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PAOLO DI TARSO ELLA PROSPETTIVA EBRAICA Germano Scaglioni, OFMConv Il radicamento di Gesù nella vicenda storica e spirituale di Israele è or- mai divenuto un punto fermo nella ricerca ebraica 1 . Non così per Paolo di Tarso, l’Apostolo delle genti, oggetto di vivaci discussioni. Nei suoi confronti le valutazioni degli studiosi ebrei sono contrastanti: apostata, fon- datore del cristianesimo, manipolatore del messaggio di Gesù, ma anche “fratello”, genio religioso, conquistatore dei cuori, ecc. Il presente lavoro propone una rassegna degli autori più significativi, scelti tra quelli hanno maggiormente influito sulla comprensione di Paolo nell’immaginario ebraico. Ne emerge un ritratto originale, un apporto pre- zioso per la conoscenza di Paolo, osservato da una prospettiva particolare, quella dei suoi «fratelli nella carne» (Rm 9,3). I. LA FINE DI UN LUNGO SILENZIO L’interesse per l’Apostolo è recente: le prime opere su Paolo da parte di studiosi ebrei risalgono agli inizi della modernità 2 . A differenza di Gesù, più volte ricordato nel Talmud e nel Midrash, Paolo è ignorato dalle fonti giu- daiche tradizionali. Il suo nome non compare mai, al più si possono indivi- duare delle tracce, come ipotizzano certi autori secondo i quali nel Talmud vi sono alcuni detti che si riferiscono all’Apostolo, pur senza nominarlo 3 . Il silenzio su Paolo continuò anche nel Medio Evo e si protrasse fino 1 Cf. D. HAGNER, Jewish Reclamation of Jesus. An Analysis and Critique of Modern Jewish Study of Jesus, Grand Rapids 1984. 2 Alcune eccezioni sono segnalate in D. R. LANGTON, The Myth of the ‘Traditional View of Paul’, «Journal for the Study of the New Testament» 28 (2005) 70-71, nota 2. 3 A. Jellinek (1847) e Rabbi I. H. Weiss (1871). Per Jellinek un detto di Rabbi Eleazar non può che riferirsi all’Apostolo: «Se un uomo disprezza il Sabato e le feste stabilite […], non avrà parte nel mondo avvenire» (Aboth 3, 11/12). Paolo infatti abrogò il Sabato, le prin- cipali feste ebraiche e la circoncisione; oltre a ciò avrebbe interpretato la Legge in modo di- storto. Per Weiss, invece, Paolo sarebbe “quel discepolo” (that pupil) che contestò il suo maestro Gamaliele, sostenendo che le benedizioni dell’era messianica sarebbero state non materiali, ma solo spirituali (bShabbat 30b). Cf. J. KLAUSNER, From Jesus to Paul, London 1943, 310-311, 600-601. MF 109 (2009) 151-175

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PAOLO DI TARSO �ELLA PROSPETTIVA EBRAICA

Germano Scaglioni, OFMConv

Il radicamento di Gesù nella vicenda storica e spirituale di Israele è or-mai divenuto un punto fermo nella ricerca ebraica1. Non così per Paolo diTarso, l’Apostolo delle genti, oggetto di vivaci discussioni. Nei suoi confronti le valutazioni degli studiosi ebrei sono contrastanti: apostata, fon-datore del cristianesimo, manipolatore del messaggio di Gesù, ma anche“fratello”, genio religioso, conquistatore dei cuori, ecc.

Il presente lavoro propone una rassegna degli autori più significativi,scelti tra quelli hanno maggiormente influito sulla comprensione di Paolonell’immaginario ebraico. Ne emerge un ritratto originale, un apporto pre-zioso per la conoscenza di Paolo, osservato da una prospettiva particolare,quella dei suoi «fratelli nella carne» (Rm 9,3).

I. LA FINE DI UN LUNGO SILENZIO

L’interesse per l’Apostolo è recente: le prime opere su Paolo da parte distudiosi ebrei risalgono agli inizi della modernità2. A differenza di Gesù, piùvolte ricordato nel Talmud e nel Midrash, Paolo è ignorato dalle fonti giu-daiche tradizionali. Il suo nome non compare mai, al più si possono indivi-duare delle tracce, come ipotizzano certi autori secondo i quali nel Talmudvi sono alcuni detti che si riferiscono all’Apostolo, pur senza nominarlo3.

Il silenzio su Paolo continuò anche nel Medio Evo e si protrasse fino

1 Cf. D. HAGNER, Jewish Reclamation of Jesus. An Analysis and Critique of ModernJewish Study of Jesus, Grand Rapids 1984.

2 Alcune eccezioni sono segnalate in D. R. LANGTON, The Myth of the ‘TraditionalView of Paul’, «Journal for the Study of the New Testament» 28 (2005) 70-71, nota 2.

3 A. Jellinek (1847) e Rabbi I. H. Weiss (1871). Per Jellinek un detto di Rabbi Eleazarnon può che riferirsi all’Apostolo: «Se un uomo disprezza il Sabato e le feste stabilite […],non avrà parte nel mondo avvenire» (Aboth 3, 11/12). Paolo infatti abrogò il Sabato, le prin-cipali feste ebraiche e la circoncisione; oltre a ciò avrebbe interpretato la Legge in modo di-storto. Per Weiss, invece, Paolo sarebbe “quel discepolo” (that pupil) che contestò il suomaestro Gamaliele, sostenendo che le benedizioni dell’era messianica sarebbero state nonmateriali, ma solo spirituali (bShabbat 30b). Cf. J. KLAUSNER, From Jesus to Paul, London1943, 310-311, 600-601.

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all’Età Moderna4. Con l’Illuminismo (Haskalah) il clima generale mutò e a partire dal XIX secolo si registrarono le prime prese di posizione di au-tori ebrei nei riguardi di Paolo. La tendenza si è ulteriormente accentuatanel XX secolo, soprattutto nel secondo dopoguerra, periodo nel quale la ricerca ebraica su Paolo si è arricchita di importanti contributi.

Numerosi fattori sono alla base del nuovo impulso degli studi paolini inambito ebraico. Anzitutto la valorizzazione/riscoperta delle radici ebraichedel Nuovo Testamento e del cristianesimo del I secolo, il ritrovamento deimanoscritti di Qumran e una miglior conoscenza della letteratura giudeo- ellenistica. In secondo luogo l’affermazione della �ew Perspective on Paulche ha ridimensionato l’immagine “luterana” di Paolo, suggerendo la com-prensione dell’Apostolo nel contesto del giudaismo del suo tempo5. Altrifattori sono: la sensibilità maturata dopo la Shoah, l’attenzione a ciò chepuò causare l’antisemitismo e i progressi nel dialogo ebraico-cristiano6.

Il nuovo clima ha favorito la riflessione ebraica su Paolo, lasciando pre-sagire sviluppi nell’approccio alla figura dell’Apostolo, a tutt’oggi segna-ta dalla diffidenza nei confronti di colui che è stato accusato di essere unodei principali responsabili della separazione della Chiesa dalla sinagoga(Parting of the Ways) e di aver provocato l’antisemitismo cristiano.

II. HEINRICH GRAETZ (1817-1891)

In un’opera monumentale sulla storia degli ebrei7, Heinrich Graetz – ilpiù importante storico ebreo del XIX secolo, considerato il padre della

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4 Per Hagner due ipotesi potrebbero spiegare il silenzio su Paolo. Forse l’ambiente giu-daico ritenne che ignorare l’avversario fosse la soluzione più opportuna, oppure – e sareb-be l’ipotesi più verosimile – l’argomento “Paolo” non fu ignorato, ma evitato, a motivo del-la precaria situazione in cui versavano gli ebrei che dal IV al XIX secolo vissero nella cri-stianità; cf. D. A. HAGNER, Paul in Modern Jewish Thought, in D. A. HAGNER – M. J. HAR-RIS (a cura), Pauline Studies. Essays Presented to F. F. Bruce, Exeter 1980, 144-145.

5 Sulla �ew Perspective on Paul si vedano i contributi di E. P. SANDERS, Paul and Pales-tinian Judaism, Philadelphia 1977 (trad. it. Paolo e il giudaismo palestinese, Brescia 1986);ID., Paul, the Law, and the Jewish People, Philadelphia 1983 (trad. it. Paolo, la legge e il po-polo giudaico, Brescia 1989); N. T. WRIGHT, Paul. Fresh Perspectives, London 2005; J. D.G. DUNN, The �ew Perspective on Paul, Tübingen 2005; M. F. BIRD, The Saving Righteous-ness of God. Studies on Paul, Justification, and the �ew Perspective, Milton Keynes 2007.

6 Cf. M. F. BIRD – P. M. SPRINKLE, Jewish Interpretation of Paul in the Last Thirty Years,«Currents in Biblical Research» 6 (2008) 357.

7 H. GRAETZ, Geschichte der Juden von den ältesten Zeiten bis zur Gegenwart, I-XIII,Berlin 1853-1876 (la versione “condensata” è disponibile in inglese: History of the Jews.From the Earliest Times to the Present Day, I-V, London 1891).

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storiografia ebraica moderna – anticipò le linee principali della ricerca successiva: Paolo fu presentato come il vero fondatore della religione cri-stiana, un’impresa che egli poté realizzare avvalendosi del suo retroterraculturale ellenistico, dimostrando però di possedere una conoscenza soloapprossimativa del giudaismo autentico.

Personalità fuori del comune (a very remarkable nature)8, Paolo sembra-va creato per dare forma e realtà a ciò che appariva impossibile e irreale9.Il suo ruolo fu decisivo: senza di lui il movimento messianico, che egli tra-sformò nel cristianesimo, non sarebbe sopravvissuto a lungo, scomparendonell’oblio, come era già accaduto per gli altri movimenti messianici10. Sulrapporto tra Gesù e Saulo, Graetz afferma: «Senza Gesù, Saulo non avreb-be realizzato le sue vaste conquiste spirituali, ma senza Saulo il cristianesi-mo non avrebbe avuto stabilità»11.

Per Graetz la fede di Saulo poggiava su tre capisaldi: 1) Gesù era risor-to; 2) Gesù era il Messia atteso; 3) il Regno dei Cieli (cioè il tempo della risurrezione) era vicino e i credenti della sua generazione sarebbero stati te-stimoni della sua venuta12. Oltre a ciò, Saulo riteneva – in linea conl’insegnamento dei suoi maestri – che la Legge fosse vincolante fino all’ar-rivo del Messia, dopo di che avrebbe esaurito il proprio ruolo13. Con la ve-nuta del Messia, anche i pagani potevano partecipare alla benedizione diAbramo, ma senza essere obbligati all’osservanza della Legge; ciò checontava per l’Apostolo non era più la Legge, ma la fede in Cristo.

«Gettando tutta la sua anima nelle sue parole»14 e sorretto da grande de-terminazione, Paolo conquistò i pagani, strappandoli all’idolatria e all’im-moralità, un’impresa che Graetz reputò come un vanto del giudaismo15.Tuttavia Paolo operò «per distruggere i legami che univano gli insegnamen-ti di Cristo con quelli del giudaismo»16, offrendo un quadro negativo dellaLegge, superata sia nei “cerimoniali” sia per ciò che attiene alla moralità.

Secondo Graetz, il cristianesimo paolino si pone in antitesi rispetto algiudaismo: quest’ultimo sarebbe fondato sulla Legge e sulla costrizione

8 GRAETZ, History of the Jews, II, 225.9 Cf. ivi.10 Ivi: «Christianity might have died a noiseless death, if Saul of Tarsus had not ap-

peared, giving it new life and vigour».11 Ivi, 225: «Without Jesus, Saul would not have made his vast spiritual conquests, but

without Saul, Christianity would have had no stability».12 Cf. ivi, 227.13 Cf. ivi, 226.14 Ivi, 230: «Paul threw his whole soul into his words».15 Cf. ivi, 229.16 Ivi, 231.

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(compulsion), mentre il primo sulla libertà e la grazia17. Paolo fu anche ilprincipale esponente di una delle due fazioni in cui si divise il cristianesi-mo primitivo: quella etnico-cristiana, spesso in urto con l’altra, formata dagiudeo-cristiani, fautori di una visione positiva della Legge.

Nella riflessione di Graetz si possono già cogliere alcuni tratti dell’im-magine “tradizionale” che il giudaismo ha di Paolo (Traditional View ofPaul): il Vangelo dell’Apostolo si oppone alla Legge, mentre il suo cristia-nesimo è l’antitesi del giudaismo18. L’opera di Graetz esercitò un notevoleinflusso sull’opinione comune dell’ebraismo occidentale, accreditandol’immagine del cristianesimo come una religione ostile agli ebrei e al giu-daismo19.

III. CLAUDE GOLDSMID MONTEFIORE (1858-1938)

Esponente del giudaismo liberale inglese, scrisse uno dei primi com-menti ai Vangeli da un punto di vista ebraico20; per il suo tono, spesso ire-nico, fu accusato di simpatizzare per il cristianesimo, anche se egli rimasesempre fedele al giudaismo.

Montefiore, il primo neotestamentarista ebreo21, si distinse nell’am-biente della ricerca degli inizi del XX secolo perché spiegò Paolo a partiredal giudaismo della diaspora22. L’Apostolo non era il «patologo del giudai-smo», come riteneva J. Wellhausen, ma il rappresentante di un giudaismodiverso, quello della diaspora, influenzato da elementi di matrice ellenisti-ca, estranei al giudaismo palestinese23. È questa la prospettiva in cui collo-care Paolo, il quale probabilmente non aveva mai conosciuto il giudaismoautentico, ma una sua versione distorta.

Da un lato, Montefiore “recupera” l’ebraicità di Paolo, dall’altro sot-tolinea la differenza tra il giudaismo paolino e il giudaismo tout court,quello rabbinico24. Analizzando il pensiero paolino, Montefiore individua

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17 Cf. ivi.18 Cf. J. G. GAGER, Reinventing Paul, New York 2000, 21.19 Cf. LANGTON, Myth, 77.20 Cf. C. G. MONTEFIORE, The Synoptic Gospels, I-II, London 19272.21 S. MEIßNER, Die Heimholung des Ketzers. Studien zur jüdischen Auseinandersetzung

mit Paulus, Tübingen 1996, 25, 40.22 Cf. HAGNER, Paul in Modern Jewish Thought, 146.23 Cf. ivi, 147.24 «Jewish should be understood to mean Rabbinical»: C. MONTEFIORE, Rabbinic

Judaism and the Epistles of St. Paul, in J. B. AGUS (a cura), Judaism and Christianity. Se-lected Accounts, 1892-1962, New York 1973, 161. Montefiore ritiene che la “religione

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alcuni insegnamenti che l’Apostolo non avrebbe potuto certamente mutua-re dai suoi maestri talmudici: la divinità del Messia; il pessimismo antro -pologico (l’uomo dominato dal male e dal peccato); la sua concezione della Legge; la dottrina mistica del Salvatore; la missione ai gentili;l’universalismo della sua dottrina della salvezza, offerta a tutti, giudei e gentili; l’antitesi fede/opere; il dualismo antropologico con la contrappo-sizione tra “carne” (sarx) e “spirito” (pneuma)25. Montefiore ne deduce «ilcarattere non rabbinico della teologia di Paolo», giungendo a concludereche «Paolo o non fu mai un rabbino o aveva dimenticato cosa fosse il giu-daismo rabbinico»26.

La concezione paolina della Legge – afferma Montefiore – è irreale(unreal)27. Mentre le critiche che il Gesù dei sinottici rivolgeva al giudai-smo toccavano aspetti concreti e potevano essere facilmente comprese (e forse condivise), le osservazioni di Paolo sulla Legge sarebbero risulta-te astratte e quindi senza grande significato per il lettore ebreo28.

Gli “errori” dell’Apostolo si comprendono alla luce del suo retroterraculturale e religioso, il giudaismo ellenistico, un’espressione inferiore delvero giudaismo, quello palestinese. È evidente che per Montefiore i passidegli Atti degli Apostoli in cui si parla della formazione del giovane Paoloalla scuola di Gamaliele a Gerusalemme non possono essere considerati storicamente attendibili, mentre i passi in cui l’Apostolo parla di sé come unfariseo (Fil 3,5-6) non hanno valore probante, perché potrebbero esserepronunciati tanto da un giudeo palestinese quanto da un giudeo della diaspora.

IV. KAUFMANN KOHLER (1843-1926)

Nato ed educato in Germania, il rabbino Kohler si trasferì negli StatiUniti, dove lavorò nel campo degli studi giudaici. In un articolo per laJewish Encyclopedia presenta Paolo come «il vero fondatore della Chiesa

rabbinica” non abbia subito mutamenti sostanziali nel periodo compreso tra il 50 e il 500d.C.; cf. ivi, 164.

25 Cf. H. J. SCHOEPS, Paul. The Theology of the Apostle in the Light of Jewish ReligiousHistory, Philadelphia 1961 (or. ted. Paulus. Die Theologie des Apostels im Lichte der jüdi-schen Religionsgeschichte, Tübingen 1959), 26.

26 HAGNER, Paul in Modern Jewish Thought, 147.27 MONTEFIORE, Rabbinic Judaism, 167.28 Ivi, 168: «Paul’s criticism of the Law would have glided off a Jewish reader like

water off a duck’s back».

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cristiana in opposizione al giudaismo»29. Nonostante le sue affermazioni(«circonciso, ebreo da ebrei, fariseo quanto alla Legge»: Fil 3,5; «Israelitadella tribù di Beniamino»: Rm 11,1), Paolo era totalmente «ellenista nelpensiero e nei sentimenti»30. Nulla nei suoi scritti e nel suo modo di argo-mentare prova l’esistenza di una sua formazione rabbinica: la teologia del-l’Apostolo affonda le proprie radici nella letteratura del giudaismo ellenisti-co e risente dell’influenza dei culti misterici greci. In particolare la sua cristologia, come la sua visione della Legge, manifesterebbe un’evidenteimpronta gnostica.

Come Montefiore, Kohler ritiene che la chiave per comprendere Paolosia anzitutto il giudaismo della diaspora, ma a suo giudizio occorre consi-derare anche altri aspetti della sua personalità, quali la sua propensione alle estasi (probabilmente in concomitanza con attacchi epilettici) e i suoiparossismi mentali (mental paroxysms)31, con i quali si possono spiegare glielementi più irrazionali che emergono dalle Lettere. Altrettanto pungenti le affermazioni sul cristianesimo predicato da Paolo: «una nuova fede, me-tà pagana e metà ebraica», estranea tanto ai costumi quanto al pensieroebraici32.

Paolo ebbe un atteggiamento ostile al giudaismo (anti-Jewish attitude),un’animosità che Kohler giudicò senza confronti (unparalleled)33.L’influenza ellenistica, unitamente al suo atteggiamento di disprezzo per laLegge, lo resero inviso ai suoi “fratelli nella carne”, ma gli procurarono an-che l’ostilità dei giudeo-cristiani, alcuni dei quali lo giudicarono un «apo-stata dalla Legge»34.

Nonostante l’atteggiamento critico nei confronti del giudaismo e l’in flu -enza ellenistica, per Kohler Paolo resta un ebreo, perfettamente riconosci-bile come tale.

V. JOSEPH GEDALJA KLAUSNER (1874-1958)

Autorevole rappresentante del mondo accademico ebraico, Joseph Klau-sner, nacque a Vilna, ma crebbe a Odessa (Ucraina). Dopo aver compiuti gli

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29 K. KOHLER, Saul of Tarsus, in Jewish Encyclopedia, XI [1905], 79.30 Ivi.31 Ivi.32 Ivi.33 Ivi.34 Ivi: Kohler cita le testimonianze di Eusebio, Ireneo di Lione, Origene e Clemente

Romano.

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studi a Heidelberg (Germania), nel 1917 emigrò in Israele e si stabilì a Ge-rusalemme, dove svolse la sua carriera universitaria come docente di Storia e Letteratura ebraica.

Si interessò delle origini del cristianesimo, dando alle stampe due ope-re, divenute un punto di riferimento per gli studiosi ebrei, ma apprezzate an-che nei circoli cristiani. La prima, Yeshu ha-�oßri [Gesù il �azareno], uscìnel 192235; la seconda, Mi-Yeshu ad Paulus [Da Gesù a Paolo], fu pubbli-cata diciassette anni dopo36. L’importanza delle due opere non consistesoltanto nei loro contenuti, ma nel presentare studi su Gesù e Paolo a unpubblico ebraico in lingua ebraica. Si trattava infatti dei primi due libri sulcristianesimo scritti in ebraico moderno37.

L’immagine di Gesù proposta da Klausner appare condizionata dal-l’ideologia sionista: Gesù rappresenta il volto migliore del giudaismo e neincarna le virtù più tipiche. Il quadro di riferimento è il profetismo messia-nico, all’interno del quale Gesù vive e muore come un ebreo degno di talenome38. Il giudizio su Paolo non è altrettanto lusinghiero. Dopo un’accura-ta analisi della sua personalità e del suo pensiero, Klausner conclude chel’ambiente ebraico non avrebbe potuto che assumere un atteggiamento ne-gativo nei confronti dell’Apostolo, alla sua epoca, come in quelle successi-ve39. Paolo aveva abolito il Sabato, le feste e la circoncisione, per nonmenzionare la sua interpretazione distorta della Legge: un insieme di elementi che non poteva se non suscitare ostilità e rifiuto da parte dei suoi“fratelli nella carne”.

L’Apostolo è anzitutto un ebreo nato e vissuto nella diaspora, vale a di-re nel mondo ellenistico, e rappresentante di un giudaismo diverso da quel-lo dei farisei della Palestina. I contatti con l’ambiente di Gerusalemme, inparticolare con la scuola di Gamaliele, non poterono modificare il suoorientamento di fondo, anzi fecero di lui «un uomo diviso tra il movimen-to farisaico palestinese e il giudaismo ellenistico, e in una certa misura an-che il paganesimo»40. Questo retroterra poliedrico si rivelò fondamentale,

35 J. KLAUSNER, Yeshu ha-Noßri, zmano, ˙ayyav we-torato [Gesù il �azareno, il suo tem-po, la sua vita e il suo insegnamento], Jerusalem 1922.

36 J. KLAUSNER, Mi-Yeshu ad Paulus [Da Gesù a Paolo], I-II, Tel Aviv 1939-1940. Nelpresente lavoro si cita la traduzione inglese, From Jesus to Paul, London 1943.

37 A. F. SEGAL, Paul et ses exégètes juifs contemporains, «Recherches de Science Reli-gieuse» 94 (2006) 418.

38 Ivi, 419.39 «Jews could not have taken any attitude toward Paul and his teaching except a nega-

tive one. So is his time, and so after his time, up to the present day»: KLAUSNER, From Jesus to Paul, 600.

40 Ivi, 312.

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perché consentì a Paolo di caratterizzare in senso universalistico la nuovafede cristiana, anche se ciò comportò il distacco dal giudaismo palestinese.

Per Klausner l’insegnamento paolino è il risultato di un sincretismo re-ligioso, nel quale confluirono elementi giudaici e semi-pagani, combinan-do i quali l’Apostolo, senza rendersene conto, diede vita al cristianesimo, unnuovo impianto teologico che rappresentava «la contraddizione del giudai-smo» e comportava come conseguenza «il rigetto del popolo ebraico» (therejection of the Jewish nation)41. Klausner ritiene infatti che se il giudaismoavesse accolto il messaggio di Paolo, esso sarebbe scomparso sia come re-ligione sia come popolo, ciò che era accaduto ai giudeo-cristiani, gradual-mente assorbiti dal cristianesimo fino a dissolversi del tutto, senza lasciaretracce significative42.

Klausner sottolinea il ruolo decisivo di Paolo nello sviluppo della fedecristiana, anche se in dipendenza da Gesù e dalla Chiesa. Se non ci fossestato Gesù, Paolo sarebbe rimasto uno zelante fariseo fino alla fine deisuoi giorni; senza la Chiesa primitiva che gli trasmise il nucleo dottrinaledella nuova fede – la storia della risurrezione e l’applicazione alla crocifis-sione di Gesù della profezia messianica di Is 53 – a Paolo sarebbe manca-to il fondamento del suo impianto teologico43.

Tuttavia Klausner, seppur con qualche distinguo, ritiene che Paolo deb-ba essere considerato il vero fondatore del cristianesimo. Gesù ne è la fon-te, la radice e l’ideale, ma non intendeva fondare una nuova religione né unaChiesa: il suo scopo principale era la predicazione del Regno di Dio a Israele44. Paolo, invece, fu «il creatore e l’organizzatore del cristianesimocome nuova comunità religiosa»45, «l’istituzionalizzatore della Chiesa cri-stiana», colui che fece del cristianesimo «un sistema religioso diverso siadal giudaismo sia dal paganesimo, un sistema che media tra il giudaismo e il paganesimo, ma con un’inclinazione verso il paganesimo»46.

Su questo sfondo Klausner stabilisce un interessante confronto tra Gesù e Paolo. Riguardo all’insegnamento essi si pongono su livelli diver-si: Gesù cita raramente la Torah, la sua predicazione si fonda su parabole ed esempi tratti dalla vita quotidiana; le speculazioni teologiche, spesso

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41 Ivi, 591.42 Ivi, 593: «Only a small minority among the Jews accepted the teaching of Paul, and

in the course of time, after a sharp struggle between Jewish Nazarenism and Gentile Chris-tianity, this minority was swallowed up among the Gentiles».

43 Cf. ivi, 581.44 Cf. ivi, 581-582.45 Ivi, 582.46 Ivi.

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utilizzate da Paolo, sono estranee al suo stile e alla sua mentalità. Di Gesùfu detto: «Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro co-me uno che ha autorità e non come gli scribi» (Mc 1,22). Per Klausner sarebbe impossibile lo stesso apprezzamento nei confronti dell’Apostoloche insegnava come gli scribi, argomentava come i teologi e predicava come i filosofi popolari stoici47.

Gesù e Paolo erano entrambi ebrei e farisei, ma Paolo era più “rabbini-co” in quanto alla formazione, al modo di pensare e all’interpretazione del-le Scritture48. Gesù era un ebreo palestinese che conosceva solo la lettera-tura in ebraico e aramaico del suo paese, mentre Paolo era un ebreo delladiaspora, familiare non solo con l’ebraico e l’aramaico, ma anche con la let-teratura ellenistica giudaica e, anche se non in modo approfondito, con laletteratura greca49. Per Klausner la maggior ricchezza culturale di Paolo, pe-rò, rappresentò più un limite che un vantaggio: mentre Gesù non conosce-va divisioni interiori, a motivo di un retroterra culturale più povero, maomogeneo, l’Apostolo fu sempre diviso tra ebraismo ed ellenismo, senzariuscire a decidersi completamente né per l’uno né per l’altro50.

VI. MARTIN BUBER (1878-1965)

Buber nacque a Vienna da una famiglia viennese di ebrei assimilati; lavorò attivamente in campo filosofico, culturale e religioso. Nel 1938, a se-guito della persecuzione nazista, lasciò la Germania e si trasferì a Gerusa-lemme, dove si dedicò all’insegnamento universitario.

Nel pensiero di Buber si distinguono (e contrappongono) due gruppi: daun lato, il giudaismo classico e il mondo farisaico; dall’altro, il giudaismoellenistico e il cristianesimo. Gesù appartiene al primo gruppo, Paolo al secondo.

In linea con questo orientamento Buber individua due tipi di fede: quel-la che consiste nell’avere fiducia in Qualcuno e quella con cui si ritiene per vero qualcosa51. Nella storia questa diversa modulazione della fede

47 Cf. ivi, 583.48 Cf. ivi.49 Ivi, 583-584.50 Ivi, 584.51 Cf. M. BUBER, Due tipi di fede. Fede ebraica e fede cristiana, Cinisello Balsamo

1995, 75 (or. ted. Zwei Glaubensweisen. Mit einem �achwort von David Flusser, Gerlingen19942).

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è rappresentata rispettivamente dall’ebraismo e dal cristianesimo: nel primocaso si parla di emunah, nel secondo di pistis. La emunah ebraica è l’«aver-fiducia-in-Dio» (fides qua creditur), una disposizione d’animo che privile-gia la dimensione affettivo-esistenziale52; la pistis cristiana, invece, è un atto di ordine noetico (fides quae creditur, Daß-Glauben)53, l’assenso intel-lettuale che accompagna la conversione del singolo individuo.

Nella prospettiva di Buber la emunah è testimoniata da figure qualiAbramo, Mosè, Giobbe, ed è al fondo della fede di Gesù di Nazaret, la cuipredicazione segue autenticamente la linea tracciata dalla fede dei profeti.La genesi della pistis non si può attribuire al Gesù storico, rimasto semprefedele alla emunah, ma all’evangelista Giovanni e soprattutto a Paolo, «ilvero autore della concezione cristiana della fede»54.

Il passaggio alla pistis, inteso come stravolgimento della emunah ebrai-ca propria di Gesù e del giudaismo palestinese, è un indizio dell’attitudinegreca dell’Apostolo. Anche per Buber il pensiero paolino affonda le radicinon nel giudaismo classico, ma nell’ambiente ellenistico-gnostico, soprat-tutto quando l’Apostolo tratta di realtà quali il dominio delle potenze chegovernano il mondo, la schiavitù dell’uomo e del cosmo e il conseguentebisogno di liberazione55. Il debito verso l’ambiente ellenistico è ancor piùevidente nel caso della risurrezione di Gesù, su cui «s’impernia la sua con-cezione del piano di Dio sul mondo»56. La fede nella risurrezione sarebbestata preparata – nell’ambiente pagano-ellenistico – dalle religioni misteri-che che parlavano della morte e rinascita di alcune divinità57.

Nei confronti di Gesù Buber esprime rispetto e ammirazione:

Sin dalla mia giovinezza ho avvertito la figura di Gesù come quella di un miogrande fratello. Il fatto che il cristianesimo lo abbia considerato e lo considericome Dio e Redentore mi è sempre apparso un dato di fatto della massima serietà, che devo cercare di capire sia in se stesso che per me. […] Il mio rap-porto personale di apertura fraterna a Gesù è diventato sempre più forte e piùpuro, e oggi guardo a lui con uno sguardo più intenso e più limpido che mai. Perme è più certo che mai che a Gesù spetta un grande posto nella storia della fede di Israele e che questo posto non può essere definito con nessuna delle categorie usuali58.

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52 BUBER, Due tipi di fede, 77.53 Ivi, 138.54 Ivi, 92.55 Cf. ivi, 126.56 Ivi, 139.57 Cf. ivi, 141.58 Ivi, 62.

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A conclusioni di tutt’altro tenore giunge in seguito all’analisi della teologia dell’Apostolo, in particolare la sua concezione della Legge: «Seguardo in faccia a questo Dio [predicato da Paolo], io non vi riconosco ilDio di Gesù; se guardo questo mondo [di Paolo] non vi riconosco il mon-do di Gesù»59.

VII. SAMUEL SANDMEL (1911-1979)

Nato a Dayton (Ohio) da una famiglia ebraica di origine europea, Sandmel frequentò la University of Missouri (B.A. nel 1932); nel 1937 divenne rabbino dopo aver studiato presso lo Hebrew Union College (Cin-cinnati, Ohio), il seminario dell’ebraismo riformato americano. Nel 1949completò la formazione accademica a Yale, specializzandosi in studi neote-stamentari sotto la direzione di E. A. Goodenough.

Dal 1952 fino al 1979 (anno della morte) Sandmel fu docente di Bibbiae Letteratura Ellenistica presso lo Hebrew Union College. Autore prolificopubblicò una ventina di opere, tra le quali: A Jewish Understanding of the�ew Testament (1956), We Jews and Jesus (1965), Anti-Semitism in the�ew Testament? (1978), Judaism and Christian Beginnings (1978). Per ilmondo ebraico rappresentò un’autorità riconosciuta nel campo degli studineotestamentari e nel dialogo con i cristiani.

Come indica il titolo della monografia dedicata all’Apostolo, The Ge-nius of Paul, Sandmel considera Paolo «un genio religioso»60, riconoscen-do di non aver incontrato «un uomo più stimolante»61, anche se – affer -ma – «capace di irritarmi o anche ripugnarmi a causa del carattere abrasivodei suoi scritti»62.

Il pensiero dell’Apostolo riflette l’ambiente ellenistico della diaspora nelquale egli crebbe e fu educato; l’influsso ellenistico fu così incisivo che ilcristianesimo di Paolo può essere definito «un fenomeno completamentegreco»63.

Il giudaismo paolino era dunque quello ellenistico, sul quale Sandmelesprime le proprie riserve affermando che avrebbe subito una sottile, ma

59 Ivi,131.60 S. SANDMEL, The Genius of Paul. A Study in History, Philadelphia 1979, 3.61 Ivi, vi.62 Ivi.63 S. SANDMEL, A Jewish Understanding of the �ew Testament, Cincinnati 1956, 104, cit.

da HAGNER, Paul in Modern Jewish Thought, 150.

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radicale mutazione, non solo attribuendo nuovi significati ai termini tradi-zionali, ma anche mutando i presupposti e gli scopi della ricerca religiosa64.Inoltre, il contatto di Paolo con il giudaismo farisaico palestinese presso lascuola di Gamaliele non sarebbe mai avvenuto, dal momento che il raccontodegliAtti – secondo Sandmel – non sarebbe storicamente attendibile. La con-seguenza è che il cristianesimo di Paolo e il movimento rabbinico della Pa-lestina condividono poco più che un comune punto di partenza, la Bibbia65.

Per Sandmel Paolo si comprende a partire dall’apocalittica che egliavrebbe “cristologizzato” una volta convertito al cristianesimo66. Si tratta diun’intuizione che segna lo sviluppo della ricerca successiva, fino a diveni-re una base comune per molti tra gli studiosi che si occupano di Paolo.

Sandmel presenta Paolo come “mistico” e come “profeta”. A differenzadel teologo che vaglia, classifica e sintetizza idee, il mistico attesta soltan-to la propria esperienza. E Paolo fu «un mistico che incontrò Dio nella for-ma di Gesù Cristo»67. Alla luce di questo incontro l’Apostolo maturò unnuovo sguardo sulla sua eredità giudaica, traendo da essa “cose nuove e co-se antiche”.

La categoria che meglio descrive Paolo il convertito è quella di “profe-ta”. Afferma Sandmel: «Paolo ebbe il senso della chiamata di Dio, della co-munione con lui, e del suo incarico da Dio»68. L’Apostolo è paragonato adAmos, Geremia e Isaia, seppur operando in tempi e contesti diversi69; sitratta di uomini chiamati da Dio a svolgere una particolare missione, nellaquale essi si impegnarono a fondo. Al pari dei tre grandi profeti, Paolo de-siderò comunicare la propria esperienza mistica, condividendola con altri:da qui – afferma Sandmel – l’origine del dinamismo missionario di Paolo70.

Uno degli aspetti del genio di Paolo fu la sua capacità di rendere acces-sibili le verità del giudaismo al mondo ellenistico-pagano, un percorso nuovo (road not taken) nella storia giudaica71; in ciò fu facilitato dalla suaprovenienza e dalle sue notevoli capacità di divulgatore.

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64 SANDMEL, The Genius, 15.65 Cf. ivi, 59.66 SEGAL, Paul et ses exégètes juifs, 423.67 SANDMEL, The Genius, 75.68 Ivi, 75.69 Ivi, 75-76.70 Ivi, 76-77.71 Cf. A. SEGAL, Paul’s Religious Experience in the Eyes of Jewish Scholars, D. B.

CAPES – A. D. DECONICK – H. K. BOND – T. A. MILLER (a cura), Israel’s God and Rebecca’sChildren. Christology and Community in Early Judaism and Christianity. Essays in Honorof Larry W. Hurtado and Alan F. Segal, Waco 2007, 330.

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Per Sandmel l’Apostolo era giudeo di nascita, cresciuto in un ambientegreco e convertito al cristianesimo72; ciononostante ebbe sempre la con-sapevolezza di essere ebreo, un’identità che non rinnegò mai. Egli è co-munemente definito “cristiano”, ma secondo Sandmel l’Apostolo avrebberifiutato una simile etichetta affermando: «Io sono un ebreo e ciò che stopredicando è la più pura e autentica versione del giudaismo»73. Per Sandmel in Paolo coesistono tre strati: il giudaismo, l’ellenismo e il cristia-nesimo, gli “ingredienti fondamentali” che l’Apostolo combinò in modo geniale, dando forma a una fede diversa dal giudeo-cristianesimo pale-stinese74.

Sandmel si oppone alla tesi di coloro che considerano Paolo come fon-datore del cristianesimo, riconoscendo che esso non aveva avuto inizio conl’Apostolo; tuttavia il ruolo di Paolo fu determinante, poiché il suo contri-buto rappresentò un “secondo inizio” (second beginning)75.

VIII. LEO BAECK (1873-1956)

Leo Baeck, rabbino di origine tedesca, fu uno dei più autorevoli rappre-sentanti dell’ebraismo del Novecento. Durante il periodo nazista fu inter-nato nel lager di Theresienstadt (1943), ma sopravvisse. Riacquistata la li-bertà, si trasferì a Londra dove divenne presidente della World Union forProgressive Judaism (ebraismo liberale e riformato). Docente di Storia del-la religione allo Hebrew Union College di Cincinnati promosse lo studiodella storia degli ebrei di lingua tedesca (Leo Baeck Institute).

Afferma W. Jacob:

L’approccio di Leo Back al cristianesimo può essere diviso in due periodi. Fino alla metà della sua vita egli lo considerò come un antagonista e pensò cheil miglior metodo di approccio fosse l’attacco vigoroso. […] In seguito mutò inparte il suo atteggiamento critico, enfatizzando gli elementi giudaici in Gesù e Paolo76.

Al primo periodo appartiene l’opera Das Evangelium als Urkunde der

72 «Born a Jew, in a Greek environment, converted to Christianity»: SANDMEL, The Genius, 114.

73 Ivi, 21.74 Cf. ivi, 114.75 Ivi, 97, 113, 116.76 Mia traduzione di W. JACOB, Christianity Through Jewish Eyes. The Quest for

Common Ground, Cincinnati 1974, 139ss, cit. da MEIßNER, Heimholung, 72.

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jüdischen Glaubensgeschichte77, in cui Gesù e Paolo sono collocati su ver-santi opposti. L’insegnamento di Gesù, contenuto nei vangeli, era coeren-te con il pensiero ebraico; Paolo, invece, fu «il responsabile della deriva an-tiebraica della Chiesa primitiva, colui che incarnò lo spirito pagano al pun-to da far trionfare il pagano-cristianesimo sul giudeo-cristianesimo»78.

La successiva rivalutazione dell’Apostolo tenne conto – molto più degliautori finora considerati – dell’ebraicità di Paolo, il quale nel suo pensierocome nello svolgimento della sua attività missionaria non venne meno allasua lealtà verso il giudaismo e neppure mise in discussione uno dei pilastridella religione dei suoi padri: l’elezione di Israele.

Baeck non nega l’impronta ellenistica, per lui evidente, in particolarenella dottrina sacramentaria (battesimo ed eucaristia) influenzata dai cultimisterici, e nella terminologia, non di rado mutuata dalla filosofia dell’epo-ca (ad es. lo stoicismo), ma afferma che tutto ciò non fa di lui necessa-riamente un ellenista. Paolo fu e restò un ebreo, ma attinse al giudaismo palestinese che all’epoca non era affatto immune da contaminazioni elleni-stiche.

Secondo gli studiosi il contributo di Leo Baeck può essere consideratocome l’emblema del mutamento che lentamente maturava nella ricercaebraica su Paolo: l’enfasi sull’influsso ellenistico rintracciabile nel pensie-ro di Paolo, insieme a una chiara affermazione della sua identità ebraica, segnano il passaggio ad un nuovo paradigma, caratterizzato dal pieno recu-pero dell’ebraicità dell’Apostolo79.

IX. HANS JOACHIM SCHOEPS (1909-1980)

Nato a Berlino, fu educato in Germania (Berlino, Heidelberg, Marbur-go e Lipsia). Nel 1938 la persecuzione nazista lo costrinse a fuggire inSvezia; ritornato in patria, fu docente di Storia delle religioni pressol’università di Erlangen. Tra i suoi principali interessi figurano il giudaismo(storia, filosofia, mistica), il cristianesimo delle origini, con una particola-re attenzione al giudeo-cristianesimo, e il dialogo ebraico-cristiano80.

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77 L. BAECK, Das Evangelium als Urkunde der jüdischen Glaubensgeschichte, Berlin1938 (trad. it. Il Vangelo. Un documento ebraico, Firenze 2004).

78 BAECK, Il Vangelo, IV di copertina.79 Cf. MEIßNER, Heimholung, 72.80 H. J. SCHOEPS, Geschichte der jüdischen Religionsphilosophie in der �euzeit, Berlin

1935; ID., Jüdisch-christliches Religionsgespräch im 19. Jahrhundert. Die Geschichte einertheologischen Auseinandersetzung, Frankfurt am Main 1937; ID., Das Judenchristentum.

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La sua opera Paulus. Die Theologie des Apostels im Lichte der jüdischenReligionsgeschichte è fra gli studi più approfonditi dedicati a Paolo da unautore ebraico. Nelle pagine iniziali viene proposta una rassegna critica deidiversi approcci a Paolo. Discutendo se il retroterra culturale paolino fosseellenistico, giudeo-ellenistico, giudeo-palestinese oppure escatologico,Schoeps afferma che si possono rintracciare influenze da tutte le posizionisegnalate81. A suo giudizio, però, l’Apostolo è anzitutto un fariseo della dia-spora che divenne discepolo di Gamaliele a Gerusalemme; la chiave percomprendere Paolo è dunque il contatto con il rabbinismo farisaico, fatto-re determinante che ne plasmò la vita e il pensiero. Altri influssi, seppurpresenti, non furono ugualmente decisivi.

Rispetto agli autori esaminati in precedenza si verifica una svolta:l’originalità della figura e del pensiero di Paolo si spiegano a partire dal-l’ambiente palestinese. Si tratta di un primo passo nella direzione di un re-cupero di Paolo all’interno dei circoli più ortodossi del giudaismo; l’enfasisulla sua provenienza dalla diaspora e i contatti con l’ambiente ellenistico-pagano per giustificare l’eccentricità del “caso Paolo” cedono il passo a unavalutazione più equilibrata circa i presunti “debiti” dell’Apostolo nei con-fronti del giudaismo non palestinese.

Schoeps affronta gli aspetti più controversi riguardanti l’Apostolo: ilrapporto con la prima comunità cristiana, l’escatologia, la soteriologia, laLegge e la sua comprensione della storia salvifica.

Paolo credeva che il Messia fosse venuto82: nel nuovo eone la funzionedella Legge è superata, perché ha trovato il proprio telos (termine, fine,compimento) in Gesù Cristo, secondo l’espressione di Rm 10,4. Paolo si-tuava se stesso e la propria missione in un “presente” contrassegnato dalcompimento escatologico, ma – afferma Schoeps – numerosi autori ebreinon lo compresero, preferendo attenersi a Klausner, sostenitore di posizio-ni superate (a long-out-of-date liberal attitude)83.

Per Schoeps vi è continuità tra il cristianesimo palestinese pre-paolino e il cristianesimo di Paolo: la tesi dell’ellenizzazione del cristianesimo ad

Untersuchungen über Gruppenbildungen und Parteikämpfe in der frühen Christenheit,Bern 1964.

81 «My opinion is that all attempts at interpretation which we have studied are relative-ly right. The problem is only to decide correctly on their limits, to decide where and howthey overlap»: SCHOEPS, Paul, 47.

82 Ivi, 40: «This new element has downed for him through his encounter with the risenMessiah, convincing him that the new eon has already supervened».

83 Ivi, 47-48. Anche l’ipotesi di Schoeps è stata criticata; si fa notare che è difficile tro-vare nelle fonti giudaiche del I secolo d.C. una testimonianza secondo la quale la Legge deve scomparire nell’era messianica; cf. SEGAL, Paul et ses exégètes juifs, 422.

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opera dell’Apostolo, sostenuta dalla scuola di Tubinga, e condivisa ancheda numerosi studiosi ebrei, non può essere accolta84. Anche perché – rileva Schoeps – alcuni temi fondamentali dell’insegnamento paolino nonderivano dalla cultura ellenistica, ma dal giudaismo, come ad esempiol’insistenza sull’escatologia, il riferimento a un messia personale e la venu-ta del “giorno del Signore”85.

Schoeps pone in rilievo anche un altro fattore: l’intervento della Chiesasull’epistolario paolino. Se Paolo può apparire più ellenista che ebreo ciò sideve a una deformazione operata negli ambienti del cristianesimo primiti-vo. Da qui l’importanza di collocare Paolo nel suo vero contesto storico:quello del movimento rabbinico del I secolo d.C., di cui Paolo rappresentòl’ala più radicale.

X. SCHALOM BEN-CHORIN (1913-1999)

Fritz Rosenthal nacque a Monaco di Baviera in una famiglia di commer-cianti ebrei assimilati. Dopo varie vicissitudini si trasferì a Gerusalemme,dove cambiò nome, facendosi chiamare Schalom Ben-Chorin che significa“Pace, figlio della libertà”.

Giornalista, docente universitario, membro del gruppo di lavoro ebrai-co-cristiano del Consiglio della Chiesa protestante di Germania, autore diuna vasta produzione letteraria e teologica, Ben-Chorin dimostrò grande in-teresse per il cristianesimo, in particolare per le sue figure più eminenti,quali Gesù, sua madre Maria e Paolo, cui dedicò una trilogia86.

Spicca la sua devozione per Gesù, del quale disse:

Gesù è per me l’eterno fratello; non solo fratello in quanto uomo, ma anche ilmio fratello ebreo. Sento la sua mano fraterna che mi afferra affinché lo segua.�on è la mano del messia, […] senz’altro non è una mano divina, bensì una ma-no umana, sulle cui linee è scavato il più profondo dolore. È la mano di un gran-de testimone della fede di Israele. La sua fede, la sua fede incondizionata, la suaassoluta fiducia in Dio, il Padre, la disponibilità a sottomettersi completamen-te alla volontà del Padre – questo è l'atteggiamento che è per noi esemplificato

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84 Cf. SCHOEPS, Paul, 48.85 Ivi, 259: «The theology of the apostle arose from overwhelmingly Jewish religious

ideas».86 SCHALOM BEN-CHORIN, Bruder Jesus. Der �azarener in jüdischer Sicht, München

1967 (trad. it. Fratello Gesù. Un punto di vista ebraico sul �azareno, Brescia 1985); Pau-lus. Der Völkerapostel in jüdischer Sicht, München 1970; Mutter Mirjam. Maria in jüdi-scher Sicht, München 1971.

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in Gesù e che ci può unire, ebrei e cristiani: la fede di Gesù ci unisce, la fede inGesù ci divide87.

Come i Tannaim (maestri della Mishnah) Gesù ebbe una predilezioneper il mashal (parabola), ma il suo uditorio era diverso, perché costituito dal“popolo della terra” (am ha-arez), i poveri e gli incolti dell’epoca. Al cen-tro della sua predicazione splende l’amore, a sua volta centro della Torahcon molte analogie con la linea della scuola farisaica di Hillel. In Gesù vi-ve la fede ebraica, egli è un ebreo perseguitato ed infine ucciso che nella suavita richiama al Regno di Dio, un profeta come Elia ed Eliseo.

Nell’opera dedicata all’Apostolo delle genti, Ben-Chorin afferma con insistenza che Paolo «fu e rimase un ebreo», anche se «un ebreo in polemi-ca con gli ebrei» che stando «fra Israele e i pagani e, volendo unire, spessooperò separando». L’Apostolo ha pagato un altissimo prezzo per l’annunciodel “Servo di Yhwh” (Is 49,6), perché – sottolinea Ben-Chorin – rico-noscendolo in Gesù Cristo, rinuncia proprio al cuore dell'ebraismo, allaLegge.

Dall’analisi dell’epistolario Ben-Chorin deduce che tutto in Paolo ri-manda al giudaismo: lo stile argomentativo, l’esegesi, la teologia, perfino lacristologia, riflettono la sua formazione ebraica, in particolare quella farisai-ca. A suo giudizio l’opinione di Buber non è condivisibile: la concezionepaolina della fede non esclude la emunah ebraica, dal momento che il pensiero paolino affonda la sue radici nel mondo giudaico, non in quellogreco88.

Per Ben-Chorin il periodo in cui Paolo è stato un discepolo (talmid cha-cam) ai piedi di Gamaliele gioca un ruolo fondamentale nella sua riflessio-ne teologica, anche dopo la sua conversione. Ma anche la provenienza dal-la diaspora, il suo contatto con l’ambiente ellenistico hanno lasciato traccenella sua riflessione. Per Ben-Chorin Paolo è un «viandante tra due mondi»(Wanderer zwischen zwei Welten)89, secondo il programma esposto in 1Cor9,20-21.23: «Giudeo per i giudei, greco per i greci, […] mi sono fatto tut-to a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno».

Tra Paolo, ebreo della diaspora, e Gesù, ebreo palestinese, l’opposizio -ne è netta. L’Apostolo avrebbe “trasformato” Gesù, ellenizzandone il

87 BEN-CHORIN, Fratello Gesù, 27-28. Le parole di Ben-Chorin «riassumono con note-vole chiarezza l’atteggiamento di molti circoli ebraici di fronte a Gesù»; L. SESTIERI, Ebrai-smo e Cristianesimo. Percorsi di mutua comprensione, Milano 2001, 137.

88 «Paulus in der jüdischen, nicht in der griechischen Gedankenwelt wurzelt»: BEN- CHORIN, Paulus, 13.

89 Ivi, 77.

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messaggio a tal punto che gli stessi discepoli di Gesù non poterono piùcomprenderlo90. L’influenza ellenistica si nota nella cristologia di Paoloispirata alla tradizione apocalittica del giudaismo ellenistico; la dottrinabattesimale dipenderebbe dai culti misterici dell’epoca, mentre il suo mon-do è astratto e dualistico (ad es. l’antitesi carne-spirito)91.

Per Ben-Chorin l’insegnamento di Paolo è una “miscela” composta dadue elementi: il giudaismo ellenistico e quello palestinese. La chiave percomprendere Paolo, però, è la sua missione ai gentili: il suo annuncio è radicato nel giudaismo palestinese, ma ellenizzato a motivo della predi-cazione ai pagani. A Paolo – afferma Ben-Chorin – toccò un singolare de-stino: da alcuni non fu compreso, da altri fu frainteso. Gli ebrei lo ritenne-ro un “senza Legge”, un “pagano greco”, mentre per i greci fu “uno stranorabbi”92.

XI. DAVID FLUSSER (1917-2000)

Nato a Vienna, si trasferì a Pribram, una località nella vicina Boemia, se-de di un santuario mariano, dove il giovane Flusser entrò in contatto con larealtà viva del cristianesimo e della fede popolare. A Praga studiò FilologiaClassica. Per sfuggire alla persecuzione nazista, nel 1939 emigrò in Israe-le, si stabilì a Gerusalemme e si dedicò alla ricerca e all’insegnamento(Hebrew University of Jerusalem). Storico del Secondo Tempio ed espertonello studio comparato delle religioni, si occupò dei Rotoli del Mar Morto,del giudaismo antico, del Nuovo Testamento e delle origini cristiane. Co-nobbe un notevole successo editoriale con la pubblicazione di Jesus, la suamonografia su Gesù, tradotta in numerose lingue93.

Flusser coglie qualcosa di straordinario in Paolo:

Ebreo fariseo e cittadino romano, una volta fanatico della Legge e ora pronto a mettere in guardia dalla sua forza negativa, prima un persecutore della comu-nità dei cristiani e ora un divulgatore del cristianesimo tra i pagani, aggressivoe insieme amorevole, conquistatore dei cuori e perseguitato ovunque, annunzia-tore del vangelo della croce di Gesù e sospettato dai discepoli di Gesù94.

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90 Cf. ivi, 56.91 Cf. ivi, 52.92 Cf. ivi, 213.93 D. FLUSSER, Jesus, New York 1969 (trad. it. Jesus, Brescia 2008).94 D. FLUSSER, Il Cristianesimo. Una religione ebraica, Milano 1992 (or. ted. Das Chri-

stentum – eine jüdische Religion, München 1990), 96.

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La sua personalità – forte e controversa – si riflette anche nel suo pen-siero:

Come l’uomo Paolo, così anche la sua dottrina è stata indomabile e inquieta.Già molto presto si è sentito dire che nelle lettere di Paolo «ci sono alcune co-se difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano […] per laloro propria rovina» (2Pt 3,16)95.

Rispetto a Klausner, l’approccio di Flusser è più articolato: l’Apostolonon dipenderebbe soltanto dal giudaismo della diaspora o da quello palesti-nese. Il frequente impiego del dualismo (luce/tenebre, giustizia/iniquità, fedeli/infedeli, ecc.), l’immagine della Chiesa come edificio spirituale, co-munità separata dal mondo, scelta prima della creazione, l’elezione pergrazia da parte di Dio, insieme ad altri aspetti del pensiero paolino lascia-no intravvedere l’influenza dei movimenti settari dell’epoca, in particolaregli esseni96.

Flusser sottolinea l’impronta rabbinica nell’epistolario paolino, ricor-dando che in non pochi passi «Paolo con l’aiuto del metodo esegetico rabbinico ha interpretato parole dell’Antico Testamento nel senso del suovangelo cristiano»97. Ma con una nota paradossale, come rileva lo stessoFlusser: «Proprio dove Paolo è più vicino all’esegesi rabbinica si trovano lefrecciate più acute contro l’interpretazione giudaica della Scrittura»98. Flus-ser spiega questo aspetto singolare affermando: «Possiamo comprendereanche psicologicamente questo modo di pensare di Paolo: l’ex discepolo deifarisei era stato costretto dalla sua sconvolgente esperienza a un cambia-mento radicale rispetto al suo stesso passato»99.

Un altro «audace paradosso»100 si coglie nel suo insegnamento sullaLegge: «Paolo usa delle espressioni giudaiche per sostenere che i cristianinon devono compiere le opere della Legge, dal momento che sono liberi daesse e stanno sotto la grazia di Cristo»101. In altri termini: «Paolo riempì i vasi antichi con contenuti nuovi»102.

Alla fine di un ampio capitolo dedicato all’Apostolo, Flusser afferma diaver voluto «chiarire l’enigma che Paolo rappresenta»103. L’Apostolo –

95 Ivi.96 Cf. ivi, 110-112.97 Ivi, 123.98 Ivi.99 Ivi.100 Ivi, 126.101 Ivi.102 Ivi.103 Ivi, 143.

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una vera «esplosione vulcanica» – si può comprendere se lo si «intenderànel suo tempo e in rapporto al suo tempo»104. Flusser conclude con una no-ta positiva: «Molto di buono e di meno buono è avvenuto, a torto o a ragio-ne, in nome di Paolo, ma nessuno potrà contestare il suo genio»105.

XII. RICHARD LOWELL RUBENSTEIN (1924-)

Ben-Chorin intitolò una sua opera Bruder Jesus [Fratello Gesù], Ruben-stein invece scrisse My Brother Paul [Il mio fratello Paolo]106. Si tratta diuna lettura psicanalitica di Paolo, in cui Rubenstein ricerca anticipazionidelle teorie di Freud nella figura dell’Apostolo. Teologo della “morte diDio” e scettico sul ruolo di giudaismo e cristianesimo nella soluzione deiproblemi del genere umano, Rubenstein è attratto da Paolo non soltanto a motivo del suo contributo religioso, ma anche dalla sua singolare espe-rienza umana. In questo senso egli parla di Paolo come di un “fratello”.

Pur non sottovalutando l’influsso ellenistico, per Rubenstein il pensierodell’Apostolo e la sua esperienza religiosa si comprendono alla luce del-l’ebraicità di Paolo e del suo retroterra culturale farisaico107. Allo stessotempo, però, Rubenstein ritiene che «nessuno abbia frainteso il giudaismoquanto Paolo»108. Il “fraintendimento” dipende dal fatto che Paolo ritene-va concluso il tempo dell’attesa: il Messia era venuto, dando inizio al nuo-vo eone. Da questa convinzione trae origine la missione ai gentili, precon-dizione per il compimento del piano di Dio per Israele109.

Due prese di posizione di Rubenstein si distaccano dal mainstream del-la ricerca ebraica su Paolo. In primo luogo la negazione che vi sia una differenza sostanziale tra il pensiero di Paolo e la dottrina della Chiesa pri-mitiva. Più interessante la sua contestazione del topos di Paolo «creatorevirtuale» del cristianesimo, una responsabilità che invece spetta a Gesù, «ilvero autore della breccia irreparabile che si è prodotta tra cristianesimo edebraismo»110.

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104 Ivi.105 Ivi.106 R. L. RUBENSTEIN, My Brother Paul, New York 1972.107 Ivi, 19: «I have come to believe that Paul’s thought and religious life were far more

Jewish than Greek».108 Ivi, 198.109 Ivi, 129.110 Ivi, 121.

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XIII. ALAN FRANKLIN SEGAL (1945-)

«Tra i migliori conoscitori ebrei di Paolo»111, l’americano Segal è unostudioso delle religioni, in particolare giudaismo e cristianesimo. La suaopera principale – Paul the Convert. The Apostasy and Apostolate of Saulof Tarsus – è articolata intorno alle fasi fondamentali della biografia paoli-na: “Paolo il giudeo” (prima parte), “Paolo il convertito” (seconda parte) e “Paolo l’apostolo” (terza parte)112.

Afferma Segal: «A mio giudizio, la conversione è l’esperienza principa-le che colora tutta l’opera successiva di Paolo»113. Ciò che Paolo fece in se-guito non fu che un’esplicitazione sul piano religioso, sociale e politico delsignificato dell’evento di Damasco; anche la sua interpretazione sui limitidella Legge nella lettera ai Galati si deve capire in rapporto alle dinamicheinnescate dall’incontro con il Risorto.

Per Segal, dunque, Paolo è anzitutto un convertito, ma la sua conversio-ne si gioca all’interno del giudaismo: egli non ritenne mai d’aver abban-donato la religione dei padri, ma di essere passato ad un altro tipo di giudai-smo114.

«La conversione di Paolo fu di tipo estatico, fatta di visioni e di rivela-zioni ricevute dal Cristo risorto»115, un’esperienza vicina al misticismoebraico, nella forma della merkabah (la tradizione del trono di Dio, descrit-ta ad es. nel primo capitolo di Ezechiele).

Paolo è «un rabbino cristiano che tenta continuamente di adattare il suopensiero alle esigenze della vita di comunità»116; crede che solo la fede por-ti salvezza, ma per evitare scandalo o disagio ai “deboli” non ha alcuna dif-ficoltà ad osservare la Legge, se è in gioco l’unità della Chiesa.

Da alcuni Paolo fu ritenuto un apostolo, da altri un apostata. Per Segalsi tratta di un giudizio che dipende dalla prospettiva di colui che osserva; inrealtà Paolo si comprendeva come un giudeo fedele alle tradizioni del suopopolo, convinto che Dio in modo misterioso avrebbe salvato Israele117.

111 MEIßNER, Heimholung, 120.112 A. F. SEGAL, Paul the Convert. The Apostasy and Apostolate of Saul of Tarsus, New

Haven 1990.113 Ivi.114 SEGAL, Paul et ses exégètes juifs, 426.115 Ivi.116 Ivi, 427.117 Ivi, 429.

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GERMANO SCAGLIONI

XIV. DANIEL BOYARIN (1946-)

Ebreo ortodosso americano, definisce se stesso «talmudista e criticodella cultura ebraica e postmoderna»118; si concentra sul giudaismo, ma lasua opera maggiore è dedicata a Paolo con il titolo A Radical Jew. Paul andthe Politics of Identity119.

Per Boyarin Paolo è importante per la storiografia giudaica, perché lasua è l’autobiografia spirituale di un ebreo del I secolo d.C., periodo di cuiesistono solo poche testimonianze di prima mano. L’Apostolo, voce criti-ca del suo tempo, fu un importante pensatore che rappresentò e tuttora rap-presenta una sfida per l’ebraismo120. Boyarin lo considera un riformatoreradicale della società ebraica e tenta di cogliere i motivi del suo contrastocon il mondo giudaico, insieme ai limiti e alle potenzialità delle soluzioniproposte.

L’approccio di Boyarin a Paolo muove da una duplice prospettiva. Da unlato, si sottolinea che egli «visse e morì convinto di essere un ebreo che vi-veva nell’ebraismo»121. Dall’altro si pone in rilievo l’ebreo ellenistico e ilcultore del pensiero greco, attirato dalla filosofia dell’Uno, all’interno del-la quale le differenze si compongono fino ad annullarsi. Poste queste pre-messe Boyarin può affermare che la chiave per comprendere il pensiero diPaolo si trova in Gal 3,28: «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schia-vo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cri-sto Gesù». Animato da questo ambizioso progetto Paolo fece ogni sforzoper eliminare le barriere tra ebrei e non ebrei all’interno del cristianesimo.

La prospettiva dell’Apostolo privilegiava ciò che è “spirituale” – la leg-ge universale di Cristo, dell’amore e della fede –, in opposizione a ciò cheè “carnale”: la circoncisione, la kashruth (l’insieme delle prescrizioni ali-mentari ebraiche) e il Sabato122.

Segal manifesta le proprie riserve, affermando che il pensiero di Boya-rin rappresenta un passo indietro nella ricerca ebraica su Paolo: a dispettodelle premesse, la figura dell’Apostolo diventa «il simbolo di una politicariguardante l’identità ebraica, e non un soggetto di analisi storica»123.

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118 Ivi.119 D. BOYARIN, A Radical Jew. Paul and the Politics of Identity, Berkeley 1997.120 Cf. ivi, 2-3.121 Ivi, 2.122 Cf. BOYARIN, A Radical Jew, 188.123 SEGAL, Paul et ses exégètes juifs, 433.

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XV. MARK NANOS (1954-)

Nanos è «un ebreo che nutre una profonda simpatia per la comunità cri-stiana»124. Non un critico della cultura, ma uno specialista del Nuovo Testa-mento che si distingue nel panorama della ricerca ebraica, perché non hascritto un’opera complessiva su Paolo, ma monografie su alcune lettere(Romani e Galati)125.

Nanos è un pensatore originale, le cui prese di posizione si discostanospesso dalle opinioni della maggioranza. A suo parere occorre anzituttoconcedere credito al libro degli Atti degli Apostoli, in cui Paolo viene pre-sentato come un ebreo fedele alla Legge. Su questo presupposto si fonda lasua tesi: le lettere paoline sono scritte da un giudeo rimasto un fedele osser-vante della Legge anche dopo aver riconosciuto in Gesù il Messia e percor-so il mondo per diffondere quel messaggio.

Nanos si pone in antitesi rispetto all’interpretazione paolina della tradi-zione protestante. Secondo Lutero, Paolo predicò un Vangelo svincolatodalla Legge (“Law-free” Gospel), Nanos invece sostiene che Paolo an-nunciò un Vangelo rispettoso della Legge (“Law-respectful” Gospel)126. Inaltri termini, anche dopo la venuta di Cristo la Torah conservava la sua va-lidità per i giudei, mentre ai gentili era richiesta l’adesione ai precetti noa-chici, come per i “timorati di Dio”. Si tratta di un’affermazione ardita chedeve misurarsi con i testi in cui l’Apostolo si esprime in termini critici sul-la Legge e la sua funzione nell’economia salvifica inaugurata da Cristo.

Altrettanto singolare è l’ipotesi secondo cui le lettere di Paolo non solocostituiscono una fonte preziosa per la storiografia ebraica, ma sono essestesse “corrispondenza ebraica”, vale a dire scritte da un ebreo, Paolo, e indirizzate a comunità ebraiche. Su questo sfondo si comprende un’altraaffermazione di Nanos, secondo cui «ora possiamo leggere il Nuovo Testa-mento come un libro giudaico»127. Anche in questo caso non sono manca-te le reazioni della critica.

Per Nanos l’epistolario di Paolo è un “fenomeno” giudaico: riflette la

124 Ivi, 434.125 M. NANOS, The Mystery of Romans. The Jewish Context of Paul’s Letter, Minneapo-

lis 1996 (l’opera ha ottenuto il �ational Jewish Book Award for Jewish-Christian Relations1996); ID., The Irony of Galatians. Paul’s Letter in First-Century Context, Minneapolis2002. In veste di Editor ha curato The Galatians Debate. Contemporary Issues in Rhetori-cal and Historical Interpretation, Peabody 2002.

126 Cf. P. EISENBAUM, rec. di M. NANOS, The Mystery of Romans. The Jewish Context ofPaul’s Letter, Minneapolis 1996, «Jewish Book World» 15/2 (1997) 31.

127 Ivi.

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GERMANO SCAGLIONI

situazione dell’ambiente inter o intra giudaico, manifestando le tensioniesistenti tra i gruppi e sottogruppi che lo componevano. Nel caso di Roma-ni e Galati, le lettere avevano come target formale le singole comunità,composte da pagani e giudei, ma erano pensate soprattutto per questi ultimi.

CONCLUSIONE

A mo’ di sintesi si possono raccogliere alcuni tra gli elementi più signi-ficativi emersi dallo studio degli autori più rappresentativi della ricercaebraica su Paolo128.

1. La ricerca ebraica su Paolo ha fatto notevoli progressi, superando antichi pregiudizi e assumendo un atteggiamento più equilibrato nei con-fronti dell’Apostolo. I risultati degli studi più recenti, però, non sembranodivenuti patrimonio del sensus communis dell’ebraismo, in cui è ancora radicata una visione stereotipata dell’Apostolo, ispirata alla valutazionenegativa che caratterizzava le prime fasi della ricerca su Paolo.

2. A Paolo è attribuito il merito di aver fatto conoscere il Dio d’Israeleai pagani. Per Kohler, uno degli autori più critici, Paolo è stato «uno stru-mento nelle mani della Divina Provvidenza per guadagnare i pagani al Diodella giustizia, il Dio d’Israele»129.

3. È cresciuto l’apprezzamento di Paolo anche come teologo, ma il suoinsegnamento viene respinto in toto, almeno per quanto riguarda i punti piùqualificanti del suo pensiero. La cristologia, la visione della Legge, la sote-riologia, il pessimismo antropologico, la dottrina dei sacramenti, insieme a numerosi punti della sua riflessione etica e sociale dell’Apostolo non tro-vano accoglienza presso gli studiosi ebrei.

4. La riscoperta dell’ebraicità di Paolo, in termini di appartenenza etnico-culturale e religiosa. Lo spirito della nuova tendenza è sintetizzato dal titolo dello studio di Meißner sul confronto tra Paolo e l’ebraismo: DieHeimholung des Ketzers che si può rendere in italiano come “Il rimpatriodell’eretico”. Tuttavia occorre riconoscere che se si può parlare di una con-vinta Reclamation of Jesus da parte ebraica, la Reclamation of Paul appare più problematica.

In generale la riflessione ebraica sembra maggiormente a proprio agionei confronti di Gesù, mentre incontra difficoltà a spiegare e comprendere

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128 Cf. HAGNER, Paul in Modern Jewish Thought, 157-159.129 KOHLER, Saul of Tarsus, 86.

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Paolo. La posizione assunta da Paolo nei confronti dei suoi “fratelli nellacarne”, in particolare di coloro che non avevano accettato Cristo, ha contri-buito a creare un pregiudizio anti-paolino nell’immaginario ebraico, un’ipo-teca che ancora oggi resiste, nonostante i numerosi tentativi di riguadagna-re la sua figura all’eredità spirituale d’Israele.

Sommario – Il radicamento di Gesù nella vicenda storica e spirituale di Israele è ormai un punto fermo nella ricerca ebraica; non altrettanto può dirsi per Paolo diTarso, oggetto di valutazioni contrastanti. Lo studio propone una rassegna degli autori più significativi, scelti tra quelli che hanno maggiormente influito sullacomprensione di Paolo nell’immaginario ebraico. Ne emerge un ritratto originale,un apporto prezioso per la conoscenza dell’Apostolo delle Genti, osservato da unaprospettiva particolare, quella dei suoi «fratelli nella carne».

Summary – Jesus’ root in Israel’s historical and spiritual existence has already be-en a solid acquisition in the Jewish research, whereas the same cannot be affirmedin the case of Paul of Tarsus, which still remains an object of opposite valuations.The study reviews the most significant authors that exerted more influence onPaul’s comprehension in the Jewish imagination. It comes out an original portrait,a precious contribution to the understanding of Paul, observed from a particularperspective, that of his “brothers in flesh”.

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