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Pierre Ansart PROUDHON IL SOCIALISMO COME AUTOGESTIONE Quaderni del Centro Studi Libertari Camillo Di Sciullo 5

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Pierre Ansart

PROUDHONIL SOCIALISMO

COME AUTOGESTIONE

Quaderni delCentro Studi Libertari

Camillo Di Sciullo

5

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edizionidel

Centro Studi LibertariCamillo Di Sciullo

Chieti 2004

La riproduzione totale o parziale è permessaa tutti sotto la condizione della fedeltàal testo e della indicazione della fonte

C.S.L. Di Sciullocasella postale 86

66100 Chieti

Tratto da: Pierre Ansart, P.-J. PROUDHON, ed. La Pietra, Milano, 1978(saggio introduttivo ad una scelta di scritti di Proudhon)

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Premessa

Tra il 1800 e il 1850, nel periodo cioè compreso tra lerivoluzioni politiche della fine del Settecento e le rivoluzionisociali del 1848, si realizza in Europa uno sforzo senza prece-denti di elaborazione ideologica. In questo breve periodo sicostituisce il nuovo linguaggio con cui verranno presto or-ganizzandosi le strutture intellettuali della critica socialista,comunista e anarchica. Si ridefiniscono vecchi termini, cosìda renderli adatti all’analisi dell’ordine sociale esistente, ter-mini come “capitalismo”, “sfruttamento dell’uomo da partedell’uomo”, “classi sociali”, “proletariato”, “rivoluzione”, “as-sociazione”. Si formano nuove catene di significati che, attra-verso una serie di coppie di opposti, collegano alla rivoltasociale una rappresentazione coerente delle finalità politi-che: “associazione dei produttori” contrapposta a “capitali-smo”, “socializzazione dei mezzi di produzione” contrappo-sta a “proprietà privata”, “piano concertato” contrapposto a“concorrenza”, “democrazia industriale” contrapposta a “re-pubblica”. Si può dire che, in pochi anni, sia stato formulatoil nucleo essenziale dei grandi problemi che caratterizzeran-no la storia delle lotte sociali del XIX e del XX secolo.

Questa breve fase va collocata in un periodo molto piùampio che segna il passaggio dalla vecchia società contadina,rimasta ancorata al tradizionale quadro religioso emonarchico, alla società capitalistica e industriale. Questagenerale trasformazione assume però forme brutali che pro-vocano incredibili sofferenze, violente rivolte, e rendonopossibile una presa di coscienza collettiva della situazione.Nell’Europa continentale, la caduta dell’Impero napoleonicodissolve le apparenze sotto cui si celava l’emergere dellenuove classi dominanti; dopo il 1830, in particolare, si co-mincia a comprendere con maggiore chiarezza che lospossessamento delle classi feudali non era affatto avvenutoa vantaggio del “popolo”, come proclamavano i rivoluziona-ri del Settecento, bensì a vantaggio dei diversi settori –fondiario, finanziario, industriale – della classe possidente.

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La diffusa coscienza di ciò assume un carattere pratico perle classi oppresse, in particolare per le classi operaie urbaneil cui numero e la cui forza si fanno crescenti con lo sviluppodell’industrializzazione. L’estensione della miseria nelle cit-tà industriali, la disoccupazione legata alle crisi settoriali ogenerali, l’angosciosa incertezza della condizione operaia,ma anche il contrasto tra questa situazione e la rapida accu-mulazione di fortune tra le classi privilegiate, suscitano unarivolta endemica e inducono alla presa di coscienza delladivisione della società in classi antagonistiche. Allo stesso tem-po, il ripetersi degli scioperi, l’organizzarsi delle leghe, l’esplo-dere di moti sanguinosi, ricordano di continuo che il con-flitto è permanente e che la lotta per la difesa delle classioppresse è possibile.

Nascono da qui tre interrogativi fondamentali cuidovranno rispondere i protagonisti di queste lotte e, inparticolare, gli intellettuali del movimento operaio: comeinterpretare scientificamente la situazione sociale e la suaevoluzione? Verso quale modello di società si orienta e deveorientarsi l’azione rivoluzionaria? Quali mezzi utilizzare perconseguire tali obiettivi? Questa è la situazione generale del-la lotta di classe in cui viene a collocarsi Proudhon il quale,in concorrenza con altri sostenitori del movimento rivolu-zionario (Owen, Saint-Simon, Fourier, Louis Blanc, Buonar-roti prima di Marx, Engels e Bakunin), edificherà un’operamonumentale destinata, secondo la sua esplicita intenzione,a dare un contributo alla lotta politico-sociale. Le sue originipopolari e la sua costante fedeltà alla classe operaia, farannodi lui un interprete privilegiato delle aspirazioni e delleesperienze proletarie.

È soprattutto nel primo periodo della sua produzioneintellettuale, tra il 1840 e il 1848, che Proudhon si sforza didare risposta al primo dei tre interrogativi e di costruireun’analisi scientifica dell’organizzazione sociale. Infatti, se èormai acquisito per i teorici sansimoniani, così come per levittime dell’assetto sociale esistente, che lo “sfruttamentodell’uomo da parte dell’uomo” è conseguente alla disugua-glianza nella distribuzione dei beni, questa indicazione ge-nerale è lontana dall’essere chiaramente teorizzata e l’anali-si del rapporto sociale di appropriazione è lontana dall’esse-re perseguita sistematicamente. L’eccezionale successo del-la Prima Memoria (Qu’est-ce que la propriété? ou Recherches surle principe du droit et du gouvernement, 1840) sta chiaramente a

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dimostrare come Proudhon rispondesse ad un’aspettativalargamente diffusa e, allo stesso tempo, fornisse qualcosa diben diverso dalla semplice denuncia tradizionale della disu-guaglianza delle ricchezze. Come Marx coglie chiaramentein questi stessi anni e come scrive nella Sacra famiglia,Proudhon sottopone qui “la proprietà privata, base dell’eco-nomia politica, ad un esame critico, anzi al primo esame cri-tico, spietato e insieme scientifico” che rende “per la primavolta possibile una vera scienza dell’economia politica”. Nel1846 Proudhon amplia questa analisi e propone di riconsi-derare l’intera organizzazione economica del capitalismocome un sistema di contraddizioni: è l’argomento del Systèmedes contradictions économiques, ou Philosophie de la misère (1846),cui Marx replicherà ironicamente con la Miseria della filosofia.Dopo il 1848 Proudhon completa l’analisi critica del sistemasociale estendendola alle strutture politiche e formulandoquella che può essere considerata la prima analisi anarchicadel fatto politico: ci riferiamo in particolare alle Confessionsd’un révolutionnaire (1848). A questa problematica può esse-re riallacciata quell’ampia riflessione sul ruolo delle guerrenella storia che è La guerre et la paix (1861). Infine, la grandeopera in quattro volumi De la justice dans la révolution et dansl’eglise conclude l’analisi del “regime proprietario” mostran-do come l’apparato simbolico serva a consolidare il sistemasociale e a garantirne la difesa contro le rivendicazioni rivo-luzionarie.

La seconda questione, quella del nuovo sistema socialeche sarà sempre più spesso definito “socialista”, è oggetto,intorno al 1840, di innumerevoli discussioni e iniziative. Glioperai e gli artigiani non si accontentano più di una sempli-ce denuncia del regime di cui sono vittime e non si limitanopiù alle lotte quotidiane: in un periodo come questo, in cuila rivoluzione sociale sembra farsi possibile, essi definiscononuovi modelli sociali e si aspettano dai teorici che a questiprogetti sia data una precisa formulazione. Già negli anniintorno al 1820 Claude-Henry Saint-Simon aveva fatto ap-pello all’organizzazione del “sistema industriale”, RobertOwen aveva delineato la sua “nuova società”, Charles Fourier“l’armonia industriale e agricola, il Falansterio” e, negli anniseguenti, continuarono ad essere proposte molteplici solu-zioni del problema sociale che dettero luogo non soltanto adiscussioni, ma anche a numerosi tentativi di realizzazione.Ora, tra questi diversi e confusi progetti, si potevano già di-

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stinguere due orientamenti differenziati: vi era chi, da unlato, non vedeva altra soluzione se non nella instaurazionedi un sistema fortemente centralizzato e autoritario (come,ad esempio, Etienne Cabet e Constantin Pecqueur) e chi,all’opposto, concepiva la realizzazione del socialismo comeun proliferare di iniziative operaie (come, ad esempio,Philippe Buchez e i “Mutualisti” di Lione). Il primo compitodi Proudhon sarà quello di effettuare anzitutto una vigorosachiarificazione critica dei diversi progetti e di porre netta-mente in luce l’opposizione, ancora confusa, tra un comuni-smo autoritario e un socialismo libertario. Questa netta distin-zione viene da lui operata attraverso una violentissima con-danna di ogni formula politica che, con il pretesto di unadifesa delle classi operaie, possa condurre all’organizzazionedi un nuovo Stato centralizzato, altrettanto potente e oppres-sivo del regime politico del capitalismo. Scopo della sua ri-cerca sarà, d’ora in poi, quello di costruire il modello di unmodo di produzione in cui il potere politico si dissolva a van-taggio di una regolamentazione delle forze economiche, incui i produttori si associno senza perdere la loro autonomiadi decisione, in cui il socialismo non solo sia conciliabile conla libertà ma sia anzi la condizione di un espandersi dellelibertà individuali e collettive. A questi problemi, egli dedicain particolare la Solution du problème social (1848), l’Idée généralede la Révolution au XIXe siècle (1851), Du principe fédératif et dela nécessité de reconstituer le parti de la révolution (1863). È suquesti temi che l’opera di Proudhon segna una tappa fonda-mentale nella storia del socialismo e nella storia della prassirivoluzionaria. Ed è su tale aspetto che ci soffermeremo piùa lungo in questa nostra presentazione.

Alla terza questione, quella relativa ai mezzi da porre inopera per realizzare la distruzione del “capitalismo borghese”ed instaurare la democrazia industriale, Proudhon rispondeanzitutto criticando le utopie socialiste o comuniste, inparticolare quelle di Owen, Fourier e Cabet. Egli scarta findall’inizio ogni tentativo che pretenda di sovvertire l’ordinedel mondo a partire da un modello ideale, costruito dallaimmaginazione di un qualche fondatore, obiettandosemplicemente che ogni rivoluzione scaturisce da un insiemedi contraddizioni oggettive e che queste, in primo luogo,vanno conosciute. Al teorico non spetta inventare una societàchimerica, ma analizzare il movimento profondo dellecontraddizioni per ricavarne un modello generale che servirà

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all’azione pratica delle classi oppresse. Poiché la verarivoluzione non può essere realizzata che dalle classiproduttrici, è necessario portare avanti una lotta nel senostesso del movimento popolare, per evitare che l’iniziativasia sottratta ad esse e monopolizzata, cosa che facilmente puòverificarsi nel corso del processo rivoluzionario. Allaquestione dei mezzi da utilizzare per instaurare la societàsocialista, Proudhon risponde incitando i lavoratori aorganizzare essi stessi la produzione in primo luogo sul loroposto di lavoro, a guardarsi da iniziative politiche e di parteche rischiano di distoglierli dai loro obiettivi a vantaggio divecchie o nuove classi dominanti, a combattere nelle lorostesse file i vecchi miti cesaristi che tanto spesso hanno fattofallire i loro tentativi di liberazione. La costruzione teoricadi un socialismo antiautoritario e antistatalista darà uncontributo importante a questa lotta e a questa de-mistificazione in quanto mostrerà alle classi lavoratrici la lororeale capacità politica rivoluzionaria: è questo il temadell’ultima opera di Proudhon, De la capacité politique des classesouvrières (1865), destinata a diventare, in quegli anni edurante la Comune di Parigi, un punto di riferimento deglioperai francesi in lotta contro le strutture capitalistiche.

Proudhon definisce con l’ambiziosa formula “destruamet aedificabo” le due componenti della sua opera che sonoanche, ai suoi occhi, le due facce del movimento rivo-luzionario: analizzare e distruggere, da un lato, il regime dellaproprietà privata, definire e costruire, dall’altro, il modellodi un socialismo libertario. Nello spirito di Proudhon, questidue aspetti devono essere intimamente legati, giacché nonsi tratta più di vagheggiare una città ideale, ma di dimostrareche la prassi rivoluzionaria deve partire dalla coscienza dellecontraddizioni proprie del regime capitalistico. Questi dueversanti del pensiero di Proudhon vanno consideraticontemporaneamente se si vuole comprendere quale sia ilmodello sociale che egli ha voluto costruire, modello chepuò essere ritenuto come la prima elaborazione di unsocialismo non propriamente anarchico, come viene spessodefinito, ma più esattamente autogestito. Questo vastoprogetto deve inglobare tutti i livelli dell’attività sociale,sovvertire tutti i rapporti materiali e intellettuali, puntare aduna riorganizzazione complessiva, cioè economica, sociale,politica e culturale della società. Uno degli elementi di grandeoriginalità di Proudhon, in una fase in cui il movimento

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rivoluzionario poneva l’accento soprattutto sulle riformeeconomiche, fu infatti il dimostrare che una rivoluzione, peressere radicale, deve attaccare il sistema esistente nella suatotalità, sovvertire insieme l’organizzazione delle forzeeconomiche, la distribuzione del potere politico e i sistemicollettivi di rappresentanza. Ponendoci successivamente aquesti tre livelli dell’analisi, potremo individuare le grandilinee del progetto proudhoniano.

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Critica dell’economia politicaL’autogestione operaia

Il tema centrale della prima opera di Proudhon, Qu’est-ce que la propriété?, fa eco alla disputa che si veniva allorasviluppando tra socialisti e repubblicani e che opponeva unavisione sociale a una visione politica della rivoluzione.Proudhon prende posizione non già entrando nella pole-mica, ma cercando di dimostrare quale sia la struttura de-terminante della società: questa, secondo quanto verràesponendo, è, in primo luogo, una struttura economicafondata su un rapporto sociale di opposizione tra proprie-tari e non proprietari dei mezzi di produzione. Concentrandola sua denuncia sul meccanismo di appropriazione dei valoriprodotti dal lavoro, Proudhon spiega che tutta l’orga-nizzazione sociale dipende da questa struttura economica e,allo stesso tempo, che una rivoluzione politica la qualeinvestisse soltanto il sistema di governo lascerebbe, nellasostanza, le cose come stanno.

Va chiarito che, per Proudhon, la distribuzione della pro-prietà è determinante non in quanto opponga ricchi a po-veri, ma in quanto governa tutta l’organizzazione del lavoro,distribuisce le posizioni all’interno del processo produttivo,rende gli uni possessori e detentori dell’autorità, gli altrisalariati e subalterni. È nel lavoro e, in concreto, dentro lafabbrica, che si traduce direttamente la distribuzione dellaproprietà e sono questi rapporti sociali del lavoro cheformano la struttura determinante dell’intera società. Larivoluzione, per meritare questo nome, deve essere perciòuna rivoluzione sociale, ossia economica, e avere per oggettola riorganizzazione totale delle imprese, dei rapporti diproprietà e di tutti i rapporti di scambio e di produzione.

Di fronte ai guasti sociali provocati dal “ regime proprie-tario” si poneva il problema di vedere se non fossero suf-ficienti numerose e insistite riforme, se, ad esempio, unariforma delle leggi relative alla proprietà non rappresentas-se una ragionevole soluzione, tale da evitare le incognite di

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una prova rivoluzionaria. Proudhon si sforzerà di dimostrare,nello scritto del 1848 il Système des contradictions économiques,che nessuna riforma parziale è destinata ad avere efficacia eche ogni tentativo in questa direzione non sarebbe nient’altroche un vano palliativo.

La proprietà privata dei mezzi di produzione è, in certosenso, “impossibile”, in quanto instaura – e in manieraineliminabile – un conflitto, una “guerra” tra capitale e lavoro,una lotta permanente tra le classi. La proprietà deglistrumenti di lavoro rende possibile infatti l’accaparramentodei profitti mediante l’appropriazione di una parte dei valoriprodotti dai lavoratori e costituisce quel che si dice,propriamente parlando, un “furto”1. Proudhon fonda qui lasua argomentazione sulla distinzione tra i valorieffettivamente prodotti nel processo lavorativo e i valori chesono restituiti agli operai. Al termine del processo, ilproprietario restituisce ai suoi operai un salario che tendenecessariamente a fissarsi intorno alle condizioni minime disussistenza della forza lavoro. Il proprietario-imprenditoredà a ciascun operaio quanto corrisponde, apparentemente,al suo lavoro individuale. Ma, nel processo lavorativo, si sonocreati dei valori che superano, in misura sostanziale, la sommadi questi lavori distinti. Duecento operai riuniti e distribuitisecondo le regole della divisione del lavoro e dellacoordinazione delle mansioni, producono infinitamente dipiù di quanto questi stessi operai produrrebbero se fosseroseparati e lavorassero isolatamente. Proudhon formula quiuna legge che ritiene esplicativa di questo fenomeno e chechiama legge di formazione della “forza collettiva”, secondocui il lavoro collettivo, organizzato e coordinato, è produttoredi valori e di potenza sociale essenzialmente eterogenei esuperiori alla somma aritmetica dei lavori individuali2.

È appunto questa “forza collettiva” ciò di cui il pro-prietario si appropria e ciò che, sul piano dei valori, si tra-duce in utili, interessi, profitti. Il regime capitalistico per-mette dunque quello che deve essere chiamato un furto, dalmomento che i valori, che sono in realtà prodotti dailavoratori e che dovrebbero perciò spettare ad essi, sono

1. Qu’est-ce que la Propriété?, pp. 131-132 (questa e le seguenti citazioni di opere diProudhon si riferiscono alle Oeuvres Complètes de P.-J Proudhon - Nouvelle édition,Paris, Marcel Rivière, pubblicate sotto la direzione di C. BOUGLÉ e H. MOYSSET).

2. Ibid., pp 214-216.

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invece fatti propri dall’imprenditore con il pretesto dellaretribuzione individuale del lavoro. Proudhon dunque sioppone ad ogni giustificazione economica o morale dellaproprietà privata dei mezzi di produzione contro la teoriadegli economisti liberali secondo cui il capitale sarebbe, diper se stesso, fonte di valore. Nella sua polemica del 1848contro l’economista Frédéric Bastiat, ricorda che il capitalenon designa propriamente una somma di valori, bensì unrapporto sociale che divide il proprietario dal lavoratore e,grazie al quale, l’eccedenza di valore (il plusvalore) vieneaccaparrato dal capitalista. Non vi sono dunque riformepossibili, miglioramenti graduali della proprietà in quantofonte di profitto: finché sussisterà un tale regime, vi saràsempre sfruttamento dei lavoratori da parte della classepossidente. Perciò la liberazione della classe operaia passanecessariamente attraverso la distruzione della proprietà, laliquidazione dei rapporti di sfruttamento e la soppressionedel lavoro salariato.

Il regime proprietario genera dunque necessariamentela guerra tra le classi, la divisione della società in due forzeopposte: la grande borghesia e le classi lavoratrici, in mezzoa cui si colloca, non priva d’importanza, la classe media.Proudhon torna a più riprese sulla storia delle lotte di classee sulla posizione delle classi nel sistema capitalistico permettere in evidenza la complessità di questa storia nonchél’inversione storica dalla quale le classi lavoratrici sono indottead assumere il ruolo dirigente che la borghesia avevaconquistato alla fine del secolo XVIII. Egli sottolinea lafunzione motrice esercitata, in questa vasta evoluzione, dalladinamica dei conflitti: come scrive molto chiaramente in LaCapacité politique des classes ouvrières, ciò che rese possibilel’unificazione delle classi borghesi fu la lotta, condottadurante l’ancien régime, contro le caste della nobiltà e del clero.Attraverso questo conflitto esse giunsero a prendere una certacoscienza di se stesse e svolsero, in questo periodo, un ruoloeffettivamente rivoluzionario3. Ma il momento del lorotrionfo segnò anche l’inizio del loro declino: detentrici delleleve del potere e dei mezzi di produzione, incapaci di farsicarico delle nuove rivendicazioni delle classi oppresse, essesono prive di un progetto politico coerente e tutto il loro

3. De la capacité politique des classes ouvrières, pp. 99-100.

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credo politico si risolve nella difesa degli interessi immediati.Ormai, nel 1864, esse costituiscono solo il bersaglio degliattacchi dell’azione rivoluzionaria e trovano la loro unità solonella risposta a questa minaccia.

Il giudizio di Proudhon sulle classi medie è molto piùsfumato. Il regime capitalistico e il sistema della proprietà,assegnano ad esse in effetti una posizione particolare che èbene precisare: gli artigiani, gli appartenenti alle professioniliberali, i piccoli commercianti, benché siano proprietari deiloro strumenti di lavoro, non possono essere considerati perquesto dei capitalisti, dato che i loro redditi non derivanodallo sfruttamento del lavoro salariato, ma soltanto dal lorolavoro produttivo. Sarebbe perciò un errore politicoclassificare queste classi tra le classi sfruttatrici e negare adesse ogni potenzialità rivoluzionaria. Contrariamente aquanto affermavano allora molti esponenti operai, Proudhonnon si stanca di ripetere che queste classi non vannociecamente respinte al di fuori del movimento rivoluzionario.Nel 1865, giunto al termine della sua opera, egli concludeche soltanto le classi specificamente operaie sono in gradodi portare avanti e di imporre l’“idea” di una società socialista,ma non per questo trascura di esortare alla conciliazione conle classi medie, portatrici di un costume di libertà da cui èimportante che il movimento socialista tragga profitto.

Lo sfruttamento, nel modo di produzione capitalistico,si concentra sulle classi operaie che subiscono sia il furto deivalori da esse prodotti, sia l’oppressione politica, sia l’e-sclusione da ogni forma di controllo, sia la sottrazione dellecapacità intellettuali. Il regime proprietario genera perciò,in modo necessario e strutturale, la rivolta operaia. TuttaviaProudhon è ben lontano da un’analisi semplicistica etrionfalistica che faccia del proletariato il nuovo messia dellastoria: ciò a cui mira non è sostituire l’ideologia borghesecon un’altra ideologia, ma compiere un’analisi critica chepermetta di agire lucidamente. Perciò, mentre mostra chelo sfruttamento economico tende a suscitare la rivolta efavorisce quindi la presa di coscienza rivoluzionaria, sottolineacontemporaneamente che tale sfruttamento non cessa diesercitare un’azione disgregatrice in seno alle classi oppresse.Le potenzialità rivoluzionarie si situano in queste classi perchéesse sono le classi produttrici e perché soltanto dal lavoroproduttivo può venire l’instaurazione della democraziaindustriale; ma le classi operaie, mantenute in stato di

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soggezione dal capitalismo, devono riuscire a liberarsi dallacondizione di plebe, ovvero di massa dominata e sprovvista diun progetto politico.

Intorno al 1860, Proudhon osserva che le classi operaienon si sono del tutto liberate dell’atteggiamento plebeo disottomissione e di rispetto nei confronti delle classi supe-riori. Ed inoltre fa notare, cosa più grave, che la classelavoratrice non è nella sua totalità, né necessariamente, pron-ta ad imporre una riorganizzazione liberatrice delle forzeeconomiche: la profondità delle alienazioni di cui è vittimail proletariato e la violenza dei suoi bisogni fanno sì che moltilavoratori siano attratti da soluzioni politiche apparente-mente semplici e, in realtà, autoritarie. Si profila cioè ilpericolo di uno sviluppo, nel seno stesso delle classi operaie,di tendenze favorevoli a forme dispotiche di potere: l’imperounitario, la repubblica indivisibile, il comunismo di Stato. Ilproletariato deve superare le sue contraddizioni: da un lato,a causa del suo passato e delle ideologie impostegli dalle classidominanti, esso tende infatti a riprodurre modelli di potereconformi alla sua situazione tradizionale, dall’altro, in quantodetentore della forza lavoro, e necessariamente impegnatoin una lotta contro l’appropriazione capitalistica ed è il soloin grado di realizzare appieno il sovvertimento del sistemaproprietario.

Non ci si può attendere che questo sistema economico,in cui le classi si scontrano e si rinnovano incessantemente,sfugga da solo alle proprie contraddizioni. E neppure si puòsperare che una riforma parziale estenda i suoi effetti su tuttoil sistema tanto da trasformarlo. Il fatto è che la divisione inclassi sociali rivali è sottesa da un sistema economicofortemente integrato, un sistema di contraddizioni, cheassorbe e sovverte tutti i tentativi parziali di migliorarlo. NelSystème des contradictions économiques, Proudhon mostra che ilregime di produzione capitalistico non è un sistema basatosulla coesione e sull’equilibrio, ma un sistema dinamico cheincessantemente riproduce le sue contraddizioni e siperpetua attraverso lo scontro permanente dei suoiantagonismi. I diversi termini del sistema – la proprietà, ilmonopolio, la concorrenza, il regime fiscale – sono tra lorolegati da una logica interna basata sul conflitto degliantagonismi: ogni termine contiene il proprio contrario e altempo stesso vi si oppone, in una permanente contraddi-zione. La concorrenza, ad esempio, genera e porta con sé le

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tendenze al costituirsi dei monopoli, ne favoriscenegativamente lo sviluppo, ma non per questo puòscomparire. Queste tensioni dinamiche contribuiscono allavitalità del sistema, ma provocano nel contempo moltepliciguasti, di cui fanno le spese in primo luogo le classi lavoratrici.Allo stesso modo, ciascuno degli elementi fondamentali delsistema, la divisione del lavoro, il macchinismo, suscita,sviluppandosi, contraddizioni particolari: la meccanizzazione,ad esempio, allevia in teoria lo sforzo del lavoratore ediminuisce i costi di produzione, ma provoca contempora-neamente la decadenza dell’artigianato, genera crisi didisoccupazione ed accresce infine gli utili del capitale ascapito del lavoro; la divisione del lavoro razionalizza laproduzione e ne consente la crescita, ma riduce anche laqualificazione degli operai, contribuisce ad abbassare i salarie permette al capitale di accrescere il suo potere sulla forzalavoro. Il modo di produzione capitalistico costituisceinsomma un vero e proprio sistema strutturato di contrad-dizioni, in cui la contraddizione dominante è quella chesepara e unisce capitale e lavoro, mentre le contraddizionisecondarie sono quelle che si riproducono all’interno diciascuna delle componenti socioeconomiche. Ogni elementoè fortemente integrato e sovradeterminato dalla totalità, laquale comporta una sua propria necessità logicadeterminante. Perciò ogni parziale riforma che si cerchi diintrodurre viene ad essere inevitabilmente assorbita dallarigidezza di un sistema la cui dinamica limita o annulla anchegli effetti benefici che sarebbe lecito attendersi damiglioramenti parziali. In breve, il regime socioeconomico,sistema di contraddizioni che si regge sulla lotta delle classi,non è suscettibile di riforme ma soltanto di distruzionerivoluzionaria.

È noto che l’azione rivoluzionaria non consiste affattonel ricostruire la società sulla base di vagheggiamenti o diprogetti arbitrari, come credeva Fourier: l’azione rivoluziona-ria consiste nel liberare le potenzialità che il sistema esistentereprime, conservando tuttavia ciò che le necessità del lavorohanno già creato. L’analisi delle contraddizioni non hasoltanto lo scopo di denunciare le ingiustizie e le incoerenze,ma anche di porre in luce, al di qua delle contraddizioni, lenecessità economiche effettivamente creatrici. Ad esempiogli scambi, in regime capitalistico, rivelano, malgrado i furtie lo sfruttamento, una legge fondamentale, che è quella del

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valore-lavoro, sulla quale non potrà non basarsi anche lasocietà socialista. Così la concorrenza, che nell’economiaproprietaria provoca continuamente la rovina di numerosiproduttori, non dovrà scomparire del tutto in un regimesocialista perché resta una condizione per la vitalitàdell’economia e per la fissazione dei giusti valori, ma dovràessere completamente trasformata in un quadro di rapportidi scambio tra imprese e produttori operanti in un sistemadi mutualità.

Contro il capitalismo si leva dunque, quasi necessaria-mente, il sogno comunista. Di fronte all’ingiustizia sociale eall’atroce miseria imposte agli strati più svantaggiati delleclassi lavoratrici, è inevitabile che si vagheggi una comunitàdei beni che assicuri a tutti un godimento egualitario. Difronte ai conflitti provocati da un regime di anarchia, si sognauna fratellanza di carattere emotivo che cancellerebbe,nell’amore universale, tutte le differenze. Ma, osservaProudhon, questo sogno non è che una replica prevedibiledel regime proprietario e non vi è società basata sulladisuguaglianza che, fin dall’antichità, non abbia suscitatoquesto genere di utopie che, solo in apparenza, si contrap-pongono al regime proprietario. In realtà, esse nonrappresentano che il completamento immaginario dell’ap-propriazione privata. Il comunismo – quello di Babeuf, diCabet o di Pecqueur – non fa, in realtà, che portare al limitegli aspetti essenziali del capitalismo: così come il capitalismotende a concentrare in poche mani la proprietà, ilcomunismo sogna di sviluppare questa concentrazione,unificandola definiti-vamente sotto il controllo dello Stato;così come il capitalismo tende a rafforzare il potereautoritario dello Stato, il comunismo sogna di proseguirequesta evoluzione conferendo al potere politico unaonnipotenza senza controllo. Si tratta qui non già di unprogetto rivoluzionario capace di liberare le potenzialità dellavita produttiva, bensì di un’utopia nata dalla miseria o, comescrive Proudhon nel Système des contradictions économiques, diuna “religione della miseria”4.

Ma il comunismo è “impossibile”. Come è impossibile laproprietà, nel senso che porta a conseguenze disastrose egenera, di continuo, contraddizioni devastatrici, così è

4. Système des contradictions économiques, vol. II, p. 302.

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impossibile il comunismo, nel senso che la sua concretaattuazione provocherebbe altrettante contraddizioni del re-gime proprietario e susciterebbe immediatamente nuoviantagonismi. La piena realizzazione del “pregiudizio co-munista” comporterebbe un rigido dirigismo che è esatta-mente l’opposto di quel che serve all’economia, la quale esigeinvece che le unità produttive conservino una certaautonomia nel controllo della propria attività. Per contenerele aspirazioni individuali e collettive, ci si troverebbe nellanecessità di mettere in atto pesanti misure di polizia, il ricorsoalle quali distruggerebbe l’ideale di fratellanza che si sognadi realizzare. Insomma, l’instaurazione del comunismo, sefosse possibile nei termini posti dai suoi iniziatori,produrrebbe risultati antitetici ai fini proclamati. Non servea niente correre dietro a una nuova utopia o credere dirisolvere il problema sbandierando alcune formuleideologiche (“l’associazione”, “la fratellanza”, “la comunità”),si tratta invece di rispondere a precisi interrogativi: comesarà distribuito il lavoro? come saranno regolati gli scambi?dove comincerà e dove finirà il possesso esclusivo? comesaranno stipulati i contratti tra i produttori?

La critica di Proudhon nei confronti di quella che eglichiama l’utopia comunista si basa su una concezione fon-damentale della dialettica sociale. Egli vede nel modo diproduzione capitalistico il perfetto esempio di una logicadelle contraddizioni in cui l’opposizione dei contrari, men-tre continua ad assicurare la vitalità del sistema, provocainsieme una letale tendenza autodistruttiva. A questa dia-lettica delle contraddizioni i comunisti oppongono però ilvagheggiamento di una perfetta omogeneità, come se unasocietà unitaria e senza differenziazioni fosse possibile eauspicabile. Proudhon fa giustizia di questa illusione, dicendoche “l’antinomia non si risolve”, formula decisiva che sta, ineffetti, a fondamento della sua concezione della societàsocialista5. Con questo egli vuol dire che una rivoluzione chesegnasse la liquidazione del regime proprietario, assicure-rebbe la scomparsa delle contraddizioni assolute proprie diuna società divisa in classi antagonistiche, ma non farebbe

5. “L’antinomia non si risolve: sta qui il difetto fondamentale di tutta la filosofiahegeliana. I due termini di cui essa è composta si bilanciano, sia tra loro, sia conaltri termini antinomici” (De la justice dans la révolution et dans l’eglise, Terzo Studio,vol. II, p. 155).

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certo scomparire la dialettica sociale. A suo parere, ognisocietà, per essere vitale, contiene e deve contenerecontraddizioni non antagonistiche che oppongono gliindividui e i gruppi impegnati nei rapporti di scambio. Nonsi tratta perciò di sognare una società senza regole e autorità,ma di scoprire le forme istituzionali grazie alle quali l’autoritàe la libertà potranno porsi in un rapporto tale che l’autoritànon eliminerà la libertà e la libertà non sarà la negazionedella vita collettiva. Non si tratta nemmeno di sognareun’economia in cui tutti i lavoratori obbedirebbero comesoldati agli ordini provenienti dall’alto; bisogna invece creareuna rete di scambi e di produzioni in cui saranno le officinee le fabbriche a stipulare reciprocamente dei contratti e aconcordare le giuste norme dei prezzi, dei salari e degliinvestimenti. In breve, la rivoluzione non deve significare lamorte della dialettica entro un nuovo totalitarismo, ma lafine di una dialettica che si svolge fuori dal controllo deilavoratori e la sua sostituzione con una dialettica nonantagonistica che si svolga a livello degli scambi e dellacontrattazione, e tale da animare permanentemente lamobilità e la creatività intellettuale e sociale.

Proudhon giunge così a tracciare le grandi linee diun’economia socialista che egli chiama o “democraziaindustriale” o “federazione agricola e industriale” o “mutuali-smo”. E può trattarsi solo di linee generali, perché la societàfutura non potrebbe essere rinchiusa in schemi ripetitivi; alcontrario, essa sarà caratterizzata da un incessante movimentodialettico e quindi dalla continua invenzione dei rapportisociali. Si possono tuttavia, anzi si devono, tracciare i contornidi questo socialismo, perché anche la rappresentazione delfuturo e la formulazione dell’idea politica sono indispensabiliad un’azione politica coerente.

L’instaurazione dell’economia socialista, come già si èdetto, è possibile solo attraverso la distruzione, la “liquidazione”del regime proprietario. Ma, al di là di questa distruzione, sitratta non di istituire per decreto una qualunque nuova formadi associazione, bensì di creare le condizioni dei rapporti edegli equilibri economici, in cui potranno dispiegarsil’iniziativa e l’autonomia dei produttori. In questo senso, seè necessario distruggere l’appropriazione privata dei mezzidi produzione, non si deve certo togliere ai produttoriindividuali e collettivi il possesso, cioè la detenzione, dei lorostrumenti di lavoro. Su questo punto Proudhon è estrema-

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mente esplicito: quanto egli condanna, assieme ai comunisti,la proprietà capitalistica, tanto difende, contro il capitalismodi Stato, il possesso dei lavoratori. Non si tratta di togliere aiproduttori il diritto che essi hanno sui loro strumenti, ma direstituire loro la pienezza di questo diritto. Bisognerà semmaisocializzare il possesso, cioè rendere alla collettività dei lavora-tori associati in un’attività comune il possesso indiviso dei loromezzi di produzione. Proudhon afferma infatti che questotipo di possesso è una garanzia di libertà e che, così intesa, laproprietà collettiva può ridiventare un utile contrappeso alleeventuali ingerenze del potere politico. Infatti il fine delsocialismo non è di instaurare un nuovo ordine costrittivo,ma di restituire ai produttori il diritto di controllare sia lapropria attività sia le relazioni che essi saranno indotti astabilire con i consumatori e con gli altri produttori.

Il modello sociale che Proudhon traccia nell’Idée généralede la Révolution au XIXe siècle illustra perfettamente questaconcezione di un socialismo decentralizzato, basatosull’autogestione, retto dal principio della liberazione delleiniziative. Egli delinea un modello esemplare che dovrebbegarantire, dall’azienda agricola familiare fino alla grandeimpresa, la restituzione della libera attività produttiva aglistessi lavoratori.

Per quanto riguarda la produzione agricola, Proudhonsi oppone recisamente a qualsiasi progetto di collettivizzazio-ne della terra e di associazione forzata degli agricoltori. Sec’è un possesso che si tratta, al contrario, di proteggere,questo è proprio il possesso della terra da parte del contadino,possesso che stimola l’interesse al lavoro e crea un legameeccezionale tra l’uomo e la natura. In questo campo, l’as-sociazione non si giustifica in alcun modo e sarebbe del tuttocontraria alle aspirazioni della classe contadina. Ciò che contaqui è che sia distrutta la proprietà privata, come diritto diusare e di abusare, come diritto antisociale, e che sia sostituitacol possesso, da parte del lavoratore, del suo strumento diproduzione. A questo riguardo, Proudhon propone lasoppressione della rendita fondiaria, l’abolizione dei rapportidi affitto e la creazione di un regime per cui ogni agricoltorediverrebbe, rimborsando il vecchio proprietario, possessoreegli stesso della terra; attraverso questo sistema di circolazionedi beni fondiari, ogni lavoro istituirebbe un diritto sul suolo,distruggendo i vecchi privilegi dei proprietari. Proudhonprecisa inoltre, in diversi testi, le condizioni indispensabili

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per proteggere gli agricoltori dai rischi cui vanno incontro eper far loro superare i limiti e l’individualismo derivanti dalloro stato di parcellizzazione. Sarebbe necessario un vastosistema creditizio che permettesse loro di ottenere i mezzifinanziari di cui possono aver bisogno per avviare unacoltivazione o per ammodernare le installazioni. Sarebbenecessario creare un sistema generale di mutue assicurazioniche garantisse ciascuno contro gli imprevisti o i cattivi raccolti.Sarebbero inoltre necessarie forme di compensazione pergli agricoltori svantaggiati dal cattivo stato dei loro terreni.Questi dettagli finanziari non sono cose di secondariaimportanza nell’ottica di Proudhon, il quale ama affermaredi pensare come un contabile. Il fatto è che il socialismo, aisuoi occhi, non deve essere un commovente miraggiodestinato soltanto a mobilitare le folle, bensì un concretosistema sociale, comprensibile a tutti. Un sistema economicosocialista, in cui si moltiplicheranno le forme di associazione,darà luogo a forme precise di scambio dei valori e diripartizione del credito, ed è importante che i futuriproduttori vi partecipino avendone chiari il senso e le finalità.

Altrettanto si può dire per artigiani, commercianti e pic-coli produttori che sarebbe inutile costringere ad associarsio ad entrare a far parte di grosse società, obbligandoli arinunciare alla loro libertà di iniziativa. Proudhon ritiene,anche qui, che la molteplicità delle iniziative sia sommamentevantaggiosa e che un vero socialismo non dovrebbe in alcunmodo soffocare questa “incomparabile indipendenza”.Piuttosto, la possibilità di ottenere crediti ai minimi costipossibili e un esteso sistema di mutue assicurazioni darebberoa queste iniziative la possibilità di svilupparsi e di seguire davicino la mobilità dei bisogni.

È invece per le grandi imprese (ferrovie, miniere,fabbriche) che è necessaria l’associazione e che dovrannoessere create quelle nuove società che Proudhon chiama“compagnie operaie”. È forse su questo punto, e in questepagine mirabili, che Proudhon intuisce, con grandissimaoriginalità, quale sia il problema che si pone alle impreseindustriali e che cosa significherebbe, sul piano del-l’organizzazione quotidiana del lavoro, un socialismoemancipatore. Con grande precisione, egli pone qui le basidi quello che sarà il vasto movimento storico del socialismodei consigli operai e del socialismo autogestito.

La distinzione che egli opera tra l’iniziativa lasciata al

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lavoratore indipendente e l’associazione degli operai nellagrande industria si collega a tutta la sua concezione dellaforza collettiva. Non vi è alcuna contraddizione nel preve-dere due modelli sociali differenti per i lavoratori indipen-denti e per gli operai dell’industria giacché in realtà la forzacollettiva e la creazione dei valori hanno, nei due casi, formediverse. Nel caso dei lavoratori indipendenti, la forza collettivasi costituisce attraverso il gioco delle iniziative individuali,l’ampiezza degli scambi e la mobilità dei contratti. Nellagrande industria, invece, il lavoratore è inserito in una vastaorganizzazione integrata ed è proprio questa divisioneorganizzata del lavoro a creare la forza collettiva e adeterminarne lo sviluppo. Il produttore, in questo caso, nonè più l’individuo, ma la “collettività” dei lavoratori6.

A questo punto Proudhon affronta due problemistrettamente collegati tra loro, quello della proprietà e quellodel potere. È chiaro, dopo la sua denuncia della proprietàprivata, che la detenzione dei mezzi di produzione non po-trebbe essere lasciata all’arbitrio dell’imprenditore capitalista:Proudhon però respinge, con altrettanto vigore, il progettodi affidare questa proprietà all’autorità dello Stato. Non siotterrebbe nulla infatti se i lavoratori, sottoposti nelcapitalismo allo sfruttamento dell’imprenditore privato, sitrovassero, in un capitalismo di Stato, sottoposti alladominazione, non meno esterna, di un governo. Èimportante, invece, al fine di assicurare la piena responsabilitàdei lavoratori, che l’impresa in cui lavorano appartenga loroa titolo indiviso, cioè che la proprietà sia collettiva senza cheper questo la partenza di un operaio possa rimettere in causal’esistenza dell’associazione. Impegnati nella proprietàcollettiva dei mezzi di produzione, gli operai non sarannopiù i salariati di un padrone, ma i soci di un’impresa cheapparterrà loro e di cui saranno collettivamente responsabili.

Questa non è, tuttavia, che un’indicazione preliminare.Ciò che importa, per Proudhon, è precisare quale tipo dirapporti sociali dovrà esser instaurato all’interno delle grandiimprese, prevedere quali saranno i diritti e le possibilità dicoloro che vi parteciperanno, come saranno ripartiti compitie responsabilità, in che modo sarà distribuito il potere e inquale sede si prenderanno le decisioni. Anche in questo caso,

6. Idée générale de la révolution au XIXe siècle, p. 276.

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non vi sarebbe vantaggio alcuno se i cambiamenti nel regimedi proprietà non avessero alcuna conseguenza sullaorganizzazione del lavoro e se un nuovo tipo di oppressionecollettiva si sostituisse alle gerarchie stabilite dal capitalismo.

Alla base delle sue proposte per il funzionamento inter-no delle imprese, Proudhon pone il principio dell’acces-sibilità di tutti a tutte le funzioni, a tutti i livelli, e il principiodella elezione delle cariche da parte della collettività. Alsistema tradizionale delle nomine dall’alto ai diversi inca-richi, egli oppone la regola dell’elezione da parte della col-lettività e del periodico rinnovo delle cariche. Proudhonarricchisce immediatamente questa regola con numeroseconsiderazioni sull’importanza e sulla necessità di un’ap-profondita formazione intellettuale e tecnica. È questa in-fatti una delle sue maggiori preoccupazioni: in numerosipassi, egli sottolinea che un socialismo democratico deverealizzarsi congiuntamente a una estensione dell’educazio-ne, in modo da impedire che le conoscenze siano monopo-lizzate da un’élite sempre pronta a fondare il proprio poteresulla detenzione del sapere. È nelle imprese che, a suo avviso,dovrà effettuarsi questa formazione permanente, così che,in tutti, educazione teorica ed educazione pratica si leghinointimamente. Egli denuncia con forza la separazione bor-ghese tra formazione scientifica e formazione professionaleche viene a sancire la separazione tra dirigenti ed esecutori.La democrazia non potrà dunque realizzarsi senza unademocratizzazione del sapere. La formazione professionalenon dovrà rinchiudere l’individuo entro i limiti di una solaspecializzazione che lo condannerebbe a svolgere, per tuttala vita, lo stesso lavoro; l’educazione deve avere piuttostoambizioni “enciclopediche” tali da liberare l’individuo daisuoi limiti, da permettergli di acquistare una visionecomplessiva dei problemi e da rendergli possibile l’accesso adifferenti posti di lavoro nel corso della sua vita produttiva.

L’associazione implica anche una radicale riorganiz-zazione dei poteri di decisione, il cui esercizio non potràspettare a istanze esterne, siano esse capitalistiche o di Stato.L’associazione presuppone infatti che ogni lavoratore “parte-cipi della sovranità”, e cioè che possa intervenire a livellodecisionale; essa presuppone d’altra parte che l’impresa siadiretta da un “consiglio” degli operai7. L’indicazione di

7. Ibid.

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Proudhon, qui, è che la distruzione del dominio di cuil’operaio è vittima passa attraverso questo trasferimentorivoluzionario dei poteri e attraverso l’assegnazione delleresponsabilità e delle decisioni al gruppo in quanto tale e alsuo consiglio di direzione eletto. In questa prospettiva è lacollettività che deve darsi un’organizzazione, farsiresponsabile della propria attività, senza più attendere daun’autorità esterna l’imposizione dei propri regolamenti: la“compagnia operaia” dispone delle proprie norme e deveinventare essa stessa le forme dei propri rapporti. Proudhonnon ha bisogno di entrare in particolari concreti: spetterà aquesta collettività cosciente e autonoma determinare leproprie norme, inventare se stessa.

Va rilevato anche che il valore supremo non è qui l’egua-glianza e che non è propugnato un totale livellamento deisalari. Proudhon non pensa affatto che queste associazionidebbano confondere in una ideale fratellanza i diversi tipidi lavoro: ciò che egli propone è che siano gli associati stessia decidere la ripartizione degli utili, a operare la scelta degliinvestimenti, ad adattare le retribuzioni alla difficoltà dellavoro e al grado di responsabilità. Il valore supremo non èdunque la confusione degli individui, bensì il riconoscimentodegli apporti individuali a un’azione comune, nei terministabiliti e accettati da tutti. Dalla stessa problematica teoricaProudhon prende le mosse per affrontare i problemidell’organizzazione del mercato e degli scambi in una societàsocialista autogestita. Anche in questo caso si tratta dieliminare il furto capitalistico, la speculazione, ma senzareintrodurre in alcun modo un’autorità esterna incaricatadi fissare i prezzi o di stabilire i programmi di produzione.Qui la nozione di contratto è fondamentale, a patto che conciò si intenda non un contratto politico, implicantel’alienazione delle volontà, ma un contratto economicostipulato con piena consapevolezza tra produttori o traproduttori e consumatori. Si tratta, ancora una volta, diaffidare agli stessi lavoratori e alle compagnie operaie laresponsabilità dei loro rapporti economici, così come ilcontrollo dei loro impegni in un sistema di mutualità. Inquesti scambi, e con l’introduzione di un sistema nazionaledi credito gratuito, sarà incessantemente dibattuta e ricercatala fissazione dei giusti prezzi tenendo conto dei costi diproduzione, dei salari e degli investimenti necessari. Senzadubbio, discussioni e polemiche si presenteranno conti-

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nuamente nel corso di questi scambi, ma sarà proprio laconcorrenza tra i vari centri di produzione una condizioneper questa incessante ricerca dei valori esatti.

Proudhon non esclude che, a livello regionale e nazio-nale, possano costituirsi organi centralizzati aventi il compitodi gestire l’assegnazione dei crediti, di raccogliere e coordi-nare i dati relativi ai mercati, di assicurare una miglioreinformazione economica, di effettuare un controllo sullegrandi imprese. Ma questi organismi necessari dovrannorappresentare i lavoratori indipendenti e le compagnie ope-raie e non già poteri politici esterni. La federazione agricolae industriale dovrebbe essere cosi l’associazione contrattualedei differenti centri di produzione i quali troverebbero negliorganismi centrali la sede per le loro transazioni e per leloro decisioni ai livelli più elevati. Questo centro di decisionedovrebbe anche essere dotato di una certa capacità diiniziativa: avrebbe, in particolare, il compito di stimolare,quando se ne manifestasse il bisogno, la costituzione di nuovecompagnie operaie o, in caso di fallimento, dovrebbedecretarne lo scioglimento, ma non potrebbe comunquesostituirsi ai centri di produzione nella responsabilità,spettante ad essi soltanto, di organizzare e attuare l’attivitàproduttiva. Dalla base al vertice di questo edificio economicodovranno svilupparsi iniziative e rapporti dialettici in modoche non possa essere reintrodotta, a nessun livello, lacostrizione di un potere esterno.

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Critica dell’illusione politicaLa società anarchica e federalista

Nel suo modello di socialismo autogestito, Proudhon sipreoccupa di rimettere in discussione non solo la concezioneborghese del politico, ma anche il fatto politico stesso, intesocome qualcosa di inerente al potere centralizzato e digoverno. Dai suoi primi scritti fino alla sua ultima opera, egliripropone la celebre tesi di Saint-Simon sulla scomparsa delloStato politico a vantaggio di un’organizzazione socializzatadella produzione. Nel suo linguaggio potentemente imma-ginoso, la formula di Saint-Simon secondo cui “l’ammi-nistrazione delle cose” è destinata storicamente a sostituire“il governo degli uomini”, si trasforma nell’espressione:“l’officina farà sparire il governo”. E in realtà ciò che egliintende per socialismo è l’avvento di una società anarchica,una società restituita a se stessa attraverso l’eliminazione deipoteri che la trascendono, una società che si organizza inun’“anarchia positiva”.

La posizione di Proudhon su tale questione, nel corsodegli anni Quaranta, è una posizione di singolare originalitàin seno al movimento socialista. Per quanto affascinantipotessero essere i progetti utopici di Fourier o di Cabet, ilFalansterio e l’Icaria, essi presupponevano da parte di chi viaderiva una perfetta conformità alla parola del maestro.Dietro all’apparenza di una città senza Stato si rinnovaval’appello, insopportabile per la sensibilità di Proudhon, al-l’obbedienza e alla espropriazione di sé in un nuovo rap-porto autoritario. E così nel 1848, quando le forze popolarisembrano acquistare potere, Proudhon si ribella nel vederecome si prepari la sconfitta del movimento operaio conl’affidare alle autorità governative l’organizzazione del-l’economia, con la creazione degli Ateliers nationaux di LouisBlanc. L’abbondanza delle riflessioni di Proudhon su questoproblema dello Stato deriva proprio dal fatto che egli vedeattorno a sé, e malgrado le apparenze della rivolta, unsingolare rispetto dell’autorità, una fiducia nei meccanismi

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oppressivi dello Stato che egli giudica profondamente con-servatrice e, in generale, un profondo disconoscimento delfatto politico. E, in effetti, con questa sua teoria di unsocialismo non statalista e antiautoritario, egli apre una viadel tutto nuova nella storia del socialismo.

È fondamentale, secondo Proudhon, che si pervengaad una teoria scientifica del potere politico, in quanto taleteoria è destinata ad avere immediate ripercussioni a livellodella prassi. Infatti, se si dimostrasse che lo Stato può essereil soggetto dell’azione rivoluzionaria, avrebbe senso delegareal potere “dall’alto” il compito di realizzare l’opera di trasfor-mazione sociale; invece, se si dimostra che ogni poterecostituito è necessariamente una forza di conservazione e didifesa delle classi dominanti, allora bisogna cercare una stradatotalmente diversa: la rivoluzione non più attraverso ilrafforzamento del potere, ma contro lo Stato e attraversol’iniziativa delle masse.

L’errore che comunemente si compie è quello diattribuire allo Stato, in quanto tale, autorità e potere, quasipossedesse di per sé una forza e la esercitasse, come una volon-tà divina, sulla società per organizzarla in modo benefico.Tutte le analisi precedenti hanno invece messo in evidenzache le sole energie, le sole forze esistenti derivano esclu-sivamente dall’attività sociale e, in primo luogo, dalla pro-duzione collettiva. È un potere diffuso, che si costituiscespontaneamente nella società e che preesiste, sia storica-mente sia nella permanente realtà della prassi, ad ogni or-ganizzazione politica. Lo Stato non produce e quindi nongenera di per sé la forza collettiva: la forza di cui esso di-spone è una forza presa a prestito, attinta dalla creativitàcomune, per farla propria e dirigerla. Perciò lo Stato, lungidall’essere la fonte dell’attività comune, costruisce il propriopotere solo attraverso l’accaparramento, il furto della forzacollettiva e dei poteri che spontaneamente si producono nellasocietà. Proudhon dunque stabilisce un parallelo tra dueforme di alienazione: il furto proprietario e l’accaparramentodell’autorità diffusa che la società genera nell’organizzarsi.Come il proprietario sottrae ai lavoratori i valori da essiprodotti, così lo Stato si appropria delle forme di potere, dicontrollo spontaneo, e se ne fa padrone. Questo processo disottrazione è individuato già alle origini dello Stato, e findalla formazione dell’autorità patriarcale: da questo livello,il pater familias si presenta come origine del potere, mentre

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non fa che riprendere e stornare a proprio vantaggio unpotere che è in realtà sociale. Già a questo livello, l’autoritàè costruita su un’alienazione e rischia di mettere in pericolola vita collettiva rivolgendo contro di essa le forze di cui vieneespropriata. La costante collusione tra classi possidenti e Statoè dunque un fatto necessario e ineliminabile giacché le dueforme di alienazione sono parallele, si sostengono e si raf-forzano l’un l’altra. Il lavoratore viene espropriato contem-poraneamente del suo lavoro e della sua autonomia.

Nel modo di produzione capitalistico il legame tra aliena-zione economica e alienazione politica è straordinariamentestretto e l’intensificazione del furto proprietario va di paripasso con la concentrazione dei poteri dello Stato. L’appro-priazione capitalistica organizza la fabbrica secondo unarigida gerarchia di dirigenti ed esecutori: il monopolio dellaproprietà ha bisogno, per reggersi, del monopolio del-l’autorità. E così la subordinazione non si limita al campopolitico, ma trova la sua prima espressione ai livelli piùquotidiani e nella divisione economica del lavoro. Per cui leclassi possidenti, detentrici dei mezzi di produzione, sonoanche, ad ogni livello della vita collettiva, detentricidell’autorità e si trovano, ai vertici, in diretta collusione coni poteri governativi. Inoltre, la lotta di classe, che è imma-nente al sistema delle contraddizioni, conduce necessa-riamente le classi oppresse a schierarsi tra le forze diopposizione, mentre le classi possidenti utilizzano, perdifendersi contro l’insurrezione operaia, l’apparato delloStato, la polizia, l’esercito e gli organi amministrativi.

Proudhon tuttavia non trae da ciò la conclusioneriduttiva secondo cui lo Stato non sarebbe che un semplicestrumento delle classi dominanti, non pensa neppure chel’istanza politica sia nient’altro che il riflesso o lasovrastruttura di un determinato modo di produzione. Aitempi del Secondo Impero, egli mostra sì che lo Stato ènotoriamente alleato con le classi dominanti, ma mostraanche che esso riceve l’appoggio delle classi contadine, esoprattutto che il potere centrale, appoggiandosi su esercito,polizia e amministrazione, può portare avanti la propriapolitica con una certa autonomia anche colpendo,provvisoriamente gli interessi di certi settori della borghesia.

Vi è, per Proudhon, una certa specificità della dinamicapolitica che è importante mettere in luce, proprio perché leillusioni a questo riguardo sono tenaci e impediscono di

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vedere gli enormi pericoli che il fatto politico nasconde.Fondato sulla sottrazione della forza collettiva e sull’ap-

propriazione dei poteri sociali spontanei, lo Stato si trova inun rapporto di rivalità fondamentale con la società civile, eviene sempre più approfondendo, per le tendenze sueproprie, questa contraddizione tra il sociale e il politico. Lasocietà attiva crea di continuo forme nuove, dà vita a iniziativeche sfuggono al controllo dell’autorità; ognuno di questicambiamenti rischia di indebolire il potere dello Stato e dilimitarne l’influenza; quindi lo Stato, per difendere la propriaesistenza, è in perenne lotta contro queste iniziative, cercadi assorbire le autonomie e di porle sotto la sua sorveglianza.Una volta messa in atto, la centralizzazione non cessa più dicrescere, di estendersi con una dinamica che le è propria eche si oppone ad ogni sforzo di pluralizzazione e didecentramento della società civile. Come scrive Proudhonnella Capacité politique des classes ouvrières, la centralizzazionepolitica è “espansiva”, “dilagante” per natura: “le attribuzionidello Stato si accrescono continuamente a spese dell’iniziativaindividuale, corporativa, comune e sociale”8. L’attività eco-nomica, per la solidarietà che instaura tra i produttori, perlo spirito associativo che suscita, tende a rendere uguali lepersone e rimette continuamente in discussione autorità egerarchie. Lo Stato, all’opposto, in quanto è l’incarnazionedell’autorità e dei rapporti di potere, non può fare a menodi ricreare gerarchie ed imporle all’intera società. Si evidenziacosì un contrasto permanente ed una contraddizione fon-damentale tra l’attività produttiva, che tende spontanea-mente all’antiautoritarismo, alla contestazione dellegerarchie, e la sfera politica, depositaria dei poteri supremi,che per sopravvivere non può che lottare contro la societàcivile imponendole il suo dominio e le sue artificiosegerarchie. E, ancora, alla mobilità spontanea della vita so-ciale si contrappone la monotonia burocratica dello Stato: iproduttori non cessano mai di modificare i loro rapporti, diinventare e modificare i contratti che li uniscono; lo Statoinvece, minacciato nella sua autorità, deve regolamentarequesto pullulare di iniziative, moltiplicare le leggi, dar vitaad una burocrazia costosa e assorbente la cui funzione è disoffocare la spontaneità creatrice in modo da consentire

8. De la capacité politique des classes ouvrières, p. 297.

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l’esercizio dall’alto del potere.Questa teoria dello Stato porta Proudhon su posizioni

molto particolari all’interno del movimento socialista deglianni intorno al 1848. I socialisti a lui contemporaneiproclamavano sì, dal 1830, che una rivoluzione politica nonbastava a risolvere le contraddizioni sociali e che eranecessaria una rivoluzione economica, ma, per quanto pesodessero nelle loro analisi alle contraddizioni economiche,non escludevano affatto il ricorso ad un nuovo sistemapolitico. I repubblicani sostenevano che il suffragio universaleavrebbe comportato di per se stesso l’eliminazione delle classiparassitarie e i riformatori socialisti tendevano a vedere nellestrutture politiche nient’altro che una istanza secondaria, unriflesso, che era inutile contestare. Marx, muovendosi nellastessa direzione, dirà che lo Stato non fa che confermare ladivisione delle classi e che la dittatura del proletariato nedeterminerà la graduale scomparsa. Su questo punto la criticadi Proudhon va molto più in là e serve da fondamento aconclusioni differenti. Il politico, secondo la sua analisi, ècertamente una conseguenza dell’attività sociale, ma non èsoltanto un fenomeno sovrastrutturale e, tanto meno, è privodi incidenza. Alle contraddizioni economiche che dilanianola società nel suo insieme va aggiunta la contraddizione traStato e società produttiva: gli apparati autoritari (esercito,polizia, burocrazia politica, sistema giudiziario) non sonoaffatto, come si crede, dei mezzi organizzativi, bensì dei poliantagonistici rispetto alla società civile. Questa contrad-dizione, che è anche un rapporto di violenza, deve esserecolta nella sua specificità: il non riconoscerla mantiene,secondo Proudhon, la maggior parte dei teorici socialistientro il tradizionale circolo vizioso che porta a legittimare leoppressioni.

È durante la rivoluzione del 1848 e negli scritti di questoperiodo che Proudhon si esprime più esplicitamente a questoriguardo e difende, contro ogni restaurazione politica, unateoria antistatalista e anarchica che egli chiama “anarchiaragionata” o “anarchia positiva”: con ciò egli intende sostan-zialmente l’instaurazione di una Società socialista diproduzione e di scambio organizzata secondo sue proprieleggi e nient’affatto sottoposta alla coercizione di un nuovopotere alienante che potrebbe divenire lo strumento di unanuova classe dominante. È a questo punto che nascono lepagine veementi dell’Epilogo dell’Idée générale de la révolution

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nelle quali egli descrive la condizione di asservimento di ognicittadino governato, “diretto, legiferato, regolamentato,irreggimentato, indottrinato” e nelle quali, dopo averdenunciato lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo,incita alla denuncia del “governo dell’uomo da partedell’uomo”. È qui magnificamente espresso quello spirito dianarchia, quella sensibilità antiautoritaria, che, dopo di lui,esprimeranno Bakunin e tutti i movimenti anarchici. Ma, sevi è in Proudhon un forte senso di rivolta contro ogni formadi dominio, deve essere ben chiaro che la sua rivolta nasceda un’analisi, la quale riconosce la fondamentale pericolositàdi ogni concentrazione dei poteri nelle mani dello Stato.Secondo quanto scrive in La guerre et la paix, il potere digoverno ha non solo la tendenza ad opprimere i cittadini,ma anche a trascinare il popolo in imprese di guerra. Perciòil mantenimento della centralizzazione politica avrebbe l’ef-fetto di prolungare la barbarie guerriera dell’umanità, di-mostrando la verità dell’assioma secondo cui “i popoli nonsi salvano grazie ai loro governi, ma piuttosto vanno inrovina”9.

Per il socialismo è dunque essenziale trovare una rispostaal problema politico, cioè al problema dell’organizzazionegenerale delle relazioni sociali, in modo radicalmente nuovoe lontano dalle vie tradizionali del “pregiudizio del governo”.È necessario cercare un modello sociale nel quale i produttorie i gruppi naturali siano realmente detentori della loroautonomia e nel quale il pericolo di una nuova alienazionepolitica sia completamente eliminato grazie alla struttura ealla dinamica del sistema sociale. Da quanto detto finorarisulta chiaro che né la democrazia borghese né lacentralizzazione comunista rispondono a tali esigenze.

L’illusione democratica si basa su una duplice misti-ficazione, quella del suffragio universale e quella della rappre-sentanza popolare. Il suffragio universale postula che la vo-lontà di un popolo trova espressione nel computo dei suf-fragi, come se la somma delle opinioni corrispondesse allavolontà della società civile. È vero il contrario: questo sistemadi votazione disgrega la società in quanto isola gli individui,distrugge le unità, acuisce le false divisioni e sostituisce aiconflitti profondi la diversità delle opinioni. Un tale sistema,

9. Les confessions d’un révolutionnaire, p. 86.

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in realtà, ha necessariamente come risultato non già latrasformazione rivoluzionaria, ma la conferma delle classidominanti nei loro privilegi. Nel marzo 1848, nel momentoin cui il governo provvisorio istallatosi a Parigi annuncia chesaranno indette elezioni per una nuova Assemblea, Proud-hon giustamente prevede che gli elettori voteranno inmaggioranza per membri delle classi superiori e che quindile elezioni sostituiranno al movimento rivoluzionarioun’assemblea conservatrice. Col sistema delle elezioni sifinirà, in nome della repubblica e del suffragio universale,per evitare la realizzazione delle riforme economiche.

Inoltre, la vecchia tradizione cosiddetta democratica, chenon sa vedere altra soluzione se non nel cambiamento delpersonale governativo e nell’elezione dei rappresentanti delpopolo, rimane prigioniera della illusione secondo cui lasovranità popolare deve essere incarnata, assunta, rappre-sentata da qualche autorità. Il fatto è che si resta incapaci disuperare la mitologia della rappresentanza la quale postula,in realtà, che la società non può regolarsi, governarsi da solae che è necessario imporle un potere, per così dire,rappresentativo. Finché questa illusione non sarà superata,continuerà a rinnovarsi quell’alienazione politica per cui ilpopolo viene espropriato della sua sovranità. È in tutt’altradirezione che va cercata la soluzione del problema sociale,cioè in una direzione che miri a restituire alla società pro-duttrice la pienezza della sua iniziativa. Anziché organizzareil governo, bisognerebbe organizzare la società sulla base direlazioni tali da rendere impossibile il furto politico.

Non è certo questa la direzione verso cui si orientano iteorici comunisti. Essi pensano di superare le contraddizionisociali negandole e imponendo la rinuncia ad ogni differenzanel quadro di un’associazione omogenea. Ma una taleassociazione delle volontà non potrebbe essere ottenuta senon attraverso un sovrappiù di coercizione che richiede-rebbe, di nuovo, un controllo e un dominio oppressivo. Eccoperché essi tendono a porre l’accento sulla disciplina, sulpotere dei capi o – come nell’Icaria di Etienne Cabet, adesempio – sulla dittatura del legislatore. Ancora una voltaProudhon rimprovera ai teorici della comunità di ricalcare,dietro l’apparenza di un discorso rivoluzionario, i modellipolitici del capitalismo e della tradizione governativa. Dopoaver fondato il potere sulla parola di Dio o sulla nobiltà delprincipe, si fa ora appello al mito della sovranità popolare e

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si rinnova il pregiudizio per cui il potere deve essereconcentrato in un organo dirigente a causa dell’incapacitàdei produttori di conservare la loro libertà. Anziché cercaredi far sorgere le forme di regolazione sociale dagli scambi edai contratti, si mira a ricostituire un’associazione politicaautoritaria incaricata di dirigere l’attività sociale. Un talesistema, fondato su di un’unità artificiale, ripresenterebbele stesse tare politiche del passato: mancanza di una divisionedei poteri, soffocante centralismo, distruzione di ogniparticolarità individuale o locale, espansione di unaburocrazia negatrice della libertà.

Da questo punto di vista, Proudhon pone sullo stessopiano l’utopia comunista e tutti i tentativi di riformare lasocietà a partire da un’autorità dominatrice: l’una e gli altrihanno in comune il fatto di attendersi dallo Stato ciò cheesso non può in alcun caso realizzare. L’unica via che rimaneè di rovesciare i termini del problema, di cercare il modo incui la vita sociale possa svilupparsi secondo la propriadinamica, di partire dalle masse secondo forme cheescludano ogni espropriazione delle volontà. È questo re-gime non statalistico, questo sistema liberato da ogni autoritàesterna, che Proudhon chiama successivamente anarchiapositiva e, moderando in seguito le sue tesi, federazione agricolae industriale.

Un principio fondamentale emerge da questa criticadello Stato, quello del pluralismo delle iniziative, delle libertàe dei gruppi, che è l’opposto della tendenza all’unità cheProudhon individua in tutte le impostazioni di tipo autori-tario. I politici del capitalismo, così come i capi comunisti,sognano di uniformare le volontà, di schiacciare sotto la loroautorità ogni dialettica. Per Proudhon, al contrario, l’inven-zione, il cambiamento, la libertà, non si realizzano cheattraverso la libera iniziativa dei differenti gruppi e ilmantenimento della loro autonomia e delle loro differenze.Come risulta chiaramente dall’opposizione che egli stabiliscetra il dinamismo della società civile e la sclerosi del politico,la vitalità è legata all’esistenza di differenze e la libertà almantenimento del pluralismo. Ciò è chiaro già al livellodell’economia, dove Proudhon cerca di difenderel’autonomia dei produttori indipendenti e soprattuttol’indipendenza delle compagnie operaie nella gestione enella stipulazione dei contratti. Ciò che egli intende permutualismo è appunto un regime socioeconomico in cui le

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unità di produzione, lungi dal dipendere da una tirannicaburocrazia, si assicurano reciprocamente il rifornimento ela collocazione dei prodotti e intrecciano tra loro e con iconsumatori tutte le relazioni necessarie alla propria attività.A livello economico è da questa pluralità di iniziative, di formedi lavoro, di scambi, che deriverebbero lo sviluppo dellaproduzione e le innovazioni. Non si tratta di eliminare ledifferenze entro un’associazione egualitaria che sarebbe oimpotente o tirannica, si tratta, al contrario, di liberare ledialettiche sociali, cioè di creare le condizioni per unconfronto non antagonistico che, come è noto, assicura lavita della collettività.

Questi stessi principi Proudhon li applica all’organiz-zazione politica: si tratta, a un tempo, di assicurare alle diffe-renti unità sociali il diritto alle loro particolarità e alle lorolibertà, e di impegnarle, contemporaneamente, in rapportidinamici e non distruttivi con le altre unità. È ciò che Proud-hon propone di chiamare federalismo, sistema socialepluralistico che dovrebbe articolarsi dal comune rurale ourbano fino ai rapporti internazionali.

Alla base di questo vasto edificio egli pone la necessitàdi restituire ai “gruppi naturali” e, in primo luogo, alle co-munità rurali e urbane, una vera autonomia, cioè il dirittodi governarsi da sole nella misura più ampia possibile. È bene– afferma – che il comune abbia “il diritto di governarsi dasolo”10, di imporsi esso stesso le tasse, di organizzare le suescuole, i suoi organismi particolari, la sua polizia, i suoitribunali e le sue chiese se lo desidera. Questa autogestioneurbana è, agli occhi di Proudhon, una necessità fondamen-tale perché essa sola consente di realizzare un’autentica vitasociale, una vera partecipazione dal basso alla vita politica,facendo dei cittadini non più i docili membri di uno Statoastratto, ma i soggetti attivi dei processi di decisione e diazione comune. Oltre a ciò, la sovranità comunale bloccaall’origine ogni possibilità di dispotismo statalista facendodelle comunità urbane altrettanti contropoteri, altrettantiostacoli all’invadenza centralistica e burocratica.

Questa federazione di comuni acquista pienamente ilsignificato della sua articolazione in rapporto al mutualismoeconomico e, a questo punto, Proudhon può sintetizzare il

10. De la capacité politique des classes ouvrières, p. 285.

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suo progetto economico e il suo progetto politico nella for-mula della federazione agricola e industriale11, secondo cui irapporti tra le comunità dovranno essere stabiliti sulla basedi molteplici contratti di produzione e di scambio a livelloeconomico. Proudhon non predica affatto un ritornoall’isolamento ancestrale del borgo, ma cerca invece disuperare insieme le separazioni e la falsa unità che sono im-poste dal dominio dello Stato. Si tratta, attraverso un radi-cale federalismo, di ridare alle comunità urbane e alle di-verse unità di produzione il massimo dell’autonomia e, intal modo, di impegnarle reciprocamente in una permanenteattività di scambio e di contrattazione i cui termini e il cuisvolgimento sia sotto il loro esclusivo controllo. Si attueràcosì, a tutti i livelli, l’autogoverno della società attraversol’organizzazione dinamica delle forze politiche e produttive.

Quella di Proudhon è dunque la più violenta denunciadello Stato centralizzato e dei pericoli che esso automati-camente comporta. Lo Stato centralizzato non solo si co-stituisce appropriandosi dei poteri sociali e delle libertà lo-cali, ma suscita necessariamente, in ragione di questa ori-ginaria violenza fatta alle libertà, un processo che conduceinevitabilmente allo scontro militare. Lo Stato, eretto con-tro il popolo, si impone mediante un esercito potente e con-solida il proprio dominio con la minaccia e la provocazioneguerresca. Proudhon segue anche qui la teoria dialettica dalui proposta per ogni fenomeno sociale: come sappiamo, lavita collettiva non si realizza che attraverso una molteplicitàdi scambi tra termini indipendenti e la neutralizzazione dellerivalità ad opera di un potere coercitivo comporta unprocesso di distruzione e una regressione delle potenzialità.Lo Stato centralizzato e dispotico non sopravvive chedistruggendo questa dialettica sociale e provoca un processomortifero che si concretizza, in particolare, nella guerra.

Così, dopo il 1848, mentre si delineava in tutta Europa,e particolarmente in Germania e in Italia, un processo diunificazione nazionale in nome del diritto di ogni popolo adisporre di se stesso, Proudhon osò pronunciarsi per l’or-ganizzazione di un federalismo europeo12. Egli temeva, in

11. Du principe fédératif et de la nécessité de reconstituer le parti de la révolution, p. 354.12. Tra i migliori amici di Proudhon, vi era Giuseppe Ferrari, sostenitore in Italia,

nello stesso periodo, della causa federalista (cfr. Filosofia della rivoluzione, London1851, 2 voll.).

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particolare, che gli Stati francese, italiano e tedesco dive-nissero rapidamente potenti entità centralizzate e militariche avrebbero trovato nelle imprese di guerra la conseguenzae la giustificazione della loro oppressione interna. Unagaranzia di pace per l’Europa e per il mondo potrà risiederedunque nella distruzione degli Stati nazionali e nella lorosostituzione con una federazione di province dotate di unacerta autonomia, impegnate in rapporti di mutualitàeconomica e spontaneamente ostili tanto ad un oppressivoaccentramento quanto alle imprese militari. Proudhonpropone perciò che l’autonomia delle regioni sia estesa a talpunto che una provincia abbia anche il diritto di separarsidalla federazione nel caso ritenga la propria indipendenzaminacciata dalle pretese del potere federale. Questo poterecentrale dovrebbe avere il solo compito di coordinare leiniziative economiche, di controllare la contabilità delleregioni, di vigilare sulla disciplina dei mercati, di proteggerela moneta. Non potendo disporre liberamente della forzamilitare, lo Stato non avrebbe più alcun mezzo perintraprendere azioni distruttive.

Proudhon propone quindi l’estensione di questomodello all’Europa intera e lascia intendere che le relazioniinternazionali conosceranno condizioni di pace e di libertàsolo nella misura in cui sarà evitata la ricostituzione degliStati e degli imperi. Nella misura in cui il federalismo diverràuniversale e si moltiplicheranno tanto le sovranità locali chela molteplicità degli scambi tra le singole unità, sarà assicuratala vitalità delle relazioni e impedita la loro trasformazione inscontri disastrosi. In tal modo verrebbe liberata l’autenticadialettica sociale, fatta di unità nella diversità, di unità chenasce dalla diversità e dagli scambi sociali e non è più ottenutaattraverso la soppressione delle libertà e delle differenze.

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Critica delle ideologieLa giustizia realizzata

Ai due aspetti, politico ed economico, dell’opera di Prou-dhon ne va aggiunto un terzo, che riguarda la critica e larivoluzione della cultura. È un punto non meno importantedei due precedenti e che trova numerosi sviluppi negli scrittidi Proudhon: è l’argomento, in particolare, dell’opera inquattro volumi De la justice dans la révolution et dans l’eglise.Nouveaux principes de philosophie pratique, pubblicata nel 1858.Il fatto è che, per Proudhon, un sistema sociale è contempo-raneamente un sistema di produzione, un sistema didistribuzione dei poteri, e un sistema culturale: uno deiproblemi cui l’analisi si trova di fronte è appunto quello diidentificare i processi di unificazione o di contraddizione chesi sviluppano tra questi tre sottosistemi. Su questa base, ilsistema capitalistico può essere caratterizzato come un sistemaformato da tre tipi paralleli di alienazione: al furto dei valoricompiuto dalla proprietà, corrisponde l’alienazione dellevolontà realizzata dal potere statale, mentre la religionetraduce queste alienazioni nel simbolismo della sottomissionead un potere trascendente. Come il capitale ruba il prodottodella forza collettiva e lo Stato si appropria delle libertàpubbliche, così la religione espropria la coscienza socialedelle aspirazioni che le sono proprie13.

Gli apparati simbolici dunque hanno chiaramenterapporti strutturali con il modo di produzione e con ilsottosistema politico, ma non per questo Proudhon tendemai a sottovalutarne l’importanza. Egli, anzi, sottolinea comei modi di rappresentazione siano costantemente presentiall’azione e anche ai comportamenti economici, di modoche, dal suo punto di vista, la critica teorica, nella misura incui fosse compresa e messa in pratica, demolendo gli apparati

13. “Il capitale, il cui analogo, nel campo della politica, è il governo, ha persinonimo, nel campo della religione, il cattolicesimo” (Les confessions d’un révolu-tionnaire, p. 282).

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di legittimazione, contribuirebbe alla distruzione dell’edi-ficio nel suo insieme.

I suoi attacchi si concentrano sui miti politici e, ancorpiù estesamente, sulla religione. La violenza degli attacchicontro Jean-Jacques Rousseau, contro i giacobini e contro irepubblicani suoi contemporanei è, ai suoi occhi, necessariaper denunciare un’illusione realmente pericolosa, quella sucui si basa la mitologia dello Stato. Questo pregiudizio, cheegli ritrova presso i suoi nemici repubblicani come presso isuoi amici comunisti, è tanto più pericoloso in quanto,legittimando la sottomissione delle volontà ad un’autoritàpolitica, prepara la rassegnazione degli individui di fronte anuove oppressioni. I suoi appelli all’anarchia positiva hannoappunto il pregio di negare legittimità ad ogni forma digoverno e di incitare ognuno alla riappropriazione dei suoidiritti. Non meno decisa dovrà essere la critica contro lareligione che costituisce la suprema giustificazione delladisuguaglianza sociale e politica. Proudhon si propone infattidi dimostrare che la religione, lungi dall’essere una semplicecredenza individuale, costituisce un insieme teorico e praticoche contribuisce direttamente a perpetuare l’oppressione.Facendo appello al rispetto di una dottrina, il discorsoreligioso induce le coscienze ad abdicare di fronte a un verboimposto; presentando l’immagine di Dio come oggetto diadorazione, fornisce il paradigma di ogni tipo di sotto-missione. La chiesa insomma pone in atto un insieme diapparati educativi che contribuiscono, attraverso i simboli, asottomettere le coscienze ed a offrire loro consolazione difronte ad una realtà presentata come irrimediabile.

Queste critiche non sono per Proudhon secondarie: inve-stono, secondo lui, l’essenza stessa del regime proprietario esi inseriscono in un vasto movimento teorico e praticoindispensabile per l’instaurazione di un socialismo fondatosull’autogestione. La sua concezione della dialettica, infatti,gli ha permesso di dimostrare che un sistema sociale non èprecisamente un sistema materiale, ma un sistema che puòesser detto “ideo-realista”14, nel senso che ha in sé una logicaimmanente. La dialettica immanente al sistema è siamateriale, in quanto i termini antagonistici sono forze egruppi concretamente esistenti, sia ideale, in quanto essa

14. De la création de l’ordre, p. 286.

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corrisponde ad una struttura logica che è importante metterein luce e di cui i soggetti possono essere coscienti. L’opera diriflessione, di critica e di presa di coscienza ha perciò un suovalido ruolo nell’azione politica: intervenendo sul piano dellaconoscenza, essa può non solo modificare gli atteggiamentie i comportamenti, ma soprattutto permettere una compren-sione sintetica e regolatrice del sistema dialettico delle azioni.Si pone quindi, negli anni intorno al 1848, un interrogativoessenziale per l’avvenire della rivoluzione socialista: vi è, nellacomplessità dei conflitti socio-politici, un processo costitutivodi un progetto rivoluzionario coerente, la genesi di un’ideaoperaia suscettibile di contrapporsi radicalmente all’ideaborghese?

Proudhon esclude che questa idea possa essere portataalle classi operaie dall’esterno, da parte di qualche intellet-tuale, come credono gli utopisti. Un progetto politico cosìprofondo e innovatore può nascere soltanto dalla situazionee dalle esperienze che una classe sociale vive. Ricordando lelotte che le classi borghesi hanno condotto contro le castefeudali, egli mette in rilievo come l’essenza della produzioneideologica si collochi all’interno dei conflitti storici: fu pro-prio attraverso la loro lotta contro il feudalesimo che iborghesi acquistarono una certa coscienza di classe e giunseroa volere, e poi a instaurare, un nuovo ordine politico. Nelconflitto, la borghesia giunse a creare un modello culturaleconforme alle sue aspirazioni, definendo la sua libertàeconomica ed eliminando gli ostacoli feudali e religiosi allasua egemonia.

Nel 1864 Proudhon pone il problema in questi termini:le classi operaie hanno acquistato coscienza di sé? Sonopervenute ad una teoria, ad un’idea rivoluzionaria? La rispostache darà a questi due interrogativi sarà affermativa15.

È, in primo luogo, all’accentuarsi delle contraddizionieconomiche che Proudhon attribuisce lo sviluppo della co-scienza politica delle classi operaie. Egli sottolinea che, giàprima delle grandi rivoluzioni del XVIII secolo, le classicosiddette inferiori avevano coscienza delle iniquità di cuierano vittime e quindi della loro identità di classe, ma che,tuttavia, esse non si distinguevano chiaramente dai deten-tori del capitale. Molto acutamente, egli nota che la Rivo-

15. De la capacité politique des classes ouvrières, pp. 83-92.

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luzione francese del 1789 non era stata soltanto una rivo-luzione borghese, come si ritiene comunemente, ma una crisiall’interno della quale i partiti o le sette popolari (“Sanculotti,Maratisti, Hebertisti, Babuvisti”)16 si resero conto che larivoluzione si stava facendo a vantaggio della borghesia ecercarono, invano, di mutarne il corso. Anche se fallirono,queste prime lotte di classe incisero profondamente nellacoscienza operaia e non vennero più dimenticate. Ma fusoprattutto l’estendersi della contraddizione capitalistica trail capitale e il lavoro che, al di là di provvisorie illusioni emistificazioni, impose alle classi operaie l’esperienza dellaspecificità della loro condizione sociale, della sorte comuneimposta ai salariati. Il processo economico di separazioneche il sistema capitalistico mette in atto tra proprietari-imprenditori e salariati, ha caratteri così concretamenteevidenti da condurre il proletariato a riconoscersi come classedistinta, come classe contrapposta agli interessi dellaborghesia. Nei conflitti politici questa coscienza di classe siprecisa, si afferma e non a caso Proudhon fa coincidere conil 1848 il momento di chiarificazione in cui il proletariatopervenne ad una chiara coscienza di sé.

La seconda questione, quella di sapere se le classi operaiesiano giunte a formulare una teoria rivoluzionaria, come inprecedenza vi erano giunti i rivoluzionari borghesi, portaProudhon ad esplicitare cosa egli intenda esattamente per“teoria operaia”. Tutta la sua analisi è tesa ad articolare stret-tamente coscienza di classe e idea di classe, a sottolineareche il progetto rivoluzionario discende non da una rap-presentazione astratta, bensì dalla prassi cosciente che unaclasse spontaneamente realizza.

Egli non ignora che intellettuali di origine borgheseabbiano potuto fornire alle classi operaie elementi di criticae audaci progetti di riforma: cita in particolare Saint-Simon,Fourier, Pierre Leroux e non nega che questi innovatoriabbiano esercitato una qualche influenza sul movimentooperaio17. Nega però che siano stati questi intellettuali ipromotori del socialismo: se anche hanno proposto formulenuove, le classi operaie le hanno interpretate a loro modo esecondo le loro proprie esigenze. Proudhon in tal mododefinisce il ruolo degli intellettuali in seno al movimento

16. Ibid., p. 104.17. Ibid., pp 105-109.

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sociale e avverte che essi non potrebbero, senza il rischio diuna nuova alienazione, pretendere di porsi alla guida delmovimento. Il loro ruolo, ed è il ruolo che Proudhon assegnaa se stesso, è solo quello di scoprire “il pensiero segreto dellemasse”18 per esprimerlo, coordinandolo ed esplicitandolo,nel modo più fedele possibile. Una delle condizioni perchéquesta autentica volontà delle masse trovi un’effettivarealizzazione è che il progetto operaio non sia fatto proprioda elementi esterni e non divenga monopolio di capi-partito.

Il fatto è che il progetto politico originale, che è condizio-ne essenziale dell’azione rivoluzionaria, discende in primoluogo dalla coscienza di classe. Proudhon stabilisce qui unlegame strettissimo tra la teoria rivoluzionaria e questacoscienza collettiva e dà perciò come contenuto alla teoriala conoscenza che la classe acquisisce della propria con-dizione. Questa tesi, che è presente in tutta l’opera di Proud-hon e che si trova espressa con maggior vigore nella Capacitépolitique des classes ouvrieres, caratterizza molto chiaramentela sua concezione della teoria e dell’azione rivoluzionaria.La teoria politica di un movimento non può essere impostadai capi, essergli fornita “dall’esterno” (come più tardi affer-merà Lenin nel Che fare?); essa è, e deve essere, espressionedella coscienza che la classe operaia acquista di sé e dellasituazione che ha di fronte. Questa coscienza è non soloconoscenza della propria posizione oggettiva nei conflitti diclasse, conoscenza degli interessi della classe, ma anche, peruna classe che rappresenta tutte le forze produttive dellasocietà nel suo insieme e dunque gli interessi della stragrandemaggioranza dei cittadini, coscienza della dignità collettivae dei diritti che è giusto pretendere. La coscienza di classe,in un movimento rivoluzionario, è tanto coscienza dellasituazione, delle possibilità e degli obiettivi, quanto coscienzavalorizzatrice di se stessa. Insomma l’idea, la teoria, non èche l’espressione, ridotta a sistema, dell’essere di classe, larappresentazione coerente, l’espressione discorsiva della“legge del suo essere”19. È ciò che ha dimostrato la borghesianella sua lotta contro le caste feudali: prendendo coscienzadel ruolo subordinato che le era imposto e della situazionedi inferiorità sociale in cui era tenuta, essa seppe formulareuna sua teoria dei diritti dell’uomo, nella quale la nobiltà

18. lbid., p. 76.19. Ibid., p. 90.

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era abolita, la monarchia ridotta a pura funzione e la classeproprietaria giustificata nella sua conquista del potere. Inquesto progetto essa esprimeva appunto la “legge del suoessere” e trovava parole conformi alla sua realtà e alla suapratica di classe. L’idea politica è dunque “spontanea” e nonè veramente rivoluzionaria se non emana direttamente dalleclassi interessate, dalla loro coscienza e dalla coscienza dellaloro prassi. È questo il ragionamento che porta Proudhonad affermare che il comunismo autoritario non è una teoriaautenticamente proletaria. Quegli operai che cercanorisposta ai loro problemi in una dottrina statalista, nonesprimono, secondo Proudhon, la loro autentica prassi e laloro opposizione al capitalismo borghese, ma non fanno altroche riprodurre il modello dispotico che è loro imposto. Nel-l’aderire a questa dottrina, intellettuali e operai non espri-mono affatto l’originalità radicale della loro situazione e deiloro atteggiamenti pratici, ma ricalcano inconsciamente ilmodello gerarchico tradizionale imposto da tutti gli Stati, lechiese e i regimi di ingiustizia e di sfruttamento: propongonosì una trasformazione sociale, ma entro il quadro tradizionalee in conformità con la concezione borghese.

È dunque nella prassi autenticamente operaia, estraneaall’autoritarismo statalista o capitalista, che Proudhon indi-vidua il vero movimento operaio, movimento insieme pra-tico e teorico. Egli dà, a questo punto, grande rilievo allemolte cose nuove che si erano venute sviluppando in Eu-ropa dopo gli anni Venti, soprattutto alla creazione delleassociazioni operaie, delle società di mutuo soccorso, dellesocietà operaie di produzione, delle coalizioni operaieall’interno delle imprese, tutte organizzazioni spontanee chesi sviluppavano al di fuori dei controlli ufficiali e prefi-guravano, ai suoi occhi, l’autonomia politica delle classioperaie. Egli sottolinea in particolare l’importanza dellesocietà di mutuo soccorso e delle casse mutue di credito20 in cuisegretamente si venivano associando capi operai e lavoratoridipendenti per organizzare essi stessi la loro protezione inun sistema di mutua assicurazione. Così le cooperative diproduzione, organizzate dagli operai stessi in forme autogestite,gli sembrano espressioni esemplari di quel movimentoautenticamente operaio destinato a riorganizzare l’intera

20. Ibid., p. 122.

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economia. E, in realtà, il mutualismo di cui egli si pone comeil teorico, non era l’invenzione di qualche intellettuale, mauna concreta prassi operaia che veniva attuandosi in alcunisettori dell’industria e dell’artigianato. Proudhon incita adandare avanti su questa strada in maniera più radicale,vedendo in ciò il modello, il mezzo e il fine della prassi rivo-luzionaria.

Il messaggio di azione che Proudhon lancia alle classi ope-raie, assume così caratteri ben precisi: egli incita gli operai aportare avanti la loro lotta estendendo le associazioni e lecoalizioni in funzione anticapitalistica, ma ha peraltro benchiaro che queste associazioni non possono limitarsi asvolgere un ruolo prevalentemente rivendicativo nellacontrattazione coi datori di lavoro. È per questo che il suointeresse verso gli scioperi si è sempre dimostrato alquantoscarso: il movimento operaio non deve, secondo lui, limitarsiad una difesa corporativa all’interno di un sistema che rimaneimmutato. Egli esorta gli operai a non vedere in queste lotteche un mezzo per conseguire un fine ben più vasto, ossia laliquidazione del sistema capitalistico. Per lui, questeassociazioni dovrebbero costituire il modello sociale di unfuturo in cui i produttori realizzeranno effettivamentel’autogestione, saranno effettivamente sovrani e governanti21.In questa prospettiva non ha assolutamente senso attendersiche una rivoluzione momentanea risolva d’un colpo tutti iproblemi, bisogna invece concepire l’autogestione comeun’attività continua, comprendere, in altri termini, che, inuna società gestita dagli stessi produttori, la rivoluzione èqualcosa di “permanente”22.

La lotta deve dunque muoversi lungo due direttrici:Proudhon invita anzitutto gli operai a confluire verso tuttequelle associazioni che opereranno, in concreto, veri e pro-pri “atti di separazione”23 nei confronti del sistema borghese:è nell’interesse stesso delle società operaie segnare quellarottura a partire dalla quale tutte le forze borghesi diintegrazione si trovano messe in scacco. Queste iniziativecostituiscono la prova concreta che la classe operaia ha ideee interessi di classe ed è in grado di contrapporre al sistemaproprietario un modello sociale perfettamente opposto e

21. Ibid., p. 216.22. Les confessions d’un révolutionnaire, p. 399.23. De la capacité politique des classes ouvrières, p. 64.

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originale. Contemporaneamente, e in diretto rapporto conqueste iniziative, Proudhon invita le classi operaie adaffermare l’originalità della loro teoria, a guardarsi da ognicedimento economico, politico o ideologico, ad imporsi alivello pratico, così come a livello simbolico, con iniziative dicui esse dovranno essere, permanentemente, le sole prota-goniste. Sta ad esse affermare il carattere assolutamente ori-ginale di quella società di giustizia che è la democraziaindustriale, metterla, allo stesso tempo, in atto attraverso leiniziative che la esprimono, e controllarne di continuo larealizzazione e l’esecuzione.

Fin dal 1840, data di pubblicazione della Prima Memoriasulla proprietà, il successo del messaggio proudhoniano fuenorme tra le classi operaie. Tutti i giornali operai dell’epocafecero eco alla sua critica e vi attinsero argomenti per le lorodenunce del capitalismo. Nel 1848, gli elettori parigini degliambienti popolari elessero Proudhon all’Assembleanazionale, mostrando così di considerarlo uno dei loromigliori portavoce. Ma, con quest’opera, Proudhon si attiròcontemporaneamente l’odio, ben giustificato, delle classidominanti che gli costò, sotto il Secondo Impero, il carceree l’esilio. Tuttavia è molto significativo che a Proudhon, innessun momento della sua vita, sia venuto in mente di ergersia tribuno, a capo-popolo, né di creare una nuova setta inmezzo alle tante scuole rivali; e, in realtà, tutta la sua teoriapolitica, la sua concezione di un socialismo democratico,esclude l’accaparramento del potere da parte di un capo, siapure popolare; Proudhon, al contrario, non si stanca dimettere in guardia contro la propensione borghese, e in parteanche operaia, a rimettersi ad un salvatore o ad una setta,tendenza che egli considera esattamente agli antipodi di unaprassi rivoluzionaria. Se è indubbiamente necessario, comeegli scrive, creare e ricreare il “partito della rivoluzione”, ciònon significa affatto rimettere le proprie libertà nelle manidi un gruppo di politici di professione, ma, al contrario,impegnare ogni produttore e ogni gruppo di produttori inuna prassi autonoma di direzione e di gestione.

Non vi fu mai perciò un partito proudhoniano e il grup-po di amici che si formò intorno a lui non pretese mai ditrasformarsi in una setta. Ma, per un paradosso che è soloapparente, lo spirito proudhoniano non ha cessato, dallametà dell’Ottocento in poi, di essere presente in tutti imovimenti ispirati all’autogestione nelle loro espressioni

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anarchiche o sindacalistiche. È noto che questa tendenzapartecipò attivamente a tutta l’evoluzione della Prima In-ternazionale: il primo periodo (1864-1868) fu caratterizzatodal conflitto tra gli operai francesi di tendenza proudhonianae gli amici di Marx, ma, anche dopo l’uscita di questi operai,il conflitto continuò, sulle stesse basi, con la messa sotto ac-cusa dell’anarchismo dei seguaci di Bakunin. Gli operai delGiura, nel loro timore di veder risorgere un’autoritàcentralizzatrice, trassero argomento dalle opere di Proud-hon per difendere il federalismo e denunciare il pericolodel costituirsi di una nuova casta di dirigenti.

La Comune di Parigi (marzo-maggio 1871) mostrò comele tesi di Proudhon esprimessero, senza ambiguità, le piùprofonde aspirazioni popolari. Nelle discussioni che univa-no e dividevano i comunardi, l’accordo veniva raggiunto suiprincipi di autonomia che Proudhon aveva formulato pochianni prima: avversione ad ogni forma di centralizzazioneeconomica e statalistica, condanna di qualsiasi dispotismo,ripristino delle autonomie comunali in un sistema federativo,organizzazione della nazione come autentica confederazionedi comuni. Le parole d’ordine furono, in quei giorni, le stesseche Proudhon aveva reso popolari: associazione, cooperativa,federazione, comune, distruzione dello Stato accentratore.Quest’ultimo termine, che Lenin avrebbe ripreso in Stato erivoluzione durante la rivoluzione del 1917 attribuendolo aicomunardi, trova invece in Proudhon la sua origine e la primateorizzazione sistematica in seno al movimento socialista. Lasconfitta della Comune di Parigi non segnò che una fase dimomentaneo arresto nella diffusione dello spiritoproudhoniano.

Nella seconda metà dell’Ottocento, tutti i gruppianarchici europei, in Italia, in Francia, in Spagna, e tutti iteorici dell’anarchismo (dopo Bakunin, Kropotkin, Reclus,Grave) videro in Proudhon uno dei loro ispiratori se nonaddirittura il “padre dell’anarchismo”. In Francia, negli anni1885-1910, il sindacalismo rivoluzionario rappresenta, nellasua versione anarco-sindacalista, una reinterpretazionesindacale del proudhonismo: stessa diffidenza verso i partitipolitici, stessa ricerca di un miglioramento della condizioneoperaia attraverso una rivoluzione autenticamente proletaria,stessa lotta di classe contro lo Stato. In Russia, dove Herzenaveva fatto conoscere, fin da prima del 1870, le opere diProudhon, di cui era amico, il dibattito intorno ai temi

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proudhoniani fu costante e, nel movimento dei soviet, ebbeparte assai significativa questo orientamento teorico e pratico.

Il posto del messaggio proudhoniano in seno aimovimenti socialisti non va perciò limitato alle influenzedirette o alle particolari reintegrazioni che ne sono state fattenel corso della complessa storia di quegli anni. Molto piùampiamente, Proudhon segna il punto di avvio, all’internodelle iniziative socialiste, di una tendenza che continuerà aevolversi e a ricomparire, tendenza che trae la propria vitalitàdalla continuità di una precisa aspirazione, fortementepresente tra le classi produttrici, che oggi trova espressionenei movimenti socialisti basati sulla autogestione. Le lottecondotte in questa direzione nei paesi capitalistici come neipaesi socialisti, per limitare l’influenza statale e burocratica,per infrangere i monopoli di Stato, per restituire ai produttorie ai gruppi parziali il diritto di controllo sulla loro attività,ripropongono l’essenza della rivendicazione proudhoniana.Perciò, leggendo Proudhon, abbiamo oggi la sensazione nontanto di scoprire una riflessione del passato quanto diritrovare parole d’ordine del presente e dell’avvenire. Le suetesi sull’autogestione nelle imprese, sul necessariodecentramento delle decisioni, sulla distruzione di ognidispotismo economico e politico, la sua diffidenza verso gliStati militaristi, la sua fondamentale rivendicazione di uncontrollo collettivo della produzione e della vita politica, ilsuo progetto di un federalismo europeo e mondiale, trovanodirettamente posto nelle lotte politiche e nelle speranze delXX secolo.

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Bibliografia essenziale

I. Opere principali di P.-J. Proudhon

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Opere postumeDe la capacité politique des classes ouvrières, Paris 1865 (trad. it. Lacapacità politica delle classi operaie, Città di Castello 1921).Du principe de l’art et de sa destination sociale, Paris 1865.Théorie de la propriété, Paris 1865.Césarisme et christianisme, Paris 1883.

Le Opere complete di Proudhon furono pubblicate una prima volta aParigi fra il 1867 e il 1870 in una edizione in 20 volumi. La secondaedizione, a cura di C. BOUGLÉ e H. MOYSSET, iniziata nel 1923,non è ancora stata completata.Brani tratti dalle opere principali di Proudhon sono contenuti intraduzione italiana nel volume La questione sociale, a cura di M.BONFANTINI, Milano 1957.

II. Scelta di studi critici

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PremessaCritica dell’economia politica - L’autogestioneoperaiaCritica dell’illusione politica - La societàanarchica e federalistaCritica delle ideologie - La giustizia realizzata

Bibliografia

INDICE

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Finito di stampare nel mese di settembre 2004da Samizdat, via Valle Di Rose 15 Pescara per conto del

Centro Studi LibertariCamillo Di Sciullo

Chieti