è: dipende! Bisogna innanzitutto intendersi sui termini. Il vizio, infatti, è un comportamento deliberatamente messo in atto, al quale si riferiscono connotati moralistici negativi. In sostanza è un comportamento:

VOLONTARIO il soggetto può interromperlo a suo piacimento

CRITICATO "non bisognerebbe farlo, però...".

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La malattia invece è una condizione che il soggetto subisce e che lo priva di qualcosa (della salute in primo luogo). Torna all'inizio

3.2. - Quando il vizio diventa malattia?

Il fumo, l'alcol, il gioco d'azzardo rimangono un "vizio" finché non insorgono le caratteristiche tipiche della dipendenza e cioè:

la TOLLERANZA bisogno di sempre più sostanza o più gioco per ottenere lo stesso livello di eccitamento

l'ASTINENZA nervosismo, ansia, tremori se si tenta di smettere

la PERDITA DI CONTROLLO presunta capacità di poter smettere, senza riuscirci nella realtà. Così come esistono bevitori sociali e fumatori occasionali, esistono altresì giocatori sociali, per i quali il gioco d'azzardo rimane un'attività di divertimento, in cui investire deliberatamente parte del proprio tempo e del proprio denaro (circa il 95-96% di chi gioca d'azzardo o di chi beve alcolici). Per alcune persone, tuttavia, quello che sembrava un semplice vizio si trasforma in una vera e propria "schiavitù", coinvolte come sono in dinamiche "prive di controllo". Torna all'inizio

3.3 - Perché questo accade?

Probabilmente esiste una predisposizione alla dipendenza generata da fattori:

BIOLOGICI deficit del sistema neurotrasmettitoriale della ricompensa, fattori ereditari ecc.

AMBIENTALI pressione sociale, ambiente familiare e suoi valori ecc.

PSICOLOGICI volontà di autopunizione, necessità di fuga e di eccitazione, sensazione di poter controllare l'esito del gioco!

I soggetti predisposti che vengono in contatto con la sostanza o il comportamento possono sviluppare più facilmente un abuso e, in seguito, una dipendenza. Questa evoluzione, nella maggior parte dei casi, è subdola e progressiva, manifestandosi "senza che ce ne si accorga". E' bene ricordarsi che qualsiasi tipo di gioco d'azzardo può sviluppare una dipendenza, esattamente come qualsiasi tipo di bevanda alcolica o di tabacco. Torna all'inizio

4 - Che cos'è il Gioco d'Azzardo Patologico (GAP)

Il Gioco d'Azzardo Patologico (GAP) è una malattia mentale che è stata classificata dall'Associazione Psichiatrica Americana (APA American Psychiatric Association) all'interno dei "Disturbi del controllo degli impulsi" e che ha grande affinità con il gruppo dei Disturbi Ossessivo-Compulsivi (DOC) e soprattutto con i comportamenti d'abuso e le dipendenze. Il sistema classificativo DSM (Manuale Statistico-Diagnostico) nella sua IV versione (DSM-IV; 1994) propone i seguenti criteri diagnostici e la seguente definizione: "Mostrate un persistente e ricorrente comportamento di gioco d'azzardo disadattivo, in cui il bisogno di giocare è incontrollabile e vi riconoscete in almeno 5 delle situazioni elencate di seguito:

1 Siete completamente assorbiti dal gioco d'azzardo (rivivete esperienze di gioco del passato, soppesate o programmate la prossima avventura, pensate senza sosta a come ottenere il denaro per giocare).

2 Dovete aumentare costantemente le puntate per arrivare allo stesso livello di eccitazione. 3 Non riuscite in alcun modo a controllare, diminuire o interrompere le giocate. 4 Vi sentite irrequieti e irritabili se cercate di ridurre o interrompere il gioco d'azzardo. 5 Giocare è un modo di fuggire dai problemi, dal senso di colpa, dall'ansia o dalla depressione. 6 "Rincorrete le perdite" (per esempio raddoppiate le puntate per vincere tutto in una volta e rifarvi delle

perdite). 7 Mentite ai familiari, al terapeuta e ad altri per occultare l'entità del vostro coinvolgimento nel gioco. 8 Avete commesso azioni illegali (falsificazione, frode, furto, appropriazione indebita) per finanziare le

giocate. 9 Avete rischiato o perso una relazione significativa, il lavoro, opportunità di studio o di carriera a causa

del gioco. 10 Fate affidamento su altri per reperire il denaro con cui sanare una situazione finanziaria disperata a

causa del gioco. I giocatori compulsivi (o patologici) sono perciò quegli individui che si trovano cronicamente e progressivamente incapaci di resistere all'impulso di giocare. Il loro comportamento compromette e distrugge le loro relazioni personali, matrimoniali, familiari e lavorative. Torna all'inizio

5 - Chi sono i giocatori patologici

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Il giocatore patologico non presenta caratteristiche somatiche, di età, di sesso o di classe sociale che lo rendano "riconoscibile". Tuttavia, dal punto di vista psicologico, più frequentemente è un individuo con struttura della personalità narcisista, dipendente e impulsiva. Spesso, sotto una facciata boriosa, nasconde un'autostima molto bassa. Torna all'inizio

6 - Che cosa prova il giocatore d'azzardo

L'esperienza dell'azzardo è spesso descritta come "eccitante" o addirittura "esaltante". Effettivamente sono state riscontrate notevoli modificazioni fisiologiche e psicologiche (tensione muscolare, pallore, intensa sudorazione, inquietudine, eccitazione psicomotoria), che testimoniano le perturbazioni interne indotte dal comportamento. Queste modificazioni vengono percepite come gratificanti. Torna all'inizio

7 - Perché si continua a giocare

La prima domanda che ci si pone davanti ad una persona che si è rovinata con il gioco è: "Ma perché non si è fermato prima?". Nelle dipendenze, in realtà, si determina tutta una serie di circoli viziosi che automantengono il comportamento. Nello specifico del gioco d'azzardo il principale tra essi è il "chasing", cioè l'inseguimento delle perdite. Spesso infatti dopo una prima fase caratterizzata da vincite esaltanti, la tendenza dell'individuo predisposto all'abuso è di "rincorrere" altre vincite, aumentando la frequenza di gioco e le puntate. Quando inizia a perdere, attribuisce ciò ad un "periodo sfortunato" e tende ad aumentare il fattore rischio, nell'illusione di poter ottenere vincite più alte. Le perdite a questo punto superano di gran lunga le vincite ed inizia così la fase dell'inseguimento delle perdite (chasing), cioè il tentativo di recuperare il denaro perduto con un "colpo di fortuna". Il gioco viene ora visto come l'unica possibilità di redenzione e recupero. Si schematizzano nella PAGINA COLLEGATA i principali "circoli viziosi" attivi nel gioco d'azzardo patologico. Torna all'inizio

8 - I sintomi del Gioco d'Azzardo Patologico

8.1 - I sintomi

Se abbiamo compreso che il gioco d'azzardo patologico è una malattia, potremo presumere che, come tutte le malattie, anche questa determinerà i suoi sintomi sugli individui che ne sono affetti. In ogni malattia ci sono 3 categorie di sintomi: psichici, fisici,sociali. Elenchiamo di seguito i principali sintomi prodotti del gioco d'azzardo patologico

SINTOMI PSICHICI - ossessione del gioco

- senso di onnipotenza, presunzione

- nervosismo, irritabilità, ansia

- alterazioni del tono dell'umore

- persecutorietà

- senso di colpa, alterazioni della autostima

- tendenza alla superstizione

- aumento dell'impulsività

- distorsione della realtà (minimizzare, enfatizzare)

SINTOMI FISICI - alterazioni dell'alimentazione

- cefalea

- conseguenze fisiche dell'utilizzo di sostanze stupefacenti o alcol

- insonnia

- sintomi fisici dell'ansia (tremori, sudorazione, palpitazioni ecc.)

SINTOMI SOCIALI - danni economici

- danni morali

- danni sociali

- danni familiari

- danni lavorativi

- difficile gestione del denaro (spese impulsive)

- isolamento sociale.

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8.2 - L'astinenza

Come tutte le dipendenze, anche il gioco d'azzardo patologico presenta dei sintomi d'astinenza, spesso molto intensi e caratterizzati da:

inquietudine, nervosismo

tremori

nausea, vomito

insonnia

altri Torna all'inizio

8.3 - Le conseguenze del Gioco d'Azzardo Patologico

Il gioco d'azzardo patologico è una malattia molto grave! Il gioco d'azzardo patologico è una malattia potenzialmente mortale!

Si è calcolato infatti che i tentativi di suicidio nei giocatori d'azzardo patologici sono fino a 4 volte superiori rispetto alla media dell'intera popolazione. A ciò bisogna aggiungere i danni creati dalla frequente associazione con altre dipendenze (politossicodipendenze o codipendenze), soprattutto da alcol e da altre sostanze stupefacenti. Parimenti frequente è lo sviluppo di disturbi legati allo stress: dolori allo stomaco, ulcere, coliti, insonnia, ipertensione, malattie cardiache, emicranie ecc. Le conseguenze più evidenti, inoltre, sono quelle più strettamente legate alle perdite finanziarie e dei propri beni; le ripercussioni sull'ambiente di lavoro, le separazioni e i divorzi, le conseguenze sui figli. Torna all'inizio

9 - Evoluzione del Gioco d'Azzardo Patologico

L'evoluzione del gioco d'azzardo patologico è stata ben descritta da Custer (1982), come una successione di fasi che, dalla primitiva fase vincente, passando attraverso la fase perdente, culminano nella fase della disperazione. A questo punto vi può essere il recupero, passando attraverso una fase critica, di ricostruzione e di crescita. Le diverse fasi sono così caratterizzate:

FASE VINCENTE - gioco occasionale

- vincite iniziali

- gioco come rimedio (contro la depressione, l'ansia ecc.)

- si prova piacere

FASE PERDENTE - gioco solitario

- aumenta la quantità di denaro e tempo investiti

- perdite prolungate

- si pensa solo al gioco

- si utilizzano coperture e menzogne

- non si riesce a smettere di giocare

- inseguimento delle perdite

- sviluppo dei sintomi della dipendenza

- si fanno debiti

FASE DI DISPERAZIONE - marcato aumento del tempo e denaro dedicati al gioco

- isolamento sociale

- panico

- azioni illegali

- arresti, divorzi

FASE CRITICA - desiderio di aiuto

- speranza

- tentativo realistico di sospensione

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- si torna a lavorare

- si pianifica un risarcimento per i debiti contratti

FASE DI RICOSTRUZIONE - miglioramento nei rapporti familiari

- miglioramento dell'autostima

- pianificazione degli obiettivi

- maggiore rilassatezza

FASE DI CRESCITA - diminuzione delle preoccupazioni legate al gioco

- maggiore introspezione

- nuovo stile di vita. Torna all'inizio

10 - Come riconoscere il giocatore patologico

Ci sono alcuni strumenti che possono essere utili per valutare il rischio di essere affetti da questa patologia, anche se bisogna ricordare che una diagnosi di questo tipo può essere fatta esclusivamente da un medico specialista o da uno psicologo esperto. Quello che segue è un breve test, elaborato dal South Oaks Gambling Screen:

1. Quando giochi, torni spesso a giocare un'altra volta per rivincere i soldi persi? 2. Hai mai affermato di aver vinto soldi col gioco d'azzardo, quando in realtà avevi perso? 3. Ritieni di avere (o avere avuto) problemi col gioco d'azzardo? 4. Hai mai giocato più di quanto volevi? 5. Sei mai stato criticato per avere giocato d'azzardo? 6. Ti sei mai sentito colpevole per il tuo modo di giocare d'azzardo per quello che succede quando giochi

d'azzardo? 7. Ti sei mai sentito come se avessi voglia di smettere di giocare, ma non potessi farlo? 8. Hai mai nascosto ricevute delle scommesse, biglietti di lotteria, denaro destinato al gioco o qualsiasi altra

cosa riguardante il gioco d'azzardo al tuo coniuge, ai tuoi figli o ad altre persone importanti nella tua vita? 9. Hai mai discusso con le persone con cui vivi sul tuo modo di comportarti nei confronti del denaro?

10. (Se hai risposto "sì" alla domanda 9) Le discussioni sul denaro riguardavano il fatto che tu giochi d'azzardo? 11. Hai mai chiesto in prestito denaro a qualcuno senza restituirlo a causa del gioco d'azzardo? 12. Hai mai sottratto tempo al lavoro (o alla scuola) a causa del gioco d'azzardo? 13. Se hai chiesto in prestito denaro per giocare d'azzardo o per pagare debiti di gioco, da chi o dove lo hai preso

in prestito? dai soldi di famiglia dal coniuge da altri parenti

da banche o agenzie di credito tramite carte di credito

dagli usurai ("strozzini") mettendo all'incasso azioni, obbligazioni o altri titoli vendendo proprietà personali o di famiglia emettendo assegni scoperti (a vuoto) hai (o avevi) un conto aperto con un allibratore hai (o avevi) un conto aperto con un casinò. Se hai risposto "no" a tutte le domande, non hai problemi con il gioco d'azzardo; se hai risposto "sì" da una a quattro domande, puoi avere qualche problema con il gioco; se hai risposto "sì" ad almeno cinque domande, la diagnosi di gioco d'azzardo patologico è molto probabile, per cui sarebbe necessario consultare nel più breve tempo possibile uno specialista. Torna all'inizio

11 - Si può curare?

Il gioco d'azzardo patologico, come tutte le dipendenze, è una malattia cronica, che abbisogna pertanto di un intervento terapeutico strutturato. L'obiettivo della cura deve essere dapprima l'astinenza dal comportamento e successivamente il raggiungimento di una condizione di "sobrietà" cioè un cambiamento dello stile di vita che permetta di essere più forti verso le sempre possibili ricadute. Torna all'inizio

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12 - Come curarlo

Nessuno si reca dal medico se non ha un valido motivo per farlo. E' esperienza comune che solamente quando il mal di denti si fa insopportabile ci si convince di prendere un appuntamento dal dentista. La tendenza di una persona dipendente è quella di negare o minimizzare il problema e credere che "se solo volessi, potrei smettere... domani...". Il primo compito dello specialista deve essere allora quello di aumentare il livello di motivazione alla terapia con una serie di colloqui motivazionali. Il passo successivo deve essere la stipula di un contratto terapeutico tra il paziente, la famiglia e il terapeuta, che comprende un eventuale ricovero, la strutturazione del programma terapeutico (colloqui individuali, gruppi psicoterapeutici e psicoeducazionali, terapia psicofarmacologica, gruppi per i familiari ecc.) e la pianificazione del rientro dai debiti, con eventuale assistenza legale. La famiglia deve essere sempre aiutata ad imparare a conoscere questa particolare malattia e deve essere coinvolta nella gestione terapeutica del paziente. Torna all'inizio