periodico degli studenti del liceo ‘porporato’ di ... · notte prima degli esami e con il...

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Indice: Editoriale: p. 2 In bocca al lupo della Preside: p.2 Olimpiadi di italiano: p 2 Maturità e amicizia: p.3 Maturità: un rito di passaggio?: p .3 I prof si raccontano: p. 4-5 Intervista alla prof. Melis: p. 5 Speciale prima prova: p. 6-7 Speciale seconda prova: p. 8-11 Periodico degli studenti del Liceo ‘Porporato’ di Pinerolo - Anno XIII, n.4, maggio 2013 www.liceoporporato.it/studenti/onda/onda_d'urto.htm ins. resp. Antonio Denanni/Joram Gabbio Pensando alla maturità… dalla terza: p. 12 Scelte post-diploma: p. 12 Visitando Torino: p. 13 Politica e arte: p. 13 La VB P e la maturità: p. 14 Dialogando col primino: p. 15 Ipse dixit: p. 16 Maturità all’estero: p. 17 Supplemento d’anima: p. 18 Intervista a F. Costa: p 19 Gita in Grecia: p. 20 Dall, Ecuador: p. 21 Artisti e campioni: p. 22

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Page 1: Periodico degli studenti del Liceo ‘Porporato’ di ... · notte prima degli esami e con il vostro entusiasmo di cambiare il mondo. Sapete, anche tutti noi insegnanti, chi prima

Indice: Editoriale: p. 2

In bocca al lupo della Preside: p.2

Olimpiadi di italiano: p 2

Maturità e amicizia: p.3

Maturità: un rito di passaggio?: p .3

I prof si raccontano: p. 4-5

Intervista alla prof. Melis: p. 5

Speciale prima prova: p. 6-7

Speciale seconda prova: p. 8-11

Periodico degli studenti del Liceo ‘Porporato’ di Pinerolo - Anno XIII, n.4, maggio 2013

www.liceoporporato.it/studenti/onda/onda_d'urto.htm ins. resp. Antonio Denanni/Joram Gabbio

Pensando alla maturità… dalla terza: p. 12

Scelte post-diploma: p. 12

Visitando Torino: p. 13

Politica e arte: p. 13

La VB P e la maturità: p. 14

Dialogando col primino: p. 15

Ipse dixit: p. 16

Maturità all’estero: p. 17

Supplemento d’anima: p. 18

Intervista a F. Costa: p 19

Gita in Grecia: p. 20

Dall, Ecuador: p. 21

Artisti e campioni: p. 22

Page 2: Periodico degli studenti del Liceo ‘Porporato’ di ... · notte prima degli esami e con il vostro entusiasmo di cambiare il mondo. Sapete, anche tutti noi insegnanti, chi prima

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NEL NOME DEL VERBO

Gli atleti olimpionici, incoronati di alloro, non competono solo nella corsa e nel salto: è il terzo anno, ormai, che il titolo è stato

esteso anche alla nostra lingua.

Sì, anche se in pochi lo sanno, le Olimpiadi di Italiano radunano annualmente studenti e professori da tutta la nazione e dall’estero

per discutere di parole e grammatica. Un modo per conoscersi e dialogare con persone lontane da noi, per scoprire le differenze e le

uguaglianze che rendono ogni istituto diverso dagli altri e l’Italia unita.

Un punto d’incontro e confronto che gravita attorno al più grande elemento di coesione, la lingua, nei suoi aspetti più tecnici e fini.

Pochi giorni prima della competizione regionale, abbiamo scoperto che l’iniziativa ha ricevuto il patrocinio del Presidente della

Repubblica ed è lecito dire che questo è un fatto importante perché mostra il dovuto riconoscimento delle istituzioni nei confronti

dell’aspetto culturale che maggiormente ci ha influenzato e formato, rendendoci ciò che siamo.

La lingua italiana rende orgoglioso chi la parla, trasuda storia e nomi degni di onore: merita la nostra attenzione e il nostro studio

perché ci permette a sua volta di collocarci nella storia attuale senza rincorrere nessuno. Partire dalla sua grammatica, dai

fondamenti, può essere il miglior modo per conoscerla veramente, forse per la prima volta.

Maria Finello

Gli esami …. non finiscono mai La nostra Preside racconta il suo esame

Maggio 2013: tempo di concentrazione e di studio, di affanni e fatica, di ripasso fino all’ultimo minuto, di agende piene di scadenze e impegni che non si sanno più gestire, ma anche di bilanci, ansie e progetti, con lo sguardo all’anno che verrà, in questa primavera che proprio non vuole arrivare. Quando, a settembre, ho incontrato i ragazzi della redazione, ho avuto la conferma che tutti coloro che vivono nella scuola finiscono per condividere, anche se con ruoli diversi, emozioni, obiettivi, percorsi, difficoltà, sogni. Il primo giorno di scuola dei ragazzi è, in qualche modo, anche il “mio” primo giorno di scuola; l’esame finale è un po’ anche il “mio” esame finale; credo che molti insegnanti si riconoscano in questo e rivivano tutti gli anni alcune delle sensazioni provate come studenti. L’esame di stato o “di maturità”, secondo la vecchia denominazione, segna un passaggio importante nel percorso di ciascuno ed è forse per questa ragione che tanti adulti ne hanno ancora un ricordo nitido cui ritornano nelle conversazioni con amici, colleghi, ex compagni di scuola, figli. Anch’io ricordo perfettamente la fatica, l’ansia, il caldo e la stanchezza di un esame di oltre 30 anni fa, i titoli dei temi, la versione di greco, gli argomenti dell’orale, le facce di compagni e professori e le settimane di studio con il desiderio che tutto finisse il prima possibile. Il vecchio esame era, forse, più facile di quello attuale: due prove scritte e l’orale su due materie, con una commissione tutta esterna, tranne che per un insegnante della classe, il commissario interno, che assumeva il compito di informare i colleghi esterni e veniva considerato dai ragazzi come il proprio difensore, il baluardo cui aggrapparsi nei momenti di sconforto. Ripenso ancora alla mia insegnante di greco, Germaine Jouvenal, professionista rigorosa e donna di grande cultura, sempre presente con la sua competenza e la sua sensibilità. Con gli anni si scopre che l’esame si carica di tanti significati per moltissime altre ragioni: è, per molti, il primo scoglio da superare nel percorso dall’adolescenza all’età adulta, oltre il quale si passa da una quotidianità un po’ ripetitiva, controllata e controllabile, all’incertezza del futuro; dalla classe e dal gruppo dei compagni, con cui si è condiviso quasi tutto per almeno cinque anni, al mondo universitario o all’inserimento lavorativo, con tutte le loro incognite. Si scopre anche, però, che l’esame di stato non è altro che un primo saggio delle prove da superare per crescere e rimettersi in discussione, con la convinzione che non ne sappiamo mai abbastanza, che studiare, riflettere, cambiare, porsi nuovi traguardi ci aiuta a mantenerci vivi e a migliorare e che è proprio per questo che gli esami non finiscono mai. Fino a quando avremo l’umiltà e la forza di affrontare un esame, di rendere conto agli altri di quello che siamo e facciamo, mettendoci tutte le nostre energie, potremo ancora sperare di migliorare noi stessi e quel che ci circonda. Sappiamo bene come sia necessario, dati i tempi! Un “in bocca al lupo” a tutti ed in particolare ai ragazzi e alle ragazze del quinto anno!

Maria Teresa Ingicco

I frutti maturi Estate, ecco il tempo dei frutti

maturi. Rigogliosi, freschi, vividi,

succosi, nutrienti, saporiti. Questi

i frutti che crescono sugli alberi:

sono sferzati dalla brezza e

scaldati dal sole, avvolti nel

tepore del maggio odoroso,

alimentati dalla linfa degli alberi.

Estate. Ecco il tempo della

maturità. E al Porporato i frutti

maturi sono i nostri ragazzi,

quelle ennesime nidiate di pulcini

entrati nel Porporato cinque anni

fa, ed ora pronti per spiccare il

volo. Cari ragazzi, speriamo di

aver stillato un po’ di linfa per

farvi sbocciare nella vostra

maturità. Che non è poi solo un

esame, ma è una tappa, e pure un

arrivo ed una partenza. I nostri

frutti siete voi, e l’albero

Porporato di voi è orgoglioso; voi

con le vostre paure e le vostre

speranze, con le vostre ansie da

notte prima degli esami e con il

vostro entusiasmo di cambiare il

mondo. Sapete, anche tutti noi

insegnanti, chi prima chi dopo,

abbiamo avuto diciannove anni,

anche se ve ne scordate qualche

volta voi, e spessissimo noi per

primi. Accompagnarvi all’esame

di maturità ci fa un po’ pensare

alla nostra maturità, avendo

imparato che non è un momento,

ma un cammino. Anche noi

volevamo cambiare il mondo, e

sono sicuro che ognuno di noi un

po’ ci è riuscito, seppur non

esattamente nei modi e nei

termini in cui pensava di farlo.

Dedicato a tutti quelli che

credono in una speranza,

profumata di maggio, di frutti

maturi, di gioventù. Joram Gabbio

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Quel poco di più dell’amicizia

In quella grigia mattina di metà aprile, in cui il sole

tardava a farsi vedere, durante la lezione di filosofia,

Erika non riusciva a mantenersi concentrata. I

pensieri si ingarbugliavano e si confondevano nella

sua testa: la maturità ormai vicina, le verifiche, le

interrogazioni.. Ciò che però sembrava non aver

proprio voglia di lasciarla stare era un piccolo estratto

di un libro, letto la sera precedente. Un’

autobiografia, scritta da un tale Jesse Owens, un

atleta americano ma di colore, vissuto durante l’era

nazista, che si trovò, durante le Olimpiadi del 1936, a

sfidare il tedesco Luz Long, il favorito appoggiato da

Hitler. “Quando venne il momento per le prove del salto in lungo, allibii nel vedere un ragazzo altissimo che saltava quasi

otto metri in allenamento. Seppi che era un tedesco, Luz Long; e mi dissero che Hitler l’aveva tenuto in serbo per la vittoria nella gara di salto. Pensai che, se Long avesse vinto, questo sarebbe stato un altro appiglio alla teoria nazista della superiorità della razza germanica. Trattomi un poco in disparte, sferrai un calcio di rabbia al terreno. A un

tratto mi sentii una mano sulla spalla. Mi volsi e mi trovai a

guardare negli occhi azzurri e affabili l’alto campione tedesco di salto in lungo. Si era qualificato per le finali alla prima prova. Mi diede una forte stretta di mano […]. Il risultato fu che Luz superò il suo stesso primato; e questo mi spinse a ottenere il massimo delle mie possibilità. Mi ricordo che, nell’istante in cui toccai terra

dopo il mio salto finale, il salto che stabilì il primato olimpico di m 8,0594, Luz mi fu a fianco per congratularsi con me. Nonostante Hitler ci fulminasse con gli occhi dalla tribuna a non più di un centinaio di metri, Luz mi strinse fortemente la mano: e la sua non era certo la stretta di mano di uno che vi sorride con la morte nel cuore. Si potrebbero fondere tutte le medaglie e le coppe d’oro che

ho e non servirebbero a placcare in oro a 24 carati l’amicizia che sentii per Luz Long in quel momento.” Erika, malgrado la voce squillante del professore la incalzasse ad abbandonare i propri pensieri, proprio non riusciva a smettere di pensare ad un segno di amicizia così forte e sincero, non riusciva a non chiedersi cosa avrebbe fatto lei al posto del tedesco.

Gli ultimi dieci minuti della lezione il professore, come promesso, si mise a distribuire le verifiche fatte il sabato precedente. Erika rimase stupita di fronte al suo 8, che sì, era certo un ottimo voto, ma non era quello che s’aspettava. La filosofia era forse la materia che più le piaceva, nonostante poi in classe non la seguisse, e

solitamente i suoi voti erano sempre i più alti. Per la delusione, sarebbe scoppiata a piangere ma il suo orgoglio glielo impediva. La giornata si prospettava certo più nera del previsto. D’un tratto si sentì stringere alle spalle, una morsa inaspettata quanto soffocante. Era Elena, venuta a ringraziarla perché il pomeriggio di studio fatto insieme le aveva permesso di prendere un, per lei, magnifico ed

inusuale, 8+. Forse forse, pensò Erika, sarebbe ancora potuto uscire il sole.

Selene Evangelisti

Maturità: un rito di passaggio?

Ogni tipo di società ha avuto i propri riti di

passaggio. Che siano uccidere un animale selvatico a

meni nude dopo giorni di digiuno o combinare un

matrimonio conveniente, essi sono caratterizzati da

uno scopo comune: raggiungere la maturità fisica e

mentale. D'altronde, come sostiene lo studioso A.

Van Gennep, questi riti sono <<cerimonie, il cui fine

è identico: far passare l’individuo da una situazione

determinata a un’altra anch’essa determinata>>.

Dunque, in qualche modo, essi sono espressioni

esemplificative del periodo storico in cui sta vivendo

un determinato gruppo umano e, se un tempo era

necessario avere resistenza e forza per sopravvivere,

ora più che mai è indispensabile “avere cervello” per

farsi strada nella vita e nel lavoro.

Ed ecco che giungiamo all’esame di maturità.

Probabilmente è esagerato definirlo “rito di

iniziazione” (per conferma chiedete a coloro che

frequentano l’ultimo anno di liceo), ma possiamo

almeno pensare che esso sia una sorta di spartiacque

tra l’adolescenza e l’età adulta. Sì,insomma, una

volta finite le superiori s’inizia a pensare seriamente

e individualmente al proprio futuro, più intensamente

di quanto si era fatto nei diciannove anni precedenti.

In sostanza, quindi, la maturità è qualcosa che

spaventa e forse è proprio per questo che è stata così

frequentemente oggetto di libri, canzoni e film. In

particolare nell’ultimo periodo dove abbiamo potuto

assistere ai vari “Notte prima degli esami” e

“Immaturi”, nei quali spiccano sovrani adolescenti

stereotipati e uomini e donne adulti che non vogliono

crescere. Tutte storie realistiche, certo, ma non

particolarmente azzeccate. Purtroppo è difficile

cogliere quel particolare momento di transizione e

ancora più difficoltoso è far sì che uno studente si

possa riconoscere nelle storie e nei personaggi. In

conclusione, i più concordano su due cose: la

maturità è una brutta bestia e non aspettatevi troppo

dai film che trattano l’argomento.

Lucrezia Simondi

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1976: Maturità rimandata....

Negli anni '70 la Maturità iniziava il 1 luglio e si dipanava con la sua

pacata ritualità fino al venti del mese. Ma quell'anno accadde un

imprevisto: la prova corse sul filo! Un arguto birbone, spacciandosi per un ispettore ministeriale,

convinse un'incauta suora di una scuola di Vigevano a “controllare la

rispondenza” dei temi contenuti nella busta che ai tempi era

custodita nella cassaforte di ogni Istituto.... Seguì un diluvio di

telefonate, che collegò i maturandi da Vetta d'Italia a Capo

Passero, non con un click, né con un post, ma con migliaia di ditini

che composero i numeri sul disco rotante del telefono fisso. Anche la

suorina se n'avvide, avvisò il Ministero e così... il 2 luglio

sostenemmo la prova di Latino , il giorno seguente Italiano.

Il passo da De Officiis di Cicerone, così iniziava: Detrahere igitur

alteri aliquid et hominem hominis incommodo suum commodum

augere magis est contra naturam quam mors, quam paupertas, quam

dolor, quam cetera, quae possunt aut corpori accidere aut rebus

externis. Nam principio tollit convictum humanum et societatem.

Solo una coincidenza? Vilma Tribolo

ESAME DI MATURITA’ VERONA LICEO MAFFEI

PRIMA PROVA: italiano, Silvia dice che non si ricorda più come si scrive!!!

SECONDA PROVA: latino, decido di sedermi lontana da Silvia.

PROVA ORALE: professoressa di greco/ ultimi giorni di lavoro prima della pensione/ arrabbiata,

anzi, molto arrabbiata, lei prof.ssa di Milazzo con i commissari del Nord!

Pensiero nobile: questa volta sono fregata!

Visione immobile: gli occhi della mia prof.ssa (Caterina, commissaria interna di italiano ) che mi

dice “falle vedere che vi abbiamo insegnato qualcosa. Dai Turri, almeno tu resisti agli aoristi, a

Euripide, a Medea!”

OGGI: benedetti giorni! Benedetta prof.!! Grazie Caterina, grazie prof. Di Milazzo, ma soprattutto

grazie Euripide, Leopardi, grazie Liceo!

Elena Turri

Quanto tempo ahimé è passato dalla mia maturità: 1973. E forse proprio per questo

non ho grandi ricordi di ciò che è avvenuto “dentro” l’esame, e probabilmente molto è

stato rimosso. Ma ho ben chiaro il ricordo ci ciò che avveniva “intorno” all’esame, in

particolare l’attesa per il viaggio, il grande viaggio: con tutta la classe

(incredibilmente unita e affiatata, un gruppo di amici veri), insieme a fidanzati e

fidanzate, saremmo partiti subito dopo i risultati per un mese di Inghilterra. L’esame è

stato un conto alla rovescia, un piccolo contrattempo prima di un’estate piena di tutto.

Giulio Ameglio

Rico

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e la sera prim

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a, per rilassarm

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“Notte p

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i sonno tran

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seguire .... d

elle vacan

ze lunghissim

e!

Cristin

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Una torrida estate.

Ritornare col pensiero alla maturità mi riporta a un periodo bellissimo di cui molte cose si sono perse. E le poche cose rimaste sono

comunque belle. Degli esami ho un vago ricordo di Pirandello (che mi aveva appassionato), e dei complimenti ricevuti (e il mio

professore con me) per la conversazione d'inglese, precisa e fluida. Invece quello che mi è maggiormente rimasto impresso è il periodo

precedente. Finiti gli esami scritti ci si preparava agli orali. Ma a Messina studiare nel mese di luglio era un tormento per il gran caldo!

Così con la mia compagna di banco, Irene, ci siamo rifugiate nella casa di campagna della nonna, in un paesino della provincia. Ci

svegliavamo alle quattro e mezza per studiare il più possibile nelle ore più fresche e la nonna preparava colazioni nutrienti ... A una certa

ora, quando la concentrazione calava, andavamo a prendere il sole sul terrazzo e poi ci rinfrescavamo (si fa per dire, perché l'acqua a

volte era caldissima) con la gomma per innaffiare. Eravamo molto affiatati tra di noi, tant'è che nel nostro cinquantesimo compleanno ci

siamo voluti ritrovare (qualcuno non è potuto intervenire, perché all'estero, o lontano, o perché aveva altri impegni). Ci ha ospitati

Mariano che ad Acireale ha un Centro Termale, con piscina con acque sulfuree... il profumo delle siepi odorose, il menù e la torta a

tema, tutto era perfetto! Che emozioni, e risate, e senso di gratitudine mentre ci ricordavamo l'un l'altro gli episodi più comici, di quel

passato che sembrava appena trascorso! Da allora, soprattutto quelli che viviamo lontani, ci sentiamo per sapere se durante le vacanze

estive si riesce di incontrarsi ancora. Una vera festa!!! Che fantastica storia è la vita!

Angela Donato

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Con piacere dedichiamo una breve intervista alla prof. Melis, già insegnante e vice-

Preside del Porporato, ricordata da molti colleghi e studenti con stima e simpatia

(ndr)

Salve Professoressa, come sta? Ci parli un po' del suo nuovo incarico.

Il nuovo incarico comporta notevoli responsabilità. La gestione complessiva della

scuola si configura come una quotidiana e complessa azione di supporto

organizzativo e didattico finalizzata al coordinamento dell’operato delle varie

componenti professionali e alla condivisione di obiettivi e programmi relativi alle

scelte significative della vita scolastica. Il tutto è reso ancora più complicato dalla

presenza di numerosi vincoli, quali le risorse umane e finanziarie, le procedure e le

sequenze di norme di non così immediata applicazione. Purtroppo non si può seguire

un semplice algoritmo ma è richiesta, invece, una grande flessibilità per integrare

organicamente idee e progetti con la realtà contestuale in cui ci si trova ad operare.

Le manca l'insegnamento? Ogni tanto cerca di spiegare cos'è il coseno ad uno

scolaretto?

Dopo anni di insegnamento è inevitabile. Mi mancano le discussioni, le domande, lo

stupore nel constatare brillanti capacità di ipotesi interpretative in giovani studenti.

Per contro non sento, invece, la mancanza dei compiti da correggere. Non tanto per la

fatica, ma per quell’inevitabile senso di frustrazione che provavo quando realizzavo

che gli argomenti, che peraltro credevo di aver spiegato in modo chiaro, non erano

stati capiti …. Né dimentico quando, cercando di spiegare un qualche fenomeno

fisico, notavo sbadigli mal trattenuti! Non riuscivo proprio a capacitarmi di come

potesse essere possibile non restare affascinati dalle teorie che ti consentono di dare

una chiave di lettura della realtà. Evidentemente mi è sfuggito qualche dettaglio.

Non dover spiegare il coseno o le derivate mi offre un grande vantaggio: i bambini

sorridono sempre quando mi incontrano e se sbadigliano significa semplicemente che

hanno sonno ….

Cosa le manca del Porporato ?

Sicuramente sento la mancanza di tutti i colleghi, degli studenti e del personale non

docente con cui, per anni, ho condiviso progetti, idee e anche tante risate. Mi

mancano soprattutto i rapporti interpersonali e quella sintonia che consente, dopo anni

di frequentazione, di interpretare anche un silenzio.

Ha ancora modo di coltivare quella che, grazie all' impegno e la passione che

metteva nelle sue lezioni, abbiamo compreso essere la sua grande passione, la

matematica? In che modo?

In quest’ultimo periodo ho potuto sfruttare le competenze matematiche solo per far

quadrare i conti del bilancio! Sinceramente non ho più tempo libero ma mi

ripropongo, durante le ferie estive, di dedicarmi a quelle letture specifiche che, da

sempre, mi hanno affascinato e incuriosito.

Se con impegno

tutto è possibile

Maturità anno 1973…

L’ansia per gli esami iniziò a farci

tremare e soffrire fin dall’inizio della

scuola , perché capimmo subito che

quell’anno sarebbe stato lungo e

difficile.

Si dava per certa la seconda prova

scritta di matematica, anziché quella

di latino, perché erano ormai due

anni di seguito che gli autori latini

tormentavano gli studenti

dell’Istituto Magistrale.

La nostra professoressa di

matematica decise quindi di

torturarci con un compito scritto alla

settimana: problemi e problemi a

non finire, tanto da far crescere una

naturale avversione per la materia,

soprattutto in chi non si sentiva

affatto attratto dal mondo dei numeri.

Sorpresa! Anche quell’anno uscì

latino.

A quei tempi l’esame era diverso

dall’attuale, non si portava nessuna

tesina e il candidato aveva il

vantaggio di scegliere la materia da

cui partire nel colloquio:

naturalmente ognuno si affidava ai

propri “cavalli di battaglia”, facendo

gli scongiuri che la commissione

esterna accettasse le proposte

individuali. La prof. di matematica

ci disse subito che almeno quattro di

noi avrebbero dovuto immolarsi,

proponendo

la sua materia come prima disciplina

per l’orale per salvare i compagni in

difficoltà e indicò lei un elenco di

candidati.

Non potete immaginare il mio

sconcerto quando seppi di essere una

dei prescelti; subito pensai ad un

errore, perché era abbastanza

lampante il mio naturale interesse

per italiano e filosofia. La triste

decisione mi venne però confermata

e non mi restò nient’altro da fare che

tuffarmi in un mondo fino a quel

momento poco conosciuto e per

niente amato.

Chiaramente non mi sono iscritta a

Matematica , ma ho capito che con

un po’ di fatica ed impegno tutto è

possibile ed anche una schiappa può

dignitosamente superare

un’interrogazione di matematica.

Coraggio ragazzi!

Laura Amprimo

Amarcord Porporato Intervista alla prof. Melis, ora Dirigente scolastica A cura di V. Santoriello

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“La piazza: luogo unico per l’uomo di ogni epoca e

cultura” Immaginiamo di poter fare un viaggio. Non un viaggio qualsiasi però, un

qualcosa di più astratto, di più sottile, compiuto solamente con l’ausilio

della nostra immaginazione. Ci basterà chiudere gli occhi, non importa

se comodamente seduti a casa, in piedi sul tram o dietro ad un banco di

scuola. Sarà la nostra mente, la fantasia ormai sopita di quando eravamo

bambini a fare tutto il resto.

Ecco che improvvisamente ci troviamo soli ed al buoi ma non ne siamo

spaventati. Lentamente inizia a circondarci un brusio che si fa sempre

più vicino, voci che non abbiamo mai sentito prima, che non parlano la

nostra lingua. Questi suoni si congiungono a profumi completamente

nuovi e ad un calore mai provato prima. Apriamo gli occhi. Davanti a

noi si presenta quello che avevamo visto solamente in alcune foto sui

libri di geografia e capiamo immediatamente di essere in Messico. Ci

troviamo in una piazza interamente circondata da portici, al suo interno

la gente non è mai ferma, ciascuno è preso dal contrattare, dallo

scherzare o più in generale dal comunicare con qualcun altro.

Richiudiamo gli occhi, vogliamo tornare in Italia, ed ecco che i portici

vengono sostituiti da due colonnati e di fronte a noi troviamo una

scalinata al cui vertice sta una chiesa gigantesca, la Basilica di San

Pietro. In questo luogo più familiare riusciamo ad accorgerci del fatto

che, pur essendo cambiati lo scenario e le persone, i gesti e le azioni

nella piazza sono gli stessi.

Ormai però ci abbiamo preso gusto e richiudiamo gli occhi. Riusciamo a

percepire il profumo del mare che, unito ai versi dei colombi, ci fa

sentire come in una poesia di Sandro Penna. Quando apriamo gli occhi

piazza San Marco è lì di fronte a noi, il viavai di gente è rimasto lo

stesso.

Si è fatta sera ormai e dobbiamo trovare un posto dove dormire. Ecco

che ci balza in mente una poesia letta in classe, il vago ricordo di un’

interrogazione già passata.

L’autore è Umberto Saba, l’opera “Il Canzoniere” e come per magia ci

troviamo a Milano in Piazza del Duomo. Tra le parole che ogni sera si

accendono invece delle stelle riposiamo magnificamente, come ci

eravamo dimenticati da anni.

L’inizio di un sogno è l’occasione giusta per riaprire gli occhi e tornare

alla realtà. Tra la marea di persone e oggetti familiari che ci circondano

ripensiamo alla miriade di cose viste. Ci sembra di sapere qualcosa di più

del mondo e persino di noi stessi. Nella confusione di una piazza non

siamo mai stati così in pace con noi stessi e nonostante le sue

delimitazioni non ci siamo mai sentiti così liberi.

Mi viene da pensare a “Piazza Grande”. Forse è proprio questo che ci

voleva comunicare il grande Lucio Dalla nella sua canzone. Per di più,

chissà in quale piazza di pace e serenità si trova lui ora. L’unica certezza

è che riascolterò quel brano molto più attentamente d’ora in poi.

Alessandro Giorello

In queste pagine : ipotesi di articoli di giornale sulla

tipologia B di qualche anno fa, ambito artistico letterario

La prima prova, consigli per l’uso

Intervista ad un ex– maturando

Abbiamo deciso di intervistare un ex

allievo ed ex rappresentante di istituto del

Liceo Porporato, Omar El Hamdani, per

raccogliere le sue emozioni e impressioni

riguardo alla prima prova d'esame di

maturità. Attraverso tre semplici domande

è riuscito a darci consiglio su come porci

di fronte a questa prova.

"Allora Omar, com'è stata la prima prova

dell'esame di Stato e quali emozioni hai

provato?"

La prima prova dell'esame non è stata tra le

più difficili , ma al tempo stesso >è stata

quella che mi ha creato più stress perchè

non sapevo come mi sarei dovuto preparare

per svolgere il tema al meglio e anche nello

svolgimento della prova stessa il giorno

dell'esame mi sono trovato un po' nel

panico perchè di fronte alle diverse tracce

non sapevo quale scegliere. Inoltre la prova

è molto lunga e anche solo l'idea di dover

dare la maturità provoca molta adrenalina.

" Quale tipologia hai affrontato e perchè?"

Ho affrontato la tipologia del saggio breve

che proponeva come traccia "bene comune

e bene individuale" perchè dal punto di

vista dei contenuti che potevo esprimere era

quella più stimolante per le argomentazioni

sociologiche e filosofiche

"Quali consigli puoi dare agli studenti che

affronteranno la prova quest'anno?"

Innanzitutto di non perdere tempo a cercare

il "toto tracce" perchè non uscirà mai

nessuna delle tracce che trovate su internet ,

ma di scegliere una

tipologia che può essere l'articolo di

giornale, il saggio breve, il tema storico o

l'analisi del testo e allenarsi su quella per

svilupparla poi nel miglior modo alla

maturità.

Selene Fiorindo

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Sognare in piazza 3 Giugno 1989. Piazza Tienanmen. Pechino. Un ragazzo solitario si pone di fronte ad una fila di carri armati non

lasciandoli sfilare: sfida il Partito Comunista Cinese. Migliaia di studenti come lui moriranno quel giorno nella

medesima piazza per difendere il medesimo sogno.

Nella cultura europea e non solo la piazza è da sempre un luogo d’incontro e di scambio, culturale e commerciale.

Furono i Greci ad inventare la piazza, l’agorà, dove si parlava di filosofia, storia, religione, politica, dove ognuno poteva

esprimere la propria opinione. La democrazia nasce nell’agorà di Atene dal confronto e dallo scontro dei suoi cittadini.

La piazza è un luogo d’aggregazione, nell’immaginario comune la frase “andare in piazza” è diventata sinonimo di

uscire con gli amici o chiacchierare.

Eppure nel XXI secolo per incontrare delle persone è sufficiente sedersi di fronte al computer e premere un bottone per

poter parlare con una moltitudine di individui diversi. Quindi la piazza, non solo come struttura architettonica, ma anche

come luogo d’incontro non serve più? Dobbiamo smettere di costruire piazze e frequentarle?

Noi pensiamo di no. La piazza, pur essendo un elemento architettonico imponente, certe volte addirittura mastodontico,

ha una qualità eccezionale, a nostro parere: la discrezione. Nei secoli la piazza attraverso questa sua qualità ha saputo

creare e sostenere i sogni delle persone.

“lenzuola bianche per coprirci non ne ho/sotto le stelle in piazza Grande/ma se la vita non ha sogni, io li ho e te li do”

cantava Lucio Dalla, nella piazza si sogna ad occhi aperti e i sogni si regalano. Ecco che torniamo ai ragazzi morti in

piazza Tienanmen per il loro sogno di libertà, con il pensiero voliamo alla rinuncia di San Francesco di tutti i suoi beni

nella piazza di Assisi per seguire il suo sogno, la sua vocazione di servire Dio.

Nulla ci vieta di pensare a due innamorati che passeggiano per le piazzette ombrose della Barcellona vecchia sognando

una vita insieme o agli ateniesi che nell’ agorà coronano il loro sogno di un governo più giusto.

La piazza nella sua struttura armonica accoglie il turista, il curioso, il pellegrino, il cittadino, serba la memoria degli

infiniti sogni di cui è stata ispiratrice e nutrice

Federico Bonansea

Il Fascino della Piazza: la continuità tra passato e presente

Qualche anno fa ebbi la fortuna di viaggiare sulla costa orientale degli Stati Uniti e l’ultima tappa, nonché la più attesa,

fu proprio la coloratissima New York City. Da questa città mi aspettavo mille occasioni di incontri, e conoscenze, un

luogo dove il talento e le capacità vengono mostrate tanto tra i banchi della prestigiosa Columbia quanto lungo le vie di

Harlem. In effetti, trovai tutto questo, ma la mia esaltazione si spense per un attimo quando, emozionatissima, approdai

nella celebratissima Times Square: “Tutto qui?” . Ricordo che questo fu il mio primo e terribilmente spontaneo

commento. Impalata sotto il leggendario orologio, fissavo le persone zampettare frenetiche come formiche operaie,

mentre invano mi sforzavo di percepire quel luogo come un qualcosa di più oltre che un rumoroso e trafficato incrocio

di strade.

Dove erano le signore sedute sulle panchine a spettegolare? E i giovani appoggiati ai motorini? Forse ci chiediamo

come mai i NewYorkesi, che considerano Central Park alla pari del loro giardino, si possano accontentare di una piazza

così poco accogliente: la risposta ci viene data da Walter Gropius.

Questo professore americano scrisse un intero saggio sulle piazze italiane e analizzò non soltanto caratteri prettamente

strutturali, ma anche sociali. Dunque, emerge che il concepire questo luogo come un tassello fondamentale per la

socialità e la sfera personale è, in realtà, frutto di un ricchissimo bagaglio culturale che affonda le sue radici in un

passato remoto. Ora la nostra mente vola all’agorà ateniese, con il filosofare di Socrate e i discorsi di Pericle: insomma,

dove tutto ciò che siamo ebbe inizio.

Infattti, fin dall’antica Grecia , la piazza è stato il luogo di incontro per eccellenza dove tutti, tanto l’aristocratico quanto

il bottegaio, avevano modo di esprimerei loro pensieri e condividerli con gli altri. Come cantava Lucio Dalla, questo

luogo è dove non si ha padrone, dove si è liberi di togliere ogni maschera e di essere ciò che si è realmente.

Ma sono proprio quelle Italiane ad avere un particolare in più, un qualcosa di speciale che cattura l’animo: il

grandissimo fascino che emanano. A tutti noi è capitato di incontrare gruppi di turisti completamente imbambolati non

solo dalla bellezza architettonica, ma dall’atmosfera, dall’aria frizzante che si respira. La piazza e i localini che sia

affacciano su di lei, gli schiamazzi dei bambini che si sfidano sulle loro biciclette, il fruscio del vento tra le pagine dei

quotidiani abbandonati sulle panchine: tutto ciò va a delineare un dipinto ogni volta diverso, ma che al tempo stesso

risveglia le medesime sensazioni.

La piazza si costituisce come un impasto di suoni e colori che risucchiano e svelano, proprio come le scalinate di San

Pietro secondo l’immaginazione di Caldarelli. La piazza è dove le generazioni si accostano, fornendo uno spaccato della

vita, ma di un vivere vero disinteressato delle preoccupazioni dell’economia e del mondo che la circonda. L a piazza è

dove si accendono i baci proprio come le parole di Saba, che ogni sera vede e apprezza il Duomo di Milano.

Dunque, credo la piazza sia per ognuno di noi un qualcosa di differente e richiami alla memoria un particolare momento

della vita; tuttavia, citando di nuovo il “Canzoniere” di Umberto Saba, è innegabile l’alone di mistero che avvolge

questo luogo cittadino, dal momento che qui “Nulla riposa dalla vita, come la vita”.

Francesca Rinero

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Macrobio, chi era costui?

Siamo ormai alla fine di aprile. Cieli azzurri, pomeriggi assolati, fiorellini e cinguettii, penserete

voi. Eh no. Essere alle porte di maggio, per noi maturandi, significa avvicinarsi inesorabilmente all’Esame di Stato,

che, a dire il vero, ha proiettato su di noi la sua ombra minacciosa a partire da settembre.

Il primo temibile ostacolo è costituito dalle prove scritte, sempre che si sopravviva alla maratona di verifiche e

interrogazioni di maggio.

Dopo la Prima Prova Scritta, meglio nota come “temadiitalianosperiamochenonescaDante”, ci troveremo ad affrontare

la famigerata Seconda Prova. Per “noi del classico” si tratta di tradurre una versione, in 4 ore, in data 20 giugno. La

comunicazione del Ministero riguardo alla materia uscita, Latino, ha dato il via ai vari commenti e giudizi di

gradimento. Ci sono quelli che “meno male, latino è più facile” e poi ci sono quelli che invece avrebbero preferito

greco (essi fanno parte di una specie in via d’estinzione, credo). Perché Latino? Perché da alcuni anni a questa parte,

per una convenzione assai fantasiosa, Greco e Latino si alternano di anno in anno.

Io non saprei dire se preferisco la lingua di Cicerone o quella di Senofonte. So solo che il mio dizionario è

simpaticamente diviso in due tomi, mea culpa, non certo per volere dell’editore. Ma è bello così, un po’.. vintage!

La questione più dibattuta, però, riguarda l’autore della versione che si dovrà tradurre. Seneca, Tacito, Plinio il

Giovane, Quintiliano, Cicerone? ..Vitruvio? uscito nel 2001, speriamo di no.

Per la prima prova si fanno mille congetture: tra le molte ricorrenze del 2013, il 700° anniversario della nascita di

Boccaccio, il 300° da quella di Diderot e i 50 anni dalla morte di papa Giovanni XXIII potrebbero essere eventuali

spunti per le tracce.

Per la seconda prova è più difficile fare previsioni. I più “afferrati” in matematica possono cimentarsi nel calcolo delle

probabilità che esca un autore piuttosto che un altro, basandosi anche sui “dati” degli anni passati. Gli scaramantici si

affannano con preghiere, riti e altarini, affiancati dai seguaci del Dio degli studenti disperati. Poi c’è anche chi, più

pragmaticamente, ha già scommesso con i compagni, magari associandosi ai più esperti in calcolo probabilistico. O ai

discepoli prediletti del Dio degli studenti.

La mia compagna Bea sostiene che, nonostante tutte le nostre preghiere, uscirà Macrobio.

Macrobio, chi era costui?! Ecco, appunto.

Le certezze, insomma, non sono molte. Una sola cosa è sicura: se esce Macrobio, Bea non la passa liscia.

Annalisa Barra

Seconda Prova al Classico Caro allievo, sei arrivato alla Seconda Prova. Il secondo passo nel “mondo di mezzo” tra i cinque anni di duro impegno del liceo e la “liberazione” dell’università (auguri!), del mondo del lavoro (auguri doppi!) o di che cosa ti aspetta nel prossimo futuro. Essa è la Versione di Latino. Ciò mi dà l’aggio di fare l’ultima predica sull’argomento “Come tradurre la versione con il massimo risultato seguendo una via razionale e non improvvisata”.

Tu sai chi sei, dunque conosci i tuoi pregi e i tuoi difetti, tienili sempre a mente mentre traduci, i primi ti aiuteranno e, quanto ai secondi,… cerca di starne lontano. Quando arriva la fotocopia della versione, guardala intensamente come un/una amante e cerca di amarla con tutto te stessa/o. In quel momento e per le quattro ore successive sarà la tua Ragione di Vita. Fai un bel respiro e buttati… (il successivo passo della predica sarà in latino, mica potevo farmi sfuggire l’occasione!) Lege, lege, lege, lege, lege, relege, ora, labora et invenies iustam et pulchram conversionem. Fai la brutta, ricopia in bella (cioé scrivi con “bella” grafia ovvero “leggibile”) e hai finito. È stato un attimo, ora puoi dimenticarti tutto e passare alla prossima Prova. Sempre che si riesca a dimenticare un/una amante.

Francesco Marchesiello

classico

In queste pagine i coordinatori di indirizzo, con l’aiuto di qualche

allievo, presentano le rispettive seconde prove

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linguistico

Seconda prova al linguistico La seconda prova al linguistico? Una possibilità di scelta, un vantaggio rispetto agli studenti del

classico che non possono scegliere tra due versioni! E’ vero che si può scegliere, ma bisogna farlo con

oculatezza. Un consiglio? Bisogna leggere velocemente ma con attenzione non solo i due testi proposti

(uno letterario, l’altro di attualità), ma anche le domande di comprensione e l’argomento della

produzione. Le prime infatti vanno spesso al di là di ciò che è scritto nel testo stesso e le risposte

devono essere lette tra le righe, dedotte dal contesto più ampio di conoscenze del candidato e dalle sue

competenze di lettura approfondita del testo. L’argomento della produzione legato al testo di attualità

(per esempio le energie alternative) deve essere almeno conosciuto dal candidato per non scrivere

strafalcioni! Un altro consiglio è quello di rendere la produzione non la fiera delle banalità, ma di

essere un po’ originali e personali, oltre che rigorosi nell’argomentazione. Infine non si deve trascurare

l’aspetto linguistico, perciò un bel ripasso di grammatica potrebbe tornare utile! E attenzione alla

stanchezza: 6 ore sembrano tante, ma spesso si usano tutte e l’ultimo pezzo di compito contiene

sempre troppi errori!

Laura Gerlero

Lo spauracchio del Linguistico.....

Al Linguistico le lingue la fan da padrone, si sa (non si chiamerebbe così sennò) non solo nel

corso di studi, ma anche alla Matura, e soprattutto quest'anno, in quanto i commissari di

Francese, Inglese e Tedesco saranno esterni. Molti patemi d'animo e preoccupazioni, ma anche

tecniche strategiche. Di grande aiuto, per molti di noi, il fatto che la lingua scelta in seconda

prova non sarà oggetto di valutazione in terza, e qui partono le strategie...meglio puntare per la

seconda prova alla lingua che si conosce di più, per lasciarsi le altre in terza prova, o il

contrario? Ai posteri l'ardua sentenza...

In attesa di sapere chi saranno i prof che ci esamineranno, ci mettiamo d'impegno, allenandoci

con produzioni e comprensioni su argomenti d' attualità ripresi dalle tracce degli anni

precedenti, vedendo film in lingua per affinare la pronuncia e l'ascolto, conversando su temi

vari...sempre incrociando le dita e sperando nella bontà della corte, off course! Luca Montaldo

ESABAC o NON ESABAC ? Questo é il dilemma.

Ecco che sta giungendo al termine un altro anno scolastico ... Un anno decisamente di sperimentazione e di innovazione per

l'indirizzo Linguistico! Il nostro Liceo ha, infatti, avviato il Progetto Esabac sancito dall'accordo Italia-Francia del 24 febbraio

2009. Per chi non ne fosse ancora a conoscenza, il progetto Esabac permette agli studenti che avranno affrontato un percorso

triennale e sostenuto una prova finale, di ottenere il Diploma Binazionale Esabac valido a tutti gli effetti in Italia e in Francia. Il

percorso prevede, per la durata del triennio, uno studio più approfondito della letteratura e della storia in francese rispetto

all'opzione tradizionale. Il percorso si conclude con una prova supplementare all'Esame di Stato, ovvero una quarta prova

scritta. In ogni caso, un eventuale punteggio insufficiente non condiziona l'esito del diploma finale italiano e non influisce,

quindi, sul punteggio finale. A vantaggio delle future classi del Linguistico, c'é il fatto che saranno formate da subito in base

all'opzione scelta, con o senza Esabac. Avete fratelli o sorelle che frequenteranno il Liceo Linguistico ma sono ancora scettici

verso l'opzione Esabac e non sono, quindi, ancora convinti su quale opzione sia migliore? Non si può parlare di migliore o

peggiore in assoluto, in quanto bisogna vedere gli interessi che ognuno ha ... Se si é portati per la lingua Francese, se si vuole

avere una specializzazione in più o se si vuole cogliere ogni opportunità che la scuola offre, allora l'opzione Esabac é

consigliabile. Deve essere ben chiaro, però, che l'indirizzo Linguistico é un indirizzo impegnativo a prescindere dall'opzione

Esabac. Sostenere quindi, che l'opzione non Esabac sia meno impegnativa dell'opzione Esabac é errato, perché entrambe

richiedono un importante livello di impegno.

Ecco una delle testimonianze di chi l'Esabac lo vive in prima persona : "E' un bel progetto ed é un bene che la nostra scuola lo

proponga perché non in tutti i Licei Linguistici viene proposto. Le lezioni di storia in Francese le ho trovate interessanti. Non

penso che siamo più carichi di lavoro rispetto a chi l'Esabac non lo fa, la differenza é minima."

Alina Herciu

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La seconda prova al socio psicopedagogico

L’esame di Stato, conclusivo del corso di studio del liceo socio psicopedagogico, prevede, per la

seconda prova, la redazione di due saggi brevi che saranno redatti sulla base di due delle quattro tracce

proposte dal ministero.

Ogni traccia di solito ha una citazione introduttiva e chiede di affrontare tre o più questioni.

Gli argomenti sono ovviamente d’ordine pedagogico ed educativo.

Si tratta di una prova da non sottovalutare, in quanto richiede, da parte del candidato, la capacità di

esporre le proprie conoscenze sull’argomento dando però l’idea di essere in grado di collegare le

argomentazioni anche a temi non esplicitamente espressi nella traccia. È tassativamente vietato fare

errori di ortografia, per questo è opportuno usare tutto il tempo a disposizione (6 ore) per controllare

attentamente la stesura. Lo stile deve essere sobrio, anche se citare esperienze personali può essere un

modo intelligente di farsi conoscere dai commissari e dal presidente della commissione. Sono

sconsigliati gli eccessi, le opinioni vanno sempre accompagnate da argomentazioni rigorose e

ineccepibili. Una prova che va realizzata con competenza, equilibrio e genuinità. Pietro Madaro

Soci

o-p

sico

-ped

agogic

o

Liti per incastrare le programmate, professori che si affannano per

spiegare l’impossibile entro il 15 maggio e noi maturandi disperati alle

prese con la tesina…eh si, perché ormai l’esame si avvicina e se da un

lato il panico ci assale (alimentato da molti simpatici prof che lo

ricordano ogni giorno) dall’altro c’è l’entusiasmo perché sta per finire

tutto e già si programmano grandi festeggiamenti e viaggi per godersi il

meritato riposo e divertirsi dopo tanto stress!

Noi studenti del vecchio pedagogico ci siamo trovati fin dall’inizio in una

strana situazione; quando sono uscite le materie esterne, infatti, a dispetto

delle convinzioni su inglese e matematica (praticamente un incubo), la

circolare ci ha spiazzato con la sentenza : “biologia e filosofia”!

Per una settimana siamo rimasti nel dubbio e non si parlava d’altro nei

corridoi, alla fermata dell’autobus…ma alla fine la circolare aveva

ragione e abbiamo tirato un sospiro di sollievo (più o meno) preparandoci

psicologicamente ad affrontare la temuta terza prova.

Per la seconda prova, invece, abbiamo pedagogia, altra materia esterna: si

tratta di due saggi brevi da svolgere entro sei ore… praticamente il tempo

stabilito per la prima prova con la differenza che non è uno ma sono ben

due i saggi brevi! Ciò che noi studenti ci domandiamo è: sono due perché

si divertono a torturarci o è per darci la possibilità di dimostrare meglio le

nostre conoscenze?! Speriamo vivamente nella seconda opzione…questa

prova comunque ci ha spiazzati un po’: all’inizio ci sembrava come un

tema di italiano, solo con l’esercizio siamo riusciti ad entrare nell’ottica

giusta e comprenderne la diversa impostazione; certo non ci è sembrato

facile formulare un discorso a partire dal brano di un autore (magari a noi

sconosciuto) collegandolo alle conoscenze del triennio…non eravamo

proprio abituati! Tuttavia esercizio, impegno e, ammettiamolo, spesso

anche una dose di buona fortuna sulle opzioni da scegliere, ci hanno resi

in grado di gestire un saggio breve entro tre ore…già, ma due? Certo il

tempo è lo stesso, apparentemente non cambia nulla, ma se pensate allo

stress per la terza prova e l’orale che incombono, una prima prova che

magari non è andata magnificamente… beh, l’ansia da prestazione non è

indifferente e un vuoto di memoria in quei momenti non aiuta! C’è da

dire, poi, che dopo la stesura del primo saggio la stanchezza si fa sentire

ed è difficile scrivere bene anche il secondo! Per il momento noi ci

siamo allenati con la simulazione e devo dire che, sarà per l’ansia del

tempo a disposizione, abbiamo finito in tempi record anche se non

sempre con ottimi risultati! Questo mese faremo un’altra simulazione e

contiamo di organizzare meglio il tempo a disposizione e notare altri

miglioramenti in modo da arrivare all’esame ben preparati; fino ad allora

l’unico pensiero che ci consola è: menomale che non è uscita la versione

di latino!!

Ilaria Fiumara

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La seconda prova scritta prevista per il Liceo delle scienze sociali consiste nello svolgimento di due

brevi saggi su due argomenti scelti dal candidato tra le quattro tracce proposte dal ministero. Il

tempo a disposizione è di sei ore. Di regola non si può uscire prima che siano trascorse tre ore

dall’inizio della prova.

Le tracce solitamente propongono un brano tratto da un testo scientifico relativo ad uno degli

ambiti delle scienze sociali accompagnato da una serie di domande guida, rispondendo alle quali lo

studente deve articolare il proprio elaborato scritto.

Data l’ampiezza della materia ‘scienze sociali’ e l’assenza di programmi assolutamente uniformi,

può accadere di trovarsi di fronte ad un argomento trattato solo marginalmente e non trattato

affatto, oppure affrontato in anni precedenti al quinto e spesso anche il nome dell’autore del brano

non dice granché. Da qui nascono le principali ansie degli studenti che, non avendo riferimenti

diretti (benedetto libro!), talvolta sono presi da vere e proprie crisi di sconforto …

In realtà la prova non richiede tanto conoscenze specifiche, dettagliate, puntuali, quanto piuttosto

di dimostrare di aver imparato ad affrontare in modo corretto un problema attraverso i metodi delle

scienze sociali e, quindi, si tratta di mettere in campo tutte le competenze acquisite in cinque anni

di studio, costruendo un ragionamento articolato, fondato su chiari riferimenti alle diverse scuole di

pensiero o impostazioni e teorie scientifiche, sostenendo le proprie idee con motivazioni solide.

E’ dunque necessario innanzitutto leggere con grande attenzione tutte le quattro tracce, senza

escluderne nessuna a priori, magari perché l’argomento era stato studiato un po’ superficialmente

o perché lo si era analizzato negli anni passati. Il brano proposto di solito inquadra con chiarezza il

problema e deve essere la base su cui fondare l’intero lavoro. Una valutazione molto attenta va

riservata anche alle domande proposte: spesso contengono già tutta una serie di chiavi di lettura e

di spunti che possono essere utilissimi!

Un’ultima cosa da tenere a mente è questa: le scienze sociali, per loro stessa natura, hanno infiniti e

continui contatti con molti ambiti disciplinari. Richiamate alla memoria tutto quello che di inerente

avete studiato in altre materia, i libri che avete letto, le conferenze a cui avete partecipato,

insomma tutto il mondo con il quale siete venuti in contatto in questi anni di studio

Ricordatevi in ogni caso però che vi viene richiesto un testo scientifico. Quindi bando alle

banalità, alle considerazioni di puro buon senso comune e al generico ‘buonismo’: state scrivendo

un saggio, non delle generiche considerazioni su un argomento di attualità.

Non dimenticate di portare il dizionario di italiano e di rileggere attentamente il tema prima di

consegnarlo!

Antonella Rosia

Probabilmente nessuno studente prima della quinta si è mai fatto troppe domande sulla seconda prova...

O meglio, prima della simulazione di gennaio.

Noi della 5C Sociale, ad esempio, abbiamo scoperto solo quest'anno di non dover svolgere uno, bensì due

temi di Scienze Sociali in un tempo di sei ore.

La più grande paura? Che le tracce richiedano argomenti mai affrontati nel corso dei cinque anni. E'

possibile? Ebbene sì, siccome il liceo delle Scienze Sociali prima della riforma Gelmini era un indirizzo

sperimentale, i programmi non sono uniformati, e dunque potrebbe anche capitare di trovare cose mai

studiate prima. Inoltre può capitare che le tracce richiedano di ragionare su argomenti affrontati negli anni

precedenti alla 5a quindi dare una rilettura ai programmi degli anni passati potrebbe essere utile.

Infine abbiamo scoperto, durante la simulazione di gennaio, che possono essere d'aiuto gli argomenti

studiati anche in altre materie.

Consigli? Eccoli! Assolutamente da evitare sono le solite frasi di circostanza e piene di buon senso che

sono tanto gettonate per alcuni argomenti; meglio cercare di fornire dati precisi e il più possibile

scientifici, visto che si tratta di un saggio..

Giulia Ferrati, Valeria Musso

Sc. so

ciali

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Nel mezzo del cammin. . . La terza pensa alla maturità.

Gli anni corrono, sembra passato un giorno dalla prima superiore (o forse no?!).In questo periodo la parola “maturità”

serpeggia spesso fra i corridoi, gli studenti di quinta s'affannano a studiare e i professori sono preoccupati per loro. . . E

noi?

Cosa prova chi non frequenta l'ultimo anno nei confronti della maturità? Il tempo scivola via, la maturità arriverà, che lo

vogliamo o no. Tanti di noi, quando pensano agli esami di quinta, immaginano intere nottate passate sui libri con un

ansia enorme. Ore ed ore a studiare, dimenticando il resto; nella prospettiva più pessimista.

Chi non si preoccupa molto dello studio che dovrà affrontare vede la maturità come un “passaggio all'età adulta” ; studio

ma anche più responsabilità. La consapevolezza che da quel momento in poi agli occhi degli insegnanti appariremo

diversi, adulti, autonomi. C'è chi pensa già all'università a cui vuole iscriversi e chi sogna l'estate post-esami.

E' vero che la maturità è un “ostacolo” , ma è anche un traguardo che ci permette di dimostrare quanto siamo migliorati e

dove siamo arrivati durante questi anni. Ognuno di noi, almeno una volta, ha pensato a questo enorme ostacolo che

s'avvicina.

Tutti abbiamo un idea sulla maturità, l'unico modo per scoprire s'è giusta è arrivare in quinta e verificare di persona.

Alice Bessone

L’università offre, tuttavia, una seconda possibilità, poiché frutto di una scelta maggiormente consapevole.

Soffermandoci, a tale riguardo, sulle strade intraprese dagli studenti usciti nei due anni precedenti dagli indirizzi del

nostro Istituto, risulta chiaro che coloro i quali si sono indirizzati verso la ricerca di un lavoro costituiscono un’esigua

minoranza (più marcata, però, nel Liceo delle scienze sociali).

A seconda dell’indirizzo, e dell’anno scolastico, che si prende in considerazione, i dati presentano naturalmente qualche

diversità, ma alla base rimane in ogni caso una linea comune ai quattro indirizzi: molto gettonate risultano essere le

facoltà umanistiche e socio-educative-psicologiche, seguite da facoltà giuridico-economiche, sanitarie e scientifiche.

Come già detto, la formazione di base influenza certamente la decisione inerente al proseguimento degli studi, ma ciò

non toglie che gli interessi e le qualità, spesso stimolati da validi insegnanti, emersi nel corso di questi anni prendano il

sopravvento: e così ritroviamo, ad esempio, due studenti uscenti dal Liceo Socio Psico Pedagogico, poi ridotti a uno

nell’A.S. 2011/12, che nell’A.S. 2010/11 si sono iscritti a facoltà scientifiche. Simili risultati sono riscontrabili negli altri

indirizzi, eccezion fatta per il Liceo Classico, dove l’affluenza a facoltà scientifiche è più rilevante (otto studenti

nell’A.S. 2010/11, undici studenti nell’A.S. 2011/12). L’iscrizione a tali facoltà risulta essere addirittura superiore

rispetto all’immatricolazione in facoltà umanistiche, materie di indirizzo del Liceo Classico, nell’A.S. 2011/2012 (nove

studenti).

Interessi sorti durante il liceo, capacità, una nuova consapevolezza di sé, i più disparati suggerimenti da chi si improvvisa

consigliere, la tentazione di seguire un amico, l’influenza positiva di un professore preparato e carismatico o negativa di

un docente con cui c’era dell’astio…tutto questo influisce sulle nostre scelte post-diploma, insieme alle non trascurabili

possibilità di lavoro connesse alle nostre decisioni, che cambieranno davvero la nostra vita. Tante strade possibili, ma nessuna di queste giusta in assoluto: forse il trucco sta nel mediare le necessità e ascoltare prima di tutto noi stessi.

Erica Galliano, Naomi Manuguerra

DA GRANDE VOGLIO FARE… uno sguardo alle scelte post-diploma

“Che cosa farò dopo le superiori?” Ecco la fatidica

domanda che ogni anno “affligge” migliaia di studenti

ormai giunti al termine della scuola secondaria.

Scegliere la facoltà da seguire o al contrario

indirizzarsi verso un lavoro è una decisione

particolarmente influente per quel che sarà il nostro

futuro, molto di più di quanto non lo sia stata la scelta

delle superiori. Durante il percorso di studi compiuto

al Liceo o in qualsiasi Istituto professionale, possono

emergere qualità, doni o predisposizioni fino ad

allora rimaste nascoste, e spesso si può giungere alla

consapevolezza di aver sbagliato scuola.

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L’altra faccia della città Nascerci a Torino. E nonostante ciò rimanerne ancora incantati. Per il suo fascino, per le sue opere d’arte. In particolare per

queste. Splendide e imponenti, significativi esempi di architettura barocca e rococò incastonati ai piedi delle Alpi. Come delle

pietre preziose.

Scendere dal treno, insegne pubblicitarie, negozi e lampade al neon e, ancora frastornati, venire catapultati indietro nel tempo. E

intanto arriva il tram, uno dei numerosi tentativi di rimanere agganciati al passato, e si attraversano piazze, ponti, si schiva il

traffico, la rabbia degli automobilisti, si arriva alla Gran Madre.

Per la prima volta un nome davvero azzeccato: dimensioni importanti posizione decisiva, in alto a una lunga scalinata, come se

scrutasse Torino. Come se la proteggesse. Costruita secondo uno stile neoclassico, è probabilmente uno degli edifici più

misteriosi e magici della città. E l’interno ne è una conferma: più piccolo di quanto ci si sarebbe aspettati, luogo di preghiera più

intimo di quanto si sarebbe potuto sperare.

E di nuovo si risale sul tram. Davanti agli occhi il Po scintillante sotto il sole, poi Piazza Vittorio Emanuele, la Mole Antonelliana

e il suo ecletticismo inconsueto, il “dito di Mussolini”…

Questa volta la fermata è in Piazza Castello. Questa volta il viaggio ci porta in un passato dove le dame nei loro abiti di alta

sartoria si affrettano sulle scalinate di Palazzo Madama o si concedono un caffè con pasticcini insieme alle amiche. Uno dove la

domenica è soprattutto il giorno del riposo e della fede e la famiglia reale, composta e agghindata, si raccoglie in preghiera nella

chiesetta di S. Lorenzo. Un tempo andato dove i monelli corrono nella grande piazza il giorno del mercato per rubare un frutto o

si fanno beffe di Castore e Polluce, i due cavalieri di bronzo, che ormai da tanto tempo accolgono gli ospiti all’ingresso di Palazzo

Reale.

Qui, in questa piazza, gli anni passano come per tutti. Tutto il resto viene contagiato dalla nuova moda della fretta. Loro no. Loro,

queste raffinate creazioni architettoniche, rimangono lì placide e belle.

Ma nessuno ormai le guarda. Pochi quelli che si fermano e fanno caso agli arredamenti sontuosi , ai soffitti dipinti con cura, ai

dettagli…o loro sono rimasti troppo indietro o noi siamo andati troppo avanti.

Da lì la visita prosegue sotto i portici, la giornata è calda e l’ombra fornita dalle colonne un ottimo riparo, ci si sofferma sui

dettagli a cui non si è mai prestata la minima attenzione. Persino un luogo inusuale, un negozio di vestiti per esempio, o luoghi

che lo sono di meno come una caffetteria storica o un dettaglio nel pavimento piastrellato, costituiscono un pretesto per fermarsi e

ammirare.

Galleria Subalpina, Teatro Romano, Piazza Carlo Alberto, Palazzo Carignano…barocco, rococò, liberty… in questo luogo stili

differenti trovano lo sposalizio perfetto. Non c’è contrasto o dissonanza. Lo stesso Palazzo Carignano, che si affaccia maestoso su

due piazze diverse, presenta nel cortile interno due esempi di muratura differenti. Due diverse sfumature di toni caldi che si

fondono in modo ammirevole.

E poi arcate, colonne e lesene…ci sarebbe un mondo se solo si sapesse dove guardare e non ci si lasciasse sfuggire l’occasione di

farlo più spesso. Queste piccole perle dell’UNESCO, questi patrimoni dell’umanità, sono vittime del tempo e della noncuranza

delle persone. Mentre camminiamo notiamo i sacchi della spazzatura ammassati in modo precario tra le colonne di una buona

parte dei palazzi. È la sporcizia con cui fanno i conti tutti i giorni. E notiamo i graffiti, i murales, strisce di vernice che erodono le

facciate e ne deturpano la bellezza.

Questi patrimoni sono vittime del tempo e della noncuranza delle persone. E della crisi. Minori le risorse economiche, minori le

possibilità di prenderci cura in modo efficace della nostra cultura. Soldi e cultura. Un binomio pericoloso perché direttamente

proporzionale. Troppo spesso se non ci sono gli uni non rimane nemmeno l’altra.

Un ultimo giro, un ultimo pezzo di strada culturale. Una focaccia seduti tutti insieme su un prato verde alle spalle di Palazzo

Madama. Forse come un picnic di fine ‘800. Poi si ritorna alla stazione. E sempre rigira in testa una domanda: com’è possibile

che la gente non si accorga di tutto questo?

LA POLITICA E L’ ARTE: la sfida di un regista per ricostruire il presente di Francesca Borgarello

“Che cosa dev’essere il mio lavoro?” si chiese un uomo qualunque, che tra le altre cose era anche uno dei più grandi

registi contemporanei. “È forse un prodotto che nasce dalla mente di un intellettuale e ad intellettuali si rivolge?

Che cosa ci faccio con questo mezzo potentissimo che è il cinema?”. La risposta che si diede Theodoros

Anghelopulos (Atene, 27 aprile 1935 – Pireo, 24 gennaio 2012), regista greco, è che il suo cinema sarebbe stato un

mezzo per parlare al suo paese, a tutti senza distinzione: al suo meraviglioso e sofferente paese, reduce da anni di

lotte intestine e invasioni esterne. Sì perché quando il regista incominciò a girare i primi film la Grecia in cui

operava era stata soggetta per anni al dominio turco, poi all’ occupazione nazista, ed era soggetta da tempo al

susseguirsi di colpi di stato, dittature, tentativi di resistenza. Theo si guardò intorno e vide un popolo sperso, senza

punti di riferimento, in crisi. E in questo popolo c’ era anche lui, sentiva questa sofferenza sulla propria pelle.

Anghelopulos non operò mai come un intellettuale fornitore di risposte, ma allo stesso livello di quel popolo che l’

aveva generato. Il suo cinema vuole essere di massa, nell’ accezione più positiva del termine, e soprattutto

strumento di analisi e di comprensione di una storia recentissima e dolorosa, di un presente destabilizzante, ad

utilità di una popolazione senza risposte. “Raccogliamo i cocci”, si disse Theo, “guardiamo in faccia la realtà e

usciamone insieme, piano piano”. La prima cosa che il regista percepisce è la presenza di un passato fortissimo, di

un bagaglio culturale che impregna ogni cosa nella sua terra: ogni pietra ha una storia da raccontare, ogni persona

porta su di sé millenni di conoscenze e miti lontani. Non si può che ripartire da qui: dal mito.

Continua a pag. 23

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La maturità non è altro che una delle tappe della nostra crescita,essa non rappresenta però

un punto d'arrivo vero e proprio(come potrebbe apparire in questa fase dell'anno nella quale

giustamente non facciamo altro che contare i giorni mancanti!).

La maturità è uno dei capitoli che stiamo per concludere e che allo stesso tempo

rappresenterà l'incipit del capitolo successivo dello stesso libro:la nostra vita. Essa

rappresenterà per ognuno di noi una fine ed un nuovo inizio.Come disse O.Wilde:"Lo

scopo della nostra vita è lo sviluppo del proprio Io";ciascuno possiede capacità, qualità e

sogni da realizzare; la maturià non sarà altro che uno dei tasselli di quell'infinito puzzle che

andrà a rappresentare noi e la nostra persona.

Giulia Falchero

Come disse Isaac Asimov, scienziato e scrittore, " Se la conoscenza può creare problemi, non è con l'ignoranza

che possiamo risolverli ". Per me il significato più profondo della maturità è tutto in questa frase. Durante

questi anni abbiamo imparato a riflettere e non fermarci alle apparenze. La maturità ,quindi, è solo uno dei

tanti gradini della nostra crescita intellettuale, forse uno dei meno piacevoli, perchè per molti di noi sono stati

anni di sofferenza, però dai ragazzini che eravamo, siamo diventati adulti. Con ciò che sappiamo e con ciò che

sapremo tenteremo di plasmare un futuro migliore di questo e non importa quanti tenteranno di farci smettere

di pensare, ora siamo, infatti, in grado di riconoscere l'importanza della conoscenza.

Angela Petrino

Per me la maturità significa l'inizio di un cambiamento radicale

della mia vita, dove sono chiamata a relazionarmi seriamente nei

suoi confronti, senza più scuse.. Insomma LA FINE DI UN

NUOVO INIZIO! Alessia Sottile

L'esame di maturità per me rappresenta l'ultima

tappa di un percorso che per ora ha occupato

gran parte della mia vita. Quindi è il momento

di dare il massimo per finire bene questo

percorso e incominciare altrettanto bene quello

che verrà dopo. Alberto Sarti

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Per me la maturità è come un salto nel vuoto, perchè è la

conclusione di un percorso che ha riempito i miei giorni fino

ad ora. La solita scuola, le solite abitudini, le solite persone

hanno dato a questi 5anni un senso di protezione sia per me

sia per i miei sogni. Ora con la maturità tutto torna così

presente, e tutto così 'rischioso' dal prendere decisioni per il

futuro a lasciar un po' di me su quei banchi e ai miei

compagni di avventura.

Martina Barral

Maturità: 1 parola, 1000

pensieri.

È il punto in cui

smettiamo di essere

adolescenti ed entriamo

nel mondo degli adulti

segnato da quel fatidico

esame

che fa tremar le gambe a

tutti i diplomandi;

è il raggiungimento di

una delle

tante tappe che

compongono

la vita,

quindi non è un punto di

fine ma solo di

inizio!!

Carola Cumer

La Quinta non è un anno come gli altri, bensì è un anno speciale che rimarrà per sempre nel cuore perchè è proprio in quest'ultimo anno

che capisci quanto siano davvero importanti quelle persone che ti hanno sopportato per anni, perchè è proprio con loro che condividi le

stesse gioie, le stesse paure, gli stessi dolori e molto altro. E se per NOI ce voluta una gita di classe per scoprirlo e per unirci davvero, beh

non smetterò mai di ringraziare chi ci ha accompagnato e ha permesso che tutto ciò accadesse. In conclusione auguro a tutti i Futuri

Maturandi un: IN BOCCA AL LUPO!!!! E speriamo che CREPI per TUTTI!!!

Antonietta D’Amato

La VB SPP racconta la sua maturità

La maturita`, per me, e` un po’ come quando arrivi al traguardo di una gara di corsa e, pensandoci, ti rendi conto che in realta` non sei cosi stanca e che avresti potuto correre piu` veloce. Non per arrivare prima di qualcun’altro, ma perche` a ogni gara di corsa il tuo tempo migliora, le gare servono soprattutto a migliorarci, oltre che a vincere. Cinque anni di liceo sono lunghi, faticosi e spesso ci sembrano senza senso; ma sono una grande oppotunita`, per crescere, condividere tante cose

con i tuoi compagni e, soprattutto, conoscere e aprire la nostra mente piu` che mai. Forse perche` il programma di quinta e` davvero coinvolgente, o forse solo perche` ce ne rendiamo conto sempre alla fine delle cose belle, quando siamo obbligati a guardare indietro..e avanti, sta di fatto che con questa maturita`, piano piano, sto arrivando a capire quanto e` importante il liceo, studiare e conoscere. Piu` viviamo a fondo le superiori, piu` abbiamo fiducia in noi stessi, piu` le strade che si aprono dopo la quinta sono numerose, e piu` i nostri sogni diventeranno realta`. Correre e` faticoso, ma ti libera. Sara Innocenti

Personalmente la maturità non mi pesa troppo, nel senso

che non mi angoscia e non mi provoca tantissima paura.

Essa sarà, infatti, un grande passo avanti nella mia vita,

non “il passo avanti “, poiché se lo fosse non mi sentire

più tanto bene… il mio consiglio è di vedere alla

maturità come una grande possibilità, dove conterà si la

propria preparazione, ma anche un grosso quantitativo

di c***.

Davide Alovisio

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Dialogando col primino di Lorenzo Giraudo

Il maturando sta leggendo un saggio critico sul primo Novecento. Ogni tanto, ne sottolinea una parte. Entra il primino, zaino in

spalla.

Prim: Ciao! (Posa lo zaino) Tu sei..?

Mat: …Quello che deve scrivere l’articolo con te, sì! Anche se non ti facevo così giovane… Hai davvero l’età che avevo io quando

facevo prima?

Prim: E davvero io diventerò come te in quinta?

Silenzio.

Prim: Che poi, tu hai capito cosa dobbiamo fare?

Mat: Un dialogo, come quelli di Leopardi!

Prim: Leopardi? Ah, sì… Ma non ha scritto poesie?

Mat: (Con aria da “uomo vissuto”) Aspetta di arrivare in quinta, ha scritto tante cose che non sono poesie… In ogni caso,

dobbiamo parlare della maturità!

Prim: L’esame?

Mat: (Ironico) Lo sai, tu? Gabbio è stato decisamente vago sulla questione!

Prim: Comunque, se si parla dell’esame me ne vado, non ci voglio pensare per nessun motivo!

Mat: Su questo concordo con te…

Prim: Ma piantala, sono sicuro che in quinta non si parla d’altro!

Mat: Per un certo senso è vero, ma ciò non toglie che sia spaventato all’idea di doverlo affrontare…

Prim: Spaventato? Beato te che ci sei arrivato! Io non so nemmeno come finirò l’anno… ho mille verifiche, interrogazioni… E’

tutto così diverso dalle medie!

Mat: Fidati, ti manca ancora qualche anno prima di sapere cosa vuol dire essere davvero impegnati con la scuola!

Prim: Cosa intendi?

Mat: Se ti lamenti di dover studiare qualche ora, cosa farai quando dovrai farlo per giorni interi?

Prim: No, io non farò così: ho una mia vita da vivere!

Mat: E pensi che io avrei voluto passare così tanto tempo sui libri? Spesso non hai scelta, se vuoi passare all’anno successivo…

I due si guardano intorno, pensierosi. Silenzio.

Prim: E’ davvero così difficile?

Mat: (Si volta a guardarlo, ma non parla)

Prim: Senti, sono spaventato anch’io! Mi rendo conto solo ora di quanto stessi bene alle medie: lì era tutto più facile, potevo dare

del tu ai professori, avevo interi pomeriggi liberi… Anche nelle verifiche, davo una lettura veloce e prendevo 10!

Invece adesso sono tutti distaccati, non è tollerata la minima confidenza… e poi ti guardano tutti con quello

sguardo che hai fatto tu…

Mat: (Incuriosito) Quale?

Prim: Quello che sembra dire: “i tuoi problemi sono stupidaggini, pensa che questa è la parte più facile in assoluto, sei già in

difficoltà?”

Mat: Non era mia intenzione giudicarti... Non è un percorso in discesa, ma ci siamo passati tutti…

Prim: Sì ma come ci siete passati? Non voglio che la scuola mi mangi vivo, non ho mai vissuto per studiare! E’ questa la

“maturità” che si raggiunge al liceo? Imparare a sacrificare sempre più la propria vita in favore dello studio?

Mat: (Ridacchia).

Prim: (Sarcastico) Ecco, avevo proprio bisogno di questa rassicurazione!

Mat: Scusa, non ce l’avevo con te… è solo che io penso esattamente le stesse cose riguardo i prossimi mesi!

Prim: Davvero?

Mat: Devi sapere che in cinque anni non hanno mai smesso di dirci che la parte peggiore era davanti a noi… persino in quinta,

ogni volta che diciamo ai professori che siamo in difficoltà ci sentiamo rispondere: “Aspetta maggio…!”

Prim: Vuoi dire che devi studiare davvero ogni volta più di prima? Non hai mai un attimo di riposo?

Mat: Beh… Sì e no…

Prim: Ecco, mi mancava l’indovinello, senti questo: “se le unisci, dividono…”

Mat: No, intendevo che farei volentieri a cambio con te…

Prim: Ed io con te, hai fatto quasi tutta la strada! E’ vero che l’esame è difficile, ma hai fatto quattro anni e mezzo su cinque!

Mat: Ci siamo alzati male o sei sempre così acido? Fammi finire: farei volentieri a cambio con te, ma ciò non toglie che io sia

felice di come sono andati questi anni!

Prim: (Ironico) Molto più chiaro…

Mat: (Riflettendo) Vediamo, come te lo spiego? Ecco, pensa all’esame che hai fatto! Non ritorneresti a fare la terza media?

Prim: Beh, certo!

Mat: Anche se tornandoci dovessi rifare l’esame?

Prim: Alla fine era molto più facile di quello che mi aspettavo!

Mat: Ecco, il liceo è esattamente così! Ogni anno è difficile, più degli altri, ma alla fine se tieni duro ti ritrovi a dire: “Eh, alla fine

pensavo peggio…!”

Prim: Ed è questo maturare? Dire sempre “alla fine pensavo peggio”?

Mat: Tu cosa pensi che voglia dire “maturare” all’interno del liceo?

Prim: (Spiazzato) Beh…

Mat: Come ti vedi tra cinque anni?

Prim: Più bravo nel parlare, più disinvolto… Vedo che i professori vi trattano quasi da loro pari… Mi vedo meno bambino, ecco!

Continua a pag seguente

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Merlo: “Quali altre forze fisiche conoscete, ragazzi?”

Studente: “La forza dell’amore!”

Merlo: “ La forza dell’amore che è inversamente proporzionale con la forza dell’ attrazione!”

Boasso: (dopo che le è suonato il cellulare) “Ah, quando le mie amiche mi chiamano e mi chiedono <Ma stai lavorando?>. No

guarda, smacchio leopardi.”

Long: (durante la correzione dei compiti) “Siete tutti d’accordo? L’avete fatta tutti così? Allora è sicuramente giusta”

Boasso. “C’è un vecchio detto secondo cui bere vino rossa fa bene alla vista. E’ vero: dopo vedi doppio!”

Merlo: “Io non capisco questo strano fenomeno fisico per cui quando insegno nella A, la A è più indietro della B, quando insegno

nella B, la B è più indietro della A..” )

Merlo: (Spiegando il moto circolare) “Avete presente le giostre per i bambini piccoli? Sapete, quelle con il cavallo, la tazza..che

girano in tondo? Beh, ecco, zitti, perchè io sicuramente me ne intendo più di voi, perché ho una figlia di sei anni!”

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Continua da pag. precedente

Mat: Abbiamo appena visto che, in fondo, abbiamo le stesse paure riguardo al futuro: non è che si cambia in modo così

radicale…

Prim: Ma comunque si vede che tu sei più grande!

Mat: Alla fine dell’anno sarò solo il primino di un’università!

Prim: Cosa vuoi dire? Che questi cinque anni ti riempiono di nozioni e basta?

Mat: No, anch’io mi sento molto cambiato…

Prim: In cosa?

Mat: Non lo so!

Prim: (Di nuovo ironico) Bello: essere maturi vuol dire non sapere in cosa si è maturati!

Altro silenzio.

Mat: Un po’ scontata come conclusione…

Prim: Sì, ma devo andare! (Si rimette lo zaino in spalla)

Sei simpatico in fondo, sarei stato ancora a parlare, ma anche se tu dici che la prima è un paradiso, ho da

studiare!

Mat: Ed io devo preparare la tesina…

Prim: Ripeto: quanto vorrei essere nei tuoi panni… Scrivere qualcosa, al posto di studiare mille cose a memoria…

essere maturi… La prima è un inferno!

Mat: Non lo metto in dubbio!

Prim: (Sta per andare, ma si ferma interrogativo) Scusa, se è un inferno perché vorresti tornare in prima?

Mat: Io non ho mai detto che se potessi, tornerei indietro: questo l’hai detto tu sulla terza media!

Prim: E’ tutto quel discorso sulla facilità, sullo studio che diventa maggiore, la strada in salita…?

Mat: In prima stavo meglio, avevo più tempo libero, avevo alle spalle meno delusioni… Ma con le delusioni ho anche

fatto molte esperienze che mi porto dietro, e mi vanno bene così come sono! Sono contento di essere

arrivato qui…

Prim: (Con un gesto di stizza) Bah, prima mi dici che la prima è più facile, poi mi dici che non torneresti indietro… In

questo sì che siamo diversi! Se potessi io tornare indietro alle medie…

Il primino esce.

Mat: Che sia questa la maturità?

Torna a leggere e sottolineare.

Ok, ho finito. Non so da dove mi sono uscite questa quattro pagine, ma ho finito. Un dialogo difficile, soprattutto perché

non si ha voglia di parlare di maturità in quinta, figuriamoci in prima… Non era questo che avevo in mente all’inizio!

In effetti, anche questa introduzione sta prendendo una piega tutta sua: come l’intervista iniziale si è trasformata in un

dialogo inventato, queste righe si trasformano in un “angolo ringraziamenti”! Va bene, si vede che in fondo vogliono

essere un angolo ringraziamenti, non soffochiamole nelle loro ambizioni… Grazie soprattutto a Mirella Marcellino e

Sara Simonte, della IV A ginnasio: la conversazione avuta con loro mi ha ricordato molte cose della vita in prima! Spero

di aver capito bene anche il loro stato d’animo. Poi ringrazio il mio compagno di classe Stefano Gualtiero, che mi ha

fatto da “tecnico” e ha anche tirato fuori dalle due primine alcuni spunti interessanti. Tre persone soltanto, ma tre

persone che andavano ringraziate!

Bene, ed ora che anche i ringraziamenti sono fatti, non mi resta che augurare un grosso in bocca al lupo a tutti i

primini, per i quattro anni e qualche mese di Porporato che restano, e a tutti i maturandi, presenti e futuri, per “quella

cosa che è meglio non nominare”. Quando ci sentiamo un po’ stressati o sommersi, pensiamo a chi sta affrontando sfide

più ardue della maturità: forza Irene!

Lorenzo Giraudo, III A Cl

Ipse dixit

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Manca poco ai fatidici giorni della paura, i giorni che tutti gli studenti temono e attendono fin dal primo

giorno della prima superiore, quando per la prima volta varcano la soglia della scuola secondaria, ultima tappa

dell'istruzione obbligatoria. Questi giorni sono quelli dell'esame di maturità. Tutti, chi più chi meno, sanno

come si svolge questo esame in Italia, ma a nessuno è mai venuta la curiosità di sapere cosa accade negli altri

paesi europei alla fine degli studi superiori?

Sicuramente almeno gli studenti del linguistico, alcuni dei quali stanno prendendo parte al progetto Esabac,

sono già a conoscenza di come si svolge la maturità in FRANCIA. Ma vediamolo nei dettagli. La maturità

francese, il Baccalauréaut, comunemente anche chiamata “Bac”, viene svolta alla fine degli ultimi due anni.

L'esame francese può essere paragonato a quello italiano, con la differenza che in Francia le scuole superiori

hanno la durata di tre (liceo generale e tecnologico) o quattro anni (liceo professionale o tecnologico). Le

sezioni delle superiori francesi sono principalmente tre: L (Littéraire: paragonabile al liceo classico italiano),

ES (Economique et Social: sezione specializzata in economia e sociologia) e S (Scientifique: paragonabile al

liceo scientifico italiano).

Tutte le prove sono generalmente programmate per il mese di giugno e si comincia sempre con le materie

facoltative (che variano a seconda del liceo scelto e a seconda dello studente) e in seguito vi è filosofia, che è

presente in ogni ciclo di studi. Alla fine della première, il penultimo anno, si sostiene la prova di francese,

scritto e orale, per le tre sezioni, più biologia per gli ES e matematica e scienze per gli L. Alla fine della

Terminale, cioè l'ultimo anno, viene sostenuto l'esame in tutte le altre materie. Il voto finale è espresso in

ventesimi e in più vengono assegnate delle “mentions” a seconda della classe di voto sopra la sufficienza. Tra

12 e 14 è Assez Bien, tra 14 e 16 è Bien, tra 16 e 18 è Très Bien, può tuttavia essere aggiunta anche una nota di

“félicitations du jury” per coloro che hanno ottenuto una media superiore al 18. Il Bac è la sola prova

necessaria per accedere all'università, anche se non alle prestigiose Grandes Écoles, alle quali si accede con un

esame di ammissione e dopo un ulteriore anno di preparazione.

In GERMANIA l'esame di maturità è invece chiamato Abiturprüfung e viene svolto alla fine del ciclo di studi

superiori, il “Gymnasiale Oberstufe”, che dura tre anni. Durante il corso degli studi, gli alunni devono studiare

determinate materie obbligatorie, tuttavia possono anche scegliere alcune discipline e crearsi un piano di studi

personalizzato nell'ambito dei corsi offerti, che sono rappresentati dalle seguenti aree disciplinari:

Lingue, letteratura e discipline umanistiche (es. tedesco, lingue straniere, arte, musica)

Scienze sociali (es. storia, geografia, filosofia, studi sociali/politica, economia)

Matematica, scienze naturali e tecnologia (es. matematica, fisica, chimica, biologia, tecnologia e

informatica)

I corsi si suddividono in corsi di base (Grundkurse) e corsi avanzati (Leistungskurse). I corsi di base (3 ore

settimanali) offrono agli alunni un’istruzione generale, i corsi avanzati (5 o 6 ore settimanali) sono organizzati

in modo da offrire una specializzazione nelle varie materie, in previsione degli studi universitari, e forniscono

pertanto un’istruzione di tipo più approfondito. Gli alunni devono scegliere

Continua a pag. 23

MATURITÀ: CI TRASFERIAMO ALL'ESTERO?

di Giada Aliverti

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SUPPLEMENTO D’ANIMA Il gruppo di Amnesty International del Porporato

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Campi di volantariato Estate Liberi

Eccoci, siamo quasi giunti alla fine dell'anno scolastico e tutti abbiamo cominciato a pensare alle vacanze estive, io

voglio proporvi un modo alternativo per impegnare un po' di tempo quest'estate.

Ogni anno Libera organizza dei campi di volontariato che si svolgono dove vi sono dei beni confiscati alla mafia. I

luoghi che si posson scegliere son numerosi e ogni campo dura una settimana, la mattina si svolgono i lavori nei campi e

si aiuta in tal modo la produzione di prodotti che poi saranno venduti da Libera terra, mentre nel pomeriggio vengono

organizzati degli incontri formativi. La sera invece è un momento privilegiato per attività ludico-culturali tramite

l'organizzazione di spazi di incontro con le realtà locali. Potrebbe essere un modo diverso per trascorrere una settimana

in compagnia di altri ragazzi e soprattutto per comprendere meglio una realtà con la quale altrimenti non si avrebe modo

di venire in contatto. Partecipare ad un campo di volontariato è sicuramente un'esperienza entusiasmante, dove insieme

ad altre persone che provengono da tutta l'Italia si può dare un contributo concreto alla lotta contro le mafie. Inoltre nel

corso degli anni l'aiuto apportato dai volontari si è rivelato di fondamentale importanza per le cooperative e le

associazioni. La produziuone agricola ha potuto conoscere un aumento proprio grazie a tutti coloro che handeciso di

vivere questa meravigliosa esperienza.

Questi sono alcuni spunti, invito tutti coloro che volessero saperne di più a consultare il sito www.liberapiemonte.it

oppure a leggere il n.109 de "La voce libera" del 19 aprile 2013.

Chiara Perrone

VALUTARE: sono state invitate una psicologa e una sociologa che, dopo aver analizzato i dati dei questionari, hanno

discusso con noi su ciò che è emerso in due serate, la seconda delle quali era aperta anche ai professori delle classi in

cui sono stati distribuiti i suddetti;

AGIRE: ora che abbiamo portato a termine il lavoro, ci sembrava giusto farlo fruttare!

Nelle serate con la psicologa e la sociologa sono state proposte più modalità attraverso cui potremmo coinvolgere un

numero ancora più alto di studenti e professori affinché questi dati non rimangano solo sulla carta, ma possano

informare, sensibilizzare e far riflettere! Le opportunità potrebbero essere i momenti di discussione durante l’anno,

come le giornate di autogestione o assemblee di istituto. Il progetto “agire” –ancora da definire quindi- partirà a

settembre per motivi di organizzazione pratica. Per ora questo lavoro di analisi ci ha permesso di allargare

profondamente i nostri orizzonti facendo emergere che la maggior difficoltà per gli adolescenti di oggi è distinguere

ciò che è immorale, ma magari legale, da ciò che è illegale. Raramente si pensa alla legalità come tema da affrontare in

una discussione o in un dibattito, ma non dobbiamo pensare che sia qualcosa di lontano da noi, perchè dopotutto la

LegaliTe riguarda anche Te!

Sara Andreis

Progetto LegaliTe Legalità.

Abbiamo sempre sentito questa parola, ma sappiamo davvero che cosa

significhi e cosa racchiuda?

A noi giovani delle superiori che frequentiamo la Parrocchia di Piossasco (la

città in cui abito) è stato proposto di aderire ad un progetto riguardante

questo tema. Tale progetto consta di tre parti:

VEDERE: ogni ragazzo appartenente ai gruppi proponeva ai propri

compagni un questionario con domande relative alla Legalità. Siamo così

arrivati a raccogliere PIU’ DI 850 QUESTIONARI compilati da studenti

delle superiori in scuole sparse tra Torino, Orbassano, Pinerolo, Giaveno e

Osasco.

Questo documento era assolutamente anonimo e trattava le situazioni più

disparate: dal pagare il biglietto sul pullman (il 50% dei ragazzi non lo fa), al

domandare la causa per cui, secondo noi, un adolescente compie un’azione

illegale (il 44% delle risposte era “per gioco o noia”), fino a toccare temi più

delicati come quello dell’aborto (“L’aborto è illegale?”);

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Osservare felicità Di Camilla Sutera e Valentina Frencia

intervista a Franco Costa,assistente fisico, preziosa presenza nella nostra scuola.

Cosa ha insegnato a lei assistente all’integrazione scolastica lavorare con gli alunni diversamente abili?

Mi ha insegnato che la debolezza può trasformasi in forza e soprattutto che la diversità è accanto a noi, anzi

siamo noi: spesso abbiamo dei meccanismi di difesa nei confronti di chi è diverso da noi, non solo parlando di

disabilità, e non ci rendiamo conto che la differenza dall’altro è accentuata se noi non siamo in grado di

ascoltarlo. Ho imparato anche che tramite la pazienza e la costanza si può giungere a ottimi risultati.

Quali atteggiamenti lei pensa dovremo adottare noi tutti per far si che non vi sia più un muro tra "normalità" e

"patologia"?

Come ho detto prima attraverso l’ascolto si “entra” in empatia con l’altro e lo si riconosce come individuo;

nell'ascolto le differenze si fondono insieme, perdono la loro assolutezza, e quelli che sono i limiti dell'incontro,

oltre alla paura, la diffidenza, il sospetto e il pregiudizio, possono diventare risorse per riconoscere l’esistenza di

entrambi.

Ascoltare un disabile (ma questo davvero vale per tutti) non equivale solo ad informarsi su di lui, ad atteggiarsi

ad interlocutore attento e distaccato o a dargli attenzioni superficiali ma significa aprirsi al racconto che egli può

fare di sé attraverso gli strumenti che ha a disposizione (e talvolta sono molto duri da decifrare e accettare) per

giungere a comprendere nuovamente se stessi oltre che l’altro: così il disabile non abita tra di noi ma abita con

noi.. Osservando con delicatezza il “mondo” dell’altro ci si può avvicinare davvero. Ecco la differenza tra

patologia e normalità

Qual è la formazione di un assistente all’integrazione scolastica e cosa l'ha spinta a scegliere questo lavoro?

Ci sono due possibili strade per essere un assistente all’integrazione: una è quella universitaria con laurea in

scienze dell’Educazione, l’altra è un intenso corso formativo di un anno come Operatore Socio Sanitario (OSS),

corso che è sostenuto dalla regione e che rilascia un attestato di qualifica riconosciuto a livello nazionale.

L’intervento dell’educatore e dell’operatore OSS è complesso e articolato in quanto esercita quotidianamente un

ruolo di mediazione tra i bisogni degli utenti e le risorse professionali e strumentali messe in campo dalla scuola

e dal territorio. Comporta la capacità di essere flessibile, paziente e in grado di interagire con diversi interlocutori

senza mai dimenticare i confini e le peculiarità del proprio ruolo. Si incontrano situazioni diverse e complesse

che richiedono diverse modalità di approccio, ma un'unica base di partenza è la conoscenza, la professionalità e

la forte motivazione. Senza questi fondamentali ingredienti il lavoro degli operatori si ridurrebbe a una mera

prestazione tecnica, meccanica che, se da un lato potrebbe essere uno strumento di difesa da coinvolgimenti

personali troppo profondi, dall’altro svuoterebbe l’intervento della sua “essenza”. Ricordiamo che lavoriamo con

le persone e per le persone e che và rispettata e mantenuta la soggettività e unicità di ognuno di noi!

Quali sono le sue maggiori soddisfazioni a lavorare con loro?

Osservare la nascita e l’espressione della felicità nella loro vita. In questi anni

ho sperimentato come molti ragazzi che seguo abbiano bisogno e voglia di

vivere la loro adolescenza in modo normale, uscendo la sera con gli amici e non

necessariamente facendo attività strutturate o complesse (per questo hanno già

la scuola, lo sport, il teatro, la palestra ecc..) e andando al cinema, concerti o al

bowling dove operatori, ragazzi disabili e non e amici ecc.. si fondono in

un’unica bella compagnia dove il motore propulsore è il divertimento e il

rispetto delle persone. Vedere che talvolta sorridono per cose piccole, che

magari a me sfuggono, o che si divertono a crepapelle mi rende felice perché

spesso mi sento coinvolto con loro ma soprattutto perché hanno il regale e

naturale dono di prendere la vita con semplicità, senza schemi rigidi o problemi

inutili. Da questo noi dovremmo imparare tanto.

Continua a pag seguente

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Atene, capitale della Grecia, non a caso la quinta più popolosa dell’Unione Europea, raccoglie quasi la metà degli

abitanti dell’intera nazione. Viene ricordata per le sue uniche e svariate caratteristiche: metropoli cosmopolita,

maggiore centro economico, finanziario, industriale e culturale del paese; nota in tutto il mondo per la nascita della

democrazia, per essere stata la sede dell'Accademia di Platone e il Liceo di Aristotele, oltre che aver dato i natali a

Socrate, Pericle, Sofocle e molti altri personaggi importanti dell'antichità. La culla della civiltà occidentale, la nostra

civiltà, quello che oggi siamo.

Dopo quattro anni di duro studio una piccola ma importante conquista per i ragazzi: avere l’opportunità di visitare una

bellissima regione del mondo, ricca di storia. Quella storia a cui tanto si sono dedicati. Sei giorni per ammirare,

osservare e provare a capire la Grecia.

Accompagnati dalle professoresse Cristina Merlo, Daniela Nevache e Paola Ferrero, ci tuffiamo in un viaggio nello

spazio e nel tempo: si parte dal nuovo Museo dell’Acropoli di Atene, il nostro Cicerone è un simpatico e bizzarro

greco, Spiridione. È lui a condurci al Museo Nazionale, dove sono conservate le grandi meraviglie di questa

meraviglia di paese. Vasi, statue, spade, scudi e gioielli che si snodano sulla linea del tempo dal settimo millennio a.C.

sino al quarto secolo d.C. E siamo solo all’inizio; da qui la visita al sito archeologico di Atene, che si erge in tutta la

sua prepotenza sulla città. Superbo, soffocato dalla modernità e dall’inquinamento, il Partenone conferma la sua

imponenza e apre uno squarcio di antichità.

Il viaggio prosegue con la scoperta di siti come Delfi, Olimpia, Epidauro, Micene e Capo Sunio. Paesaggi che

mozzano il fiato. Noi studenti, affascinati, proviamo a immaginare quello che è davanti ai nostri occhi calato nei

secoli del loro splendore, vogliamo sapere e conoscere la vita dell’antica Grecia e degli antichi Greci. E ci proviamo

ascoltando di sera, sull’Areopago, una tragedia di Eschilo, improvvisando una gara di corsa e di lotta nello stadio di

Olimpia.

Sarebbe banale definirla come grande emozione, possiamo però dire che questa esperienza ha insegnato molto e

gratificato il nostro impegno. Ora sappiamo con certezza che il nostro studio non fa pare di una cultura morta: l’antica

Grecia vive attraverso se stessa, attraverso l’arte, il teatro, le opere scritte e giunte sino a noi. Questo viaggio si

conclude a Capo Sunio con una foto delle due classi con la guida Spiridione, che ormai si è affezionato a noi, ai

“giovani piemontesi” che hanno cercato di capire la Grecia.

Elisa, 2A classico Continua da pag. precedente

Lei, data la sua esperienza, pensa che realmente i ragazzi diversamente abili siano inseriti in un contesto scolastico che permetta

loro di esprimersi al meglio?

La scuola, in quanto sistema di relazioni, ha in sé, soprattutto per i diversamente abili, enormi potenzialità; basti pensare come la

collaborazione, il confronto, l’interazione, gli obiettivi comuni tra le diverse figure professionali e i ragazzi possono trovare e

sviluppare le strategie migliori per permettere al ragazzo di crescere nella sua diversità, stimolando e attivando in lui la maggiore

autonomia possibile. Il minore diversamente abile, a modo suo, con i suoi limiti e difficoltà, “sa” molte cose, ha e fà esperienza

del proprio corpo, della realtà che lo circonda e ha delle modalità personali di conoscenza dell’ambiente, di sé e degli altri, oltre

che personali modalità di comunicazione.

A volte ciò è sottovalutato, cioè l’attenzione è posta solo su quello che il ragazzo non può essere o non può fare rispetto ai ragazzi

normodotati mentre l’aspetto della relazione tra le persone è fondamentale perché ciò tocca la sfera delle emozioni, della fiducia.

A scuola il ragazzo disabile, come gli altri, si trova a incontrare e conoscere una nuova immagine di sé e a fare nuove esperienze

ma per lui il percorso di riconoscimento è particolarmente complesso e sofferto, determinante per la vita futura. La scuola, allora,

è forse il luogo dove meglio di ogni altro il ragazzo può porre le fondamenta per uno sviluppo armonioso delle proprie

potenzialità tenendo conto dei propri tempi di sviluppo personali (e qui il ruolo dell’operatore in concomitanza con l’insegnante è

fondamentale) ma anche della capacità di comprensione e di elaborazione di competenze diverse. Le relazioni che si instaurano

nella scuola si sovrappongono, si intrecciano e si influenzano vicendevolmente dunque nel lavoro con la classe la nostra figura

professionale si fa da mediatrice fra la realtà del ragazzo con handicap e i compagni, attraverso il coinvolgimento di tutte le

componenti della scuola, in modo che il processo diventi relazione significativa fra più soggetti e quindi un’occasione di crescita

per tutti. Non solo per il disabile. Credo che questo serva per arricchire ogni alunno per dare l’opportunità a tutti di imparare dagli

altri, di occuparsi degli altri e di acquisire inclinazioni, abilità e valori necessari per sviluppare l’autostima e il rispetto di sé e

degli altri. La via che porta all’integrazione è quella di fare agire il più possibile i soggetti disabili insieme ai loro compagni di

classe, in modo che l’operare degli uni influenzi e condizioni quello degli altri e che ciascuno possa riconoscersi soggettivamente

competente e oggettivamente importante per la comunità.

L’integrazione del disabile nella scuola riguarda tutti e non solo la professionalità dell’educatore e dell’operatore. Il lavoro che ho

svolto finora mi porta a concludere che nel tempo la sensibilità dei giovani verso l’altro si è approfondita e che il disabile si sente,

a sua volta, sempre più spesso parte di una classe e della vita sociale stessa in maniera naturale e serena.

Il classico del quarto anno vola in Grecia

Un viaggio agli inizi della storia d’Europa

Grecia, 2 marzo 2013.

Le classi 2A e 2B del liceo classico si aggirano per le strade di Atene.

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Sono Ricardo Paolo Caicedo Guijarro, da noi tutti hanno due nomi e due

cognomi, per essere originali diciamo. Sono da Quito, l'ombelico del mondo,

Ecuador e da otto mesi vivo in Italia. E mi fa tantissimo piacere spiegare da dove

vengo, per chi non lo sa, 2800m di altezza, la città "Fidanzata di Dio", paese dei

quattro mondi: montagne di 6400m, paradisi al Pacifico, la più grande foresta

Amazzonia, e le isole Galapagos origine delle specie.

La prima volta che sono venuto in Italia avevo otto anni, ora dieci anni dopo, direi che sono ancora

innamorato. E non capirete mai quanto bello è svegliarsi e sentire la più appassionante lingua del mondo,

l’italiano. Anzi, è così bella che anche riesci a sopportare tutte le prese in giro mentre l'impari.

L'Italia è piena di stereotipi, la cultura, il mangiare, la religione, l'arte, la storia, il calcio, e confermo tutte le

loro bellezze. Ma il forte dell'Italia sappiamo che è la storia, è stata uno dei pilastri di ciò che ora siamo, ma

ci sono anche tanti altri posti con la stessa o ancora una più grande storia ma non riescono ad avere la stessa

importanza dell'Italia, perché? E prima che scada il mio visto arrivo alla risposta: tutta è colpa vostra, colpa

di questo potere che avete di italianizzare ciò che toccate, anzi, la colpa è del mondo perchè vi crede.

Sia nell'Africa come nella Cina un caffè ha lo stesso gusto, ma un espresso italiano non ha paragone. Forse

era la stessa acqua, lo stesso caffè e la stessa caffettiera ma berlo in Italia "non ha prezzo".

Ormai mi restano pochi giorni qua però ci sono cose che solo da queste ordinate geografiche si riescono a

vedere. In questo anno ho visto il crollo economico, le dimissione del Papa, le elezioni presidenziali, ho visto

tre papi, due volte Napolitano e la Juve fuori della Champions. Mi dicono che ho beccato l'anno giusto, e la

penso proprio così perché se fossi venuto un altro anno non avrei trovato delle persone che ho trovato in

questi 300 giorni di soggiorno.

Mi sono abituato al freddo, ad andare a Messa, a mangiare "bio", a prendere la minestrina ed a passare

interrogato, cose che non avevo mai fatto e non sono tanto piacevoli (secondo me, specialmente quell'ultima).

Conosco tanti paesi, ho avuto la fortuna di girare un po' per il mondo, ma mi sento con più fortuna per aver

girato l'Italia in questo anno, ora conosco tanti altri paesi ancora più carini (tutti quelli che finiscono con

ASCO) è potrei affermare che non c'è niente come qua.

"Un anno per potenziare la lingua" questa è stata la scusa per godermi un anno style Italia, e dopo questa

esperienza non potrò mai paragonare queste due vite che sono vissuto. Sono troppo diverse, il divertimento

soprattutto, non è lo stesso e non puoi troglier il ballare a un sudamericano. Quindi l'Italia ha il suo incanto

però uno sempre torna alla sua patria'. Spero non offendere nessuno come quando si sono offesi parlando di

politica, e rimarrò dritto in ciò che penso. Non è vero che più critichi meglio è. Di quelli che ho sentito

lamentarsi nessuno è esperto politico che io sappia. E pensate, non ha senso lamentarsi di corruzione mentre

anche voi stessi siete corrotti. Quando non mettete un'ora in più sul disco parcheggio, quando viaggiate senza

un biglietto, quando non pagate le tasse, ecc. È la stessa corruzione della quale vi lamentate sempre ma a

livelli più bassi.

Riassumendo, l'Italia, secondo me è poco valorizzata, poco salvaguardata e comunque, ancora meravigliosa.

Forse siete troppo bene abituati ad avere un pezzo storico in ogni angolo, perchè avete un'antichità gloriosa e

un presente complesso. Ma state tranquilli che anche ì più grandi a volte scivolano, e se cadete, avrete sempre

un nido sotto i piedi, il nido di centinaia di eroi, di sconfite vinte, di opere d’arte.

Nonostante il mio obiettivo fosse imparare l'italiano, accidentalmente sto portando via con me il piacere e

l'onore di aver conosciuto persone squisite, nomi che si sono inseriti nel mio destino, facce che non potrò mai

cancellare, momenti condivisi che non saranno mai dimenticati. Consiglio tutti di fare uno scambio, è una

esperienza unica ma ci vuole coraggio. È un'opportunità in cui cominci un'altra vita, nasci senza conoscere

nessuno, cresci assaporando ogni secondo, muori quando devi tornare.

Ringraziando vi saluto e sono sicuro che non è un addio. Ormai ho l'Italia nel sangue e gli italiani nel cuore.

A presto.

Paolo Caicedo Guijarro

Dall’ombelico del mondo Paolo, ecuadoregno in Italia, si racconta

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Artisti e campioni tra noi “Se si vuole portare a termine una cosa, niente e nessuno può

impedirtelo!”. Intervista a Federica Tarsia.

In questo numero di Onda d'Urto vi proponiamo l'intervista a Federica Tarsia, giovane promessa del

basket.

-Come e quando hai iniziato a giocare a basket? Da piccola andavo a vedere qualche partita di mio fratello, che giocava anche lui a basket, e tutti

chiedevano ai miei genitori perché non portavano anche me. Così all'età di sette anni mi sono

appassionata a questo sport, anche se con il mio primo tiro a canestro non avevo beccato neanche il

ferro, ma questo è un altro discorso.

-In che squadra giochi? Il basket è uno sport molto conosciuto in queste zone?

Da circa sette anni gioco nella Pallacanestro Torino, anche se prima ho fatto un po' di esperienza con una

squadra maschile e poi con una squadra femminile di Collegno.

Dipende sempre dalle zone, perché io gioco in una squadra di Torino e nei dintorni vi sono comunque

altre squadre, quali per esempio il Moncalieri. Altrimenti le altre squadre provenienti da posti più lontani

come Bra oppure Cuneo.

-Quante volte ti alleni a settimana? Riesci a conciliare lo sport con le ore di studio?

Solitamente mi alleno dalle tre alle quattro volte a settimana e in più al sabato o alla domenica ho la

partita. Quest'anno sono entrata a far parte anche di un campionato di A3 nazionale e quindi sono

aumentati gli impegni e le ore in palestra, ma con la scuola non è mai stato un grande problema. Sono

dell'idea che se si vuole portare a termine una cosa, niente e nessuno può impedirtelo, bisogna solo avere

voglia e uno spirito positivo. Piuttosto evito di andare a fare il “pisolino” dopo pranzo, così riesco a

terminare lo studio prima di andare ad allenamento.

-Quali sono le caratteristiche che deve avere un buon giocatore di basket?

Un buon giocatore di basket deve, secondo me, avere talento, un buon fisico, una certa altezza e

soprattutto avere cuore e determinazione per aiutare i propri compagni nei momenti di difficoltà. È

questa la differenza tra un buon giocatore e un giocatore di talento e basta.

-Hai un modello da cui prendi spunto?

Mi piaceva molto il modo di giocare di Michael Jordan, tutt'oggi invece un giocatore che ammiro è

Kobe Bryant. Egli gioca nei Los Angeles Lakers, con i quali ha conquistato cinque titoli NBA.

-Hai aspettative per il futuro? Punti a qualche risultato in particolare?

Ora come ora non ho aspettative per il futuro, cerco solo di sfruttare tutte le occasioni che mi si

presentano e di trovarne il lato positivo. Di risultati credo di averne già ottenuti, come ad esempio essere

chiamata nella nazionale di basket femminile della mia età e aver rappresentato come singola giocatrice

l'Italia, in un camp in Slovenia.

Adesso cerco di giocare al meglio per la mia squadra e poi si vedrà.

Giada Aliverti,

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La politica e l’arte (continua da pag 13)

Il mito è la voce di una terra, è portatore di conoscenza e soprattutto è strumento per interpretare la realtà. Ogni popolo in

ogni epoca ritrova nel mito una chiave di lettura per il presente; delle lenti per guardare il mondo, che saranno

inevitabilmente diverse da quelle che hanno adottato le generazioni passate e proprio per questo più utili nel presente. Ma

insieme al mito Theo trova anche dell’ altro, per esempio il teatro e la musica. Decide che tutto ciò dovrà esserci nel

proprio cinema, perché non può percepire né quest’ ultimo, né se stesso a prescindere da tali elementi. “Che cos’ è l’

uomo?” Egli si definisce in una rete di relazioni, in collettività e insomma in società. L’ uomo dunque non può essere

estraneo alla politica, perché la politica è l’ occuparsi della collettività. Ognuno è coinvolto in questo meccanismo e Theo ,

parlando dell’ uomo nei suoi film, non può lasciare da parte proprio questo elemento così importante. La storia, la

collettività, le proprie radici, il mito, il teatro, la musica, la riflessione sul cinema, la politica: tutti questi elementi

diventano ingredienti fondamentali per l’ impasto del film. Da tutto ciò, ad esempio nasce “La recita”, uno dei film più

complessi e corali del regista. La pellicola si articola su più piani: la Storia della Grecia contemporanea (dal ‘36 al ‘52), la

storia di una famiglia e compagnia di attori girovaghi, il mito di Agamennone e della sua famiglia. Tali elementi si

intrecciano e dialogano insieme, formano nodi inestricabili, lanciano domande a cui non danno risposta. I protagonisti del

film sono interpretati da attori che recitano la parte di altri attori; essi riattualizzano il mito degli Atridi, riproducendone la

vicenda e i personaggi, in un continuo gioco di rimandi. Non è facile seguire il nostro regista nel suo cammino, né

immedesimarsi nei protagonisti. Ma Anghelopulos non intende ottenere né l’ una né l’ altra cosa: il suo obbiettivo è quello

di rendere attivo e critico lo spettatore, di fornire degli spunti che portino ad un’ interpretazione personale. Anche per

questo non è suo interesse delineare psicologicamente i personaggi: essi sono “ segni”, portatori di storia e di differenti

ideologie, sguardi politici, riproducono la società in piccolo. Il regista riprende la teoria brechtiana dello straniamento,

secondo la quale per esserci riflessione critica non ci può essere il completo immedesimarsi nei personaggi che si

muovono e agiscono sulla scena. Lo sguardo dello spettatore pertanto deve rimanere esterno, consapevole di sé. Se invece

lo spettatore vive la vicenda emotivamente non è possibile una sua analisi e una fredda rielaborazione dei fatti.

Ne “La recita” presente, passato prossimo e passato remotissimo si amalgamano e interagiscono, diventando una cosa

sola. Non esiste più il fluire del tempo, la sua linearità: i fatti si intrecciano, si pongono in relazione svelando nuovi

significati.

La tecnica cinematografica adottata è singolare, è funzionale all’ obbiettivo che si pone il regista ed è frutto di uno studio

attento del cinema delle origini. La lentezza, il piano sequenza (sequenza senza stacchi di camera) e il silenzio sono le

cifre stilistiche più rilevanti. La lentezza e il silenzio sono il tempo e la condizione della riflessione, per questo

Anghelopulos li adotta.

La sfida lanciata da Theodoros non è semplice, né riposante. Il percorso che ci invita a seguire è invece faticoso, a volte

difficile da decifrare, richiede tutta la nostra partecipazione. Il suo cinema è cosi perché non può essere diversamente,

volendo essere strumento di interpretazione della realtà. E la realtà quasi mai è semplice, facile da comprendere. Proprio

per questo il cinema di Anghelopulos continua ad interrogarci dopo decenni e a chiamarci in causa sempre . Non resta che

accettare la sfida.

Continua da pag. 17

almeno due corsi avanzati, che devono includere o tedesco o una lingua straniera di

livello avanzato, matematica o una materia dell’area scientifica. I voti ottenuti nel

biennio di qualificazione (Qualifikationsphase) vengono utilizzati per calcolare il

punteggio finale dell’alunno, costituito dai voti ottenuti ai corsi e dai voti dell’esame

di Abitur. L'esame si compone di un minimo di quattro e un massimo di cinque

prove, di cui obbligatorie 3 prove scritte e 1 prova orale. La commissione è composta

da un minimo di 3 membri interni, di cui uno deve essere il capo di istituto o il vice

capo di istituto. Se il candidato non supera l’esame, può ripeterlo solo una volta,

dopo sei mesi o dopo un anno. Al superamento dell’Abiturprüfung, i candidati

conseguono il certificato di Allgemeine Hochschulreife, che si ottiene solo con almeno

il punteggio minimo per ogni area. Questa qualifica consente l’accesso a qualsiasi

corso di studi di istruzione superiore.

In INGHILTERRA la situazione è un po' diversa, in quanto prevale la logica delle certificazioni per ogni materia e

non c'è un titolo complessivo. Il corrispettivo del nostro esame di stato è quindi l'Advanced Level, anche noto come

A-Level, che serve per l'accesso alle università. Esso consiste nella valutazione di tre discipline che variano a

seconda dell'orientamento universitario che lo studente intende assumere. Gli esami sono esterni e vengono

elaborati da specifici enti di valutazione e certificazione, tuttavia i crediti relativi agli ultimi due anni incidono per il

20-30%. Dopo tutto questo “spiegone”, quale pensate che sia il Paese migliore dove poter svolgere la maturità? È

forse arrivato il momento di trasferirsi?

Giada Aliverti 3CL

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