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PRODUZIONI ANIMALI V ANNO AGRARIA AGROALIMENTARE E AGROINDUSTRIA - Zootecnia - Meccanizzazione degli Allevamenti - Analisi dei Fattori Alimentari - Biotecnologia - Gli Alimenti Zootecnici - Allevamento della Capra - Allevamento Ovino - L'Allevamento Biologico - Zootecnia Biologica - Agricoltura Biologica - Malattie Trasmissibili dall'Animale all'Uomo

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Page 1: PRODUZIONI ANIMALI V ANNO AGRARIA AGROALIMENTARE … · costruttori. Al momento attuale, sono noti 17 produttori che hanno sviluppato numerosi modelli ... razione (integratori, alimenti

PRODUZIONI ANIMALI V ANNO

AGRARIA AGROALIMENTARE E AGROINDUSTRIA

- Zootecnia - Meccanizzazione degli Allevamenti

- Analisi dei Fattori Alimentari

- Biotecnologia

- Gli Alimenti Zootecnici

- Allevamento della Capra

- Allevamento Ovino

- L'Allevamento Biologico

- Zootecnia Biologica - Agricoltura Biologica

- Malattie Trasmissibili dall'Animale all'Uomo

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ZOOTECNIA MECCANIZZAZIONE DEGLI ALLEVAMENTI

 

Le modalità di alimentazione delle bovine da latte assumono un ruolo di grande importanza negli allevamenti moderni sia per gli aspetti economici implicati che per quelli tecnologici. Infatti, i costi degli alimenti zootecnici e le crescenti quantità utilizzate annualmente in allevamenti di dimensioni sempre più grandi, obbligano ad un loro utilizzo sempre più efficiente.

Un esempio è fornito dal successo del razionamento unifeed che consente di realizzare diete perfettamente bilanciate tanto da far diventare questa tecnica, negli ultimi 15-20 anni, la più utilizzata negli allevamenti europei e nordamericani grazie anche alla vasta disponibilità di carri trinciamiscelatori trainati e semoventi. Più recentemente, tuttavia, sono stati sviluppati dei sistemi automatici (Automatic Feeding Systems o Afs) in grado di preparare e distribuire razioni unifeed con un intervento limitato da parte dell’operatore. Questi sistemi sono basati sia su tecnologie già esistenti ed utilizzate per distribuire automaticamente singoli ingredienti (concentrati, insilati, fieni), sia su concetti totalmente innovativi. Uno degli aspetti emergenti più interessanti riguarda l’inserimento dei sistemi automatici per l’unifeed sia in stalle esistenti che nuove facendo emergere inedite possibilità di progettazione degli edifici e degli stoccaggi.

LA DIFFUSIONE DEI SISTEMI AUTOMATICI

A livello pratico, gli Afs si stanno diffondendo nelle aziende zootecniche a partire dagli ultimi 3-5 anni, stimolando l’ingresso sul mercato di un numero crescente di costruttori. Al momento attuale, sono noti 17 produttori che hanno sviluppato numerosi modelli di robot per l’unifeed da utilizzare in stalle a stabulazione libera, che si differenziano fondamentalmente in base al principio di funzionamento. Una stima approssimativa consente di valutare in circa 300-400 gli allevamenti che stanno già adottando questo livello di meccanizzazione, principalmente localizzati in Nord Europa, Canada e Giappone.

Uno degli aspetti che maggiormente caratterizza un sistema automatico per l’unifeed è la possibilità di aumentare la frequenza di preparazione/distribuzione della razione da 1 fino a 15 volte al giorno. Questa modalità operativa sembra produrre uno stimolo all’attività di assunzione di cibo da parte delle bovine le quali sono già naturalmente predisposte ad effettuare numerosi piccoli pasti giornalieri. Ad esempio, recentissime ricerche su vacche da latte hanno fatto registrare una frequenza di 7-9 pasti al giorno, con una durata di ogni singolo pasto di 36-38minuti ed un quantitativo di razione consumata per pasto di 2,0-3,5 kg.

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Questi risultati, nella pratica, sono fortemente influenzati dalle modalità di gestione dell’allevatore. Altre ricerche, ad esempio, chiariscono che la frequenza di distribuzione dell’unifeed può ridurre la competizione alimentare tra gli animali e la quantità di scarto lasciato in mangiatoia. Inoltre fatto di estremo interesse pratico altre ricerche dimostrano come la frequenza di distribuzione della razione favorisca le visite al robot di mungitura riducendo i picchi di accesso che si registrano con le modalità convenzionali di razionamento. Inoltre, sembra dimostrato che distribuire la razione 6 ore dopo la mungitura faccia aumentare di circa il 12% il tempo di alimentazione delle bovine rispetto al razionamento effettuato subito dopo la mungitura. Questi risultati fanno intuire inedite possibilità progettuali per gli edifici zootecnici che dovranno essere in grado di integrare diversi sistemi automatici come quello di mungitura, di alimentazione, di pulizia, di attività o riposo, di rilevamento dei calori, ecc. Diventa quindi interessante comprendere quale sia lo stato dell’arte relativamente alla tecnologia per l’automazione dell’unifeed.

I COSTRUTTORI E I PROGETTI SVILUPPATI

Consultando numerose fonti commerciali (costruttori, fiere nazionali ed internazionali, rivenditori, depliant, ecc.) ed analizzando la bibliografia disponibile, sono stati identificati numerosi produttori di Afs i quali hanno sviluppato diverse “variazioni sul tema”.

Ai costruttori è stato chiesto non solo di fornire indicazioni sulle tecnologie sviluppate, ma anche di indicare alcuni allevamenti rappresentativi da poter visitare per sentire le impressioni degli allevatori. 12 di queste aziende sono state individuate in Olanda e visitate nel corso di un programma internazionale di formazione dei ricercatori in cooperazione con l’Università di Wageningen.

Dall’analisi del materiale tecnico reperito si evidenzia che attualmente sono presenti sia prototipi a livello preindustriale (quindi molto avanzato, ma non ancora in commercio) sia modelli commerciali adatti a preparare razioni unifeed (anche parziale) e ad alimentare gli animali individualmente (solo un prototipo) o per gruppi (la maggior parte). Inoltre i sistemi posso essere stazionari o mobili ed offrire diverse strategie di alimentazione.

LE CARATTERISTICHE DEI SISTEMI AUTOMATICI

Come anticipato sopra, una prima distinzione tra i sistemi automatici di distribuzione e preparazione dell’unifeed può essere basata sulla possibilità di alimentare gli animali individualmente o per gruppi.

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– Unifeed individuale. Quest’opzione (foto 1) è stata sviluppata per alimentare le singole bovine con razioni calibrate individualmente in base alla produzione di latte di ciascuna.

L’unico prototipo oggi sviluppato e non in commercio è l’Atlantis di Lely concepito per operare in sinergia con i robot di mungitura. Il sistema prepara la razione quando la vacca si presenta in mangiatoia e le fornisce una piccola quantità di unifeed per ogni pasto (circa 1 kg) per fare in modo che l’animale consumi tutto l’alimento evitando la selezione degli ingredienti più appetiti e l’eventuale scarto.

– Unifeed a gruppi. La maggior parte dei modelli analizzati appartiene a questa categoria di robot. Gli animali sono alimentati con razioni bilanciate per gruppi anche molto piccoli di animali anche in combinazione con autoalimentatori (sia in stalla che in sala/box di mungitura) per pervenire ad un’alimentazione il più possibile “di precisione”. In questo caso possiamo distinguere i modelli proposti sulla base del modo di distribuzione (stazionario o mobile) oppure in base al modo di preparazione della razione (miscelatori fissi o mobili).

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– Sistemi stazionari. Questi modelli si basano su nastri metallici o in gomma (foto 2) per la distribuzione della razione preparata damiscelatori fissi (Agro Contact, Cormall, Pellon, Rovibec, Valmetal). La tecnologia è nota da tempo e viene utilizzata in particolare dove vi sono limitazioni di spazio. La sua evoluzione ha portato a realizzare sistemi automatici di distribuzione a frequenza e orari definibili dall’allevatore.

– Sistemi mobili con vagone distributore. Questi modelli (Cormall Multifeeder, De Laval Optimat, Pellon Feeder robot, Schauer/Rovibec SR,Rioh Sputnic) si basano su uno o più (in funzione del numero di razioni da preparare) trinciamiscelatori di tipo fisso, azionati elettricamente (foto 3). La razione preparata durante le 24 ore successive viene prelevata automaticamente da un vagone mobile di piccola cubatura ad intervalli e con frequenze decise dall’allevatore.

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In alternativa (De Laval) vi può essere un solo miscelatore con più container ausiliari in grado di assicurare la realizzazione di diverse razioni. I vagoncini distributori sono generalmente sospesi su binario, ma possono essere anche semoventi (Cormall) guidati da sensori laser e sensori annegati nel pavimento (foto 4).

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– Sistemi mobili con vagone miscelatore/distributore. Questi sistemi (Agro Contact, Agro X, Airablo, Cormall, Mullreup, Pellon,RovibecDP, Wasserbauer) si basano su una batteria di containers per lo stoccaggio temporaneo (da 1 a 3 giorni) dei foraggi e sili per i mangimi che periodicamente riempiono un vagone miscelatore/distributore generalmente di tipo sospeso su rotaia. I container possono essere fissi ed allineati vicino alla stalla (foto 5) o mobili in caso la disposizione dei sili permanenti sia in varie aree dell’azienda (foto 6).

I container vengono riempiti dall’allevatore quando il tempo glielo consente durante la giornata, offrendo una grande flessibilità operativa.

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I sistemi di scarico dei container prevedono tappeti a catene e traversine oppure veri e propri dispositivi di taglio (Trioliet, foto 7).

I vagoni/distributori sono di piccolo volume e dotati di sistemi di miscelazione simili a quelli disponibili per i carri miscelatori tradizionali anche se in questo caso, essendo azionati elettricamente tramite batterie imbarcate, è necessario ottimizzare le richieste di potenza riducendo o eliminando i sistemi di trinciatura (foto 8, 9 e 10).

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– Sistemi semoventi. Questi sistemi consistono in carri trincia miscelatori completamente semoventi e automatici dotati di sistema di navigazione basato su sensori annegati nel pavimento. Attualmente un solo costruttore (Schuitemaker) ha allo studio un prototipo molto avanzato con cassone da 6 m3 e potenza di 48 kW.

Una delle caratteristiche di questo sistema è di non richiedere modifiche di tipo strutturale (rotaie, alloggiamento per i container temporanei, linea elettrica, ecc.), ma di adattarsi alle caratteristiche di edifici esistenti purchè sufficientemente accorpati e di loro successive modifiche.

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In definitiva, le tipologie dei sistemi automatici per l’unifeed analizzati oggi presenti sul mercato o in fase di sviluppo, possono essere rappresentate schematicamente come in Figura A.

STRATEGIE DI RAZIONAMENTO

Uno degli aspetti che maggiormente caratterizzano i sistemi automatici per l’unifeed riguarda la possibilità di aumentare la frequenza di distribuzione in modo da gestire l’ingestione di alimento, stimolare l’attività delle bovine, ridurre lo scarto in mangiatoia e adattare il volume di razione da distribuire alle dimensioni del gruppo di animali. Nel caso della tecnica convenzionale il razionamento avviene con 1-2 distribuzioni al giorno intervallate da un numero variabile (3-5, nel maggior numero di casi) di riavvicinamenti della razione in mangiatoia. Questa prassi, da un punto di vista gestionale, non si discosta molto dalle più tradizionali tecniche di alimentazione ad libitum, dove l’allevatore ha ben poche possibilità di intervenire sul ritmo di assunzione del cibo.

Si può commentare, sulla base dei risultati di recenti ricerche, che la composizione dell’alimento in mangiatoia varia nel corso della giornata in seguito alla selezione operata dagli animali sugli ingredienti più appetiti. Inoltre, altre ricerche riportano che gli animali ingeriscono rapidamente circa 1/3 dell’intera razione nelle prime 3 ore dalla distribuzione, evidenziando un comportamento alimentare fuori dal controllo dell’allevatore. Nel caso della distribuzione automatizzata con Afs, è possibile ripartire la razione giornaliera in più distribuzioni con alcuni risultati inediti.

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Nel caso in cui il 12,5% dell’intera razione giornaliera viene distribuito automaticamente con piccoli vagoni alla frequenza di 8 distribuzioni ogni 3 ore esatte, la minor quantità distribuita ad ogni foraggiata può indurre gli animali a ridurre la selezione degli ingredienti, portandoli a consumare l’intero quantitativo offerto con poco scarto.

Tale strategia può prevedere delle varianti grazie alla possibilità di allungare l’intervallo di distribuzione nelle ore più calde (ad esempio ogni 4-5 ore) oppure riducendo i quantitativi preparati nelle ore notturne (8-10% della quantità giornaliera), agendo sulle impostazioni del sistema. Infine, la possibilità di disporre di vagoni di piccolo volume, ma azionabili con frequenze programmabili, consente di riempire sempre il cassone a livello ottimale (55-60% del volume nominale) modificando le quantità da distribuire, ad esempio, a gruppi aventi dimensioni variabili intervenendo semplicemente sulla frequenza.

ANALISI DEI FATTORI ALIMENTARI

Fattori comportamentali

L’elevata ingestione di sostanza secca (s.s.) da parte delle bovine da latte è un pre-requisito essenziale per sostenere un’alta produzione di latte - in particolare nella prima fase di lattazione – e per mantenere in buone condizioni di salute gli animali. Fino ad oggi moltissime ricerche hanno posto l’accento sulla possibilità d’incrementare l’ingestione di s.s. agendo sulla composizione nutrizionale della razione (integratori, alimenti particolarmente appetiti, miscele, ecc.). Tuttavia, è innegabile considerare come l’assunzione di s.s. di una mandria in un allevamento confinato – come è il caso degli allevamenti moderni intensivi – sia influenzata anche dal comportamento delle bovine che, a sua volta, è condizionato dall’ambiente, dalle tecniche di gestione, dallo stato sanitario e dalle interazioni sociali.

Fattori produttivi Tra i fattori in grado di influire sulla produzione di latte, ve ne sono principalmente due legati, rispettivamente, agli aspetti alimentari ed agli aspetti non alimentari. Tra i fattori alimentari vi è senza dubbio la quantità di s.s. ingerita, ma, oltre ad essa, anche la composizione chimica della razione e la composizione fisica della stessa assumono un ruolo fondamentale. I primi due fattori sono stati oggetto di numerosi studi a partire dagli anni ’30, epoca

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in cui si iniziò ad ipotizzare di integrare gli elementi nutritivi contenuti nei foraggi con proteine, glucidi ed elementi vitaminici e minerali al fine di incrementare le produzioni di latte e, contemporaneamente, attivare un settore commerciale nuovo, legato all’integrazione alimentare zootecnica. Molte ricerche svolte negli Stati Uniti ed in Francia hanno portato a definire dei modelli di riferimento per la costituzione di razioni alimentare bilanciate atte a soddisfare – per quantità e qualità – le esigenze produttive e riproduttive degli animali allevamento in funzione di numerosi parametri biologici (peso vivo, età, stato riproduttivo, produzione di latte o carne, entità della produzione, stagionalità, ecc.). Tra i modelli proposti, quelli di maggior successo sono quelli messi a punto dall’INRA (Institut National de la Recherche Agronomique, France), dal NRC (National Research Council, U.S.A.) o dalla Cornell University, NY, U.S.A. Quest’ultima, in particolare, ha messo a punto un sistema di razionamento (Cornell Net Protein and Carbohydrate – CNPC) in grado di prevedere la produzione supportata, il pH ruminale, il livello di urea nel plasma e nel latte, l’accumulo o il consumo di riserve corporee, ecc. Recentemente, è stata evidenziata e confermata l’importanza anche della composizione fisica degli alimenti forniti agli animali in particolare per i ruminanti ad elevata produzione, cui sono somministrate razioni particolarmente dense dal punto di vista energetico, ma che devono essere bilanciate anche per quanto riguarda alcune frazioni fibrose al fine di non provocare – tra gli altri effetti – disordini metabolici, riduzione del tenore di grasso nel latte, dislocazione dell’abomaso, ridotta digeribilità della s.s., incremento dell’incidenza di laminiti, acidosi, sindrome della vacca grassa (Sudweeks et al., 1981). Sorprendentemente, a tutt’oggi non esistono prescrizioni ufficiali sulla lunghezza minima della fibra che deve essere garantita e fornita alle bovine da latte, tuttavia è stato appurato che vacche che consumano una quantità sufficiente di fibra – rilevata con metodi analitici di carattere chimico come, in particolare, quello delle frazioni fibrose proposte da Van Soest di cui la fibra residua al detergente neutro (NDF) rappresenta uno dei più importanti – ma senza un apporto adeguato di foraggio lungo, hanno evidenziato anch’esse disordini metabolici. Si è visto, infatti, che la presenza di fibra, ma eccessivamente trinciata, apporta particelle di foraggio le cui dimensioni riducono il tempo di ruminazione con il conseguente abbassamento del pH ruminale; tale fenomeno è dovuto alla minor produzione di saliva la quale svolge un ruolo di tampone dell’acidità. Al contrario, parametri fisici quali la densità e la conseguente galleggiabilità delle particelle di foraggio specialmente se aventi caratteristiche dimensionali diverse, si è visto giochino un ruolo altrettanto importante nella nutrizione influenzando la velocità di transito ruminale dell’alimento ingerito. Normalmente, infatti, le bovine ingeriscono particelle di foraggio di dimensioni anche molto diverse; questo fatto, unitamente alla frequenza di foraggiamento e alla quantità ingerita, può favorire la stabilità delle funzioni digestive all’interno del rumine e contribuire a modulare il seguente transito del prodotto digerito nei successivi tratti dell’apparato digerente. La dimensione

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media delle particelle ed il campo di variazione della stessa sono, quindi, di estrema importanza nutrizionale per i ruminanti. Poiché, come si è visto, la distribuzione delle dimensioni delle particelle di foraggio è importante dal punto di vista nutrizionale, ai fini di una corretta gestione dell’alimentazione è necessario fornire una descrizione dell’incidenza delle varie classi dimensionali piuttosto che la semplice lunghezza media delle stesse. Diverse metodiche sono oggi disponibili per tale determinazione; queste si basano sia su apparati da laboratorio dotati di torri di setacci vibranti aventi dimensioni delle maglie decrescenti come, ad esempio, quanto proposto dall’ASABE (2003) oppure su metodi semplificati di cui il più diffuso è stato sviluppato da Lammers et al. (1996) basato su tre setacci portatili ed un contenitore terminale azionati, a mano, direttamente dall’operatore secondo una procedura codificata. Tra gli aspetti non nutrizionali, il comfort e il basso livello di competitività tra le bovine per le risorse (cibo, spazio, ecc.) sembrano rappresentare i fattori principali in grado di influire sulla produzione di latte. Un eccessivo numero di capi rispetto alla disponibilità di cuccette oppure la presenza di spazi lineari in mangiatoia riferiti al singolo capo inferiori a quanto raccomandato, è una prassi spesso utilizzata nella pratica per aumentare la dimensione della mandria senza investire nelle strutture stabulative.

Gli effetti sul breve e lungo periodo di tali modalità gestionali non sono ancora perfettamente noti, tuttavia si pensa possano influire non solo sul comportamento degli animali, ma anche sulla loro produttività e stato di salute. Infatti, i tre comportamenti animali che influiscono maggiormente su tali parametri, sono: i) il riposo, ii) l’assunzione di cibo e iii) la ruminazione.

In generale, è stato dimostrato (Grant, 2007) che le vacche hanno la necessità di 12 - 14 ore di riposo e di 3 - 5 ore per l’assunzione di cibo (Tabella 2).

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Come si nota, queste due necessità principali (nutrizione e riposo) richiedono il 60-80% del tempo giornaliero di 24 ore a disposizione, lasciando uno spazio ridotto e ben definito alle attività di gestione (p. es.: mungitura, cure, ecc.). Inoltre, si deve considerare che le bovine, dovendo scegliere una priorità tra il riposo e l’assunzione di cibo, preferiscono il riposo come dimostrato recentemente da Munksgaard e riportato anche da Bach, in sperimentazioni condotte in stalle appositamente sovra-affollate dove si è osservato come gli animali decidano di passare molto più tempo in attesa che si liberi una cuccetta rispetto a quanto siano disposti ad attendere affinché si liberi un posto in mangiatoia. Risulta anche molto interessante la comparazione eseguita da Grant (2007) in cui si riporta la relazione tra le ore di riposo (che a loro volta sono risultate correlate con i parametri legati alla disponibilità di spazio nell’edificio zootecnico. ogni ora di riposo in più determina un incremento nella produzione di latte pari 1,7 kg indicando come tale fattore non alimentare sia da tenere in considerazione non solo in fase di progettazione o ristrutturazione di edifici zootecnici, ma anche quando si intendono introdurre innovazioni che interferiscono con la distribuzione dello spazio o con l’attività delle bovine, tra le quali i sistemi robotizzati di mungitura o quelli di alimentazione come sarà sviluppato nel presente lavoro. E’ evidente che l’obiettivo di stimolare l’attività delle bovine al fine di ottimizzare la produttività delle macchine deve essere opportunamente modulato affinché prevalgano sempre le condizioni di accettabilità e benessere degli animali. Fattori fisiologici e metabolici Il 70% della sostanza organica ingerita come alimento dalle bovine da latte è degradata o alterata dai microorganismi ruminali. Questi producono acidi grassi volatili (AGV) e proteine che rappresentano i principali precursori della sintesi del latte. E’ evidente, pertanto, che la rapida crescita e moltiplicazione dei microorganismi ruminali ed il mantenimento delle condizioni ambientali ottimali affinché ciò avvenga, rappresentano requisiti fisiologici fondamentali per sostenere alte produzioni ed elevati tassi di efficienza alimentare. Infatti, maggiore è l’attività microbica, maggiore sarà la quantità di alimento che potrà essere ingerito dagli animali e maggiore sarà la disponibilità intestinale di nutrienti da destinare alle produzioni. Tuttavia, quanto più alto è il tasso di fermentazione ruminale, tanto più alto è il rischio di caduta del pH ruminale a causa proprio dell’elevata produzione di AGV (in particolare acido lattico) che innesca un processo negativo con conseguente bassa degradazione della fibra, basso tenore in grasso del latte e disordini metabolici che possono anche compromettere l’intera lattazione. L’efficienza alimentare L’efficiente utilizzazione delle risorse è una componente importante di ogni attività

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economica. L’efficienza alimentare, nello specifico, indica la capacità di convertire gli elementi nutritivi contenuti nelle razioni zootecniche in produzioni animali vendibili. Tale efficienza si misura per mezzo dell’indice di conversione degli alimenti ed è stata utilizzata in molti settori dell’allevamento (carne bovina, suina, avicola), ma solo recentemente s’inizia a considerare l’efficienza alimentare nelle bovine da latte. In questi allevamenti, il costo degli alimenti – siano essi autoprodotti o acquistati sul mercato – rappresenta la principale voce di spesa per fattori produttivi e, pertanto, la loro efficiente conversione in latte e in gravidanze incide direttamente sulla redditività dell’allevamento. Alcuni aspetti ambientali e gestionali devono essere considerati al fine di evitare sprechi energetici quali, ad esempio: • il freddo o stress da caldo; • le distanze da percorrere (mungitura - mangiatoia - area di riposo); • incrementi di peso e stato corporeo; • gestione del razionamento. Quest’ultimo aspetto, in particolare, è quello di maggior interesse ai fini del presente lavoro; infatti, la sequenza e la modalità delle operazioni di caricamento e miscelazione degli alimenti nel carro unifeed hanno un’enorme importanza, spesso sottovalutata, ai fini dell’efficienza della gestione alimentare in quanto determinano l’omogeneità di miscelazione e la dimensione delle particelle in mangiatoia, molto importanti per l’ottenimento di un corretto turnover ruminale o velocità di passaggio e quindi per la massimizzazione dell’ingestione di sostanza secca, pur con elevata digeribilità della razione. Infine, la valutazione dello stato corporeo o Body Condition Score (BCS) fornisce suggerimenti importanti sui momenti fisiologici su cui eventualmente intervenire per evitare eccessi o carenze energetiche, utilizzando come momenti principali di osservazione l’asciutta, il parto e i primi 40-60 giorni di lattazione. Pertanto, il concetto di efficienza alimentare deve spostare l’attenzione dell’allevatore dalla ricerca del minimo costo alimentare, alla determinazione della massima efficienza alimentare, cioè alla massimizzazione della differenza tra il costo alimentare individuale e il latte prodotto per vacca.

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BIOTECNOLOGIA

Biotecnologia (o tecnologia biologica) è un termine generico con il quale si indicano tutte le applicazioni tecnologiche della biologia.

Tra le definizioni disponibili, la più completa è indubbiamente quella stessa dalla Convenzione sulla Diversità Biologica UN, ossia:

La biotecnologia è l'applicazione tecnologica che si serve dei sistemi biologici, degli organismi viventi o di derivati di questi per produrre o modificare prodotti o processi per un fine specifico.

La biotecnologia, quindi, può essere definita come quel ramo della biologia riguardante «...l'utilizzo di esseri viventi al fine di ottenere beni o servizi utili al soddisfacimento dei bisogni della società».

Nel linguaggio corrente, si utilizza più frequentemente il termine al plurale (biotecnologie), ad indicare la pluralità di tecnologie sviluppate e i relativi ambiti di applicazione.

Descrizione

Le biotecnologie sono utilizzate nel settore agroalimentare per ottimizzare il ruolo dei microrganismi, conosciuto da secoli, nella produzione di alimenti comuni. La conoscenza più approfondita (a livello molecolare) dei processi fermentativi di vino e birra, nonché dei meccanismi di incrocio e selezione di varietà animali e vegetali ha portato negli ultimi decenni il settore agroalimentare ad essere sempre più influenzato dalle biotecnologie.

Numerose sono anche le applicazioni nel campo del biorisanamento (trattamento, riciclo e bonifica di rifiuti attraverso microrganismi attivi). Vi sono applicazioni che, pur non servendosi di microrganismi, sono classificate come biotecnologiche. Le biotecnologie sono infatti ampiamente utilizzate nello sviluppo di nuove terapie mediche o innovativi strumenti diagnostici. Le tecniche di DNA e RNA microarray utilizzate in genetica ed i radiotraccianti utilizzati in medicina sono ottimi esempi.

Le biotecnologie sono tuttavia più spesso associate all'utilizzo di organismi geneticamente modificati. Microrganismi come Escherichia coli o alcuni batteri possono essere utilizzati per la sintesi di sostanze come insulina o antibiotici. Anche cellule di mammifero geneticamente modificate sono ampiamente utilizzate nella biosintesi di farmaci. Promettenti nuove applicazioni sono legate alla biosintesi di farmaci attraverso organismi vegetali.

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Applicazioni al centro di ampio dibattito sono quelle atte alla produzione di animali e piante transgeniche (come il mais BT) noti a tutti come OGM.

Le biotecnologie hanno sostituito le società informatiche nel portafoglio dei titoli tecnologici quotati in borsa (NASDAQ). Delle 1300 aziende biotecnologiche che operano negli USA solo 35 (il 3 %) sono in attivo; le altre sono in perdita. Nonostante ciò i prezzi delle azioni sono in crescita, come ai tempi della bolla speculativa della Net Economy, dove i corsi azionari crebbero per tutti gli anni novanta per sgonfiarsi e tornare ai prezzi del decennio precedente.

Lo strumento principale di cui si avvalgono le biotecnologie, è l'ingegneria genetica. Questa disciplina si impegna per quello che riguarda il clonaggio genico (clonaggio dei geni di un organismo), e le relative analisi che permettono di costruire genoteche o di utilizzare vettori di espressione in modo di controllare l'attività trascrizionale\traduzionale di una data proteina d'interesse, per fini di ricerca o produttivi. Erroneamente l'opinione pubblica crede che le biotecnologie si avvalgono della clonazione somatica, ciò non è assolutamente vero. La clonazione genica si occupa di copiare specifiche sequenze di DNA, a differenza della clonazione somatica (copiare un organismo a partire da cellule somatiche) che è una manipolazione del sistema riproduttivo, la quale non ha scopi di utilizzo per fini biotecnologici...

Settori biotecnologici

Le applicazioni biotecnologiche sono numerose. La seguente classificazione, molto generica, riporta alcuni settori come definiti nel gergo internazionale.

• Blue biotechnology o "biotecnologie marine".

È il settore delle biotecnologie che si occupa di applicare le metodiche della biologia molecolare agli organismi marini e di acqua dolce. Riguarda l'utilizzo delle risorse marine allo scopo di: migliorare le conoscenze in ambito produttivo ed ecologico, potenziando la produzione di alimenti derivati e la loro salubrità; proporre nuove soluzioni per il controllo della proliferazione di organismi acquatici dannosi per l'uomo e l'ambiente; ricercare nuove molecole con potenzialità farmaceutiche.

• Grey biotechnology o "biotecnologie ambientali".

È il settore delle biotecnologie che si occupa di tutte le applicazioni direttamente correlate all'ambiente. Queste possono essere suddivise in due gruppi: salvaguardia della biodiversità e protezione dai contaminanti. Il primo gruppo comprende le applicazioni della biologia molecolare alle analisi di genetica di quelle popolazioni

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e specie animali che fanno parte dell'ecosistema; per quanto riguarda il secondo gruppo, fa parte delle biotecnologie ambientali l'utilizzo di microorganismi e piante in grado di isolare e rimuovere dall'ambiente le sostanze ritenute inquinanti come per esempio metalli pesanti e idrocarburi. Un valore aggiunto di questa capacità di riutilizzo è la possibilità di recuperare e sfruttare le sostanze estratte dall'ambiente direttamente o attraverso sottoprodotti e scarti dei microorganismi e delle piante.

• Green biotechnology o "biotecnologie agroalimentari".

È il settore delle biotecnologie che si occupa dei processi agricoli. L'applicazione più conosciuta è sicuramente il mais Bt, una pianta di mais modificata geneticamente in modo da produrre una tossina batterica, proveniente da Bacillus thuringiensis (da cui il nome Bt), tossica per gli insetti. In commercio esistono differenti varietà di coltivazioni in grado di resistere ad erbicidi o con maggiore resistenza alle malattie. Le applicazioni delle biotecnologie agroalimentari non si fermano alla semplice introduzione di proteine in un organismo vegetale, esistono modifiche che intervengono su intere vie metaboliche in modo da incentivare la produzione di metaboliti secondari (vedi golden rice o pomodori ricchi di antociani). Negli ultimi decenni sono state sviluppate delle vere e proprie produzioni di farmaci ricombinanti o vaccini in piante, soprattutto nei casi di farmaci orfani, in modo da facilitare la purificazione dei farmaci conseguentemente riducendo i costi di produzione. La patata Amflora, prodotta dalla multinazionale BASF, è invece un esempio di patata OGM utilizzata per produrre carta, quindi non per scopi alimentari. L'utilizzo in campo delle biotecnologie agroalimentari, se correttamente contestualizzata alle esigenze della società e del mondo agricolo, è importante per raggiungere incrementi di produttività soprattutto nelle aree dove gli eventi climatici avversi si verificano con intensità maggiore. La stabilizzazione delle produzioni attenuerebbe lo stress sulle scorte e la fluttuazione dei prezzi delle commodities, riducendo automaticamente la possibilità che gli individui più vulnerabili passino dalla condizione di povertà alla condizione di fame o sottonutrizione

• Red biotechnology o "biotecnologie mediche, farmaceutiche e veterinarie".

È il settore delle biotecnologie che si occupa dei processi biomedici e farmaceutici. La nascita dei primi farmaci biotecnologici risale alla produzione di antibiotici con microrganismi, quali le penicilline prodotte da funghi del genere Penicillium e le cefalosporine prodotte da Cephalosporium acremonium. Negli anni ottanta, con l'introduzione della tecnologia ricombinate è stata possibile la produzione di insulina, su scala industriale, in un batterio chiamato Escherichia coli. Attualmente vengono prodotte un gran numero di proteine ricombinanti  ad uso medico quali: fattori sanguigni (fattore VIII e fattore IX), ormoni (insulina ed ormone della

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crescita), fattori di crescita (Eritropoietina e HGFs), citochine (interferoni e interleuchine), vaccini e anticorpi monoclonali.

• White biotechnology o "biotecnologie industriali".

È il settore delle biotecnologie che si occupa dei processi di interesse industriale. Le principali applicazioni in questo settore prevedono l'utilizzo di enzimi, cioè proteine deputate ad accelerare un data reazione chimica. Enzimi come emicellulasi, xilanasi, lipasi ed ossidasi sono utilizzati per migliorare la resistenza della rete del glutine nei processi di panificazione. Nella produzione di latte per bambini le proteasi sono utilizzate da più di 50 anni nella produzione di latte vaccino per neonati, dato che agiscono scindendo le proteine presenti nel latte, rendendo il latte più digeribile e diminuendo i problemi di allergie. Sempre nel settore lattiero-caseario, l'enzima beta galattosidasi è utilizzato per idrolizzare il lattosio e rendere il latte ad alta digeribilità. Nel settore dei succhi di frutta, gli enzimi pectinasi sono impiegati per scindere la pectina, un polisaccaride presente nella frutta, requisito fondamentale per ottenere succhi di frutta limpidi e stabili. L'enzima laccasi, appartenente alla famiglia delle ossidasi contenente rame, trovano impiego in differenti campi: candeggio dei jeans attraverso l'ossidazione del colore indaco, l'ossidazione di composti fenolici nella produzione di etanolo, chiarificazione di vino, birra e succhi di frutta. Nell'industria della carta l'utilizzo delle cellulasi, enzimi in grado di degradare la cellulosa, permette notevoli risparmi ambientali rispetto al tradizionale procedimento chimico.

• Bioinformatica, come settore correlato alle biotecnologie.

Si tratta di un settore interdisciplinare che utilizza un approccio informatico per risolvere problematiche di tipo biologico. Gioca un ruolo determinante nelle applicazioni di genomica funzionale, genomica strutturale e proteomica. Ha un ruolo fondamentale anche nello sviluppo di nuovi farmaci (drug discovery).

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GLI ALIMENTI ZOOTECNICI  

ALIMENTI = ENERGIA = PRINCIPI NUTRITIVI Gli alimenti, con i loro principi nutritivi (acqua, fibra, amidi, proteine, grassi, vitamine), hanno il ruolo di soddisfare i fabbisogni degli animali durante le diverse fasi fisiologiche proprie di tutti i processi vitali (mantenimento, accrescimento, riproduzione, lattazione ). Gli animali assumono i diversi alimenti che l’allevatore fornisce in relazione alle loro effettive esigenze e alla disponibilità aziendale nel corso dell’anno. Gli alimenti, indipendentemente dalla loro categoria, sono composti da acqua ed una componente secca che contiene i principi attivi sotto elencati, fondamentali per una corretta alimentazione :

ACQUA–PROTEINE–CARBOIDRATI–GRASSI–MINERALI-VITAMINE I COMPONENTI DEGLI ALIMENTI Dalla loro combinazione dipende il valore nutritivo finale dell’alimento; l’animale li richiede tutti e in giusta misura. L’ACQUA E’ il costituente maggiormente presente nei tessuti vegetali, così come nell’organismo animale, essendo l’elemento fondamentale per le reazioni biochimiche. La quantità complessiva di acqua nei vegetali varia durante lo sviluppo vegetativo e si modifica durante le trasformazioni a cui essi possono essere sottoposti (sfalcio ed essicazione, insilamento, disidratazione, etc). I foraggi verdi sono molto ricchi di acqua con oltre l’80% sul peso totale (1 quintale di erba fresca contiene ben 80 chilogrammi di acqua e solo i 20 chilogrammi rimanenti forniscono la sostanza secca o utile dell’alimento). I fieni contengono il 12 - 15% di acqua; sono foraggi verdi sottoposti al processo di essicazione naturale al sole. Le granelle contengono solamente il 10%-12% di acqua; per l’alta densità energetica sono definiti alimenti concentrati. LE PROTEINE Sono molecole formate dall’unione di differenti aminoacidi. Costituenti essenziali di tutte le cellule concorrono a costruire l’organismo e le

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varie produzioni, latte, carne, lana. Regolano le reazioni biochimiche sotto forma di enzimi. Nei ruminanti una buona parte delle proteine degli alimenti è utilizzata dai batteri del rumine che, alla fine del loro ciclo vitale, vengono digeriti dall’animale fornendo proteine ad alto valore biologico ( comprendono aminoacidi essenziali per la vita ). Di conseguenza il ruminante soddisfa i propri fabbisogni a partire dagli aminoacidi che compongono le proteine delle cellule batteriche stesse. Ciò nonostante è necessario apportare anche una frazione di proteina direttamente assimilabile per compensare la naturale lentezza del meccanismo ruminale, soprattutto in animali che producono molto latte. Il fabbisogno di proteine viene espresso in % sulla sostanza secca ingerita; questo dato è importante per una corretta scelta del tipo e quantità di alimenti da distribuire agli animali nella razione giornaliera. In genere sono particolarmente ricchi in proteine i foraggi verdi, i fieni di leguminose (medica, trifoglio, sulla, veccia) e le granelle di leguminose (pisello, favino, soia). I fieni di graminacee e le granelle di cereali sono meno dotati di proteine. I CARBOIDRATI Sono molecole composte da zuccheri semplici (es. amido formato da glucosio). Costituiscono l’impalcatura scheletrica dei vegetali (es. cellulosa e lignina). Sono organizzati in catene complesse come gli amidi e le cellulose. Gli amidi forniscono l’energia necessaria per le funzioni metaboliche e produttive degli animali; presenti in abbondanza nelle granelle sono in genere facilmente digeribili. Le cellulose, componenti principali della fibra grezza dell’erba e dei fieni; aumentano la loro quantità con la maturità della pianta peggiorandone quindi la qualità. La conoscenza dei fabbisogni di amidi e fibra grezza è fondamentale sia per soddisfare correttamente le esigenze produttive degli animali (es. quantità di latte giornaliero e/o incremento in peso) che per il corretto funzionamento dell’apparato digerente dei ruminanti così da prevenire l’insorgenza di gravi dismetabolie (es. acidosi ruminale). I LIPIDI Detti comunemente ‘’grassi’‘ rappresentano la maggior riserva energetica dell’organismo animale (sono accumulati nei tessuti). La loro produzione deriva dalla trasformazione degli altri componenti

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alimentari (proteine e carboidrati). Gli alimenti zootecnici ne sono quasi privi; i semi oleosi di alcune specie vegetali (cotone, colza, soia) vengono utilizzati nelle razioni giornaliere dei ruminanti come integratori energetici piuttosto che lipidici. E’ importante ricordare che questi alimenti oleosi, non correttamente conservati, possono provocare disturbi digestivi agli animali perché facilmente soggetti ad ossidazione e conseguente irrancidimento. I MINERALI Sono presenti in natura in diverse fonti: nel terreno, nell’acqua e nella composizione degli alimenti. Sono importanti regolatori dello sviluppo dello scheletro, dei denti, del feto e sono indispensabili per la produzione del latte. - Alcuni di essi, Ferro, Selenio, Iodio, sono indispensabili in quantità molto limitate, quasi sempre garantite nella dieta; - Altri devono essere introdotti con gli alimenti in quantità maggiori come ad es. Il Calcio, Fosforo, Magnesio, Sodio. Carenze o eccessi di questi ultimi minerali determinano l’insorgenza di patologie che possono divenire anche estremamente gravi per gli animali (rachitismo, collasso puerperale, tetania da erba, disfunzioni renali, etc.). In generale i foraggi di leguminose contengono elevate dosi di calcio; i concentrati a base di cereali sono ricchi di fosforo. LE VITAMINE Sono molecole indispensabili al mantenimento della vita, all’accrescimento, alla produzione e per la riproduzione. Fatta eccezione per le vitamine del gruppo “B” e “K”, che vengono prodotte nel rumine dai microbi e la vitamina “C” prodotta dall’organismo, tutte le altre devono essere apportate con l’alimentazione. La vitamina “A” è abbondante nei foraggi verdi e nei semi dei cereali (mais soprattutto) sotto forma di provitamina beta carotene; le sue carenze sono rare e possono manifestarsi con turbe riproduttive o alterazioni della sfera visiva. La conversione del carotene in vitamina A avviene nel piccolo intestino, per cui in caso di malattie parassitarie a carico della parete intestinale questo processo di trasformazione può ridursi notevolmente. La vitamina “D” presente nei fieni regola il bilancio del calcio e del fosforo. Non soffrono di carenza gli animali adulti che usufruiscono di una normale esposizione alla luce del sole. Possono verificarsi problemi in animali giovani e in gravidanza; in questi casi sono necessarie opportune integrazioni per prevenire fenomeni di

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malformazioni (rachitismo). La vit. D in dosi troppo elevate può comportare l’innalzamento del livello del calcio nel sangue con il conseguente accumulo nelle arterie e nel cuore. La vitamina “E” è un potente antiossidante con azione protettiva sui grassi cellulari; ne sono ben dotati i foraggi verdi contrariamente ai semi di cereali. Il metabolismo della vit. E è legato a quello del Selenio; una loro deficienza è infatti causa della “miodistrofia degenerativa” (conosciuta anche come malattia del muscolo bianco dei vitelli e degli agnelli) oltre che di gravi problemi di fertilità negli animali adulti. Il latte ottenuto da animali alimentati con foraggi verdi ha un maggior contenuto in vit. A e caroteni (anche 20 volte superiore) ed in vit. E. La vitamina “K” è indispensabile per la coagulazione del sangue. Presente nei foraggi viene prodotta nel rumine e nel grosso intestino ad opera dei microrganismi; pertanto non è necessaria alcuna integrazione attraverso la razione alimentare giornaliera. Le vitamine del gruppo “B” sono prodotte nel rumine ma vengono anche apportate con la dieta in quantità varabili a seconda del tipo di alimento. A volte una loro integrazione può tornare utile quando si verifica una diminuzione delle attività batteriche, soprattutto negli animali che ricevono forti dosi giornaliere di concentrato perché ad alta produzione lattifera o per carenze di disponibilità di foraggi verdi o secchi. LE FONTI ALIMENTARI PER I RUMINANTI Gli alimenti prevalentemente utilizzati nell’ allevamento zootecnico sono rappresentati da foraggi verdi, secchi, insilati e concentrati.

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I FORAGGI Caratteristiche principali dei foraggi sono quelle di avere una concentrazione energetica medio-bassa, una quantità di fibra medio-alta, una percentuale di proteine maggiore nelle leguminose rispetto alle graminacee. Si distinguono in: ERBE E ARBUSTI destinati ad essere pascolati o falciati e somministrati in stalla. FIENI di leguminose (medica, trifoglio, veccia, etc.), graminacee (Orzo, avena, etc.), misti ( graminacee e leguminose). INSILATI di mais, altre graminacee e/o leguminose ( poco usate). Classificazioni dei foraggi: In base all’origine: i foraggi possono essere classificati come naturali (pascolo) o artificiali ( erbaio) In base alla loro durata o vita produttiva: - il pascolo naturale ha una durata permanente; - gli erbai hanno durata annuale; - i prati pascolo da sfalcio hanno durata poliennale (3-4 anni) In base al periodo di impianto: - erbai autunno-vernini a semina autunnale (avena, trifoglio, segale, loietto, veccia); - erbai primaverili-estivi che si seminano nei mesi aprile-maggio-giugno e si raccolgono in estate (sorgo, mais, barbabietola); In base alle specie componenti: - erbai o prati monofiti se composti da una specie vegetale prevalente; - erbai o prati oligofiti costituiti da 2 a 4 specie vegetali; - erbai o prati polifiti composti da più di 4 specie vegetali. Prodotti complementari dei foraggi Questi prodotti vengono utilizzati quando gli animali hanno basse esigenze nutritive, come ad esempio nel periodo dell’asciutta o per prevenire alcuni disturbi alimentari (acidosi, timpanismo ); sono rappresentati da paglia e stoppie.

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I FORAGGI VERDI - L’ ERBA L’erba è l’alimento più economico e per questo motivo l’allevatore dovrebbe ottimizzarne le produzioni migliorando: - le rese per ettaro attraverso buone pratiche agronomiche quali scelta delle essenze più adatte per infittimenti e concimazioni; - la disponibilità nel tempo con una corretta tecnica di utilizzo del pascolamento. Durante lo sviluppo vegetativo dell’erba si hanno modifiche del suo valore nutritivo, della digeribilità e del livello di ingestione da parte dell’animale. Infatti con la maturazione della pianta: - aumenta la componente fibrosa dovuta all’incremento di cellulosa e lignina. - diminuisce la proteina grezza (soprattutto nelle graminacee dopo la fioritura) - si riduce il contenuto di alcuni sali minerali in particolare il calcio La qualità di erba a disposizione degli animali condiziona il tipo e la quantità di mangimi e concentrati da utilizzare. I pascoli naturali con poche leguminose o gli erbai di graminacee (loietto, avena, ecc.) sono poveri di proteine; ciò sfavorisce sia la produzione di latte che la fecondità. In questi casi è opportuno utilizzare concentrati molto proteici con almeno il 25-30 % di proteina totale. Gli erbai e i prati di leguminose (medica, trifoglio) sono ricchi in proteine e garantiscono un’alta ingestione. In questi casi è opportuno utilizzare concentrati con 10-12 % di proteina totale. In particolare - La digeribilità delle foglie rimane pressoché costante con la maturazione. - La digeribilità degli steli cala rapidamente diminuendo notevolmente. - Il rapporto foglie/steli nelle leguminose è a favore delle foglie che risultano più digeribili rispetto a quelle delle graminacee (più dure e silicizzate quando le piante vanno a maturazione). - La digeribilità dell’ erba nelle graminacee peggiora progressivamente dalla comparsa della spighetta sino alla piena fioritura. - La produzione delle foraggere aumenta progressivamente sino alla piena fioritura. Quindi, per l’animale, la massima resa dell’erba in termini di sostanza digeribile non coincide con la massima produzione. Nelle graminacee il momento ottimale per lo sfalcio dell’erba coincide con l’inizio della spigatura, mentre nelle leguminose con l’inizio della fioritura. Durante il pascolamento la pecora effettua una selezione sia sulla specie da brucare che sulle parti della pianta da utilizzare, scegliendo quelle meno lignificate (apici e

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germogli). Per assumere l’energia equivalente ad 1 Unità Foraggera Latte (UFL) la pecora, teoricamente, deve ingerire 8-10 kg di erba oppure 1,5-2 Kg di fieno oppure 800-900 grammi di granelle. FORAGGI SECCHI - I FIENI La buona qualità dei fieni è fondamentale in quanto, oltre alla fibra, apportano anche energia e altri nutrienti permettendo quindi di utilizzare minori quantità di concentrati ed ottimizzare il costo giornaliero della razione somministrata agli animali. I fieni si ottengono eliminando quasi tutta l’acqua contenuta nelle erbe falciate attraverso una serie di operazioni meccaniche (fienagione) che regolano il processo di essicazione in campo (esistono processi più complessi quali la disidratazione forzata utilizzati soprattutto per ottenere prodotti commerciali come la medica disidratata). Il valore nutrizionale del fieno è il risultato di 2 fattori fondamentali: 1) Le caratteristiche proprie della specie che viene sottoposta alla fienagione (le leguminose danno fieni più appetibili con maggiori contenuti proteici rispetto ai cereali o alle graminacee) 2) La tecnica di fienagione mediante: a) le operazioni meccaniche e le relative attrezzature utilizzate. Le falcia condizionatrici abbinano all’organo di taglio (barra o dischi a lama) una coppia di rulli in gomma verso i quali viene indirizzata l’erba appena tagliata; questa viene sottoposta ad un primo “schiacciamento” con la conseguente perdita veloce di una parte di acqua contenta nei tessuti verdi. Di conseguenza si riduce il tempo di essicazione in campo e si anticipa quindi l’operazione dell’imballatura con sensibile diminuzione delle perdite del valore nutritivo del fieno prodotto. b) la scelta del momento ottimale per lo sfalcio dell’ erba. E’ un elemento fondamentale per la qualità nutritiva del fieno che si va a produrre, in virtù delle modificazioni che l’erba subisce durante le fasi di maturazione vegetativa. In questo periodo si realizza la combinazione ottimale tra la migliore digeribilità, il valore energetico del foraggio (UFL) e la quantità di massa secca dell’erba. Attenzione: l’eccesso di umidità nel fieno imballato (superiore al 20%) può indurre notevole sviluppo di muffe che causano riduzione del valore commerciale per consumo di nutrienti e perdita di Sostanza Secca, formazione di tossine con conseguenti problemi sanitari, presenza di spore che se inalate dall’ uomo sono causa di problemi polmonari, imbrunimento dovuto al riscaldamento del fieno per la

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respirazione delle muffe che può comportare pericolo di incendio per eccessivo sviluppo di calore. GLI INSILATI Sono il prodotto di una trinciatura corta delle erbe che vengono conservate nel silos in condizioni di pressoché totale assenza di ossigeno; questa condizione consente la fermentazione rapida degli zuccheri che formano acidi organici così da permettere la conservazione ottimale del prodotto. Gli insilati sono particolarmente utilizzati nelle aziende bovine da latte e da carne perché consentono di ottenere un alimento fresco, di costo moderato, utilizzabile come base per l’alimentazione con il carro miscelatore (unifeed o pasto unico), tecnica oramai diffusa anche nell’ allevamento ovino e caprino. La tecnica dell’insilamento richiede maggiori precauzioni rispetto alla fienagione perché grossolani errori possono provocare fermentazioni anomale durante la conservazione e compromettere la qualità del prodotto finale con notevoli problemi sanitari agli animali. La qualità degli insilati dipende dal momento ottimale del taglio, dalla corretta trinciatura e dalla giusta organizzazione dell’intero cantiere delle operazioni di insilamento dell’ erba. I CONCENTRATI E LE GRANELLE Sono alimenti utilizzati per aumentare la concentrazione energetica e/o proteica della razione soprattutto quando non è possibile ottenere prestazioni ottimali dagli animali con il solo impiego dei foraggi. Appartengono a questa categoria le granaglie dei cereali, i semi delle leguminose ed i mangimi semplici o composti prodotti dall’ industria mangimistica. Forniscono prevalentemente energia (granelle di cereali), energia e proteine (farina di soia e semi di leguminose favino, pisello proteico, cece), energia e fibra (buccette di soia), energia con fibra e lipidi (semi di cotone). I mangimi commerciali complessi (pellettati, fioccati estrusi) hanno composizione variabile, completa ed equilibrata in funzione delle diverse esigenze degli animali. Osservazioni Nella ottimizzazione della razione alimentare alcuni ‘’accorgimenti’’ aiutano a ridurre i costi alimentari quali: - l’uso dei sottoprodotti Nella composizione della razione giornaliera possono essere utilizzati alcuni componenti residuati da procedimenti di trasformazione di alcuni prodotti vegetali; questi sottoprodotti vengono principalmente utilizzati dall’industria mangimistica o tal quale nelle aziende dove si adotta la tecnica del carro miscelatore (unifeed).

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I bassi costi di questi componenti ne motivano l’utilizzo. - l’uso di trattamenti meccanici prima di utilizzare i fieni e le granaglie Operazioni effettuabili anche in azienda •la macinatura più o meno grossolana delle granaglie •la trinciatura dei fieni e delle paglie Operazioni effettuate dall’industria mangimistica •la grassatura •la schiacciatura •la tostatura •la fioccatura I trattamenti di trinciatura apportano nell’alimentazione dei ruminanti alcuni vantaggi e/o svantaggi quali: - l’aumento della velocità di degradazione nel rumine (che riguarda soprattutto i concentrati) - l’aumento della velocità di transito e della stessa ingestione dell’ alimento (questo effetto è limitato nei concentrati ed è più consistente nei foraggi) - un aumento della digeribilità ruminale e quella complessiva dei concentrati (tale effetto è indifferente per alcuni alimenti come le granelle di mais e sorgo o addirittura negativo per grano, orzo, avena) - la diminuzione , a volte consistente, della digeribilità dei foraggi. IL TRATTAMENTO DEGLI ALIMENTI Il trattamento termico-meccanico degli alimenti viene effettuato per: Modificare la dimensione delle particelle (aumento o riduzione) - per alimentare specie particolari (pecore e bovini) - per eliminare la polverosità - per evitare la selezione degli ingredienti - per aumentare la maneggevolezza Modificare il contenuto in acqua (es. tenore massimo di umidità

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orzo, avena, mais, sorgo, soia 14,0% ) - per aumentare la conservabilità, l’appetibilità, la digeribilità Modificare la densità degli alimenti - aumentare il peso per unità di volume e la densità energetica Modificare l’appetibilità (melasso, appetizzanti) Modificare la disponibilità dei principi nutritivi (es. Fe, Zn, Vit.D2) Eliminare/ridurre le sostanze indesiderate Migliorare la qualità durante la conservazione Ridurre i costi e gli spazi di conservazione Favorire la meccanizzazione dell’impianto e dell’allevamento Diminuire i rischi di muffe, salmonelle, etc. Il trattamento termico-meccanico degli alimenti viene effettuato per aumentare l’efficienza degli alimenti del 10-20% e quindi migliorare le produzioni e i profitti delle aziende zootecniche. LA MACINAZIONE Il trattamento prevede la riduzione, con mezzi meccanici, delle materie prime e componenti della formula, separatamente o in miscela, ad una granulometria desiderata. Effetti della macinazione sull’utilizzazione degli alimenti. La macinazione aumenta l’ingestione, la velocità di degradazione e la velocità di transito nell’apparato digerente (l’aumento nei foraggi è consistente mentre nei concentrati è limitato ). Nei concentrati aumenta la digeribilità ruminale e quella complessiva; è positivo o indifferente per alcuni alimenti (ad es. granelle di mais e sorgo) negativo per altri (ad es. grano, orzo, avena) Nei foraggi la digeribilità diminuisce, a volte in maniera consistente; aumenta notevolmente l'ingestione negli ovini e nei caprini, meno nei bovini. N.B. I ruminanti per ottimizzare la propria attività digestiva devono avere sempre a disposizione una certa quantità di fibra lunga utile alla ruminazione . LA PELLETTATURA Consiste nelle compressione meccanica di una miscela farinosa esposta a vapore secco per 5-25 secondi. Consente l’agglomerazione degli ingredienti rendendoli solidi.

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E’ un trattamento applicabile sia alle materie prime (polpe di bietola, medica disidratata) che ai mangimi composti semplici o integrati. Condizioni di lavorazione: pressioni 1400-2800 kg/cmq; temperatura 60-85°C; umidità 16-20%; densità finale pellets 1100-1250 g/dm3. Tipi di pellets: Cilindri (semplici o multipli), Cubetti, Wafer, Formelle, Briciole, Granuli. Vantaggi della pellettatura Tecnico - economici Riduzione volume mangime (-20/40%) e movimentazione più facile. Migliore conservabilità (meno sensibili ad ossigeno, umidità). Produzione di un mangime omogeneo. Riduzione della polverosità e delle perdite in forma di polvere. Eliminazione della demiscelazione. Aumento dell’efficienza della razione (+10-15%). Fisiologici Gelatinizzazione parziale degli amidi. Cottura parziale degli ingredienti. Aumento della velocità di digestione. Aumento dell’appetibilità e miglioramento delle caratteristiche organolettiche. Estrazione degli oli naturali dei cereali presenti nel mangime. Zootecnici Eliminazione della selezione degli ingredienti. Ingestione di una razione bilanciata nei suoi componenti. Riduzione delle perdite alla mangiatoia. Aumento dell’ingestione volontaria del mangime. Aumento della velocità di prensione e ingestione. Miglioramento dell’ indice di conversione alimentare. Sanitari Minori irritazioni a carico dell’apparato respiratorio (meno polveri). Parziale sanificazione e disattivazione di fattori antinutrizionali. Minore carica microbica, muffe, infestanti, zooparassiti. LA FIOCCATURA Consiste in un trattamento a vapore dei cereali (ma anche di semi di leguminose) che causa la gelatinizzazione dell’amido per effetto di:

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UMIDITA' - CALORE – TEMPO Temperature elevate per tempo eccessivo causano indigeribilità. Il fiocco è un prodotto precotto a vapore, laminato (0,4 - 0,6 mm), schiacciato (1 – 2,5 mm), ed essiccato (12% umidità). Il prodotto finito necessita di accurati controlli di qualità perché i trattamenti sono diversificati per tipo di amido (es. amido di orzo più facilmente gelatinizzabile di quello di mais). La qualità finale del mangime fioccato dipende da: colore - odore - sapore - friabilità I cereali vecchi con umidità inferiore al 12% si rompono e non fioccano. La pulizia giornaliera dell’impianto evita problemi di muffe. Effetti della fioccatura •Predigestione dell’amido con aumento digeribilità del prodotto. •Sanificazione del prodotto . •Denaturazione delle proteine (aumento digeribilità e valore biologico) •Riduzione umidità di stoccaggio. •Aumento dell’appetibilità del prodotto. Destinazione preferenziale del fiocco •Animali giovani, con apparato digerente non adatto ad alti contenuti di cereali crudi. •Animali ammalati, convalescenti, gestanti. •Agnelloni da carne, per aumentare l'indice di conversione. L’ACQUA DI ABBEVVERAGGIO PER GLI ANIMALI L’acqua è l’elemento più rappresentato nei tessuti vegetali così come nei tessuti animali; è il regolatore fondamentale delle reazioni biologiche che avvengono negli organismi animali e per questo sono importanti le sue qualità fisico chimiche e batteriologiche. Quando l’alimentazione degli animali si basa prevalentemente su alimenti secchi (ad es. nel periodo estivo su stoppie e concentrati) la disponibilità e la pulizia dell’acqua sono fondamentali. Gli abbeveratoi ma anche i depositi devono essere mantenuti puliti, non devono presentare alghe, depositi di limo o residui di sostanze organiche di qualunque genere. Le alte temperature estive dei nostri climi favoriscono la formazione di depositi di questa natura. L’uso di rubinetti associati

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alla valvola a galleggiante evitano il debordo dell’acqua e quindi la conseguente formazione di fanghiglia nel perimetro dell’abbeveratoio. Nel caso di presenza di acqua salmastra è opportuno rammentare che l’eccessiva presenza di sali la rendono nociva o addirittura tossica. E’ buona norma effettuare l’analisi chimica e microbiologica delle acque destinate all’abbeveraggio degli animali. E’ necessario, in particolare, verificare: -la quantità dei sali di calcio (controllo del residuo fisso e durezza); -la salinità mediante (determinazione della conducibilità elettrica); -l’inquinamento organico (presenza di sostanze organiche e nitrati). Laddove risultasse dalle analisi la scarsa idoneità dell’acqua si renderà opportuno l’introduzione di un “potabilizzatore” o individuare una differente fonte di approvvigionamento idrico. Conclusioni La conoscenza delle caratteristiche nutrizionali degli alimenti disponibili in azienda e dei fabbisogni alimentari degli animali sono elementi fondamentali per formulare corrette razioni alimentari necessarie per ottenere il giusto benessere con la migliore risposta produttiva e riproduttiva e, di conseguenza, la migliore redditività dell’allevamento.

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Allevamento della capra

Origine della capra domestica

Esistono opinioni discordanti circa le origini della capra domestica (Capra hircus). Molti studiosi ritengono che sia stata domesticata nell’area oggi compresa tra Iran, Siria e Palestina intorno all’8000 a.C. (Mesolitico).

Le capre dell'Asia Occidentale, dell'Africa e dell'Europa sembra derivino dall'egagro o capra del bezoar (Capra aegagrus), mentre le capre dell'Himalaya derivano probabilmente dal markor o capra di Falconer (Capra falconeri). Intorno al VII millennio a.C., la capra, al seguito delle migrazioni umane, compare a est fino al Pacifico e all’Oceano Indiano, a ovest fino all’Atlantico e attraverso l’Africa. Già in questo periodo la si ritrova in Grecia, da cui poi entra in Italia e in Europa. Secondo la mitologia greca, lo stesso Zeus, dio dell’olimpo, sarebbe stato allattato dalla capra Amaltea quando la madre Rea lo sottrasse al padre Crono che voleva divorarlo.

Per riconoscenza Zeus, concesse che un corno perduto da Amaltea si colmasse di frutti diventando cosi la “cornucopia”, cioè il corno dell’abbondanza. Inizialmente venne utilizzata soltanto per la produzione del latte e per la carne in un secondo momento anche per la lana.

In Italia l’allevamento caprino vede il suo periodo buio negli anni Trenta quando viene emanata la legge 1080 del 3 luglio 1930 che imponeva una tassa su questa specie; l’allevamento caprino entra dunque in crisi e il numero di allevamenti caprini si riduce sempre più, sino agli inizi degli anni ‘80 quando la legge viene modificata. Da allora il suo allevamento vede una discreta crescita: nel Meridione d’Italia è più diffusa la razza Maltese mentre al Nord prevale la Saanen.

Nella scelta della razza da allevare bisogna prendere in considerazione lo scopo per cui alleviamo una capra: per il latte, per la lana, per la carne, per riproduzione, secondariamente la posizione geografica dell’allevamento, e infine le disponibilità economiche.

Alimentazione della capra

L’alimentazione della capra è prevalentemente quella al pascolo, da essa stessa preferita in quanto ha una varietà di alimenti da scegliere a sua disposizione, ma ultimamente si sta molto diffondendo anche l’allevamento allo stato stabulare. La capra tende a selezionare gli alimenti che ha a sua disposizione: durante le ore di pascolo bruca prima le piante più appetibili e poi le altre; pertanto anche in stalla

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tende a fare questa selezione. Le capre manifestano più interesse nei confronti delle erbe o piante con ampia superficie fogliare. E’ molto importante studiare la digeribilità degli alimenti per non incorrere in rischi di eventuali patologie che interessano il sistema ruminale come il meteorismo o altri problemi dovuti all’ingestione di taluni alimenti. Molto importante è dunque il fieno contenente fibra che facilita il processo di ruminazione; per quanto concerne invece i concentrati vanno somministrati in quantità moderate in quanto rallentano il processo di ruminazione. Ancora l’erba eccessivamente acquosa con basso contenuto di fibra e alto contenuto di zuccheri provoca un’alterazione dello stato ottimale del rumine influenzando negativamente il livello di digestione. Durante il corso della gestazione le capre non necessitano particolari apporti energetici, soltanto dopo il 4 mese di gestazione aumenta il peso vivo della capra. Le capre necessitano ancora una giusta quantità di minerali e vitamine maggiormente nell’allevamento in stalla. Durante i periodi di asciutta qualora si distribuiscono buoni foraggi, mentre i concentrati possono anche essere evitati; al peggiorare della qualità dei foraggi aumenta l’azione selettiva e, di conseguenza, il tasso di rifiuto. Per quanto concerne invece la quantità di concentrato da distribuire dipende dal sistema di allevamento e dal potenziale produttivo degli animali; i concentrati sono il più efficace mezzo per equilibrare il deficit energetico, proteico, minerale e vitaminico dovuto all’alimentazione di base. Ancora interessante è l’utilizzo dell’unifeed cioè una miscela già preparata in polvere o sottoforma di pellets all’interno della quale sono presenti tutti i fabbisogni nutrizionali per le capre; l’utilizzo dell’unifeed comporta un minore spreco di alimenti, la possibilità di utilizzare nella miscela alimenti poco appetibili, un guadagno di tempo nella distribuzione e una migliore armonizzazione del gusto degli alimenti.

Alimentazione caprette da rimonta

L’alimentazione delle caprette è molto importante, inizialmente questa avviene per mezzo dell’assunzione del colostro il quale è di primaria importanza; dal 20° giorno si inizia ad affiancare alla suzione del latte anche del cibo solido ovviamente in piccole quantità giusto per mettere in funzione il rumine; dal 20 giorno inoltre negli allevamenti intensivi la suzione del latte avviene per mezzo di taluni secchielli provvisti di biberon idonei allo scopo, ma si fa attenzione perché lo svezzamento precoce compromette comunque il peso delle caprette pertanto, ove si può, si consiglia l’alimentazione dieta dalla madre. Lo svezzamento non è altro che il passaggio totale dall’alimentazione a base di latte all’alimentazione solida; può rappresentare una fase critica per i giovani capretti se ciò non avviene almeno ai 120 giorni (negli allevamenti intensivi avviene molto prima) in quanto possono perdere di peso perché non sono completamente adattati all’alimentazione solida; in ogni caso durante lo svezzamento è bene aumentare la quantità di concentrati 500 grammi a capo. Per quanto concerne invece l’alimentazione dei becchi non presenta

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particolarità escluso nella fase della monta quando bisogna aumentare la quantità dei concentrati per i fabbisogni energetici. Lo stato fisiologico della capra tende a variare in base alla fase che sta attraversando: gestazione, lattazione, asciutta.

Mungitura

La mungitura può avvenire o manualmente di solito ciò accade nei piccoli allevamenti o meccanicamente per mezzo della mungitrice a carrello o addirittura la mungitrice stabile per i grandi allevamenti. Subito dopo avviene la trasformazione del latte il quale segue un percorso organizzativo che parte dalla refrigerazione, raccolta e preparazione del latte, passa successivamente attraverso la coagulazione, lo spurgo e i condizionamenti della cagliata, la salatura e la vendita dei formaggi.

Malattie della capra

La condizione determinante per ogni allevatore è quella di avere un gregge sano; questo non significa assenza di ogni patologia, ma vuol dire avere un gregge dove le “costanti patologiche” dell’allevamento siano controllate e curate in vari modi e di conseguenza il livello patologico sia basso tanto da non compromettere i risultati economici dell’allevamento.

Le capre come del resto tutti gli animali sono soggetti a numerose patologie; la probabilità di contrarre una data malattia è maggiore nei soggetti maggiormente selezionati dove possono infatti esserci casi di elevata consanguineità. Molte sono le malattie e i parassiti che colpiscono le capre: i parassiti esterni (pidocchi e zecche), quelli interni, gli aborti causati da clamidiosi e scarsa nutrizione, la salmonellosi, le enterotossiemie. Un altro diffuso problema è la mastite dove le origini possono essere molteplici (traumi alle mammelle, cattiva igiene della lettiera, mancata mungitura del latte).Ancora un’altra patologia ritenuta pericolosa, di cui non esiste ancora un vaccino è l’artrite-encefalite virale delle capre che colpisce prevalentemente le razze da latte. Ma l’affezione mammaria più temuta nell’allevamento caprino è l’agalassia contagiosa, patologia frequente in primavera durante il corso di lattazione e altamente patogena Frequente anche la polmonite. Tra le malattie infettive più diffuse e più pericolose non solo per la capra ma anche per l’uomo abbiamo la brucellosi e la tubercolosi. Infine trattandosi di un ruminante possono verificarsi casi di meteorismo che interessa il sistema ruminale bloccando il processo di ruminazione dovuto o a una somministrazione eccessiva di concentrati o altri fattori alimentari, per la capra presenta gonfiore nella parte sinistra dell’addome, in questi casi si consiglia di rivolgersi al proprio medico veterinario, e in attesa si può intervenire alzando la capra dalle gambe anteriori e massaggiando la gola, nei casi più estremi viene somministrata acqua diluita col bicarbonato di sodio. Quando le capre vivono a stretto contatto con avicoli rischiano il contagio di coccidiosi; e ancora Clostridiosi se viene somministrata un’alta percentuale di concentrato.

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Indici genetici

Il numero di cromosomi presenti in tutte le specie caprine è 60. In Italia vengono tenuti i libri genealogico per otto razze: Maltese, Saanen, Camosciata delle Alpi, Girgentana, Garganica, Sarda Orobica e Jonica; negli allevamenti iscritti viene praticata una vera e propria selezione per migliorare la qualità della razza. Molto diffusa è l’inseminazione artificiale che permette una più accurata selezione rispetto alla fecondazione sessuata, in quanto possiamo avere figli dello stesso becco in ambienti diversi, pertanto nel miglioramento genetico un compito importantissimo è quello del maschio il quale può migliorare l’intera popolazione.

Riproduzione

La pubertà è quel periodo in cui l’animale maschio o femmina inizia a estrinsecare la sua potenzialità produttiva; si distinguono infatti tre fasi: una prepuberale, quando i capretti iniziano ad avere i primi impulsi sessuali, segue un periodo di latenza e poi intorno ai 6-7 mesi ecco la fase puberale e poi la fase postpuberale quando i capretti sono già pronti all’accoppiamento. L’ontogenesi della pubertà risiede nelle variazioni di sensibilità del complesso ipotalamico-ipofisario; i gemelli che in media nascono più piccoli raggiungo la pubertà più tardi, mentre il capretto maschio inizia a manifestare un istinto genesico intorno ai 5 mesi quando completa la spermatogenesi. La capra è considerata una specie a ciclo poliestrale stagionale in quanto presenta cicli estrali continui solo in alcuni mesi dell'anno, intervallati da un periodo di anaestro la cui lunghezza è variabile in funzione della latitudine e della razza. In determinati climi, le capre sono in grado di riprodursi per tutto l'anno; le razze di provenienza nordica o montana tendono invece ad avere un ciclo riproduttivo basato sulla lunghezza del fotoperiodo. La stagione riproduttiva, per questi animali, inizia quando le giornate cominciano ad accorciarsi, per terminare all'inizio della primavera.

Gestazione

La gestazione ha durata di 153-155 giorni; la presenza di feti maschili tende a posticipare il parto mentre la presenza di feti femminili lo anticipa ma può anche essere anticipato a stress fisico, traumi patologie, brusche variazioni termiche o particolari diete che accelerino la crescita del feto. Durante i primi tre mesi di gestazione la dieta rimane invariata, soltanto dal quarto mese iniziano ad aumentare le razioni di cibo; la presenza del feto e diagnosticabile a 1 mese per mezzo dell’ecografia praticata nei grandi allevamenti; dopo i tre mesi si nota la presenza del feto ad occhio nudo in quanto e ben visibile una protuberanza sul fianco destro della capra mentre quello sinistro è occupato dal rumine. Infine, 20-30 giorni prima del parto si avverte un aumento del volume delle mammelle apprezzabile al tatto; nell’ultima settimana abbiamo invece la perdita di muco biancastro, e appiccicoso

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che fuoriesce dalla vulva; qualora questo muco fosse verdastro vi potrebbero essere dei problemi al feto; in tal caso è meglio contattare urgentemente il veterinario; infine, sempre nell’ultima settimana, si assiste a una forte rilassamento dei muscoli della zona pelvico-coccigea che dura fino al momento del parto.

Norme relative all’allevamento caprino

Tutte le capre presenti in Italia devono essere registrate presso la Banca dati di Teramo; ogni azienda deve essere provvista di certificazione di provenienza degli animali presenti in azienda, relativo registro di carico e scarico per caprini, codice aziendale rilasciato dall’ASL competente presso la quale l’allevatore si deve recare prima di intraprendere l’attività. Ogni capra viene caricata sul registro in base al numero identificato con le marche auricolari disposte in entrambi le orecchie; al numero identificativo delle marche auricolari deve corrispondere il numero del bolo ruminale; le capre devono essere sottoposte alle relative analisi biomediche per la prevenzione di Brucellosi e Tubercolosi, materia di competenza dell'ASL; per lo spostamento di un solo capo da un’azienda ad un’altra e necessaria la certificazione mod. 4 dell’ASL e per la macellazione è necessaria anche la relativa certificazione; le capre posso spostarsi solo ed esclusivamente su mezzi autorizzati idonei allo scopo.

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L'ALLEVAMENTO OVINO

Consistenza allevamento ovino nel bacino del mediterraneo Nel bacino del Mediteranno l’Italia si colloca al secondo posto nell’allevamento degli ovini da latte, preceduta dalla Grecia con 6.328.000 capi e seguita dalla Spagna e dalla Francia (Tabella 1). Per quanto riguarda gli ovini da carne la Spagna rappresenta il paese con il maggior numero di capi allevati (circa 10 milioni di animali) mentre l'Italia si posiziona al 3° posto con circa 1 milione e mezzo di capi (Tabella 1).

Consistenza dell’allevamento ovino in Italia In base ai dati Istat aggiornati al 2010, in Italia vengono allevati circa 7.900.000 ovini dei quali circa il 50% viene allevato in Sardegna (Tabella 2). Tra le altre regioni l’allevamento ovino è diffuso anche in Sicilia, Lazio e Toscana in cui sono allevati rispettivamente il 9% e il 7% del totale dei capi ovini allevati in Italia.

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Consistenza dell’allevamento ovino in Sardegna In base ai dati riportati dal Centro di Referenza Nazionale degli Istituti Zooprofilattici aggiornati al 30 settembre 2011, circa il 70% dell’intero patrimonio ovino italiano, corrispondente a 3.306.302 capi, è allevato in Sardegna in aziende a prevalente conduzione diretta dell’allevatore e manodopera familiare. Le aziende presenti in provincia di Sassari e Nuoro sono le più numerose e di maggiore dimensione seguite da quelle della provincia di Oristano. Caratteristiche della razza Sarda La razza Sarda è una razza autoctona della Sardegna, è la più importante e più diffusa razza da latte Italiana. Dall’isola, in cui è l’unica razza allevata, si è progressivamente diffusa soprattutto nelle regioni centrali centro Italia (Toscana, Lazio, Umbria e Marche) e meridionali

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(Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata) ma anche in quelle settentrionali (Emilia e Liguria) della penisola e nei paesi circummediterranei (Grecia e Israele). Per la sua elevata capacità di adattamento, la razza Sarda è allevata in aziende di collina e di montagna, in condizioni di allevamento estensivo, e in aziende di pianura, anche irrigue, in allevamenti di tipo intensivo. Gli ovini di razza Sarda hanno taglia media, con peso corporeo, per l’animale adulto, che si aggira sui 60-70 kg nei maschi e 40-50 kg nelle femmine; il vello è solitamente bianco con bioccoli appuntiti; la pelle è sottile, elastica e di colore rosato, talvolta con una leggera picchiettatura nera o marrone sulla testa. La razza ha poliestro continuo, con un breve intervallo di anaestro invernale, l’età media al primo parto è di circa 15 mesi. La fertilità annua (percentuale di pecore che partoriscono, sul totale di pecore in età riproduttiva) si attesta intorno al 96%; la prolificità (numero medio di agnelli per parto) può variare tra 1,1, in allevamenti estensivi , a 1,5 in condizioni intensive. La produzione principale della pecora Sarda è costituita dal latte, nell’allevamento della pecora da latte in Sardegna, il latte prodotto nel primo mese viene destinato all’alimentazione dell’agnello. In particolare, nelle prime due settimane esso è riservato esclusivamente all’allattamento, mentre negli ultimi quindici giorni si effettua la mungitura del latte eccedente le necessità dell’agnello. A partire dall’allontanamento dell’agnello, in genere destinato alla macellazione, il latte è munto interamente con due mungiture giornaliere per la maggior parte della lattazione e con una sola mungitura nella fase finale di lattazione. Oltre l’85% del latte ovino prodotto in Sardegna viene destinato alla trasformazione in formaggio, la maggior parte del quale viene esportato verso mercati del continente ed esteri, in particolare USA (che assorbe quasi il 60% della produzione regionale), Canada, Francia, Germania e Regno Unito (Laore, 2008). Nell’isola vengono prodotti diversi tipi di formaggi ovini tra questi i prodotti caseari di punta sono il Pecorino Sardo, il Fiore Sardo e il Pecorino Romano, ad ognuno dei quali è stata assegnata la Denominazione di Origine Protetta (DOP). Nell’allevamento della pecora di razza Sarda, oltre alla produzione del latte, anche la produzione della carne assume una non trascurabile rilevanza economica, in particolare quella dell’agnello da latte macellato per l’approvvigionamento dei mercati nei periodi Natalizi e Pasquali. La produzione della lana è invece di scarsa rilevanza poiché è di modesta entità e di qualità non particolarmente apprezzata dai mercati. La riproduzione La riproduzione, sotto l’aspetto fisiologico, è lo strumento naturale con cui le singole specie si perpetuano nel tempo e si propagano nello spazio; sotto l’aspetto zootecnico, è la tecnica cui è legata la realizzazione della produzione animali: infatti la produzione lattea tecnicamente è realizzabile soltanto nella fase della lattazione, che è la naturale conseguenza del parto, il quale a sua volta è la fase

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conclusiva del processo riproduttivo; la produzione carnea, che di fatto è ottenuta quasi esclusivamente con l’ingrassamento dei giovani animali eccedenti la rimonta. Attività riproduttiva degli ovini da latte in Sardegna Il sistema di allevamento più diffuso è quello brado e semibrado, basato sullo sfruttamento del pascolo naturale. Nel corso dell’anno il ciclo produttivo della pecora è collegato al ciclo produttivo dei pascoli, il quale a sua volta è condizionato dall’andamento climatico, tipicamente mediterraneo. Per le pecore adulte la stagione di monta comincia a maggio e termina a metà luglio, in modo che i parti avvengano in autunno in corrispondenza dell’ inizio della ripresa vegetativa dei pascoli, dopo la pausa estiva. La monta è libera, con 30-50 pecore per ariete. I maschi rimangono nel gregge fino all’inizio della stagione dei parti. In genere circa il 90% delle pecore adulte partorisce entro dicembre, mentre le agnelle, che raggiungono la maturità sessuale alla fine dell’estate o nel primo autunno, vengono coperte tra ottobre e novembre e partoriscono tra marzo e aprile. Pertanto, l'allevamento ovino da latte comporta la suddivisione del gregge in funzione dello stadio riproduttivo e produttivo degli animali. Alimentazione Il limite maggiore dell’attuale sistema di allevamento in Sardegna è dato dall’alimentazione che condiziona direttamente la produzione del latte poiché fornisce energia e precursori per la sua sintesi e influenza la sfera riproduttiva dell’animale. La maggiore fonte alimentare degli ovini è l’erba da pascolo e da erbaio, ingerita direttamente in campo tramite il pascolamento che viene esercitato per circa 6-8 ore al giorno. I pascoli sardi sono caratterizzati dall’aleatorietà delle produzioni autunnali, dalle scarse produzioni invernali e da produzioni primaverili relativamente elevate. All’inizio della primavera infatti, l’abbondanza delle precipitazioni e le temperature più miti favoriscono lo sviluppo dell’erba e gli animali hanno quindi a disposizione alimento abbondante e di ottima qualità. Nel mese di maggio e ai primi di giugno le erbe completano il loro ciclo di sviluppo, dopo di ché, al cessare delle precipitazioni disseccano e l’erba secca costituisce appunto l’unica risorsa alimentare del gregge durante la stagione estiva. La durata del periodo di crescita dell’erba è quindi variabile, con minimi di 40-50 giorni, e massimi di 150 giorni nelle annate a clima più favorevole. Per questo motivo la disponibilità alimentare nel corso dell’anno non è sempre tale da soddisfare le esigenze nutritive degli animali. Particolarmente nel periodo del tardo autunno e dell’inverno il deficit alimentare delle pecore è piuttosto elevato.

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Tutto ciò si riflette negativamente su tutte le produzioni, in particolare su quella del latte. Per superare questo limite è necessario intervenire con un’integrazione alimentare somministrando concentrati e/o fieni. L’impiego degli alimenti zootecnici diversi dal pascolo, in genere, interessa le fasi iniziali e finali della lattazione. Nei mesi di inizio inverno le scorte di erba disponibile al pascolo sono limitate, come già detto, e le pecore fresche di parto sono in condizioni di forte deficit energetico per cui in allevamento si interviene somministrando alimenti ricchi in energia in maniera tale da contrastare il fisiologico ricorso alla mobilizzazione delle riserve corporee. In questo modo la produzione del latte è sostenuta sia dalla mobilizzazione dei tessuti adiposi sia dai costituenti i mangimi concentrati ed i fieni. I mangimi concentrati impiegati in questa fase sono, in genere, granelle di cereali e leguminose o sfarinati commerciali. Allo scopo di aumentare il contenuto energetico dei mangimi si impiegano spesso prodotti dell’industria mangimistica con integrazione lipidica; come ad esempio l’olio di palma. Nella fase finale della lattazione l’integrazione della dieta negli ovini al pascolo, avviene con uso di concentrati ma in genere si impiegano alimenti a contenuto proteico e lipidico non particolarmente elevato.

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L’ALLEVAMENTO BIOLOGICO

L’allevamento biologico ha come concezione l’allevamento degli animali rispettando l’etologia della specie e i criteri di benessere animale, che negli allevamenti tradizionali intensivi vengono disattesi .

Prima di tutto vengono alimentati con prodotti vegetali di origine biologica prodotti nella stessa azienda. Il numero dei capi è proporzionale alla terra disponibile per farli pascolare. Le razze devono essere rustiche e possibilmente del luogo che bene si adattano a un tipo di vita naturale. Usare razze selezionate è un errore perchè non hanno la capacità di adattamento. Sono vietate le manipolazioni genetiche e la somministrazione di integratori sintetici.

L’allevamento biologico segue criteri normativi definiti dall’Unione Europea, attraverso il Regolamento CE 1804/99 e a livello nazionale con il D.M. n. 91436 del 4 Agosto 2000.

Principi generali sono:

• gli animali devono essere alimentati con prodotti vegetali ottenuti con metodo di produzione biologico, coltivati di preferenza nella stessa azienda o nella stessa zona in cui l’azienda ricade;

• l’allevamento degli animali con metodo biologico è strettamente legato alla terra: il numero dei capi allevabili è in stretta relazione con la superficie disponibile;

• l’impiego di razze ottenute mediante manipolazione genetica è vietato; • il trasporto del bestiame deve essere quanto più breve possibile ed effettuarsi in

modo da affaticare il meno possibile gli animali. Le operazioni di carico e scarico devono effettuarsi senza brutalità ed è vietato l’uso di calmanti durante il tragitto;

• il trattamento degli animali al momento della macellazione o dell’abbattimento deve limitare la tensione e, nello stesso tempo, offrire le dovute garanzie rispetto all’identificazione e alla separazione degli animali biologici da quelli convenzionali;

• è preferibile allevare razze autoctone, che siano ben adattate alle condizioni ambientali locali, resistenti alle malattie e adatte alla stabulazione all’aperto;

• le strutture per l’allevamento devono essere salubri, correttamente dimensionate al carico di bestiame e devono consentire l’isolamento dei capi che necessitano di cure mediche. Inoltre devono essere assicurati sufficiente spazio libero a disposizione degli animali;

• la dieta deve essere bilanciata in accordo con i fabbisogni nutrizionali degli animali. Il 100% degli alimenti deve essere di origine biologica controllata;

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• non possono comunque mai essere somministrati agli animali allevati con metodo biologico: stimolatori di crescita o stimolatori dell’appetito sintetici; sottoprodotti animali (es. residui di macello o farine di pesce), fatta eccezione per il latte e i prodotti lattiero-caseari; organismi geneticamente modificati; vitamine sintetiche.

Per poter parlare di prodotti preparati (trasformati, conservati o condizionati) biologici:

• la materia prima deve provenire da aziende agricole inserite nel Sistema di Controllo;

• gli impianti di lavorazione devono essere differenti o, nel caso di impianti unici, devono essere preventivamente puliti da ogni residuo della lavorazione precedente;

• ogni operazione deve essere controllata da un tecnico ispettore dell’Organismo di controllo.

Gestione Sanitaria dell’allevamento ecologico

La gestione sanitaria non può e non deve essere soltanto la applicazione dei regolamenti e delle leggi in vigore, ma soprattutto un modo diverso di salvaguardare la salute animale, tramite un approccio più complesso e articolato.

PUNTI METODOLOGICI ESSENZIALI della assistenza veterinaria:

– Prevenzione

– Monitoraggio

– Conoscenza

– Comunicazione

L’equilibrio dell’agroecosistema è alla base anche della salute animale. L’ agroecosistema, costituito da suolo, vegetali, animali, uomo, basa il suo equilibrio su un complesso insieme di relazioni reciproche fra le varie parti che lo compongono. La cattiva gestione di una parte del sistema si ripercuote inevitabilmente sulle altre parti.

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L’agroecosistema tende a squilibrarsi per :

– Carenza di biodiversità

– Eccesso di asportazione di biomassa da parte dell’ uomo

– Eccessivo sfruttamento delle risorse presenti

– Relazioni poco vantaggiose tra le varie componenti ( animali, vegetali, ecc.) LA MALATTIA E’ SEMPRE LEGATA AD UNA ALTERAZIONE DELL’ EQUILIBRIO DI UN SISTEMA BIOLOGICO

La comune concezione dell’azione medica “diagnosi-prognosi-terapia” va ampliata, in quanto in tale tipo di allevamento il ricorso alla chimica deve essere minimo, e quindi massimo l’ utilizzo di strategie preventive e di strategie SISTEMICHE.

E’ quindi necessaria una valutazione sistemica, che comprenda l’intera azienda agrozootecnica.

Una azione di monitoraggio.

Interventi correttivi preventivi.

Impostazione dell’ attività veterinaria:

1 ANAMNESI

2 INDIVIDUAZIONE DEI PUNTI DEBOLI DEL SISTEMA- ALLEVAMENTO

3 ELABORAZIONE PIANO DI MONITORAGGIO SANITARIO

4 INDIVIDUAZIONE DEGLI INTERVENTI

5 EFFICACE COMUNICAZIONE COLL’ IMPRENDITORE, COL PERSONALE

VERIFICA DEGLI INTERVENTI EFFETTUATI

6 VALUTAZIONE EFFICACIA DEL METODO

TECNICA VETERINARIA: APPLICAZIONE DELLA METODOLOGIA OMEOPATICA IN ZOOTECNIA

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La raccolta del caso prevede una accurata anamnesi aziendale: incidenza di malattie nelle varie categorie di animali, dati ambientali riguardanti il clima e il terreno, strutture e ricoveri dell’ allevamento, alimentazione, gestione dei gruppi di animali, comportamento della mandria o del gregge, rapporto uomo-animale. I dati patologici saranno approfonditi con opportune analisi di laboratorio. Essenziale conoscere la etologia della specie in esame.

Gli elementi dalla anamnesi verrano studiati e analizzati secondo il metodo omeopatico unicista per giungere alla prescrizione del rimedio di fondo aziendale.

Il rimedio sarà specifico e diverso per ogni azienda trattata e potrà avere l’ effetto di aumentare le capacità reattive generali degli animali. Nel caso delle parassitosi vi sarà presumibilmente una migliore risposta immunitaria dell’ ospite quindi una diminuzione della carica parassitaria ma anche una migliore tolleranza dell’ ospite nei confronti del parassita (resilienza), e quindi anche con la presenza di una discreta carica parassitaria gli animali trattati dovrebbero presentare un buon mantenimento dello stato di salute, benessere, buone produzioni.

Il rimedio aziendale sarà somministrato in soluzione acquosa dinamizzata, per via orale.

Le singole patologie presentate dagli animali saranno gestite da un veterinario omeopata tramite prescrizione effettuata sul caso singolo.

Dato il tipo di azione della medicina omeopatica è importante una analisi globale dello stato degli animali: indici produttivi e riproduttivi, benessere, patologie intercorrenti oltre naturalmente la qualità e quantità dei parassiti presenti.

TERAPIE CONVENZIONALI:

L’utilizzo di farmaci di sintesi negli animali di allevamenti sia biologici che convenzionali ha diverse possibili conseguenze :

– Selezione di ceppi batterici resistenti agli antibiotici, potenzialmente pericolosi per l’uomo.

– Inquinamento ambientale.

– Residui negli alimenti di origine animale.

L’ Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente raccomandato di limitare l’ uso dei farmaci di sintesi in zootecnia per preoccupazioni riguardo la salute pubblica.

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L’ allevamento biologico date le sue finalità dovrebbe porre particolare attenzione a questo aspetto.

TRATTAMENTI ANTIPARASSITARI:

Dato il loro impatto ambientale e la tossicità è consigliabile che il loro impiego sia condizionato dalla verifica quali-quantitativa tramite analisi dei parassiti presenti nel gruppo di animali in modo da effettuare, se necessario, trattamenti mirati; inoltre è essenziale consentire solo l’uso di molecole a limitata permanenza ambientale, verificata tramite studi specifici, per evitare inquinamento di suolo, falde acquifere, vegetali.

E’ necessario che le aziende mettano in atto adeguati piani di prevenzione delle malattie parassitarie come la rotazione dei pascoli ( studiata in base alle parassitosi presenti), igiene ambientale, trattamenti omeopatici preventivi.

MACELLAZIONE: Lo stress derivante da operazioni di carico, scarico e trasporto è molto elevato in animali allevati allo stato brado o semibrado, gli impianti di macellazione autorizzati spesso non sono dislocati in vicinanza degli allevamenti; ne deriva uno stato di sofferenza per gli animali, che a nostro avviso va assolutamente evitato per motivi etici, e anche un peggioramento qualitativo degli alimenti di origine animale.

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ZOOTECNIA BIOLOGICA

Agricoltura biologica    

L'IFOAM, la Federazione Internazionale dei Movimenti per l'Agricoltura Biologica (International Federation of Organic Agriculture Movements), così definisce l'agricoltura biologica: "Tutti i sistemi agricoli che promuovono la produzione di alimenti e fibre in modo sano socialmente, economicamente e dal punto di vista ambientale. Questi sistemi hanno come base della capacità produttiva la fertilità intrinseca del suolo e, nel rispetto della natura delle piante degli animali e del paesaggio, ottimizzano tutti questi fattori interdipendenti. L'agricoltura biologica riduce drasticamente l'impiego di input esterni attraverso l'esclusione di fertilizzanti, pesticidi e medicinali chimici di sintesi. Al contrario, utilizza la forza delle leggi naturali per aumentare le rese e la resistenza alle malattie".

Con il termine "biologico", in Italia, Grecia, Francia, Olanda e Portogallo, o con il termine "ecologico", in Spagna, Danimarca, Germania e Svezia, o "organico" nei Paesi di lingua inglese, si intende ciò che viene ottenuto, pianta o animale, attraverso un metodo produttivo che non ricorra ai prodotti di sintesi e che rispetti una serie di norme che vincolano il produttore nel modo di operare.

Il concetto di Agricoltura biologica ha origine ai primi del '900 soprattutto nell'Europa centrale. Tre sono i movimenti principali:

- in Germania per ispirazione di Rudolf Steiner, a cui si deve l'elaborazione della dottrina antroposofica nasce l’Agricoltura Biodinamica;

- l'Agricoltura Organica, nasce in Inghilterra subito dopo la seconda guerra mondiale e trae origine soprattutto dalle idee di Sir Howard;

- in Svizzera, negli anni '40, Hans Peter Rusch e H. Muller definiscono il metodo dell’Agricoltura Biologica.

L’agricoltura biologica si sviluppa in modo spontaneo senza riferimenti normativi e svincolata dalle leggi di mercato.

Dagli anni sessanta in poi la crescita del movimento si accelera: i crescenti danni ambientali e una diversa consapevolezza su come e cosa mangiare, sono da soli sufficienti a spingere verso un'agricoltura dove il ricorso alla chimica sia ridotto e maggiormente controllato. In quegli anni nasce un vero mercato del biologico, sempre più ampio, differenziato, rivolto alle grandi città del Nord Europa che stimola l'agricoltura di quei Paesi. Spagna, Portogallo e Italia cominciano a diventare fornitori di questi mercati.

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Negli anni Settanta si sviluppano i sistemi di controllo e di certificazione, all'inizio in modo un po' caotico, successivamente con regole sempre più chiare e complete. L'IFOAM nasce in Francia nel 1972 e riunisce oltre 500 movimenti di operatori del biologico di tutti e cinque i continenti, per un totale di 90 nazioni. Solamente nel 1991 con il Reg. CEE 2092 (entrato in vigore il 1° gennaio 1993) si ha il riconoscimento ufficiale e la regolamentazione del metodo produttivo nonché della trasformazione e della commercializzazione del prodotto biologico. Ne rimaneva escluso il comparto zootecnico che sarà normato con il Reg. CEE 1804/99 entrato in vigore il 24/8/2000, fatta eccezione per alcuni punti (divieto dell'uso di organismi geneticamente modificati e di loro derivati nell'alimentazione degli animali) diventati obbligatori da subito.

Il concetto di zootecnia biologica è quello di condurre un allevamento che sia rispettoso dell’animale, dell’ambiente e del consumatore. Gli animali in azienda sono importanti perché: - chiudono il ciclo ecologico dell’azienda; - forniscono letame, ammendante per il terreno e principale fonte di sostanza organica nell'agricoltura biologica; - producono latte, carne e loro derivati; - richiedono aree a foraggio impedendo rotazioni troppo strette delle colture e favorendo la fertilità del terreno. Un aspetto importante sancito dal Reg. 1804/99 e confermato dai decreti ministeriali attuativi è il criterio dei chilogrammi di azoto ad ettaro anno di provenienza animale. Fatto pari a 170 kg per ettaro, questo elemento condiziona il numero di animali allevabili secondo la categoria. Un altro punto sancito dal regolamento riguarda il benessere degli animali (aspetto sempre più considerato dai consumatori) e il ricorso a razze storiche o migliorate, ma sempre ben adattate all'ambiente. Si sancisce l'obbligo del controllo di tutta la filiera attraverso un organismo certificante e per finire vengono lasciate delle finestre aperte, a carattere transitorio o definitivo, affinché siano possibili adattamenti locali o regionali. In caso di conversione da un allevamento commerciale ad un allevamento biologico è necessario attendere un certo periodo di tempo prima di poter dichiarare biologiche le produzioni. Il Reg. 1804/99 è stato reso attuativo in ogni Paese membro da decreti ministeriali, come previsto in sede comunitaria. In Italia il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, di concerto con il Ministero della Sanità, ha tracciato le linee guida

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all'applicazione del regolamento tramite il Decreto Ministeriale del 4/8/2000 seguito da un secondo decreto n. 182, pubblicato sulla G.U. il 7 agosto 2001.

ORIGINE DEGLI ANIMALI

In caso di conversione da un allevamento commerciale ad un allevamento biologico è necessario attendere un certo periodo di tempo prima di poter dichiarare biologiche le produzioni. I tempi sono:

• 12 mesi per equini e bovini da carne • 6 mesi per piccoli ruminanti e suini (4 mesi fino al 2003) • 6 mesi per animali da latte (3 mesi fino al 2003) • 10 settimane per il pollame da carne di meno di 3 giorni • 6 settimane per le galline ovaiole

Se invece si parte da zero e la stalla vuole nascere biologica si dovrebbe ricorrere ad animali i cui genitori siano già biologici. Considerata però l’attuale esigua consistenza della zootecnia biologica, si prevedono già delle deroghe, la più importante è quella che permette l’acquisto di animali convenzionali purché di età:

• inferiore alle 18 settimane per le pollastrelle per la produzione di uova • inferiore ai 3 giorni per i polli da carne • inferiore ai 6 mesi per i bufali • comunque inferiore a 6 mesi per puledri e vitelli che abbiano appena terminato

lo svezzamento • sempre dopo lo svezzamento ed entro i 45 giorni per pecore e capre • subito dopo lo svezzamento e sotto i 25Kg per i suinetti.

ALIMENTAZIONE

L’alimentazione deve essere rigorosamente biologica. Detto questo, non ci sono limitazioni e l’alimentazione può essere di qualsiasi tipo. Come deroga temporanea fino al 2005, è ammissibile il 10% per gli erbivori e il 20% per i monogastrici di alimenti convenzionali con le caratteristiche che vedremo in seguito. Tali percentuali sono espresse sulla sostanza secca di prodotto agricolo su base annuale e mantenendo un massimo del 25% sulla razione giornaliera. Il prodotto in conversione può essere utilizzato fino a un massimo del 30% aumentabile al 60% in caso di produzione aziendale.

Per i poligastrici almeno il 60% della razione deve essere costituita da foraggi freschi, insilati o essiccati. La razione del pollame all’ingrasso deve contenere almeno il 65% di cereali. La percentuale di prodotto convenzionale utilizzato non può essere di qualunque tipo ma viene riportato un lungo elenco di prodotti ammessi, che in

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estrema sintesi sono tutti i prodotti vegetali, purché non trattati con solventi, e in alcuni prodotti animali (latte e sottoprodotti). Sono riportati anche gli elenchi delle sostanze minerali utilizzabili, degli additivi per insilati e mangimi e di altri prodotti specifici tra i quali risaltano le vitamine anche di origine sintetica purché identiche a quelle naturali( solo per i monogastrici).

TRATTAMENTI

Sono consentiti 2-3 cicli di trattamenti con medicinali allopatici in un anno ovvero in un ciclo se si tratta di animali con vita inferiore all’anno. L’uso in forma preventiva di medicinali allopatici ottenuti per sintesi chimica non è consentito nell’agricoltura biologica. Altro grosso capitolo è quello relativo al divieto di utilizzo di qualunque cosa contenga o derivi da organismi geneticamente modificati con la sola eccezione dei farmaci veterinari. L’impiego di sostanze destinate a stimolare la crescita o a modificare il ciclo riproduttivo degli animali non sono compatibili con i principi dell’agricoltura biologica. In linea di principio la riproduzione degli animali deve basarsi a metodi naturali, tuttavia è consentita l’inseminazione artificiale mentre è vietato il trapianto di embrioni. Tutti i mammiferi devono avere accesso ai pascoli o a spiazzi liberi ogni qualvolta le condizioni lo consentano. Solo la fase finale di ingrasso dei bovini, suini, e pecore per la produzione di carne, può avvenire in stalla, per un periodo inferiore ad un quinto della loro vita o comunque al massimo per 3 mesi. E’ vietato l’allevamento di vitelli in box individuali dopo una settimana di età. Per il pollame e per le api sono previste norme particolareggiate in ordine alle condizioni di allevamento, ma anche sull’età minima prima della macellazione. L’identificazione dei prodotti animali deve essere garantita per tutto il ciclo di produzione, preparazione, trasporto e commercializzazione.

STALLE E PASCOLI

Le condizioni di stabulazione degli animali devono rispondere alle loro esigenze biologiche ed etologiche. Non è obbligatoria la stabulazione nelle regioni aventi condizioni climatiche che consente la vita all’aperto. Le stalle devono avere delle superfici minime coperte e scoperte. La stabulazione fissa è di norma vietata.

Motivi per scegliere la zootecnia biologica Lo studio dell’ecologia applicato alle produzioni animali mette in evidenza quanto poco rispettosa dell’ecosistema possa essere la zootecnia intensiva, che al fine di ottenere il massimo profitto col minimo della spesa, utilizza sistemi che non tengono conto né del benessere degli animali allevati, né della salvaguardia dell’ambiente, con poco riguardo anche al consumatore finale. Come in tutti gli usi intensivi e specializzati della terra, nell’agricoltura intensiva, ci

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sono costi e profitti, che includono l’erosione del suolo, l’inquinamento da pesticidi e fertilizzanti, l’alto costo dei carburanti e l’accresciuta vulnerabilità ai cambiamenti climatici ed ai parassiti. Anche l’allevamento intensivo è caratterizzato da un’utilizzazione massiccia di energia sottoforma di elettricità e combustibili, da un accrescimento della vulnerabilità degli animali ai patogeni, ma soprattutto dalla creazione di inquinamento. Lo produce perché utilizzando farmaci di sintesi per gli animali e prodotti chimici per migliorare le produzione foraggere, inquina l’ambiente e produce alimenti anch’essi inquinati. Solo gravi fatti di cronaca portano a conoscenza dell’opinione pubblica questi problemi, almeno per il breve tempo per cui la cosa fa “notizia”; è il caso di quando accadono gravi episodi di danneggiamento dell’ambiente, come l’eutrofizzazione delle alghe dell’Adriatico dovuta agli allevamenti dei maiali della Pianura Padana, o di quando esistono pericoli immediati per la salute umana, come nel caso degli estrogeni ritrovati nelle carni di bovini trattati fraudolentemente dagli allevatori a scopo di profitto, la diossina nei mangimi e quindi nelle carni dei maiali, o dell’epidemia di BSE, la malattia della mucca pazza, originata dall’utilizzazione delle farine di carne di pecore ammalate nella alimentazione di altri animali. Per inciso Rudolph Steiner, fondatore della Antroposofia e della Agricoltura Biodinamica, aveva già predetto nel 1919 che se le vacche fossero state alimentate con residui animali sarebbero diventate pazze. Non troviamo però notizia sui quotidiani dei gravi rischi per l’ecosistema, e dei pericoli per la salute umana prodotti quotidianamente dall’allevamento intensivo degli animali. Ne è un esempio l’inquinamento dell’ambiente dovuto alla dispersione di farmaci e dei loro metaboliti, come nel caso dei prodotti utilizzati per sverminare gli animali, difficilmente degradabili, che si ritrovano nelle loro deiezioni e quindi nei liquami utilizzati per fertirrigare i campi, o l’inquinamento dell’organismo degli stessi consumatori dovuto all’assunzione continua di molecole farmacologiche attraverso il consumo di carni di animali trattati. I tempi di sospensione, anche se rispettati dall’allevatore, risultano infatti spesso insufficienti perché le molecole farmacologiche ed i loro metaboliti vengano completamente eliminate dal corpo dell’animale. Questo fatto è particolarmente grave perché, ad esempio, l’assunzione continua di farmaci ad azione antibiotica pian piano fa sì che si selezionino nuovi ceppi di batteri patogeni resistenti, che per essere distrutti hanno bisogno di farmaci sempre più potenti e sempre più nuovi, che funzionano solo per pochi anni prima di diventare anche loro inefficaci. Se la ricerca e l’industria farmaceutica trae profitto da ciò, non così e per l’organismo umano ed animale, oggetto dell’inquinamento farmacologico, che viene indebolito dalla assunzione di antibiotici sempre più potenti. I consumatori più accorti cominciano a dubitare dei prodotti di questo tipo di zootecnia e cercano alimenti sani prodotti nel rispetti della natura e degli animali e sono pronti a pagarli anche relativamente di più.

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Giunti ad una eccessiva industrializzazione si tratta quindi di ritornare ad un tipo di zootecnica non inquinante, rispettosa della natura, degli animali e dell’uomo. Questo però non deve e non può essere un mero ritorno all’antico, all’immagine stereotipata del buon mezzadro toscano che all’interno del podere realizzava una sorta di “ciclo chiuso aziendale”, al contrario si tratta di rendere possibili, attraverso tecniche appropriate, produzioni animali ecocompatibili che soddisfino un gran numero di consumatori, a costi, se possibile, non di molto superiori a quelli della zootecnia industriale.

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MALATTIE TRASMISSIBILI DALL'ANIMALE ALL'UOMO

Tutti sanno che esiste la possibilità che l’uomo e gli animali si trasmettano reciprocamente malattie, che sono definite zoonosi. Le zoonosi conosciute sono molto numerose (oltre 150) e il loro studio costituisce uno dei settori di maggior interesse della medicina umana e veterinaria. Nel mondo moderno queste malattie, a causa dell’intensificarsi degli scambi commerciali di animali e prodotti di origine animale tra i vari paesi, acquistano un’importanza crescente. Inoltre il pericolo della loro diffusione è ulteriormente aggravato dall’aumento degli animali, domestici e selvatici, che sempre più numerosi vivono in ambiente urbano. Le zoonosi possono diffondersi da un animale all’altro e dagli animali all’uomo, mentre di solito non si trasmettono da un uomo all’altro. Perciò l’uomo si ammala soltanto tramite gli animali. Gli animali possono trasmettere la malattia direttamente all’uomo: in questo caso sono interessati soprattutto i proprietari degli animali. Spesso però non è necessario stare a contatto con l’animale per ammalarsi, ma è sufficiente venire a contatto con cose ed oggetti che, a loro volta, sono stati contaminati dagli animali infetti: generalmente si tratta del terreno, che viene inquinato dagli animali e dalle loro feci ed urine. Un altro gruppo di malattie di trasmette dagli animali all’uomo con gli alimenti di origine animale: consumare carni, latte ed altri alimenti contaminati può causare all’uomo diverse malattie. Considerate le differenti possibilità di contagiarsi che ha l’uomo, divideremo le malattie che ci interessano in tre capitoli: Zoonosi trasmesse dagli animali da compagnia (cani, gatti, ecc.) Zoonosi trasmesse tramite il terreno Zoonosi trasmesse con gli alimenti di origine animale. Zoonosi trasmesse dagli animali da compagnia RABBIA La malattia E’ causata da un virus che provoca danni gravi ed irreparabili al sistema nervoso. E’ una malattia sempre mortale che colpisce l’uomo e tutti gli animali a sangue caldo. Dopo la comparsa dei primi disturbi ogni tentativo di salvare l’animale o la persona colpiti è inutile e la morte sopravviene in pochi giorni. Perciò sono estremamente importanti i provvedimenti di prevenzione, che debbono essere particolarmente severi nelle zone in cui la malattia è presente ed in quelle circostanti.

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La trasmissione della malattia La rabbia colpisce tutti gli animali a sangue caldo, domestici e selvatici. Essa viene trasmessa prevalentemente con il morso degli animali infetti. Attualmente l’infezione è presente in tutta Europa con un ciclo detto silvestre: infatti colpisce gli animali selvatici. La malattia viene trasmessa soprattutto da animali carnivori morsicatori, ed in particolare le volpi; dagli animali selvatici la rabbia può passare agli animali domestici, generalmente quando cani o gatti sono morsicati da volpi. Ha così inizio il ciclo urbano o cittadino: la malattia si diffonde dove vive l’uomo, colpisce tutti gli animali domestici e viene trasmessa soprattutto da gatti e cani. L’uomo può essere contagiato sia nel ciclo silvestre sia in quello urbano, in conseguenza di morsi, graffi ed anche per il semplice contatto con la saliva degli animali infetti. E’ importante sapere che la saliva può già essere infetta quando la malattia è ancora in incubazione; perciò, anche se l’animale si presenta ancora del tutto normale, la sua saliva può già trasmettere la rabbia. La prevenzione nelle zone infette ed in quelle circostanti Poiché per l’uomo è molto facile contrarre la malattia dagli animali domestici, bisogna adottare ogni precauzione per impedire il ciclo urbano della malattia: si deve cioè evitare che gli animali selvatici contagino gli animali domestici. E’ quindi necessario: vaccinare tutti i cani da caccia e da pastone, che sono i più esposti al rischio dell’infezione, e tutti i cani delle zone infette; eliminare il randagismo di cani e gatti. condurre i cani al guinzaglio; non depositare i rifiuti in luoghi accessibili agli animali :infatti le discariche non protette da recinzioni sono un richiamo sia per le volpi sia per i cani e gatti; questi animali domestici in caso di presenza delle volpi infette possono essere facilmente morsicati e contrarre la malattia; controllare la popolazione delle volpi; un numero non equilibrato di volpi può infatti facilitare la diffusione della malattia; segnalare alla Azienda Sanitaria Locale – Servizio Veterinario, qualsiasi ritrovamento di animale morto ed ogni comportamento spiccatamente anormale di animali selvatici e domestici. Infatti il virus della rabbia aggredisce il sistema nervoso, provocando modificazioni di indole e di comportamento negli animali colpiti. La malattia deve essere sospettata quando si osservano: volpi o altri carnivori selvatici che hanno perso l’abituale prudenza e si avvicinano all’uomo, alle case, senza atteggiamento guardingo, che manifestano un’insolita indifferenza agli stimoli oppure una spiccata aggressività verso cose (ad esempio un bastone avvicinato senza violenza all’animale), animali e persone. Cani che presentano modificazioni del carattere (un cane docile può diventare senza ragione aggressivo o viceversa) e del comportamento (il cane abbaia o scodinzola a

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persone immaginarie, mangia di tutto con eccessiva voracità, si nasconde in luoghi bui ed appartati, fugge dai luoghi in cui vive abitualmente). Quando la malattia procede, il cane ha crisi di eccitazione violenta alternate a periodi in cui si mostra molto depresso; la mandibola è paralizzata e la bocca resta semiaperta, l’animale non può deglutire e la saliva cola abbondante. Il cane rabido (malato di rabbia), non abbaia, di solito ulula con voce rauca. Gatti che modificano il loro comportamento, si nascondono in angoli bui e se sollecitati ad uscire mordono e graffiano. TUBERCOLOSI La malattia E’ una malattia cronica: la forma polmonare si trasmette generalmente con la tosse di animali infetti, quella non polmonare per ingestione di alimenti animali infetti (vd. zoonosi alimentari). Tre batteri diversi causano la malattia nell’uomo: il micobatterio di tipo umano, quello bovino e quello aviare (degli uccelli). La malattia è particolarmente pericolosa per i bambini. La trasmissione della malattia Gli animali da compagnia che possono trasmettere la tubercolosi sono cani, gatti, scimmie e pappagalli. Cani e gatti contraggono la malattia stando a contatto con uomini o bovini infetti, oppure mangiando carni crude o latte non pastorizzato proveniente da bovini infetti. La prevenzione Poiché l’infezione da micobatterio umano è ormai rara nel nostro Paese, la sorgente più pericolosa di malattia resta il bovino. Per eliminare la malattia, appositi piani nazionali per il risanamento degli allevamenti bovini sotto il controllo dello Stato prevedono l’abbattimento obbligatorio degli animali infetti. Per prevenire la malattia nel cane e nel gatto non nutriteli con latte o carni crude di provenienza non sicura. in particolare non si dovrà somministrare al gatto polmone di bovino crudo. È meglio evitare di tenere in casa cani che hanno vissuto in stalle infette. Scimmie e psittacidi (pappagalli e cocorite) di importazione potrebbero essere infetti da tbc umana e devono essere controllati al momento della importazione. DERMATOFIZIE (tigna) E SCABBIA (rogna) La malattia Si tratta di due malattie della pelle. Le dermatofizie sono micosi cutanee, causate da microscopici funghi (specie diverse di Microsporum e Trichophyton) che colpiscono gli animali domestici (in questi provocano la caduta del pelo in zone rotondeggianti: tigna tonsurante) e l’uomo

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(possono essere colpiti capelli, pelle, unghie, particolarmente nei bambini). Fra gli animali domestici i can sono frequentemente colpiti, mentre i gatti sono spesso portatori sani. Anche i topi sono responsabili della diffusione della malattia. La scabbia o rogna è invece causata da parassiti non visibili ad occhio nudo (sarcoptes scabini) che vivono in microscopiche gallerie che scavano nella pelle dell’uomo e degli animali domestici. La loro azione è irritante e provoca prurito, formazione di vescicole e croste. Gli animali sono colpiti soprattutto sulla testa. La trasmissione della malattia Le due malattie si trasmettono per contatto con l’animale infetto o con oggetti che sono stati a contatto con l’animale. La prevenzione Occorre curare gli animali infetti e limitare al massimo ogni occasione di contatto, mantenendo un isolamento igienico fino alla guarigione. Si ricorda che il gatto trasmette raramente la rogna, ma è portatore sano delle tricofizie. TOXOPLASMOSI La malattia È causata da un protozoo (Toxoplasma condii) che presenta un complicato ciclo di vita, durante il quale si moltiplica nei muscoli di numerosi animali e nell’intestino del gatto (specialmente giovane) che è l’animale portatore sano. Nell’uomo l’infezione con questo agente non causa di solito malattia, che si verfica in forma grave solo in persone con scarse capacità di difesa (immunodepresse), soprattutto bambini. L’importanza di questa infezione è però dovuta agli effetti che esercita sul feto, generalmente quando la donna si infetta per la prima volta durante la prima gravidanza, soprattutto durante il secondo trimestre. In questo caso si possono verificare l’aborto, la nascita di bambini con malformazioni oppure affetti dalla forma grave della malattia. La trasmissione della malattia L’uomo si infetta maneggiando o mangiando carni infette crude (vd. zoonosi alimentari) oppure ingerendo occasionalmente il parassita che è stato eliminato dal gatto con le feci, in una forma molto resistente (oocisti). Le feci appena deposte non sono infettanti, ma lo divengono dopo circa due giorni e, mescolandosi col terreno, lo rendono infettante per mesi. La prevenzione Il gatto domestico non deve essere nutrito con carni crude e deve essere alimentato a sufficienza per evitare che divori topi e uccelletti: tutte le carni crude possono infatti trasmettere l’infezione. Inoltre le sue feci devono essere eliminate ogni giorno, prima che diventino infettanti, sciacquando poi abbondantemente con acqua bollente gli appositi recipienti. Con queste semplici norme si limita la diffusione del contagio dei gatti domestici, ma i gatti randagi restano pericolosi diffusori. Essi sono infatti eliminatori del protozoo e

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contaminano il terreno ovunque, compresi orti, giardini e parchi per bambini: questo pericolo costituisce un ulteriore motivo per eliminare il randagismo dei gatti. Per i rischi che la malattia comporta, tutte le donne prima o all’inizio della gravidanza devono sottoporsi ad un apposito esame del sangue: se questo è negativo significa che la donna non possiede anticorpi contro il toxoplasma e che durante la gravidanza dovrà seguire scrupolose norme di igiene. Dovrà limitare ogni contatto personale con gatti e lavarsi bene le mani dopo ogni contatto con la terra o con carni crude. Inoltre dovrà consumare solo carni cotte e lavare accuratamente frutta e verdure da consumarsi crude. LEISHMANIOSI La malattia Colpisce il cane e l’uomo. In Italia è presente, anche se rara, soprattutto nelle regioni meridionali e nelle isole; tuttavia anche la Liguria e le coste in genere possono essere pericolose. È causata da protozoi detti leishmanie. In Italia la leishmaniosi è una grave malattia della pelle. La trasmissione della malattia La malattia si trasmette dal cane all’uomo con la puntura di una piccola mosca della sabbia che si nutre si sangue. La prevenzione I cani infetti devono essere sollecitamene curati o soppressi. Nelle zone in cui la malattia è presente bisogna premunirsi contro le punture dell’insetto che trasmette la malattia. Zoonosi trasmesse tramite il terreno Si tratta di malattie che gli animali diffondono prevalentemente con le feci. Le feci degli animali infatti possono contenere batteri e protozoi (spesso in forme molto resistenti, chiamati rispettivamente spore ed oocisti), miceti e microscopiche uova di parassiti. Altre malattie sono diffuse nel terreno con le urine (leptospirosi); i miceti che causano la tigna si disperdono invece dalla pelle e dal pelo degli animali infetti. Le norme generali da rispettare per evitare le malattie trasmissibili attraverso il terreno sono quelle dell’igiene personale e dell’ambiente in cui si vive. Particolarmente importante è l’igiene dell’alimentazione; gli alimenti non devono essere contaminati da terra ed è molto importante lavare bene la frutta e la verdura che si vogliono consumare crude. Fra le malattie degli animali che si trasmettono all’uomo con il terreno, per la loro particolarità vengono descritte il tetano e la criptococcosi.

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TETANO La malattia Si tratta di una malattia comune all’uomo ed agli animali, generalmente mortale, che causa contrazioni dei muscoli con convulsioni ed irrigidimento delle parti interessate. La trasmissione della malattia Le spore del batterio del tetano sono presenti nella terra e nella polvere; le spore raggiungono il terreno con le feci di molti animali, soprattutto erbivori, e resistono per anni. Queste spore, per causare la malattia, devono superare la barriera cutanea: per questo motivo sono pericolose tutte le ferite, anche non gravi ma profonde, causate da oggetti sporchi. Anche i morsi di animali possono portare le spore in profondità. La prevenzione Sia i bambini, che sono molto sensibili alla malattia, sia gli adulti che per il loro lavoro possono frequentemente ferirsi con oggetti sporchi, devono essere vaccinati. Dopo le prime vaccinazioni e la dose di rinforzo dell’anno successivo, è sufficiente una dose di richiamo ogni 4 anni. Chi invece non è vaccinato e viene ferito da oggetti sporchi di terra o morso da un animale, deve ricorrere al pronto soccorso per la pulizia della ferita e l’iniezione di siero antitetanico. CRIPTOCOCCOSI La malattia È causata da un micete (Cryptococcus neoformans). È una micosi profonda che colpisce gli organi interni, in particolare il cervello, con formazioni simili a tumori. Si ammalano soprattutto i bambini ed i soggetti deboli e con poche difese (immunodepressi). La trasmissione della malattia e la prevenzione La criptococcosi si trasmette con la terra contaminata dagli escrementi di piccioni. Particolare attenzione deve quindi essere posta nel tenere lontani i bambini dai luoghi molto contaminati. Le stesse considerazio ni valgono per la istoplasmosi, altra grave malattia causata da un micete, che colpisce soprattutto i polmoni e che è presente negli escrementi dei volatili. Zoonosi trasmesse all'uomo con gli alimenti di origine animale. Le carni, il latte ed i loro derivati (salumi, formaggi ecc.), i pesci, le uova, possono essere causa di malattie batteriche e parassitarie per l’uomo. La presenza dei batteri e dei parassiti negli alimenti di origine animale è un caso fortunatamente raro, grazie alla norma che prevede l’ispezione veterinaria degli alimenti. Uno dei compiti del servizio veterinario è infatti quello di prevenire i rischi sanitari per i consumatori degli alimenti di origine animale, garantendo la salubrità di questi prodotti, con

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precisi controlli che vanno dalla fase di produzione alla lavorazione e alla vendita. Tuttavia, questi controlli riducono fortemente i rischi ma non sono sufficienti ad eliminarli completamente, se il consumatore da parte sua non adotta alcune precauzioni (vedi: “la prevenzione”). Malattie trasmesse con il consumo di carni TENIASI E CISTICERCOSI La malattia e la sua trasmissione La tenia o verme solitario è un verme piatto che vive come parassita nell’intestino umano. L’uomo che ospita la tenia elimina con le feci, piccole parti del verme, dette proglottidi, che contengono migliaia di microscopiche uova del parassita. Quando suini e bovini ingeriscono queste uova, nei loro muscoli, nel cuore, nella lingua ed in altri organi, si possono sviluppare le larve della tenia, dette cisticerchi, che sono visibili come piccole vescicole bianche. L’uomo si infesta mangiando, crude o poco cotte, le carni suine e bovine che contengono queste larve. Le tenie dell’uomo più diffuse sono: Taenia solium: lunga 2-4 metri, le sue proglottidi sono espulse con le feci; le larve si trovano nelle carni di suino. Taenia saginata: lunga 4-10 metri, le sue proglottidi si muovono e possono uscire da sole dall’apertura anale; le larve si trovano nelle carni di bovino. I disturbi che il parassita adulto provoca nell’uomo sono: nausea, difficoltà di digestione, fame e dimagrimento. La Taenia solium può però essere responsabile di una malattia ben più grave, la cisticercosi. Infatti se l’uomo, per scarsa igiene . ingerisce le microscopiche uova di questa tenia, contenute nelle feci proprie o di altri uomini, nel suo corpo si sviluppano le larve, che possono causare disturbi anche gravi, soprattutto se si localizzano nell’occhio o nel cervello. Mentre la teniasi si cura con prodotti vermicidi, la cisticercosi può essere curata solo con delicate operazioni chirurgiche. La prevenzione Come detto la teniasi è oggi più rara grazie ai controlli sistematici effettuati dal veterinario pubblico nei macelli. Per prevenirla si consiglia di consumare carni suine e bovine solo se ben cotte o stagionate a lungo (2-3 mesi). Un altro metodo per rendere innocue le carni, se si vogliono consumare crude, consiste nel congelarle a –10° per una settimana. Salmonellosi ed altre malattie tossiinfettive alimentari Si tratta di un gruppo di malattie dovute a batteri che producono tossine. Le tossine sono sostanze che agiscono come veleni più o meno potenti; la maggior parte delle tossine responsabili delle intossicazioni di origine alimentare causa disturbi

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gastrointestinali con dolori, vomito, diarrea, talvolta con febbre e prostrazione fino al collasso. Queste malattie possono essere molto gravi, anche mortali, specie per i bambini. I batteri che producono queste tossine possono essere presenti già nell’animale in vita e ritrovarsi così nelle carni appena macellate o nelle uova degli animali; in altri casi, e più frequentemente, le carni e gli altri prodotti alimentari possono essere contaminati durante la lavorazione , per la scarsa igiene. L’uomo può ammalarsi mangiando alimenti che contengono i germi oppure le loro tossine. Per causare la malattia sono necessari molti germi oppure molte tossine: per questo motivo hanno grande importanza le buone norme di conservazione degli alimenti, che impediscono ai germi di moltiplicarsi e di formare le tossine. Inoltre è bene sapere che i germi e le tossine sono generalmente resi innocui dalla cottura. Le malattie tossiinfettive alimentari sono molte e possono trarre origine dal consumo dei più svariati alimenti di origine animale (carni, salumi, pesci e molluschi soprattutto, ma anche latte, creme e formaggi, uova). Daremo alcuni cenni riguardanti la salmonellosi ed il botulismo. SALMONELLOSI Le salmonelle sono batteri che vivono nell’intestino dell’uomo e degli animali, anche portatori sani. Le salmonelle possono contaminare le carni (comprese quelle di pollame, conigli e selvaggina), i salumi freschi, le uova, il latte i prodotti della pesca (frutti di mare in particolare). La loro presenza negli alimenti può essere dovuta: ad animali portatori sani che ospitano i batteri nelle carni e nelle uova; al contatto con feci umane (es. frutti di mare allevati in acque inquinate); alla lavorazione non igienica che gli alimenti hanno subito da parte dell’industria, in mense, ristoranti, ecc. Le salmonelle non resistono al calore: infatti nel latte pastorizzato sono distrutte e così anche nelle carni, nei pesci e frutti di mare ben cotti. BOTULISMO Il botulismo si distingue dalle altre malattie alimentari perché causa disturbi nervosi con paralisi; la malattia è spesso mortale. Essa è causata dalla tossina del batterio Clostridium botulinum; questa tossina è il più potente veleno che si conosca. Il clostridio produce la tossina solo in assenza di arie: per questo motivo la tossina si può trovare solo nei prodotti insaccati ed inscatolati e nelle conserve. L’industria alimentare adotta precise precauzioni ed esegue controlli, per cui i suoi prodotti sono generalmente sicuri; i casi di botulismo, fortunatamente rari, che si verificano in Italia, sono invece dovuti al consumo di salsicce e conserve casalinghe mal preparate e mal conservate. A questo proposito si ricorda che la tossina non si forma: nelle salamoie forti nelle conserve acide

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nei prodotti conservati a temperature inferiori a 10°. Inoltre si ricorda che il calore distrugge facilmente la tossina botulinica; una ottima precauzione può essere quella di consumare salsicce ben cotte e di dare un bollore alle conserve che si devono consumare senza più cuocerle. Norme per la prevenzione delle più comuni malattie alimentari batteriche La lotta alle malattie alimentari inizia già negli allevamenti, dove gli animali portatori di germi pericolosi sono individuati, curati o eliminati: se si tratta di frutti di mare si devono controllare le acque di allevamento. I molluschi sono poi ulteriormente depurati facendoli sostare in acque pulite. Il servizio veterinario garantisce inoltre che la macellazione degli animali, la conservazione, la lavorazione e la vendita delle carni e degli altri prodotti di origine animale avvengano sempre secondo precise regole di igiene e che esistano le garanzie per offrire al consumatore un prodotto sano. Ad esempio si garantisce che il latte abbia subito una buona pastorizzazione e che i prodotti in scatola siano stati sterilizzati secondo le regole. Anche il consumatore, da parte sua, può seguire alcune norme, indispensabili per completare la prevenzione di queste malattie: acquistare solo prodotti freschi o ben conservati. Evitare in particolare le carni tritate o già tagliate o manipolate, non più fresche, i prodotti in scatola la cui scatola è ammaccata (una piccola fessura può avere permesso l’entrata di germi). cuocere le carni, i pesci, i frutti di mare a fondo. Questi alimenti se non sono consumati subito dopo la cottura, devono essere conservati in frigorifero. riscaldare sempre bene gli alimenti già cotti e raffreddati, prima di consumarli; in particolare gli arrosti in grossi pezzi possono proteggere i germi al loro interno, dove la carne resta poco cotta perché il calore arriva poco. Se l’arrosto è raffreddato troppo lentamente, i germi si moltiplicano e possono causare l’intossicazione, se non si provvede a scaldare la carne tanto da distruggerli. non consumare alimenti che danno segno di essere avariati perché presentano aspetto, odore o sapore anormali. Un alimento avariato infatti, anche se non sempre causa una forte intossicazione, è comunque sempre un alimento nocivo che provoca disturbo all’organismo ed affatica il fegato. Malattie che si possono trasmettere con il latte crudo di bovini, ovini e caprini e con i latticini freschi derivati Il latte può contenere germi diversi che possono causare malattie all’uomo: salmonella, stafilococchi (che provocano intossicazioni per il consumo di creme non ben conservate) rickettsie (germi simili ai batteri che causano la febbre Q), micobatteri della tubercolosi, brucelle ed altri. La tubercolosi è già stata trattata nel primo capitolo: si ricorda che una pericolosa fonte di infezione per l’uomo è rappresentata dai bovini infetti e dal loro latte. Si può contrarre la tubercolosi consumando latte crudo e formaggi freschi fatti con latte crudo. La malattia è molto pericolosa per neonati e bambini, nei quali la tubercolosi

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può provocare anche meningiti mortali. La brucellosi o febbre maltese o ondulante, è una grave malattia dell’uomo, in cui la febbre compare ad intervalli, con forte mal di testa e sudorazione intensa; di solito si risolve in alcune settimane, ma non sono rare le forme croniche e le complicazioni. L’uomo si contagia con il latte crudo di ovini, caprini e bovini e con i formaggi freschi da questo ottenuti. Per la tubercolosi e la brucellosi sono in corso piani nazionali per la eradicazione delle due malattie nei bovini: secondo queste disposizioni di legge, negli allevamenti sotto controllo i bovini infetti devono essere abbattuti. Per la brucellosi di pecore e capre è invece prevista la vaccinazione di tutti gli animali che producono latte. Quando negli allevamenti sotto controllo la malattia non è più presente, lo Stato conferisce la qualifica di allevamento indenne da brucellosi o da tubercolosi: questa certificazione rappresenta una importante garanzia di salubrità dei prodotti dell’allevamento. Per tutte le malattie suddette, il consumatore non corre generalmente rischi se utilizza latte confezionato, che viene pastorizzato o sottoposto ad altri trattamenti con il calore(*). Può invece essere estremamente pericoloso il consumo di latte crudo e di formaggi freschi ricavati da latte crudo. Quindi, quando si dispone di latte appena munto, prima di consumarlo occorre riscaldarlo, su fiamma piccola, fino all’ebollizione. (*) La pastorizzazione consiste nel riscaldamento a 60° – 80° (per tempi variabili secondo la temperatura applicata; es. pastorizzazione lenta: circa 30 minuti a 60°). Con la pastorizzazione si garantiscono, da un lato l’uccisione di tutti i germi patogeni (capaci di provocare malattie) e la maggiore conservabilità del latte, dall’altro la conservazione di quegli elementi nutritivi che sarebbero distrutti da temperature più alte. Il latte fresco confezionato è pastorizzato, mentre il latte a lunga conservazione ha subito trattamenti a temperature più alte, che ne compromettono in parte le caratteristiche.