prima il dovere. una critica della filosofia dei diritti

17
It SENSO DELI,A REPUtsBLICA Doveri a cura di Sauro Mattarelli Scritti di: Serge Audier, Slaheddine Ben Abid, Gianni Bernardini, Pier Cesare Bori, Thomas Casadei, Amina Crisma, , Gladio Gemma, Tommaso Greco, Saverio Marchignoli, Lorcnzo Milazzo, Simone Morgagni, Katia Poneti, Stefano Pratesi, Simone Scagliarini, Gianmaria Zanagni FrancoAngeli

Upload: tommaso-greco

Post on 10-Mar-2016

217 views

Category:

Documents


1 download

DESCRIPTION

Antropologia dei diritti e dei doveri

TRANSCRIPT

Page 1: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

It SENSO DELI,A REPUtsBLICA

Doveria cura di

Sauro Mattarelli

Scritti di:Serge Audier, Slaheddine Ben Abid, Gianni Bernardini,

Pier Cesare Bori, Thomas Casadei, Amina Crisma, ,

Gladio Gemma, Tommaso Greco, Saverio Marchignoli,Lorcnzo Milazzo, Simone Morgagni, Katia Poneti,

Stefano Pratesi, Simone Scagliarini, Gianmaria Zanagni

FrancoAngeli

Page 2: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

PRIMA IL DOVERE.UNA CRITICA DELLA FILOSOFIA DEI DIRITTI

dt Tommaso Grecot

1. Una premessa... doverosa

Niente appare più urgente di una ripresa del linguaggio dei doveri.Tale affermazione può sembrare eccessiva in un periodo storico in cui llu-

manità sembra minacciata da mali assai seri; e tuttavia ci sentiamo di avanzar-la nella convinzione che molti dei mali presenti abbiano un qualche legamecon una superficiale e onnipervasiva "cultura dei diritti", che sembra 1'unicaammessa ad avere cittadinanzanel dibattito pubblico (politico e scientifico),nel contesto del quale t'parlar màle" dei diritti è considerato non solo come unpericoloso peccato morale, ma anche come un grave errore teorico.

Nelle pagine chè.seguono si sosterrà che ciò di cui abbiamo bisogno è di(ri)cominciare a parlare (ed agire) "per doveri" e non "per diritti", perchésolo in questo modo è possibile salvaguardare almeno un minimo di quelladimensione sociale di cùi ogni individuo ha bisogno per poter vivere una vitadecente.

Non si tratta, naturalmente, di "parlar male" dei diritti. Si tratta, innanzitutto, di ribadire il nesso che i diritti intrattengono con l'esistenza dei doveri,e quindi di ricordare iI tributo di onore che il linguaggio e la logica dei dirittidevono portare al linguaggio e alla trogica dei doveri, salvo un vero e propriopervertimento della logica, appunto, ancor prima che della realtà. «Prima ildovere... e poi il piacere>>, si dice spesso nel linguaggio ordinario, alludendoalla necessità di adempiere ai propri obblighi prima di dedicarsi alle attivitàpreferite. Qui vogliamo dire: <<prima il dovere, e poi i diritti», non solo nelsenso che non è pensabile alcun sistema di diritti soggettivi (positivi o natura-li, indifferentemente) se non ne1 contesto di un sistema di obblighi e doveriche i soggetti si assumono, sia reciprocamente, sia nei'dÒnfronti Ae['autoritàpubblica chiamata a garantire (in ultima istanza) i diritti di ciascuno; ma

1. Università di Pisa.

1s

Page 3: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Tommaso Greco

anche, e soprattutto, nel senso che solo una società che insiste sulla prioritàdel dovere può creare le condizioni per il rispetto dei diritti di tutti. Sembra lacosa più banale del mondo, e lo è; ma nulla a volte è più urgente di riscoprirebanalità che sono andate perdute.

Bisogna riconoscere, comunque, che da qualehe tempo, e da parte di alcu-ni, si è ricominciato a parlare dei doveri, generalmente per sottolineare l'in-sufficienza di un discorso pubblico centrato esclusivamente sulla rivendica-zione e Ia garanzia di diritti soggettivi2. I diritti, si dice, hanno dimostratoabbondantemente di essere incapaci di dare risposte efficaci e sicure alle esi-genze pubbliche e private degli individui.

Tra 1e parole pronunciate in questa direzione - forse perché provenienti daun non accademico e perché scritte con stile non accademico, o forse perchérivolte ad un soggetto che attira sempre l'attenzione della stampa -, particola-re eco hanno avuto quelle che Bruno Arpaia ha scritto nel suo recente pamph-let Per una sinistra reaziormria. Arpaia non solo ha provocatoriamente ripro-posto all'attenzione della cultura di sinistra la necessità di una ripresa del lin-guaggio dei dovert, anahzzando anche le ragioni per le quali un tale linguag-gio è stato del tutto dimenticato3; ma ha condotto un discorso articolato,legando i doveri, da un lato alla nozione di «limite>>, e dall'altro lato a quelladi «comunità». Si tratta del modo più appropriato di ripropore il ragionamen-to'sui doveri, perché investe direttamente il terreno antropologico, che pitì diogni altro permette di sopportarne tutte le implicazioni e di garantirne tutti glisviluppi. E si tratta di una prospettiva che dimostra la sua validità soprattuttose confrontata con un altro approccio, che pure vuole muovere verso la stessadirezione, e che sembra appartenere a molti che oggi si appellano ai doveri: laragione più urgente per ricominciare ad insegnare i doveri, dicono, è nellanecessità di arginare 1a diffusa illegalità dei comportamenti. Con la consuetalucidità, e con l'argtzia che contraddistingue i suoi interventi, Michele Serra,ad esempio, ha recentemente dichiarato che d'ora in poi voterà «per quellazona politica che imparerà a pronunciare più spesso 1a parola "doveri">>a.La

2.Mi limito a segnalare i seguenti saggi e interventi, i quali, pur nella diversa provenienzadisciplinare ed ideologica, insistono sulla necessità di riproporre il linguaggio dei doveri: G.M.Chiodi, Precedenz.a dei doveri sui diritti umani, che peraltro è meglio definire diritti fonda-mentali, in Id., Europa. Universalità e pluralismo delle culture,con un testo introduttivo di C.Bonvecchio, Giappichelli, Torino 2002, pp. 141-158; T. Greco, Dai diritti al dovere: traMazzini e Calogero, in T. Casadei (a cura d|), Repubblicanesimo, Democrazia, Socialismodelle libertà. "lncroci'l per una rinnovata cultura politica, FrancoAngeli, Milano 2005, pp.137-150; S. Mattarelli, Dialogo sui doveri. Il pensiero di Giuseppe Maaini, Marsilio, Venezia2005; G. Palombella, Dei diritti e del loro rapporto ai doveri e ai ftni comuni, in U. Pomarici(a cura di), Filosofia del diritto, Giappichelli, Torino 2006; S. Fontana, Per una politica deidoveri dopo il fallimento della stagione dei diritti, Cantagalli, Siena 2O06; G.P. Calabrò, P.B.Helzel, Il sistema dei diritti e dei doveri, Giappichelli, Torino 2007 .

3. B. Arpai a, Per una sinistra reaz.ionaria, Guanda, Parma 2007 .

4. Nella sua quotidiana rubrica L'annaca, in «la Repubblica»,8 maggio 2007 .

16

Page 4: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Prima il dovere. Una. critica della.filoso.fi.a dei diritti

drchtarazione di Serra, provocata dall'ascesa politica di Sarkozy in Francia, èin linea con una tendenza che sembra farsi spazio anche nella coscienzacomune: l'idea che una ripresa de1 linguaggio è d.ttu pratica dei doveri siaresa urgente soprattutto (se non esclusivamente) da una difesa della legalità edella stcurezza contro I'illegalità e l'instcvrezza dilaganti. Si tratta di unapproccio legittimo, ovviamente, che ha oltretutto il merito di richiamare l'at-tenzione su un tema crucia1e. Tuttavia, legare il discorso sui doveri esclusiva-mente a quello sulla legalità e sulla sicurezza non solo rischia di rinchiuderlodentro un recinto troppo stretto, ffiB soprattutto finisce per perpetuare unatteggiamento distorto da parte della cultura politica diffusa (in Itaiia), sia perla scarsa familiarità che essa dimostra di avere con il tema della legalità, siaperché, quando si parla di legalità e sicurezza, entrano in gioco /ic mentaliconsolidati e immagini così difficili da scalfire che finiscono fatalmente percoinvolgere anche la figura del dovere, aggravando il suo discredito e la suasconfortante sfortuna.

2. Antropologie a confronto, scontro tra antropologie

Le necessarie indagini analitiche relative ai rapporti tra diritti e doverispossono essere proficuamente precedute da un discorso più generale (e forseper forza di cose generico), attinente proprio alla dimensione antropologica.In questo contesto, anziché ad un rapporto tra termini correlativi, i diritti (illinguaggio, il discorso dei diritti) e i doveri (il linguaggio, il discorso deidoveri) danno vita ad.gn gioco di linee la cui direzione risulta massimamentedivaricata, se non addiiittura invertita. È principalmente su questo piano, per-ciò, che bisogna cercare 1e ragioni che militano a favore di una "ripresa deidoveri".

Si tratta di un approccio che può apparire scontato, ma allo stesso temporisultare efficace: scontato, perché muove dal punto in cui dovrebbe collo-carsi l'avvio di ogni discorso che abbia a che fare con l'uomo e con gliuomini; efficace, perché permette di cogliere immediatamente il dato essen-ztale evidenziato da quanti hanno avuto a cuore la causa dei doveri.Sintetizzando al massimo, si può dire che i doveri insistono sui legami cheuniscono gli esseri umani, mentre i diritti ne producono piuttosto la separa-zione. Il punto principale, perciò, non riguarda ancora il contenuto dei dirittio dei doveri, ma il movimento che essi producono: i diritti isolano f indivi-duo,lo rinchiudono in una sfera "privata",e anzi 1o contrappongono agli altriuomini; i doveri 1o costringono a uscire da se stesso, portandolo immediata-mente verso llaltro. " +

5. Per le quali si rimanda al saggio di Lorenzo Mrlazzo,contenuto in questo stesso volume,e al suo ricco apparato bibliografico.

t7

Page 5: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Tommaso Greco

È chiaro che un tale discorso non ha a che fare nemmeno con la strutturadei diritti e dei doveri, e in particolare con la struttura della loro relazione. Perla semplice ragione che, se è vero che 1'esistenza di diritti implica sempre l'e-sistenza di doveri corrispondenti - in mancanza dei quali diventa difticilepostulare l'esistenza di diritti in senso pieno, cioè giuridico -, non avrebbealcun senso oppolre diritti a doveri: se ci sono diritti che "allontano" i lorotitolari, ci sono (dovrebbero esserci) sempre doveri che nello stesso tempo li"avvicinano". I1 discorso a cui ci riferiamo ha a che fare piuttosto con g1iopposti "immaginari", generati rispettivamente dai diritti e dai doveri; dicia-mo pure con la direzione che essi imprimono al mondo in cui vigono. Qui sì,diventa possibile opporre due visioni diverse, perché diversi sono i paesaggiche si_possono costruire, a seconda che si muova dai diritti oppure daidoveri6. Perciò non è affatto indifferente, come vorrebbe chi, come bobbioT,si ferma alla tesi della correlatività, che si cominci dagti uni o dagli altri.

Che la consapevolezza di avere dei doveri discenda dal postulato dellasocialità umana, e che il compimento dei doveri spinga l'uomo verso gli altriuomini, e dunque rufforui il legame sociale, è convinzione che attraversa ilpensiero di tutti coloro che hanno insistito sulla priorità (assiologica8, se nonlogica) dei doveri rispetto ai diritti. Giuseppe Mazzim,tanto per citare I'esem-plo più classico, affermava che, assumendo i diritti come fondamento dellasocietà, ci si affidava <<alle alternative di una lotta perenne>>, si trascurava <<il

fatto principale dell'umana natura,,la socialità>>, e si impiantava «l'egoismonell'animarre. Per l'autore che ha avuto 1'aidire di trattare Dei doveri dell'uo-mo - il quale, forse proprio per questo, è stato quasi del tutto dimenticatodalla moda neorepubblicana, più attenta al linguaggio dei dirittil0 - solo l'e-sercizio dei doveri permetteva di creare un vincolo originario tra gli uominiche non dipendesse - hobbesianamente - dalla forza di qualcuno. Il diritto

6. Su questo aspetto insiste anche Fontana, Per una politica dei doveri,cit.,p.42.7.Cfr. N.Bobbio, L'etàdeidiritti,Einaudi,Torino 1990,p.XIX: «L'affermazionediun

diritto implica l'affermazione di un dovere e viceversa. Se poi I'affermazione di un diritto pre-ceda temporalmente quella del dovere o avvenga il contrario, è un puro accadimento storico,una questione di fatto [...] Che si cominci dagli obblighi degli uni o dai diritti degli altri è,rispetto alla sostanza del problema, assolutamente indifferente».

8. La priorità assiologica del dovere è affermata autorevolmente da John Finnis: <<quando sitratta di spiegare le esigenze della giustizia, cosa che facciamo riferendoci ai bisogni del benecomune nei suoi vari livelli, allora troviamo che esiste una ragione per ritenere che i concetti didovere, obbligo, o esigenza posseggano un ruolo esplicativo e strategico superiore del concettodi diritti» (Legge naturale e diritti naturali, a cura di F. Viola, Giappichelli, Torino 1996,p.227).

9. G.Mazzini, lnteressi e principii,in Antologia degli scritti politici di Giuseppe Ma44ini, acura di G. Galasso, il Mulino, Bologna 1961.,p.82.

10. Fanno eccezione soprattutto i lavori di Maurizio Viroli, di cui si veda almenoRepubblicanesimo,Laterza,Roma-Bari L999,e di S. Mattarelli, il quale insiste sul nesso dove-ri-repubblicanesimo muovendo proprio dal lascito mazziniano cfr. Sui doveri, in Id. (a curadr), Frontiere del repubblicanesiruo,FrancoAngeli, Milano 2007 ,pp. 61-83.

t8

Page 6: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Prirua il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

rimanda all'individualità mentre il dovere implica associazione: questo è illeit motiv della missione mazzinrana, ripetuta in ogni scritto di qualiiasi natu-ra. <<Siamo tutti vincolati l'uno all'altro»11, è l'assunto che fonda questa dot-trina del doverel2.

Se la critica dei diritti come paradigma delf individualismo (e deIl'egoi-lmo) è acquisizione che si può dire recente - essendo stata sviluppata preva-lentemente a partire dalla fine del secolo XVIII e soprattutto neI secolo XIX,cioè in epoca di individualismo trionfantel3 -, la trattazione del tema deidoveri in connessione con quello della socialità è cosa antica; in coerenza, delresto, con una concezione dell'uomo che certo non prendeva in considerazio-ne la figura di un individuo autosufficiente ed autonomo, già pienamentecostituito a soggetto indipendentemente dalla sua appartenenza alla comu-nità14. L'idea aristotelica dell'uomo come <<animale sòòiul"", infatti, implica-va necessariamente una precisa considerazione dei doveri imposti dalle mol-teplici relazioni in cui l'individuo era naturalmente inserito. Solo 1'esistenzadi una fitta trama dt rclazioni, alimentata e sostenuta anche da un continuo emultiforme scambio di benefici, poteva condurre a sostenere che l'amicizia èil fondamento della città, assai più che non la giustizial5; come a dire che,prima del diritto e delle sue rigide partizioni e statuizioni, c'era da considerareun livello di socialità, che già di per sé costituiva Ia polis, e che si sorreggevagrazie al compimento spontaneo dei doveri derivanti appunto da quelle rela-ziont,. Allo stesso modo, tutto f impianto del De fficiis ciceroniano si reggesuIl'esistenza di quell'«istinto naturale» che nmediante la forzadella ragi6ieunisce l'uomo agli altri uomini>>, creando <<una conispondenza che si manife-sta nel linguaggio e'nqlla socievolezza>rr6. Sono i diversi gradi della socialitàumana, infatti, a fissare di'volta in volta i doveri corrispondenti; e non è un

11. G. Mazzini, Pensieri sulla deruocrazia in Europa, a cura di Salvo Mastellone,Feltrinelli, Milano 1997,p. 95.

L2. Per una presentazione, agile e sistematica allo stesso tempb, della dottrina mazzinianadei doveri, si veda Mattarelli, Dialogo sui doveri,cit.

13. Celebre è l'invettiva di Marx, che si può dire abbia fissato l'argomento classico dellacritica alla concezione individualistica dei diritti: «i cosiddetti diritti dell'uomo,i droits deI'homme, come distinti dai droits du citoyen non sono altro che i diritti del membro dellasocietà civile, cioè dell'uomo egoista, dell'uomo separato dall'uomo e dalla comunità t...] Idiritto dell'uomo alla libertà, si basa non sul legame dell'uomo con l'uomo, ma piuttosto sull'i-solamento dell'uomo dall'uomo. Esso è 1l diritto a tale isolamento, il diritto delf individuolimitato,limitato a se stesso» (Sulla questione ebraica, in K. Marx - F. Engels , Opere,vol. III:t843-l844,Editori Riuniti, Roma 197 6,p. 1 76).

14. Quando si parla di "individuo", si deve tenere presente la distinzione messa in luce daLouis Dumont, tra l'individuo <<soggetto empirico>>, quale si può incculrare in tutte le società, el'individuo come «essere rnorale>>, cioè «indipendente, autonomo e pertanto (essenzialmente)non sociale, quale lo si incontra anzitutto nella nostra ideologia moderna dell'uomo e dellasocietà» (L. Dumont, saggi sull'individualisn'to,Adelphi, Milano 1993, p. 88).

15. Cfr. Aristotele, Etica Nicontachea,lI55 a,20-30.16. M.T. Cicerone, De fficiis,I, 12; tr'. it. di A. Resta Barrile, Rizzoli, Milano Lgg3,p. 85.

t9

Page 7: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Tontmaso Greco

caso che anche Cicerone si sia soffermato. ampiamente sul «legame originatodai benefici dati e ricevuti da ambo le parti», i quali «legano due persone consolida amtcrziarrl7.

Questo punto, comune a tutta la trattatistica antica, merita un breve svilup-po. La minuziosa analisi delle forme e delle regole che presiedono allo scam-bio dei doni e dei benefici rinvia infatti ad un aspetto tipico delle società tradi-zionali, messo ampiamente in luce dai classici dell'antropologia culturale. Glistudi di Malinowski e di Mauss, relativi al sistema della reciprocità nelloscambio dei doni, hanno evidenziato proprio il fatto che tale scambio non è

legato ai desideri arbitrari e passeggeri degli individui, ma funziona in base aprecisi obblighi di donare, ricevere e contraccambiare. Questi obblighi dannovita a quello che Mauss ha chiamato il «sistema delle prestazioni totali>>, unsistema cioè in cui non ci si scambiano solo beni e ricchezze utili economica-mente, bensì tutta una serie di "prestaziortl" che coinvolgono le relazionisociali nel suo complessols.

Ciò che preme sottolineare, a questo riguardo, è che non abbiamo a chefare con un reperto di archeologia sociale, che può servire tutt'al più a com-prendere il funzionamento delle società tradizionali (queIle che un tempo sidefinivano "selvagge"). Abbiamo a che fare, invece, con un meccanismoe.ssenziale in ogni agire sociale e comunitario. Gli scrittori antiutilitaristi chehanno fatto tesoro della lezione di Mauss, hanno insistito proprio sull'esisten-za (o persistenza) dr una rete di circolazione di beni e servizi - la rete dellasocialità - essenziale quanto quelle §arantite dal mercato o dall'economiapubblica: «in questa terza rete - scrive ad esempio Alain Caillé - i beni sonomessi al servizio della creazione e del consolidamento del legame sociale, eciò che importa in primo luogo non è tanto il valore d'uso o il valore di scam-bio quanto quel che si potrebbe chiamare il valore di legame>>le.

La distorsione (esplicita o implicita) tipica del pensiero individualisticomoderno consiste nell'aver deliberatamente occultato tale dimensione, assolu-tizzando la validità della spiegazione utilitaristica dell'agire sociale, e rinvian-do perciò ad un'antropologia conflittualistica che ha avuto lo scopo (e in granparte 1'effetto) di «immunizzare>> progressivamente i rapporti sociali20.

17.Ivi,I,56; tr. it. cit., p. t25.18. Cfr. M. Mauss, Saggio sul dono, in Id., Teoria generale della magia e altri saggi,

Einaudi, Torino 2000, p. 153 ss. Si veda anche B. Malinowski, Diritto e costume nella societàprimitiva,Newton Compton, Roma I 972.

19. A. Caillé, Il terz.o paradigma. Antropologia filosofica del dono, Bollati Boringhieri,Torino 1998, p. 9. Nella ormai vasta letteratura sull'argomento, si vedano anche i contributi diJ.T. Godbout, a cominciare da Lo spirito del dono, con la collaborazione di A. Caillé, BollatiBoringhieri, Torino 2002.

20. Su questo aspetto dell'individualismo, qualificato principalmente come <<proprietario>>,

ha insistito soprattutto Pietro Barcellona: cfr., tra i molti lavori, L'individualismo proprietario,Bollati Boringhieri, Torino 1987, e Il ritorno del legame sociale, Bollati Boringhieri, Torino

20

Page 8: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Prittm il dovere. Una critica della fi.losofia dei diritti

Immunizzare nel senso, evidenziato da Roberto Esposito nei suoi importantiIavori2l, di una elusione del munus, di quel dovere (ufficio, incarico) checostituisce propriamente 1'essenza della communitas.

Secondo f interpretazione di Esposito, che poggia su una accurata riletturadei classici oltre che su precise indagini etimologiche, i membri della comu-nità non sono legati da una comune appartenenza o da un qualcosa che pos-siedono in comune; il significato originario della parola commuruitas - total-mente dimenticato nei dibattiti contemporanei su tematiche comunitaristiche- rinvia ad <<un insieme di persone unite non da una "proprietà", ma, appunto,da un dovere o da un debito». Tale dovere rende i soggetti della comunità<<non interamente padroni di se stessi>>, in quanto li espropria «del1a loro pro-prietà più propria - vale a dire della loro stessa soggettivitàrr22. E proprio aquesto destino - a questa "deproprtazione" che spinge ad uscire da se stessi -vuole sfuggire l'individuo moderno, il soggetto per eccellenza, colui che siproclama libero ed uguale "per natura", ancor prima cioè di prendere in consi-derazione i suoi legami con gli altri uomini. «Gli individui moderni - scriveEsposito - divengono davvero tali - e cioè perfettamente in-dividui, individui"assoluti", circondati da un confine che a un tempo li isola e li protegge - solose prentivarnente liberati dal "debito" che li vincola 1'un l'altro. Se esentati,esonerati, dispensati dal quel contatto che minaccia la loro identità esponen-doli [...] al contagio della relazione»23.

Un paesaggio, dunque, totalmente differente rispetto a quello fondato sullarelazione necessaria tra i soggetti'o; un paesaggio nuovo, che è stato magi-stralmente dipinto da Dostoevskij in un passo de I fratelli Karamazov:

" \.

1990. Per una ricostruzione dei principali temi presenti nella rifless,ione di questo autore, si rin-via a T. Greco, Modernità, diritto e legame sociale, in «Materiali per una storia della culturagiuridica», 2001, n. 2, pp. 511-541.

2l. Cfr. R. Esposito , Communitas. Origine e destino della comunità,Eina:udi, Torino 1998;e Id., Immunitas. Protezione e negaz.ione della vita,Einaudi, Toriho 20A2, due lavori fonda-mentali per la filosofia politica e giuridica contemporanea, seguiti (e completati) dai più recentiBios. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004, e Terza persona. Politica della vita e filoso-fia dell'impersonale,Einaudi, Torino 2007 .

22. Esposito, Communitas, cit.,pp. XV-XVI.23.Ivi, p. XXIV.24.L'opposizione tra le due antropologie può prendere la forma dell'opposizione tra il

mito del debitore e il mito del creditore. Rifacendosi alle indagini di Kolakowski sul mito,Barcellona ha scritto che «il mito del creditore corrisponde alla cultura dei diritti e dell'illimita-to desiderio>>, ed è fatto proprio da coloro <<che pensano di aver solo crediti e nessun..dovereverso gli altri»; mentre il mito del debitore è «il mito che istituisce il rapporto fra le generazionie riconosce il debito verso il passato e la responsabilità verso il futuro2l,(Excursus sulia moder-nità. Aporie e prospettiys, c.u.e.c.m., Catania 1999, pp. 173-174). Un tentativo di elaborare unconcetto di «dovere fondamentale>, a partire da un'antropologia del «debito» (inteso come«debito della morte» che accomuna tutti gli uomini), ò in F. D'Agostino,l doveri dell'uomo,inId., Lez.ioni di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino 2006, B.267 ss. Secondo D'Agostino,esiste un dovere giuridico fondamentale, ed è quello della coesistenz.a (wi,p.2l2).

21

Page 9: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Tommaso Greco

Ciascuno tende ora a isolare il più possibile la propria persona, cerca di sperimentare in se

stesso la pienezza della vita; e intanto, da tutti i suoi sforzi, risulta, non già una pienezza divita, ma nient'altro che un pieno suicidio, giacché, in luogo d'una piena determinazionedel proprio essere, si va a cadere nel più totale isolamento. E invero tutti, nel nostro seco-lo, si sono suddivisi in tante monadi: ciascuno si isola nel suo buco, ciascuno si allontanadall'altro, si rimpiatta e rimpiatta ciò che possiede: e finisce che si preclude ogni contattocogli altri, e preclude agli altri ogni contatto con sé. Accumula, nel suo isolamento, la ric-chezza, e pensa: quanto son potente ora io, come mi son liberato d'ogni ansia; e non sa,

l'insensato, che quanto più accumula, tanto più a fondo s'immerge in un'impotenza suici-da. S'è infatti abituato a sperare in sé solo e s'è separato dal tutto come una monade a sé

stante: ha avvezzato la sua anima a non aver fede nell'aiuto degli altri, negli uomini e nel-l'umanità, e non sa che trepidare dal timore che si perdano i suoi denari e i diritti che conessi ha acquistati. Sta diventando generale, ai nostri tempi, una grottesca incapacità del-l'intelletto umano a intendere che la vera garanzia della propria persona non si raccoman-da già agli sforzi delf individuo isolato, ma all'universale comunanza umana25.

Tale paesaggio è da considerare come il frutto di un lento processo diaffrancamento dell'individuo dai legami e da1le appartenenze che determina-vano precedentemente la sua figura e il suo destino, e fissavano anche i suoidoveri. L'individuo-soggetto empirico, che «si è per molto tempo autenticatoin riferimento agli altri e attraverso Ia manifestazione del suo legame conessi>>26, è divenuto I'individuo-sogg etto morale. Ota,quale legame è possibile§tabilire tra questo nuovo paesaggio umano e sociale, di cui si possono isolaregli elementi principali attraverso la filosofia politica moderna27 , e l'avanzaredi una cultura dei diritti? Che rapporto c'è tra questa costruzione del soggettoindividuale e la sua rappresentazione quale "soggetto di diritti"?

3. L'individuo, i dirittir lo Stato: I'ambivalenza del soggetto giuridico

Un'analisi anche sommaria della storia del pensiero giuridico e politico,oltre che della storia istituzionale, non lascia adito a dubbi: non solo esiste unrapporto strettissimo tra Ia costruzione delf individuo e la sua rappresentazio-ne quale "soggetto di diritti"; ma si può dire che la costruzione de1 soggettoindividuale è stata possibile in quanto si è pensato I'individuo come soggettodi diritti. La storia delf individualismo moderno coincide infatti totalmentecon la storia dell'affermazione dei diritti soggettivi28.

25. M.F. Dostoevskij,l fratelli Karamazov, VI, 5, d', tr. it. di A. Villa, Einaudi, Torino1993,p.403.

26.M. Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualitò I ,Feltrinelli, Milano 2005,p.54.

27 . Si rinvia, oltre ad Esposito, Contmunitas, cit., a E. Pulcini, L'individuo senz,a passioni.Individualismo moderno e perdita del legarue sociale, Bollati Boringhieri, Torino 2001 .

28. Come ha scritto Giuseppe Duso, «i diritti hanno una base individualistica in quanto nonsolo riguardano il singolo individuo, ma sembrano, nella loro genesi, essere le determinazioni

22

Page 10: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Prima il dovere. Una critica delLa fiLosofia dei diritti

B asti soffermarsi brevemente sul momento paradigmatico dell' afferm azio-ne dell'individualismo, rappresentato al meglio dalla filosofia politica diThomas Hobbes. Qui, l'individuo naturale è caratteizzato esclusivamente dalsuo essere "soggetto di bisogni", un «soggetto umano riportato riduzionistica-mente alla sua zofla economico-pulsionalerrze,e perciò spogliato radicalmenteda ogni sua carattenzzazione sociale. L'uomo hobbesiano è un individuo con-trapposto a tutti gli altri nella necessità di autoconservarsi, e allo stesso tempotitolare di un diritto assoluto e inalienabile a tale autoconservazione. Simile auna <<molecola di gas che rimbalza tru un contenitore>>, egli è «libero di andaredove vuole>>, anche se occasionalmente la sua traiettoria si scontra con quelladi un altro. In quest4 situazione, «nessun atomo aiuta un altro atomo, o si spo-

sta per fargli largo: non avrebbe senso. Sono un insierne di unitàscollegaterr3O. Il right of nature, infatti, è per Hobbes «la libertà che ciascunoha di usare il proprio potere a suo arbitrio per la preservazione della sua natu-ra, cioè della sua vita e conseguentemente di fare qualsiasi cosa che, secondoil suo giudizio e la sua ragione, egli concepisca come tl mezzo più idoneo a

questo finerr3l. Dall'assolutezza di questo diritto nasce quella «guera di tutticontro tutti» che sembra costituire, allo stesso tempo, f immagine e il destinoineluttabile delle moderne società capitalistiche. Ecco a11ora il punto fonda-mentale: solo un processo mediato dal diritto - e dal Leviatano, che del dirittosi fa produttore e garante - permetterà agli individui di stabilire relazionipacifiche

La gtandezza e l'importanza.di Hobbes stanno dunque nell'aver costruitomagistra"lmente, non il modello dell'assolutismo politico, bensì il modellodell'assolutismo individualistico, centrato cioè sulla figura di un soggetto che

non entra in relazione con'gli altri se non mediante un contratto, e che perciònon si lascia condizionare dagli altri individui se non per quel tanto che eglistesso ha consentito. Come dire, per stare al nostro tema, che egli si pensa inrelazione positiva con gli altri solo perché, ed in quanto, ha bisogno di affer-mare i propri diritti, garantendogli efficacia attraverso la mediazione giuridi-ca.

Pur con molte variazioni, tale modello rirnarrà costante nella tradizionegiusnaturalistica, la quale muoverà sempre da un soggetto che, grazie al dirit-to (oggettivo) e ai diritti (soggettivi), pone precise barriere tra sé e l'altro:

stesse che accompagnano il concetto di individuo nella nuova funzione che viene ad assumere

per pensare la società e il legame sociale» (Crisi della sovranità: crisi dei diritti?,in Diritto e

poilitica nell'età dei diritti,a cura di A. Carrino, Guida, Napoli 2004, p. 105).

29.P. Costa., Il progetto giuridico. Ricerclrc sulla giurisprudenz&del liberalismo classico.

l. Da Hobbes a Bentham; Giuffrè, Milano 1974, p. 116.

30. E.H.'Wolgast, La gramntatica della giustizia, prefazione di P. Barcellona, EditoriRiuniti, Roma 1991, p.12.

31. T. Hobbes, Leviatano,cap. XIV; tr. it. a cura di A. Pacchi, Laterza,Roma-Bar-i 1989, p.

105.

23

Page 11: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Totnmaso Greco

tanto più garantiti saranno i suoi diritti, quanto più queste barriere sarannoriconosciute ab origine da tutti i soggetti coinvolti elo quanto più esse saran-no rese cogenti dall'ordine giuridico positivo.

Se ciò è vero, non è da considerare un paradosso che al limite estremodella storia di tale modello si trovi f ideale rivoluzionario della fraternité, nelquale la creazione del legame sociale viene fissata quale obiettivo primariodella Républiqze. Quasi ad affermare che, in una società costruita sui diritti,si può - anzr, diviene necessario - ripensare alla relazione, proprio nelmomento - e perch.d - essa non può più mettere in questione la separazioneoriginaria tra i soggetti individuali. L'idea di un diritto fraterno, che pureoggi viene autorevolmente riproposta32, può germinare soltanto allorché ci siè lasciati definitivamente alle spallel'orizzonte aristotelico dell'amicizia: laconiugazione della "relazione" nei termini del "diritto" è da considerarequale estremo omaggio che un modello sociale ideale, fondato sulla frater-nità tra soggetti separati, porta al modello ideale opposto (e ormai superato),nel quale I'amicizia e il legame precedevano il diritto e addirittura prescinde-vano dal diritto

Ma se l'individuo è tale in quanto soggetto di diritti, bisogna intendere inmodo corretto il rapporto che egli viene a instaurare col Soggetto giuridicoper eccellenza: lo Stato. Nell'affermazione che f individuo è «soggetto didiritti», infatti, viene spesso evidenziato ed esaltato il lato positivo - il conse-guimento della piena soggettività politica e giuridica, in virtù del riconosci-mento di diritti civili, politici e sociali -, mentre viene invece sottaciuto o sot-tovalutato iI lato negativo - quello che conduce f individuo ad essere sogget-to, nel senso della soggezione ad un potere che è implicato fin dall'inizionello schema verticale della protezione giuridica. Non ci sono diritti del sog-gettÒ se non c'è un potere che li forrnahzzi, li garantisca e li tuteli, rendendolieffettivi. Come sapeva bene Simone Weil, che forse più di ogni altro autoreha visto e denunciato chiaramente il nesso tra diritti e potere, dietro al dirittonon può che esserci la forza, altrimenti ogni rivendicazione sarebbe ridicola33.Se siamo abituati a pensare che i diritti siano contro lo Stato, e che proprio perdifenderci dallo Stato siano stati <<inventati>>, dobbiamo acquisire 1'abitudinedi pensare che essi nascono alf interno di un dispositivo in cui Stato e diritticorrono paralleli per implicarsi e confermarsi continuamente a vicenda3a.

32. Cfr .E. Resta, Il diritto frat erno, Laterza,Roma-B ari Z0OZ.33. «La nozione di diritto è legata a quella di divisione, di scambio, di quantità. Ha qualco-

sa di commerciale. Evoca di per sé iI processo, l'arringa. Il diritto non si sostiene che còl tonodella rivendicazione; e quando questo tono è adottato, la forua non è lontana, è subito dietro,per confermar{o, se no sarebbe ridicolo» (S. Weil, I-a persona e il sacro,in Morale e letteratu-ra, a cura di N. Maroger, Ets, Pisa 1990, p. 4g).

34. «Logica dei diritti individuali e logica della sovranità si sono reciprocamente rafforzate- mentre si combattevano - per tutti i secoli XIX e XX» (C. Galli, Spaz,i politici. L'età moder-na e l'età globale, il Mulino, Bologna 2001,p. S0).

24

Page 12: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Prirua il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Ecco perché quella che Norberto Bobbio ha chiamato «rivoluzione coper-nicana» riferendosi al «passaggio dal codice dei doveri al codice dei diritti»35,non può essere intesa solo - semplicisticamente - come un cammino di "libe-raziofle" dall'autorità, nel quale finalmente il rapporto politico è stato rove-sciato a vantaggio de1 cittadino; quella rivoluzione ha avuto anche l'effetto diconfermare - anzi,, tafforzare - la linea "verticale" che corre dal superioreall'inferiore (e viceversa),lasciando 1o Stato come riferimento esclusivo dellaineliminabile propensione sociale degli individui. Come aveva puntualmenteosservato Tocqueville a proposito della dinamica innescata dall'uguaglianzadelle condizioni36, la costntzione delf individuo democratico produce f imma-gine e la realtà di un potere unitario, ubiquo e onnipotente, al quale i cittadinipossano rivolgersi sempre: «i bisogni e soprattutto i desideri>> - noi possiamodire oggi: i diritti e la continua richiesta di diritti - riconducono continuamen-te l'individuo <<verso lo stato, che finisce per essere considerato come l'unicoe necessario sostegno della debolezza individualer>37. Un meccanismo vtzio-so, in base al quale si affermano diritti per difendersi dal potere, ma si habisogno del potere per rendere effettivi i diritti; una spirale senza fine nellaquale il minimo che possa capitare è che i diritti rimangano sulla carta gene-rando rabbia e frustrazione3s, mentre i poteri che essi hanno richiamato fannopesare sempre più la loro presenza ingombrante.

4. Per i doveri

Proprio la necessità di interrompere questo meccanismo perverso può for-nire un argomento forte per ripropoffe il linguaggio dei doveri, e allo stessotempo fornire l'occasione per chiarire, una volta pe.r tutte, che l'appello ariprenderlo e a praticarlo nel nostro quotidiano non vuole suonare affattocome una riproposizione del modello politico dell'arucien régime, Lfi cui ilsuddito ha esclusivamente doveri verso il sovrano; al contrario, esso vuoleallontanarsi da quella linea che unisce l'individuo allo Stato e lo vincola alle

35. N. Bobbio, L'età dei diritti,Einaudi, Torino 1990, pp. 55-56.36. Cfr. A. de Tocqueville, l,a dentocrazia in Anterica,III.IV.2.37. Ivi,III.IV.3; tr. it. a cura di G. Candeloro, Rizzoli, Milano I99Z,p.7LZ.38. Sul fatto che il prolifelar-e dei diritti finisce per sovmccaricare, fino a rischiarr di met-

terle in crisi, le strutture dello Stato, incidendo così sulla tenuta dell'obbligazione giuridica epolitica, cfr. E. Ripepe, La questione della crisi del diritto e dello Stato come messa in questio-ne dell'obbligazione giuridica e dell'obbligazione politica, in Id., Riforma della Costituzione oassalto alla Costituzione? (e altre riflessioni in pubblicoJ, Padov4-,*Cedam,2000, p. 118 s.Giova forse ricordare, a questo proposito, le parole di Alessandro Manzoni, il quale pensavache la legge, in quanto non può creare un dovere <<senza far nascere un conispondente dilitto»,non deve parlare «che quando abbia una quasi ceftezza di farsi obbedire» (Osservaz.ioni sullamorale cattolica,Il,5; in TtLtte le opere, vol.II, a cura di M. Marlelli, Sansoni, Firenze 1993, p.1495 s).

25

Page 13: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Tommaso Greco

sue categorie e ai suoi comandi - di più: lo riduce aIla sua logica -, per affer-mare invece lavalenza"ortzzofltale" della pratica dei doveri.

Si tratta di far ruotare di novanta gradi la direzione del nostro sguardo.L'urgenza di ricominciare a pensare (e agire) "per doveri" e non "per diritti"sta nuovamente nella necessità di riattivare la comunicazione e i legami tra gliindividui, ravvivando un'immaginario che ha un fondamento reale nella ineli-minabile natura sociale dell'uomo. Un vero e proprio lavoro di "rieducazio-fle"3e, quello che andrebbe svolto, il cui obiettivo dovrebbe essere di insegna-re a "leggere" le situazioni che richiedono il compimento di un dovere: <<come

in un pezzo di pane si legge qualcosa da mangtare, e 1o si mangia - diceSimone Weil -, così in un certo insieme di circostanze si legge un obbligo; elo si eseguerr4O. Il dovere, insomma, dovrebbe essere al centro di quel <<nuovomeccanismo di conservazione e produzione di quel grado di socievolezza, drreciprocità, di solidarietà senza i quali una società non "sta insieme">r4l.

E chiaro, naturalmente, che un tale discorso presuppone una scelta difondo a favore delle relazioni, e persino a favore di una tendenziale stabilitàdelle relazioni medesime42; una scelta che l'attuale società occidentale,profondamente e onnipervasivamente contrattualizzata, non sembra volerintraprendere.

Ciò che è certo, è che una scelta per la relazione non può non implicare la§celta per il dovere (e non per il diritto). Facciamo un piccolo esercizio, bana-le ma (si spera) chiarificatore. Immaginiamo di trovarci in una situazione fre-quente e comune quale può essere una fila presso la cassa di un supeflnercato.Dietro di noi, una donna incinta, o un signore più anziano, o semplicemente

39. Usando il termine "rieducazione" si vuole esprimere in maniera forte la necessità diguardare criticamente ai processi educativi in atto a tutti i livelli nelle società in cuiviviamo. Sei bambini vengono indottrinati fin dalla prima elementare sui "diritti del fanciullo"; se neldiscorso pubblico solo ciò che viene declinato in termini di diritti attira l'attenzione; e se nonsiamo in grado di costruire nessun discorso sulla giustizia che non faccia riferimento ai diritti,vuol dire che abbiamo urgente bisogno di attivare processi (di rieducazione, appunto) che ribal-tino il punto di vista a cui siamo continuamente inchiodati. «Siamo talmente irretiti da questolinguaggio [dei diritti] - ha scritto E. Wolgast - che persino di fronte alle sue bizzane conse-guenze ce lo teniamo stretto e consideriamo i problemi che fa sorgere come fossero l'esigenzadi nuovi diritti» (La grammatica della giustiz.ia,cit., p. 33).

40. S. Weil, Quaderni,vol.II, Adelphi, Milano 1985, p. 182.41. M. Revelli, Le due destre. Le derive politiche del postfurdismo,Bollati Boringhieri,

Torino 1996,p.213.42. Scegliere le relazioni, in questo senso, vuol dire anche optare per la valoizzazione di

una sfera comune che non si esaurisce nella dimensione pubblica istituzionale, ma anzi <<si

struttura nella prassi delle reiazioni interpersonali» (P. Barcellona, Politica e passioni.Proposte per un.dibattito, Bollati Boringhieri, Torino 1997, p.78).Vuol dire cercare una«socialità del sociale» che si contrappone sia all'<<asocialità del mercato>> sia alla «socialitàastratta» dello Stato: su questa tematica ha insistito Marco Revelli nei suoi lavori, tra i quali sipuò vedere innanzi tutto Oltre il Novecento. La politica, le ideologie e le insidie del lavoro,Einaudi, Torino 2001.

26

Page 14: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Prima il dovere. Una critica della.filosofia dei diritti

un cliente qualsiasi con pochi oggetti da pagare, attende il suo turno.Possiamo (ne abbiamo il diritto!) far finta di niente, addirittura non guardarciattorno nemmeno; oppure possiamo, guardandoci intorno - volgenai I nostrosguardo verso gli altri -, sentirci in dovere di cedere il nostro posto, e faraYanzate chi era dietro di noi. Facendolo, avremo teso una mano, avremo sta-bilito una relazione, avremo immesso fiducia nel sistema socialea3. SeguendoSimone Weil, avremo letto un obbligo nelle circostanzeincui ci troviamo e 1o

avremo adempiuto. Soprattutto, avremo adempiuto ad un dovere anche senessun soggetto vantava diritti nei nostri confronti. Immaginiamo invece chela cassa presso la quale siamo in fila sia una cassa prioritaria che dà dirittoalle donne incinte (o agli anziani, o alle persone che hanno comprato pochioggetti) di passare avanti agli altri clienti. Non appena il titolare di questodiritto si fa avanti (avanzando una pretesa legittima) il minimo che possa suc-cedere è che egli prenda il posto che gli spetta senza dover mai comunicarecon alcuno. Ma è anche molto probabile che egli debba far presente agli altriil suo diritto, per ciò stesso contrapponendosi ad essi: e in tal modo confer-mando il fatto che, imporre un diritto 1à dove prima c'era spazio solo per ildovere, vuol dire interrompere la comunicazione e invitare alla pretesa (edunque tendenzialmente allo scontro)4 .

Si dirà naturalmente che la creazione dei diritti vuole risolvere alla radiceil problema'delf incertezza neil'adempimento dei doveri. Chi garantirà checolui che è tenuto all'adempimento di un obbligo 1o esegua effettivamente?Non.c'è-a1tra via per raggiungere la certezza, si pensa correntemente, che tra-sformare qgel dovere indefinito in obbligo giuridico, creando così la posizio-ne corrispettiva, cioè il§iritto della controparte. Ora, a parte il fatto che accet-tare una tale risposta vorrebbe dire rifiutare totalmente la sfida che la "riedu-cazione ai doveri" vorrebbe portare alla cultura dominànte, c'è da dire soprat-tutto che si tratta di una risposta che, per essere troppo perentoria, finisce perstravolgere ed ingannare. Stravolgere,perché vorrebbe estendere ad ogni tipodi rapporto sociale una logica che può (e deve) funzionalre solo per una partedi rapporti necessari: se la sfera dei bisogni umani eccede sempre la sfera di

43. Il tema della fiducia meriterebbe uno sviluppo ulteriore, soprattutto per le implicazioniche esso potrebbe avere in materia di confronto interculturale. Qui ci si può limitare ad affer-mare che una cultura dei doveri renderebbe più agevole il dialogo con culture "altre" che nonriescono (ancora) ad articolare e fare proprio il linguaggio occidentale dei diritti. Su questitemi, si può ora leggere il lavoro di B. Pastore, Pluralismo, fiducia, solidarietà. Questioni difilosofia del diritto,Carocci, Rgma 2007.

44. Sul fatto che i processi di istituzionalizzazione delle risposte ai bisogni fanno venirmeno la neces'sità della relazione, cfr. Wolgast, La grammatica della gi;c6tizia,cit., p. 89 s. piùin generale, tale argomento ò utilizzato da coloro che vedono nelle prestazioni dello Statosociale - in quanto massima espressione di burocratizzazione della solidarietà - una forma disuperamento dei rapporti basati sul dono. Cfr. ad es. M. Ignatieff, I bisogni degli altri, rlMulino, Bologna 1986, p. 13 s., e soprattutto P. Barcellona, Dallo Stato sociale allo Statoiruruaginario. Critica della «ragione funzionalista», Bollati Boringhieri, Torino 1994.

27

Page 15: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Tommaso Greco

ciò che è "giuridificabile"a5, bisognerebbe avere la lucidità di vedere che lalogica dei diritti ,appbcata a certi rapporti è fonte. di veri e propri "diritti sba-ghati"16; ingannare, perché occulta la dimensione normativa - generata dallanatura delle cose e rafforzata dall'approvazione sociale -, che pure sussiste inogni situazione e che noi, per desuetudine, abbiamo perduto la capacità diriconoscere. Se ai tempi di Cicerone, come è scritto nel De fficiis, tutti dete-

stavano le persone che omettevano di compiere il proprio dovere, in quantodistoglievano anche gli altri dal fare il bene (II, 63), è perché si temeva l'inne-scarsi di un meccanismo che governa invece serenamente le società contem-poranee: «perché dovrei fare io ciò che nessun altro si sente in dovere difare?». Ma con questa logica, come è possibile pensare seriamente che esista-no diritti che non possono essere esatti da nessuno, quali il diritto all'ambien-te, i1 diritto alla sicurezza, il diritto alla pace, il diritto delle generazioni futu-re? Non si tratta - ed in modo eclatante -, di figure che possono essere decli-nate propriamente solo nel linguaggio del dovere?

Basterebbe riflettere sui propri bisogni quotidiani per rendersi conto diquanto sarebbe opportuno prendere seriamente in considerazione le riflessionidi chi propone un'etica della cura, come fanno da qualche tempo soprattuttoalcune autrici americane. Joan Tronto, ad esempio, il cui importante lavoroMoral Boundaries è stato da poco tradotto in italiano47,ha denunciato Ia

'rimozione dal dibattito teorico e politico di tutto ciò che riguarda il «prendersi

cura>> degli altri. Le varie fasi della cura da lei evidenziate - 1'<<interessarsi a>>,

il «prendersi cura di», il «prestare cura>> e il «ricevere cura>> - rappresentanoun'articolazione precisa di quelf impegno responsabile che ognuno dovrebbeassumersi nei confronti degli altria8.

45. Su questo aspetto si veda il suggestivo lavoro di Ignatieff citato nella nota precedente.

46. Così si esprime E. Wolgast a proposito di tutti quei rapporti - medico/paziente, genito-rilbambini, madre/feto - in cui esiste una incolmabile disparità di condizione tra il titolare deidiritti e colui che dovrebbe essere obbligato nei suoi confronti. Secondo questa autrice, «il prin-cipale difetto del modello [fondato sui dilitti] è di ignorare la varietà dei rapporti con cui le per-sone si assumono la responsabilità e la cura di altre, i rapporti familiari, professionali, o sempli-cemente di benevole\za>>, e ciò per la sua tendenza «ad assimilare tutti i rapporti a quelli trapersone indipendenti, libere e con interessi personali>, (La gramntatica della giustiTia, cit., p.47 ; ma si veda tutto il cap.2).

47. Cfr. J. Tronto, Confini morali. Un argomento politico per l'etica della cura, a cura diA. Facchi, Diabasis, Reggio Emilia 2006.

48. E da sottolineare il fatto che anche nel discorso di Tronto è centrale la critica <<all'idea

che gli individui siano interamente autonomi e autosufficienti» (p. 153). Ed è da rilevare altresìche Tronto preferisce parlare di <<respon.sabilità» anziché di obbligo, perché «responsabilità» leappare come un concetto più sociologico o antropologico rispetto a quello di dovere, e soprat-tutto perché «si inserisce in un insieme di pratiche culturali implicite, piuttosto che in un insie-me di regole formali o in una serie di promesse)> (pp. 150-151). Proprio queste ragioni, però,rendono evidente che si tratta di un concetto che coincide totalmente con il significato (voluta-mente indefinito) che si è attribuito al «dovere» in questo saggio.

28

Page 16: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Prima il dovere. Una critica clella filosofia dei diritti

Qui siamo evidentemente su un terreno che si situa al di qua deI ragiona-mento giuridico, e 1o precede. Trattandosi, come ha scritto Giuseppe Duso, diriconoscere la <<rilevanza detl'altro per la costituzione del sè», abbiamo a che

fare con <<un modo di pensare che è radicalmente differente da quello deidfuitti t...1 Qui il concetto dt dovere norl è sernplicemente 1'altro dell'afferma-zione del diritto, ma comporta appunto l'originarietà della relazione tra g1i

uomini invece delI' astra zione dell' autonomia individuale>>ae .

Ma anche rimanendo sul piano giuridico, sarebbe irrealistico pensare che

la garanzia effettiva dei diritti debba dipendere sempre dall'azione delloStato. Se è vero che, sul piano formale, un diritto soggettivo <<è un diritto insenso giuridico>> in quanto è «un diritto al comportamento di qualcun a1tro, e

cioè a quel comportamento al quale I'altro è giuridicamente obbligatorrso; e se

ò altrettanto vero che il dovere giuridico è «il dovere del soggetto di "obbedi-re" alla norrna giuridica>> sotto minaccia di sanziotresl, tuttavia non possiamo

realisticamente pensare che l'adempimento dell'obbligo che rende concretoun diritto possa essere legato esclusivamente al meccanismo della coercizio-ne. Come hanno messo in luce i fondatori della sociologia del diritto, ma

come ben sanno tutti i giuristi, 1'effettività dell'ordinamento giuridico è legata

prevalentemente all'osservanza spontanea dei propri doveri da parte dei con-

sociati, in mancanza della quale nessun ordinamento potrebbe sopravvivere.«Tutti gli uomini - scriveva Eugen Ehrlich - sono inseriti in innumerevolirapporti giuridici da cui derivano dei doveri che, con poche eccezioni, adem-

piono in modo assolutamente spontaneo: adempiono i propri doveri di padre o

di figlio, di marito o di moglie, non disturbano il vicino nei godimento dellasua proprietà, pagano ipropri debiti, consegnano quello che hanno venduto ed

.r"guoào le prestazioni dsvute al proprio datore di lavororr52. Insomma,garantiamo i diritti degli altri adempiendo ai nostri obblighi, mentre gli altriadempiono ai loro obblighi e così garantiscono i nostri diritti. Solo così si può

uscire da una logica che <<fa rimbalzare ogni individuo su se stesso», come ha

scritto Franco Cassano. Se dunque, ancora con le parole,'di quest'ultimo, <<una

società di soli diritti è una società di telefoni che squillano a vuoto, perché chidovrebbe rispondere ha sempre qualcos'altro di più importante da fare>rs3,

dobbiamo cominciare ad alzarc la cornetta, quanto meno perché altri la alzinoquando saremo noi a chiamare.

Del resto, sono cose che sappiamo tutti benissimo, e forse dovremmo sem-plicemente ricordarcene più spesso. Nessuno pensa, infatti, e meno che maiauspica, che per poter godere dei suoi diritti debba avere sempre un poliziotto

49. Duso, Crisi della sovranità: crisi dei diritti?,cit., p' 108.

50. H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato,Etas, Milàr6 1984,p.75.51. Ivi, p. 59.52.E.Ehrlich, I fondamenti della sociologia del diritto,Giuffrè, Milano I976,p.21 .

53. F. Cassano, Oltre il nulla. Studio su Giacomo Leopardi,Làtetza, Roma-Bari 2003, p.

23.

29

Page 17: Prima il dovere. Una critica della filosofia dei diritti

Tommaso Greco

al proprio fianco. È molto più semplice, e forse.anche più rassicurante, pensa-

,. ffr. siano gli altri a garaitire effettivamente i nostri diritti, e che siamo noi

a garantrre luelIi d+li altri. Per tutti i diritti Y11" qullto diceva laDichiarazionà dei dirilti e dei doveri dell'uomo e del cittadino del L795 a

p-porito della sicurezza: è iI dovere compiuto da tutti a garantire i diitti di

iiur.uno. Una prospettiva che però può essere rcalizzata solo se crediamo

veramente che vada rovesciato i'iniziò di un famoso lavoro teso a difendere

l,assolute zza deidiritti: se Nozick poteva affermare perentoriamente che «gli

individui hanno diritti»sa - esprimendo in tal modo la vera norna fondamen-

tale dei nostri ordinamenti giuridici e sociali -, noi dobbiamo cominciare

invece a sostenere con convinzione che «gli individui hanno doveri>>'

54. R. Nozick, Anarchia, stato e utopia,Il Saggiatore, Milano 2000, p.l7 .