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IL PROTAGONISTA da TREDICI DOMANDE p 18. 27ottobre9novembre2008 pag.nove «Ho detto a Brown: niente soldi pubblici dove i limiti non sono nell’accesso a Internet» Visioni «Serve un luogo dʼincontro dei player. E il regolatore ne faciliti lʼintesa» F rancesco Caio ha una lunga esperienza nelle tele- comunicazioni. È stato uno dei manager che più ha contribuito al “miracolo” Omnitel (ora Vodafone Italia); è stato un uomo di visione (forse addirittura un po’ troppo avanti con i tempi) quando alla Merloni ha cercato di dare “comunicazione e intelligenza” ad un settore come quello degli elettrodomestici che sembrava giunto alla ma- turazione tecnologica; ha guidato da Londra un’azienda di Tlc fisse internazionali come Cable and Wireless; ha avuto un’esperienza finanziaria con Lehman Brothers sempre a Londra. Tuttavia, la fama più recente la deve al fatto che il primo ministro inglese Gordon Brown lo ha chiamato per chiedergli di elaborare una Review, un quadro di idee e sug- gerimenti per le reti di nuova generazione in Gran Bretagna. Proprio l’incarico inglese gli ha procurato un’altra richie- sta. Stavolta dal sottosegretario alle Comunicazioni Paolo Romani che gli ha chiesto di mettere a punto uno schema programmatico su cui lavorerà la futura task force sulla banda larga. E Caio ha accettato. Col gusto della sfida e lo spirito del civil servant, ma anche con la consapevolezza che se a Londra le cose che si programmano hanno una buona possibilità di essere realizzate, ben diverso è il caso italiano. Da dove è nata la telefonata di Gordon Brown? Da un problema pratico. La Bbc ha lanciato in rete un nuovo servizio di diffusione video, l’iPlayer. Ha avuto un grande successo creando nel contempo visibili problemi alla rete. E questo ha aperto un dibattito pubblico sulla capacità della rete di far fronte ai nuovi servizi. Si era creata una forte preoccupazione sull’adeguatezza dell’infrastruttura a gestire la crescita del video con ripercussioni negative su settori essenziali dell’economia inglese come i media. Se ne è preoccupato anche il governo. Si è posto il tema se il mercato fosse in grado di gestire lo sviluppo, di accompagnare la crescita dei servizi con quella dell’infrastruttura. Più in concreto, se fosse necessario o meno un intervento diretto dello Stato a supporto degli investimenti nella fibra ottica, con un cambio di regola- mentazione o anche con sussidi pubblici. La risposta è stata che il mercato basta a se stesso. Sì, ma vanno chiariti gli orizzonti temporali. Innanzitutto, nel breve termine non c’è un rischio che il Paese vada in rischio competitivo per carenze dell’infrastruttura di Tlc. Quanto al dispiegamento della fibra nel medio-lungo periodo c’è una ragionevole certezza che la fibra servirà e che occorre muoversi oggi per creare le condizioni degli investimenti necessari. Detto in altre parole, non c’è emergenza ma non ci si può rilassare. Creare quali condizioni? Il dato di partenza è che in UK il mercato è competitivo e i clienti hanno un servizio più che accettabile. C’è un’eco- nomia cresciuta intorno ad Internet che è la più avanzata nel mondo. Internet, per fare un esempio, intermedia il 12% del fatturato al dettaglio, il 15% della pubblicità è online. E basta l’infrastruttura esistente, basata sostanzial- mente sull’Adsl? Abbiamo verificato che è più che adeguata a questo utilizzo. L’ho detto al governo inglese e vorrei dirlo anche a quello italiano: guardiamo ai fatti invece che ai miti. La Corea è avanti? Ma che cosa fa in termini di applicazioni che gli inglesi non fanno? Nulla. È un fan della rete di prima generazione? No, non faccio il tifo per nulla. Invito a guardare i fat- ti. Ed i fatti ci dicono, almeno in Uk, che la rete attuale è ampiamente sufficiente per l’oggi, non dico per il futuro. E comunque non esistono le condizioni per dire che in Uk serva cambiare il sistema delle regole o dei finanziamenti. Anche se la rete è stata messa sotto stress da Bbc? Sì. Non è l’accesso ad essere andato in stress, è stato il back haul, la parte centrale. Il punto dove c’è meno con- correnza. Non mettiamo soldi pubblici - ho detto a Brown - per costruire la fibra dappertutto, anche dove i clienti sono già adeguatamente serviti e dove i limiti non sono nell’accesso. Niente ruolo pubblico, allora? No, affatto. Il tema di lungo-medio termine è di una grandissima trasformazione del sistema che passa attraverso l’upgrade della rete. C’è un ruolo fondamentale del gover- GILDOCAMPESATO Parla Francesco Caio, il supermanager chiamato a fare da consulente per il broadband dal governo britannico e adesso anche da quello italiano: «Sulla fibra dobbiamo spazzare via i miti e guardare in faccia la realtà Non facciamoci prendere dall’angoscia L’importante è dare tempo al tempo» pragmatico no. Ma di indirizzo, non di big spender. Significa aiutare i vari attori a trovare un’unità di indirizzo. Per la prima volta l’industria si trova nella necessità di fare un investimento che vale decine e decine di miliardi in condizioni di mercato, non di monopolio. Ciò significa che nessuno degli attori, nemmeno l’ex monopolista, può farlo da solo. E la task force italiana? Può essere uno strumento, purché si muova con lo spirito giusto. Ma non voglio dettare regole su come fare in Italia né voglio anticipare le conclusioni di un lavoro che devo ancora iniziare. Dico però che la mia esperienza inglese è di aver gestito un processo oggettivamente indipendente che ha creato valore per il sistema. L’Italia non è l’Uk. Non c’è la concorrenza multipiat- taforma è c’è più digital divide. L’obiettivo di avere reti a larga banda è comune a tutti. La strada per arrivarci sarà diversa per ogni Paese. Cambia «La Corea avanti? Cosa fa in termini di applicazioni più degli inglesi? Nulla» il punto di partenza e la natura dei percorsi e degli attori. Cosa possiamo adottare del modello inglese? Parlo di metodo. Chiarissima distinzione tra breve e lungo termine. Non dobbiamo farci prendere dall’angoscia del breve ma essere determinati allo sforzo necessario per il lungo. E poi ci vuole un ruolo attivo del regolatore. Che significa? Una delle difficoltà dei vari attori è trovare un luogo dove definire i nuovi standard: interconnessione, regole di migrazione dal rame alla fibra, futuro della voce, futuro dei Dslam, ecc… Penso che il regolatore debba farsi carico di una operatività, di una vicinanza ai problemi concreti dei gestori più elevata che in passato. Dobbiamo lasciarci alle spalle un regolatore “leguleio” e andare verso un regolatore più “ingegneristico”, più “pragmatico”, che abbia la men- talità di dire dove è l’accordo commercialmente valido per tutti i player. È stato l’approccio di Ofcom quando è stato fatto Openreach. Non c’è un rischio di “plus di lobby”? Lo si evita con un processo visibile di condivisione di dati e di un confronto pubblico su tali dati. Questo mette pressione sui player. Al governo inglese ho raccomandato un benchmarking annuale, l’Ngn day. Un giorno in cui, in modo pubblico, ci si confronta su implementazione della Review, regole del gioco, roll out di rete, soddisfazione dei clienti, qualità del servizio, posizionamento internazionale. Questo consente a tutti di togliere dal tavolo miti e leggende e guardare la realtà dei fatti. Guardare lontano senza dimenticare dove si sono poggiati i piedi: è un po’ lo stile che caratterizza la carriera di Francesco Caio, sin da quando fu tra i fondatori di Omnitel. È stato poi Ad di Olivetti e, dal 1997 al 2000, di Merloni. Ha quindi fondato Netscalibur per sbarcare poi a Londra (c’era già stato prece- dentemente in McKinsey) quale ceo di Cable & Wireless. Quindi, sempre a Londra, è stato vice president di Lehman Brothers. Per il governo inglese ha curato la “Review” sullo stato delle telecomunicazioni inglesi (nella foto Caio con Gordon Brown). Darà il suo contributo anche all’analisi che sta facendo il governo italiano. È presidente dell’European Advisory Board. Da Omnitel a Lehman CURRICULUM VITAE

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ILPROTAGONISTA

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N°18. 27ottobre9novembre2008 pag.nove

«Ho detto a Brown: niente soldi pubblici dove i limiti non sono nell’accesso a Internet»

Visioni

«Serve un luogo dʼincontro dei player. E il regolatore ne faciliti lʼintesa»

Francesco Caio ha una lunga esperienza nelle tele-comunicazioni. È stato uno dei manager che più ha contribuito al “miracolo” Omnitel (ora Vodafone

Italia); è stato un uomo di visione (forse addirittura un po’ troppo avanti con i tempi) quando alla Merloni ha cercato di dare “comunicazione e intelligenza” ad un settore come quello degli elettrodomestici che sembrava giunto alla ma-turazione tecnologica; ha guidato da Londra un’azienda di Tlc fisse internazionali come Cable and Wireless; ha avuto un’esperienza finanziaria con Lehman Brothers sempre a Londra. Tuttavia, la fama più recente la deve al fatto che il primo ministro inglese Gordon Brown lo ha chiamato per chiedergli di elaborare una Review, un quadro di idee e sug-gerimenti per le reti di nuova generazione in Gran Bretagna. Proprio l’incarico inglese gli ha procurato un’altra richie-sta. Stavolta dal sottosegretario alle Comunicazioni Paolo Romani che gli ha chiesto di mettere a punto uno schema programmatico su cui lavorerà la futura task force sulla banda larga. E Caio ha accettato. Col gusto della sfida e lo spirito del civil servant, ma anche con la consapevolezza che se a Londra le cose che si programmano hanno una buona possibilità di essere realizzate, ben diverso è il caso italiano.

Da dove è nata la telefonata di Gordon Brown?Da un problema pratico. La Bbc ha lanciato in rete un

nuovo servizio di diffusione video, l’iPlayer. Ha avuto un grande successo creando nel contempo visibili problemi alla rete. E questo ha aperto un dibattito pubblico sulla capacità della rete di far fronte ai nuovi servizi. Si era creata una forte preoccupazione sull’adeguatezza dell’infrastruttura a gestire la crescita del video con ripercussioni negative su settori essenziali dell’economia inglese come i media.

Se ne è preoccupato anche il governo. Si è posto il tema se il mercato fosse in grado di gestire lo

sviluppo, di accompagnare la crescita dei servizi con quella dell’infrastruttura. Più in concreto, se fosse necessario o meno un intervento diretto dello Stato a supporto degli investimenti nella fibra ottica, con un cambio di regola-mentazione o anche con sussidi pubblici.

La risposta è stata che il mercato basta a se stesso.Sì, ma vanno chiariti gli orizzonti temporali. Innanzitutto,

nel breve termine non c’è un rischio che il Paese vada in rischio competitivo per carenze dell’infrastruttura di Tlc. Quanto al dispiegamento della fibra nel medio-lungo periodo c’è una ragionevole certezza che la fibra servirà e che occorre muoversi oggi per creare le condizioni degli investimenti necessari. Detto in altre parole, non c’è emergenza ma non ci si può rilassare.

Creare quali condizioni?Il dato di partenza è che in UK il mercato è competitivo

e i clienti hanno un servizio più che accettabile. C’è un’eco-nomia cresciuta intorno ad Internet che è la più avanzata nel

mondo. Internet, per fare un esempio, intermedia il 12% del fatturato al dettaglio, il 15% della pubblicità è online.

E basta l’infrastruttura esistente, basata sostanzial-mente sull’Adsl?

Abbiamo verificato che è più che adeguata a questo utilizzo. L’ho detto al governo inglese e vorrei dirlo anche a quello italiano: guardiamo ai fatti invece che ai miti. La Corea è avanti? Ma che cosa fa in termini di applicazioni che gli inglesi non fanno? Nulla.

È un fan della rete di prima generazione?No, non faccio il tifo per nulla. Invito a guardare i fat-

ti. Ed i fatti ci dicono, almeno in Uk, che la rete attuale è ampiamente sufficiente per l’oggi, non dico per il futuro. E comunque non esistono le condizioni per dire che in Uk serva cambiare il sistema delle regole o dei finanziamenti.

Anche se la rete è stata messa sotto stress da Bbc?Sì. Non è l’accesso ad essere andato in stress, è stato il

back haul, la parte centrale. Il punto dove c’è meno con-correnza. Non mettiamo soldi pubblici - ho detto a Brown - per costruire la fibra dappertutto, anche dove i clienti sono già adeguatamente serviti e dove i limiti non sono nell’accesso.

Niente ruolo pubblico, allora?No, affatto. Il tema di lungo-medio termine è di una

grandissima trasformazione del sistema che passa attraverso l’upgrade della rete. C’è un ruolo fondamentale del gover-

GILDOCAMPESATO

Parla Francesco Caio, il supermanager chiamato a fare da consulente per il broadband dal governo britannico e adesso anche da quello italiano: «Sulla fibra dobbiamo spazzare via i miti e guardare in faccia la realtàNon facciamoci prendere dall’angoscia L’importante è dare tempo al tempo»

pragmaticono. Ma di indirizzo, non di big spender. Significa aiutare i vari attori a trovare un’unità di indirizzo. Per la prima volta l’industria si trova nella necessità di fare un investimento che vale decine e decine di miliardi in condizioni di mercato, non di monopolio. Ciò significa che nessuno degli attori, nemmeno l’ex monopolista, può farlo da solo.

E la task force italiana?Può essere uno strumento, purché si muova con lo spirito

giusto. Ma non voglio dettare regole su come fare in Italia né voglio anticipare le conclusioni di un lavoro che devo ancora iniziare. Dico però che la mia esperienza inglese è di aver gestito un processo oggettivamente indipendente che ha creato valore per il sistema.

L’Italia non è l’Uk. Non c’è la concorrenza multipiat-taforma è c’è più digital divide.

L’obiettivo di avere reti a larga banda è comune a tutti. La strada per arrivarci sarà diversa per ogni Paese. Cambia

«La Corea avanti? Cosa fa in termini di applicazioni più degli inglesi? Nulla»

il punto di partenza e la natura dei percorsi e degli attori.Cosa possiamo adottare del modello inglese?Parlo di metodo. Chiarissima distinzione tra breve e lungo

termine. Non dobbiamo farci prendere dall’angoscia del breve ma essere determinati allo sforzo necessario per il lungo. E poi ci vuole un ruolo attivo del regolatore.

Che significa?Una delle difficoltà dei vari attori è trovare un luogo

dove definire i nuovi standard: interconnessione, regole di migrazione dal rame alla fibra, futuro della voce, futuro dei Dslam, ecc… Penso che il regolatore debba farsi carico di una operatività, di una vicinanza ai problemi concreti dei gestori più elevata che in passato. Dobbiamo lasciarci alle spalle un regolatore “leguleio” e andare verso un regolatore più “ingegneristico”, più “pragmatico”, che abbia la men-talità di dire dove è l’accordo commercialmente valido per tutti i player. È stato l’approccio di Ofcom quando è stato fatto Openreach.

Non c’è un rischio di “plus di lobby”?Lo si evita con un processo visibile di condivisione di

dati e di un confronto pubblico su tali dati. Questo mette pressione sui player. Al governo inglese ho raccomandato un benchmarking annuale, l’Ngn day. Un giorno in cui, in modo pubblico, ci si confronta su implementazione della Review, regole del gioco, roll out di rete, soddisfazione dei clienti, qualità del servizio, posizionamento internazionale. Questo consente a tutti di togliere dal tavolo miti e leggende e guardare la realtà dei fatti.

Guardare lontano senza dimenticare dove si sono poggiati i piedi: è un po’ lo stile che caratterizza la carriera di Francesco Caio, sin da quando fu tra i fondatori di Omnitel. È stato poi Ad di Olivetti e, dal 1997 al 2000, di Merloni. Ha quindi fondato Netscalibur per sbarcare poi a Londra (c’era già stato prece-dentemente in McKinsey) quale ceo di Cable & Wireless. Quindi, sempre a Londra, è stato vice president di Lehman Brothers. Per il governo inglese ha curato la “Review” sullo stato delle telecomunicazioni inglesi (nella foto Caio con Gordon Brown). Darà il suo contributo anche all’analisi che sta facendo il governo italiano. È presidente dell’European Advisory Board.

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