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BIBLIOGRAFIA G.Spina, “La gestione dell’impresa”, Etas Burns, Stalker, “Sistemi meccanici e sistemi organici di direzione”, in: Fabris e Martino, “Progettazione e Sviluppo delle Organizzazioni”, Etas, 1993 Daft, “Organizzazione Aziendale”, Apogeo, 2001 Articolo allegato alle slides: Sally Seymour, The case of the Willful Whistle-Blower – HBR, January- February 1988 N°1 Pagina 1

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BIBLIOGRAFIA

• G.Spina, “La gestione dell’impresa”, Etas

• Burns, Stalker, “Sistemi meccanici e sistemi organici di direzione”, in: Fabris e Martino, “Progettazione e

Sviluppo delle Organizzazioni”, Etas, 1993

• Daft, “Organizzazione Aziendale”, Apogeo, 2001

• Articolo allegato alle slides: Sally Seymour, The case of the Willful Whistle-Blower – HBR, January-

February 1988 N°1

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Le organizzazioni affrontano quotidianamente problemi che richiedono ai manager di prendere decisioni. Le

decisioni organizzative possono essere definite come: l’insieme delle attività coinvolte nell’identificazione e

nella risoluzione dei problemi.

L’identificazione del problema è il risultato dell’analisi ambientale, volta a diagnosticare eventuali

malfunzionamenti o performance insoddisfacenti; una volta che il problema è stato individuato, il processo

decisionale prosegue con la ricerca delle soluzioni (risposte) adottabili per la soluzione del problema e si

conclude con la scelta di una di queste. Normalmente, quella ritenuta più adeguata o la più accessibile.

In relazione al grado di complessità del contesto possiamo distinguere tra due macro categorie di decisioni:

quelle programmate e quelle non programmate.

Le decisioni programmate sono riferite ad un contesto caratterizzato da problemi noti e ricorrenti in cui le

alternative decisionali sono chiare e le loro conseguenze sono prevedibili con un elevato grado di accuratezza.

Le decisioni programmate sono tipiche di un ambiente lavorativo proceduralizzato. Nelle decisioni

programmate sono impiegati, spesso, criteri decisionali razionali oppure derivati dall’esperienza, quindi

l’alternativa scelta avrà una probabilità di successo molto elevata. Le decisioni programmate possono avvalersi

di regole empiriche e/o di euristiche la cui efficacia è testimoniata dalle esperienze capitalizzate all’interno

dell’organizzazione. Un esempio di decisione programmata: la determinazione del tempo di consegna del

prodotto richiesto e la conseguente conferma d’ordine da inviare al cliente.

Al contrario, le decisioni non programmate riguardano problemi che l’organizzazione si trova a dover affrontare

in condizioni che, spesso, non consentono di delineare con la necessaria chiarezza lo stesso perimetro del

problema. Questa tipologia di problemi si caratterizza per l’incertezza che investe sia la comprensione della

reale natura del problema che l’effettiva esistenza di efficaci alternative decisionali per il superamento dello

stesso.

In queste tipologie di problemi l’esperienza accumulata o i metodi decisionali razionali si rivelano inefficaci. Due

esempi di decisioni non programmate: le scelte relative alle strategie di Prodotto (tempi e modalità di

introduzione di nuovi prodotti; innovazione delle tecnologie di prodotto; … ecc.) e alle strategie di Processo

(delocalizzazione produttiva; grado di automazione del Processo; … ecc.).

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Le decisioni non programmate stanno diventando sempre più frequenti e pervasive all’interno delle

organizzazioni non solo a causa della turbolenza e della dinamicità dell’ambiente con il quale esse si

interfacciano (es.: emergere di nuovi competitors, forti oscillazioni nelle quotazioni delle materie prime,

operazioni di M&A, … ecc.), ma anche per effetto del progressivo appiattimento delle strutture

organizzative (delega del processo decisionale verso i livelli operativi). Per quanto, la riduzione dei livelli

gerarchici, in molte aziende, ancorché auspicabile, tarda ancora ad essere realizzata compiutamente.

Per esemplificare la complessità del processi decisionali nel contesto attuale possiamo fare riferimento ad

un fenomeno sempre più rilevante che attiene alla responsabilità delle organizzazioni verso l’ambiente

esterno e alle sue implicazioni di carattere etico-comportamentale. Negli anni più recenti abbiamo

assistito ad un aumento significativo dell’importanza dei valori etici nella gestione dei rapporti tra i diversi

membri dell’organizzazione e tra l’organizzazione e stakeholder esterni: i dilemmi etici costituiscono una

importante tipologia di decisioni non programmate. Vedi articolo in allegato di Sally Seymour, The case of

the Willful Whistle-Blower – HBR, January-February 1988 N°1

Ad un incremento della complessità e della ricorrenza di problemi “difficili” si aggiunge l’incremento del

numero delle persone che interagiscono tra loro nel processo decisionale; vedremo in seguito come la

presenza di diversi attori, ciascuno con i propri obiettivi e le proprie strategie, possa influenzare

notevolmente il processo decisionale facendolo allontanare in molti casi dall’ideale di processo razionale.

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Il processo decisionale organizzativo differisce dal processo decisionale individuale perché, molto spesso,

le decisioni organizzative coinvolgono più di una persona e, altrettanto spesso, più di un’organizzazione.

Esamineremo nel seguito quattro modelli di decisioni organizzative:

• l’approccio delle scienze manageriali

• il modello Carnegie

• il modello del processo decisionale incrementale

• il modello del contenitore dei rifiuti

Ogni organizzazione, nei diversi stadi del proprio percorso evolutivo, presenta situazioni nelle quali è

possibile riconoscere la presenza di processi decisionali ispirati ad uno di questi modelli base o a

combinazioni degli stessi. E’ importante osservare che i quattro modelli non si caratterizzano per un

diverso grado di efficacia o, ancora meno, per una presunta progressività del grado di precisione o

affidabilità. Essi si caratterizzano per la maggiore o minore applicabilità alle tipologie delle problematiche

affrontate e, soprattutto, al grado di stabilità o instabilità del contesto in cui opera l’organizzazione.

Pertanto, ognuno di questi modelli può essere utilmente applicato in un determinato contesto per l’analisi

e la risoluzione di uno specifico problema (approccio contingente).

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L’approccio delle scienze manageriali, per affrontare i problemi, utilizza gli strumenti della ricerca

operativa e dei sistemi di supporto alle decisioni

• definiti in modo completo, univoco e logicamente strutturato

• per i quali le variabili in gioco sono note e misurabili

• in cui sono chiari i rapporti causa effetto tra le variabili ed il risultato

Con l’aiuto delle tecnologie informatiche le scienze manageriali permettono di trattare problemi che non

possono essere trattati dall’uomo per la loro complessità, per la loro dimensione o per il numero di

variabili e vincoli coinvolti.

Nei problemi che:

• coinvolgono variabili non misurabili quantitativamente (es: la qualità complessiva del servizio, le

preferenze dei consumatori), oppure

• in cui il modello ad uso dei metodi delle scienze manageriali sia una approssimazione del problema

reale

allora i risultati dell’analisi sono da considerare come uno degli strumenti del decisore, il quale dovrà

affidarsi all’intuito e a considerazioni qualitative.

Esempi di applicazione:

• Schedulazione della produzione

• Ubicazione di un servizio critico in una rete di utenti

• Costruzione e assegnazione dei turni di lavoro ai cassieri di un supermercato

• Ottimizzazione del percorso della testa di un utensile nella lavorazione di un particolare meccanico

complesso

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Nella slide sono riportati altri 2 esempi di problemi affrontati con il modello delle scienze manageriali.

In questi casi il problema è duplice: supponiamo di voler realizzare i componenti di un giocattolo che

saranno poi montati insieme.

Il progetto a sinistra (il cavallo a dondolo) prevede di utilizzare un solo foglio di materia prima (in plastica,

cartone, compensato, ecc.) per ciascun prodotto finito: l’elaboratore, determina la posizione ideale di

ciascun componente al fine di ottimizzare gli sfridi (ridurre al massimo il materiale inutilizzabile) sotto

alcuni vincoli tecnici (es. distanza minima da mantenere fra due componenti per consentire il taglio) e

progettuali (dimensioni e proporzioni dei vari componenti).

Una volta trovata la posizione di ciascun componente, il sistema informatico elabora i possibili percorsi di

taglio che la macchina dovrà seguire e sceglie quello che ottimizza il parametro critico: in generale si tratta

di ridurre al minimo il tempo di lavorazione, ma in alcuni casi questo parametro potrebbe essere

affiancato da altre prestazioni critiche. Ad esempio ci sono casi in cui è necessario ottimizzare l’utilizzo

dell’attrezzatura di taglio che si usura durante la lavorazione, mentre altre volte è necessario vincolare la

sequenza di taglio per ottimizzare le fasi di montaggio successive, ecc.

Il progetto a destra (l’imbarcazione in scala) prevede la realizzazione di molti componenti di dimensioni

molto diverse che sfruttano meglio le materie prime se suddivisi in 6 pannelli standard. In questo caso il

problema del nesting potrebbe essere analogo al precedente, quindi con l’obiettivo di ottimizzare solo gli

sfridi di lavorazione; molto più spesso, invece, in casi di questo tipo si ha la necessità di utilizzare materiali

diversi per i componenti e, quindi, vincolare specifici componenti in determinati pannelli.

Il problema del routing per il taglio inoltre, potrebbe prevedere nuovi parametri da ottimizzare: ad

esempio, in casi come questo, in cui ci sono pannelli di materiale diverso e componenti di dimensioni

diverse, potrebbe essere necessario utilizzare attrezzature di taglio diverse (per dimensione, per

tecnologia – laser o meccanica, ecc.) e, quindi, il routing ottimo potrebbe comprendere l’obiettivo di

ridurre al minimo i cambi utensile sugli impianti di taglio (che riducono l’efficienza della lavorazione).

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Il modello Carnegie (che prende il nome dall’Università in cui è stato formulato) prende atto del fatto che

le decisioni organizzative coinvolgono più attori e sono l’espressione di azioni politiche.

Secondo il modello, le decisioni organizzative non vengono prese da un singolo decisore, ma da una

coalizione. Le coalizioni sono unioni temporanee di soggetti che condividono i medesimi obiettivi, la

medesima percezione dei problemi e le stesse linee d’azione. Il potere della coalizione è maggiore del

potere del singolo, quindi le coalizioni permettono di raggiungere obiettivi altrimenti irraggiungibili. Della

coalizione che esprime la decisione possono fare parte soggetti che non appartengono all’organizzazione

stessa come, ad esempio, rappresentanti sindacali o consulenti esterni. La formazione delle coalizioni è il

risultato dell’azione politica dei suoi membri.

Oltre al maggiore potere della coalizione rispetto a quello del singolo, le coalizioni nascono per due

motivi:

• I soggetti hanno limiti cognitivi e di tempo (razionalità limitata), per cui non dispongono di tutte le

risorse (ad esempio informazioni e competenze professionali) per poter delineare in modo sufficiente

il problema, le possibili alternative decisionali e gli effetti attesi di tali alternative.

• Gli obiettivi dei soggetti coinvolti nella decisione possono essere contrastanti; l’azione politica dei

membri della coalizione (tipicamente di negoziazione) permette di giungere ad un consenso.

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Il processo di negoziazione che conduce alla nascita delle coalizioni e la prospettiva della razionalità

limitata implicano che le decisioni assunte non sono ottimizzanti (come lo sono invece nell’approccio delle

scienze manageriali), bensì soddisfacenti per i componenti della coalizione.

Nelle situazioni di elevata incertezza e di forte conflittualità non sono neanche immaginabili delle soluzioni

ottime per cui, nella maggior parte dei casi, viene adottata la prima soluzione soddisfacente per i membri

della coalizione.

Il modello di Carnegie del processo decisionale – rappresentato nella slide – evidenzia come la formazione

delle coalizioni è un processo lungo che coinvolge in discussioni e negoziazioni grandi risorse in termini di

tempo e di persone coinvolte; proprio per l’onerosità dell’ottenimento del consenso, la prima alternativa

che lo soddisfa viene generalmente adottata e, quando possibile, formalizzata in procedute e politiche che

permettano di evitare il ricomponimento della coalizione qualora un problema simile si dovesse

presentare. Tuttavia, ogni volta che una decisione non programmata si ripresenta, ritorna ad essere

indispensabile la formazione di una nuova coalizione.

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La slide illustra un istogramma in cui si dà evidenza di come siano distribuite le assegnazioni delle risorse

nei vari progetti in un modello di Project Portfolio Management.

In ascissa sono riportate le settimane lavorative; in ordinata è riportato il lavoro (in ore) assegnato sui vari

progetti.

Ogni progetto ha un diverso colore e le assegnazioni ai progetti si sommano nelle singole settimane.

La linea spezzata nera orizzontale evidenzia la capacità massima (in ore a settimana) delle risorse prese in

considerazione.

La barra blu scuro rappresenta la disponibilità, settimana per settimana delle risorse non ancora

assegnate: quando, in una settimana, il carico di lavoro delle risorse assegnate supera la capacità massima

disponibile, il valore di disponibilità risulta negativo, sotto il valore 0 del lavoro assegnato: ciò sta ad

indicare una criticità da risolvere.

In un caso come questo in cui ogni progetto è affidato a persone diverse, è impensabile che questi eventi

critici possano essere risolti in modo indipendente: è necessario che si creino delle coalizioni di decisori

che affrontino il problema e chiariscano la soluzione da adottare. In questo caso è necessario che il

gruppo decisionale non sia formato solo dai Project Manager, ma anche da altre persone che possano, ad

esempio, attribuire priorità diverse ai diversi progetti e stabilire le regole per una decisione in linea con la

strategia aziendale (considerando, ad esempio, le penali legate ai progetti, il prestigio di un cliente rispetto

ad un altro, ecc.).

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Il modello decisionale incrementale pone il suo focus sulla struttura del processo decisionale, quindi sulla

sequenza delle attività che vengono svolte per identificare il problema e per scegliere una soluzione.

L’esame di numerose decisioni non programmate di natura diversa tra loro, affrontate da diverse

organizzazioni, ha permesso a Mintzberg di rilevare come le grandi decisioni siano il frutto della

combinazione di tante piccole decisioni.

Il processo decisionale osservato da Mintzberg ha evidenziato che, per le decisioni complesse costruite su

misura, il processo decisionale è composto da diversi momenti decisionali in cui l’organizzazione può

decidere di ripartire da un punto precedente e provare alternative diverse (arresti decisionali).

Il modello prevede la reiterazione di cicli di “prova ed errore” che consentono un progressivo

apprendimento del problema e delle conseguenze (effetti) prodotte dalle soluzioni; l’apprendimento

dell’organizzazione sul problema e sulle sue modalità di soluzione può condurre ad una soluzione molto

diversa da quella ipotizzata nelle prime fasi del processo.

Rispetto al modello Carnegie, il modello incrementale pone una minore enfasi sugli aspetti “politici” ed

una attenzione più marcata alla dinamicità e alla struttura interna del processo decisionale.

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Il processo decisionale incrementale si può dividere in tre fasi (identificazione, sviluppo e selezione) in

ognuna delle quali sono identificabili determinati step e/o loop decisionali.

La fase di identificazione è quella in cui il problema viene riconosciuto e diagnosticato. Il processo

decisionale inizia con la percezione, da parte di uno o più soggetti, di performance al di sotto delle

aspettative oppure di opportunità di miglioramento non esplorate. La consapevolezza del

problema/dell’opportunità portano alla sua diagnosi, cioè alla raccolta di informazioni e dati per la sua

comprensione. Maggiore è la gravità del problema, minore sarà il grado di sistematicità e di

formalizzazione della diagnosi.

Nella fase di sviluppo vengono individuate alcune soluzioni al problema diagnosticato; tali soluzioni

possono essere completamente nuove e progettate per l’occasione, oppure possono essere già state

utilizzate ed incorporate in procedure o norme (ricerca e controllo di applicabilità). Il percorso di sviluppo

non è univoco; ad esempio, è possibile che in prima battuta venga ricercata una soluzione già

implementata in passato che non si rivela interamente applicabile al problema reale e che, dopo alcuni

loop di progettazione, possa essere considerata applicabile. La costruzione di una soluzione ai problemi

decisionali avviene per cicli di “prove ed errori” e implica a sua volta che vengano prese delle decisioni (ad

esempio: fino a che punto estendo la ricerca di soluzioni già adottate?, quante alternative decisionali

produco?).

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Nella fase di selezione viene scelta la soluzione da adottare.

A seconda del tipo di problema e del numero di persone che possono influire sulla scelta, cambiano le

modalità di selezione:

• si parla di giudizio quando la responsabilità della scelta ricade su di un singolo decisore che si basa su

valutazione analitiche ma anche sull’esperienza acquisita

• possono essere applicate le tecniche delle scienze manageriali quando il problema è definito,

logicamente strutturato e le sue variabili sono misurabili quantitativamente (analisi)

• viene impiegata la negoziazione quando, a causa dell’incertezza e dell’elevata conflittualità, è

necessaria la formazione di una coalizione

Lo step finale del processo decisionale incrementale è l’autorizzazione, ovvero l’accettazione formale della

soluzione scelta.

Il processo decisionale non fluisce solo dal riconoscimento all’autorizzazione, esistono diversi punti

decisionali in cui il processo può seguire un arresto e un innesco di un loop. La disponibilità di una nuova

tecnologia, la sostituzione dell’amministratore delegato, l’entrata in vigore di una nuova normativa sulla

sicurezza e un conflitto organizzativo sono esempi di fattori che possono far sì che il la decisione riprenda

da una fase precedente. Le decisioni organizzative sono processi che si possono estendere per orizzonti

temporali molti lunghi durante i quali la soluzione iniziale può subire diverse modifiche.

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La Gillette ha utilizzato un processo di decisione incrementale per perfezionare la progettazione di rasoi

come il Sensor e il nuovo Mach3. Durante la ricerca di una nuova idea per aumentare le vendite nel

mercato maturo della rasatura, i ricercatori del laboratorio inglese dell’azienda hanno concepito la

brillante idea di creare un rasoio con tre lame per consentire un taglio più preciso e confortevole

(riconoscimento e diagnosi). Dieci anni più tardi, il Mach3 è arrivato sul mercato, dopo migliaia di rasature

di prova, numerose modifiche di progettazione e un costo di sviluppo e di lavorazione di 750 milioni di

dollari.

Le esigenze tecniche per la costruzione di un rasoio con tre lame, che segua i contorni del volto e che sia

anche facile da pulire, hanno condotto a numerosi vicoli ciechi. Gli ingegneri hanno prima provato con

tecniche consolidate (ricerca, vaglio), ma nessuna di esse è risultata adatta. Alla fine è stato realizzato un

prototipo chiamato manx (progettazione). Tuttavia, l’amministratore delegato della Gillette ha ritenuto

che il rasoio avrebbe dovuto avere un bordo di lama radicalmente nuovo affinché potessero essere

utilizzate lame più sottili (arresto interno), quindi gli ingegneri hanno iniziato a pensare una nuova

tecnologia in grado di produrre una lama più forte (ricerca, vaglio). Alla fine, il nuovo bordo, conosciuto

come DLC, fu applicato atomo per atomo con una tecnologia simile a quella impiegata per la realizzazione

dei chip (progettazione). Il problema successivo era la produzione (diagnosi), che ha richiesto un processo

completamente nuovo per trattare la complessità del rasoio a tre lame (progettazione). Benché il Board

avesse dato il permesso di avviare la produzione (giudizio, autorizzazione), alcuni manager si mostravano

preoccupati del fatto che le nuove lame, tre volte più forti dell’acciaio inossidabile avrebbero avuto una

durata più lunga, determinando un calo nelle vendite ricambi (arresto interno). Alla fine il Board ha preso

la decisione di continuare con le nuove lame, che sarebbero state dotate di una striscia blu che,

scolorendosi fino al bianco, avrebbe indicato la necessità di installare un nuovo ricambio. Il Board ha

autorizzato quindi l’avvio della produzione del Mach3 alla fine del 1997. Il nuovo rasoio è stato introdotto

nell’estate del 1998 ed ha avuto successo. La Gillette si aspetta di recuperare il suo enorme investimento

in un tempo di record; ora sta iniziando il processo di ricerca della prossima rivoluzione nel campo della

rasatura, utilizzando una nuova tecnologia che consenta di catturare l’atto del taglio di un singolo pelo.

L’azienda cercherà di creare il suo prossimo prodotto di punta, prevedendo di metterlo in circolazione nel

2006.

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Il modello Carnegie e il modello decisionale incrementale si possono utilmente integrare in quelle

decisioni, particolarmente complesse, in cui sia l’identificazione del problema che la sua soluzione sono

difficili.

Quando l’identificazione del problema è complessa il modello Carnegie è spesso adeguato in quanto

considera le problematiche della costruzione del consenso e delle azioni politiche per la creazione di una

coalizione. Una volta ottenuto il consenso sull’esistenza del problema e sulla necessità di intervenire su di

esso, allora si potrà procedere alla sua soluzione.

Il modello incrementale, a differenza del modello Carnegie, entra nella struttura del processo di

formulazione e di selezione delle alternative decisionali evidenziando i punti decisionali, i punti di arresto

e i loop del processo.

In conclusione, i due modelli non sono in contrasto tra loro, al contrario, essi possono risultare

complementari nel caso in cui si debbano affrontare problemi complessi e di elevata incertezza.

Il modello del contenitore dei rifiuti, che esamineremo nel seguito, può essere considerato un’ulteriore

evoluzione dell’unione tra il modello Carnegie e il modello del processo decisionale incrementale.

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Il modello garbage can (contenitore dei rifiuti) si distingue dai modelli visti finora in quanto non riguarda

una singola decisione, ma la gestione di decisioni multiple all’interno dell’intera organizzazione. Esso è

particolarmente adatto per descrivere situazioni di elevata incertezza in ambienti dinamici e turbolenti.

Per applicare il modello, l’organizzazione deve rispondere ad alcune caratteristiche:

• Sono presenti alcune “preferenze problematiche”; è difficile identificare e definire i problemi,

delineare le alternative decisionali ed esprimere giudizi di preferenza sulle azioni da intraprendere;

l’ambiguità e l’incertezza caratterizzano ogni aspetto della decisione.

• La tecnologia non è “stabile” (traiettorie tecnologiche incerte) e non è interiorizzata (trasferimento

tecnologico incompleto: ad esempio, utilizzo tradizionale o parziale delle tecnologie innovative)

• Si è in presenza di un elevato turnover, soprattutto nelle posizioni dirigenziali (quadri, dirigenti,

amministratori delegati).

Gli autori del modello (Cohen, March e Olsen – 1972) hanno definito tali organizzazioni anarchie

organizzate; esse sono organizzazioni organiche e non burocratiche in cui le relazioni causa-effetto non

sono chiare e gli attori hanno un tempo molto limitato da dedicare alle decisioni.

Il modello del contenitore dei rifiuti è più significativo per alcune organizzazioni piuttosto che per altre;

tuttavia, ogni organizzazione può essere assimilata – occasionalmente e per periodi di tempo limitati – ad

una anarchia organizzata.

Si pensi ai momenti in cui il mercato è in recessione e occorre accelerare le dinamiche decisionali per non

subire il rallentamento dell’economia, ma contrastarlo con azioni volte alla sopravvivenza dell’azienda:

investimenti nella riduzione degli sprechi, formazione nelle posizioni chiave, rilancio dello sviluppo di

nuovi prodotti sono decisioni molto più virtuose rispetto al ricorso agli ammortizzatori o alla chiusura di

reparti, stabilimenti, business.

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La strutturazione dei modelli decisionali esaminati in precedenza viene a mancare nel modello del garbage

can: il processo decisionale non segue nessuna sequenzialità ed è altamente aleatorio. Ad esempio,

un’idea può essere implementata senza che sia stata pensata intenzionalmente quale soluzione di

problemi, oppure un problema può continuare ad esistere senza che venga affrontato pur esistendo idee

per risolverlo.

Il modello del contenitore dei rifiuti fa riferimento a quattro concetti chiave:

• I problemi. Nascono dalla rilevazione di prestazioni negative e quindi manifestano uno scostamento tra

uno stato desiderato e lo stato attuale dell’organizzazione. I problemi possono essere affrontati

adottando una soluzione oppure no; nel primo caso la soluzione proposta può risolvere il problema in

modo soddisfacente oppure no.

• Le soluzioni disponibili. I membri dell’organizzazione e i soggetti che interagiscono con essa

propongono l’adozione di idee, tali idee e le motivazioni sottostanti fluiscono in tutta l’organizzazione e

possono essere adottate indipendentemente dall’esistenza di problemi a cui applicarle.

• I partecipanti sono soggetti che agiscono all’interno (e anche all’esterno) dell’organizzazione, ciascuno

caratterizzato da propri problemi, valori, modalità percettive, soluzioni, sensibilità e cultura. Ad

esempio, i problemi percepiti da un membro dell’organizzazione possono essere diversi dai problemi

percepiti da un altro membro.

• Le opportunità di scelta sono combinazioni di problemi, soluzioni disponibili e partecipanti che portano

ad una decisione. Ad esempio, si può presentare un’opportunità di scelta quando un soggetto portatore

di una certa soluzione viene a conoscenza di un problema al quale tale soluzione di può applicare.

Nel modello Garbage Can questi flussi di informazioni, eventi e soggetti sono indipendenti uno dall’altro:

si incontrano e si compongono in modo estemporaneo nei momenti in cui una decisione deve essere

presa; può, quindi, accadere che soluzioni già adottate vengano forzatamente applicate ad altre situazioni

problematiche, al fine di giustificare l’investimento fatto (es. soluzioni adottate con le tecnologie

informatiche – un sistema gestionale che è «adattato» ad un assetto organizzativo obsoleto).

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Nel caso della Nokia il modello Garbage Can interviene fin dai primi accordi che portano i fondatori delle 3

aziende a creare il colosso aziendale diversificato.

In particolare, nelle fasi iniziali (fino agli anni ‘80) si delineano delle opportunità di soluzioni, proposte da

Frederick Idestam che conosce le problematiche degli altri due imprenditori (problemi di competitività

internazionale, per la quale è necessario presentarsi con una «massa critica» finanziaria e di clienti).

Negli anni ’80, invece, si presentano più problemi che si cumulano nel tempo e le soluzioni disponibili

sono proposte dagli imprenditori e dai manager coinvolti con modificazioni, anche antitetiche, a seconda

del momento.

In particolare, nel momento del disastro di Chernobyl, il Consiglio di Amministrazione di Nokia era

presieduto da un Amministratore Delegato che era favorevole ad intraprendere investimenti

nell’elettronica di consumo, ma non era favorevole a cedere i rami d’azienda esistenti.

Siccome la proprietà di Nokia non era convinta della decisione ma voleva cogliere delle opportunità di

investimento dalla dismissione dei rami d’azienda «problematici», decise di delegare l’amministrazione

della multinazionale ad un’altra persona, favorevole alla dismissione dei settori industriali problematici dai

quali ricavare le risorse finanziarie necessarie e sufficienti per intraprendere gli ingenti investimenti che

l’elettronica di consumo avrebbe richiesto.

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Alcuni dati del 2004 di Nokia:

fatturato di 30 miliardi di euro;

55.000 dipendenti;

3,7 miliardi investiti in R&D;

ROI del 31,6%

Per tutti gli anni ‘90 Nokia ha avuto una crescita costante che è perdurata fino al 2008. Da quel momento

l’avvento delle nuove tecnologie di comunicazione, l’espansione di internet accessibile via telefono,

l’aumento dei competitor internazionali ha iniziato ad erodere le quote di mercato conquistate da Nokia.

Alla fine del 2010 Nokia non aveva ancora una chiara strategia riguardo agli smartphone: in particolare

non aveva sposato chiaramente una tecnologia per il sistema operativo dei propri terminali.

Le soluzioni disponibili erano molteplici (Windows, Android, Symbian, Microsoft, software proprietario

ecc.): una nuova convergenza fra opportunità (differenziare la propria strategia rispetto ai competitor),

partecipanti (Consiglio di Amministrazione insediato e Amministratore Delegato in carica), soluzioni (i

sistemi operativi alternativi disponibili) e problemi (erosione delle quote di mercato a vantaggio di Apple e

Samsung) ha prodotto la scelta finale (identificabile sul modello di Carnegie) di sposare la tecnologia

Microsoft come sistema operativo per cellulari.

Questa decisione, finora, non ha prodotto i risultati sperati e, osservando le preferenze dei consumatori in

merito ai sistemi operativi preferiti, si può notare quanto sia cresciuto Android (17% 43%) insieme a

iOS (14% 18%), mentre gli altri hanno tutti subito una contrazione (Microsoft è praticamente sparito,

mentre Symbian è passato dal 19% al 12%).

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Il modello del contenitore dei rifiuti prevede alcune caratteristiche del processo decisionale che non sono

contemplate da nessuno dei modelli decisionali analizzati in precedenza:

• Le soluzioni (idee e piani d’azione proposti da soggetti dell’organizzazione) possono essere proposte

anche se i problemi non esistono. Ad esempio, un direttore di produzione può premere affinché la

movimentazione dei materiali tra una macchina e l’altra sia effettuata con un robot e così decida di

sostituire una rulliera inclinata che pure svolgeva correttamente tale funzione. Ancora, l’adozione di

tecniche manageriali può essere soggetta a mode più che alla presenza di reali problemi.

• Realisticamente, il modello contempla i casi in cui la soluzione effettivamente implementata non

risolve i problemi. Ad esempio, l’impiego di macchine utensili che garantiscono tolleranze più strette

non risolve problemi di difettosità dei componenti se la causa di queste è dovuta ad una taratura

difettosa degli strumenti di misura. Oppure, l’assunzione di una nuova risorsa (MdO o Tecnologia) in

un determinato reparto produttivo può non aumentarne la produttività se quest’ultima non rimuove

il collo di bottiglia del processo.

• Non tutti i problemi sono risolvibili se la tecnologia non è conosciuta o non è interiorizzata dagli

operatori; analogamente, il modello prevede che i partecipanti possano procrastinare o evitare la

soluzione di problemi quando, ad esempio, la soluzione non sia stata condivisa da alcuni partecipanti

chiave.

• Nell’ottica del contenitore dei rifiuti i processi decisionali delle organizzazioni non permettono una

soluzione soddisfacente – né tanto meno ottimale – di tutti i problemi; tuttavia, essi sono

caratterizzati da meccanismi che consentono l’effettuazione di scelte e la soluzione di alcuni

problemi anche in caso di elevata turbolenza ambientale, incertezza sui fini da perseguire, notevole

conflittualità e scarsa comprensione delle tecnologie da adottare.

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L’esistenza di più approcci decisionali deriva dal fatto che essi si possono presentare in diverse situazioni

organizzative. Come è stato illustrato in precedenza, la scelta di uno o di un altro dipende in genere dalle

caratteristiche dell’organizzazione.

In particolare, sono due le variabili organizzative che determinano l’utilizzo dei vari approcci decisionali:

• il consenso sui problemi

• la conoscenza tecnica dei mezzi per risolvere i problemi stessi

Un’analisi delle organizzazioni secondo questi due parametri fornisce un’indicazione dell’approccio

decisionale più adeguato.

Il modello contingente per il processo decisionale riportato nella slide, illustra come, in presenza dei due

parametri sopra indicati, ogni situazione organizzativa tende ad identificare e ad adottare uno specifico

approccio decisionale.

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Il consenso sui problemi è una variabile che oscilla da una grado di totale certezza (quando un gruppo di

manager trova l’accordo completo sulla natura di un problema e sui risultati da perseguire), ad un grado di

massima incertezza (quando i manager dissentono e i conflitti fra loro prevalgono). Il consenso sul

problema tende ad essere basso nelle organizzazioni molto differenziate. In condizioni di incertezza le

varie unità organizzative tendono a differenziarsi in quanto a obiettivi ed atteggiamenti, specializzandosi in

una specifica area di competenza. Poiché la differenziazione porta a disaccordo e conflitto sugli obiettivi

organizzativi e sulle priorità dei problemi, più questa sarà alta, più grande sarà lo sforzo che i manager

dovranno fare per costruire coalizioni nel corso del processo decisionale.

Nel processo decisionale, il consenso si rivela cruciale al momento dell’identificazione del problema.

Quando i problemi sono chiari e condivisi, essi forniscono standard ed aspettative di performance

altrettanto chiari. Se, al contrario, l’identificazione del problema è incerta, l’attenzione dei manager deve

essere riportata sul conseguimento di un accordo relativo a obiettivi e priorità.

La conoscenza tecnica e l’assenso completo sul modo in cui risolvere i problemi, è una variabile che può

oscillare da un accordo completo, fino al disaccordo e quindi all’incertezza totale in merito alle relazioni

causa-effetto che conducono alla soluzione del problema. Quando i mezzi sono ben conosciuti e compresi

da tutti, le alternative disponibili si possono identificare e valutare con una relativa certezza. In assenza di

tali premesse, aumenta il rischio di non identificare la soluzione più idonea. Intuizione, giudizio e processi

per tentativi-errori diventano allora la base per le decisioni.

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1. Quando sia la conoscenza tecnica che la conoscenza della soluzione sono certe, allora siamonell’ambito delle decisioni razionali. Per le organizzazioni ciò significa avvalersi dei metodi delle scienzemanageriali che consentono di trattare una mole enorme di dati quantitativi in un tempo limitatograzie all’utilizzo di computer e metodologie di ricerca operativa.

2. Il modello Carnegie del processo decisionale pone l’enfasi sulla creazione del consenso nellaidentificazione del problema; pertanto, esso può essere utilizzato quando l’incertezza e la conflittualitàsono elevate. La seconda parte del processo decisionale organizzativo, la soluzione del problema, non èesaminata in modo approfondito dal modello; pertanto, il modello sarà adatto alle situazioni in cui lasoluzione è facilmente individuabile o non è particolarmente complessa.

3. L’ambito di applicazione del modello decisionale incrementale è caratterizzato dalla certezza e dalconsenso sul problema da affrontare e dalla complessità e dall’incertezza della soluzione da adottare.Così come, nelle stesse circostanze, un singolo individuo agisce per prove ed errori, allo stesso modo leorganizzazioni arrivano ad una soluzione dopo un processo di apprendimento caratterizzato da ciclidecisionali e diverse modifiche alla soluzione iniziale. In questo caso gli approcci razionali non sonoefficaci in quanto, sebbene il problema sia definito, le alternative decisionali non sono facilmenteindividuabili né determinabili attraverso l’impiego di metodi puramente quantitativi.

4. Abbiamo visto che il modello Carnegie ed il modello incrementale possono essere combinati peraffrontare situazioni in cui sia l’identificazione che la soluzione del problema sono critiche. In talicircostanze possono essere adottate anche strategie imitative oppure ricorrere ad approcci non logici estrutturati, come ad esempio l’intuizione e l’ispirazione. L’unione del modello Carnegie e del modelloincrementale porta, se estesa all’intera organizzazione, al modello del contenitore dei rifiuti nel quale iflussi di problemi e di soluzioni seguono percorsi indipendenti; in questi casi, i problemidell’organizzazione trovano una soluzione quando si verifica una opportunità di scelta che è datadall’incontro delle tre componenti: problemi, soluzione e membri dell’organizzazione.

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Nelle decisioni veramente critiche è quasi naturale che le organizzazioni commettano errori. La stessa

locuzione learning organization, utilizzata per indicate un paradigma organizzativo che conduce a

prestazioni superiori rispetto ad altri, implica percorsi di apprendimento che si sviluppano per prove ed

errori.

Quando l’incertezza è elevata, sia nell’identificazione del problema che nella ricerca della sua soluzione,

non è possibile prevedere l’esito della decisione; pertanto, gli errori sono inevitabili nelle attività creative e

innovative.

A volte può accadere che un errore possa rivelarsi anche una fonte di successo (es: Post-it della 3M, carta

assorbente).

Gli errori, da un lato forniscono nuove informazioni per migliorare la soluzione che si sta progettando,

dall’altro rinforzano le abilità dei decisori perché fanno parte del processo di apprendimento decisionale

che permette loro di prendere migliori decisioni nel futuro.

La Progressive Insurance, una delle compagnie di assicurazioni di maggior successo negli Stati Uniti,

prospera proprio grazie alla continua innovazione. Bruce Marlow, il suo amministratore delegato, descrive

così l’approccio dell’azienda: “noi non puniamo mai l’insuccesso. Noi puniamo l’esecuzione trascurata e

l’incapacità di riconoscere la realtà”. Da Hammer, Champy, “Ripensare l’azienda”, Sperling & Kupfer, p.119.

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I decisori efficaci sono quelli che riconoscono quando è il momento di interrompere un corso d’azione che

si rivela inefficace. Molte organizzazioni e molti singoli decisori, invece, commettono spesso l’errore di

proseguire in azioni che porteranno a conseguenze negative, anche quando queste sono manifeste e

facilmente prevedibili (esempio: caso Enron).

Un motivo addotto per spiegare la perseveranza negli errori è la paura di punizioni; i soggetti responsabili

di una decisione rivelatasi sbagliata possono manipolare le informazioni in modo da occultare le reali

performance del processo interessato dalla decisione.

In altri casi, invece, è l’incapacità a riconoscere i propri errori che porta alla ripetizione di azioni dannose

per l’organizzazione. Questa situazione può essere causata anche da stress molto elevati.

Infine, la coerenza ed il mantenimento di una linea d’azione stabile sono considerate positivamente e

rinforzate dalla cultura organizzativa.

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