premio mascagni, la cesari

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•• 12 BOLOGNA ECONOMIA MARTEDÌ 16 OTTOBRE 2012 I NUMERI 2,7 15 milioni Sono le bottiglie prodotte nei vigneti dell’azienda, 130 ettari di proprietà e 150 in affitto, da 30 dipendenti percento E’ l’incremento minimo del fatturato dell’azienda in tutti gli anni a partire dal 2005 grazie al 75% cento di estero di MARCO GIRELLA PARE che l’attività migliore per diventa- re un buon produttore di vino sia il mo- tociclismo. Infatti è in sella a una moto che nella seconda metà degli anni Cin- quanta, Umberto Cesari intraprese un viaggio che lo portò ad attraversare l’Ita- lia del Nord e la Francia fino a Jerez de la Frontera. Considerate le strade e i mezzi di allora, non fu solo un viaggio avventuroso, che solo un ragazzo entu- siasta poteva concepire. Fu anche il per- corso iniziatico on the road di un giovane che cercava il suo posto nella vita. Figlio dei proprietari dell’omonimo ristorante di via de’ Carbonesi, Cesari sfruttò la sua passione per la moto per attraversare i luoghi dei vigneti francesi, e constatare di persona che tra le colline della Borgo- gna e quelle bolognesi non correva poi tanta differenza. Il passo successivo per imboccare la strada che lo avrebbe tra- sformato nel re dei vitigni romagnoli fu quello di immaginare che si potesse estrarre un grande vino dal Sangiovese, allora ritenuto poco più di un accompa- gnamento per pasti plebei. Trasformare la droga dei poveri nella base per un vi- no da sultani divenne il cruccio di Cesa- ri. Che fondò la sua azienda nel 1966 e cominciò ad acquisire poderi tra Ozzano e Castel San Pietro. Cesari, era così azzardato puntare sul Sangiovese? «Bisognava crederci. Sangiovese, Treb- biano e Albana, che si producevano nel- le nostre zone, erano considerati poco e si vendevano in bottiglioni col tappo co- rona. Noi puntammo tutto sulla quali- tà». In cosa si traduceva? «Cura della vendemmia, selezione delle uve, affinamento in botte, tappi di sughe- ro. Già nei primi anni Settanta creammo il Liano, il nostro vino di punta, che prende il nome dalla collina più impor- tante di Castel San Pietro, e sviluppam- mo il Sangiovese Riserva». Per l’epoca erano prodotti d’elite. «Senz’altro. Predicavamo in un mondo di sordi. Tanto per capire, a Parma mi chiedevano se Sangiovese era un santo». Il famosissimo Giovese. E come ha superato l’incomprensione? «Ho creduto da subito che fosse impor- tante uscire dalla regione». Lei era glocal con decenni di antici- posuitempi.Cioècredevacheipro- dotti tipici locali avessero caratteri- stiche buone per venderli in tutto il mondo. «Sì. Ma non c’è stato niente di facile o di scontato. Per conquistare il mercato americano ce n’è voluto». Quanto? «Laprimadifficoltàèstatatrovareundi- stributore affidabile. Ma quando lo trovi non hai ancora risolto niente». Perché? «Perché se si limita a tenere il tuo vino in magazzino sei sempre al punto di par- tenza. La svolta è arrivata quando ho co- minciato a girare i ristoranti di Manhat- tan con i rappresentanti del distributo- re. Avevo la sportina termica in spalla con dentro i miei vini. I clienti assaggia- vano e gradivano, i rappresentanti co- minciavano a capire la filosofia del pro- dotto, il distributore diventava un part- ner». Quando si è detto: ce l’ho fatta? «Mai. Nel settore sono saltate per aria fa- miglie con seicento anni di tradizione. Però dagli anni Settanta, quando orga- nizzai quattro giorni di degustazioni per gli inglesi, siamo sempre cresciuti». Anche in mezzo alle crisi? «Sì. Un punto di svolta fu il caso del vi- no al metanolo, che negli anni Ottanta causò la morte di diverse persone. Il pri- mo impatto sui produttori fu terribile. Ma poi si sviluppò nel grande pubblico la cultura del buon vino e noi eravamo pronti». Adesso il mondo è casa sua. «Esportiamo in più di cinquanta paesi e siamo molto forti in Canada e nel Nord America. Mio figlio ha studiato negli Stati Uniti e appena arrivato in azienda ha sviluppato molto il marketing verso i paesi anglosassoni. Dopo il Liano, il no- stro vino più venduto è il Moma (stesso nome del museo d’arte moderna di New York, ndr)». Moto, vino, esportazioni. La sua è una vita di corsa. «Infatti la corsa è stata la mia passione dopo i 40 anni. Ho gareggiato in tante maratone e quella di New York resta la più emozionante. L’ultima volta avevo settanta anni». Per vedere l’intervista a Umberto Cesari e le immagini della sua azienda vai sul nostro sito all’indirizzo: VAI SUL PORTALE www.ilrestodelcarlino.it/bologna L’ambasciatore del Sangiovese che punta tutto sulla qualità Cesari ha portato il vino romagnolo ai vertici mondiali Umberto Cesari nella cantina sui colli di Ozzano L’AZIENDA è situata sulle colline che dominano l’anti- ca Via Emilia, al confine tra Emilia e Romagna, ad una altitudine che varia dai 300 ai 450 metri sul livello del mare. E’qui,nelcuoredellaregio- ne, in località Castel San Pietro Terme, che Umberto Cesari e sua moglie Giulia- na hanno avviato la propria attività nel 1965. Gli origi- nari 20 ettari del primo po- dere si sono ampliati negli anni, raggiungendo attual- mente i circa 130 ettari do- ve sono coinvolti un totale di 30 dipendenti. L’azienda Umberto Cesari comprende cinque poderi: Casetta, Parolino, Ca’ Gran- de, Laurento e Tauleto. Le uve raccolte in questi pode- ri, per il 70% con vendem- miamanualeeperil30%au- tomatizzata,vengono vinifi- cate direttamente in azien- da, utilizzando le più mo- derne e avanzate tecniche di vinificazione, nel massi- mo rispetto della tradizione vitivinicola e dell’ambien- te. Umberto Cesari produce annualmente circa 2.700.000 bottiglie che sono distribuite in 52 paesi. Il75%dellaproduzionevie- ne esportata all’estero: tra Stati Uniti, Messico, Carai- bi per il 50%; Europa per il 30%; restante 20% nei re- stanti paesi. La scommessa vincente di Umberto Cesari è stata quel- la di puntare sul Sangiovese di qualità. Cesari è riuscito neglianniafareconosceree apprezzareisuoivinisoprat- tutto all’estero, tanto da es- sere considerato come am- basciatore del Sangiovese nel mondo. E’ uno dei po- chi produttori romagnoli che ha coniugato numeri e qualità, riuscendo a essere vignaiolo e imprenditore al- lo stesso tempo. Ilsuosognosièconcretizza- to quando il Tauleto (nel 2003 e 2007), fiore all’oc- chiello della sua produzio- ne, è stato riconosciuto a li- vello internazionale come migliore Sangiovese. L’AZIENDA Le prime vigne degli anni Sessanta per coltivare un grande sogno LE DIFFICOLTÀ «Per l’epoca eravano pionieri Già a Parma mi chiedevano se Sangiovese era un santo»

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Intervista ad Umberto Cesari

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Page 1: Premio Mascagni, la Cesari

•• 12 BOLOGNAECONOMIA MARTEDÌ 16 OTTOBRE 2012

I NUMERI

2,7 15milioni

Sono le bottiglie prodottenei vigneti dell’azienda, 130ettari di proprietà e 150in affitto, da 30 dipendenti

per cento

E’ l’incremento minimo delfatturato dell’azienda in tuttigli anni a partire dal 2005grazie al 75% cento di estero

di MARCO GIRELLA

PARE che l’attività migliore per diventa-re un buon produttore di vino sia il mo-tociclismo. Infatti è in sella a una motoche nella seconda metà degli anni Cin-quanta, Umberto Cesari intraprese unviaggio che lo portò ad attraversare l’Ita-lia del Nord e la Francia fino a Jerez dela Frontera. Considerate le strade e imezzi di allora, non fu solo un viaggioavventuroso, che solo un ragazzo entu-siasta poteva concepire. Fu anche il per-corso iniziatico on the road di un giovaneche cercava il suo posto nella vita. Figliodei proprietari dell’omonimo ristorantedi via de’ Carbonesi, Cesari sfruttò la suapassione per la moto per attraversare iluoghi dei vigneti francesi, e constataredi persona che tra le colline della Borgo-gna e quelle bolognesi non correva poitanta differenza. Il passo successivo perimboccare la strada che lo avrebbe tra-sformato nel re dei vitigni romagnoli fuquello di immaginare che si potesseestrarre un grande vino dal Sangiovese,allora ritenuto poco più di un accompa-gnamento per pasti plebei. Trasformarela droga dei poveri nella base per un vi-no da sultani divenne il cruccio di Cesa-ri. Che fondò la sua azienda nel 1966 ecominciò ad acquisire poderi tra Ozzanoe Castel San Pietro.

Cesari, era così azzardato puntaresul Sangiovese?

«Bisognava crederci. Sangiovese, Treb-biano e Albana, che si producevano nel-le nostre zone, erano considerati poco esi vendevano in bottiglioni col tappo co-rona. Noi puntammo tutto sulla quali-tà».

In cosa si traduceva?«Cura della vendemmia, selezione delleuve, affinamento in botte, tappi di sughe-ro. Già nei primi anni Settanta creammoil Liano, il nostro vino di punta, cheprende il nome dalla collina più impor-tante di Castel San Pietro, e sviluppam-mo il Sangiovese Riserva».

Per l’epoca erano prodotti d’elite.«Senz’altro. Predicavamo in un mondodi sordi. Tanto per capire, a Parma michiedevano se Sangiovese era un santo».

Il famosissimo Giovese. E come hasuperato l’incomprensione?

«Ho creduto da subito che fosse impor-tante uscire dalla regione».

Lei era glocal con decenni di antici-posui tempi.Cioè credevache ipro-dotti tipici locali avessero caratteri-stiche buone per venderli in tutto ilmondo.

«Sì. Ma non c’è stato niente di facile o discontato. Per conquistare il mercatoamericano ce n’è voluto».

Quanto?

«La prima difficoltà è stata trovare un di-stributore affidabile. Ma quando lo trovinon hai ancora risolto niente».

Perché?«Perché se si limita a tenere il tuo vinoin magazzino sei sempre al punto di par-tenza. La svolta è arrivata quando ho co-minciato a girare i ristoranti di Manhat-tan con i rappresentanti del distributo-re. Avevo la sportina termica in spallacon dentro i miei vini. I clienti assaggia-vano e gradivano, i rappresentanti co-minciavano a capire la filosofia del pro-

dotto, il distributore diventava un part-ner».

Quando si è detto: ce l’ho fatta?«Mai. Nel settore sono saltate per aria fa-miglie con seicento anni di tradizione.Però dagli anni Settanta, quando orga-nizzai quattro giorni di degustazioni pergli inglesi, siamo sempre cresciuti».

Anche in mezzo alle crisi?«Sì. Un punto di svolta fu il caso del vi-no al metanolo, che negli anni Ottantacausò la morte di diverse persone. Il pri-mo impatto sui produttori fu terribile.Ma poi si sviluppò nel grande pubblicola cultura del buon vino e noi eravamopronti».

Adesso il mondo è casa sua.«Esportiamo in più di cinquanta paesi esiamo molto forti in Canada e nel NordAmerica. Mio figlio ha studiato negliStati Uniti e appena arrivato in aziendaha sviluppato molto il marketing verso ipaesi anglosassoni. Dopo il Liano, il no-stro vino più venduto è il Moma (stessonome del museo d’arte moderna di NewYork, ndr)».

Moto, vino, esportazioni. La sua èuna vita di corsa.

«Infatti la corsa è stata la mia passionedopo i 40 anni. Ho gareggiato in tantemaratone e quella di New York resta lapiù emozionante. L’ultima volta avevosettanta anni».

Per vedere l’intervista a UmbertoCesari e le immagini della sua aziendavai sul nostro sito all’indirizzo:

VAI SUL PORTALE

www.ilrestodelcarlino.it/bologna

L’ambasciatore del Sangioveseche punta tutto sulla qualità

Cesari ha portato il vino romagnolo ai vertici mondiali

Umberto Cesari nellacantina sui colli di Ozzano

L’AZIENDA è situata sullecolline che dominano l’anti-ca Via Emilia, al confine traEmilia e Romagna, ad unaaltitudine che varia dai 300ai 450 metri sul livello delmare.E’ qui, nel cuore della regio-ne, in località Castel SanPietro Terme, che UmbertoCesari e sua moglie Giulia-na hanno avviato la propriaattività nel 1965. Gli origi-nari 20 ettari del primo po-dere si sono ampliati neglianni, raggiungendo attual-mente i circa 130 ettari do-ve sono coinvolti un totaledi 30 dipendenti.L’azienda Umberto Cesaricomprende cinque poderi:Casetta, Parolino, Ca’ Gran-de, Laurento e Tauleto. Leuve raccolte in questi pode-ri, per il 70% con vendem-mia manuale e per il 30% au-tomatizzata, vengono vinifi-cate direttamente in azien-da, utilizzando le più mo-derne e avanzate tecnichedi vinificazione, nel massi-mo rispetto della tradizionevitivinicola e dell’ambien-te. Umberto Cesari produceannualmente circa2.700.000 bottiglie che sonodistribuite in 52 paesi.Il 75% della produzione vie-ne esportata all’estero: traStati Uniti, Messico, Carai-bi per il 50%; Europa per il30%; restante 20% nei re-stanti paesi.La scommessa vincente diUmberto Cesari è stata quel-la di puntare sul Sangiovesedi qualità. Cesari è riuscitonegli anni a fare conoscere eapprezzare i suoi vini soprat-tutto all’estero, tanto da es-sere considerato come am-basciatore del Sangiovesenel mondo. E’ uno dei po-chi produttori romagnoliche ha coniugato numeri equalità, riuscendo a esserevignaiolo e imprenditore al-lo stesso tempo.Il suo sogno si è concretizza-to quando il Tauleto (nel2003 e 2007), fiore all’oc-chiello della sua produzio-ne, è stato riconosciuto a li-vello internazionale comemigliore Sangiovese.

L’AZIENDA

Leprimevignedegli anni Sessanta

per coltivareungrande sogno

LE DIFFICOLTÀ«Per l’epoca eravano pionieriGià a Parma mi chiedevanose Sangiovese era un santo»