piano terzo - parcobarro

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Piano Secondo

laboratoriodidattico

spazio mostre“Giuseppe Panzeri“

laboratoriodidattico

Piano Primo

sala conferenze“Roberto Leydi“

bookshop

INGRESSO MUSEOflauto di Pan

bachicolturaagricoltura

cucina

Piano Terra

stalla

vinificazione

laboratorio

trasporti

Piano Terzo

biblioteca

direzione archivio laboratoriodidattico

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IL PARCO DEL MONTE BARRO

THE IDENTITY CARD OF THE PARKDate of birth:Regional Park - 1983Natural Park - 2002Site of Community Importance (SCI) - 2003Special Protection Zone (SPZ) - 2003

Managing body:Towns of Galbiate, Garlate, Lecco, Malgrate,Oggiono, Pescate and Valmadrera,the Mountain Community of Lario Orientale -Valle San Martino and the Province of Lecco

Surface area: 665 hectaresAltitude: from 200 to 922 m a.s.l.Species of fungi present: approx. 600Species of plant present: approx. 1200Species of animal present: approx. 1000

Head office:Via Bertarelli 11 - 23851 Galbiate (LC)Tel. 0341.542266 - fax 0341.240216www.parcobarro.it - [email protected]

Strade di accesso al ParcoAccess road to the ParkStrade interne al ParcoRoad inside the ParkInizio sentieroStart of footpath

1 Villa Bertarelli - Sede dell Ente Parco edel Centro Flora Autoctona della Lombardia (CFA)Head offices of the Park and of the Native Flora Centre of the Lombardy region

2 Camporeso - Museo Etnografico dell Alta Brianza (MEAB)Ethnographic Museum of Alta Brianza (MEAB)

3 Piani di Barra - Parco Archeologico, insediamento ostrogoto (V-VI sec. d.C.)Archaeological Park, Gothic settlement (V-VI centuries A.D.)

4 Eremo - Centro Parco con Ostello Parco Monte Barro e Museo Archeologico del Barro (MAB) - Chiesa di Santa Maria (sec. XV)Centre Park with the Hostel Parco Monte Barro and Archaeological Museum of Barro - St. Mary’s Church (XV century)

5 Costa Perla - Ex roccolo, sede della Stazione ornitologicasperimentale e della sezione staccata del MEAB sulla cacciae l’uccellagioneEx hunting lodge, home of the experimental ornithologicalstation and of the annex of MEAB dealing with hunting andbird capture

6 San Michele - Chiesa incompiuta di San Michele (sec. XVII) sede di eventi culturaliThe incomplete church of San Michele(XVII century) location for cultural events

7 Baita Pescate - Centro visitatori ParcoPark Visitor Centre

8 Falesia di Camporeso - Palestra di RocciaCliffs with climbing ascents

Luoghi di ristoroRefreshment facilities

A Ristorante Eremo Monte Barrocon Ostello Parco Monte BarroEremo restaurant of Monte Barrowith Hostel Parco Monte Barro

B Ristorante PanoramaPanorama Restaurant

C Baita AlpiniAlpine Lodge

D Ristorante Eremo di San MicheleEremo San Michele Restaurant

E Baita PescatePescate Lodge

F Baita Pian SciresaPian Sciresa Lodge

Testi e cura di Massimo Pirovano

Ricerche e contributi di Angelo De Battista, Paola D’Ambrosio, Giorgio Foti, Mariarosa Galimberti, Rosalba Negri,Giuseppe Panzeri, Massimo Pirovano, M. Giovanna Ravasi, Italo Sordi

Fotografie di Pierfranco Arrigoni, Federico Bonifacio, Cesare Frigerio, Giorgio Foti, Sandro Maggioni, Giorgio Pennati,Lele Piazza, Massimo Pirovano, M. Giovanna Ravasi, Mario Spreafico

Indice

p. 1 Presentazione

p. 2 Dal museo contadino al museo di società

p. 4 Camporeso e i percorsi etnografici

p. 6 Il dialetto nel museo

p. 7 L'agricoltura: base della economiae della società tradizionale

p. 8 La bachicoltura e la sua importanza

p. 9 Il granoturco: dall'America alla tavola dei contadini

p. 10 Dalla vigna alla cantina

p. 11 La fienagione: complemento indispensabileall'allevamento

p. 12 La stalla: luogo di lavoro e di inculturazione

p. 13 L'alimentazione tradizionale e le sue trasformazioni

p. 14 Il trasporto in campagna: un marchio di classe

p. 15 Il flauto di Pan: strumento arcaico,strumento del mondo

p. 16 La caccia e l'uccellagione:necessità e divertimento di un'epoca passata

p. 17 Le mostre: nuove ricerche oltre gli allestimenti

p. 18 La sala del dialogo antropologico:luogo di incontri e di confronti

p. 19 Dalla ricerca alle proposte educative

p. 21 Per saperne di più: documentari da vedere,dentro la visita

p. 22 Per saperne di più: libri da leggere, oltre la visita

p. 23 Cari amici vicini e lontani

p. 25 Ethnograpic Museum of High Brianza

p. 32 Il Parco del Monte Barro

In copertina:Il MEAB, luogo di dialogotra le generazioni e le cultureMEAB, a place of dialogue betweendifferent generations and culturesGalbiate, 2010

Stampato nel mese di aprile 2013da Cattaneo Paolo Grafiche s.r.l.Oggiono-LeccoOfficina grafica di Annone B.zaper conto del Parco Monte Barro

Progetto grafico e impaginazioneClick Art di Daniela Fioroni

Traduzione testi in ingleseStefano Pontiggia

Prezzo: Euro 1,00

Parco particolare e del tutto originale quello del Monte Barro. UnParco che coincide con un monte che si può considerare un’isola dinatura contornata da laghi e da paesi altamente urbanizzati eche al suo interno presenta luoghi di grande interesse.In quest’area protetta, il Parco, oltre che ad occuparsi della tutela,della valorizzazione e della corretta fruizione di un territorio dirilevante pregio naturalistico, gestisce il Centro Parco dell’Eremo,un Osservatorio Ornitologico e due Musei: quello Archeologico equello Etnografico.Quest’ultimo, alla scoperta del quale è dedicata questa pubblicazione,compie quest’anno i 10 anni di vita, anche se l’idea della suacostituzione parte già negli anni ‘80 grazie alla lungimiranza e allavolontà del mio predecessore, Giuseppe Panzeri, che con determi-nazione seppe far sì che un sogno diventasse realtà.In 10 anni il MUSEO ETNOGRAFICO DELL'ALTA BRIANZA ne ha fatta di strada,conquistandosi un posto di rilievo nella ricerca e nella divulgazione inambito etnoantropologico e ciò è stato possibile grazie al lavoro degliAmministratori e dei dipendenti del Parco, alla passione e alla competenzadi Massimo Pirovano, che dirige il Museo da quando è stato istituito,al contributo di molte persone e istituzioni e alla determinantedisponibilità di tanti volontari senza i quali questo Museo non avrebbequel prestigio e quella frequentazione che invece ha.Da parte nostra vi è l’impegno nel continuare a sostenere questavivace realtà museale.

The Park Monte Barro is definitely an unusual and original park. Itsboundaries fit with those of a mountain; it looks like an isle surroundedby lakes and highly urbanized territories. Within its protectedenvironment, the Park not only guarantees the conservation, thevalue and a respectful use of the area and its natural beauties: italso supervises the activities of the Centre Parco dell'Eremo (Centrefor the park the local hermitage of Monte Barro), a Centre for ornitho-logical studies, an archaeological museum and an ethnographic one.This it the tenth anniversary for the Ethnographic Museum which isdescribed in these pages. The project of its foundation has neverthlessa longer history: the starting point traces back to 1980s, thanks tothe vision and the will of the former president of the Park, GiuseppePanzeri, who intensely worked to pursue the goal.In these ten years, the ETHNOGRAPHIC MUSEUM OF HIGH BRIANZA hasreached a prominent position in the field of ethno-antropologicalresearch and communication, thanks to its director Massimo Pirovano,the contribution of many researchers and institutions and the decisiveparticipation of lots of volunteers. We, as managers of the Park, wantto continue sustaining this important reality.

Galbiate, aprile 2013

FEDERICO BONIFACIOPresidente Parco Monte Barro

Il Monte Barro contornato dai laghiThe Moun Barro surrounded by lakes

Camporeso, sede del museo etnograficoCamporeso, head of the MEAB

GALBIATELECCO

VALMADRERAOGGIONOMALGRATEGARLATEPESCATE

eCOMUNITÀ MONTANADEL LARIO ORIENTALEVALLE SAN MARTINOPROVINCIA DI LECCO

Ideato nel 1983 dagli amministratoridel Parco Monte Barro come museodelle attività agricole, il MEAB è statoinaugurato nel 2003 con la denomi-nazione più comprensiva di MuseoEtnografico dell'Alta Brianza. L’attualespazio espositivo - circa 600 metriquadrati - è stato per secoli e fino aqualche decennio fa occupato dalleabitazioni e dalle stalle di alcunefamiglie di contadini, divenuti nelcorso del Novecento operai. Questospiega l'idea originaria del museo:quella di documentare e studiare lacultura della popolazione rurale, cheha caratterizzato con la sua presenzae il suo lavoro la Brianza collinare,rappresentata emblematicamente nelborgo e nei dintorni di Camporeso.Oggi, dunque, quegli stessi ambientiraccontano i lavori, le tradizioni, lecredenze e le forme espressive delleclassi popolari dei secoli XIX e XX,mentre una sezione staccata del mu-

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Mietitori in una proprietà PeregoHarvesters in a field owned by the Perego gentry family

Garbagnate Monastero (LC), 1935

seo dedicata alla caccia e all'uccel-lagione, ha sede presso il roccolo diCosta Perla, sulla strada che sale versol'Eremo di Monte Barro. A Costa Perlail Parco gestisce una stazione orni-tologica con finalità scientifiche edidattiche per lo studio delle migra-zioni degli uccelli.Il MEAB nasce e si definisce comemuseo etnografico in quanto utilizza,nelle sue ricerche, il metodo di inda-gine praticato dall'antropologia: essoconsiste nell'incontro tra il ricercatoree il portatore di una cultura differentedalla sua, come quella di contadini,operai, pescatori, cacciatori, filatrici,casalinghe, cuoche, che vengono os-servati nelle loro attività quotidianee intervistati durante una lunga fre-quentazione.Il passato interessa quindi il ricerca-tore prima e il visitatore del museopoi, perché gli presenta usi e costumiche lo sollecitano a confrontarsi e adinterrogarsi per spiegare e compren-dere le culture 'altre'.Le indagini condotte nel nostro ter-ritorio, hanno portato il museo agliallestimenti di lungo periodo dedicatiad alcuni aspetti di notevole impor-tanza nella vita quotidiana delle ge-nerazioni che ci hanno preceduto:l'allevamento del baco da seta, i lavoriagricoli, l'alimentazione e la cucina,la stalla, i trasporti rurali, la cantinae l'uso del flauto di Pan (firlinfö), lacaccia e l'uccellagione.Per illustrare questi temi, il museoespone oggetti emblematici, integratida fotografie, filmati e registrazionisonore, che documentano le espres-sioni e i gesti osservati durante illavoro e la vita quotidiana delle donnee degli uomini nel nostro territorio.

Dal museo contadino al museo di società

Una sala, intitolata all'etnomusicologoRoberto Leydi, è appunto dedicataai beni immateriali, come canti, rac-conti, cerimonie, feste, saperi, cre-denze, tecniche produttive. Qui sipossono vedere i numerosi documen-tari di ricerca prodotti dal museo; sitengono gli incontri pubblici con itestimoni della tradizione; si propon-gono periodicamente conferenze suvari aspetti delle culture umane.Un ampio spazio è destinato allemostre temporanee su vari temi dellaricerca etnografica, in particolare inBrianza e nel Lecchese. Esso è dedi-cato alla memoria di Giuseppe Panzeri,‘storico’ presidente del Parco, studio-so appassionato, amministratoreintelligente e infaticabile, che ebbel'idea del museo negli anni '80.La raccolta di oggetti, interviste eriprese filmate che il museo conservae presenta è iniziata nel 1998, grazieal coinvolgimento di molte personeche hanno scelto di contribuire inmaniera diretta a questo progettocome testimoni e donatori. L'iniziativaè stata di alcuni amministratori apartire da Panzeri, che ha sollecitatodiversi ricercatori a collaborarenell'impresa. Ciò ha dato vita adun'esperienza originale, almeno inLombardia: quella di un parco regio-nale con una vocazione naturalistica,che ha investito sulla ricerca e ladivulgazione in campo etnoantropo-logico.Il MEAB è di fatto un museo delpresente perché vive e trova sensonelle testimonianze di chi oggi puòraccontare di un passato recente, edelle sue trasformazioni, sulla basedi esperienze dirette.Ecco perchè si presenta come un

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Intervista su Antonino Uccello, folklorista in BrianzaInterview over Antonino Uccello, italian folklorist who studiedBrianza's culture - Palazzolo Acreide (SR), 2009

"museo delle voci e dei gesti" deiprotagonisti delle attività significativedel territorio.Una simile istituzione vuole essere"museo di società" non solo perchévalorizza il patrimonio culturale dif-fuso ma anche perché sollecita lapartecipazione attiva di settori signi-ficativi della comunità.Il museo diviene, quindi, con la suamissione di educazione permanente,luogo di confronto tra abitudinidiverse, luogo di analisi e di rifles-sione sulla nostra cultura e sullanostra società complessa, al di làdel mito tanto diffuso di un passatoidilliaco.

Il borgo agricolo di Camporeso, conresidenza padronale e oratorio sette-centesco, si caratterizza come unnucleo a corte chiusa. Attestatoall'inizio del Trecento, conserva ancoratracce di quel periodo (arco falcato,finestrone gotico, intonaci stilati) edei secoli successivi (case torri ecase colombere), mentre la casa pa-dronale presenta porte finestre conmensola a ringhiera, tipiche dell'espe-rienza barocchetta. Il nome Campo-reso è da interpretare come "Campo-regio", cioè demaniale ovvero 'delre', dello Stato, mentre il più rusticoGamboleso - che rimane nel dialettoGambulées - significherebbe "Campuslaetus", cioè fertile. Proprietari dellaporzione più consistente di Camporesosono stati i nobili Tinelli di Gorla e,per la porzione a monte, l'OspedaleFatebenefratelli.È in quest'ultimo edificio, acquisitodal Parco del Monte Barro nel 1991

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Contadini e proprietari a CamporesoPeasants and masters in Camporeso

Galbiate, 1933

dall'USSL di Lecco, che è stato realiz-zato il Museo Etnografico dell'AltaBrianza. Fino ad epoca recente gliambienti a piano terra erano adibitia stalle, mentre al primo piano vierano le abitazioni coloniche e nelsottotetto i fienili. La scelta di questasede per il museo si spiega perchéCamporeso appare come un luogoemblematico rispetto all'economia,alla società e alla cultura popolareprevalenti, nel lungo periodo, nellaBrianza collinare. Il terreno, qui, aprezzo di un duro lavoro spesso fattoa mano, era infatti adatto alla colti-vazione della vite, ma anche del gelso.I cereali e il fieno destinato aglianimali integravano le produzioniprincipali, ma non mancavano i pro-dotti dell'orto e gli alberi da frutta.Ancora dopo la distruzione dei vitigninostrani per la fillossera (1879) econ l'innesto dei vitigni americaniche davano un vino più abbondante,ma di minor gradazione (nustranèl),nei primi decenni del Novecento aCamporeso si producevano 20 ettolitridi vino all'anno. L'allevamento delbaco da seta, con le foglie del gelso,negli anni '30 del Novecento davadai 6 ai 7 quintali di bozzoli.Per più di due secoli tutti i massaridei Tinelli e poi dei Ronchetti-Aldeghierano i Bonacina, qui giunti nel Sei-cento da Arlate, mentre i massari delFatebenefratelli erano i Sesana, poidivenuti Cesana. Nel 1901 a Campo-reso vivevano 93 persone; dopo laseconda guerra mondiale, la crisidell'agricoltura ha portato questoluogo e le cascine circostanti ad unospopolamento generalizzato.Ma i segni delle conoscenze e dellepratiche quotidiane tradizionali si

Camporeso e i percorsi etnografici

trovano pure nel paesaggio e nellecostruzioni che gli uomini hannorealizzato anche attorno al museo:muretti a secco, terrazzamenti colti-vabili, piantagioni e boschi curati,manufatti destinati alla captazionee alla distribuzione dell'acqua, edicolereligiose. Per questo anche lungoalcuni sentieri del Parco, vengonosegnalate su appositi pannelli lenotizie di interesse etnografico, chein parte sono legate a edifici o adaspetti del paesaggio visibili e inparte ci parlano di esperienze, cono-scenze, tecniche, credenze che laricerca fa emergere. Si pensi ai lavatoidove le donne si ritrovavano perattingere acqua o per lavare i panni,ma anche per incontrarsi, cantareinsieme, dialogare, scambiarsi le in-formazioni e i commenti sulle novità,oppure nei pressi dei quali si condu-cevano gli animali a bere. È il casodelle edicole sacre, dedicate alladivinità, alla Madonna o a qualchesanto (Giobbe, sant'Antonio abate,san Martino) con i rispettivi patronati.Esse ci fanno pensare alla devozionepopolare che aspirava ad una specialeprotezione per le malattie, o perspecifiche attività, per i rischi deipercorsi che si allontanavano dal cen-tro abitato, oltre che per la salvezzadell'anima.Gli itinerari etnografici nel Parco cimostrano che anche i prati, per chiconosceva le proprietà dei vegetali,custodivano un tesoro di piante utiliper l’alimentazione e per la cura.Spesso la raccolta era affidata a donnee bambini che erano in grado di rico-noscere le erbe commestibili. Racco-gliere queste piante significava ga-rantirsi un pasto più completo nella

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Il pannello sui lavori del bosco, nel ParcoAn information panel about forestry located in the ParkGalbiate 2012

dieta molto povera del contadino,che sapeva far tesoro di tutto ciòche la natura offre all'uomo sponta-neamente: foglie giovani di partico-lari piante selvatiche erano consu-mate in insalate o cotte, ma in altricasi si mangiavano i bulbi estirpatidal suolo. Le piante selvatiche, inol-tre, trovavano anche un loro impor-tante impiego nella cura di disturbiabbastanza comuni, come tagli, feb-bre, o ascessi, mentre altri arbustiche si tagliavano nei prati o neiboschi, come la parietaria, il pungi-topo, il ravizzone o l'erica, potevanoservire nello svolgimento di alcunilavori domestici.

Un museo dedicato alla vita quotidia-na delle classi popolari espone oggettie documenti, ma cerca anche di do-cumentare usanze, credenze, espres-sioni del folklore attraverso la linguaparlata dalla 'gente comune', cioè ildialetto.Come ogni lingua, il dialetto si mo-difica nel tempo e si presenta in varieforme anche in una zona circoscrittacome quella studiata dal museo. Daun paese all'altro la pronuncia cambiae queste differenze rappresentano unfattore di identificazione o di distin-zione: la lingua può quindi essereuno strumento di inclusione ma anchedi esclusione sociale.Per il museo c'è il problema di tenereconto delle sensibili differenze chesi riscontrano tra pronunce di parlantinati in paesi diversi della Brianza edel Lecchese, anche a breve distanzal'uno dall'altro. In genere è stataregistrata e trascritta la pronuncia

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Ida Redaelli, narratrice popolareIda Redaelli, a folk storyteller - Oggiono, 1975

dei donatori degli oggetti. Così, adesempio, il granoturco può essereindicato dai testimoni differenti comefurmentón, furmentóm o furmentùn,a seconda del paese di origine deltestimone.Il dialetto funziona egregiamente percomunicare all'interno di comunitàpiccole e in territori circoscritti, piùdi quanto non avvenga con una linguanazionale, ma a differenza di quest'ul-tima è utilizzato quasi esclusivamenteper parlare, e non per scrivere. Ciòspiega la scarsa abitudine e quindila difficoltà che molti incontrano ascrivere in dialetto.I dialetti lombardi occidentali, infatti,presentano suoni che sono estraneiall'italiano e che per essere trascrittirichiedono l'impiego di segni graficipresi a prestito da altre lingue nazio-nali; è il caso della vocale /ö/ di piö(più), o della /ü/ di ümet (umido).In questa sede viene usato un sistemasemplificato di trascrizione che siavvicina per quanto possibile a quellodella grafia italiana, proposto dalla"Rivista italiana di dialettologia"(1977). Nel caso di citazioni da fontiscritte, però, il museo rispetta lagrafia originale.Il visitatore del museo avrà la possi-bilità di entrare in contatto con levarietà del dialetto e della linguausata nel nostro territorio sia attra-verso la trascrizione nei pannelli enelle pubblicazioni, sia attraversol'ascolto delle interviste, dei canti,delle narrazioni, che accompagnanoil percorso espositivo o che si trovanonei video, nei cd prodotti dal museo,nei documenti archiviati.

Il dialetto nel museo

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La semina del granoturcoThe seeding of the sweet corn - Rossa di Galbiate, 2002

ormai di secondaria importanza.Proprio grazie alle donazioni di questefamiglie è stato possibile costituireuna parte importante del patrimoniodel museo.Le macchine d'uso domestico e glistrumenti di lavoro, conservati neisolai, nei ripostigli, nelle cantine enelle cascine, che un tempo servivanoalla bachicoltura, alla coltivazionedei campi e della vigna, alla fienagio-ne e all'allevamento, ma anche gliutensili e i manufatti dei lavori arti-giani, sono diventati patrimonio concui documentare la cultura materialee ricostruire la storia sociale del ter-ritorio che sta attorno al museo.

La sala più ampia del museo è dedi-cata all'agricoltura tradizionale:l'attività che per secoli ha garantitoil sostentamento della gran partedegli abitanti della Brianza. Gelsoper il baco da seta, fieno e bovini,mais, frumento, vite sono stati i pro-dotti principali delle nostre collinetra Settecento e Novecento.Fino alla diffusione dell'industria, laproduzione ha condizionato le moda-lità colturali e le tecniche produttive,le forme contrattuali ed il regime diproprietà della terra. Quei prodotti,inoltre, hanno determinato le condi-zioni di lavoro, spesso praticato conla sola forza muscolare dei contadini,e le condizioni di vita della popola-zione.Che fossero di piccoli proprietari o dicoloni legati ai padroni della terrada vari contratti, le famiglie contadinesono state le protagoniste dell'agri-coltura dell'alta Brianza.Nei campi stavano uomini, donne ebambini, secondo un modello chenon prevedeva presenza di salariati,ma 'metteva al lavoro’ l'intera famiglia.Dall'Ottocento al Novecento, sonostate le famiglie contadine a fornire,prima, la manodopera femminile allefilande e poi quella maschile alleofficine. In queste famiglie, divenute'pluriattive', si sono poi delineate ledue figure che hanno accompagnatoil crepuscolo dell'agricoltura tradizio-nale nell'alta Brianza: quella dell'ope-raio-contadino, lavoratore inseritonel nuovo contesto economico maancora legato alla terra, e quelladell'ex affittuario che riesce, nel se-condo dopoguerra, a diventare pro-prietario di piccoli appezzamenti,dove porta avanti un'attività diventata

L’agricoltura: base della economia e della società tradizionale

Appena si entra nel museo ci si trovain una vecchia cucina che ogni anno,tra maggio e giugno, fino almeno aglianni '40 del Novecento, veniva desti-nata all'allevamento del baco da seta.Molti oggetti, lì esposti, provengonodalle famiglie dei lavoranti; le incu-batrici invece erano dei maggioriproprietari terrieri, che acquistavanoil seme bachi da laboratori specializzatie lo distribuivano per l'allevamento.Per più di due secoli nel Lecchese labachicoltura ha avuto grande impor-tanza nell'economia e nella vita quo-tidiana per i contadini, ed in partico-lare per le donne. Queste, infatti, oltread occuparsi dell'allevamento deibachi, traevano il filo di seta daibozzoli nelle filande, dove le giornateinterminabili erano alleggerite dalcanto collettivo, che in alcuni casiesprimeva la protesta delle operaie.Il baco si nutre esclusivamente dellafoglia del gelso, pianta che copriva

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La bachicoltura in un ex voto del 1858The sericulture, as represented in an ex voto, 1858

Santuario delle Madonna del Bosco, Imbersago (LC)

gran parte delle colline e dell'altapianura. Ciò non favoriva i prodottidel suolo sottostante, ma - come ciricorda Stefano Jacini, studioso diagricoltura e senatore dell’Italia unita- il proverbio diceva che "l'ombra delgelso é l'ombra d'oro".Con un lavoro molto impegnativo, icontadini cercavano di procurarsi, conl'allevamento del baco, un'impor-tantissima entrata in contanti, dopole ristrettezze della stagione invernale,a condizione che non intervenisseromalattie del gelso o del baco.Nelle case coloniche i locali impiegatiper la bachicoltura erano in primoluogo la cucina, ma anche altre stanzedotate di camino: la temperaturaideale per l'allevamento era di circa23 gradi. Qui si montavano le tavolea graticcio fatte di canne, su cui sialimentavano i bachi con le foglie digelso. Quando i bozzoli erano pronti,venivano trasportati ad una filandavicina o all'ammasso per la vendita.Nella speranza di avere un buon rac-colto di bozzoli, talora si seguivanoconsigli tecnici più spesso ci si affi-dava a pratiche devozionali. I ragazzipassavano di casa in casa a cantareil cristée per propiziare l'imminenteattività di allevamento e soprattuttosi pregavano la Madonna e il beatoGiobbe, rappresentati insieme su mol-tissime case coloniche. I pittori po-polari, non a caso, mostravano i ver-mi/bachi uscire dalle piaghe di Giobbe,eletto a patrono della bachicoltura.Dalla seconda metà dell'Ottocento,poi, la produzione subì varie flessionianche per la concorrenza straniera,fino allo smantellamento massicciodelle filande dopo il 1930 e alla lorochiusura negli anni '50.

La bachicoltura e la sua importanza

Originario dell'America, in Europa ilmais è stato a lungo una pianta or-namentale da giardino. La sua colti-vazione nelle campagne venete elombarde, attorno al 1630, era ancoraoccasionale e la proprietà addiritturala osteggiava, temendo che la fertilitàdel suolo ne risentisse. È solo nelSettecento che questa pianta alimen-tare comincia ad avere una diffusionesignificativa, per raggiungere un'im-portanza centrale nella produzioneagricola tra il 1750 e il 1850.La sua diffusione nella nostra zonafu voluta più dai contadini che daiproprietari delle terre. Il suo valorecommerciale nelle campagne venetee lombarde era scarso, mentre eramolto richiesto il frumento, cui iproprietari chiedevano che fosse de-stinata la maggior parte dei fondi. Icontadini, d'altra parte, trovarononella maggior resa del granoturco unasoluzione alla scarsità della terra aloro disposizione. La sua coltivazione,comunque, andò a discapito deglialtri cereali minori della tradizione,come la segale, l'orzo, il miglio,l'avena.Sulle balze delle colline, i contadinicoltivavano il granoturco anche sottole viti, dissodando la terra con lavanga, laddove non si poteva arrivarecon l'aratro.La coltivazione del mais influì inBrianza anche sui patti agrari: da unadiffusa mezzadria, a fine Settecento,si passò infatti al fitto a grano, chei proprietari terrieri commercializza-vano, ma che induceva i coloni adun consumo quasi esclusivo di polentee pani di cereali misti. Anche larotazione agraria che inizialmente eratriennale (frumento-prato-mais),

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Essiccazione del granoturcoThe sweet corn is drying upCassina de' Bracchi di Casatenovo (LC), 1984

lasciò il posto in molti luoghi a quellabiennale (frumento-mais) che davauna maggior disponibilità dei duecereali destinati, rispettivamente, aiconsumi di chi acquistava il pane, daun lato, e di chi mangiava semprepolenta, dall'altro. Le abitudini ali-mentari si modificarono e i colonipassarono dal pane di frumento esegale al pan giàalt, alla polenta ealla puult, una polenta molle, talvoltadi farina mista gialla e bianca, cui siaggiungeva latte freddo. Ora si man-giava di più, ma si diffuse una nuovae grave malattia da ipovitaminosi -la pellagra - che colpì le zone dovela popolazioni più povera vivevadi una dieta troppo poco varia.Nel museo sono documentate attra-verso attrezzi ed immagini le variefasi della lavorazione tradizionale,dall'aratura all'erpicatura, dalla seminaalla raccolta, dalla sgranatura allaessiccazione, alla conservazione.

Il granoturco: dall’America alla tavola dei contadini

Con le donazioni di molte famiglie,il museo ha acquisito oggetti e stru-menti utilizzati, fino ad anni relati-vamente recenti, nella vigna o incantina. Due, quindi, sono le sezionie gli spazi dedicati a questa produ-zione, che viene documentata ancheattraverso immagini, interviste efilmati realizzati negli ultimi anni.La Brianza ha una vocazione vitivini-cola molto antica. In passato i viniprodotti nella nostra regione eranoestremamente apprezzati - valganoper tutti i giudizi entusiastici che nedava nei suoi versi Carlo Porta. A par-tire dalla metà dell'Ottocento tuttaviauna serie di calamità, dovute a ma-lattie giunte dall'America, si abbattésulla viticoltura brianzola, come su

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Travaso del mosto nelle bottiPouring the must - Besonda di Lecco, 1990

quella di tutta Europa: dapprimal'oidio che, a partire dal 1850, causòun gravissimo tracollo della produzio-ne. La scoperta dell'azione dello zolfocontro il parassita permise di superarela crisi; ma già alla fine degli anni'70 comparve la peronospora, un altrofungo parassita che provoca la mortedella vite. Infine la gravissima crisiprovocata dalla diffusione della fillos-sera fu superata grazie al ricorso aivitigni americani, dimostratisi resi-stenti al parassita. Fu così possibilecoltivare, da un lato, varietà di vitiamericane per la produzione direttadi uva, e dall'altro, salvare le antichevarietà europee, assai più pregiate,innestandole su vitigni americani. Giànell’Ottocento, tra i primi "produttoridiretti" ad essere importati fu il Clinton(localmente detto clinto), tuttoradiffusissimo. Oggi solo nei comuniintorno alla collina di Montevecchia,si produce vino secondo gli standardmoderni con un'attività economicaspecializzata. D'altra parte la piccolaviticoltura, praticata a livello familiarepiù per ragioni sentimentali che eco-nomiche, ha conservato, per variaspetti, metodi colturali che possiamodefinire arcaici; ciò costituisce unparticolare motivo di interessein una prospettiva etnografica.Il museo, con la documentazione ei numerosi oggetti raccolti, fornisceuna indiretta manifestazione dellapresenza e della diffusione di questaattività, che dava una risorsa impor-tante per l'alimentazione e anche perla medicina popolare, secondo con-vinzioni compendiate nel proverbioul vén el fa saanch, l'aqua la fa tremài gaamp (il vino fa sangue/l'acqua fatremare le gambe).

Dalla vigna alla cantina

I foraggi - e principalmente il fieno- sono stati tra le produzioni maggioriper quantità e più costanti nel tempo,dell'agricoltura di montagna e nellapianura irrigua, dove soprattutto ibovini hanno garantito agli allevatorie talvolta anche alle famiglie conta-dine con un maggior numero di capi,un regime alimentare migliore, graziealla disponibilità dei prodotti caseari,oltre che del concime per l'ingrassodei campi e degli animali da trainoper i lavori agricoli.In collina invece, dove prevalevanola vite, il gelso e i cereali, "scarsi visono i foraggi” (Jacini, 1856). Il be-stiame era perciò "non numeroso",sebbene "indispensabile dove si lavoracon l'aratro". La situazione della stalla,nella nostra zona, dipendeva dallaconformazione del terreno da coltivarema anche dai rapporti di proprietà.Specie in collina, infatti, il contadinonon proprietario allevava una solamucca per riuscire a vendere periodi-camente il vitello (a cui si destinavaprioritariamente il latte), che fruttavaun po' di denaro contante, mentre lefamiglie che possedevano gli animalida lavoro erano quelle con più terrada lavorare in luoghi poco scoscesi.In ogni caso - seppure in misura di-versa a seconda dei capi di bestiameallevati - la produzione del fieno eraun'attività strategica nell'economiaagricola e ad essa veniva dedicatomolto lavoro: tre 'tagli' all'anno, chesignificavano, per tre volte, operazionidi sfalcio, raccolta, essiccazione,trasporto e conservazione, affidate- fino all'introduzione delle attrezza-ture meccaniche - al duro lavoromanuale.Una sala del museo illustra, attraverso

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Carico del fieno su carroFarmers burden a wagon with hayValaperta di Casatenovo (LC), 1990

gli attrezzi impiegati, ma anche me-diante le riprese filmate, le varie fasidi questi lavori e le operazioni adesso collegate, sia secondo le tecnichetradizionali sia per mezzo di attivitàoggi meccanizzate: dalla preparazionedel prato mediante la sua concima-zione al taglio, dall'affilatura dellafalce all'essiccazione, dal trasportoalla conservazione. Ciò avveniva siaal chiuso, dove il fieno veniva pressatonel fienile, sia all'aperto, dove erainvece sistemato in un grande muc-chio di forma conica attorno ad unpalo centrale, costruito in modo chela pioggia non penetrasse, ma scivo-lasse via lungo i fianchi.La sezione della sala dedicata all'a-gricoltura che parla della fienagionesi integra con l’ambiente della stalla,dedicato all'allevamento.

La fienagione: complemento indispensabile all’allevamento

Nella società tradizionale la stallaera, con la cucina, il luogo più impor-tante della casa contadina: essa erainfatti destinata alla custodia deglianimali - bovini e equini, prima ditutto, in particolare nelle ore notturnee nel periodo invernale - ma ancheal ritrovo delle persone, alla comuni-cazione tra le generazioni e i sessi,alla educazione dei bambini, alla tra-smissione di credenze e di comporta-menti prescritti, mediante i racconti,le pratiche, la recita di preghiere.Nelle ore serali e nella stagione freddaera inoltre un luogo dove si svolge-vano alcuni lavori artigianali, sia daparte delle donne sia da parte degliuomini.

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Stampa con Sant’Antonio, sulla porta di una stallaA print on the door of a stable, representing Saint Anthony

Figina di Galbiate, 1999

L'odore che si sente in una stalla èquello del letame degli animali, untempo indispensabili nell'economiafamiliare, sia per il trasporto, sia perla produzione di alimenti - latte, burro,formaggi freschi, oltre agli insaccatidi maiale - sia, soprattutto, per ilricavato che poteva venire dalla ven-dita del vitello.L'allevamento bovino era di caratterefamiliare, con stalle piccole, in mediadue-tre bestie grosse, in proporzionealla disponibilità di foraggio ed allaforza lavoro su cui poteva contare lafamiglia contadina. Gli animali, com-prese le pecore che davano la lana,erano dunque un bene molto prezioso:perciò li si affidava alla protezione disant'Antonio abate, una figura che ipittori rappresentavano accanto almaiale ma anche vicino ad altri animalidomestici.Fino a metà del Novecento, nei mesiinvernali, si passavano le sere e partedel giorno nella stalla.I vecchi raccontavano ai bambini eagli adulti quello che era successo diinteressante, storie vere, ma anchestorielle comiche, favole magiche eleggende. I bambini erano molto at-tratti dai fatti straordinari, spessospaventosi, che parlavano di esserimostruosi, di morti, di demoni. Oppureun bravo lettore leggeva a voce altaalmanacchi o libri, che raccontavanostorie avventurose o drammatiche. Ledonne recitavano il rosario e le litaniee invitavano tutti a pregare, mentrefilavano o lavoravano la lana. Gli uo-mini, invece, preparavano attrezzi eoggetti di uso quotidiano che sarebberoserviti per tutto l'anno: scope di sag-gina, rastrelli, manici per vari utensili,zoccoli, sedie impagliate, scale.

La stalla: luogo di lavoro e di inculturazione

Il museo illustra il passaggio dallafame all'abbondanza in una vecchiacucina che, almeno in ambiente popo-lare, era considerata il locale più im-portante della casa. Attorno al focolare,e più tardi alla stufa, c'era più calore,lì si cucinava, lì le donne e i bambini- almeno nei mesi freddi - passavanola maggior parte del tempo.In questo spazio sono stati collocatimolti e diversi strumenti per la pre-parazione dei cibi, per la cottura deglialimenti, per il consumo delle pietanzee delle bevande, per la conservazionedegli avanzi, e pochi mobili per i biso-gni degli adulti e dei bambini.Ma l'allestimento interattivo proponeanche numerose interviste sui princi-pali alimenti, sui piatti più diffusi,su ciò che si mangiava nei diversimomenti della giornata e nelle variestagioni o in occasioni delle feste.Si possono anche ascoltare fiabe onovelle e canti, registrati in Brianza,che parlano di cibi, di bevande e delleoccasioni in cui si consumavano.In molte famiglie le necessità quoti-diane del lavoro impedivano spessoche si mangiasse insieme o al tavolo;si faceva colazione in campagna odove si stava lavorando, ad esempioper la fienagione e per il taglio deiboschi. Quando poi il tempo lo per-metteva, nelle case delle famiglienumerose, il pasto principale si con-sumava anche all'aperto: sotto i por-ticati o nel cortile.Le osterie, le trattorie, i ristorantierano luoghi di ritrovo per gli uomininei giorni festivi, per i coscritti, primadel servizio militare, oppure per lefamiglie in particolari occasioni comei matrimoni.Fino agli anni '50 l'alimentazione

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L'allestimento sull'alimentazione al MEABThe museum's exhibition dedicated to nutrition - Galbiate 2012

popolare nelle campagne era basatasui prodotti locali di origine vegetale(immancabili erano la polenta e leminestre), integrati dalla carne dimaiale, allevato in tutte le case con-tadine, e più raramente dalla carnedi altri animali. La varietà e la qualitàdegli alimenti disponibili dipendevacomunque dalla condizione e dalleproprietà della famiglia.Oggi siamo diventati tutti consumatorie utilizziamo quotidianamente cibidi produzione industriale. Si acquista-no alimenti in scatola e surgelati, siusufruisce di un sistema di distribu-zione che fa arrivare da tutti i conti-nenti prodotti esotici, nuovi rispettoalle tradizioni alimentari locali enazionali. L'emigrazione interna equella estera hanno inoltre introdottonuove consuetudini, nuovi cibi enuovi piatti, specie nelle famiglieformate da coniugi di diversa prove-nienza geografica.

L’alimentazione tradizionale e le sue trasformazioni

Prima della meccanizzazione e delladiffusione del benessere, che avrebberoportato all'uso anche tra le classi po-polari della bicicletta prima e dei veicolia motore poi, si impiegavano gli animalida soma e da tiro (cavalli, asini, mulie soprattutto buoi) ma più spesso siusava il proprio corpo per portare icarichi a braccia, a spalla o sul dorso.I contadini - uomini e donne - traspor-tavano ogni giorno prodotti, merci,oggetti: dai prati al fienile, dal boscoalla legnaia, dall'orto al mercato, dalmercato alla casa, dal pozzo alla cucina,dalla casa al lavatoio.A parte l'uso delle funi metalliche permandare a valle il fieno o la legna,forza animale e forza umana erano le

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Il trasporto del fieno a spallaPeasants transporting hay on their shoulders

Rossa di Galbiate, 2002

uniche forme di energia disponibiliper il lavoro contadino e, nel caso deltrasporto, il ricorso all'una o all'altradipendeva dalle condizioni economichedella famiglia, con le sue possibilitàdi allevare animali da tiro e di possedereun carro o una slitta, oltre che dallaconformazione del terreno e dalla di-stanza da percorrere.C'erano poi i professionisti del settoreche si guadagnavano da vivere traspor-tando merci e persone: il cavallante eil carrettiere, che lavoravano per ilcommercio dei prodotti, ma anche imercanti ambulanti dei generi piùdiversi che spostavano il loro bancodi vendita raggiungendo le cascineisolate, i cortili, le piazze dei paesi edelle città.Il grande dialettologo ed etnografosvizzero Paul Scheuermeier, viaggiandoper le campagne italiane negli anni'20 del Novecento, scrive : "Trasportaresignifica servire. Il padrone non effettuatrasporti: si fa portare quello di cui habisogno".Nelle famiglie contadine, infatti, tutticoloro che erano in condizioni difarlo, portavano pesi: donne, uomini,ragazzi ed anche i bambini. Eppureil trasportare, nelle classi popolari,non era considerato un'attività social-mente degradante. Anzi, l'inevitabilenecessità di caricarsi pesi è stataelaborata sul piano culturale comeoccasione per dimostrare la propriaforza e quindi il proprio ruolo premi-nente nel lavoro.

Il trasporto in campagna: un marchio di classe

Molti in Brianza hanno creduto alungo che il flauto di Pan o siringafosse uno strumento tipico o addirit-tura esclusivo della zona.In realtà la sua presenza è attestatagià nella mitologia e nella letteraturaclassica greca e romana e il suo usoè ampiamente documentato in tuttii continenti attraverso quattro tipo-logie fondamentali. In Europa, poi,lo si trova lungo una fascia geograficache partendo dalla Spagna giungealla Romania, con propaggini in Li-tuania e Russia.L'equivoco deriva probabilmente dallapresenza, cresciuta nella nostra zonadopo la Grande guerra, di gruppibandistici che ne hanno mutato ilradicamento ed il significato sociale,anche per iniziativa del fascismo,attento a sostenere i gruppi folklori-stici più o meno 'autentici', simbolodiffuso del campanilismo italiano.Lo strumento appartiene alla tipologiadei flauti e consiste in una serie dicanne di lunghezza decrescente,solitamente chiuse all'estremità infe-riore e con un unico foro nella partesuperiore, su cui vengono appoggiatele labbra del suonatore per l'insuffla-zione.In Lombardia viene indicato con ter-mini come firlinfö, fregamüsón, fit-fut, orghenìi, sìfol. Già presente inBrianza tra il XVIII e il XIX secolo,come strumento di cascina e di osteria- dapprima come solista e, in seguito,collocato in piccole bande accantoad altri strumenti musicali quali, adesempio, la chitarra, la fisarmonicao l'armonica a bocca - il firlinfö siafferma nella sua dimensione orche-strale a partire dalla fine Ottocento.La costituzione e la diffusione nella

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Angelo Sirico, nel suo laboratorioThe artisan Angelo Sirico in his workshopMandello del Lario (LC) 1991

Brianza lecchese dei gruppi folcloristicidi firlinfö, si verificano a partire daglianni '20 e '30 del Novecento, sottola spinta della Opera Nazionale Dopo-lavoro, l'organizzazione fascista deltempo libero alla quale molte di questeformazioni hanno aderito, cui è su-bentrata l'ENAL, negli anni del dopo-guerra. Oggi i gruppi folcloristici difirlinfö sono presenti nelle provincedi Bergamo, Milano, Como e Lecco,ma vivono in diversi casi la difficoltàdi reclutare giovani suonatori.Il museo è in grado di illustrare le tec-niche costruttive di questi flauti permezzo dei manufatti, delle informazionifornite da costruttori e suonatori, oltreche grazie ad un documentario dedicatoad Angelo Sirico, suonatore e costrut-tore, mandellese di adozione. Sonoinoltre presentate la struttura degliorganici bandistici e il ruolo dei maestri,nonché le modalità esecutive con cuii repertori vengono interpretati.

Il flauto di Pan: strumento arcaico, strumento del mondo

Una sezione staccata del museo, de-dicata a queste attività si trova inquello che è stato il roccolo di CostaPerla, sulla strada che dal paese diGalbiate porta all'eremo del MonteBarro. Vietata l'uccellagione in Lom-bardia, il Parco - già nel 1988 - haacquistato l'ex roccolo posto in unaposizione panoramica di grande bel-lezza, dove dal 1990 ha sede un os-servatorio ornitologico che funzionastagionalmente come stazione di cat-tura per finalità di studio delle migra-zioni degli uccelli.La caccia e l'uccellagione (o aucupio)in passato hanno avuto una notevoleimportanza dal momento che il con-sumo della carne di animali allevatiera meno frequente e meno comunedi quanto non lo sia oggi. Si mangiavaperò più spesso la selvaggina, che eraa disposizione di tutti coloro cheavevano i mezzi per acquistare fucilee munizioni.

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Visita guida alla sezione del MEAB sulla cacciaA visit to the museum's section dedicated to hunting

Galbiate 2011

Il roccolo e la bresciana, invece, appar-tenevano a proprietari benestanti oad enti religiosi: erano infatti deicomplessi impianti arborei, che richie-devano cure e pulizia continue, rea-lizzati artificialmente attorno a deiprati circoscritti, collocati nelle zonedi collina o di montagna dove si veri-ficavano i passaggi stagionali degliuccelli migratori.Qui - da agosto a dicembre - si sten-devano verticalmente delle reti ma-scherate dalla vegetazione apposita-mente predisposta, mentre degli uccellivivi, tenuti in gabbia o legati comezimbelli, richiamavano, con il lorocanto e con i loro movimenti, i lorosimili, al momento del transito. Neiprati che costituivano il roccolo sipiantavano anche degli alberi sceltiper le loro bacche o i loro frutti, cheattiravano particolari specie di uccellida catturare. Le prede di questa attivitàerano destinate, come quelle dellacaccia, al consumo alimentare; mapiù spesso, gli uccelli irretiti eranovenduti come uccelli vivi da richiamoper la caccia al capanno.La sezione del museo propone, nelcasello di quello che un tempo erauna bresciana e attorno ad esso, unaserie di pannelli che illustrano questeattività, oggi quasi dimenticate. Ilvisitatore può ascoltare il canto dellediverse specie di uccelli e osservaresvariati oggetti sconosciuti a molti:spauracchi intrecciati, reti usate nelroccolo, gabbie di forme e dimensionidifferenti con specifiche funzioni, stru-menti per la caccia come lo specchiettoper le allodole, archetti che i ragazziimparavano a farsi da sé, trappole diferro per la cattura degli animali dapelliccia, comprese le talpe.

La caccia e l’uccellagione:necessità e divertimento di un’epoca passata

Uno spazio strategicamente importan-te del museo è dedicato a GiuseppePanzeri, primo presidente del ParcoMonte Barro. Lì si svolgono le mostretemporanee su temi diversi da quelligià presentati negli allestimenti dilungo periodo.La prima, nel 2005, è stata dedicataa La devozione per la "Madonna delLatte" in Brianza, nel Lecchese e nelTriangolo Lariano, curata Natale Pere-go. Essa trattava di una pratica anti-chissima, trasformatasi nel tempo,che nelle società preindustriali haavuto un'importanza vitale a tuteladella prole. Nel 2006 sono stati espostidocumenti e opere di Giovanni Piazza- scalpellino, scultore e pittore siro-nese, autore di una preziosa autobio-grafia, curata da Rosalba Negri - inuna mostra dal titolo Il 'secolo lungo':vita quotidiana e grande storia nellescritture popolari.L'anno successivo si sono illustrateL'uccellagione e la caccia nella tradi-zione dell'alta Brianza, in preparazionedella sezione staccata del museo,aperta poi al roccolo di Costa Perla.Nel 2008 il MEAB ha ospitato l'impor-tante e suggestiva mostra itineranteImpressioni di viaggio. La ricerca lin-guistica ed etnografica di Paul Scheuer-meier, 1920-1932, curata dall'Archiviodi Etnografia e Storia Sociale (AESS)della Regione Lombardia.Nel 2009 è stata la volta degli oggettie dei documenti raccolti sotto il titoloSaperi femminili: ambienti, oggetti epratiche, sulla donna delle classi po-polari nella tradizione della Brianza,per la cura di Rosalba Negri e MassimoPirovano.L'anno seguente il museo ha propostola mostra Donna moderna. La vita

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La mostra “Saperi femminili” al MEABThe exhibit about women's traditional knowledge, at the museumGalbiate, 2010

quotidiana attraverso gli apparecchielettrici di uso domestico, a cura diMassimo Pirovano e Aldo Tentori,collezionista galbiatese che con lasua raccolta ha permesso al museo disviluppare la ricerca sui moltepliciruoli che le donne hanno avuto ehanno nella società.Nel 2012 si è proposto il tema degliusi profani per le nozze, con la mostraOggi sposi. Teli effimeri e riti profaniper il matrimonio tra presente e pas-sato, a cura di Massimo Pirovano, conla collaborazione di Rosalba Negri. Aquesta esposizione è seguita quelladal titolo Alfonso Panzeri, maniscalco,curata da Italo Sordi con la collabo-razione di Cristina Melazzi, dedicataad una professione fondamentale perl'economia e la società tradizionali.Altre mostre temporanee del MEABsono state allestite in diverse localitàitaliane in occasione di particolarimanifestazioni.

Le mostre: nuove ricerche oltre gli allestimenti

La sala conferenze del museo è dedi-cata a Roberto Leydi, fondatore dellaetnomusicologia italiana e ricercatoreche ha dato contributi essenziali allaricerca sulla musica popolare, anchein Brianza e nel Lecchese. Lo spazioviene inoltre considerato come la saladei beni immateriali e del dialogoantropologico. Qui infatti si proiettanofilmati, si ascoltano racconti e musi-che, si osservano fotografie: tuttisupporti che permettono di fissare edi analizzare quei beni culturali cheAlberto Mario Cirese definiva "volatili"e che la ricerca etnografica raccogliee studia con particolare attenzione,per la loro precarietà e per la loroimportanza: gesti rituali, tecnicheproduttive o terapeutiche, espressioninarrative o canore, modi di parlare odi muoversi, pratiche che rimandanoa conoscenze e a credenze.E come avviene il dialogo antropolo-gico, qui? Negli incontri che il museo

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La presentazione di un libro e di un film nella sala LeydiThe launch of a book and a movie, room Leydi

Galbiate, 2008

propone, tra persone portatrici diesperienze e di culture diverse, sirealizza davanti al pubblico una si-tuazione simile a quella dell’intervistadell'etnoantropologo, che vuole cono-scere e cercare di capire le vite dialtri uomini.Qui prosegue il dialogo che nasce conla ricerca, nei luoghi dove vivono elavorano il pescatore, il cantore, ilcampanaro, il cacciatore, la narratricedi favole, il contadino, l'operaio. Dadieci anni, il museo propone annual-mente questi incontri raccogliendolisotto il titolo Voci e gesti della tradi-zione, declinato dal 2011 al plurale.La ricerca in profondità, infatti, mostrache non esiste una tradizione isolatadalle altre, come non esistono leculture diverse e separate. Esistonole donne e gli uomini, oltre che leidee e le abitudini, che si muovononello spazio per le più varie ragioni.Così le tradizioni si incontrano e simodificano 'contaminandosi'.Questa rassegna, poi, offre l'occasioneper riflettere sulle varie culture equindi anche sulla nostra, ospitandoantropologi, storici, linguisti, museo-logi, che illustrano le loro ricerche eragionano con il pubblico sugli aspettiche distinguono gli uomini, ma anchesu quelli che li unificano.

La sala del dialogo antropologico:luogo di incontri e di confronti

Il MEAB, grazie ad un gruppo dipersone con un comune interesse perl'etnografia e la sua divulgazione, haelaborato negli anni una serie diproposte formative. Si tratta di per-corsi didattici rivolti prevalentementeai bambini e ai ragazzi delle scuole- da quella per l'infanzia alla superioredi secondo grado - pensati per farconoscere e comprendere alcuni aspet-ti della vita quotidiana della 'gentecomune' della Brianza collinare in unpassato che, seppure non ancoraremoto, appare sempre più distantedalle esperienze delle nuove genera-zioni. Per questo essi si configuranocome una visita di 'scoperta' delmuseo, integrata con attività di la-boratorio. Situazioni in cui si apprendeattraverso la partecipazione attivafatta di dialogo e confronto con laguida, di materiali e oggetti da toccaree manipolare, di operazioni da speri-mentare concretamente, di occasionidi riflessione attraverso esperienzedirette.Più in generale, va ricordato cheun'istituzione votata alla educazionepermanente ha il compito di proporre- superando la nostalgia dei più an-ziani e l'incredulità dei giovani - unconfronto tra presente e passato ocomunque tra pratiche, abitudini econvinzioni diverse anche del nostrovivere attuale. Confronto che sollecitiil visitatore a chiedersi il perché deicomportamenti umani, così come fal'antropologo che vuole capire invecedi giudicare: atteggiamento, questo,basilare per una convivenza pacifica.Nel concreto, le proposte didattichesono il risultato di una mediazionetra l'esposizione museale, frutto del-la ricerca etno-antropologica, e l'ap-

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Piccoli visitatori nella sezione del flauto di PanYoung visitors in the section of the flute of PanGalbiate, 2006

plicazione di un metodo di lavoro ilpiù possibile partecipato e coinvol-gente.Così, i percorsi Che cosa ne vuoi fare?- Al museo con Pagliò - Giocare conpoco, attraverso l'osservazione e lamanipolazione, focalizzano l'atten-zione sugli oggetti - centrali nellostudio dei saperi delle classi popolari- per comprenderne caratteristiche euso, e propongono la realizzazionedi semplici manufatti con materialidi recupero.Al museo con un nonno - Al museodelle voci permettono l'incontro coni testimoni della tradizione e invitanoall'analisi di documenti sonori di variotipo - racconti, spiegazioni, storie,fiabe, canti - con l'intento di favorirel'approccio al dialetto e far compren-dere l'importanza dell'oralità nel dia-logo tra le generazioni. Sempre inquesto ambito, il canto e la musicasono sviluppati nei laboratori Con

Dalla ricerca alle proposte educative

mani sapienti: il flauto di Pan: visitaalla sala del museo che documentala diffusione e le occasioni di uso diquesto particolare flauto con ascoltodi brani musicali e osservazione delcostruttore che realizza lo strumento;Canta che ti passa... O forse no: ri-flessione sulla funzione del canto'autoprodotto' e avvicinamento allapratica canora con l'ascolto e l'ap-prendimento di canti diffusi nellaBrianza rurale e proto-industriale.Al metodo e agli strumenti della ri-cerca etnografica - finalizzata allaconoscenza della vita (consuetudini,forme di socialità e ritualità, menta-lità) delle classi popolari nel Nove-cento - sono dedicati i percorsi Tuttaun'altra vita e Storici per un giorno.Integrando la visita ad alcuni ambientidel museo con l'uso di strumenti mul-timediali e con l'attività pratica siapprofondiscono alcuni temi specifici.La proposta Sul filo di lana riguarda

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Un momento del laboratorio sulla lanaThe training course on the wool production

Galbiate, 2009

l'allevamento ovino in Brianza e lalavorazione della lana: dalla cardaturaalla filatura, fino alla tessitura, spe-rimentate con attrezzi d'epoca. Ilgranoturco: dalla terra alla tavolapermette di conoscere la produzionee la trasformazione di questo cereale,base alimentare della Brianza conta-dina. Anche il percorso Mangia 'staminestra, che si sviluppa soprattuttotra gli utensili e gli arredi della cucinadi una volta, focalizza l'attenzionesull'alimentazione tradizionale, dandoinformazioni sulla preparazione e sulconsumo del cibo non solo in ambitofamiliare.Un'organizzazione più articolata hannoi seguenti percorsi. Di passo in passo:dal museo al roccolo: una camminatanel Parco dall'antico borgo di Campo-reso alla suggestiva località di CostaPerla per visitare sia la sede centraledel MEAB sia la sua sezione staccata,dedicata alla caccia e all'uccellagione,posta in un ex roccolo recuperatocome stazione ornitologica.La terra del Barro è un progetto di-dattico, che prevede la coltivazionedi cereali presso le scuole e un'attivitàdi educazione scientifica presso ilmuseo sulla insostenibilità dei nostriconsumi alimentari e sulla necessitàdi un ritorno al rapporto con la terra,anche attraverso la conoscenza dell'a-gricoltura tradizionale del nostroterritorio.Le proposte del museo sono presen-tate anche in un filmato dal titoloImparare al museo. I laboratori perle scuole al MEAB, realizzato nel2011, della durata di 25'.

La nascita del MEAB ha rappresentatoun'occasione favorevole per investirerisorse in una serie di indagini chehanno prodotto dei filmati, usati sianegli allestimenti sia per realizzaredocumentari e audiovisivi con una loroautonomia. Da un lato le riprese effet-tuate sul campo servono per illustrare,attraverso brevi sequenze, visibili inalcuni monitor presenti negli ambientidel museo, i gesti specifici di certilavori e delle occupazioni della vitaquotidiana, in modo da "ristabilire illegame tra gli oggetti esposti nelmuseo e le loro modalità di impiego"(Italo Sordi). Dall'altro, sono statiprodotti dei documentari che svolgono,grazie ad un lavoro più complesso diricerca e in un tempo più lungo, undiscorso più ampio e organico su temispecifici, nella prospettiva di un siste-matico programma di etnografia visiva,che risulta efficace nel suo ruolo di-vulgativo. Il visitatore che ha un po'di tempo, quindi, può chiedere divedere al museo i documentari che gliinteressano, alcuni dei quali sonoanche acquistabili.Bolis G., De Battista A., Pirovano M.,Larius olei ferax. L'olivicoltura tradizionalenel territorio lecchese (2002) - 30’Bolis G., De Battista A., Sordi I., I saperidel bosco (2005) - 30’Bolis G., Melazzi C. e Pirovano M., FiorinoLosa burattinaio (2005) - 29’Bolis G., Pirovano M., Il lavoro dei pescatori(1998) - 37’Bolis G., Pirovano M., Le patate di Annone,Testimonianze e pratiche di una societàcambiata (2007) - 40’Bolis G., Pirovano M., "La pecora è d'oro".L'allevamento ovino in Brianza ieri e oggi(2002) - 30’Bolis G., Pirovano M., Mélga e lìsca. L'arti-

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Riprese per il documentario sull’uccellagioneFilming for the documentary on bird catching - Galbiate, 2007

gianato povero ai margini dell'agricoltura(1999) - 20’Bolis G., Sordi I., Ul cavagnén - Il cestaio(2000) - 27’Bolis G., Sordi I., La vite e il vino: tecnichedella tradizione (2002) - 28’Negri R., Pirovano M., Saperi femminili(2009) - 29’Negri R., Pirovano M., Tutta un'altra vita.L'infanzia di ieri raccontata da due testi-moni del museo (2008) - 34’Pirovano M., Angelo Sirico, costruttore diflauti, etnografo per caso (2008) - 50’Pirovano M., Oggi sposi. Teli effimeri e ritiprofani per il matrimonio tra presente epassato (2012) - 31’Pirovano M., Bolis G., Il racconto delpescatore: testimonianze per un museosulla pesca (2011) - 53’Pirovano M., Bolis G., Romeo Riva, testi-mone della tradizione (2007) - 17’Pirovano M., Bolis G., Storie di caccia(2007) - 60’Pirovano M., Bolis G., L'ultimo roccolatore(2007) - 45’

Per saperne di più: documentari da vedere, dentro la visita

Un museo non è solo una collezionedi oggetti; infatti nasce da un lavorodi ricerca lungo e complesso, testimo-niato anche dalle etnografie, scritte,sonore o filmate che presentano alcuniaspetti della cultura studiata. Il book-shop del MEAB con la sua ricca propostadi titoli permette al visitatore di ap-profondire la conoscenza di moltetematiche che sono state indagate davari studiosi e che hanno portato allapubblicazione di libri, cd musicali, film.Si tratta di opere pubblicate in colla-borazione con altri editori, con am-ministrazioni pubbliche o con altrimusei, ma anche di una collana, iQuaderni di etnografia, che il nostromuseo ha avviato con la sua inaugu-razione come strumento di divulga-zione scientifica e di promozione

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Il bookshop del museo. The bookshop - Galbiate 2010

culturale. La serie dei volumi proponericerche originali, documenti di par-ticolare rilievo, saggi di analisi e diconfronto sui temi e sui problemiteorici dell'etnografia e delle disciplinelimitrofe.Due volumi derivano da altrettanticonvegni ospitati dal museo: Oggetti,segni contesti. Ricerche e prospettivedi un museo etnografico, a cura di M.Pirovano (QdE 1, MEAB, Galbiate 2004)e Dal 'campo' al museo. Esperienze ebuone pratiche nei musei etnograficilombardi, a cura di M. Pirovano, QdE5 MEAB, Galbiate 2009.Nella collana, poi, figurano Campanee campanari in Brianza, di F. Motta,(con cd audio) (QdE 2, MEAB, Galbiate2005); Te disaró quèst. Vita quotidianae grande storia in un'autobiografiapopolare, di G. Piazza, a cura di R.Negri (con cd video) (QdE 3, MEAB,Galbiate 2006); Il flauto di Pan. Espe-rienze di un costruttore, di A. Sirico,a cura di G. Foti (con un film in dvd:Angelo Sirico: costruttore di flauti,etnografo per caso), QdE 4 MEAB,Galbiate 2008.In collaborazione con l'Accademia diSanta Cecilia il MEAB ha promossol'edizione di Musiche tradizionali inBrianza. Le registrazioni di AntoninoUccello (1959, 1961), a cura di R. Va-lota, Squilibri, Roma 2011.Con la rete Rebèl, inoltre il museo hacollaborato alla pubblicazione di duevolumi: Conservazione e restauro neimusei etnografici lombardi, a cura diF. Merisi, Museo del Lino, Pescaroloed Uniti (Cr) 2011 e Il cibo e gli uomini.L'alimentazione nelle collezioni etno-grafiche lombarde, a cura di L. Marianie M. Pirovano, REBEL - Parco MonteBarro - MEAB, Galbiate 2012.

Per saperne di più: libri da leggere, oltre la visita

Chi è nato in Italia ai tempi dellaradio ed è cresciuto con la televisione,ricorderà questa famosa frase di Nun-zio Filogamo, conduttore di moltiprogrammi tra cui il Festival di San-remo. Pare che il saluto, con cuiquesto uomo colto di spettacolo sirivolgeva al pubblico, sia nato in unatrasmissione radiofonica degli anni1950-52, dal titolo Il microfono èvostro, che potrebbe sembrare unoslogan simbolico buono per il lavorodegli etnoantropologi.Del resto ogni museo è certamenteuno strumento di comunicazione cheaspira, a volte vanamente, a diventarepopolare, come la radio e come la tv- magari con l'ausilio della rete.Ma gli amici, vicini e lontani, che quivogliamo ricordare anche se non in-dividualmente, sono quelli che, indieci anni di vita del museo, hannopermesso al MEAB di nascere, di cre-scere e di realizzare la proprio attivitàcon varie forme di sostegno: amici ecollaboratori che ci hanno dato risorseeconomiche, tempo, lavoro, conoscen-ze, competenze e abilità, ma ancheidee e consigli.Pensiamo in primo luogo agli ammi-nistratori del Parco, che hanno credutofattivamente nella missione del MEAB,agli impiegati e agli addetti che sisono trovati a lavorare per due museicresciuti un po' inaspettatamente inun parco naturalistico; ai ricercatori,agli studiosi e ai tecnici che hannodato sostanza al museo e ne hannoarricchito le proposte comunicative;ai molti amministratori e ai funzionaripubblici che hanno sostenuto speci-fiche fasi o particolari progetti delmuseo: dalla Regione Lombardia alleProvince, con quella di Lecco in prima

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Studiosi a convegno per l’inaugurazione del MEABScholars in a round table during the museum's openingSala di Galbiate, 2003

fila, dalla Comunità Montana del LarioOrientale e della Valle San Martino alSistema Museale della Provincia diLecco ai singoli Comuni della nostrazona, che sono stati partner del MEABper ricerche, libri o documentari.Un significato particolare ha avuto lacreazione, da noi sollecitata, dellaRete dei Beni e dei Musei EtnograficiLombardi (Rebèl), di cui il nostromuseo è capofila, che ha realizzatoconvegni e pubblicazioni e che lavoraper consolidare la ricerca, lo studio ela divulgazione in maniera coordinata.La Rete dispone di un sito che nepresenta l'attività: http://rebel.lombar-dia.it/E poi ci sono altri musei o istituti diricerca in Italia e all'estero con cui ilMEAB coltiva collaborazioni preziose,da San Michele all'Adige a Grenoble,da Cesio Maggiore a Palazzolo Acreide,da Santarcangelo di Romagna a Nuoro,da Gemona del Friuli a Bellinzona,

Cari amici vicini e lontani

senza dimenticare l'importante fun-zione svolta dal Comitato Scientifico,che valida periodicamente l’attivitàdel museo.Ultima ma non certo per importanza,va ricordata l'Associazione degli "Amicidel Museo Etnografico dell'Alta Brian-za". Prima della apertura del museosi era formato spontaneamente ungruppo di persone, costituito da do-natori, testimoni, insegnanti, pensio-nati con varie professioni alle spalle,che hanno lavorato con gli esperti ei tecnici per preparare il museo. Oggiesiste un’associazione che si occupadell'apertura al pubblico, della custo-dia del museo e che svolge un serviziodi guida, tanto più interessante perchéaggiunge elementi di originalità allavisita, a seconda delle esperienze divita, delle conoscenze e delle sensi-bilità delle singole guide. Gli Amicidel MEAB, inoltre, provvedono allaospitalità, quando si propongono in-

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Gli Amici del MEAB in visita al museo di Stabio (Svizzera)Members of the Association of Friends of MEAB visiting

a museum in Stabio (Swiss) - 2007

contri, conferenze e convegni, e tradi loro ci sono gli interessati alla di-dattica che formano il Gruppo scuola.

Tra gli amici del museo, possiamoricordare anche i colleghi che dirigonoe lavorano negli istituti dove gli Amicidel MEAB hanno compiuto le lorovisite e le loro gite culturali, perscambiare esperienze utili sulle va-rie attività che i musei etnoantropo-logici svolgono quotidianamente.Forse meno consapevole del ruolopositivo che hanno svolto nei con-fronti della missione e del lavoro delMEAB, sono stati i promotori e igiurati dei premi che negli anni hannogratificato i nostri ricercatori conriconoscimenti importanti, che han-no incoraggiato gli autori e il MEABche li sostiene a proseguire in unlavoro ritenuto di buona qualità.Diverse persone, infatti, per le lorocollaborazioni con il MEAB e per larealizzazione di filmati, cd musicalie libri, sono stati premiati o segnalati,anche a più riprese, al Premio Cittàdi Palermo Pitré - Salomone Marino,al Premio "Costantino Nigra", al Pre-mio "Giovi" Città di Salerno, al Premiodell'Archivio Diaristico Nazionale diPieve Santo Stefano, al Premio "Storiae storie della Brianza".

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Fiorino Losa, burattinaioFiorino Losa, puppeteer - Lecco, 1983

Ethnograpic Museum of High Brianza

The Ethnographic Museum of HighBrianza is a centre where research,exhibitions, lifelong learning andsocial participation join together. Itexists thanks to the will of the admi-nistrators of the local Park MountBarro (Parco Monte Barro), who ma-nages it within its territory.It is an ethnographic museum: theresearches here fostered are conductedthrough the application of methodsand techniques of cultural anthropo-logy. These are based on the relationresearchers create with subjects be-longing to different cultural worlds:farmers, workmen, fishermen, hunters,spinsters, housewives, cooks,whosedaily life is studied and interviewedonce got familiar with them. Past,here, is a source of interest for boththe researcher and the visitor: customsand traditions help us comparing,explaining and comprehending"other" cultures.The museum is dedicated to thedaily life of women and men wholived in the hills of Brianza, and tothe populations still present here.The settings show jobs, customs,traditions, knowledge and beliefs -ancient or more recent - of this terri-tory.Open since 2003 in the hamlet ofCamporeso, the museum took theplace of a group of houses and workenvironments, such as the stables,formerly occupied by peasant familiesuntil the last twenty years of 20th

century. The building can be reachedfrom the old town centre of Galbiateafter a brief route through fields,woods and the wonderful sight ofAnnone Lake. Giuseppe Panzeri, foun-der and first president of the Park,

chose this site for the museum be-cause Camporeso clearly exemplifiesthe economy, social structure andpopular culture of High Brianza. Itsfields were cultivated with grapevinesand mulberry; peasants often workedwith the only help of their hands.Other products were grain, hay forthe animals, fruit and vegetables.

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Inside the museum

Il canto delle sorelle Panzeri a cui il museo ha dedicato un CDSisters Panzeri, singing a folk song recorded on a Museum’s CD

Galbiate (LC), 2007

The different sections of the museumhouse work instruments and objectsof everyday life; interactive multimediadevices display pictures, sounds andvoices of people telling stories orsinging popular songs.The exhibitions space, dedicated tothe memory of Giuseppe Panzeri,regularly analyzes new research topics:religious beliefs, rites and practices,modes and techniques of production,forms of artistic expression, ages oflife, social relations and roles.The room of intangibile heritageand anthropological dialogue, dedica-ted to the ethno-musicologist RobertoLeydi, has a crucial role for the mu-seum. Here there are no exhibitions,while photographs, sound recordingse clips reproduce people's gesturesand expressions. Many documentariesproduced by the museum are screened;they focus on different aspects of thelocal culture of Brianza and the lake

of Como: fishing, hunting, sheepfarming, viticulture, forestry, puppetshows, and many others. This is alsothe place where to hold conferences,meetings with the locals, round tables,training courses and debates over theresearches. These events show howanthropology is based on the relationsoccurring when people meet togetherto understand each other.The visits to the museum are sustainedby the volunteer guides belongingto Associazione Amici del MEAB(Association of the friends of themuseum), who manage the openingtimes, welcome tourists and school-children, and support many of theactivities organized by the institution.This is a museum of the contempo-rary, that assumes a meaning forthose who arrive here and for thosewho participate in its cultural mission.Such an institution intends to be asocietal museum, not only becauseit values the local cultural heritage,but also because it stimulates theparticipation of significant parts ofthe community.The museum of voices and gesturesof the protagonists of local life is aspace where different habits can meet.With its mission of a lifelong learning,it has the aim of providing the oppor-tunity for a reflection over our cultureand society, with all their changesand complexities, so that we canabandon the mythological image ofan idyllic past.In the bookshop, visitors can findmany books that help building adeeper knowledge about the topicsstudied by the researches.

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The sections of the museum

La processione per sant'Antonio abateA religious procession during the festivity of Saint AnthonyBrivio (LC), 1983

The largest room is dedicated totraditional agriculture, activity thatensured the sustenance of peoplealong many centuries. Between 18th

and 20th century mulberry tree, hay,grain, grapevine and cattle rearingwere the main products of High Brian-za. Until the industrialization, theyinfluenced modes and techniques ofproduction, the contractual forms,the mechanisms of land ownershipand its transmission. Furthermore,these products determined the condi-tions of a work often conducted withthe only help of human strength. Thefields were cultivated by women, menand children, according to a socialpractice which was not based onsalary but needed the work of theentire household.Until 1950s, women were primarilydesignated to the activity of sericul-ture. It relied on the intensive culti-vation of mulberry, because the si-lkworm feeds exclusively on its leaves.Peasants used to say that "the mul-berry shadow is a golden shadow",as the saying goes, because withoutdiseases of the worms or mulberries,a vital profit for the household couldbe gained. In order to avoid thesewoes, devotion to our Lady and theBlessed Jacob was widespread, asother and more antique religious rites.Among the products of the ground,sweet corn had a fundamental impor-tance for centuries. It came to Europefrom America; initially used as anornamental plant, from 18th centuryit become essential in peasant's diet.Corn flour was used to produce twobasic dishes: bread and polenta (cor-nmeal mush).Viticulture was very important, too.

The wine extracted from local grape-vines reached a good quality and wasmarketed until the first half of 19th

century, when a series of plant dise-ases caused a crash of the production.After then, local wines continued tobe present in peasants' homes despiteof their bad quality and low level ofalcohol, because they were an ener-getic beverage sustaining a humblediet. The different stages of wine-making were accompanied by joyouschants sung by all the workers. Songswere frequent during many socialsituations, such as marriages or par-ties in the taverns, spaces reservedonly to men.Haymaking has a crucial importance

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Rosa Scaccabarozzi, filatriceRosa Scaccabarozzi, spinster

Biglio di Valgreghentino (LC), 1994

for the fostering of horses and cattle.Equines were utilized as pack animals,while the seconds were dairy animals.In the hills, fostering was often limitedto a few items; this for two reasons.The unpracticable soil forced peasantsto work with manual tools; the rulespertaining land ownership and thecomposition of the families restrictedthe range of the fields destined topasture and hay cutting. Accordingto many informants, still up to mid-19th century the milk was destined tobreed the only calf for sale and wasrarely utilized for the dairy foodsconsumed by the household.The stable was often a little buildingwhere big animals could find shelter.

Thanks to the warmth animals produ-ced, in the winter months it was avenue for assemblies and eveningmeetings. In the cold season, whenthe work in the fields was lacking,stables turned into "workshops" wheremen created wooden objects such asrakes, handles, ladders, chairs, basketsand clogs, and women were busy withspinning, stitching and sewing. Chil-dren played and listened to the storiesand prayers adults and old men star-red. Interactions amongst Youngsterswere supervised by parents and adults.The stable, thus, can be thought ofas a place of both work and sociali-zation.One section of the museum is dedi-cated to traditional diet and itschanges, seen through the objects ofdaily life hosted in the kitchens ofBrianza; useful tools for the cookingof dishes, vegetables and animals,and for the preservation of the food.Paintings, pictures, chants and storiestell about cooking and nutrition;filmed interviews explain variousaspects of this diet. Here you canlearn about daily dishes and specialmeals, but also seasonal and annualfoods, and see how they were linkedto class stratification. In this section,visitors can also understand the recentchanges that made us food consumersdepending on the offer made by in-dustry and influenced by the meltingpot between different cultural habitsand customs.The museum's open space, exposedto the village of Camporeso, tellsabout the means of transport that,especially in the countryside, markedthe class organization. Owning a packanimal was an advantage over who

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Aldo Mandelli, pescatoreAldo Mandelli, fisherman - Brivio (LC), 1998

carried the products only on his shoul-ders or hands. Landowners and intel-lectuals did not carry anything. Pea-sant families instructed children onhow to manually transport the pro-ducts, according to age and genre.Between the lower classes, carryingbigger weights was a point of prideand honour.Boys learned also some hunting te-chniques, such as the building ofsimple traps for capturing small birds.The gun would have come with age,depending on the resources of thefamily, because the munitions wereexpensive. Hunting, however, was ameans by which families could enricha poor diet. The museum talks aboutthis activity in its separate branchthat, in the past, was known as thestationing (roccolo) of Costa Perla.Here people were occupied in birdcatching, which consisted in usingbig nets to capture migratory birdsattracted by food or bird calls. Theroccolo was a complex, expensivewooden structure owned by the gentryor by professional hunters.The flute of Pan (flauto di Pan), amusical instrument which is knownin Brianza since from mid-18th centuryand was played in the farmsteads,was gradually integrated in the mu-sical bands and, especially from1930s, it become a symbol of thelocal traditions. Thanks to the abilityof the few wood artisans left, nowa-days the musicians can exhibit intheir traditional dresses during localparties and leisure time, and in na-tional and international folklore fe-stivals, as well.

The museum offers tutorials and edu-cational experiences, thought for kidsand boys from kindergarten to highschool, that help knowing aspects ofthe daily life of Brianza people. Theycan let children find aspects of a pastwhich is increasingly perceived asdifferent by the new generations. Forthis reason, the educational coursesinclude both the "discovery" of themuseum and manual activities. Chil-dren can learn through participation,communication with the guides, han-dling of different objects and mate-rials, reflection over concrete expe-riences.What you wanna do? At the museum

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Pina Spreafico, guaritrice popolarePina Spreafico, folk healer

Imbérido di Oggiono (LC), 1991

with Pagliò and Playing with fewthings are three activities wherecareful observation and the creationof simple objects made with recyclablematerials are at the heart.At the museum with Grandpa, andAt the museum of the voices letvisitors meet the witnesses of localtraditions and encourage the analysisof different kinds of sound materials.With skilled hands: the flute of Panis organized around the listening ofsongs and the observation of anartisan realizing the musical instru-ment. Whistle a happy tune proposesa first training in the art of singing.Another life and Historians for oneday are dedicated to apprehend themethods and instruments of ethno-graphic research.By integrating the visit to the museumwith multimedia devices and practicalactivities, it became possible to dee-pen the knowledge of specific aspectsof local life, such as sheep rearingand wool production (On the woollenyarn), cultivation and transformationof the grain, which was essential forthe rural Brianza (The grain fromthe ground to the table), food con-sumption and its changes throughthe centuries (Eat that soup!). Morecomplex are two courses: Step bystep: from the musem to the roccolo,which accompanies the visitors tothe separate branch of Costa Perladedicated to bird catching, and Theland of Barro, which includes thecultivation of grain around the schoolsand a scientific training at the mu-seum focused on the problem of susta-inability of our food consump.

From the research to the educational experiences

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Info

Museo Etnografico dell’Alta Brianzaloc. Camporeso - 23851 Galbiate (LC)Tel. (39) 0341 240193fax (39) 0341 240216e-mail: [email protected]://meab.parcobarro.it

Orari d’aperturamartedì/mercoledì/venerdì: 9.30-12.30sabato/domenica: 9.00-12.30 / 14.00-18.00Chiuso lunedì e giovedì

Biglietto d’ingressoIntero Euro 2ridotto Euro 1

Come arrivare al museoin auto: dalla Superstrada Milano-Lecco,uscita Civate-Oggiono seguendo le indicazio-ni per Galbiate

in treno e a piedi: sulla Linea FS Milano-Monza-Molteno-Lecco, stazione di Sala alBarro con una passeggiata panoramica di40 minuti

Per informazioni,visite guidate e laboratori didatticiTel (39) 0341 542266fax (39) 0341 [email protected]://meab.parcobarro.it

Sala conferenze e proiezioni, bookshop

Museo Etnografico dell’Alta BrianzaCamporeso - 23851 Galbiate (LC)Tel. (39) 0341 240193fax (39) 0341 240216e-mail: [email protected]://meab.parcobarro.it

Opening timesTuesday/Wednesday/Friday: 9.30-12.30Saturday/Sunday: 9.00-12.30 / 14.00-18.00Closed Monday and Thursady

TicketWhole Euro 2Reduced Euro 1

How to get to museumby car: from the Milano-Lecco highway, exitCivate-Oggiono, follow the directions toGalbiate

by train and on foot: take the Milano-Monza-Molteno-Lecco railway, get off at Sala alBarro-Galbiate station; then a forty minutespanoramic walk

For informations,guided visits and teaching workshopsTel (39) 0341 542266fax (39) 0341 [email protected]://meab.parcobarro.it

Conference room and projector, bookshop

I giardini di Villa Bertarelli

Panorama dalla vetta del Barro

Una sala del MEAB

Una sala del MAB

Codibugnolo appena inanellato

Produzione di orchidee

PANORAMI E SENTIERISPETTACOLARI

Il Monte Barro è una sortadi balcone panoramico aperto

a 360° sul territoriocircostante costellatodi monti e di laghi

TRADIZIONIMuseo Etnografico dell’Alta Brianza

(MEAB) a Camporeso.Documenta e studia la vita quotidianadi chi è vissuto e vive in Brianza

ANTICHITÀ MEDIEVALIMuseo Archeologico del Barro (MAB)

all’Eremo e ai Piani di Barra.Documenta il più grande

insediamento di epoca gota scopertoin Italia (V-VI sec. d.C.)

AVIFAUNACON LE SUE MIGRAZIONI

Stazione ornitologica sperimentaledella Regione Lombardia a CostaPerla, con una sezione del MEAB

sulla caccia e l’uccellagionetradizionale

BIODIVERSITÀCentro Flora Autoctona (CFA) dellaRegione Lombardia a Villa Bertarelli.

Un centro per lo studioe la tutela della flora e della

biodiversità vegetale

Il Monte Barro

Panorama dal Barro verso Lecco

Camporeso – Sede del MEAB

Piani di Barra – Parco archeologico

Costa Perla - Interno del Roccolo

Peonia del Barro

Il Parco delMonte Barro è:

sede del Parco

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Piano Secondo

laboratoriodidattico

spazio mostre“Giuseppe Panzeri“

laboratoriodidattico

Piano Primo

sala conferenze“Roberto Leydi“

bookshop

INGRESSO MUSEOflauto di Pan

bachicolturaagricoltura

cucina

Piano Terra

stalla

vinificazione

laboratorio

trasporti

Piano Terzo

biblioteca

direzione archivio laboratoriodidattico

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IL PARCO DEL MONTE BARRO

THE IDENTITY CARD OF THE PARKDate of birth:Regional Park - 1983Natural Park - 2002Site of Community Importance (SCI) - 2003Special Protection Zone (SPZ) - 2003

Managing body:Towns of Galbiate, Garlate, Lecco, Malgrate,Oggiono, Pescate and Valmadrera,the Mountain Community of Lario Orientale -Valle San Martino and the Province of Lecco

Surface area: 665 hectaresAltitude: from 200 to 922 m a.s.l.Species of fungi present: approx. 600Species of plant present: approx. 1200Species of animal present: approx. 1000

Head office:Via Bertarelli 11 - 23851 Galbiate (LC)Tel. 0341.542266 - fax 0341.240216www.parcobarro.it - [email protected]

Strade di accesso al ParcoAccess road to the ParkStrade interne al ParcoRoad inside the ParkInizio sentieroStart of footpath

1 Villa Bertarelli - Sede dell Ente Parco edel Centro Flora Autoctona della Lombardia (CFA)Head offices of the Park and of the Native Flora Centre of the Lombardy region

2 Camporeso - Museo Etnografico dell Alta Brianza (MEAB)Ethnographic Museum of Alta Brianza (MEAB)

3 Piani di Barra - Parco Archeologico, insediamento ostrogoto (V-VI sec. d.C.)Archaeological Park, Gothic settlement (V-VI centuries A.D.)

4 Eremo - Centro Parco con Ostello Parco Monte Barro e Museo Archeologico del Barro (MAB) - Chiesa di Santa Maria (sec. XV)Centre Park with the Hostel Parco Monte Barro and Archaeological Museum of Barro - St. Mary’s Church (XV century)

5 Costa Perla - Ex roccolo, sede della Stazione ornitologicasperimentale e della sezione staccata del MEAB sulla cacciae l’uccellagioneEx hunting lodge, home of the experimental ornithologicalstation and of the annex of MEAB dealing with hunting andbird capture

6 San Michele - Chiesa incompiuta di San Michele (sec. XVII) sede di eventi culturaliThe incomplete church of San Michele(XVII century) location for cultural events

7 Baita Pescate - Centro visitatori ParcoPark Visitor Centre

8 Falesia di Camporeso - Palestra di RocciaCliffs with climbing ascents

Luoghi di ristoroRefreshment facilities

A Ristorante Eremo Monte Barrocon Ostello Parco Monte BarroEremo restaurant of Monte Barrowith Hostel Parco Monte Barro

B Ristorante PanoramaPanorama Restaurant

C Baita AlpiniAlpine Lodge

D Ristorante Eremo di San MicheleEremo San Michele Restaurant

E Baita PescatePescate Lodge

F Baita Pian SciresaPian Sciresa Lodge

Testi e cura di Massimo Pirovano

Ricerche e contributi di Angelo De Battista, Paola D’Ambrosio, Giorgio Foti, Mariarosa Galimberti, Rosalba Negri,Giuseppe Panzeri, Massimo Pirovano, M. Giovanna Ravasi, Italo Sordi

Fotografie di Pierfranco Arrigoni, Federico Bonifacio, Cesare Frigerio, Giorgio Foti, Sandro Maggioni, Giorgio Pennati,Lele Piazza, Massimo Pirovano, M. Giovanna Ravasi, Mario Spreafico

Indice

p. 1 Presentazione

p. 2 Dal museo contadino al museo di società

p. 4 Camporeso e i percorsi etnografici

p. 6 Il dialetto nel museo

p. 7 L'agricoltura: base della economiae della società tradizionale

p. 8 La bachicoltura e la sua importanza

p. 9 Il granoturco: dall'America alla tavola dei contadini

p. 10 Dalla vigna alla cantina

p. 11 La fienagione: complemento indispensabileall'allevamento

p. 12 La stalla: luogo di lavoro e di inculturazione

p. 13 L'alimentazione tradizionale e le sue trasformazioni

p. 14 Il trasporto in campagna: un marchio di classe

p. 15 Il flauto di Pan: strumento arcaico,strumento del mondo

p. 16 La caccia e l'uccellagione:necessità e divertimento di un'epoca passata

p. 17 Le mostre: nuove ricerche oltre gli allestimenti

p. 18 La sala del dialogo antropologico:luogo di incontri e di confronti

p. 19 Dalla ricerca alle proposte educative

p. 21 Per saperne di più: documentari da vedere,dentro la visita

p. 22 Per saperne di più: libri da leggere, oltre la visita

p. 23 Cari amici vicini e lontani

p. 25 Ethnograpic Museum of High Brianza

p. 32 Il Parco del Monte Barro

In copertina:Il MEAB, luogo di dialogotra le generazioni e le cultureMEAB, a place of dialogue betweendifferent generations and culturesGalbiate, 2010

Stampato nel mese di aprile 2013da Cattaneo Paolo Grafiche s.r.l.Oggiono-LeccoOfficina grafica di Annone B.zaper conto del Parco Monte Barro

Progetto grafico e impaginazioneClick Art di Daniela Fioroni

Traduzione testi in ingleseStefano Pontiggia

Prezzo: Euro 1,00

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Piano Secondo

laboratoriodidattico

spazio mostre“Giuseppe Panzeri“

laboratoriodidattico

Piano Primo

sala conferenze“Roberto Leydi“

bookshop

INGRESSO MUSEOflauto di Pan

bachicolturaagricoltura

cucina

Piano Terra

stalla

vinificazione

laboratorio

trasporti

Piano Terzo

biblioteca

direzione archivio laboratoriodidattico

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