plut. de tranq. an. 7 (468b)

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PLUT. DE TRANQ. AN. 7 (468b) Plut. De tranq. an. 7,468b xoò<; 7tOA.A.oò<; oò póvov xà xtov ())iÀ(ov Kai oÌKeicov, dXXd Kai xcòv èxOpcov àvide Kaì rtapo^vvei KCXKCX- [3^ao(|)r|piai yàp Kaì òpyaì Kaì ())0óvoi Kaì KaKorjOetai Kaì C,r|À.ox'U7uai pexà Soopeveiaqaòxcòv pév eìoiv XGJV èxóvxoov Kf)pec,, èvox^oòot 8è Kaì 7tapoc J 'uvo'uoi xoò<; àvorjxooc;. Si osservi la successione riportata in corsivo: èxGpcóv à v t à Kaì Ttapoc^óvet KaKà u — — — u u u Questa pericope, che restituisce un impeccabile trimetro giambico 1 di fattura tragica 2 (si noti anche il chiasmo sintattico), sarà probabilmente da inserire nel gruppo di quelle citazioni adespote che continuano a mimetizzarsi tra le pieghe dell'ancor latebrosa - per quanto studiatissima - prosa plutarchea\ 1 Nessuna indicazione del genere nelle edizioni correnti: Plutarchus, Moralia, III, edd. M. Pohlenz-W. Sieveking, Leipzig 1972; Plutarque. Oeuvres morales, VII, texte et. et tr. par J. Dumortier et J. Defradas, Paris 1975, ecc. 2 II verso, vuoi per il concetto che esprime vuoi per l'assenza di sostituzioni, lascerebbe escludere la provenienza comica. 3 Per le citazioni plutarchee si può vedere il classico lavoro di W.C. Humboldt-E.N. O'Neill, Plutarch's Quotations, Baltimore 1959. Il presente caso, in cui si ha a che fare con un trimetro intero ed autonomo, è ben diverso da quello di certi altri allineamenti prosodici «razionali» che possono essere fortuiti; così sarà forse per De fac. orb. lun. 930f e 937e, da cui si ricavano successioni giambiche pure o quasi pure come òrcoo yàp oìvoc, oòaioq 6iycòv teatà e Kaì aòv yéÀcoxi Kai pexà o"7rot>8fi<; Kepi, che non hanno in sé un senso compiuto. Gli antichi non avevano - com'è noto - segni diacritici; talvolta citavano per nome, talaltra si servivano di formule come <t>r|°"i- T0 ^.eyópevov, ecc.; ma se tali formule mancano, allora identificare una citazione può essere impresa anche disperata; se poi la citazione proviene da un testo per noi perduto, il critico si potrà servire solo delle spie traverse del lessico e del dialetto; per esempio, in De soli. an. 965c, la citazione di un poeta sconosciuto si è rivelata solo grazie a considerazioni di stile (scopritore lo Hubert): 7roXÀ.oic, pèv èvdXov òpeioo 8è 7to?iXoìq dypaq aKpoGivioti; dyXaioaq. Identico il caso di Br. an. rat. uti 988a péppepov Xptìpa: nota ad loe dell'edizione Loeb: «Presumably a quotation which has not been identified». Anche qui non essendo il metro Kaxà OTÌXOV, la citazione è individuabile solo attraverso il lessico. Così possiamo essere sicuri della citazione allorché è diverso il dialetto; per esempio in De esu carn. 995e la presenza di èp<t>opn,0i£<;, rcoiéoooi, doGevéa permette di capire che non si tratta di parole di Plutarco (sono infatti del medico Androcide, come si evince da 472b). Ma che sarà mai accaduto di quei casi in cui la tradizione manoscritta ha adattato il dialetto alla koiné?. Nel caso di citazione metrica da testo perduto, il critico moderno potrà contare

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Page 1: PLUT. DE TRANQ. AN. 7 (468b)

PLUT. DE TRANQ. AN. 7 (468b)

Plut. De tranq. an. 7,468b xoò<; 8è 7tOA.A.oò<; oò póvov xà xtov ())iÀ(ov Kai oÌKeicov, dXXd Kai xà xcòv èxOpcov àvide Kaì rtapo^vvei KCXKCX- [3^ao(|)r|piai yàp Kaì òpyaì Kaì ())0óvoi Kaì KaKorjOetai Kaì C,r|À.ox'U7uai pexà Soopeveiaqaòxcòv pév eìoiv XGJV èxóvxoov Kf)pec,, èvox^oòot 8è Kaì 7tapocJ'uvo'uoi xoò<; àvorjxooc;. Si osservi la successione riportata in corsivo:

èxGpcóv àv tà Kaì Ttapoc^óvet KaKà

— — u — — — u — u — u —

Questa pericope, che restituisce un impeccabile trimetro giambico1 di fattura tragica2 (si noti anche il chiasmo sintattico), sarà probabilmente da inserire nel gruppo di quelle citazioni adespote che continuano a mimetizzarsi tra le pieghe dell'ancor latebrosa - per quanto studiatissima - prosa plutarchea\

1 Nessuna indicazione del genere nelle edizioni correnti: Plutarchus, Moralia, III, edd. M. Pohlenz-W. Sieveking, Leipzig 1972; Plutarque. Oeuvres morales, VII, texte et. et tr. par J. Dumortier et J. Defradas, Paris 1975, ecc.

2 II verso, vuoi per il concetto che esprime vuoi per l'assenza di sostituzioni, lascerebbe escludere la provenienza comica.

3 Per le citazioni plutarchee si può vedere il classico lavoro di W.C. Humboldt-E.N. O'Neill, Plutarch's Quotations, Baltimore 1959. Il presente caso, in cui si ha a che fare con un trimetro intero ed autonomo, è ben diverso da quello di certi altri allineamenti prosodici «razionali» che possono essere fortuiti; così sarà forse per De fac. orb. lun. 930f e 937e, da cui si ricavano successioni giambiche pure o quasi pure come òrcoo yàp oìvoc, oòaioq 6iycòv teatà e Kaì aòv yéÀcoxi Kai pexà o"7rot>8fi<; Kepi, che non hanno in sé un senso compiuto. Gli antichi non avevano - com'è noto - segni diacritici; talvolta citavano per nome, talaltra si servivano di formule come <t>r|°"i- T 0 ^.eyópevov, ecc.; ma se tali formule mancano, allora identificare una citazione può essere impresa anche disperata; se poi la citazione proviene da un testo per noi perduto, il critico si potrà servire solo delle spie traverse del lessico e del dialetto; per esempio, in De soli. an. 965c, la citazione di un poeta sconosciuto si è rivelata solo grazie a considerazioni di stile (scopritore lo Hubert): 7roXÀ.oic, pèv èvdXov òpeioo 8è 7to?iXoìq dypaq aKpoGivioti; dyXaioaq. Identico il caso di Br. an. rat. uti 988a péppepov Xptìpa: nota ad loe dell'edizione Loeb: «Presumably a quotation which has not been identified». Anche qui non essendo il metro Kaxà OTÌXOV, la citazione è individuabile solo attraverso il lessico. Così possiamo essere sicuri della citazione allorché è diverso il dialetto; per esempio in De esu carn. 995e la presenza di èp<t>opn,0i£<;, rcoiéoooi, doGevéa permette di capire che non si tratta di parole di Plutarco (sono infatti del medico Androcide, come si evince da 472b). Ma che sarà mai accaduto di quei casi in cui la tradizione manoscritta ha adattato il dialetto alla koiné?. Nel caso di citazione metrica da testo perduto, il critico moderno potrà contare

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Esempi di Trennung sillabica 2 + 3 + 1 + 4 + 2 4 nella poesia tragica: Aesch. Pers. 254, 294, 329, 507, 521; Sept. 63, 185, 279, 384, 391, 393, 545, 546, 640, 1018, 1036; Suppl. 189, 196, 211, 327, 484, 503, 624, 730, 912, 944, 993, 996. 997, 1012; Ag. 258, 298, 307, 513, 517, 526, 604, 624, 649, 811, 816, 821, 838, 962, 1036, 1054, 1066, 1094, 1197, 1202, 1210, 1277, 1357, 1579, 1627; Cho. 131, 184, 237, 239, 253, 256, 292, 293, 304, 479, 501, 873, 915, 1025, 1045; Eum. 1, 68, 121, 124, 155, 191, 192, 215, 288, 299, 405\ 406, 414, 620, 647, 649, 664, 6856, 693, 714, 732, 739, 741, 743, 766, 776, 794, 796; Pi: 28, 66, 108, 110, 220, 248, 270, 299, 324, 466, 633, 723, 724, 738, 783, 820, 832, 916, 970, 1028; Soph. Ai. 24, 41, 52, 61, 464, 511, 651, 683, 732, 744, 769, 1072, 1060, 1239, 1307, 1390; El. 6, 9, 34, 48, 329, 331, 423, 429, 461, 607, 710, 779, 912, 996, 998, 1137, 1148, 1207, 1297, 1405, 1447; OR 13, 539, 561, 640, 728, 737, 793, 923, 1026, 1514; Ant. 49,512,657,700,776,990, 1027, 1104, 1110, 1193; Tr. 26,91, 427, 551, 875, 1083, 1149, 1221, 1224; Ph. 39, 53, 78, 124, 314, 321, 413, 5067, 865, 890, 906, 937, 1317; OC 35, 56, 105, 112, 589, 777, 786, 792, 938, 979, 1024, 1203, 1403, 1409, 1423, 1533, 1592, 1601, 1652, 1662; Eur. Andr. 67, 160, 190, 195, 270, 390, 412, 452, 547, 599, 637, 878, 956, 958, 1099, 1115, 1119, 1154, 1241, 1242; Ale. 566,639,682, 843, 852, 1045; Cycl. 12, 85, 89, 119,294, 315, 382x, 385, 600, 668; Hipp. 277, 306, 375, 476, 629, 783, 820, 902, 1429; Hee. 241, 278, 508, 523, 543, 672, 980, 1170, 1283; Hel. 9, 30, 46, 84, 248, 293, 338, 495, 548, 774, 928, 1042, 1069, 1277; Heraclid. 38, 178, 216, 391, 559, 594, 697, 803, 825, 872; Hel. 28, 102, 275, 427, 478, 512, 536, 552, 599, 840, 1101, 1596, 1681; 77 13, 41, 48, 51,56, 299, 373, 726, 912, 943, 970, 1083, 1297, 1298,

solo sulla sua sensibilità e sagacia, per questo non sarà mai raccomandata abbastanza la lettura «ritmica» degli autori di prosa. È recente la scoperta che Thuc. II 71.2 contiene un trimetro giambico perfetto e addirittura formalizzato (cf. M. Haslam, Pericles poeta, «CPh» LXXXV, 1990, 33. e il mio Tucidide tragico: noterella su 3.113.1-6, «Sileno» XVII, 1991, 128-130 n. 19). Io stesso credo di aver scoperto, ancora in Plutarco, un trimetro giambico di provenienza comica (cf. La «uxor parturiens» di Strepsiade, «Sileno» XVI, 1990, 133-150, a proposito di Plut. De mal. Herod. 858c), che riprodurrebbe la pointe di un ignoto commediografo del V sec. contro un'antenata di Pericle, prendendo spunto dal racconto di Hdt. I 61.1. La ricerca andreb­be continuata.

4 Lasciamo da parte quei casi in cui i polisillabi siano costituiti da due parole che pure ne compongono, virtualmente, una sola; per esempio Soph. OC 15 nóXw otéòoucnv eòe, àn' òppaxoìv Ttpóoco. Si sono esclusi tutti quei casi in cui la somiglianza non fosse strettissima; tra gli esclusi rientrano anche quei versi che, pur avendo per il resto la stessa Trennung, presentassero il monosillabo e il quadrisillabo cementati in crasi.

5 Questo verso è per lo più espunto. 6 Questo verso presenta però una corruttela. 7 Se è genuino: ma i vv. 504-506 sono espunti dal Reeve, consenzienti gli ultimi editori

oxoniensi (Sophoclisfabulae, recogn. brevique adn. cr. instrux. H. Lloyd-Jones et N.G. Wilson, Oxonii 1990).

8 Ma c'è una crux.

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PLUT. DE TRANQ. AN. 7(46Sb) 201

1436, 1449; Bacch. 729,730,797, 1030; HF 34, 78, 152, 169,205,221,226,282, 542,602,607, 741, 1008, 1141, 1162; IA 417, 686, 953, 1119, 1561; Ion 53, 249, 362, 416, 424, 590, 736, 1194, 1436; Or. 412, 591, 607, 661, 846, 857, 946, 10249, 1185, 1318; Med. 12, 23, 320, 456, 472, 551, 751, 934, 1237; Rh. 58, 278, 402, 434, 468, 586, 588, 663, 764, 817, 933; Phoen. 292, 450, 513, 731, 742, 852, 1079, 1082, 1143, 1435, 1472; Tr. 24, 347, 428, 721, 756, 1 143; Suppl. 150, 151, 186, 231, 345, 356, 446, 526, 671, 725, 757, 759, 774; Aristarchus Tegeates 2, 3 (TrGF I 91); Critias 19.26 (I 1831 = B 25 D.-K.), dal Sisifo; Chaeremon 18 (I 233); Sositheus 2,4 e 2,8 (I 270s.); Ezechiel 1,81 (I 288); Adesp. 323 (II 97); Adesp. 478 (II 139); Adesp. 488 (II 141); Adesp. 507,2 (II 144), ecc.

Altri paralleli: (I) Identica Trennung + Kai dopo pentemimera10:

Aesch. Pers. 185, 312; Sept. 45; Suppl. 225, 494; Cho. 208, 289, 878, 881; Eum. 770, 883; Pr. 303, 331; Soph. Ai. 1390; OR 593; Ant. 483; Tr. 1207; Ph. 105, 264, 368, 1270; Eur. Andr. 882; Ale. 14, 20, 679; Hipp. 108, 1069; Hee. 348; El. 492, 1142; Heraclid. 4, 502; Hel. 1667; IT 686; HF 930; IA 1002; Med. SII; Rh. 606; Phoen. 468; Suppl. 308, 1092; Theodectas 10, 4 (I 235); Ezechiel 1, 86 (I 288); Adesp. 323 (II 97); Adesp. 393 (II 118); Adesp. 447, 2 (II 130), ecc.

(II) Identica Trennung + trisillabo e quadrisillabo verbali coordinati in seconda e quarta sede + Kai in terza sede".

Aesch. Pers. 683 oxévet KeKorcxai Kaì %apàooexai 7té5ov, Sept. 633 oìac; àpàxai Kaì Kaxeó/exai xóxac;, Soph. Ai. 16 ^cóvrip' àKoóco Kaì cjovap7tà£oo <t>pevi, ELI 10 KA.tipoiqè7tr|A.av Kaì Kaxéoxrjoav òi^pooc;, OR 331 fjpàq Ttpoòoovat Kaì Kaxa<))0eipai 7tóÀ.iv, 688 xoòpòv 7tapieìq Kaì KaxapPA/uvcov Kéap, Ph. 1419 òaotx; Ttovrjoac; Kaì 5ie^eÀ,0(òv 7ióvooq, OC 346 xpo^fp; eA/ri e Kaì Kaxioxooev 8épa<;, 1011 KaÀ.(ov ÌKvoópai Kaì KaxaoKrjjtxco A-ixaìc;, 1304 7tpcòxoi Ka?ioóvxat Kaì xexipr|vxai 5opi, 1334 aìxco 7u8éo0ai Kaì TtapeiKaOei'v enei, Eur. Andr. 739 yapppoòc; 5i8àc;a) Kaì òiSà^opai À,óyoo<;, Hee. 1139 Tpoiav àGpoìori Kai CJUVOIKÌOTJ

JtàÀiv, Heraclid. 935 8aipcov è0T|Ke Kaì pexéoxrioev xó^iiv, 995 Ò7tco<; Sicóoaq Kaì KaxaKxeivaqèpoóq, Bacch. 21 xÒKei xopeóaac; Kaì Kaxaoxrjaac; èpàq, 198 ì5oi>, cyuva7txe Kaì CjOvcopi oo x^pa, HF 99 rcrìyàc; à<))aipei Kaì 7tapeoKr|A.ei À,óyoi<;, Ion 624 òoxic; 8e8oiKO)c; Kaì 7tapaP^é7tcov piov, Med. 1030 dXXoòc, 5' èpó%6orjv Kaì Kaxecjàv0r|v 7tóvoi<; (cf. Tr. 760 pàxtyv 5' èpó/Ooov Kaì Kaxe£,àv0r|v

Ma il verso viene espunto. 10 Saranno lasciati da parte i versi in cui il Kai centrale si presenta in crasi, per esempio

Soph. Tr. 1258 ènei Ke?ieóei<; Ko^avayKd^eic,, Ttdcxep. Si veda la n. 4. " In questa rassegna - del resto anche in quelle che precedono e seguono - lasciamo da

parte i versi che presentino delle sostituzioni, come e.g. Eur. IA 1195 póvov 5ia<t>épeiv Kaì oxpaxriXaxeiv péÀ,ei.

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KÓVOIC;), Rh. 486 7téA.xr|v èpeioai Kaì Kaxaaxf|oai oxpaxòv, Theodectas 16, 2 (I 236) cprJLiri nXavdxai Kaì Stéyvcooxai ndXax, ecc. Notevole Moschion 6, ls. (I 265 = Orph. 292 K. ) 7tpcoxov 5' àvetpi Kaì 5ta7txó^co À,óyco / àp%f|v Ppoxeioo Kaì Kaxàoxaotv piou, due versi consecutivi che mostrano identica struttura12.

(III) Bisillabo è%0p- in prima sede13: con identica Trennung Aesch. Suppl. 225 è^Optov ópaipoic; Kaì piatvóvxcov yévoc; (in cui è da notare anche Kai dopo pentemimera), Eur. Heraclid. 882 è^Opoòi; Àapóvxa pf] à7toxeioeo0at 5ÌKT|V,

ecc.; con diversa Trennung Aesch. Pers. 328, 509, 675, Soph. Ai. 78, 665; Ant. 1080; El. 456; Eur. Andr. 1008; Heraclid. 22, 459, 853, 944, 996, 1002, 1049; Ion 1043; Med. 95,782,875, 1050; Rh. 644; Phoen. 358, 752; Critias 7,17 (37; I 176); Critias 23,3 (I 183 = B 27 D.-K.), ecc.

(IV) Trisillabo a v i - in seconda sede: con identica Trennung Soph. Ai. 1005 òoac, dviac, poi Kaxaojteipaq (J>0ivei<;, con diversa Trennung Soph. Ai. 266, 973, 1138; Ant. 319, 550; Eur. IT 1031, ecc.

Gli articoli xà xcòv sono naturalmente suppliti14 da Plutarco onde suturare la citazione con il testo continuo. Gli esempi di un tal modo di procedere sarebbero innumerevoli: ci limitiamo a De cap. ex inim. util. 90c f| yàp 'àKODoiax; èK7ti7txouaa ^covrj', Cons. ad Apoll. 116c eì yoóv f| Niópr) Kaxà xoòc; pé0oo<; 7tpóxeipov ei/e xqv imÓAT)\j/iv xaóxr|v òxi Kaì f| '0a?ié0ovxi picp / pXdcxmc, xe xéKvcov Ppi0opéva yÀ.DKepòv^àoqópwoa' xeÀ.eijxrjoei KXX., ibid. 119f ó 'Pioc.yàp' <{)r|oìv Empirci 5r|<; ovop' èxei póvov Ttóvoc, yeycóc/'\ Conv. sept. sap. 157f TTCÒC; oov ècopev 'Hoió5cp

12 Del resto casi del genere non sono rari nei versi da noi selezionati dei tragici 'mag­giori'. La novità è che sono consecutivi anche i due Kai dopo pentemimera.

11 I bisillabi finali in KaK- sono così numerosi che ci è parso meglio escluderli dalla rassegna dei similia.

14 Plutarco, come si sa, non si fa scrupolo di inserire nel tessuto della citazione anche altre particelle; per esempio 5é (cf. e.g. De soli. an. 96la), ydp (e.g. De amie mult. 95b), OÙK (e.g. Cons. ad Apoll. 1 16a). ecc., o addirittura il rimaneggiare il lessico per adattarlo ai propri fini espressivi: cf. De fae orb. lun. 942f che cita Od. 5 563 dXX' eie, tHÀócuov 7te8iov Kaì rceipaxa yair|C, (mentre Omero ha dXXd o' èq), De fori. 98f, che cita Od. 0 246, ma nella forma oò yàp 7tuypdxoi cipèv àpópovec, oò5è naXaioxai I oò5è JIOCÙ Kpaucvox; Géopev. ancora De fori. 99a, che cita rcpdypaxa Gvqxoiv (in ordine opposto) dal verso che apre l'intero trattatello: xóxn. xd 0vqx(ov Tipdypax', OÒK eòpooÀia (97c), Cons. ad Apoll. 102c '8ià Àòrtr|v ydp'0aoi 'Kaì paviav yiyveoGai / 7toA.^.oìai Kaì vooripax' OÒK ìda ipa , / aòxoòc, x' àvr)-prJKaai 5ià ÀÒ7tr|v xivé<;' (che il verso sia adattato si deduce dal confronto con Stob. Fior. 99.1), Coniug. praec. 145c '7taxn,p' pèv ydp 'éooV aòxfj 'Kaì rcóxvia prjxrip / r\òe Kaaiyvr|xoc;\ da //. Z 429. Si tratta di pochi esempi presi a caso: uno spoglio sistematico richiederebbe un volume intero.

15 II passo è pieno di restauri: póvov è aggiunta di Sauppe, yeyoóc, congettura di Nauck per èycó o' dei codd. Il dramma è perduto.

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xò '7tr|5àA.iov pèv ÓTtèp Kanvofi' Keipevov 'èpya Potov 5' dnóXoxxo Kaì f|pióva>v xaÀaepycòv', ei iooaóxr|<; Serjoei 7tapaoKeofic;;16.

Donde Plutarco abbia attinto questo verso è naturalmente impossibile da sta­bilire17. Ma che si tratti di un verso mi parrebbe difficilmente contestabile: tale regolarità non sembra fortuita.

Firenze W A L T E R L A P I N I

16 Hes. Op. 45s., citato anche in 527b. C'è però da chiedersi se l'autore abbia ben compreso il significato di Tiapoc^òvei, che

indica l'azione del rendere qualcuno più ò^òc, in una disposizione che possiede già, o nel fare una cosa che già sta facendo; poche righe più avanti Plutarco glossa dvid Kaì Ttapo^òvei con èvoxA.eìv e - di nuovo - rcapoc.òveiv, rendendo con ciò ancor più evidente - con questa chiosa - che èx9pwv-KaKd è citazione. Il verso dà l'idea di riferirsi ad un Tipòocorcov Soid^ov, ad uno spirito «medeiforme»; il dolore per le disgrazie dei nemici, così estraneo alla sensibilità greca, diventa più comprensibile se questi èxGpoi, in realtà, sono degli ex òUoi, persone che si ha ragione di amare ed odiare contemporaneamente. In questo senso i due verbi dvidv e rcapoc.òveiv esprimerebbero gli estremi della contraddizione tragica per eccellenza, quella per cui un personaggio trova nel dolore altrui sia un motivo di dolore proprio (dviav), sia, nel contempo, uno stimolo (rcapo^òveiv) a rendere le disgrazie altrui ancora più grandi.