per una riforma della scuola

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  • 7/30/2019 Per una riforma della scuola

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    homolaicus.com

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    Prima edizione 2013

    Il contenuto della presente opera e la sua veste graficasono rilasciati con una licenza Common ReaderAttribuzione non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia.

    Il fruitore libero di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico,rappresentare, eseguire e recitare la presente operaalle seguenti condizioni:- dovr attribuire sempre la paternit dell'opera all'autore- non potr in alcun modo usare la riproduzione di quest'opera per fini commerciali- non pu alterare o trasformare l'opera, n usarla per crearne un'altraPer maggiori informazioni:creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/

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    ENRICO GALAVOTTI

    PER UNA RIFORMA DELLA SCUOLA

    Se si vuole riuscire in questo mondo non bisogna essere molto piintelligenti degli altri: bisogna solo essere in anticipo di un giorno.

    Leo Szilard

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    Nato a Milano nel 1954, laureatosi a Bologna in Filosofia nel 1977,docente di storia e filosofia, Enrico Galavotti webmaster del sitowww.homolaicus.com il cui motto Umanesimo Laico e SocialismoDemocratico. Per contattarlo [email protected] pubblicazioni: lulu.com/spotlight/galarico

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    Premessa

    Molti di questi interventi sono frutto di un lungo e intensodibattito svolto in due mailing list: "La scuola" (da tempo chiusa) e"Didaweb" (ancora attivo), diciamo a partire dal 1997, anno in cuisono entrato in Internet, sino a qualche anno fa. Altri articoli invecesono nati negli anni in cui insegnavo all'ITC "R. Serra" di Cesena(1989-99), molti dei quali ritrovati in fondo al cassetto della scriva-nia. Vi si parla ancora delle lire (ricordo che un euro vale 1936 lire e

    che all'aumento del costo della vita, da quando abbiamo cambiatomoneta, non ha certo fatto seguito un aumento proporzionale di sala-ri e stipendi).

    Naturalmente ho scelto le cose che ritengo pi significative eancora di qualche valore. Alcuni di questi documenti - mi piace sot-tolinearlo - si possono trovare nel sito di Dario Cillo, Educazione &Scuola e in quello di Davide Suraci, Territorio & Scuola, nonchnella rivista telematica Tracciati di Antonio Limoncello, coi quali ho

    avuto modo di fare i primi progetti didattici in rete e tante tante di-scussioni su una possibile riforma della scuola.

    In sintesi i punti salienti per una riforma della scuola per merestano i seguenti.

    1. Abolizione del MIUR e sua sostituzione con una gestionedecentrata (da parte degli Enti Locali Territoriali) del comparto dellascuola (a livello comunale per la scuola dell'obbligo e provinciale odistrettuale per le superiori): questo contestualmente al federalismo

    fiscale, altrimenti non ha senso.2. Sostituzione del concetto di "ruolo" con quello di "con-tratto a termine", rinnovabile annualmente, se la dirigenza d'Istituto soddisfatta del lavoro del docente (questo principio vale anche per lastessa dirigenza, in quanto chiunque deve continuamente sottoporreil proprio operato a dei controlli).

    3. Diversificazione sostanziale degli stipendi sulla base del-l'effettivo lavoro svolto e degli impegni assunti.

    4. Sostituzione delle graduatorie con i curricula formativi e

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    titolati che ogni docente presenta agli Istituti che vuole della provin-cia/regione che vuole.

    5. Nessuna obbligatoriet nell'adozione dei libri di testo.

    6. Sostituzione del concetto di "classe" col concetto di "livel-li", sulla base di parametri standard di nozioni e abilit da apprende-re (quindi percorsi diversificati degli allievi sulla base dellecapacit).

    7. No al badandato e s alla selezione.8. Particolare riguardo per la conoscenza del territorio loca-

    le, anzi piena integrazione funzionale tra scuola e territorio.

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    Utoskul. La scuola che non c'

    Non c'era una volta, non c' mai stata,ma forse un giorno di sar

    Premessa

    Nell'isola di Utoskul tutto veniva concepito in manieraAUTO (autonomia, autogestione, autoconsumo). Anche quandoc'era DIPEN, era sempre INTER, per cui nessuno si sentiva SERVdell'altro, nessuno poteva COMAND sull'altro.

    Societ e scuola erano fuse come l'acciaio: l'una (il ferro)non poteva fare a meno dell'altra (la ghisa). Tutta la societ era incostante Educazione permanente.

    I pi anziani insegnavano ai pi giovani, ma nessuno diceva:"Io non ho bisogno d'imparare pi nulla".

    Quello che si trasmetteva era il sapere degli avi, degli antichiabitanti di Utoskul, che col tempo era stato ampliato, perfezionato,ma che, nella sostanza, era rimasto sempre quello, perch era un sa-

    pere umano, a misura d'uomo.Gli abitanti di Utoskul infatti avevano capito che la saggez-

    za, il benessere, la felicit non dipendono dalle cose che si possie-dono, n dal progresso e neppure dal tempo che scorre: dipendono

    solo dalla libera volont degli uomini di vivere nella pace, nell'aiutoreciproco, nell'esigenza di dirsi sempre la verit. Avevano capito chela verit rende liberi.

    Quando in una citt o nel bel mezzo di una campagna dell'i-sola di Utoskul si voleva edificare una scuola, tutti gli abitanti si riu-nivano a Consiglio e discutevano su quale tipo di scuola avessero bi-sogno.

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    Agricoltori, artigiani, operai tutti dicevano la loro: "Io hobisogno di ragazzi che conoscano questo e quello, che sappiano farequesto e quello". Cos dalla scuola non uscivano mai dei ragazzi

    che non sapessero dove andare.La cosa pi bella di Utoskul che tutto quanto dava vita al-

    l'isola, era tenuto sotto controllo. Praticamente non c'erano sprechi:aria, acqua, cibo, materie prime, materie lavorate tutto veniva uti-lizzato per il bene comune. E se qualcuno si lamentava, perch glisembrava d'essere discriminato, subito si convocava un Consiglio

    per discuterne. E una soluzione veniva sempre trovata.Problemi da risolvere ce n'erano sempre tanti, ma nessuno li

    usava come pretesto per dire: "Sono pi bravo io, voi non sapete fareniente".

    Tutta la vita dell'isola era come un grande termitaio: ognunoaveva qualcosa da fare, perch il lavoro dava soddisfazione. Chi era

    bravo, anzi, molto bravo in un'attivit, ne sapeva fare tante altre, per-ch non c'era lo specialista che ne sapeva fare solo una, e quando siaveva bisogno di un esperto, non si stava l a guardarlo, ma ci si met-teva subito al suo servizio, per imparare.

    Gli utoskuliani, anche quando non svolgevano alcun vero la-voro, non stavano mai in ozio: chi dipingeva, chi disegnava, chi suo-nava uno strumento, chi scriveva poesie l'arte era il pi grande

    passatempo della loro giornata. I suoi primi rudimenti li apprendeva-no a scuola, oltre che in famiglia, perch la scuola cominciava ad es-sere frequentata molto presto, praticamente subito dopo lo svezza-mento.

    La caratteristica tipica di Utoskul era che la scuola non fini-va mai. Di tanto in tanto, infatti, gli utoskuliani tornavano sui banchi

    per imparare cose nuove; anzi, molti di loro tornavano a scuola noncome studenti, ma come insegnanti Siccome da adulti avevanoimparato cose abbastanza particolari, stavano l uno o due anni a in-segnarle, finch gli abitanti dell'isola non le avessero apprese.

    Il sapere, la scienza, la tecnologia, la cultura, l'arte si tra-smettevano senza sosta e tutti potevano essere maestri e discepoliallo stesso tempo, gli uni degli altri. La scuola metteva a disposizio-

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    ne di chiunque lo volesse, laboratori, attrezzature, libri, tutti i mate-riali necessari a svolgere un lavoro didattico.

    Praticamente la scuola era sempre aperta, giorno e notte. Per

    questo motivo tutti erano interessati a sostenerla, a potenziarla, a in-centivarne l'uso. La scuola era di tutti i cittadini che avessero qualco-sa da insegnare o da imparare.

    Poich gli abitanti di Utoskul consumavano ci che produce-vano, non avevano bisogno di frequentare gli abitanti di altre isole,

    per, siccome erano molto curiosi, spesso organizzavano feste, mer-cati, gemellaggi, scambi di esperienze Infatti, erano convinti diaver sempre qualcosa da imparare Volevano sentirsi liberi, ma sa-

    pevano far tesoro dell'esperienza altrui.Questi rapporti erano cos amichevoli che quando, per un

    motivo o per un altro, si era costretti a dipendere per certe cose dallaproduzione altrui, nessuno metteva in discussione che dovesse esser-ci un vantaggio reciproco.

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    Quale scuola, quale cultura

    Differenze tra pensiero scientifico e pensiero empirico

    All'inizio degli anni Trenta, i professori di psicologia dell'U-niversit di Mosca, L. Vigotsky e A. Luria, organizzarono una spedi-zione nell'Asia centrale sovietica, al fine di verificare sperimental-mente l'idea secondo cui le funzioni psicologiche superiori dell'uo-mo, mediate da simboli, sono determinate non dalla natura ma dallacultura, e per questo evolvono con i mutamenti culturali.

    Vigotsky e Luria studiavano il modo di ragionare, la memo-ria e l'autoconsapevolezza delle persone che avevano avuto contatticon le forme collettive di lavoro e con l'educazione scolastica appenaintrodotta dallo Stato sovietico in quelle regioni.

    I risultati di queste ricerche (pubblicati nel 1974) conferma-rono la suddetta ipotesi, ovvero che l'educazione e l'istruzione scola-stica non soltanto offrivano delle conoscenze, ma modificavano an-

    che i processi di apprendimento. Gli studi sperimentali dimostraronoanzi che proprio l'istruzione scolastica rappresentava il fattore cultu-rale pi potente in questa formazione della personalit.

    Le differenze nei modi di pensare fra soggetti aventi una me-desima origine culturale, frequentanti o meno la scuola, si rivelarono

    pi grandi di quelle riscontrate fra soggetti che non erano andati ascuola e che appartenevano a culture diverse di diverse parti delmondo.

    Prima di spiegare la causa di questo fenomeno, citeremo unnoto esempio di Luria, sul concetto di "differenza" nel modo di pen-sare influenzato dalla scuola. Un problema sillogistico, estremamen-te semplice dal punto di vista di ogni membro della societ "moder-na", venne posto allo studente: "Due persone x e y devono il t sem-

    pre insieme; x lo sta bevendo adesso; lo beve anche y o no?".Lo studente non doveva solo rispondere ma anche offrire

    una spiegazione. Ora, stato stabilito che la maggioranza degli alun-ni di 6 anni frequentanti le scuole materne, risolvono problemi di

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    questo genere correttamente, mentre i soggetti adulti che non sonoandati a scuola danno risposte affermative o negative in modo al-quanto arbitrario, appellandosi ad ogni sorta di circostanza che non

    figura minimamente nel problema posto.Alcuni p.es. dissero: "No, forse y non ancora tornato dalla

    caccia"; "No, perch ieri possono aver litigato", e cos via. Non solo,ma se la realt descritta nel problema non familiare all'interrogato,questi rifiuta addirittura di rispondere. Bastano tuttavia uno o dueanni perch qualunque persona di qualsiasi origine culturale arrivi arisolvere problemi di questo tipo, esattamente allo stesso modo incui li hanno risolti tutti coloro che sono passati per un'educazione

    scolastica.Perch dunque la scuola modifica il pensiero? Qui le ipotesi

    sono due. Stando alla prima, il fattore decisivo sarebbe l'insegna-mento dellascrittura. Il discorso scritto, ove le parole sono impiega-te al di fuori del contesto materiale e servono non solo come mezzoma anche come oggetto dell'attivit, genera necessariamente il pen-siero astratto e rende possibile delle operazioni con i concetti.

    S. Scribner e M. Cole verificarono per la prima volta questa

    ipotesi studiando il popolo VAI della Liberia. Di regola, personeprovenienti da culture cosiddette "tradizionali" (precapitalistiche),assimilano simultaneamente la scrittura e il sapere scolastico, per cui impossibile stabilire il ruolo preciso della scrittura (quale fattoreseparato) nella trasformazione del loro modo di pensare.

    Il popolo VAI invece possiede la sua propria scrittura cheapprende in famiglia, in seno alla cultura tradizionale, e questo inse-gnamento non accompagnato da un sapere scolastico. Tale circo-stanza permetteva di studiare l'influenza della scrittura sul pensiero"allo stato puro". Ma l'ipotesi non venne confermata. S' dimostratoinfatti che l'assimilazione della scrittura non in se stessa un fattoreche trasforma il pensiero. I risultati ottenuti tra i VAI letterati o illet-terati non si distinguevano sostanzialmente gli uni dagli altri.

    Stando invece alla seconda ipotesi, il pensiero si modifica ascuola perch il sapere che vi si assimila di fatto un sapere scienti-

    fico e i problemi ad esso correlati sono di natura differente, rispettosia alle conoscenze diffuse nelle culture tradizionali, sia ai problemi

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    Questa ipotesi stata parzialmente confermata nel corso di

    esperienze effettuate da P. Tulviste e V. Shestakov nel 1977, in unascuola del villaggio di Volochanka (Taimyr), coi ragazzi Nganassa-ni.

    Qui bisogna partire dal presupposto che i problemi scolasticinon possono, per principio, essere risolti nel modo in cui gli apparte-nenti alla cultura tradizionale cercano di risolverli. Quando sono ingioco dei problemi scolastici, occorre partire dai dati offerti dal pro-

    blema in oggetto, per poi verificare la corrispondenza fra i risultati

    ottenuti e le relative premesse, lasciando perdere la realt vera e pro-pria. Sarebbe d'altro canto impossibile costruire una teoria scientificadovendo ogni volta verificare ciascuna tesi sulla base della realt. Leregole sono semplicemente quelle della deduzione.

    L'esperienza ha dimostrato che il pensiero scientifico impar-tito a scuola funzionale alla soluzione di problemi scolastici e cheesso appare per la prima volta presso quei ragazzi che nell'ambitodella scuola non devono usare il buon senso n conoscenze supple-

    mentari della realt descritta nel problema. Il pensiero insomma vie-ne dalla scuola modificato perch cambiano i problemi che vi si de-vono risolvere. Il pensiero appare per "concetti scientifici" ed assaidiverso da quello "empirico", per nozioni cosiddette "quotidiane".

    Il tratto caratteristico che i concetti possono essere definiti,che possibile prendere coscienza delle operazioni del pensiero, che possibile verificare la correlazione fra premesse e conclusioni inmodo logico-formale (cio astraendo dalla realt) e sulla base dellastessa realt, per verificarne la veridicit. Si ha insomma coscienzadello svolgimento del pensiero e la possibilit di verificarlo.

    I cambiamenti che avvengono nel pensiero, prodotti dall'i-struzione scolastica, possono essere interpretati diversamente. Se-condo un'opinione si tratta soltanto di uno sviluppo "ulteriore" del

    pensiero lungo una singola direzione, che presupposta dalle facoltereditarie.

    Sotto tale aspetto, il pensiero di individui appartenenti allesociet tradizionali, non andati a scuola, pu essere considerato

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    co e le differenze non riguarderebbero che il grado dello sviluppodel pensiero.

    A questa interpretazione si oppone quella elaborata da A.Leontiev, secondo cui la formazione e lo sviluppo del pensiero ver-

    bale, cos come di altri processi psichici superiori, sono determinatenon da fattori naturali, ma dall'attivit dell'uomo. Di conseguenza, il

    pensiero di individui scolarizzati, cos come quello di chi a scuolanon mai andato, deve essere spiegato dalle caratteristiche dei pro-

    blemi che a loro occorre risolvere, in relazione alle diverse attiviteconomiche e culturali.

    Secondo questo punto di vista, il pensiero degli uomini dicultura tradizionale corrisponde non a un grado inferiore di sviluppo,ma a tipi particolari di attivit e ai problemi connessi a tali attivit.Un uomo cio pu essere stupido in un determinato ambiente e mol-to intelligente in un altro.

    Sia come sia, fuor di dubbio che non si pu considerare il

    pensiero scientifico appreso a scuola come il miglior modo di risol-vere tutti i problemi posti di fronte a noi. anzi ragionevole suppor-re che i tipi di pensiero esistenti nelle culture tradizionali e che sono(proprio come il pensiero scientifico scolastico) il risultato di un lun-go sviluppo culturale, favoriscono, meglio del pensiero scientifico,le attivit pi diffuse in quelle culture.

    Lo dimostra il fatto che persone che hanno frequentato perun periodo pi o meno lungo la scuola e che sono poi tornate alleloro attivit economiche e culturali tradizionali, poste di fronte alcompito di risolvere problemi sillogistici del tipo visto sopra, hannodato risultati molto vicini a quelli ottenuti da persone che non aveva-no mai frequentato la scuola. Ci in pratica significa che il modo co-siddetto "teorico" di risolvere i problemi era stato quasi completa-mente dimenticato e per la semplice ragione ch'esso non era di alcunaiuto alla soluzione dei problemi della comunit tradizionale.

    Si pu addirittura pensare - stando all'esempio gi visto delt - che le risposte date da quelle persone "non istruite" erano molto

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    Non forse giusto pensare che la realt, quella vera, carica di ecce-

    zioni alla regola?Nelle scienze le eccezioni sono mal tollerate, poich esse

    smentiscono sempre il principio generale. Ma nella vita quotidiana ilprincipio non viene affatto smentito dalle eccezioni. Dove vi dun-que maggior progresso, nel sapere "scientifico" o in quello "empiric-o"? Com' possibile che la scienza consideri "scorrette" risposte cheil buon senso ritiene "corrette"?

    Ci ovviamente non significa che il pensiero scientifico an-

    drebbe abolito. Sarebbe sufficiente, elaborando i programmi scola-stici, non partire soltanto dal prestigio di cui la scienza gode nell'at-tuale cultura europea, ma anche dai tipi di attivit economica e cultu-rale cui le persone delle societ tradizionali vogliono dedicarsi dopoaver terminato la scuola.

    Non possiamo insegnare la logica facendo perdere il buonsenso, o insegnare l'astrazione facendo perdere il senso della realt.N la scuola ha il diritto di sottrarre il giovane all'istruzione domesti-

    ca necessaria per assimilare le attivit tradizionali. Il giovane devecertamente essere messo nella condizione di scegliere la sua futuraprofessione, ma non nella condizione di avvertire la propria culturadi origine con un senso di vergogna o di inferiorit.

    L'educazione tradizionale dei giovani (si pensi a certi am-bienti rurali o di montagna), a differenza dell'istruzione scolastica, spesso non-verbale. Cos, per restare all'esempio di prima, presso i

    Nganassani sovietici, un adulto non pu spiegare a un giovane per-ch bisogna transumare in una data direzione e non in un'altra. Oc-corre avere esperienza. L'apprendimento di numerose attivit tradi-zionali avviene solo stando insieme con gli adulti.

    Occorre dunque riservare una parte del tempo scolastico aquesto scopo, educando gli stessi genitori a concepire la scuola noncome un luogo di parcheggio o di mero sapere mercificato da utiliz-zare, un domani, sul mercato del lavoro, ma come un ambito di cul-tura generale sull'uomo, in cui vi sono nozioni specifiche da impara-re (astratte e concrete) e modalit di comportamento funzionali alle

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    diverse situazioni e problemi da affrontare.Non ha dunque senso rimpiazzare il pensiero "non scientifi-

    co" (col quale molti giovani entrano nella scuola, anche se oggi nelle

    societ avanzate il pensiero scientifico dominante ha permeato di sogni struttura sociale) con quello razionale, astratto e logico-formale.

    Non ha senso distruggere il sapere tradizionale (si pensi p.es. ai dia-letti o alla medicina basata sulle erbe o ai proverbi popolari), sosti-tuendolo con un sapere che, solo perch nuovo, ritenuto anche "mi-gliore". Lo sviluppo storico e, nella scuola, la ricerca pedagogica do-vrebbero invece indurre a cercare delle integrazioni culturali, per unarricchimento reciproco.

    Peraltro la stessa apparizione del pensiero scientifico nonabol ipso facto tutte le arti, le ideologie, le religioni ecc., in quantole funzioni di quest'ultime nella cultura non coincidono affatto conquelle della scienza. Non solo, ma spesso ci che appare "falso" peril pensiero scientifico, pu essere "vero" per il pensiero artistico.

    Nella poesia e nella prosa, p.es., s'incontrano spesso espressioni ditipo animistico, cio oggetti inanimati dal punto di vista scientificosi tramutano come per incanto (si pensi alla "luna" del Leopardi) in

    esseri metafisici, cosmici, sovratemporali.Ci significa che nella sua essenza la cultura presenta mol-tissimi aspetti trasversali alle varie realt sociali e che si tratta unica-mente di spiegare la diversit delle sue manifestazioni. Ogni essereumano partecipa a pieno titolo a diversi tipi di attivit e non possiedeun tipo unico di pensiero. La scuola non pu e non deve modificarela totalit del pensiero, tanto meno sotto una pretestuosa contrappo-sizione di "vecchio" e di "nuovo".

    Non si pu ovviamente pretendere che p.es. il folklore con-servi nella cultura moderna l'importanza che aveva nel passato, tutta-via chiunque ha il diritto-dovere di conoscere le sue origini, di con-servare la portata culturale delle tradizioni di appartenenza. O vo-gliamo forse arrivare a quella situazione assurda per la quale la ri-scoperta delle culture tradizionali (si pensi p.es. a quella degli india-ni d'America) avverr quando di queste culture non sar rimaste nep-

    pure l'ombra?

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    Sul processo dell'apprendimento

    Se oggi prendiamo un qualunque individuo di qualunque

    parte della terra e lo costringiamo a imparare le equazioni di secondogrado, siamo certi che prima o poi le imparer. Questo probabilmen-te significa che le potenzialit del nostro cervello non conoscono, at-tualmente, alcun confine geografico o applicativo. La differenza frale applicazioni di queste potenzialit relativa a circostanze socio-e-conomiche, ambientali ecc.

    In potenza, quindi, tutti gli uomini sono uguali, e lo sarebbe-ro anche in atto se le circostanze fossero le stesse. Questo perch tut-

    ti gli uomini provengono da un unico ceppo, che col passare dei se-coli si differenziato sul piano fenomenico o quantitativo (coloredella pelle, caratteristiche somatiche, variet dei linguaggi ecc.). Na-turalmente a parit di condizioni sociali continuerebbero a sussisterele differenze dovute alle qualit soggettive (inclinazioni, attitudini,interessi...).

    A questo punto per sorge una domanda: le attuali potenzia-lit del cervello sono sempre state tali o hanno avuto per cos dire

    una data di nascita? Per quale ragione dovremmo pensare che l'evo-luzione della natura avrebbe dotato l'uomo (in anticipo) di enormipotenzialit cerebrali, quando per secoli e secoli egli non ne avrebbeusate che un'infima parte? Anche agli animali possibile l'adatta-mento all'ambiente, ma entro limiti relativamente ristretti. Per qualeragione l'uomo si differenzia in misura cos spiccata dal resto deglianimali?

    Detto altrimenti: lo sviluppo della storia e la modificazionedell'ambiente hanno forse determinato una trasformazione qualitati-va della massa cerebrale (nel senso cio che ne hanno aumentata la

    potenzialit), oppure storia e ambiente non sono altro che il frutto didiversi modi di utilizzare delle potenzialit innate?

    cio possibile supporre che il figlio di due genitori intellet-tuali, a loro volta figli di una o due generazioni di intellettuali, riu-scir a risolvere le equazioni di secondo grado pi facilmente di qua-lunque altro individuo diversamente condizionato, soltanto perch le

    potenzialit del suo cervello hanno subto delle modificazioni orga-

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    niche e qualitative? Oppure possiamo tranquillamente sostenere checon la comparsa dell'uomo la natura ha raggiunto il massimo dellasua perfezione possibile (a livello organico), per cui anche fra un mi-

    lione di anni l'attuale massa cerebrale non subir delle sostanzialimodifiche?

    Se col passare dei secoli (o dei millenni) avvenuta una mo-difica organica sostanziale nell'evoluzione della massa cerebrale del-la specie umana, si pu ancora considerare il concetto di "essereumano" come un parametro universale, valido anche per tutti i tempi

    passati? In che senso allora si deve intendere il concetto di "storia"?E se la storia si preoccupasse di dimostrare che l'essenza della natura

    umana pu essere adeguatamente vissuta anche senza conoscere leequazioni di secondo grado?

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    Scuola e giovent: il decalogo dell'alternativa

    Primo: descolarizzare la societ

    Che la scuola rifletta l'iter di una vita piccolo-borghese (l'u-nica che l'odierno Stato in grado di offrire) testimoniato anchedal fatto che il giovane viene educato a studiare solo allo scopo diottenere un profitto almeno sufficiente. Come noto, dalla met deglianni '70, a causa della contestazione studentesca, lo Stato ha rinun-

    ciato alla pretesa di servirsi della scuola pubblica in maniera ideolo-gica, che quella che serve per riciclare al meglio il personale diret-tivo della sua struttura politico-amministrativa. La cultura classista,idealista e meritocratica della scuola degli anni '50 e '60 oggi meno"classista" perch il benessere pi diffuso; meno "idealista" perchil consumismo di massa ha distrutto ogni valore; meno "meritocrati-ca" perch ogni diploma svalutato.

    Oggi quindi lo Stato s'accontenta di molto meno, tant' che i

    licei sono esigenti solo per conservare la tradizione di scuole impe-gnative, ma lo spettro della disoccupazione post-universitaria comeuna spada di Damocle per la loro futura sopravvivenza. I licei sonoesigenti per timore di scomparire, ma se lo sono troppo rischiano diestinguersi prima ancora che venga varata la riforma delle superiori(a meno che non si affidino a sperimentazioni varie in campo lingui-stico o informatico). Gli istituti tecnici e professionali, che hanno co-nosciuto un boom eccezionale in questi ultimi 20-30 anni, semplice-

    mente perch sembravano garantire, senza laurea, pi di quanto po-tessero certe facolt universitarie ove confluivano i liceali, permetto-no di svolgere, a causa del loro basso livello culturale, solo mansionilimitate, circoscritte e modestamente remunerate (salvo naturalmentele debite eccezioni); assai difficilmente queste scuole porteranno ilgiovane ad assumere ruoli di responsabilit nelle amministrazioni

    pubbliche o nelle aziende. Se il livello culturale delle nostre univer-sit non fosse altrettanto basso, il 100% di questi ragazzi si accon-tenterebbe del misero diploma.

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    In una parola non esistono pi scuole che possano servirecome trampolino di lancio per i futuri dirigenti dei servizi statali.Oggi persino le industrie provvedono da sole a formare i manager di

    cui hanno bisogno. La cultura scolastica cos scarsa che per fareuna qualche carriera prestigiosa il giovane deve avere: 1) una pa-zienza infinita, 2) sufficienti disponibilit finanziarie, 3) "aderenze"e "spinte" a tutto campo. Vengono premiate queste cose, non la suacompetenza, ch'egli peraltro si far solo dopo l'entrata in servizio, aspese della stessa amministrazione.

    *

    Nell'odierna scuola solo la minaccia di un voto negativoche fa scattare, temporaneamente, l'impegno dello studio: in talmodo viene soddisfatta la logica utilitaristica del do ut des che l'inse-gnante impone all'allievo e che la societ impone ad entrambi. Quel-lo che manca l'interesse per il contenuto in s della disciplina sco-lastica.

    La conseguenza di tutto ci tragica: lo studente diventa

    tanto pi ignorante quanto pi studia. Non c' infatti nozione chemeglio si dimentichi di quella studiata per forza, per soddisfare l'esi-genza di un momento (che per lo studente coincide con l'arbitrio del-l'insegnante, il quale costretto dal sistema delle cose - oggi sempremeno in verit - ad essere arbitrario).

    Paradossalmente la scuola di oggi il luogo culturale in cuisi fa meno cultura. I pi grandi lettori di quotidiani sono i bidelli, poivengono gli applicati. La biblioteca, tenuta aperta grazie ad inse-gnanti che han dovuto rinunciare alla cattedra per motivi fisici o psi-chico o grazie al volontariato di qualche docente di materie lettera-rie, che occupa le proprie "ore buche" non a elaborare "lavori cultu-rali" per la scuola, bens a schedare libri e riviste, sarebbe uno stru-mento utilissimo non solo per la scuola (sempre che i ragazzi, stimo-lati dai loro docenti, sappiano ch'esso esiste), ma anche per tutto ilquartiere (generalmente sprovvisto di alcuna biblioteca), se solo ilMinistero stipendiasse un "operatore culturale" ad hoc.

    Come noto, la cultura la riflessione sopra un'esperienza si-

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    gnificativa. A scuola invece esiste il puro nozionismo astratto, com-pletamente sganciato dalla vita, o meglio: del tutto funzionale a unavita che vuole tenere separati scuola e mondo del lavoro, produzione

    e fruizione della cultura, passato e presente, cose che si devono "sa-pere" e cose che si devono "studiare", ecc. La differenza fra la scuoladegli anni '50 e la scuola di oggi sta solo nel nozionismo, che oggi stato ridotto al minimo, essendo ridotte al minimo le pretese delloStato nei confronti della scuola.

    Lo studente che non si adegua a questo modello viene consi-derato uno stupido, perch potrebbe essere promosso colla minimafatica, oppure un "secchione", cio uno che con le sue esigenze di

    "cultura" compromette la stabilit della classe, decisa sulla base deilivelli pi bassi di rendimento. Per fortuna (si fa per dire!) questescelte "divergenti" (in favore della cultura) oggi sono piuttosto rare,almeno nell'area centro-nord del nostro Paese, quella che meglio co-nosciamo.

    Lo stesso insegnante che vuol fare pi di quanto gli venga ri-chiesto (vedi ad es. i cosiddetti docenti referenti, detti anche funzioniobiettivo o strumentali), rischia di passare per un piantagrane, per

    uno che vuole rompere il ben collaudato meccanismo dei ruoli, im-postato sulla seguente regola statale fondamentale: "Io faccio il mi-nimo anche se lo Stato mi chiede il massimo", che forse 30-40 annifa era "Io ti faccio il minimo visto che tu mi paghi il minimo". Vice-versa, per gli idealisti irriducibili, ai limiti dell'ingenua irresponsabi-lit, vale sempre la regola: "Io faccio il massimo anche se lo Statomi paga il minimo per fare il minimo".

    Per molti, troppi studenti fare il minimo vuol semplicementedire "copiare" e giustificarsi e, quando questo non basta, sperarenell'indulgenza dei consigli di classe. Anche molti docenti lavoranoal di sotto del minimo, ma siccome garantiscono il sei generalizzato,agli studenti non conviene protestare.

    Oggi lo studente non sa quasi nulla di quanto accade nelmondo: non ha interessi culturali extra-scolastici che partano da mo-tivazioni personali. Quelli che ha non riguardano certo la cultura o la

    politica. Egli infatti sa in partenza che ci non contribuisce ad ele-vargli il profitto scolastico. La scuola non chiede di tenersi aggiorna-

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    ti. Non ponendosi alcun problema educativo, formativo, critico e co-noscitivo in senso "generale", essa resta imperturbabile a qualunqueforma di crisi, di degrado, di corruzione, di criminalit e persino di

    conflitto bellico (si veda ad es. l'incredibile indifferenza con cui gliinsegnanti hanno reagito alla guerra nel Golfo Persico, o a quella inSomalia, o a quella nella ex-Jugoslavia).

    L'attualit che il giovane meglio conosce quella che pupi facilmente abbordare: sia perch maggiormente reclamizzata daimedia, sia perch di basso contenuto culturale, come ad es. lo sport,la moda, films americani e cartoons, automobili e motori, le variedroghe, il sesso e la musica leggera.

    Oggi lo studente non sa nulla neppure delle materie scolasti-che, poich non le studia pi con continuit, al fine di migliorare il

    proprio rendimento o per curiosit intellettuale o per discuterne criti-camente in classe. Il suo unico problema di ripetere quelle quattronozioni in croce sufficienti a promuoverlo.

    La sua memoria non solo diventata estremamente selettivae parcellizzata, ma anche incredibilmente labile e vuota. Essa cioincamera quel che serve solo per il momento in cui serve, dopodich

    dimentica con relativa facilit. Inoltre, verifiche, interrogazioni,compiti in classe sono spesso programmati dal docente con un certoanticipo, per cui lo studente ha tutto il tempo per prepararsi: persinoi volontari non vengono mai rifiutati e i cosiddetti "impreparati" pos-sono giustificarsi due/tre volte a quadrimestre.

    La conseguenza pi negativa non sta solo nei ragionamentischematici e superficiali che si sentono in classe, ma anche nell'at-teggiamento, che nelle ragazze, in genere, rinunciatario e passivo,mentre nei ragazzi impulsivo e arrogante: in entrambi i sessi, ten-denzialmente amorale, cio privo di quelle necessarie motivazioni divalore per l'agire quotidiano. (E poi ci meravigliamo se i Maso am-mazzano i genitori per quattrini o se tre balordi criminali lancianomacigni dai ponti delle autostrade).

    La scuola di oggi un immenso apparato burocratico privodi un'attiva funzione sociale: in essa si realizza quella sorta di "ba-dantato" dei docenti nei confronti degli studenti, ai quali non si chie-de che di "star buoni", e dello Stato nei confronti degli stessi docenti,

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    ai quali si chiede soltanto di non scioperare durante gli scrutini fina-li. E la coscienza, chiamiamola piccolo-borghese, insegna agli uniche meglio far le cose per finta quando il risultato finale lo stes-

    so, agli altri che meglio essere frustrati coi soldi in tasca che "libe-ri" a chiedere in piazza "pane e lavoro".

    A dir il vero una "funzione sociale attiva" alla scuola nonmanca, solo che al "negativo", ed quella di garantire ai giovaniun "parcheggio" il pi possibile prolungato, a carico naturalmentedelle famiglie e dello Stato, i quali cos possono tenerli lontani dallecontraddizioni del mondo del lavoro, che, automatizzandosi sempre

    pi, non in grado di trovare un'occupazione decente al "prodotto"

    del suo stesso benessere.Il paradosso infatti sta proprio in questo, che da un lato sono

    cresciuti i tassi demografici e la scolarizzazione primaria e seconda-ria in virt dell'aumentato benessere, mentre dall'altro il mercato dellavoro incapace di soddisfare le esigenze - da esso stesso alimenta-te - di un'utenza con un livello culturale pi elevato (almeno cos sidice).

    Naturalmente il problema non sta solo nei computer e nei ro-

    bot che automatizzano i processi economici, ma anche e soprattuttonel fatto che vi sono pi investimenti finanziari che produttivi, piconcentrazione e meno espansione, mentre la redistribuzione deiredditi penalizza enormemente i lavoratori, i quali sottostanno ai due

    ben noti principi del capitale: "socializzare le perdite, privatizzare iprofitti" e "sacrificarsi per poter competere".

    Insomma, come se la societ borghese avesse fatto unapromessa che ora impossibilitata a mantenere. Si ha l'impressione,in questo senso, che chi abbandona gli studi, abbia capito in anticipoche la "parola" di questa societ non ha alcun valore. Chi invece li

    prosegue, avr l'opportunit di illudersi anche fino a 30 anni (se al-l'universit andr fuori-corso), oppure avr 30 anni di tempo per im-

    parare a rassegnarsi. In fondo, un giovane "mantenuto" dalla fami-glia, crea allo Stato meno problemi di quello che, uscito assai prestodalla scuola, cerca di sopravvivere con le proprie forze: non pochigiovani sono disposti anche a rubare, spacciare o uccidere.

    Purtroppo le nostre istituzioni s'accorgono che questa gio-

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    vent - ivi inclusa quella che si droga, si ammala di AIDS o finiscein carcere o in casa di cura - rappresenta un costo altissimo per tuttala collettivit, solo al momento di fare i conti finali.

    Secondo: tornare a sperare

    Oggi nella scuola l'individualismo dei docenti ha raggiuntopunte tali che alcuni, per disperazione, cominciano a chiedersi senon ci sia la possibilit di fare dei lavori collegiali. La perdita d'iden-tit, l'insignificanza del proprio lavoro sono diventati cos macrosco-

    pici che, in quanti non vogliono rassegnarsi, sta emergendo l'esigen-

    za di rompere i tradizionali modelli di gestione della propria compe-tenza. Ci si sta accorgendo, in modo progressivo, che non giustodare per scontata l'esperienza della frustrazione o alienazione nel-l'ambito scolastico. In tal senso, il bisogno di andare al di l del puroe semplice nesso tra "nozioni" e "profitto" si esplica nella necessitdi comprendere la figura dello studente in quanto "giovane in forma-zione", caratterizzato da specifiche problematiche adolescenziali.

    In altre parole: i docenti pi sensibili o pi consapevoli sem-

    brano essersi stancati del loro rapporto individualistico e meramentenozionistico con i loro allievi, e sembrano orientarsi verso un affron-to pi collegiale e pi globale dei problemi della classe, che nonsono soltanto quelli relativi al profitto, all'aspetto cognitivo o infor-mativo, ma che riguardano anche i problemi della formazione educa-tiva, del disagio e delle varie forme di dipendenza culturale e ideolo-gica di cui i giovani sono fatti oggetto (per non parlare dell'orienta-mento professionale, che un altro "buco nero" dell'odierna scuola).

    Naturalmente qui non si prende neanche in considerazionequella categoria "soddisfatta" di docenti che sfruttano la scuola invari modi: dal minimo pensionistico al doppio lavoro, dai congedistraordinari per motivi di...vacanze sino alla strumentazione sofisti-cata ch'essi fanno acquistare dai collegi e che poi usano (anche di

    pomeriggio) per la loro attivit professionale, per incrementare laquale si servono anche degli allievi pur di arrivare ai loro genitori;

    per non parlare di quegli "imboscati" che partecipano a decine diconvegni e congressi sindacali, culturali e scientifici, senza muovere

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    un dito per il loro istituto. Per queste e molte altre ragioni tali docen-ti non si lascerebbero mettere in crisi da alcunch, se non da un in-tervento "dall'alto" che li costringesse a scegliere tra la scuola e la li-

    bera professione, appagando cos la volont di lavorare che ha l'eser-cito dei precari.

    *

    I giovani vivono delle contraddizioni di cui si rendono scar-samente conto; pi che altro le subiscono passivamente, non essendocapaci di offrire delle risposte un minimo adeguate. Al massimo cer-

    cano di sfruttare la situazione per un tornaconto personale. Per lorola massima aspirazione quella di avere un lavoro pulito (dal puntodi vista igienico), da impiegato, non troppo stressante, che concedaabbastanza tempo libero per divertirsi e per dire "Io c'ero", che per-metta di comprarsi alcune cose firmate e di rinnovare l'auto ogni 3-4anni... In questo stile di vita si ritrovano gli stessi docenti che, abi-tuati cos dalla societ, hanno il compito di riprodurre il modello nel-l'ambito scolastico, dove le regole del gioco sono semplici e chiare:

    "Vivi e lascia vivere", "Non rompere", "Fai il minimo e avrai la pro-mozione assicurata". Chi non fa neanche il minimo spesso rientra -soprattutto nelle medie inferiori - in quei casi patetici o disperati(come ad es. la morte improvvisa di uno dei genitori, oppure il lorodivorzio) ai quali comunque a fine anno la promozione assicurata.Ai professori soprattutto interessa, al di l di ogni considerazione, dinon perdere la cattedra: se per conservarla fosse necessario bocciareinvece che promuovere, ci non costituirebbe problema. Per formareo conservare le cattedre si fanno persino resuscitare gli studenti mor-ti, oppure se ne chiedono alcuni, ad altre scuole, in prestito tempora-neo, solo per farli figurare nelle iscrizioni d'inizio anno; senza parla-re della cosiddetta "caccia all'handicappato", per ognuno dei quali,nelle scuole medie, il numero dei ragazzi di ogni classe poteva esse-re diminuito di cinque unit, almeno fino a qualche tempo fa.

    Solo adesso ci stiamo rendendo conto che se non recuperia-mo la dinamica dei rapporti umani coi nostri ragazzi, ovvero l'imma-gine della globalit, dell'interezza del rapporto educativo, della vita

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    scolastica - che non pu riguardare unicamente delle nozioni da im-parare e da ripetere -, non ci sar mai alcuna possibilit di affrontarecon decisione il problema della frustrazione e dell'alienazione.

    Chi esterno alla scuola fa molta fatica a rendersi conto diquesto dramma: sia perch la scuola completamente separata dallavita e dal mondo del lavoro, sia perch si pensa che i docenti sianodei privilegiati (fanno relativamente poco, guadagnano abbastanza

    bene, ecc.). E in effetti vero che la gran parte dei docenti non ha al-cuna preoccupazione educativa, tanto che si pu tranquillamente af-fermare che oggi chiunque abbia uno straccio di laurea idoneo al-l'insegnamento. I concorsi abilitanti non sono che un'accentuazione

    dei limiti dell'impostazione nozionistica dell'universit. Anzi, i corsiabilitanti hanno avuto la funzione di riproporre quel valore del no-zionismo che l'universit, a partire dal '68, aveva cominciato a per-dere.

    Tuttavia, i docenti che vogliono stare in team, per ritrovarela propria identit, sono ancora incapaci di organizzare creativamen-te un lavoro collegiale secondo finalit psico-pedagogiche e pro-grammatiche. Molti, temendo di dover fare delle cose in pi, si tira-

    no subito indietro; altri riducono il problema del rapporto umano,educativo, con la classe, al problema di fare degli argomenti non tra-dizionali, non previsti dai programmi ministeriali; altri ancora sonoconvinti che il problema comunicativo si risolva in una maggiore di-sponibilit al dialogo da parte del docente, a prescindere dalle neces-sarie conoscenze e abilit relazionali.

    "Essere disponibili", per alcuni docenti, significa attendere isuggerimenti, le proposte dei ragazzi e non (anche) farsi promotoridi iniziative autonome, coordinate con altre iniziative. Quando vedo-no i ragazzi pretendere qualcosa di creativo, si trovano spaesati, nonsapendo letteralmente cosa fare. D'altra parte nessuno ci ha insegna-to ad insegnare, e chi crede di saperlo fare spesso non ha valori si-gnificativi da trasmettere. Non basta insomma che un insegnante sia"bravo", occorre anche un allenamento periodico al confronto suimetodi didattici, al fine di maturare una discreta consapevolezza deilimiti e dei progressi della propria attivit didattica, e anche per potercontinuare a fare nuove scelte sul progetto che insieme ad altri si sta

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    portando avanti.Oltre a ci dobbiamo arrivare alla convinzione che impos-

    sibile superare la frustrazione nella scuola se non si modificano i cri-

    teri politici, amministrativi, burocratici e gestionali che tradizional-mente la tengono in piedi e la riproducono all'infinito. La frustrazio-ne non dipende soltanto dalla "cattiva volont" di quei docenti chenon vogliono lasciarsi coinvolgere con le problematiche giovanili,non dipende solo da motivazioni soggettive che partono dalla rasse-gnazione o dalla sfiducia (cui a volte si cerca di reagire, da parte

    per di pochissimi, con l'autoritarismo fine a se stesso); dipende an-che da motivazioni terribilmente "oggettive" e strutturali, indipen-

    denti dalla volont dei soggetti.La scuola funzionale alle esigenze della societ, o per lo

    meno funzionale alle esigenze di uno Stato e di un sistema politi-co-istituzionale che vuole conservare un determinato modello di so-ciet: sempre stato cos e lo in qualunque regime sociale. Se lasociet marcia e corrotta, la scuola non pu pretendere di vivere inarmonia con se stessa. Essa non mai in grado di offrire soluzionialla societ, soprattutto se la crisi di cui la societ soffre di tipo

    strutturale e non congiunturale. Al massimo la scuola pu tentare dielaborare delle riflessioni critiche nei confronti dei modelli culturalidi questa societ, delle riflessioni per che, qualora venissero appli-cate, dovrebbero comportare il superamento sia della societ che del-la stessa scuola.

    Questo problema, che riguarda la prospettiva finale, va tenu-to in considerazione, poich se oggi il docente frustrato in quantonon riesce ad avere un rapporto umano n coi ragazzi n coi suoicolleghi, domani lo sar ancora di pi se, pur avvertendo l'esigenzadi questo rapporto, se pur riuscendo almeno ad impostarlo, non potr

    poi perfezionarlo, approfondirlo, semplicemente perch le strutture,in modo oggettivo, reale, glielo impediscono. comunque inevitabi-le che la frustrazione tenda ad aumentare in quei docenti che avver-tono il bisogno di superarla, facendo anche dei tentativi concreti:sbattere la testa contro un muro di gomma non un fattore stimolan-te.

    Dunque questo problema, che eminentemente politico, non

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    pu essere risolto - come fanno alcuni - limitando gli obiettivi strate-gici: ad es. "fare di meno ma bene per essere meno frustrati". Ciforse pu avere un senso nel breve periodo, ma non ne ha alcuno in

    prospettiva. Noi dobbiamo portare la consapevolezza del disagio ailivelli massimi possibili, avendo chiaro cosa si deve fare per supera-re la frustrazione. L'esigenza di una soluzione radicale deve farsistrada, altrimenti si correr il rischio, anche contro la propria volon-t, di fare il gioco del sistema. Questa societ, infatti, pu anche es-sere interessata a che si realizzi un diverso rapporto fra docenti e stu-denti, affinch la vecchia scuola si trasformi in una nuova scuola perun sistema borghese pi efficiente e razionalizzato. Probabilmente

    anche nella scuola, fra non molto, passer la logica della "qualit to-tale" che si viene affermando nelle fabbriche. Il che vorr dire: auto-nomia gestionale, ricerca di finanziamenti locali o regionali, merito-crazia e produttivit, stretto funzionalismo alle esigenze del mondoeconomico... questo che il sistema vuole dalla scuola per riprodur-si? Dobbiamo accettarlo d'ufficio o possiamo discuterne?

    Terzo: educare gli educatori

    L'insegnante delle medie e delle superiori sta cominciandosoltanto adesso a porsi il problema di "chi" ci sia aldil dello studen-te che ogni giorno vede davanti a s. Di qui l'esigenza di studiare la

    psicologia dell'et evolutiva, le diverse fasi della maturazione adole-scenziale. Sempre pi ci si sta accorgendo che il giovane un sog-getto in formazione, con ritmi di crescita particolari, con stati di an-sia, depressione, stress, disagio (a volte non molto diversi da quellidei docenti) che vanno assolutamente individuati e capiti. Questonon un lavoro facoltativo o aggiuntivo, ma una delle condizioni peragevolare enormemente il rapporto educativo e didattico.

    L'insegnante deve essere un educatore o un formatore, nonsolo un trasmettitore di nozioni, poich se fosse solo questo il suodestino sarebbe gi segnato: molti altri mezzi mediali lo superano digran lunga. La preoccupazione educativa ch'egli deve avere (la qua-le, in un certo senso, dovrebbe tener conto anche delle dinamiche digruppo vissute dai ragazzi in ambienti extra-scolastici, poich la

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    scuola deve interagire con tutto il contesto sociale locale) non dipen-de solo dalla crisi della scuola, che aumenta irreversibilmente l'alie-nazione dei suoi protagonisti; dipende anche dal fatto che nella pi

    generale evoluzione del mondo occidentale, i problemi umani sistanno imponendo con sempre maggior forza all'attenzione deglioperatori sociali e delle agenzie educative. Sempre pi cio ci sichiede se esista la possibilit di affrontare, in maniera globale o inte-grata, i nostri problemi quotidiani, di ordine non solo tecnico-orga-nizzativo, pratico-esperienziale ma anche e soprattutto etico-norma-tivo, assiologico (problemi sempre pi complessi e di difficile solu-zione, soprattutto se affrontati con individualismo e settorialit).

    Anche il capitalismo, con il suo principio della "qualit tota-le", ha bisogno di un affronto dei problemi che sia al tempo stesso

    pi "globale" e pi "personalizzato", pi programmato e pi diretto.Tuttavia gli strumenti che usa sono vecchi, solo l'esigenza nuova.

    Nell'ambito del capitalismo, infatti, la qualit non pu mai essere"totale", poich, se cos fosse, la logica del profitto per il capitaleverrebbe smentita. Al singolo imprenditore la qualit necessaria

    per vincere la concorrenza, ma la "qualit totale" impedirebbe al

    consumatore di riciclare con rapidit le merci acquistate.Nella scuola la stessa cosa: si avverte la necessit di rac-cordare il tutto alle singole parti, di unire la teoria alla prassi, ma lastruttura - cos com' - tende a vanificare ogni tentativo. Bisognereb-

    be convincere gli insegnanti che, pur non avendo valori comuni, sulpiano etico, politico o ideologico, possono, se vogliono, lavorare in-sieme, costringendo le istituzioni e la stessa scuola a tener conto diquesta loro esigenza di "collegialit", esprimibile ad ogni livello.

    *

    Come primo "compito" per i nuovi educatori si potrebbeproporre il seguente: cercare di capire come mai i ragazzi - a paritd'et - hanno generalmente un comportamento pi superficiale diquello delle ragazze, ovvero per quale ragione esistono tra i maschimolti pi drogati, teppisti, criminali, alcolisti, barboni, sessualmentedeviati, ecc.

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    A tale scopo si potrebbe chiedere di verificare la seguenteipotesi interpretativa: questa societ offre al maschio (a livello d'im-magine sociale, di opportunit di lavoro, di carriera, di alti stipendi

    ecc.) molto di pi che alla femmina; sicch, chi non riesce a conse-guire gli obiettivi prefissi dalla societ borghese, si sente pi com-

    plessato; di qui l'esigenza di evasione, di rivalsa, di rifiuto del siste-ma (nelle forme estreme che tutti conosciamo). durante la compe-tizione per conseguire un determinato posto direttivo, che il ragazzosi accorge che le promesse del sistema sono solo delle illusioni, ciouna realt per pochi privilegiati.

    Le ragazze vengono alienate in altro modo: ad esse la societ

    non promette le stesse cose che promette ai ragazzi. Sin da bambinevengono educate al lavoro domestico, alla riservatezza, a rispettarela volont dei maschi... Chi non si adegua viene presto considerataun "maschiaccio" o una "ragazza facile". La loro frustrazione iniziasubito nella vita privata familiare, e durante questo periodo di tempoil loro comportamento pi docile, pi educato, pi responsabile edimpegnato, anche perch frustrato dalla presenza invadente e prepo-tente del maschio. Nell'ambito delle scuole di ogni ordine e grado,

    questo molto visibile.Ai maschi, nel complesso (le eccezioni non mancano mai),viene concessa subito la libert, per cui, non avendo essi una corri-spondente responsabilit per gestirla, sono quasi costretti a compor-tarsi in modo rozzo, istintivo, privo di contenuti. la societ stessache li produce cos, anche se poi se ne lamenta.

    Il problema maggiore per i ragazzi si verifica quando devo-no abituarsi, in poco tempo a una disciplina esigente, quando siscontrano col mondo degli adulti, al momento di trovare un lavoro.L'impatto traumatico: non essendo abituati alle frustrazioni, si de-moralizzano subito di fronte alle prime difficolt, come una voltasuccedeva col servizio militare.

    Di fronte alle difficolt d'inserimento socio-professionale, leragazze si scoraggiano meno facilmente, anche se, naturale, non si

    pu pretendere una capacit di sopportazione illimitata. Per loro co-munque le difficolt da affrontare sono di molto superiori: si pensi,

    p.es., a quelle attinenti alla discriminazione dei sessi, in forza della

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    quale esse rischiano continuamente di vivere un'esistenza marginaleo comunque di second'ordine.

    Ci davvero paradossale, poich le ragazze, essendo abi-

    tuate da tempo a sopportare le frustrazioni, potrebbero sicuramente -a parit di titolo di studio e se valorizzate adeguatamente - svolgeremansioni dirigenziali in modo molto pi proficuo rispetto ai ragazzi.Gli ostacoli maggiori che le ragazze-manager incontrano non sonotanto quelli inerenti alla loro specifica professione, quanto piuttostoquelli riguardanti i loro rapporti con un mondo del lavoro gestito

    prevalentemente, a livello dirigenziale, dal sesso maschile.

    Quarto: riformare il linguaggio

    Certe espressioni linguistiche oggi non si capiscono pi,semplicemente perch non esiste pi il sostrato esperienziale cuiquelle espressioni fanno riferimento.

    A scuola i ragazzi ti ascoltano perplessi, guardandosi a vi-cenda, pensando che tu non sappia che loro non ti comprendono. Sistancano presto d'ascoltarti: si annoiano perch non sono abituati alla

    fatica di comprendere un linguaggio diverso dal loro.Cosa fare? Costringerli a comprendere il nostro linguaggio opiegarsi alle loro capacit di comprensione? La costrizione li obbligaa ripetere meccanicamente le nostre nozioni astratte, senza per in-durli alla comprensione del significato delle parole e delle espressio-ni. Questo perch, il nostro e il loro parlare, riferendo cose di cui ascuola e persino in societ non si riesce pi a fare esperienza, comese fosse stereotipato, impersonale, terribilmente grigio. Quello chegli insegnanti vorrebbero che i ragazzi imparassero a fare sono alme-no i "riassunti", ma anche in questo campo s'incontrano ostacoli in-sormontabili. Non sapendo come reagire a una societ per la qualetutto "essenziale", persino le cose pi futili e banali, il ragazzo (econ lui spesso il docente) non ha il senso delle priorit, dell'obiettivi-t delle cose, per cui pu anche accadere che un piccolo brano di 20righe rischi di assumere, al momento della sintesi, 20 significati di-versi. Qui hanno buon gioco gli insegnanti delle discipline scientifi-che, i quali si limitano a esempi cos elementari che la soluzione uni-

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    voca impedisce qualunque congettura. Bel modo per di sviluppareil loro Quoziente Intellettivo!

    D'altra parte se ci pieghiamo alle capacit di analisi e di

    comprensione dei nostri ragazzi, il linguaggio s'impoverisce terribil-mente, anche perch poverissima l'esperienza che fa da sostrato alloro linguaggio (in questo senso i docenti pi "realizzati" sono quelliche vivono un'esperienza non meno "povera"). L'esperienza che oggii ragazzi vivono non ha quasi nulla di culturale: quando non sonocompletamente manipolati dai mass-media perch ancora difendo-no, pur senza saperlo, gli ultimi valori pre-borghesi delle loro fami-glie e/o dei loro ambienti d'origine.

    Generalmente i loro punti di riferimento privilegiati, i lorointeressi e le loro attivit pi consuete riguardano le discoteche, icentri sportivi, il bar, il cinema e la televisione, la moda, la musicaleggera, i motori e le automobili, la sessualit il pi possibile antici-

    pata, e ovviamente la parrocchia per chi ci crede. Come si pu notarenon c' attivit culturale n, tanto meno, politica, se non in pochissi-mi casi. Non sono ragazzi che "pensano", che producono "riflessioniculturali" sulla loro esperienza, sulle contraddizioni che vivono. A

    volte si lamentano per inezie che giudicano d'importanza vitale. Ciche domina nei loro atteggiamenti lo spontaneismo pi istintivo, larassegnazione di chi non sa cosa fare per cambiare le cose e, di con-seguenza, il conformismo, unito all'opportunismo con cui si spera diottenere dalla scuola il massimo possibile dando il minimo.

    Per queste e altre ragioni bisognerebbe puntare, in futuro,sulla necessit di trasformare l'esperienza sociale dell'intero contestourbano, cio sulla necessit di vivere un'esperienza comune coi ra-gazzi, invitandoli a riflettere su ogni valore vissuto. Se non ci imme-desimiamo nella vita dei giovani, portandoli a fare scelte di livellosuperiore, non si realizzer mai alcun rapporto educativo. Bisognainsomma indurli a coinvolgersi come persone, e a confrontare le loroidee con quelle degli adulti, su di un piano di reciproca responsabili-t, altrimenti il rispetto cui a scuola sono tenuti, rester del tutto for-male, relativo alla parte da sostenere nel gioco dei ruoli.

    Oggi viviamo in un'epoca scarsissima di gesti significativi,mentre la cultura che offre la societ, coi suoi media, pi che altro

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    fondata su valori subumani e asociali, come il consumismo (che facomodo agli imprenditori e ai commercianti), l'individualismo (chefa comodo a chi vuol far credere che questa societ offre pari oppor-

    tunit a tutti e che la mancata autorealizzazione dipende esclusiva-mente da una personale incapacit), il protagonismo (del leader, delmaschio, di chi "conta", di chi "pu"), l'istintivit (fare le cose pifacili, pi immediate), l'emotivit (commuoversi per i casi pietosi,salvo poi limitarsi a questo o alla mera assistenza) e il sensazionali-smo (provare emozioni forti nel compiere o nel veder compiere azio-ni spericolate, impossibili, salvo poi sentirsi terribilmente svuotati).

    La pseudo-cultura della nostra societ viene trasmessa so-

    prattutto per immagini. Come noto, l'immagine la forma meno ri-flessiva della cultura, quella pi istantanea, i cui significati sembranocos evidenti da risultare indiscutibili. In realt l'immagine non maidi facile interpretazione, proprio perch di natura sfuggente, ambi-gua, equivoca: assurdo dire che le immagini parlano da sole. L'isti-tuzione che vuol farci credere in questo, generalmente si serve delleimmagini per scopi tutt'altro che democratici.

    Bisogna dunque creare una nuova esperienza che, nella sua

    semplicit ma reale diversit dalle logiche dominanti, sappia riflette-re su di s e sui meccanismi perversi di questa societ. Solo cos sipu creare una nuova cultura e un linguaggio comune a tutti. Biso-gna per partire da questo presupposto: la povert culturale dei no-stri ragazzi il frutto pi maturo della povert esperienziale degliadulti. Chi critica il mondo giovanile senza compiere un'analisi auto-critica del proprio mondo, cerca soltanto degli alibi per giustificarsi.

    Non dobbiamo arrivare al punto che, vedendo i giovani cos "diver-si", i professori si sentano costretti a dare per scontata l'incomunica-

    bilit.Ma dobbiamo accettare anche un altro presupposto, quello

    per cui nessun linguaggio pu pretendere d'imporsi su altri linguaggiche riflettono esperienze diverse. La regola d'oro dovrebbe esserequesta: un linguaggio ha il diritto d'affermarsi se esprime un'espe-rienza reale, significativa, che gli corrisponda effettivamente. Dettoquesto per, impossibile sostenere il principio che tutti i linguaggiastratti, astrusi, fumosi, cervellotici andrebbero aboliti. Il linguaggio

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    migliore dovr vincere in una competizione democratica, il cui tra-guardo finale non pu certo essere stabilito a priori. In attesa di arri-varci noi possiamo soltanto costatare che se la povert culturale dei

    nostri ragazzi permane, nonostante tutti i nostri sforzi, significa chenessuna esperienza di valore riuscita a farsi strada nelle loro co-scienze. In fondo la loro ostinata chiusura al nostro linguaggio puanche essere una forma di resistenza passiva, una sorta di sfida allacredibilit di quelle esperienze che presumono d'avere una certa im-

    portanza.

    Quinto: rivalutare i diplomi

    I ragazzi di oggi ritengono che la scuola non possa offrire al-tro che il diploma, cio il famigerato "pezzo di carta". Escludono ca-tegoricamente di ricevere una formazione culturale generale (vedi gliistituti tecnico-professionali), o una preparazione specifica alla pro-fessione (vedi i licei classici e scientifici). Anche le magistrali (que-sta brutta "fotocopia" dello scientifico) non sono meno "squilibrate"degli altri istituti: si fa il latino che non serve, si studia la pedagogia

    come un aspetto della filosofia (in questo senso pi pedagogico l'i-stituto professionale femminile, se non fosse cos scarso nella "cultu-ra generale"), si fa un tirocinio presso le scuole elementari del tuttofittizio, e soprattutto si fornisce agli studenti una preparazione asso-lutamente inadeguata ad affrontare i concorsi abilitanti, dove gli esa-minatori danno sfoggio della loro elevata pedagogia teorica. In Ita-lia, a causa della enorme arretratezza del sistema scolastico, la peda-gogia solo un mero oggetto di studio astratto, al pari della filosofiao dell'epistemologia. Le stesse magistrali introducono in un settorescolastico - quello delle elementari - in cui la figura del direttore di-dattico ancora vista come un deus ex machina e dove solo di recen-te si cercato di sostituire la figura unica dell'insegnante con i cosid-detti "moduli". Poi quest'ultimi di nuovo sostituiti, dalla riforma Gel-mini, con la figura unica, per poter risparmiare sul costo del persona-le.

    Il ragionamento di molti ragazzi delle superiori si riassumenei termini seguenti: "Se la scuola non d niente, io non do niente.

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    Siccome il coltello dalla parte del manico l'hanno sempre i professo-ri, cercher di fare il minimo per non restare fregato".

    Il diploma, per loro, non la chiave per aprire tutte le porte

    del lavoro, ma solo un'occasione in pi: essi sanno benissimo chesenza raccomandazioni non si fa molta strada.

    Conclusione? La scuola sforna diplomati opportunisti eignoranti, i quali, essendo stati promossi senza i necessari requisiti,chiedono di restare ignoranti ma non senza soldi. Con il loro bel di-

    ploma svalutato si consolano pensando che nella vita, se si usa intel -ligenza, astuzia e cinismo, si pu anche superare l'handicap dell'i-gnoranza e fare la carriera privata che si desidera.

    I docenti sanno benissimo queste cose, ma o sono i primi ainsegnarle, o si lamentano senza reagire in modo costruttivo, o siadeguano malvolentieri finendo col fare, anche loro, il minimo pos-sibile.

    Sesto: nessuna costrizione in bianco

    Oggi si sente dire, in campo pedagogico, che il permissivi-

    smo va sostituito con la costrizione, in quanto i giovani tendono a il-ludersi che nel mondo del lavoro tutto sia cos facile come nel mon-do della scuola e della famiglia. Il ragionamento il seguente: "Per-ch mai i giovani si drogano, sono violenti, rifiutano questa societricorrendo persino al suicidio? Perch sono stati abituati troppo

    bene, soprattutto sul piano materiale. Ora si deve fare marcia indie-tro, facendo capir loro il senso dei sacrifici e delle privazioni, del ri-sparmio e della moderazione. Questo perch devono imparare ad ac-cettare le frustrazioni e i disagi della societ".

    Bene, se le cose fossero cos semplici, non dovrebbe costaremolta fatica sostituire il permissivismo colla costrizione. bene tut-tavia ricordare che il permissivismo non nato a caso: esso ha potu-to sostituire la costrizione degli anni '50 e '60 perch i valori socialidi quel periodo erano incompatibili con le esigenze di libert e auto-nomia delle nuove generazioni. La costrizione durata fino al puntoin cui scoppiato il dualismo fra quei valori autoritari e individuali-sti, da un lato, e le esigenze democratiche ed egualitarie dei giovani,

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    dall'altro. vero che il '68 ha proposto molto "permissivismo", ma

    anche vero che il '68 fallito. forse possibile riproporre la costri-

    zione quando gli ideali accettati da una fetta rilevante della popola-zione italiana non si sono realizzati? Negli anni '50 e '60 si credevanell'autoritarismo per tradizione e si era convinti che il modello delconsumismo, di cui non si aveva ancora una particolare consapevo-lezza, prima o poi ci avrebbe portato la felicit in casa. Il '68 (che durato almeno un decennio) ha distrutto l'autoritarismo, coi suoi va-lori classisti e borghesi, e ha contestato il consumismo, ma nonavendo superato i meccanismi economici che sono alla fonte di que-

    st'ultimo, alla fine, pur senza volerlo, non ha fatto che allargarne ilraggio d'azione. Cio se ieri avevamo un autoritarismo classista che

    permetteva il consumismo solo ad alcune categorie sociali, oggi ab-biamo a che fare con una societ cos abituata alla "vita facile" (sal -vo le debite eccezioni) che soltanto in maniera traumatica sarebbedisposta ad accettare forme autoritarie di gestione del potere, unita-mente a forme di austerit sul piano dei consumi individuali. Ecco

    perch non si pu tornare indietro fingendo che nulla sia accaduto e

    che nessuna critica al sistema sia stata fatta.Gli adulti di oggi erano giovani nel '68: se ad essi si chiedes-se di usare la costrizione, per quali valori penserebbero di doverlaapplicare? Per gli stessi degli anni '50? Se si accetteranno in totoquesti valori, ci potr forse avvenire in maniera naturale? anche incoloro che nel '68 erano politicamente impegnati?

    Ci fu una sorta di spontaneit in quella generazione che,uscita dall'ultima guerra mondiale, pens di costruire su valori bor-ghesi di massa una nuova societ. Ma oggi ci pu essere solo odio erisentimento: all'autoritarismo saranno disponibili proprio coloroche, dopo aver visto fallire gli ideali del '68, penseranno che sia me-glio accettare definitivamente quelli della borghesia. L'odio sar ap-

    punto nei confronti di chi cercher di smascherare questo loro tradi-mento o nei confronti di chi riproporr, in forme e modi diversi, lestesse esigenze emancipative e democratiche degli anni '70.

    Il problema quindi non quello di sostituire il permissivi-smo con la costrizione, ma quello di lottare ancora per una societ

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    diversa, non borghese. Se dobbiamo riaffermare la costrizione per ri-confermare pienamente i valori della societ borghese, allora me-glio chiarirsi prima. Costrizione s, ma non senza "possibilit di

    un'alternativa", cio opportunit di creare una diversa organizzazio-ne sociale, pi democratica, pi partecipata e pi autogestita. S dun-que alla costrizione, ma a condizione che sia per tutti. giunto cioil momento di realizzare una giustizia popolare che parta dal bassoverso l'alto. Dobbiamo sostenere la possibilit di un controllo sia sul-le autorit pubbliche che sugli strati sociali pi abbienti.

    Bisogna precisare bene questi obiettivi, anche perch l'odier-no permissivismo un prodotto non del '68 ma del suo fallimento.

    Nel senso cio che la societ borghese se ne servita per dimostrareche gli ideali del '68 non potevano essere realizzati in alcun modo.Alla borghesia non interessa, di per s, n il permissivismo n la co-strizione, ma unicamente il suo potere economico e politico. Essa in-fatti, in virt di questo potere, stata capace di usare il permissivi-smo, gi a partire dagli anni '80, per allargare la fascia dei consuma-tori, abbassandone incredibilmente l'et. Oggi la costrizione dovreb-

    be servire alla borghesia non tanto per aumentare il proprio potere,

    ma per conservare agevolmente quello di cui gi dispone. La paurainfatti quella che i nodi delle sue contraddizioni, presenti a livellomondiale, giungano improvvisamente al pettine.1

    *

    Da tempo la psicologia ha messo al bando, nel rapporto edu-cativo adulti/giovani, l'uso delle minacce, della coercizione, dei ca-stighi corporali, puntando tutto sulla persuasione ragionata e sulla lo-gica. In realt, l'uso della logica sarebbe la soluzione migliore se ilgiovane fosse in grado di capirla adeguatamente. Ma questo implicail contributo dell'intera societ, che dovrebbe credere in una medesi-ma cultura.

    Una volta si reprimeva duramente la giovent per impedirnel'allontanamento dalla mentalit dominante, cio da quei valori in

    1 Questa previsione trova conferma nella crisi che ci attanaglia dal 2008 ad

    oggi. 36

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    cui gli adulti, fino al '68, hanno ciecamente creduto. Le punizioni ve-nivano date per garantirsi una sorta di conformismo sociale.

    Oggi le punizioni fisiche sono state abolite anche perch in

    quella ideologia la societ, nel suo complesso, ha smesso di credere.Tuttavia, la nuova cultura non appare cos forte da indurre il giovanea maturare in fretta, responsabilmente, in modo da non aver bisognod'essere oggetto di alcuna coercizione. Oggi, molti giovani appaionocalmi e tranquilli semplicemente perch hanno la possibilit, grazieai loro genitori, di poter spendere quanto basta per appagare, pi omeno, i loro desideri. Ma che succederebbe se questi ragazzi consu-mistici si trovassero improvvisamente senza le solite disponibilit fi-

    nanziarie?In ogni caso oggi si assiste a un fenomeno curioso, parados-

    sale, anche se appena in fieri. Il permissivismo degli adulti (che nonusano alcuna coercizione educativa e che non credono in alcuna veraalternativa) sta portando i giovani ad accettare l'idea di introdurrel'uso delle punizioni (anche severe) a carico di chi nella societ "sba-glia" (una sorta di metafora di quella che un tempo era la cosiddetta"legge del taglione"). Il fenomeno ancora embrionale semplice-

    mente perch il giovane tende a sentirsi soprattutto una "vittima"della societ, per cui teme di dover essere costretto a sopportare glistessi provvedimenti coercitivi invocati.

    Il clima intrafamiliare di affetto, serenit, protezione, sicu-rezza, ecc. appare al giovane troppo debole nei confronti delle fru-strazioni sociali. Egli si rende perfettamente conto che sia la famigliache la scuola non offrono gli strumenti indispensabili per fronteggia-re le esigenze e i pericoli della moderna societ. Prima ancora di fareil suo ingresso come lavoratore nella "giungla d'asfalto", il giovanene teme la dura selezione, l'abuso impunito, l'egoismo sfrenato e,quando finalmente vi entra, avverte subito la scuola e soprattutto lafamiglia come dei paradisi da dimenticare.

    Anzi, guardandosi indietro, matura convinzioni ancora picritiche nei riguardi di questi due istituti sociali, che non lo hannocerto aiutato ad abituarsi all'idea di dover vivere in un "inferno".Scuola e famiglia infatti attenuano il pi possibile la forza dell'im-

    patto, anche rinviandone il momento.

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    Alcuni sociologi dicono che la scelta della droga parte daquesta "iperprotezione inconsapevole". Tuttavia, scuola e societsanno benissimo che la mancanza di protezione e sicurezza emotiva

    pu rischiare di fare cadere il giovane nel dramma prima ancora chediventi adulto. Ecco perch nella scuola si cerca di non bocciare"troppo", ecco perch in famiglia si cerca di essere poco severi. Lasperanza, oggi per del tutto vana, quella di vedere il giovane af-frontare con ottimismo i problemi sociali, forte dell'"ovattamento" dicui stato oggetto nel periodo adolescenziale.

    La richiesta di punizioni da parte dei giovani (ad es. la penadi morte per certi criminali o la recente guerra contro l'Irak) deve es-

    sere vista come un bisogno di coerenza o di giustizia, cio come unmodo per affrontare con successo il momento dell'impatto col mon-do lavorativo. Qui sta la loro ingenuit. Essi non si rendono contoche i primi a dover subire le conseguenze di questa loro presunta"coerenza" sarebbero le persone meno coinvolte nella grande crimi-nalit. All'interno di un sistema anti-democratico, una qualunquelegge repressiva che non metta in discussione le fonti del malesseresociale, non fa che aumentare l'oppressione (si veda ad es. quella

    sulla droga).Cosa fare dunque, vedendo il giovane che rifiuta la coerenzadella famiglia perch considerata in contraddizione con l'incoerenzadella societ? La soluzione migliore sta nel dimostrare al giovaneche anche nella societ, poste certe condizioni, possibile una mag-giore giustizia, cio nel fargli capire, attraverso la logica, i motivi difondo per cui nella societ cos difficile essere capaci di giustizia.

    Settimo: orientare al lavoro

    La scuola non fa niente per orientare il giovane nella sceltadella futura professione. Non avendo quasi alcun rapporto col mon-do del lavoro, essa non pu sapere quali sono le esigenze della socie-t. Oggi la scuola italiana viene concepita come mero serbatoio percontenere la disoccupazione e le tensioni sociali. una sorta di cen-tro assistenziale, come l'INPS per i disoccupati e gli invalidi civili.Di fatto la scuola statale offre solo una "subcultura generale", utile

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    per mansioni poco qualificate. Forse le scuole che si distinguono unpo', in tal senso, sono quelle regionali che garantiscono una forma-zione professionale, mirata a una mansione specifica.

    Ma anche per scegliere la giusta scuola professionale, qualistrumenti ha il giovane? Nessuno. Egli infatti proviene da una scuolastatale (la media inferiore) che totalmente incapace di orientarlo (almassimo gli fornisce degli opuscoli illustrativi, che poi quanto si fanelle superiori per le classi terminali, le quali vengono altres invita-te a conferenze i cui relatori, mantenendosi sulle generali, spieganoquali facolt universitarie "tirano di pi").

    Per "orientamento professionale" si dovrebbe intendere, in

    realt, qualcosa di molto complesso ed elaborato: ad es. valutare leinclinazioni, le attitudini, le "vocazioni" dei giovani utilizzando stru-menti e test psico-pedagogici, sociologici e di altro tipo. L'insegnan-te dovrebbe avvalersi anche del contributo di specialisti esterni al-l'ambito scolastico. E dovrebbero esistere degli "osservatori" delmercato del lavoro a livello provinciale e regionale. In tal modo si ri-sparmierebbe del tempo prezioso, poich un giovane soddisfatto del

    proprio lavoro non si preoccupa di cambiarlo o almeno lo farebbe

    con minor frequenza. Per non considerare il fatto che una professio-ne sgradita comporta sempre maggiori infortuni, frustrazioni, malat-tie, assenteismi, ecc.

    Certo che la scuola non pu preoccuparsi di queste cose sepoi la societ non garantisce al giovane un effettivo inserimento so-ciale. Nessuno vuole essere preso in giro. Ma se la societ indiffe-rente alla giovent, poi dovr spendere il doppio, il triplo per affron-tare tutti i casi della devianza giovanile (delinquenza, violenza neglistadi, tossicodipendenza, AIDS, ecc.).

    Ottavo: dubitare fa bene

    I grandi dubbi che hanno gli adolescenti sui perch dellavita, non sono soltanto un fenomeno naturale, fisiologico per quell'e-t, ma -messi in relazione alle false certezze e al conformismo degliadulti- sono anche un fenomeno decisamente positivo, che solo unadulto chiuso, superficiale, schematico pu considerare negativo.

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    Avere dei dubbi significa essere alla ricerca di qualcosa. Ma-gari i giovani ne avessero di pi! Eviterebbero cos d'imitare troppo

    presto quegli atteggiamenti degli adulti basati su certezze prevalente-

    mente al negativo: quelle certezze che bloccano ogni azione proposi-tiva, costruttiva. I giovani di oggi acquisiscono con una facilit in-credibile i modelli degli adulti, senza metterli un minimo in discus-sione. Quando lo fanno solo perch ambiscono a sentirsi "grandi"

    prima del tempo.Le contraddizioni, senza dubbio, spaventano l'adolescente,

    perch lo mettono in crisi, ma se la societ in cui vive offrisse anchedelle alternative, egli si sentirebbe pi ottimista, conformemente alla

    sua vera natura. Smetterebbe cio di credere, gi all'et di 14 anni,che la legge del pi forte o del pi astuto quella che deve prevale-re.

    Nell'adulto meno consapevole, incapace di scorgere le causeultime del malessere sociale, la speranza sparita da tempo. Gliadulti infatti si ritengono tali proprio perch pensano che le contrad-dizioni siano irrisolvibili. questa la certezza che hanno e con cuiaffrontano, dopo un breve tirocinio, i problemi della scuola.

    L'ipocrisia degli adulti (quella che serve per giustificare ilproprio qualunquismo) la si nota anche quando i giovani impegnatiin certi gruppi socio-ricreativi e/o culturali vengono accusati d'esseredei "conformisti". Un giudizio del genere - direbbe uno psicologo -

    parte da un sentimento d'invidia che l'adulto (isolato) prova nei con-fronti di questi tipi di giovani.

    Di fatto gli adulti non vivono pi esperienze di gruppo signi-ficative, gratificanti: dove non c' un obiettivo ideale per cui lottare,con chiarezza e decisione, persino le esperienze politiche o sindacalirisultano incredibilmente frustranti.

    Il mondo del lavoro, la societ, il sistema divide gli adulti intanti individui isolati, come singoli o come gruppi pi o meno gran-di. In questa situazione essi ritengono d'essere pi "liberi" dei giova-ni, pi disincantati, meno disposti ad essere raggirati. L'adulto sivanta di non avere illusioni, n speranze, n desideri, n utopie darealizzare. Si vanta cio di non aver pi bisogno di partecipare a ungruppo che lotti per una transizione. In realt l'essere pi integrato

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    del sistema borghese.

    Nono: smetterla coi vizi

    I giovani di oggi sono stati abituati ad avere tutto e subito oa pretendere questo come un diritto. Ecco perch non vedono le con-traddizioni fondamentali della societ capitalistica. Per loro ognicosa o dovrebbe essere relativamente facile: per quale motivo do-vrebbero desiderare un'alternativa? Se appoggiano le Leghe non

    per cambiare il sistema, ma per impedire che il sistema intacchi illoro benessere e questa logica di affermazione sociale.

    Solo quando si scontrano con le assurde regole del mondodel lavoro, senza avere le necessarie "spinte e raccomandazioni" peraffermarsi socialmente, soltanto allora nascono i primi dubbi, le pri-me delusioni. La scuola, la famiglia, i mass-media: tutto, fino a quelmomento, li aveva abituati a pensare diversamente.

    L'impatto col mondo produttivo - che spietato, duro, selet-tivo - li costringe ad accorgersi che il diritto d'essere valorizzati perle proprie capacit intellettuali con buoni stipendi o gratifiche, non

    viene riconosciuto dalla societ. In particolare, i giovani non riesco-no ad accettare l'idea di dover fare un lavoro al disotto di quello chepromette il loro titolo di studio. Non essendo abituati ad alcun verosacrificio, non concepiscono espressioni come "duro tirocinio","umile apprendistato" (anche in lavori manuali o sottopagati). Menoche mai riescono ad accettare l'eventualit d'essere licenziati allascadenza del contratto di formazione-lavoro.

    I giovani di oggi sono stati "viziati" da una societ che nonha voluto spiegare loro l'origine della ricchezza dei loro genitori, imeccanismi perversi mediante cui essa si realizza... Anzi, si cerca-to d'indurre nelle loro coscienze bisogni superflui ed esigenze consu-mistiche, abituandoli a vivere al disopra delle loro capacit produtti-ve, a totale carico dei propri genitori.

    Perch dunque i giovani odiano la scuola al punto d'abban-donarla il pi presto possibile, e proprio mentre la societ diventa

    pi alfabetizzata e pi informatizzata? La risposta semplice: perchpreferiscono trovare un lavoro subito, avere dei soldi in tasca e vive-

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    re una vita da adulti. la societ borghese che li vuole cos. Soprat-tutto quella societ delle automobili, della moda, dei divertimenti. Sei giovani sono come gli adulti, comprono e spendono come gli adul-

    ti.I giovani - soprattutto i maschi - vogliono avere le libert dei

    maggiorenni con una responsabilit da minorenni. Vogliono avere isoldi degli adulti per condurre una vita da adolescenti. Preferisconotrovare un lavoro senza scuola che andare a scuola senza prospettivedi lavoro. Preferiscono godersi la vita il pi presto possibile che faredei sacrifici senza garanzie.

    Decimo: ricominciare da capo

    I giovani di oggi sono stanchi delle contraddizioni che vedo-no, sono esasperati. Dal '68 al '77 la giovent stata molto diversa:lottava per cambiare le cose, anche se si illudeva che fosse sufficien-te mettere a nudo le contraddizioni per poterle risolvere. Era una for-ma di idealismo, con delle punte estremistiche (quelle che poi sfo-ciarono nel terrorismo degli ultimi anni '70), ma seppe suscitare un

    grande entusiasmo: un'intera generazione si era sentita coinvolta inprima persona, impegnandosi a tutto campo.Oggi invece i giovani si lamentano "standosene fuori", ricor-

    rendo a varie forme di "droga": sport, violenza, musica, moda, sesso,sino alla tossicodipendenza, oppure reagiscono con l'indifferenza.Spesso sono cinici, crudeli, non giustificano chi sbaglia, rifiutano leattenuanti, invocano la pena di morte per i casi pi gravi. Provanouna specie di sadismo intellettuale quando vedono qualcuno che

    paga per i suoi errori, quando c' un capro espiatorio su cui scaricarele proprie frustrazioni. In questo imitano sicuramente la cultura degliadulti.

    I giovani che frequentano le scuole cercano di non esporsitroppo al giudizio altrui sui loro comportamenti quotidiani, sui lorocriteri interpretativi della realt: fanno finta di ascoltarti, ti rispondo-no con delle battute, oppure ripetono le solite frasi fatte (le pi insul-se sono quelle che hanno un colore politico). Nel migliore dei casiconcludono dicendo: "Cosa dobbiamo fare? Tanto non serve a nien-

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    te! Ci vorrebbe un duce o un colpo di stato!".Insomma vogliono tutto e subito, proprio come nel '68: la

    differenza che oggi non fanno niente per averlo. Pretendono senza

    mettersi in discussione. Non si preoccupano nemmeno di conoscere imeccanismi sociali e culturali che regolano questa societ. S'illudo-no d'essere immuni da qualunque condizionamento. Spesso infattiaffermano: "Se ho voglia di farlo, lo faccio; se ho voglia di dirlo, lodico...". Il loro individualismo la caratteristica pi negativa.

    Sono istintivi nel metodo, superficiali nelle valutazioni, dif-fidenti nei confronti di chi chiede loro d'impegnarsi senza offrire su-

    bito qualcosa in cambio. Sono cos abituati a ragionare con la logica

    del profitto, che un impegno politico o culturale o sociale sarebberodisposti ad accettarlo solo a condizione di ottenere una contropartita

    ben visibile e a breve termine. Sembrano smaliziati, ma non hannoalcuna esperienza della vita. L'unica esperienza di vita che hanno quella individualista e borghese di ogni giorno, l'altra esperienza quella artificiale fornita loro dai mass-media (soprattutto tv e cine-ma).

    Sono fatalisti da un lato, perch si aspettano soluzioni dal-

    l'alto o non se ne aspettano affatto, e ingenui dall'altro. L'ingenuit proprio il frutto della loro ignoranza, che li porta a dar ragione a chifa la voce pi grossa, ovvero a chi legittima il loro modo istintivo divivere la vita. Anche in questo per, essi riflettono un trend che lisovrasta.

    Quando fanno qualcosa le strade son le solite: sesso (il cuiinizio sceso verso i 16 anni), droga (dagli spinelli alla religione) ediscoteche, pi la violenza negli stadi (le bande sono ancora un feno-meno marginale, se si esclude la criminalit organizzata, che pernon coinvolge molto i giovani del centro-nord).

    Nei confronti di questi giovani il problema diventato: 1)come affrontare la loro formazione educativa, anche a livello psico-

    pedagogico; 2) come affrontare il loro rapporto con la societ civilee col mondo del lavoro.

    Due postille non scientifiche

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    1) Scuola e psicologia borghese

    A scuola, in genere, i ragazzi chiedono "aiuto", sul piano

    psicologico, quando sono arrivati al limite. E allora troppo tardi.Normalmente affrontano la societ (coi suoi problemi) in manieraindividualistica, perch cos stato loro insegnato. Non hanno altrimodelli. lo sforzo titanico del singolo contro tutto e tutti.

    Tuttavia il giovane un soggetto debole, sottoposto a varieinfluenze e condizionamenti, scarsamente critico. Perch cos la so-ciet lo vuole. Un giovane drogato o violento o mafioso d meno

    problemi di un giovane organizzato in movimenti politici che conte-

    stano il sistema. Ci che di "sano" c' in lui l'esigenza di giustizia,di verit, di autenticit, ma questa esigenza viene rimossa con sem-

    pre maggiore facilit e in tempi sempre pi brevi.Uno degli slogan della psicologia "Educare per prevenire".

    Educare s, ma come? davvero sufficiente "educare"? oppure biso-gna anche "lottare" (a livello politico) per vincere gli ostacoli cheimpediscono la stessa educazione? Alcuni sostengono che si pu lot-tare in modo "culturale" (contro i modelli della societ) o in modo

    "psicologico" (contro il disagio, la frustrazione, favorendo nuovirapporti umani). Ma questo pu essere sufficiente?La nostra societ, che eminentemente borghese, va supera-

    ta nei suoi meccanismi di fondo. Dobbiamo quindi lottare per averespazi culturali, sociali, ma anche per avere spazi politici, poich inquesti spazi che avviene la gestione del potere, e vi si decidono le li-nee programmatiche generali cui bisogna attenersi. Finch i vari mo-vimenti di opinione, le varie organizzazioni politiche, sociali e cultu-rali non saranno rappresentate negli organi parlamentari che conta-no, a livello nazionale e locale, qualunque lavoro fatto sul terrenoculturale e sociale rischier di non approdare a nulla, poich incon-trer sempre resistenze fortissime o tentativi di strumentalizzazioneda parte della partitocrazia e delle istituzioni statali.

    Si pu affrontare il politico partendo dal sociale e dal cultu-rale (questa in fondo la lezione gramsciana), ma al politico prima o

    poi bisogna arrivare, e quel giorno bisogner far valere la propriacompetenza, la propria professionalit e responsabilit. Affrontare

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    solo il sociale e il culturale, per timore di affrontare il politico, signi-fica legittimare il sistema, eventualmente limitandosi a perfezionar-lo.

    importante lavorare bene sul terreno socio-culturale, primadi rivolgersi politicamente al sistema. La transizione cos sar menotraumatica. Ma non si pu parlare di "riforme" senza pensare che l'o-

    biettivo finale la "rivoluzione" dei rapporti produttivi e di proprietdominanti. Le riforme sono utili quando accelerano i tempi per la ri-voluzione, o comunque quando vengono usate con queste intenzioni