ottavine montanare

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"Dal cuore delle mute tenebre due note sono risonate, l'una grave,l'altra acuta,-e l'orbe eterno si è messo subito a girare. Che tu sia benedetta prima ottava che desti inzio all'inno divino" Memorables

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RADICE TOSCA ed ESTRO EMILIANO

Storia della nostra ottavina.

Da qualche tempo mi scopro ogni tanto rincorrere un desiderio che a prima vista appare poco sensato, ma siccome mi rincorre lui, come un astratto furore di Vittoriniana memoria, non c’è verso di evitarlo. Vuole ch’io rifletta sulle radici cantate della

poesia montanara del primo novecento: del canto lirico monostrofico, dell’ottava narrativa, dello stornello, dello strambotto, del mottetto, della villotta o del mutu come dir si voglia, di quella struttura poetica che ci dice che siamo nel quadro della poesia popolare neolatina, medioevale ( trovatori e trovieri,cantastorie e saltinpanca) e qui da noi in montagna, si sa, il medioevo é finito solo col sorgere del secolo breve, il 900. Ma partiamo dall'inizio e l'inizio è la nascita della lingua italiana dal coltivo dei dialetti (si pensi alla poesia siciliana della corte Federico II) ed in particolare del volgare. Primo tra tutti, almeno in quanto a documenti scritti, il volgare Umbro di Francesco d'Assisi (la Lauda creaturarum o Cantico delle creature è la prima ottava scritta in italiano a cui segue il Laudario di Jacopo da Todi detto Jacopone). Poi l'esplosione dei Misteri e delle Sacre Rappresentazioni nel toscano di Dante ed infine il nostro Maggio cantato nell'italiano del Petrarca mentre l’ottava entrava nella poesia colta con Boccaccio. Siamo intorno al 1500 e a quel tempo alla corte del Portogallo (potenza marinara di primordine: detiene le Indie, buona parte dell'Africa ed ora anche le Americhe) entra attraverso la Chanson de Gestes, il mito del re dalla barba fiorita ch'era già in Spagna, e con lui gli Autos1. Regionalismo, pluralità di linguaggi, intenso scambio culturale: le chiavi di volta dell'Europa moderna erano già presenti nel Medioevo.

1auto (spagnolo, atto, azione teatrale in un atto), dramma, quasi sempre di argomento religioso, tipico delle letterature spagnola e portoghese, fiorito nel XVI sec. Sono detti autos viejos i primi, ben distinti dai successivi autos sacramentales, la cui rappresentazione avveniva in piazza, a mezzogiorno, alla presenza del re e di tutto il popolo. Pedro Calderón de la Barca Autos sacramentales, ed. by P. Pando Mier, 6 vols., Madrid, 1717;

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L’ottava umbra (laudi, cantari, misteri e sacre rappresentazioni) l’ottava sicula (ABABCCDD) l’ottava tosca (ABABABCD) o narrativa o poetica (aurea o Ariostea). VILLOTTA friulana MUTU sardo COPLA o VILLANCICO iberico DOIMA rumena MANI turco DAINA baltica SCHNADERHUPFL tedesco KAR_JAT arabo CONTRASTO duello verbale AMBASCIATA RISPETTO forma di saluto CIMENTO

Tommaseo che ci fornisce anche una testimonianza preziosa su come questi montanari arrivano alla conoscenza dei grandi poemi, come il “contadino del Melo che sa pure a mente le ottave del Tasso e versi contro i francesi, e altre cosucciacce stampate”.

Il riferimento è ai fogli volanti di cui ci parlerà un giornalista pistoiese, Giuseppe Arcangeli, che si trovano presso tutti i venditori ambulanti, “i panieri dei merciai, che vanno pei castelli e per le borgate… a vendere le indiane e le mussoline e i fisciù di tutti i colori… in quei panieri accanto alle stringhe, ai bottoni da camicia… trova un posto onorato la letteratura del basso popolo…” della quale i poveri montanari fanno tesoro.

D’Ancona in Poesia popolare Italiana (1878) “Lo strambotto siculo diventa l’ottava Tosca”. Paolo Toschi Guida allo studio delle tradizioni popolari 1962 G.Micheli La Valle dei cavalieri “Saggio di poesie contadinesche”

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INDICE

Le radici tosche: i poeti bernescanti

• Contrasto tra l’aristocratico e la plebea sulla guerra di Tripoli

• Dialogo tra contadino e fiorentino

• Contrasto tra un povero e un ricco borghese

• Contrasto tra Damiano e il prete

• Contrasto dei prezzi

Pascolar versi I POETI PASTORI TRANSUMANTI APPENNINICI

La poetessa pastora Beatrice (Bugelli) di Pian degli Ontani Abetone (PS) 1802-1885

• Rispetto

• Cimento

Silvio Leoncelli (pastore) Nismozza di Busana (RE) 1900-1980

• Viaggio da qui alla Maremma toscana degli antichi pastori

• Alle mie pecorelle

• Rime di nostalgia

• Frammento

Umberto Raffaelli (pastore) Vaglie di Ligonchio (RE)

• Viaggio in Toscana

• Guerra mondiale

Andrea Briselli Succiso di Ramiseto

• Brevi appunti di un soldato

Ottave e caccia

Remigio Fontana (falegname) Cervarolo di Villa Minozzo (RE) - 1944

Giacomo Alberghi (contadino) Cervarolo di Villa Minozzo (RE) 1875 - 1944

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Il Vate di Le Vaglie

Amilcare Veggetti (Merciaio ambulante) Vaglie di Ligonchio (RE) 1889-1986

• Vera Storia ovvero le atrocità compiute dai nazifascisti sull’Appennino tosco.emiliano

Ottave e mailart

Domenico Notari (Muratore) Marmoreto di Busana (RE) 1895 - 1983

• Ottave per la festa di Maria Maddalena

Ultimio Fontana (falegname) Cervarolo

• A Domenico Notari Marmoreto

Ottave di migranti

Marco Torri Succiso 1891-1978

• Mia cara moglie 1932

Lino Casanova Busana (RE)

• La nostra montagna non canta più

Costantino Zambonini Asta di Villa Minozzo (RE)

• Miscellanea di ricordi

Berto Bernardini Pavana (Ps)

• La guerra di Berto

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Le radici tosche: i poeti bernescanti

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Contrasto tra l'aristocratica e la plebea sulla guerra di Tripoli

Plebea: Da piccola bambina io ave' 'mparato

che c'era un solo Dio che ci comanda, ora si vede il mondo s'è cambiato

perché si trova un Dio per ogni landa. Così rimane il popolo ingannato dalla vostra fallace propaganda:

mentre Dio ci descriveva: «Non ammazzare», oggi vediam le gente macellare.

Aristocratica:

È sempre costumato guerreggiare e in oggi ce lo impone più che mai, chi per voler le terre conquistare e chi per dar lavoro agli operai.

Intanto quei malvagi, piano piano, un po' di educazione la impareranno,

tralasceranno i rei costumi suoi, diverranno educati come noi.

Plebea:

Dici che civilizzare tu li vòi, pagherei a sapere come farai:

fammi i' piacere e dimmi come fai agli altri regala ciò che non hai.

Prima di tutto civilizza i tuoi, perché se una statistica tu fai troverai tra gli italici abitanti

il settanta per cento d'ignoranti.

Aristocratica: Questo tu l'avrai letto sull'Avanti giornale socialista e temerario;

essere nun ci poi che lui fra tanti all'impresa di Tripoli contrario.

Mentre gli altri giornali, tutti quanti, rammentano d'un caso straordinario:

giornali fatti da' nazionalisti, e l'Avanti lo fanno i socialisti.

Plebea:

Chi ama la guerra sono òmini tristi, privi di scienza e di cuore cattivo;

fossero stati invece i socialisti, il mio figlio sarebbe ancora vivo. La guerra è bella pe' capitalisti,

perché ritrovan sempre il loro attivo: dalle imposte che tengono impiegate dicono sempre: Armiamoci ed andate.

Informazioni: Contrasto raccolto da C. Bueno a Stia, in Casentino, nel 1965, inf. Maria Ringressi.

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Contrasto dei prezzi

Operaio

Se non lo riterrete fuori posto faremo adesso uso delle ottave

quelle stesse del Tasso e dell'Ariosto per occuparci di un problema grave

di un problema del quale ad ogni costo occorre che noi si trovi la chiave perché alla fine ci si raccapezzi

sul perché della crescita dei prezzi.

Padrone Lasciate parlar me che me ne intendo

lasciate che vi spieghi a modo mio son io che produco e che poi vendo quindi sui prezzi io ne so un fottio

se i prezzi ora registrano un crescendo chi lo decide non son mica io

è un aumento che avviene pari pari man mano che s'aumentano i salari.

Operaio

Ma noi vogliamo conquistare aumenti dei soldi che stan nella busta paga

proprio perché essi sono insufficienti per l'aumento dei prezzi che dilaga

lottiamo per salari più decenti ogni volta l'aumento non ci appaga perché ogni volta tu te ne approfitti aumenti i prezzi e salvi i tuoi profitti.

Padrone

Il profitto non può venir proibito esso è la giusta remunerazione

del capitale che è stato investito per creare lavoro e produzione alla fine dovreste aver capito

dall'aumento dei prezzi una lezione che a pretendere troppo prima o poi

danneggiate voi stessi più che noi.

Operaio Si sa che voi padroni ci portate

sempre e soltanto su questo terreno e non succede mai che ci spieghiate perché i salari crescon molto meno

di quanto cresca il prezzo alle derrate bruciando i nostri aumenti come il fieno

per cui i prezzi alla fine ce l'han vinta e a noi ci tocca stringere la cinta.

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Padrone Ma io vi so spiegare pure questo la crescita dei prezzi s'arroventa

perché mentre il salario cresce presto la produttività cresce più lenta

l'aumento dell'offerta è allor modesta mentre di colpo la domanda aumenta

la crescita dei prezzi è quindi certa se cresce la domanda e non l'offerta.

Operaio

Ma negli anni cinquanta lo si ammetta mentre i salari non crescevan niente

la produttività cresceva in fretta e i prezzi crescevano ugualmente quella che crebbe allora fu la fetta

riservata al padrone e al possidente fu allora che il profitto prese il vizio

di voler aumentare a precipizio.

Padrone Ti dirò che i profitti di cui parli

son necessari all'accumulazione per poter investirli ed impegnarli in attrezzi di nuova concezione

che promettono a chi sa utilizzarli costi più bassi nella produzione

son queste nuove macchine ed attrezzi che possono ridurre proprio i prezzi.

Operaio

Però quando noi ci siam fatti avanti per conquistar salari più decenti

per quel famoso vizio tutti quanti non avete più fatto investimenti

ed invece di rimodernar gli impianti perché la produttività s'aumenti

tutti quei soldi fatti in tal maniera voi li avete esportati oltre frontiera.

Padrone

Tu credi che noialtri siam contenti che i prezzi stian crescendo come fanno ma tutto questo non è vero un accidenti

quando aumentano i prezzi è un grosso danno anche per noi che ai nostri dipendenti

dobbiam crescere la paga che ora hanno e se non possiam crescerla abbastanza

allora sono scioperi ad oltranza.

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Operaio Non tentare col solito giochetto di passare per vittima innocente tu che sei responsabile diretto

dell'aumento dei prezzi ricorrente so io che questo aumento ci ha l'effetto

di crear qualche guaio contingente anche ai padroni che l'han provocato

ma è sempre l'operaio ad esser fregato.

Padrone Se voi non foste sempre ciechi e sordi

risolver tutto diverrebbe un gioco se non chiedeste aumenti troppo ingordi

e poi non scioperaste per un poco noi si potrebbe stipulare accordi con dei garanti scelti in alto loco

che appena lo sviluppo ci dia i mezzi allora noi si calerebbe i prezzi.

Operaio

Ma noi sappiamo che il più elementare il più modesto dei miglioramenti ce lo siamo dovuti conquistare

lottando con le unghie e con i denti se noi ci si lasciasse abbindolare

da codeste promesse inconcludenti si lascerebbe a te tutto il potere di decider tu solo a tuo piacere.

Coro operai

E invece quando noi scendiamo in lotta per obbligarti a far quel che non vuoi

la nostra vera linea di condotta non serve solo a migliorare noi

bensì anche a far fare bancarotta al sistema che rende ricchi voi

non ci bastan padroni un po' più buoni vogliam che non ci sian più padroni.

Non ci bastan padroni un po' più buoni

vogliam che non ci sian più padroni.

Fonte: Canzoniere delle Lame, Il prezzo del mondo, Edizioni dello Zodiaco, 1975

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Contrasto tra Damiano e il prete

Prete: O mio caritatevole Damiano,

tu che sei stato sempre un uomo onesto, io ti conobbi un tempo lontano,

sei sempre stato savio e modesto; ora ti vedo «L'unità» in mano

ed io nessun parere te l'ho chiesto, però me l'hanno detto che sei in lista

in testa del partito comunista.

Damiano: Sì, lei l'ha indovinata a prima vista

sor reverendo, lei non si è sbagliato; per me questa dottrina è umanista,

mi pento prima 'unn'essermi segnato; il benessere che ognun di noi acquista

il cancro della guerra sarà stirpato; così la vita è una soddisfazione , porta la pace in tutte le persone.

Prete:

Ma allora tu sei contro la religione, eppure della chiesa eri un devoto, ancora tu vuoi fare il mascalzone, al buio vuoi pescare nell'ignoto;

ma io che te la insegno l'educazione voglio salvarti di cascar nel vuoto e se ti preme salvar la tua partita preparatelo il ben per la tua vita.

Damiano:

Sor reverendo, facciamola finita, non venga fuori con queste ragioni

perché la società è costituita, si compone di servi e padroni;

non me lo dica a me, che l'ho capita: i furbi sfruttan sempre i più minchioni

e voi legate il ricco al poveretto perché succeda quanto abbiamo detto.

Prete:

Tu non conosci il nobile concetto della Lega cattolica, ed è strano;

non vedi che cerchiam Dio benedetto che stenda il ricco al povero la mano, legarli insieme a un vincolo d'affetto

ma santa cosa non c'è; suvvia Damiano, se tu parli così, mi fai sapere

che la guerra fraterna è il tuo volere.

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Damiano: Pievano, sono vecchie sicutere,

pace giustizia affetto non saranno dove vi son delle sottane nere,

dei ricchi e della gente che non l'hanno; come farebbe me lo fa sapere

a due che interessi avversi fanno, fare del bene e che sia giocondo

senza pregiudicarlo un po' il secondo.

Prete: A una domanda io ti rispondo:

il bene va fatto per bontà del cuore, il prenderlo per forza è un atto immondo

ed è un violar la legge del Signore; voi pensate solo a questo mondo

e non pensate mai che il corpo muore, l'anima nostra è sempre un varco aperto

e per chi in vita gli ha tanto sofferto.

Damiano: Ma se del ben dell'altro mondo è certo

che si guadagna con le privazioni, perché non dorme lei a cielo aperto

e non sta tutto il giorno in ginocchioni? Ma perché veste bene e sta coperto, tiene la serva e mangia dei capponi?

Se in ciel si sale dopo gran soffrire lei che non soffre non ci può salire.

Prete:

Damiano, tu ti prendi troppo ardire, tu non devi guardar quel che fo io, al prete non si deve contraddire, che sulla terra simboleggia Dio;

ma guarda un po', ti sembra un bell'agire passare avanti al mistero mio

e farmi della critica allo staccio di tutto quel ch'io dico e quel che faccio?

Damiano:

Fino a che i preti tenderanno il laccio della superstizione agli incoscienti

io dirò: come il sarto, un tanto al braccio, vendete voi le messe e i sacramenti;

Gesù ve lo vestite da pagliaccio per dar nell'occhio ai poveri credenti

e della chiesa sua fate bottega; io me ne infischio della vostra Lega.

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Prete: Damiano, ti scomunico e rinnego, tu che rinnegasti il bene supremo

esci dal quadro mio, tartara strega, ti maledico al vituperio eterno,

vai domani con gli altri a far congrega giù nell'ultima gorgia dell'inferno,

la mia maledizione sia feroce e forte, ti tenga male in vita e peggio in morte.

Damiano:

Per ora vado dalla mia consorte, dai cari figli e dai compagni miei;

se a bussar Lucifero alle porte, se c'è giustizia, tocca prima a lei;

se un giorno cambierà l'umana sorte finiranno gli anni santi e Giubilei, così ancora i preti, se vorranno

mangiare, come noi lavoreranno.

Morale: Colmo di ira e di infernale affanno, il pievan grasso come belva umana lasciò Damiano, che chiarì l'inganno

di questa grave Democrazia Cristiana; e convinto che compreso avranno

gli operai di tutta Italia e di Toscana, io penso che in un giorno non lontano

tutti si debba far come Damiano.

Fonte: Settimelli Leoncarlo, Falavolti Laura, Canti satirici anticlericali, Roma, Savelli, 1976

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Dialogo tra contadino e fiorentino

Poeta

Mi trovai a Firenze per combinazione

in una trattoria a desinare

dove là c'erano molte persone

e un po' ristretti ci convenne stare.

Poi c'era due che nacque 'na quistione

che più d'un'ora la fecer durare,

erano due che mi stavano vicino,

un di Firenze e un del Casentino.

Fiorentino

Come tu puzzi, disse i' Fiorentino

Al campagnolo, e poi la testa china,

Mi fai risortì fori i' pane e i' vino,

i' lesso, la braciola e la tacchina.

O porco sudicion d'un contadino

tu se' più lordo te d'una latrina,

Eppure l'acqua a casa ce l'avrai,

villan fottuto non ti lavi mai!

Contadino

E te co' i' tu' stropicci cosa fai,

con quell'acqua di crusca e saponetta

e tutti quegli odori che ti dai

dai fondamenti per infino in vetta?

Presto la vita tua terminerai,

non se' più bon di regger la giannetta,

ti resta solo il fiato per parlare,

dimmi cosa ti conta i' tu' lavare.

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Fiorentino

Se fossi la Giustizia vorre' fare

de' contadini tutta 'na funata

e po' a Livorno gli vorrei portare

a i' porto dove giunge ogni fregata.

Poi gli vorrei buttar dentro ni' mare

pe' levar questa setta tribolata

e buttar giù finché il mar non è pieno

senza rimorso di coscienza al seno.

Contadino

Per pietà Fiorentino parla meno,

lo vedo bene ch' ha' perso i' cervello,

i' contadin che lavora i' terreno

custodisce la pecora 'e l'agnello.

Poi raccoglie frumento, paglia e fieno,

costudisce la pecora e i' vitello,

l'arte di' contàdin l'ha del talento,

l'è bona a provvederti i' nutrimento.

Fiorentino

Coi contadini, io poi non mi cimento,

i' contadino quando parla e becca,

guarda che sudicione sotto al mento,

in quei tre pel di barba cià una zecca.

dà più fastidio che l'inverno i' vento,

guardalo, con la lingua i' piatto lecca:

a quella mensa ove mangiate voi

ci mangiano maiali, vacche e buoi.

Contadino

Se e' contadini biasimar tu vuoi,

sai dalla spina viene un be' rosaio,

prendilo i' libro degli antichi eroi,

troverai Giotto gli era un pecoraio,

che pascolava gli animali suoi;

senza dinanzi di Tizzone o Gaio

prese una pietra ,e là sopra di quella

e' vi dipinse sopra la sua agnella.

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Fiorentino

Senti qui' mammalucco a icché s'appella,

a ragionar di Giotto 'un ti conviene,

quello che fece lui fu opera bella,

quello che fece lui sta tutto bene,

quello che fece lui non si cancella,

e unn' era un mammalucco come tene,

te cosa ne ragioni, o montanaro,

tu 'n sai nemmen dar bere a i' tu somaro.

Contadino

Certo io non so e non imparo,

perché un somaro unn' è mi' compagnia,

l'ho trovato oggidì pe' caso raro

a desinare in questa trattoria.

Oste la venga qua, prenda i' denaro,

gli lascio i' posto libero e vo via,

ché molte miglia ci ho da far di strada,

do bere a i' ciuco e 'na mezzetta di biada.

Fiorentino

Villan fottuto contadino, bada,

se avrò d'accordo gli altri Fiorentini,

vi metterò alla porta con la spada,

l'ingresso proibirò pe' contadini.

E a finir vada come la vada,

sian di pian, di poggio o d'Appennini,

sian di colline, di coste o di valle,

e' si rinserran tutti nelle stalle.

Contadino

Quando avrem pieni barili, sacchi e balle,

ché ogni raccolto a noi tanto ci preme,

e quelle pesche colorite e gialle,

'gni genere di frutta e d'ogni seme,

que' presciutti, salami e quelle spalle

fra noi villani mangeremo insieme;

e noi mangerem polli e pollastre

e tu a Firenze mangerai le lastre.

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Contrasto tra un povero e un ricco borghese

Poeta

Donatemi Signor, vostra assistenza,

Che vana non sarà la mia speranza...

Mi vedo attorno gradita udienza;

Bramo cose trattare d'importanza;

E sentirete la gran differenza

Che passa dalla pace all'ignoranza,

E poi vi aggiusterò cosa per cosa

Dove il brutto pensiero alfin riposa.

Ricco borghese

Godo il Castello e la più bella sposa

E delle donne ne volessi un cento;

Strappone, dove vai, vita penosa,

E dove lo mettesti il tuo talento?

Io godo il mirto e la vermiglia rosa...

Son nel mezzo all'oro ed all'argento;

E te vagabondando sempre vai

Tra i sospiri, lamenti, affanni e guai.

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Povero

Signor, se per pietà mi ascolterai:

Non è tua virtù; ma è caso fortuna;

Quanto intravvien, non ti confessi mai

Mentre il simile tuo, stenta e digiuna;

E se uno sguardo al Cielo tu darai

Sei contrario di quello e della luna...

Lascia l'ostinazion, lascia l'oltraggio;

Sappilo questo mondo, gli è un passaggio

Ricco borghese

Io godo le mie ville e l'equipaggio,

E gusto tutto, le giornate intere...

Quando sento de' poveri il linguaggio

Mi fan venire il mal di miserere...

Potess'io sterminarli di coraggio!

Da nessun parte gli posso vedere;

E quando io sento un povero venire

Verso di me, mi pare di morire.

Povero

Tu mi palesi cose da stordire,

Ricco balordo, privo di cervello,

E tu non sai che tu devi morire,

E condurti, come gli altri, nell'avello?

La ricchezza mondana dee finire!...

Per quanto s'è veduto a questo e quello,

Se la Morte ti viene all'improvviso,

Quanto lontano sei dal Paradiso!

Ricco borghese

Levati di costì, brutto di viso,

Con l'infame tua persona vagabonda!

Meriteresti te, di essere ucciso...

Se un servisse la prima, la seconda.

Lascia la quiete ad un Signor preciso,

Che mangia e beve a tavola rotonda;

Tutti gli avanzi che a pranzo mi rimane

Piuttosto che darli a te, gli vo' dare al cane.

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Povero

Ma le massime tua le son profane,

La carità l'è sacra, oggi s'intende...

Perfino Iddio con le sue sante mane

Te la ascrive alla gloria e te l'accende;

Dammi un po' d'acqua ed un pezzo di pane,

Che in tanto pane, palma Iddio ti rende;

Se qualche carità tu la farai

Nell'altro mondo la ritroverai.

Ricco borghese

Io de' consigli non ne volli mai;

Giudice di me stesso sono stato...

E se presto di qui non te ne vai,

Ti farò carcerar per Dio sacrato!...

Dimmi l'educazione dove tu l'hai?

Dimmi in qual nazione tu se' nato?

Se non parti di qui in sul momento,

Ti fo sparir come la nebbia al vento.

Povero

Io me ne partirò, ma ti rammento

Di tralasciar l'orrendo brutto vizio...

La sorte in vita ti recò spavento,

La via prepari del tuo precipizio.

Non serve dopo morte il pentimento,

L'opere fatte il giorno di giudizio!

Ti lascio nelle pompe, feste e giochi,

Ma uno sbiffe (1) tu sei mezzo a du' fochi.

1. Un legnetto

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La morte del povero

Settant'anni di vita non son pochi,

Il pover passeggiò su questa terra:

Sempre bramò il grande Dio gl'invochi

L'alma scampar dalla fucina sferra.

A morte venne, e i suoi respiri fiochi

Gravosa malattia le membra afferra...

All'altro mondo lo spirto si affaccia,

Iddio v'era a aspettarlo sulle braccia.

Viva, gli disse Iddio, buon pro ti faccia;

Soffristi volentier digiuni e stento,

Non curasti né pioggia, né minaccia...

Qua padrone sarai d'ogni portento.

E in un giardino ameno te lo intraccia.

Le delizie a goder d'ogni contento.

E lo mette nei posto dei beati

Tra i Santi e i Serafini accompagnati.

La morte del ricco borghese

Il ricco avea gli occhi un po' appannati:

Ed in circa anche lui di anni settanta

Raddoppiando superbia, ira e peccati,

Gravosa malattia, la febbre agguanta!

Non volle comunion, preti, né frati;

Di casa scacciò via fin l'acqua santa!

Dalla gran pena gli batteva il cuore

Si volta in là, fa una coreggia e muore.

Lo spirito maligno del peccatore

Arriva al fiume Stige, e qui mi sterno:

Caronte della nave è il guidatore,

L'unico barcarolo dell'inferno.

Il ricco disse: Sai, io son Signore.

- Cosa importa? Qua il danaro è scherno,

Per cagion dell'infamia i tuoi peccati,

E per avere i poveri strapazzati.

Disse il ricco: Ove sono gli Avvocati?

Chiamate qualchedun, voglio parlare...

- Non c'è Signori, non c'è Magistrati! -

Chi è il capo di voi per ragionare?

Venne Barabba con gli occhi infuocati:

Il mantice a costui fece tirare.

Nel cerchio lo calò degli armeggioni

A far palette e temperar forconi.

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La poetessa pastora

Beatrice di Pian degli Ontani

Nel mondo tradizionale l’arte del cantare improvvisando ha consentito anche alle persone con

scarsa scolarizzazione o agli analfabeti di esprimersi disegnandosi, nella comunità dove sono

vissuti, un proprio spazio creativo riconoscibile e riconosciuto. Fra i poeti dell’ottocento troviamo

la poetessa pastora Beatrice Bugelli (1803-1885) di Pian degli Ontani (PT) figura affascinante di

improvvisatrice che, seppure completamente analfabeta, seppe caratterizzarsi con la propria vena

poetica lasciando traccia di sé in diverse testimonianze d’epoca e nella memoria popolare

dell’Appennino pistoiese. Niccolò Tommaseo, nella sua raccolta "Canti popolari toscani corsi illirici

greci" (Venezia 1841), ci parla del suo incontro con la poetessa: "feci venire di Pian degli Ontani

una Beatrice moglie di un pastore, che bada anch’essa alle pecore, che non sa leggere, ma che

improvvisa ottave con facilità senza sgarar verso quasi mai". Oltre a Tommaseo molti studiosi e

letterati ci parlano della Bugelli (Tigri, Giuliani, D’Ancona, Fucini, Francesca Alexander -

quest’ultima è un donna inglese, vissuta a Firenze, che ha pubblicato nel 1885: "Roadside songs of

Tuscany"- in italiano è uscita una traduzione: "Storia del popolo, Beatrice Bugelli di Pian degli

Ontani, Vol.I, Ontignano 1976).

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RISPETTO

Non vi maravigliate, giovinetti,

S'io non sapessi troppo ben cantare;

In casa mia non c'eran maestri,

Né mica a scuola son ita ad imparare.

Se volete saper dov'era la mia scuola,

Su per i monti all'acqua alla gragnuola.

E questo è stato il mio imparare,

Vado per legna e torno a zappare.

CIMENTO

Mi misi a fabbricar un bel castello,

Credevo d'esser solo castellano.

Quando che l'ebbi fabbricato e bello,

Mi fur levate le chiavi di mano.

Sopra alla porta han messo un cartello

Che chi l'ha fabbricato stia lontano.

Ed io meschino che lo fabbricai

Con pianti e con dolor or lo lassai.

Ed io meschino che l'ho fabbricato

Con pianti e con dolor or l'ho lassato

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I poeti pastori transumanti emiliani

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LEONCELLI SILVIO

Viaggio da qui alla Maremma Toscana degli antichi pastori

Il quadernetto di poesia del pastore Silvio Leoncelli, da Nismozza (Busana), di cui si parla nella giornata

Visita del Gorilla Quadrumàno a casa del pastore Silvio Leoncelli a Nismozza..., comprende altri due

poemetti in ottava rima: Alle mie pecorelle, composto di 6 ottave; e Rime di nostalgia, composto di 5

ottave. La strofa quinta del poemetto Alle mie pecorelle è composta di soli 6 versi. Le note alla fine dei

componimenti sono di Leoncelli. Le pecore di cui si parla nei due poemetti furono vendute nel 1962. Le

ottave furono composte due anni dopo.

1

O musa cara ti vengo a chiamare

Io mi rivolgo a te con tanti onori

La storia in poesia voglio fare

Sopra la professione dei pastori

Quando dai monti venivano a calare

Quando d’autunno tramantava i fiori

Che a passo a passo venivano a fare

Quando alla maremma dovevano tornare

2

Al mattino il sacco si veniva a fare

La fodera si metteva allombrello

Che sulla spalla ognuno deve portare

con la bisaccia con dentro lagnello

Che piccolino non puole camminare

Altri sono caricati sopra lasinello

Con quella soma bisognava andare

Fino a Sillano e dopo il baraccio caricare

3

I greggi sincomincia a radunare

Mischiando quelli dogni vergheria

Ben lontani si sentivano belare

Pareva un lamento di malinconia

Addio ai cari monti venivo a dare

Ognuno segue il suo gregge per la via

Salendo sopra lalto pratorena

Con gran fatica è rinnovata Iena

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Poi a Sillano andremo a cena

se da qualche ora si viene arrivare

Giù per le selve ognuno si dimena

Perche alla strada non voliono stare

Ce le castagne che danno la lena

Al gregge che lo fanno camminare

lasciando indietro i piccoli agnellini

Che belano alle mamme poverini

5

Daltra parte c'era i garfagnini

che si sentivano sempre brontolare

Ci chiamano lombardi i malandrini

Che le castagne mi fate mangiare

Sicche fra quelli e i piccoli agnelli

Che alla strada si dovevano portare

Era una vita di tanti sudori

Siamo a Sillano ormai siamo Signori

6

Caro Ceccardi ecco i vostri pastori

Cercate dove il gregge rinserare

Se si trovava una stalla erano fiori

Le più volte fuori bisognava albergare

Fate la cena per tanti pastori

Ogni vergaio veniva a ordinare

Era una minestra con tanti fagioli

Senza tovalia e senza tovaglioli

7

Quella era una minestra da signori

Il buon apetito faceva l'inchino

Eppoi lo spezzatino veniva fuori

specie quando moriva qualche agnellino

Qualche fritella si tirava fori

Con quelle cera tanto buono il vino

Poi dopo cena sandava a dormire

O dentro a un metato o sul fienile

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8

Stanotte alle due bisogna partire

Dicevano i più vecchi dei pastori

La strada per piazza bisogna seguire

a S. Romano saremo ai primi albori

Lorologio che sta sul campanile

Suonava i rintocchi più sonori

Svelia ragazzi e lora di partire

I nostri padri inviavano a dire

9

A ogni branco il cancello vanno aprire

Urla e fischia il povero pastore

Il fido cane il gregge sta a seguire

Lungo la notte fredda in quelle ore

Si arriva a piazza che volia di dormire

Solo del serchio si sente il rumore

E caminando tante miglie ancora

Finalmente nel cielo spuntava laurora

10

A Castelnuovo nei dintorni finora

Ognuno l'erba se lavà a cercare

Il gregge sulla strada fa dimora

Finche il vergaio non viene a tornare

Poi in un prato ognuno le ristora

Nelle bisaccie si viene a frugare

Da quelle pane e formaggio si tira fora

Quello è il pranzo che ognun ristora

11

Poi il fiasco del vino verrà fuori

Quello e nel patto poi della pastura

Era un vinello crudo che mi fa tremare ancora

si cerca di far bassa la misura

Non finisce mai ne resta ancora

Si vede era acerba quella uva

Non è capace di mettere armonia

Fuori che delle pisciate e tiravia

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12

Di Montepelpori si prende la via

E molto dritta ci vole gli speroni

Ognuno va con un po d'allegria

Dicendo stasera andiamo dal Pieroni

Quelli dal monte stanno a mezza via

Loro fra tutti sono dei più buoni

L'oro per minestra non fanno la zuppa

Ma fanno unabondante pastasciutta

13

Forza o gente mangiatela tutta

La buona Rachele veniva a pregare

Ma ce qualcuno che ormai si ringruppa

il terzo piatto non lo può mangiare

Ma ce sempre qualcuno nella truppa

che pure al quarto non si fa pregare

La buona cena e abondante vino

faceva cantare benchera garfagnino

14

Quello per noi era un alloggio fino

Quanta armonia ci si veniva a fare

Poi si ripartiva presto al mattino

Alla femina morta sandava a fermare

La in mezzo alla via su quel ponticino

La colazione si veniva a fare

il bottegaio ciaspettava al mattino

Prendeva il latte in baratto col vino

15

Verso il Borgo si segue il cammino

La ci si andava almeno a desinare

Ormai a Decimo siamo vicino

Poi nella Ghiaia si andava a pascolare

Veniva Manno un uomo un po' guercino

O quanti siete veniva a domandare

Perché la massaia mette su i paioli

Da questa sera li cuoce i fagioli

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16

Che bella cena ci tirava fuori

un po' dinzuppa senza condimento

dopo un gran catino di fagioli

quelli erano l'eterno tormento

quando presto al mattino si sortiva fori

del corpo ognun sentiva il movimento

chi non era lesto a sciogliere i bottoni

se la faceva dentro nei calzoni.

17

Eppure questi sono veri paragoni

che nella storia voglio decifrare

Ognuno si tirava su i calzoni

Eppoi incominciava a camminare

La verso lucca sopra nei piastroni

A giorno ci si fermava a riposare

un po ristorati con santa allegria

Sandava albergo di Santamaria

18

Quella si che era una brutta via

Quante carrozze cera da scansare

Avanti e indietro su per quella via

che almeno due volte bisognava fare

Finalmente si arriva a Santa Maria

La cena la verranno poi a portare

Veniva fatta lassu alla Fattoria

che di venir non trovavano mai la via

19

Dellapetito cera la nostalgia

Quanti sbadigli bisognava fare

Era calata a tutti l'armonia

Ognuno senè stava a brontolare

Ma ecco Tato in sieme alla Maria

Che la gran cena vengono a portare

Brodo di verdura insalata e pane

E tutta roba che leva la fame

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20

Poi alla paglia a riposar le brame

del sonno che ristora la fatica

Tutti amucchiati come tante rane

Perche le coperte non c'erano mica

Quando le trè suonava le campane

E riposati un p0 dalla fatica

Si riprendeva poi la via del monte

che verso i bagni portava alevinponte

21

O quante volte di notte su quel monte

Il tempo cominciava a burascare

Sentivi l'accua calar dalla fronte

Poi dentro alle scarpe la sentivi andare

I lampi ti sfioravano la fronte

Parea ti volessero accecare

Quanti strapazzi e quanto dolore

che sopportava il misero pastore

22

Quando nel cielo spuntavano l'aurore

Alle porte di Pisa venivano arrivare

Allora cominciava il dolore

A dover quella città a traversare

Cavalli e carrozze quanto rumore

O quante volte c'era dascansare

Accidenti a Pisa dalle torri pendente

Era la dannazione della gente

23

Era una fortuna se non sucedeva niente

O qualche agnello veniva a mancare

Quella era la virtu di quella gente

Che dentro Pisa stavano a Bitare

Dei ladri là cistava la sorgente

A occhi aperti bisogna stare

Il ladro se ne stava bello bello

Quando poteva fregare l'agnello.

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24

Finalmente fuori di questo tranello

La verso Arnaccio sandava afermare

Si cercava tutti un fraticello

per il suo greggio farlo pascolare

A desinar la dentro allotello

Un po'per volta si andava a mangiare

Dopo mangiato ognun torna al suo gregge

Come vuole quella antica legge

25

Ogni vergaio in tasca tien la legge

dice o ragazzi e l'ora di partire

Sulla strada ognuno mette il suo gregge

Che verso il colle andremo a finire

Ma questa notte dove si rimette il gregge

che non cera assai posto per dormire

I primi branchi vengano sistemati

E gli altri in mezzo alla via sono restati

26

O che brutta nottata o disgraziati

Sopra alla ghiaia dover riposare

Il freddo i panni li rende ghiacciati

Tutta la notte cera da tremare

Sotto una carraia un po' ammucchiati

un mezzo sonno si veniva a fare

Ma poi il freddo era disperazione

allora ai piedi si rimetteva lo sprone.

27

A forza di camminare viene le ore buone

Il chiaro giorno torna a riscaldare

Si andava a bere la brusca alle buonore

Cosi ci si poteva riscaldare

Uno per occhio si diceva al padrone

che la a quel banco ci stava a guardare

che ristoro ci da quel licuore

Rimette l'allegria e il buonumore

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28

Si varca le colline con l'aurore

La dalla bice si veniva arrivar

Lei sempre aspetta il misero pastore

Perché ci preparava il desinare

Era una gabbriggiana di buoncuore

che il suo interesse lo sapeva fare

Ma dopo tutto teneva del buon vino

che qualche volta ci faceva far l'inchino

29

Dinuovo si riprendeva il cammino

Ora non si cammina tanto in fallo

La pastaciutta e il bondante vino

Quella e una biada che fa correre il cavallo

Al malandrone ormai siamo vicino

E questa sera lo faremo un ballo

Dal Giusti ci aspettavan le ragazze

che per ballar il valzer erano pazze

30

Riposti i bastoni con le mazze

Tutti insieme sandava a cenare

Anche se eravamo di cento razze

Alla lunga tavola ci si veniva a stare

Le bestie rinserrate nelle piazze

Alla palia poi si andava a riposare

Domani coraggio si arrivava al posto

Andimo dai contadini a bere il mosto

31

Come difatti il capoccia composto

Il capo vergaio andava a salutare

Quando ogni cosa era messa al posto

A cena con l'oro si faceva andare

Il fiasco del vino non era nascosto

Più duna volta landava a colmare

Diceva bevete sù o gente stanca

Vedrete che il mio vino vi rinfranca

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A quei tempi il fiasco costava una palanca

Era quasi peccato non lo bere

Quello da ogni fatica luomo rinfranca

Dando tanta armonia e tanto piacere

A volte poi mancava la palanca

Allora l'accua bisognava bere

Pareva una cosa quasi amara

Quando non cera il vino sulla tortara

33

Voglio lasciare questa cosa amara

al giorno doggi voglio ritornare

vero che la vita oggi sarà più cara

Ma a quella antica non la paragonare

Quella maremma era tanto amara

che sette mesi bisognava stare

senza aver mai in tasca la merenda

due volte al giorno solo la pulenda

34

Oggi e molto cambiata la leggenda

Mezzi migliori si viene adoperare

In un giorno si torna alla maremma

Un altro basta poi per ritornare

E finita quellorrida andare e vegna

Sul camion ognuno le viene a caricare

Se ritornassero i nostri Genitori

Direbbero ma voi siete signori.

Leoncelli Silvio, Nismozza 22 Gennaio 1963 - questa è la storia dei Pastori quando si facevano i viaggi per

andare in maremma con le pecore a piedi partendo da Nismozza a Bolgheri e Suvereto Piombino per la

durata di 30 invernate, Leoncelli Silvio - va cantata tutta in ottava Rima questa è storia vera.

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Alle mie pecorelle

O caro gregge il tuo vecchio pastore

purtroppo ti à dovuto abandonare

per la vecchia ce una brutta legge

Perché le forze vengano a mancare

Ma perché Iddio che tutti ci protegge

A ognuno il suò destino volle segnare

Sento nel quor mio tanto dolore

Piango il mio gregge senza il suo pastore

2

Io lo vendute con la pena al cuore

Al camion io le venni accompagnare

Io lo baciate col pianto nel cuore

Da loro non mi potevo distaccare

Si vede dalla passione non si more

Tutto si deve sopportare

O care pecorelle tanto amate

La verso la Romagna siete andate

3

Sempre da mé sarete ricordate

Di voi solo mi resta i campanelli

Che facevano armonia sulle vallate

La sul Ventasso e sopra gli alti avelli

Quando la stavi a pascolar beate

A bere andavi ai limpidi ruscelli

Dove il bel rio nella valle in treccia

Lassù nella piana della Vaccareccja

4

Addio a qui tempi tanto beati

Bencherano di strapazzo e di sudore

Ma il vivere allaria pura e da beati

La vita sana e quella dei pastori

Si respirava laria dei bei prati

presto al mattino con le prime aurore

Quando là in alto bisogna andare

Le care pecorelle a radunare

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5

O bel Ventasso addio ti vengo a dare

Addio bei prati dalle piagge belle

Sotto i bei faggi si veniva andare

A quelle ombre a rinfrescar la pelle

A quelle fonti poi si andava a bere

Dopo mangiato o che grande piacere

6

Addio bei monti dallalte criniere

che giù dal basso vi verrò a guardare

Ormai e passato troppe primavere

Le forze sento vengano a mancare

Bisogna a mainare le Bandiere

tutte le volle poi depositare

Solo il ricordo rimarra nel cuore

Del mio gregge che curai con tanto amore

Rime di nostalgia

Musa dimmelo tu con quanta cura

Ogni pastore cura il proprio gregge

Prima le munge e dopo allerba pura

con la sua verga in mano attento regge

Passione data da madre natura

Ognuno costudici e le protegge

Non è per fare dei vanti o veri onori

La prima professione fu quella dei pastori

2

O musa che tu porti tanti allori

di quelle frode ti cinge la fronte

Nel tuo bel canto cè tanti tesori

di quelle ottave belle e sempre pronte

Vaghi fra lerba fresca in mezzo ai fiori

Scendi le nude valli e sali ai monti

Imprimavera rispuntano le aurore

Quando ai suoi monti tornerà il pastore

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3

Risaliranno i greggi sul Ventasso

che sentano come il pastore le sue brame

Risaliranno lassù insieme alle viole

di quelle Gialle che stanno alle lame

Fioriscono quando apparisce il sole

che la rugiada gli viene asciugare

Tornano i greggi con i campanelli

arisvegliar le valli e gli alti avelli

4

Salgano pascolando gli alti piani

finché alla cima vengono afinire

Passano la notte in quei divani

finché il bel sole non viene apparire

girando dove lombra tiene i vani

poi sulle selle vengono apparire

al mattino sul monte arrivano i pastori

In sieme ai fini cani paratori

5

Si mettono a sedere in mezzo ai Fiori

che nel bel verde la stanno a brillare

Fanno riposo lassù tutti i pastori

I campanelli li stanno ascoltare

Chi prende per le piagge e chi al montale

che verso la Bocchetta deve andare

chi sale sul Ventasso e su le selle

Aradunar le sue pecorelle

Leoncelli Silvio Questa e stato la vita di un pastore affezionato al proprio gregge. Nismozza il 23-1-1964 –

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7

Povero Silvio come stai male

Non senti più del gregge l'armonia

Neppure i versi non li sai trovare

della tua tanto amata poesia

Vorrei con i miei versi immortalare

Ma Sento mi opprime la malinconia

Più non la sento l'armonia di quelli

Della mia Bronza e dei miei campanelli

8

Solo il ricordo mi resta di quelli

Li tengo per riccordo in casa mia

Vorrei portarli la su nei bei prati

Attaccarli lassù come scaramagia

Sopra a quei faggi tanto belli

Movendoli il vento farebbero armonia

Così in eterno sentirli suonare

Dove il mio gregge andava a pascolare

22 Gennaio 1964 Leoncelli Silvio Nato 22-3-1900

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UMBERTO RAFFAELLI Le Vaglie di Ligonchio 1897-1970

VIAGGIO IN TOSCANA

1

Il due novembre fei partenza

la strada presi per Ospitaletto

col gregge mio e la rimanenza

abbandonai di Vaglie il patrio tetto.

Salii sul Prato Rena pien di speranza

i confini dell'Emilia il parapetto

l'aria toscana respirai pian piano

passai dalle Capanne e andai a Sillano.

2

Ma ben che dai confini ero lontano

di riposarsi ognun fino al mattino

alle due mi svegliai: il tempo sano

e si di nuovo mi messi in cammino.

Alla Garfagnana gli stesi la mano

Piazza trovai e poi San Donninò

Camporgiano sui Poggio gli venni a trovare

a Castelnovo andiedi a desinare.

3

Sul monte Pel andiedi poi alloggiare

partir dovetti prima dell'albore.

Su a Gallicano ne vensi a calare:

ecco di Garfagnana tocco il cuore.

E Bolognana ancor senza indugiare

paese che ne stai in mezz'al rumore

tra il Serchio qui vicin un grosso fossone

in terza casa andiedi in conclusione.

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4

Alla Femminamorta là fei colazione

e poi le gambe le rimisi in lana

costeggiando del Serchio il muraglione

al ponte giunsi della Maddalena.

Eccolo la il borgo: un grosso paesone

a mangiar mi fermai ma non a cena

a Diecimo n'andiedi con gran fretta

all'albergo antichissimo Poletta.

5

Passa la notte come una saetta

che non ti puoi nemmeno riposare

la Via di Sesto la presi diretta

Ponte a Moriano ancor senza indugiare

Sempre di notte non dico burletta

il gran sonno ci viene a tormentare

sui mucchi di ghiaia noi si scapucciava

ma sempre di notte a Lucca si arrivava.

7

Le bestie come noi si riposava

un par d'orette e si fè colazione

e poi dietro le mura si marciava

un dietro l'altro come processione

Con me nel viaggio si trovava Didimo,

Ulisse, Sisto e compagnoni

siamo quattro vagliesi in compagnia

passo passo si va a Santa Maria.

8

Si cena tutti quanti in armonia

ognun lo porta giusto il paragone

contenti siamo, siamo a mezza via

sull'invernata si fa discussione.

Chi diceva dell'erba ce ne sia

se non c'è piovuto a tempo è un lavorone

stanchi ne siamo e non si può più stare

sulla paglia ne andremo a riposare.

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Sempre di notte si viene a varcare

il monte che divide la Toscana

la Lucchesia si viene abbandonare

il piè si mette nell'area pisana.

Di qua in cima si vede luccicare

i fanal di Livorno in quella piana

si scende il monte e si cala pian piano

eccoci giunti ai bagni San Giuliano

10

Ormai il piede s'è messo nel piano

di platani qual nido uno stradone

c'interniamo giù giù nel suol Toscano

che dell'Italia lui ne fu campione.

Spogliati i campi li vedo dal grano

uva non ce n'è più nè formentone

nè dietro le strade e nemmeno nell'interno

qui si conosce che viene l'interno.

11

Di seguito il cammino per noi interno

che vincer si potrebbe in lotteria

seguitiamo lo stradon che gli è in eterno

e solo le stelle ci fan compagnia.

Ecco le mura: che gli antichi temo

che il Dante il se le mise in poesia

rischiara l'alba e si vede la torre

questo l'è Pisa che l'anno ci corre.

12

Noi ci fermiamo un pochettin a discorre

poi la mano ci stringiamo in fretta

convien la compagnia ora disciorre

chi va a Livorno e chi va a la Torretta.

Convien la strada mia ora disporre

se la pazienza tua ancora l'accetta

sul ponte d'Arno ci passai coi piedi

e a fermarmi a S. Pietro laggiù andiedi.

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13

Egl'era mezzogiorno se ci credi

l'ora prescritta sai dell'appetito

davanti a un tavolin allora ti siedi

Appen che la padrona tu hai scolpito

non guardi se gli è bella oppure brutta

porti la pasta in brodo oppure asciutta.

14

Ormai la strada ti descrivo tutta

di Tombo lo stradon prendo reale

acqua non trovi ma nemmeno frutta

e senza bere si viaggia male.

Si faccia la serata la si brutta

per alloggiarmi il prego mio non vale

passai da Stagno col pensiero adorno

fermai a una casa vicin a Livorno.

15

Ecco del mio cammin l'ultimo giorno

l'ultima tappa la posso chiamare

la città la girai tutta d'intorno

a Lentignano ne andiedi a sbucare

Da Vaglie a Lantignano sei giorni fumo

e sempre a piedi dover camminare

dietro il mar ne passeggio e il bell'arcano

eccoci giunti qui in Campolesciano

16

Il viaggio 'a posso dir che non fu strano

nemmen la posizion dove risiedo

in collina io sto non è in piano

e col mio occhio alla distanza vedo

sopra l'acqua del mar stendo la mano

che sia l'isola in mar anch'io ci credo

batte l'onda lo scoglio e sulle mura

questi son posti da villeggiatura.

(1923)

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Guerra Mondiale

Publico ascolta quel che ti descrivo

Sulla mia gioventù il primo fiore

Ascolta bene questo glie il motivo

Anche alle belve chreperebbe il cuore

Anch'io che di forse sono privo

Trovandomi nei pianti e nel dolore

Ora di guerra vi farò i suoi piani

Dei tedeschi Austriaci e Itagliani.

2

Sentite i versi miei non sono vani

Giornalmente lo provo con dolore

Che noi siamo trattati come i cani

In servizio noi siamo a tutte l'ore

Considerate voi se sono umani

Lasiar la vita nell' età del fiore

Dal giorno in cui fui richiamato

Sempre alla mala vita sono stato.

3

Come le bestie ho sempre riposato

A lumido terreno e alla foresta

Contro il detto nemico ò guerreggiato

Verso le cinque incomincio la festa

Il diciassette giugno ebbi marciato

Tutta la notte o poi la presa e questa

Se il diciotto un si scappa dalle selle

Ma mi ero visto di lasiar la pelle.

4

Oddio che dall'alto tron che sei alle stelle

Ma in quel momento tu ciai benpensato

Il tempo si cambio che in tutte quelle

Parti ci venne si un fitto nebbiato

Che brutte conseguenze furon quelle

Che ci veniva il foco accalierato

Credete a me che gliera una babelle

Eravamo spersi come pecorelle.

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5

Credete miei uditor si non sonno

Lascio considerare a chi ce stato

Giornate un vi saran piucome quanno

Perché tutti alla fuga si fum dato

Tutti a cariera per salvar la pelle

Chi potiede fuggire se salvato

Anche per noi propizio gliera il vento

In mezora arivai all'accampamento.

6

in quel giorno ne fu grande spavento

quando ci penso si mi chrepo il cuore

resto privo di forze e senza acento

cose davero che facean terrore

Si sentiva d'amici un gran lamento

E chi vi era ferrito e piu chi more

Solo a pensarci mi bagno le ciglia

Poveri padri e figli di famiglia

7

Per altra parte la strada si piglia

Zaino i' spalla e marcia con soffrire

Poi per la strada ognuno si consiglia

e ragionando del nostro patire

Ma nessun si sapeva quante miglia

E dove il punto che si potrà ire

Giunti a sera vicino a un paesino

A un altro fronte eramo sui confino.

8

e lì si riposo' quella nottata

Alla mattina subito in cammino

Su per il monte la strada imboscata

Il rombo del cannone era vicino

Dissi fra me oime' c'è lavanzata

Alla sera sì giunse sopra il fiume

E li si riposo' senza le piume.

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9

La stessa notte si di fiamme a un lume

Sopra d' un monte che gliera vicino

Spara il cannone che buttava il fùme

Che mise in fiamme un piccol paesino

E' modo di distruggere il costume

Ogni paese ogni citadino

Di lì alle due di notte si partiva

Al paese di pieve li si arìva.

10

Ora si comincia la piu lotta viva

Del nove e dieci e l'undici di luglio

Non vi e persona piu che la deschriva

Savanza per la roccia e per lo scoglio

E sempre su nel monte Si saliva

In viso siamo bianchi come un foglio

Lasiata la riva con grande spavento

Subito cominciò il combattimento.

11

Il foco durò diverso tempo

Per tre giorni e tre notti alla trincera

Ci mancava perfino il nutrimento

All' albergo alle stelle alloggio c'era

Sento stringermi il cuor quando ci penso

Quanti feriti e morti si vedeva

Tre giorni amari in mezzo ai patimenti

Che si sentiva strepiti e lamenti.

12

Mentre che scrivo mi trema la mano

Dei morti ne giudicai un par di cento

Un sergente un tenente un capitano

Soldati daltri corpi a cento a centi

Con lame tagliatrice e bombe a mano

Che sono morti la nel col di lana

Quello è il macello della carne umana.

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13

Di li si parte alfin di settimana

Il diciasette dello stesso mese

Un punto a destra si del col dì lana

Certo savanza per le nove imprese

Però locupazione non fu vana

Tanti morti e feriti la si fece

Per otenerla si fa posizione

Sotto il robbo tremendo del cannone.

14

Che brutta vita di tribolazione

Ne notte e giorno un si riposa mai

Quando fucile sia quando cannone

Quando il bombardamento dei mortai

Poi ce il fastidio adosso in prucisione

Anche quelli la pace non dan mai

Ce neve e freddo che rode le dita

Fra tutti quanti vogliono la vita.

15

E quanta gioventù all'età fiorita

Si vede giornalmente anda' alla morte

Dalle loro famiglie glie rapita

Lasciando i cari figli e le consorte

Ditemi chi sara lor chi laita

Quando alla casa sua manca il man forte

Non vi e piu nulla in nesuna maniera

E rovinata ogni famiglia intera.

16

Questa un è falsità gliè cosa vera

Lo so che non lo spiegherà il giornale

Giornalmente si vede una macera

Questa glie proprio cosa naturale

Se preso trento e trieste e cosa vera

E di piu sie allungato lo stival

Perche con laustria se fatto la guerra

Per aquistare la redente terra.

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17

Ma se dentro nel petto il cuor ti serra

Tu stesso devi dir che ciò raggione

E per quanto si vede non è questa

E modo di distrugger le persone

Non per far laquisto della terra

Perche laustriaco ne fa distruzione

Perfidi e mostri ne son tutti quanti

Odio cian con litaglia e i suoi abitanti.

18

Quante famiglie nei dolori e pianti

Morto sara' il suo caro guerregiando

Povere spose e figli tutti quanti

Starete giornalmente tribolando

Chi perde il figlìo il marito e lamanti

Brutte giornate starete passando

In mezzo amari pianti compasione

Saran disaggi di tribolazione

19

Qui cesso amatissime persone

E dei miei errori vi domando scusa

Non sono un campettista di canzone

Di precisare e calmeggiar la musa

Solo a voi la fella spiegazione

che al giorno doggi la mente è confusa

perche le cose non son tanto belle

Sta meglio i calcerati nelle celle.

20

Venti ottave le schrivo e sono quelle

Dandole a voi cesso la poesia

Al monte dove lasciano la pelle

Di qualunque soldato che ci sia

Ottave schriverei delle piu belle

Seguitando vo dirvi questa via

Saluti dai compagni del confino

Chi praticava il monte Sabotino.

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ANDREA BRISELLI Succiso

Scrive Armando Zamboni in Vita sull‟Appennino (ed. Sei, Torino, 1951, pp. 152 e 156)

Si aggiungano i ricordi della Poesia locale, venuta sì dalla Toscana, ma conservatasi nativamente irrorata di

frescore e di aggraziamento. Ci vuoi poco a comprendere che, qui, il florilegio poetico è quasi sempre

estemporaneo. Pure gli «stornelli» e i «rispetti» venivano coltivati.

Sentiamo la dolcezza malinconica di queste due terzine, che hanno fatto il giro anche di antologie, per i loro

pregi innegabili:

Son nata nei paese di Succiso,

dove la neve cade a larghe falde,

e sol d'agosto nasce il fiordaliso.

Vi nasce il fiordaliso e il girasole:

mi sento nel cuore un grande male:

mancandomi Succiso, manca ti sole

C'è stato, in quel paese, un cantore che s'è fatto nome pur fuori dall'ambiente natio: Andrea Briselli.

Di costui, vero tenore nel coro dei consimili, hanno scritto letterati e critici per riviste e giornali. Egli

annovera parecchi componimenti, tra i quali, ad esempio, un Contrasto, da riportarci, in qualche modo,

all'antico famoso di Cielo di Alcamo, o, meglio, a certe botte e risposte aulentissime dei quattrocentisti

toscani.

Ma deliziamoci con questa ottava, tolta da una specie di poemetto, in cui il titolo stesso, Brevi appunti di

un soldato, lo manifesta - l'autore passa in rassegna compagni, superiori, cose e avvenimenti della sua vita

militare:

Chi ha composto tal rima piccolina,

nacque al confine dell'alto Reggiano,

dove il fiore si prende sulla spilla,

senz'essere dagli altri posto in mano.

Da queste parti la rosa è piccina:

si vede il giusto effetto a mano a mano:

sui monti cresce ogni sorta di fiore,

che sembran perle ed hanno gran valore.

Il Briselli è veramente riuscito a creare dell'armonia ed una visione profumata della sua montagna. La fine

del poemetto si foggia in una specie di «licenza» tradizionale, ma intrisa di buon umore e, soprattutto, di

originalità:

Non son poeta che darà terrore

nel canto che ne volli improvvisare;

poca è la scienza mia per dar splendore

alle persone che stanno a ascoltare.

Dei canto non son certo un professore,

perché la rima noi, ebbi et studiare:

Andrea Briselli se ha sbagliato il canto

domanda scusa a chi è di maggior vanto.

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Giacomo Alberghi e Remigio Fontana

Prosegue Armando Zamboni in Non si debbono dimenticare due altri poeti este

Giacomo Alberghi e Remigio Fontana.

maggio». Entrambi sono caduti tragicamente, con altri venticinque loro paesani e con alla testa il loro

priore don Giambattista Pigozzi, in una una feroce rappresaglia tedesca, la sera del 20 marzo 1944.

Il primo, in età d'anni sessantacinque, coltivava la terra; il secondo, ben ottantaduenne, quando l'ho

conosciuto io lavorava ancora da

A offrire l'idea dei loro modo di poetare, mi piace riferire alcune ottave che essi, in una specie di gara

olimpionica, - oh, assai più modesta, senza dubbio

dei loro villaggio, oppure durante uno di quei desinari, tradizionali in montagna, che eccitano le vene dei

cantori. Il motivo alle due poesie venne fornito da un fatterello che fece ridere un poco

alle spalle di alcuni cacciatori armati di tutto punto e in procinto di buttarsi tra i monti a far strage.

Quel giorno, dunque, c'era il mercato grosso sulla piazza, con banchi di frutta, stoffe, oggetti vari. La folla

facile indovinare - cominciava ad aumentare, e quei ca

Quanta selvaggina avrebbero riportata dalla loro imminente battuta! A un momento, chi sa come, si vede

arrivare da lontano un bel campione di lepre, la quale, d

cacciatori, che restano incitrulliti senza riuscire a catturarla, se ne spulezza via con lo stesso garbo, com'era

venuta. L'episodietto menò scalpore: ed è comprensibile, stante la presenza di quegli eccezi

Nembrod. Diede la stura ai commenti, alle facezie, alle risate più varie; e ricordo che anch'io che mi

trovavo, allora, in un'altra zona della montagna

dimostrandosi incolti e qua e

Ecco il Fontana:

correa senza occosion di trar la briglia

Giacomo Alberghi e Remigio Fontana

Armando Zamboni in Vita sull‟Appennino (ed. Sei, Torino, 1951, pp. 152 e 156)Non si debbono dimenticare due altri poeti estemporanei di questa plaga appenninica. Si chiamano

Giacomo Alberghi e Remigio Fontana. Li ho conosciuti di persona, e dell'Alberghi ho assistito a un «

maggio». Entrambi sono caduti tragicamente, con altri venticinque loro paesani e con alla testa il loro

priore don Giambattista Pigozzi, in una una feroce rappresaglia tedesca, la sera del 20 marzo 1944.

Alberghi Giacomo

Il primo, in età d'anni sessantacinque, coltivava la terra; il secondo, ben ottantaduenne, quando l'ho

conosciuto io lavorava ancora da falegname iii una sua botteguccia scura e zeppa di vecchie cose.

A offrire l'idea dei loro modo di poetare, mi piace riferire alcune ottave che essi, in una specie di gara

oh, assai più modesta, senza dubbio! - improvvisarono, non so più se in crocchio sulla piazza

dei loro villaggio, oppure durante uno di quei desinari, tradizionali in montagna, che eccitano le vene dei

Il motivo alle due poesie venne fornito da un fatterello che fece ridere un poco

alle spalle di alcuni cacciatori armati di tutto punto e in procinto di buttarsi tra i monti a far strage.

Quel giorno, dunque, c'era il mercato grosso sulla piazza, con banchi di frutta, stoffe, oggetti vari. La folla

cominciava ad aumentare, e quei cacciatori s'aggiravano tra essa, in aria di Tartarini.

Quanta selvaggina avrebbero riportata dalla loro imminente battuta! A un momento, chi sa come, si vede

arrivare da lontano un bel campione di lepre, la quale, dopo aver fatto un giro tra i banchi e i terribili

cacciatori, che restano incitrulliti senza riuscire a catturarla, se ne spulezza via con lo stesso garbo, com'era

venuta. L'episodietto menò scalpore: ed è comprensibile, stante la presenza di quegli eccezi

Nembrod. Diede la stura ai commenti, alle facezie, alle risate più varie; e ricordo che anch'io che mi

trovavo, allora, in un'altra zona della montagna ne accolsi l'eco. Remigio Fontana e Giacomo Alberghi, pur

là slegati nel loro eloquio, rievocano con icastica la scenetta.

O Villa, che possiedi un mercatone

che si potrebbe dir quasi mondiale,

famoso per la grande esportazione

di bestie di qualsiasi naturale

ne appare una, per combinazione,

a gran carriera, come avesse l'ale:

aveva orecchie lunghe a meraviglia,

correa senza occosion di trar la briglia

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Giacomo Alberghi e Remigio Fontana

(ed. Sei, Torino, 1951, pp. 152 e 156) mporanei di questa plaga appenninica. Si chiamano

Li ho conosciuti di persona, e dell'Alberghi ho assistito a un «

maggio». Entrambi sono caduti tragicamente, con altri venticinque loro paesani e con alla testa il loro

priore don Giambattista Pigozzi, in una una feroce rappresaglia tedesca, la sera del 20 marzo 1944.

Il primo, in età d'anni sessantacinque, coltivava la terra; il secondo, ben ottantaduenne, quando l'ho

falegname iii una sua botteguccia scura e zeppa di vecchie cose.

A offrire l'idea dei loro modo di poetare, mi piace riferire alcune ottave che essi, in una specie di gara

improvvisarono, non so più se in crocchio sulla piazza

dei loro villaggio, oppure durante uno di quei desinari, tradizionali in montagna, che eccitano le vene dei

Il motivo alle due poesie venne fornito da un fatterello che fece ridere un poco la gente dei paese,

alle spalle di alcuni cacciatori armati di tutto punto e in procinto di buttarsi tra i monti a far strage.

Quel giorno, dunque, c'era il mercato grosso sulla piazza, con banchi di frutta, stoffe, oggetti vari. La folla - è

ciatori s'aggiravano tra essa, in aria di Tartarini.

Quanta selvaggina avrebbero riportata dalla loro imminente battuta! A un momento, chi sa come, si vede

opo aver fatto un giro tra i banchi e i terribili

cacciatori, che restano incitrulliti senza riuscire a catturarla, se ne spulezza via con lo stesso garbo, com'era

venuta. L'episodietto menò scalpore: ed è comprensibile, stante la presenza di quegli eccezionali seguaci di

Nembrod. Diede la stura ai commenti, alle facezie, alle risate più varie; e ricordo che anch'io che mi

Remigio Fontana e Giacomo Alberghi, pur

là slegati nel loro eloquio, rievocano con icastica la scenetta.

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La quale, uscita da una selva folta,

decise di far parte all'adunata.

Non guarda i cacciator e non li ascolta:

per piazze vuole far la passeggiata.

Vedendo la meschina non è accolta,

spiacente lascia quella camerata:

se a caso ritornasse in quei confini

gli toglie dai fucili gli acciarini.

Conoscessi di Villa i cacciatori,

un plauso gli farei pel suo archibugio.

Han voglia di venir dei disertori:

la piazza serve a loro di rifugio.

O Brescia che commetti grandi errori,

ritira i tuoi fucili senz'indugio

perchè non danno a lor nessun profitto:

nemmen di lepre piace a loro il fritto.

Ed ecco l' Alberghi:

Non so se definisco un'avanzata

la lepre che raggiunse il mercatone,

o pur se la dichiaro in ritirata,

chè avea di bracchi dietro un battaglione;

o ch'ella fosse un po' desiderata

la conoscenza far con le persone,

o reclamar che sola contro tanti,

riedere non potea nè andare avanti.

Ma visto l'animale irriverente,

al Sindaco saltò la bizzarria

d'adoprarie il fucile iinmantinente

e la bestia punir di tal follia.

Intanto quell'intrusa con la gente

non piacendole stare, scappa via.

A me parrebbe da persona stolta

pensar che a Villa torni un'altra volta.

Dimmi, Toano, e svelami tu, Quara,

come potete Villa contrastare?

Dove l'avete voi cosa sì rara,

che vengan lepri i banchi a visitare?

Avrete forse in più qualche somara

da vendere a contanti, o cambio fare.

a Villa, a cominciar dalla mattina,

ha sulla piazza viva selvaggina.

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IL VATE DELLE VAGLIE

Vera storia

Vera storia di Amilcare Vegéti (1889-1964), merciaio di Vaglie, porta come sottotitolo Le atrocità compiute

dai nazifascisti. Appare stampato nella tipografia U. Fabbiani - La Spezia. Via XX Settembre ang. via

Capellini. N. 35 rosso - Telefono 21-24. Non c'è data.Una sorella di Rachele Vegéti ci ha raccontato, quando

siamo tornati a Vaglie, che il poema è stato scritto durante e subito dopo la guerra, e che fu portato da

Vaglie a La Spezia a piedi, da lei e dal padre. Insieme al manoscritto Amilcare Vegéti riportò al proprietario,

un ebreo di La Spezia, un tesoro (pietre preziose e oro) affidatogli in custodia durante l'occupazione nazista.

"Non mancava nulla" - ci ha detto la figlia. Vegéti leggeva Vera storia quando andava nei paesi a vendere la

merceria.

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1

Parte prima

1

O popolo, nel millenovecento,

quaranta quattro ricorreva l'anno

il cinque agosto, ch'in vita rammento,

quai ne furo i fatti sentiranno.

Su nei monti d'Emilia ov'il gran vento

assai spesso ne reca molto danno

di Ligonchio è le Vaglie un bel villaggio:

quivi successe un terribil oltraggio.

2

Quegli infami tedeschi di passaggio

rastrellavano tutta la campagna;

con in braccio un fucil e col coraggio

d'orribil tigre quando preda magna;

scrutando ogni cespuglio ed ogni faggio,

ricca vegetazion della montagna,

accerchiando cosi il paese tutto

onde mutano poi con grave lutto.

3

Con quel barbaro dir "facciam caputto"

la caccia all'uom facean qual cignale;

e chi li vide con quel ghigno brutto

può dir: sembiante aveano del maiale.

Molte le case son ch'essi han distrutto,

portando a ogni paese tanto male.

Ma, più di tutti il miser fu Carlino;

lo trucidaro come un assassino.

4

Fu colpito innocente il poverino

nella giovin età di quarant'anni:

ha lasciato una bimba ed un bambino,

una giovine sposa negli affanni,

fratelli e sorelle (Vil destino!)

cagione di quei perfidi tiranni:

la madre che è nonna e tutti i cognati

pur essi dal dolor son angosciati.

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2

5

Fur tant'altri paesi devastati:

Cinquecerri fu messo a ferro e fuoco,

le case con i mobili bruciati,

fienili in fiamme come una fornace.

Il bestiame (è la vita dei rubati)

presero e tutto ciò che a loro piace:

distrutte fur pur cose di valore

da gente disumane e senza cuore.

6

E poscia si recaro dal Priore:

legarongli le man dietro la schiena,

ma quello rassegnato pel Signore

con gran pazienza sopportò la pena;

poi con nodi di ferro per molt'ore

i polsi gli legaro ed ogni vena,

causando a lui cosi tortura atroce

come al figliol di Dio sulla croce.

7

E nell'ora ch'il sol ne fere e coce

gli poser la corona sulla testa

gettandosi ver lui, pecchia veloce

sull'obbiettivo che non la molesta:

questa cosa nel mondo a tutti noce.

Ma sempre rassegnato egli si presta;

e sopportò la lunga sofferenza

per mercare dal ciel molta indulgenza.

8

Dopo a Capril fu data la sentenza.

Appena giunti il miser fu Santino

uomo del mondo di breve esperienza.

In tasca egli tenea un berettino,

dei Partigiani era una rimanenza,

per un suo tenealo bambino:

e trovandogli indosso tal insegna,

venne ucciso e bruciato come legna.

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3

9

Dopo molti misfatti ognun s'impegna

e nei fienili appiccicaro il foco,

poiché dentro di lor l'ira vi regna

e far del male altrui lor sembra gioco:

uno le pensa e l'altro le disegna,

così del tempo perdono assai poco.

Al Casalino nello stesso giorno

furon fienili trasformati in forno.

10

Non so se fu all'andare o nel ritorno

una vittima fecero alla Loggia

senza che questi avesse fatto scorno:

di colpi riversar sur lui una pioggia;

tema e dolor quinci ne nacque intorno

vedendosi incendiati, come foggia

quando il mantice soffia sul carbone:

simile avvenne a quella abitazione.

11

A Piolo, dopo il lor primo sermone,

decretaro di farvi un omicidio.

Poi Ligonchio ch'è un'alta posizione

veloci dominaro con presidio

e in varie guise a tutte le persone

per molte fiate danno lor fastidio;

la permanenza lor fu giorni otto:

i paesani in giro e col fagotto.

12

Poi all'Ospitaletto (è un paesotto

ch'il confin tocca della Garfagnana),

pur tre fienili in cenere han ridotto,

il fumo si innalzò ver la Toscana.

Ed a Ligonchio poi, redir di Sotto

per continuar lor opra disumana:

e il Comune con altri fabbricati

li han messi in fiamme e se ne son andati.

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4

13

E tanti e ovunque sono i torturati

che contare si possono a migliaia:

una parte di lor furori bruciati

dentro i fienili oppure su nell'aia,

ancor molti altri sono gli impiccati,

altri passati sotto la mannaia:

hanno fatto una strage quei serpenti

più che non fe re Erode agli innocenti.

14

O Dio, che tutto vedi e tutto senti

faria, tu, si di lor giustizia esatta;

abbi pietà di tutti i lor lamenti,

chè ormai l'Europa intiera vien disfatta.

Fai che giungano a segno gli accidenti,

che tutto il mondo impreca a quella schiatta,

specialmente a quel capo vil di Hitler

che nel mondo impersona Lucifér.

15

Questo grande crudel, bestial messer

arso di sangue, come un grosso lupo,

il ghigno certo avrà di indomo e vil ver

quando astretto nel chiuso si fa cupo,

ed al servizio suo ogni uom è sgher

pronto a servirlo al piano, al monte, al rupo:

son tutti quei tedeschi indemoniati

che vivono nel mondo dei peccati.

16

O America, Inghilterra, che alleati

da vincol d'amicizia ormai ne siete,

fate ben con Stalino i concordati

per far le cose meglio che potete;

tutti i tedeschi vengano annientati,

questo è il compito pria che voi farete,

onde fare sparir quel tristo sesso;

e date agli altri ciò che è lor concesso.

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17

La prima parte l'ho finita adesso

sentito ne avrete a che proclama,

la seconda l'udirete appresso

chè il popolo all'udir ella richiama:

io prego, musa, il tuo divin permesso

per scriver ciò che mio intelletto brama,

onde far si che in noi memoria esista

di ciò che fè il tedesco e il vil nazista.

Parte seconda

18

Poi nel settembre il giorno diciassette

fu iniziata battaglia furibonda:

i Partigiani occupan le vette

dell'alta Secchia sulla destra sponda,

da Busana partian come saette

i tedeschi veloci in grossa ronda;

e dal Cerreto nell'istessa ora

parti un ploton che li facea dimora.

19

All'apparir della rosata aurora

un'auretta spirava sibilante

e di colui che il mondo ognor martora

di proiettili al nome risuonante;

astretti i Partigian la lor dimora

lasciaron e fuggiro ver levante,

nacque scompiglio nella postazione,

nè trovar puossi l'uso di ragione.

20

In una zona che appellano "Casone"

(che da Vaglie è distante circa un miglio)

i tedeschi spararo alle persone

che inveniro celate in nascondiglio;

volle il caso che un uom della frazione

colui di cui il bel nome è di Basilio

fosse nei campi per l'agricoltura:

anch'egli di fuggir si prese cura.

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21

Uomo energico questi per natura:

so che in mano si prese il suo cappello

nè pruni eluse e siepi e sassi e mura:

nessuno certo più raggiunse quello;

ma in questi casi in tutti è la paura,

quando si sente suonare il campanello

all'uscio proprio od alle proprie porte

l'orribile segnale della morte.

22

Le strade non guardò diritte o torte

ma ognor veloce scese al Rio del ponte,

io nel veder colui correr si forte

ragguagliarlo il potei a Rodomonte

quando a Parigi dette trista sorte

e da lui solo sostenne la fronte

rompendo la fortezza delle mura

dando a molti cristian la sepoltura.

23

Qui Basilio riprendo con premura

allorchè del Rossendol passò il rio

e sul Predare dove l'aria è pura

incominciò a fiatar con gran desio.

Giunto che fu a Ligonchio la paura

da lui se ne fuggi, graziando Iddio.

Venuto a casa a sera, alla sua sposa

narrò quella giornata disastrosa.

24

Pei Partigian non fu la stessa cosa,

chè un di Capril, ferito fu mortale,

mentre tentò fuggirne, in selva ombrosa

lasciando degli agresti ogni viale.

Chi sa quanto sofferse in quella posa

fra gli orribili spasimi del male,..!

e agonizzante immerso nei dolori,

quanto egli avrà invocato i genitori...!

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25

Più di quaranta giorni stette fuori,

mezzo coperto con de' rami e foglie;

non valse ricercar, fra i rumori

né tracce si trovò delle sue spoglie

né l'invenir più pratici pastori:

finché l'autunno per natura scioglie

la foglia dalla pianta che è matura

e rischiarata vien la selva oscura.

26

Un uom di Cinquecerri con premura

il legname facea per un fienile,

quando vide una macabra figura;

veloce come il vento andò a Caprile

a narrar della vista creatura

e di morte scoperto avea l'ovile:

I famigli con altri in lor conforto

corser veloci ad adorar quel morto.

27

Gli fu fatta la cassa e poi sepolto

nel cimitero ov'è la gran dimora

che tutto il sesso uman cape raccolto

per volontà divina all'ultima ora.

Tutto Caprile ne restò sconvolto

e credo che tutt'oggi si martora.

Ma qui lascio e di Vaglie la frazione

tratto, quand'ivi entrava un pattuglione.

28

La mia casetta è in una posizione

la pria a trovarsi a chi vien dal Cerreto,

vi giunse allor di corsa un omaccione,

che le sembianze avea da basso ceto,

e dietro quello un altro mascalzone;

quivi pur questi giunse cheto cheto:

il primo tenea l'arma fra le dita

contro mia prima figlia impaurita.

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29

Ruggia come belva inferocita:

"qui, essere, qui dentro, partigiano?"

La mia Rachele affabile l'invita:

"qui, nulla esiste e guardi in ogni vano,"

ma quello la minaccia della vita,

con lo stridor de' denti e l'arma in mano;

e poi le punta una grossa pistola

in direzione della bianca gola.

30

Mia figlia allor perdette la parola,

la chioma si rizzò dallo spavento.

Finalmente costui via se ne vola

per dare ad altri un simile tormento,

e di Pighetto l'unica figliola

ci rincorse e fermò con duro accento:

"dove avere il marito? io vo' sapere,"

lei franca gli rispose: "in un cantiere."

31

"In un cantiere a Spezia e se vedere

i documenti...," a dir si fé coraggio,

ma quello si abusò del suo potere:

"nulla credere, voi con me in ostaggio.

" Lei disse; "Ho due bambin da mantenere

io son la madre loro, il loro raggio."

Ma quel con rude guardo a lei n'addit

di seguirlo se cara le è la vita.

32

Ì due bambini, vedendosi rapita

la propria madre, quando mosse i passi

piangean con la nonna impaurita

e di pietà sariansi mossi i sassi.

In quell'istante, a simile partita

rincasò Ulisse; si sentian chiassi,

e apparve Clara, col pianto sui cigli,

anch'essa essendo madre di due figli.

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33

In piazza a Vaglie udivansi bisbigli

e grida orrende di quella canaglia

mentre scrutavan tutti i nascondigli;

due volte temerario a chi si squaglia.

Congregatisi poi ne' lor consigli

deciser di piazzare una mitraglia:

tempo cinque minuti a dichiarare

ove i ribelli fosser e svelare.

34

Le donne tutte vedeansi tremare

mute, dolenti e pur senza favella,

quand'ecco il boia ritornò a gridare:

"fra tre minuti brucio le cervella.

" Farloni Ermida incominciò a parlare:

"O donne, se sapete tal novella

svelatela a costor," tutte ella invita,

temendo non salvar la propria vita.

35

La Gina, allor, si fece la più ardita

disse le cose, io qui le dicò esatte;

"Se i partigiani qui han fatto qualche gita,

l'han fatta per raccogliere del latte,

ma stanno ai boschi, come un eremita."

Ma quelle belve punto soddisfattè

preser Senè e cognata con gran randa

e le due Caterine e la Fernanda.

36

Gridavan: "guai a voi, se una si sbanda,

marciar dovrete a noi sempre davanti,

inutil ogni dir che raccomanda:

non val prego, né Cristo con i Santi,

siam un demone che opra in questa landa

e seminiam per voi singhiozzi e pianti.

" E unite con la Clara e la Minghina

le portaro al Comando a Gabellina.

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37

Oh! fortuna si ria e si tapina;

padri e madri ploravan al destino...

l'Elide e la sorella Franceschina,

lacopo con Leopoldo e Pellegrino

come apparve la prossima mattina

veloci tutti presero il cammino

onde l'orme seguir delle figliole

prima che comparisse il nuovo sole,

38

Il giorno stesso (come Dio lo vuole),

ognuno sano e salvo fé ritorno:

qui descriver non posson mie parole

l'allegrezza di Vaglie in quel bel giorno:

cessàro i pianti e si schiarir le gole,

poiché a nessuno fu fatto un scorno:

ma di quello ricordo sarà eterno

ch'han lasciato i tedeschi e il lor governo.

39

Dei partigiani non restava al perno

che una disfatta piena di dolore;

agli alemanni non si può far scherno:

resistenza fu fatta per molte ore,

ma poi su quelli imperversò l'inferno,

che pure ai sassi incute gran terrore;

udendo un uom armato di trombone

il cannon tuona come fa il baleno:

ovunque sconvolgea rupi o terreno.

40

Italia, Italia, che ferita in pieno

da' tedeschi tu fosti e da milizia,

ringrazia i Partigian ch'un po' di freno

hanno saputo porre con giustizia;

scacciato hanno dal mondo quel veleno

e ripulita ti hanno da immondizia.

Dei Partigian le gesta e la memoria

registrate verran su nella storia.

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Parte terza

41

Il ventiquattro dello stesso mese,

ritornò una pattuglia inferocita;

di Vaglie mitragliò tutto il paese

con i dintorni suoi e ogni bandita

nessuno a quella fu che la contese:

tutti fuggiro, per salvar la vita

chi fra i cespugli e chi dentro le tane:

alberghi che non son per genti umane.

42

Ma le ricerche lor non furo vane

come pardi montaro sul Chestione

con quel guardo feral più che di cane:

palmo a palmo passandone le zone

giunser dove il terren ha delle frane,

che di Tuvol chiamata è la possione;

del Prete d'Ospitale è un benefizio,

che in dono venne a lui d'antico tizio

43

Di sotto a questa s'apre un precipizio

tutta di gesso v'esiste una scogliera:

ma quelli l'annusare l'han per vizio,

l'osservar tutti i buchi; con maniera insaputa

(il pensavan, v'era indizio

che della gente nascosta li vi era?)

So che intopparo ad un calavernone...

vi palpitavano undici persone.

44

Vi lascio immaginare l'impressione

che qui provaro i paventosi cuori,

udendo un uom armato di trombone

gridar "dalla caverna tutti fuori."

Teser le braccia in segno d'emissione,

tutti sconvolti, immersi ne' pavori:

invocato l'avran l'Alto divino

che addolcisse quel br crudel destino

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45

Ma il comandante, un perfido assassino

li trattò tutti con fare arrogante:

Ugo, Tersilio, Quinto con Beppino,

Federico, Marino, uniti a Dante,

Luciano, Beppe e suo fratello Aldino:

se ne stava ciascun tutto tremante;

con lor Triglia Giovanni è di Collagna,

che a Casanuova vien a far campagna.

46

Calar li fecer giù dalla montagna

per raggiunger la strada nella valle

e disser: "guai a voi se uno si lagna,

questo è il fucile e il colpo mai non falle.

Ognuno di sudor la fronte ha bagna

per il peso che porta sulle spalle,

ché quei mostri l'avean caricati

di munizioni e in parte schiaffeggiati.

47

A Beppino i capelli hanno tirati,

che quasi dal terren lo sollevaro;

Ugo e Tersilio vennero insultati e,

credo, degli schiaffi lor donaro,

e per lo più tutti fur beffeggiati

il più vil trattamento a lor serbàro:

e carchi venner come un asinello

per condurli a Busana al contrappello.

48

Se talun si restava guai a quello,

se pur vinto ne fosse da stanchezza;

venia colpito con un manganello,

senza pietà per tanta giovinezza;

correva ognun la strada e lo stradello

e con premura e con grande sveltezza

Giunti a Busana, quivi il comandante,

tutti l'interrogò su cose tante.

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49

Senza dubbio pur questi era un birbante,

e batteagli in seno un cuor di iene:

orgoglioso si stava e trionfante

vedendo quei figlioli in tante pene,

poscialor disse con fare arrogante:

"Per questa volta sciolgo le catene;

andate a casa silenti e filare

per l'avvenir, se non... vi fo' arrestare."

50

O popolo, tu poi immaginare

se veloci percorser quelle miglia.

In questo caso li posso uguagliare

al cavallo che corre senza briglia.

A casa tutti poteron ritornare

ridonando la calma alla famiglia,

consolando la sposa o i genitori

che tutti immersi giacean nei dolori.

51

Della razza tedesca ecco gli onori

che conquistar volean con il male;

come demoni spinti dai furori

facean una strage assai bestiale.

Colpian, poveretti, anche i signori,

sia nelle case, come nel viale,

lasciando a ogni italian ricordo amaro,

che abbiam pagato tutti a prezzo caro.

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Parte quarta

52

Ancor trascorso non era il primo mese

che appo noi ritornar i partigiani,

provenienti, si sa, da ogni paese,

tanto dalle colline che dai piani:

in quattro vi eran di stirpe vagliese

ve n'eran di Collagna e cerretani,

di Ligonchio, Caprile e Casalino,

di Castelnuovo Monti e più vicino.

53

Compiuta l'opra lor, pria del mattino

dalla strada rientravan Nazionale,

sempre di notte facean quel cammino

per poter al nemico far del male;

compito quel del buon garibaldino

per scacciar dalla patria il fer rivale,

colui che ha martoriata la nazione,

più che non fece ai Filistei Sansone.

54

Venne l'inverno e queste sono zone

che la neve, si sa, continuo abbonda;

circolare non posson le persone

perché il piede calcato in essa sfonda:

l'otto gennaio incominciò il cannone

a colpire dell'Ozola ogni sponda,

e i partigiani con mitragliatrice

reagivan per tener quella pendice.

55

Ma il vii cannone è una arma deletrice,

di lungo tiro e di maggior possa,

ad ogni postazione la cornice

fu infranta producendo ivi una fossa.

I partigian deciser la radice

di trapiantare per salvarsi l'ossa;

non appena la notte calò il velo

fuggiro ai monti fra la neve e il gelo.

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56

Tutti giovani ardenti con gran zelo

i disagi sostennero e gli stenti,

finchè in una capanna o in qualche telo,

poterono difendersi dal venti;

contate avran le stelle su nel cielo

io penso e tutti quanti i firmamenti,

con un freddo a diciotto e cosi bagni,

avran battuto i denti ed i calcagni

57

Italia, Italia, se di lor ti lagni

un sacrilegio. commetti, io tel dico

essi varcaro monti, fiumi e stagni,

pur incessanti colpir bene il nemico:

hanno teso le reti, come i ragn

fan con le mosche, e poi con altri intrico

di mine e bombe sparse sul terreno

per poter il nemico urtar a pieno.

58

Qui lascio, e me con la mia musa meno

sul bel Ligonchio, quando il nove sera

giunse quassù quel serpe col veleno

che porta il nome di" Brigata nera,"

nelle case costoro senza freno

entravano rubando quel che vi era

il capobanda era Remo Orlandini

col grado di" maggior" degli assassini.

59

E pure anch'egli è nato agli Appennini

nel piccol paesetto di Poiano,

frequentato ha il lavor dei contadini,

ma le sembianze avea di gran villano,

ma a La Spezia entrò coi cittadini

per dar principio a un culto disumano,

pria con milizia e poi brigata nera

per rovinar tutta l'Italia intera.

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60

Lo riprendo a Busana, vil megera,

quell'Orlandini capo-banda e guida;

qui un prigioniero dei tedeschi vi era

che il nome di battaglia avea di "Ida."

Calavan le tenebre della sera

quando Orlandin si rese un omicida,

dicendo: "Questo ai miei va consegnato,

e domani dev'esser trucidato."

61

Infatti il di seguente fu scortato

fuor di Busana a una distanza breve,

da quei cani venne pugnalato

cadaver lasciato sulla neve:

"esizial pena a chi si fa accostato,

gridaron essi,inulto star ne deve,

pei partigiani è nata la temenza

finchè noi siamo una viva semenza."

62

Partiti, i Busanensi con urgenza,

andaron dal comando per l'appunt

ad invocare straniera clemenza

se inumare lasciavan quel defunto

il comandante ch'avea ancor coscienza,

vedendo tanto popolo li giunto

un papiro lor diè, dicendo

"vale, per fare a guisa vostra il funerale."

63

Costrussero una cassa e dal viale

raccolser quel cadaver con premura

sotto il capo steser un guanciale

nella cassa l'adagiar con cura;

l'aspergo il Prete avea ed il messale

e in tal guisa il scortar a sepoltura,

facendo a lui pietosa funzione

e infin data fu la benedizione.

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64

O Vaglie, o Vaglie, tutte le persone

ringraziar devi della pia Busana;

color che fanno cosi opere buone

chiamarsi ponno vera gente umana.

Qui una madre riprendo con ragione

quand'ella apprese la notizia strana,

con grida e pianto inumidi i suoi cigli

come madre può far per i suoi figli.

65

Le due sorelle a lei buoni consigli

certamente continui a dar le danno

dicendo: "cosi troppo te la pigli,

piú rimedio non c'è, e per te è un danno"

ma lei sente del spirto i suoi perigli

ed immersa si trova nell'affanno;

a lei il cuor arde come una fornace,

triste e dolente non trova più pace.

66

Ed a tutti i Vagliesi assai dispiace

del fu Francesco e il suo crudel destino:

in tante costui sue imprese audace,

sempre salvossi per voler divino,

ma l'orribile ed esecranda falce di morte,

l'ha rapito, oh, poverino! E

voi sapete che da divin concesso

il pianeta di vita ha il suo decesso.

67

Inghilterra, grazie ti rendo adesso

con l'America e Russia assai gentile,

che liberato avete il suolo oppresso

da ponderosa soma si servile:

che siam tutti innocenti vi confesso

e cresciuti nel lago della bile,

che siam per venti e due anni

continuamente in un gran mar d'affanni.

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68

Cagion di Mussolini e i suoi tiranni,

che le squadre crear dei manganelli;

color che non vestian gli oscuri panni,

sovente molto udiano i contrappelli

pinto avean nei muri quei tiranni

baston nodoso per curar cervelli;

per dir meglio spaccar ognor la testa

a chiunque fosse una persona onesta.

69

Causar più danni lor che le tempeste

quando scoppia dal cielo il temporale:

ammorbati pur eran dalla peste

e sulla gioventù versaro il male,

spesso in case remote indivan feste

di notte tempo e fino al capezzale,

ove posava l'onesto cittadino,

portar osavan olio di ricino.

70

La lor esatta misura era un quartino

come prescritta dal lorprofessore;

disturban la donna col bambino

e fu spesso pestato il suo pudore;

compito questo del vil assassino,

che dove passa semina il terrore;

di uccidere, oltraggiar senza riflesso

l'infame duce aver lor concesso.

71

Agli Italiani ognor resterà impresso

il sovvenir antico e la memoria.

O Apollo, o Musa, grazie rendo adesso,

benché il serto non meriti di gloria:

ma al mio calamo voi deste il permesso

per descrivere questa vera storia

sui misfatti fascisti e germanese

sono Veggeti Amilcare vagliese.

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Marmoreto di Busana (RE) 1895

“S

Con Ultimio Fontana intrattenne per lungo tempo uno scambio di episodi poetici, sapientemente e anche umoristicamente improntatiScrive di lui Romolo Fioroni: Un vero, grande personaggio, Domenico Notari, legato allo spettacolo

del Maggio, nella importantissima parte di organizzatore, direttore e regista. Un vero, dotto

“campioniere”!

OTTAVE perla

Una messa in quel di' presso un cespuglio

Sotto ad un faggio, una grossa pian

Che sul Ventasso è sempre festeggiata.

OTTAVE E MAILART

Domenico Notari

Marmoreto di Busana (RE) 1895-1983

“Son murator, di quote son dotato comunque ti do pure il nome mio

Domenico Notari son chiamato e a Marmoreto tengo suol natio”.

Con Ultimio Fontana intrattenne per lungo tempo uno scambio di episodi poetici, sapientemente e

moristicamente improntati a vicende note e meno note. Un vero, grande personaggio, Domenico Notari, legato allo spettacolo

del Maggio, nella importantissima parte di organizzatore, direttore e regista. Un vero, dotto

OTTAVE perla FESTA di SANTA MARIA MADDALENA

Ecco s'en torna il ventiquattro luglio

Del millenovecento anno cinquanta

Il popol di Busana in gran subbuglio

Per salir sul monte ove si canta

Una messa in quel di' presso un cespuglio

Sotto ad un faggio, una grossa pianta

A Santa Maddalena sì chiamata

Che sul Ventasso è sempre festeggiata.

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Con Ultimio Fontana intrattenne per lungo tempo uno scambio di episodi poetici, sapientemente e

Un vero, grande personaggio, Domenico Notari, legato allo spettacolo

del Maggio, nella importantissima parte di organizzatore, direttore e regista. Un vero, dotto

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Al primi albor partiti avanti il piede

Il nostro don Celeste ed altri ancora

Dietro poi seguia a chi precede

La bella procession che Cristo adora

Sorgea i rai dei sol che ci fa eredi

Di luce e di splendòr che tutto indora.

Sul bel sentier la serpe che ogni tanto

Passa sotto fresc'ombre ch'è un incanto.

Tra verdi fronde su bei prati estesi

L'erba sotto ai piè facea tappeto

Ai pellegrin che innalzan dai paesi

Busana Cervarezza e Marmoreto.

Di là dal monte innalzano i vallesi

Di Montemiscoso e Ramiseto

Salir la cima col più fido calle

E d'in sul tramontar scender la valle.

Quando sul Romito siam rivati

Soffiava leggermente un ventolino,

Attenti a un dissi, perché siam sudati

Fermiamoci prima al sol un momentino.

Un breve istante ci siam riposati

E poi di nuovo riprendiarn cammino

Volgendo il piè verso la chiesa

Che dei fedel cristian sempre è in attesa.

Vistamma quel santuario diroccato

che ridestar nei cuor fa nostalgia

D'inni sacri d'un tempo passato

pria che l'invasor lo devastia

Alfin l'abbiamo questo tralasciato

e ci mettiam del lago sulla via

che vien segnata a tanti punti rossi

scavalcando rocce pietre e fossi.

Ecco del Calamon che il lago appare

tra faggi e tra pastor che lo circonda

si cullano i suoi flutti come un piccol mar

quando il vento tace e dorme l'onda

un'orchestrina si sente suonare

su di un palchetto ch'è la sua ritonda

danzano d'amore i cuori accesi

di balda gioventù i bei paesi.

Domenico Notari (Minghin) Marmoreto di Busana luglio 1950

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Ultimio Fontana di Cervarolo di Villa Minozzo (RE)

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OTTAVINE MIGRANTI

Marco Torri 4 giugno 1891 - 25 febbraio 1978 Succiso

MIA CARA MOGLIE (Parigi 1932)

1.

Ti scrivo la presente o cara sposa,

perdonerai se non ti ho scritto prima,

mi son stancato di scrivere in prosa

ora ti scriverò in ottava rima.

E se non ti sarà tanto noiosa,

più volte leggerai di fondo in cima

i versi miei che derivan dal cuore:

tono di poesia, tono d'amore.

2.

Quando ti trovi immersa nel dolore

apri la voce alla mia poesia

canta le rime mie di buon umore

vedrai sparire la malinconia.

Realizzerai completamente il cuore

contenta resterai, sebben son via

E' vero che mi trovo oltre i confini

ma penso sempre a te ai cari bambini.

3.

Io mai mi scorderò dei miei piccini

mai dovran dire « senza il genitore

ora son certo che siete meschini »,

perciò pensare a voi mi crepa il cuore.

Tu, che la madre sei dei piccolini,

con loro passerai tutte le ore

se ti diranno « Mio padre non viene? »

digli che resto via per il loro bene.

4.

e che restare in Francia mi conviene,

per sostenere la famiglia mia

ma se un giorno ci troveremo insieme

vedrete non ritornerò più via.

Tu, Assunta, che hai sofferto tante pene

tutto per causa dell'assenza mia

qualcun di te avrà riconoscenza

già che hai avuto tanta pazienza.

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5.

Io lo ricordo il dì della partenza

che ti lasciai in letto ancor malata

forse avrai detto: « Cuor senza clemanza »

a lasciarti così quella giornata.

Fu nostra sorte, non fu mia coscienza

se dovetti partir alla disperata

e tu restare in letto non guarita,

quando alla luce donasti la Zita.

6.

Fu brutta anche per me quella partita

che non la farei più per uno stato.

Sopra Succiso l'unica salita

o, quante volte a me mancò il fiato

non potevo camminar dalla fatica

più non marciava il motore animato.

Provai per voi, o cari, un gran dolore

mia mamma pure l'avevo nel cuore.

7.

Tanto la mamma, come il genitore

sono nel cuore di uno crudele,

io, che stampato sono di vero amore

a cui divenni ci sono fedele.

Così spero nel mio diletto fiore,

che a me mi è dolce più che non il miele

Enzo, Enea, la Zita i loro cuori

domani si apriranno ai genitori.

8.

Assunta cara frena i tuoi dolori

coraggio ti farai se resto via.

Delle mie rime perdona gli errori

qui devo tralasciar la storia mia.

Saluterai i nostri genitori

e quanta gente incontri per la via.

Ti bacio, unita ai bimbi di buon cuore,

io sono tuo marito e son l'autore.

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LINO CASANOVA Busana (RE)

LA NOSTRA MONTAGNA NON CANTA PIU'

".. . eravamo sempre in bolletta ma si cantava, nelle osterie in campagna.. dappertutto si cantava,

adesso che abbiamo qualche soldo in tasca non si canta più. Le prime due (strofe) le voglio

recitare"

l.

La ns montagna si è spogliata

della sua gente della sua cultura

per vari paesi è emigrata

dentro le città e nella pianura.

Del suo dialetto non è più coltivata,

il montanaro lo considerava una pittura,

il giovane dice questo è progresso

l'anziano gli risponde per noi è regresso

2.

Alla domenica sembrava un congresso

nelle osterie per cantare

uno degli altri si portava appresso

per poter meglio gli altri contrastare.

L'ascoltator rimanea di gesso

con devoto seren ad ascoltare,

alla fin con molto piacere

tutti uniti in coro cantare e bere.

3.

Lavorando nella campagna gli era un piacere,

il contadino col suo canto chiama il pastore

costui è sempre pronto al suo dovere

il capraio non facea da spettatore.

Questo gli è un racconto di cose vere

Che ripensarci un po' mi soffre il cuore

e nella notte le serenata si cantava

l'eco fra monti e valle risuonava.

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4.

Ed ecco che il giovanotto si appostava

sotto la finestra del suo amore

con dolce melodia poi cantava

svegliando la fanciulla del suo cuore.

Ed ecco che la donzella si affacciava

tutta tremante e senza far rumore di

lacrime bagnava il suo bel viso

anche il giovanotto ha condiviso.

5.

Ed ecco che alla figliola torna il sorriso

tutta contenta e gaia a letto tornava

volgea gli occhi suoi al paradiso

felicemente poi s'addormentava.

Ma nel suo cuore gli è rimasto inciso

quelle frasi d'amor quando cantava

sperando poi che il seguente giorno il suo

amato amor faccia ritorno. (…)

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Costantino Zambonini Asta di Villa minozzo (RE)

MISCELLANEA DI RICORDI

Tornando in dietro nel tempo passato,

riaffiorano i ricordi nella mente,

e rivediamo ancor quello che é stato,

come attraverso un prisma od una lente.

E tutto ciò che abbiam dimenticato,

dal più remoto, fino al più recente,

una fantasmagoria di colori,

di gioie, di speranze e di dolori.

O mio paese mi ricordo ancora,

dei bel tempo quand'ero ancor bambino,

cantare i galli tra l'alba e l'aurora,

e i borghi ridestar dell'appennino.

Come in un sogno io rivedo ancora,

uscir dai tetti il fumo dei camìno,

e mattiniera la buona massaia,

che governava i polli in mezzo all'aia.

E chi accudiva all'asino o ai maiale,

e chi le mucche al pascolo portava,

metteva il basto ai muli il vetturale,

e le pesanti some preparava.

E chi pensava già al tempo invernale

la sua pesante scure già affilava,

menava il contadino ai campi suoi,

lenti e maestosi gli aggiogati buoi.

Cavalli bradi al pascolo nitrire

e nel cielo le rondini volare,

delle cicale il noioso frinire,

sui prati pecorelle pascolare.

Ricordi che non possono svanire,

e il cuore non potrà dimenticare

lo stridulo gracchiar delle ghiandaie,

e il fumo nero delle carbonaie.

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Parvemi riveder d'estate il Maggio,

Tancredi, Orlando, Rinaldo e Ruggero,

e risuonare tra l'abete e il faggio,

il maschio canto di un prode guerriero.

Campione di giustizia e di coraggio

é nemico del falso e onora il vero,

vuole la pace su tutta la terra,

e agli ipocriti e vili fa aspra guerra.

E dalle aie assolate la calura,

ed il profumo della paglia e il grano,

quando nel tempo della trebbiatura,

li uni e gli altri si davano una mano.

Gente buona di cuore e di natura,

come si addice ad ogni buon cristiano,

senza superbia e con buona creanza

praticava la vera fratellanza.

L'autunno tempo della transumanza,

con le greggi partivano pastori,

coltivando nel cuore la speranza,

che giungesser per br tempi migliori.

E con gran sacrifici e con costanza,

delle intemperie sfidando i rigori,

passando l'alpe e poi la Garfagnana

per i più miti climi di Toscana.

Quando l'inverno rigido e pungente,

ricopriva di neve l'appennino,

e il montanaro sempre previdente,

coi ciocchi alimentava il suo camino.

E col badile ogni uomo valente,

facea la "rotta" insieme a ogni vicino

in tutti i paeselli della valle,

per governar le bestie nelle stalle.

Fin che vivrò io avrò nella memoria,

la civiltà di questa terra avara,

che per le sue radici e la sua storia,

per ogni montanaro é sacra e cara.

d é senza peccar di vana gloria

che anch'io sono di stirpe montanara

ed amo i monti, i boschi e la natura,

i laghi i fiumi il cielo e l'aria pura.

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Voi genitori che all'amata prole,

cercate di insegnar la retta via,

non sia la scuola vostra sol parole,

ma il viver vostro ad essa esempio sia.

E ogni giorno che nasce sotto il sole

sia per voi ardua o facile la via,

ricorderete sempre ai figli vostri

anche il santo sudor degli avi nostri.

06/12/1994

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Esperienze di ricerca

La La guerra di Berto » fa parte di una serie di canti registrati la scorsa estate a Pavana, Pistoia; Pavana è un

paese dell'Appennino tosco-emiliano, in posizione particolare nella valle del Limentra. Posto a circa trenta

chilometri da Pistoia, si trova invece circondato da località bolognesi, e Porretta Terme, il primo centro di

una certa importanza che si incontra, è a soli quattro chilometri. Le tradizioni popolari mostrano quindi

spesso elementi di fusione tosco-emiliano, caratteristica riscontrabile specialmente nel dialetto.

Il paese non ha risorse proprie, ed è sempre stata forte l'emigrazione, prima della guerra all'estero,

ultimamente interna. Questo fatto unito alla facilità di comunicazionI con i centri vicini e al turismo estivo,

ha portato a una dispersione e ad una veloce scomparsa del patrimonio popolare, ricordato e conosciuto

solo dai vecchi, mentre le generazioni più giovani o lo ricordano vagamente o lo ignorano del tutto. Per fare

un esempio, una canzone come « La pastora e il lupo », conosciuta dai vecchi con una versione locale, viene

invece cantata dai giovani con variazioni e moduli correnti, quelli cioé standardizzati dalla radio o dai

fascicoletti di canti corali per gite riunioni eccetera; oppure, una bella versione de a « L'infanticida »,

cantata secondo la versione locale, è stata intonata, invece che col modulo tradizionale, con lo stile del

canto cosiddetto «all'intaliana », tipico dei Villa, dei Taioli, eccetera.

«La guerra di Berto », fra i canti raccolti, rappresenta un pezzo abbastanza raro ed interessante. Lo ha

cantato Maria Bernardini, di anni 70; la «Guerra » fu scritto da un suo cugino, appunto Berto,, con la

collaborazione di alcuni commilitoni toscani, durante la prima 'guerra mondiale. E' una specie di diario che

comprende molti episodi e si snoda lungo un certo arco di tempo. Inviato come lettera ancora in tempo di

guerra, fu imparato a memoria e spesso cantato, ma probabilmente solo nell'ambito familiare o quasi; altri

paesani infatti hanno affermato di conoscerlo vagamente ma di non ricordare. E' quindi un pezzo

assolutamente originale.

E' composto di 29 strofe, intonate sul modello -dell'ottava rima dei cantastorie toscani. C'era infatti

l'abitudine di improvvisare in ottava rima, e molto diffusi erano i «fatti » dei fogli volanti, appunto in ottava

rima; il testo risente di composizioni molto famose, come ad esempio la « 'Pia de' Tolomei » o la

«Genoveffa ». Senza' essere all'altezza di queste composizioni,la « Guerra » è però un canto brillante e ben

condotto, specialmente se si pensa che è stato scritto da un a non professionista »; è comunque, a mio

avviso, di certo superiore ai « fatti dei cantastorie emiliani, spesso molto più superficiali e affrettati.

Francesco Guccini

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La guerra di Berto

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Benché sia un po' confusa la mia mente

Pur qualche cosa posso ricordare

Di quel che mi succede nel presente

e nel passato quel che venni a fare.

Me la passavo assai discretamente:

Quand'ero a casa col mio lavorare

Ma il mio benstar però poco è durato

E sotto le" armi anch'io venni chiamato.

2

Ed all'83 fui destinato

Tosto spedito fui presso i confini

E quindi in poco tempo fui arrivato

In un paese in" mezzo agli Appennini.

La guerra ancor non era dichiarata

Ogni soldato sta sui propri confini

Intanto che l'Italia e l'Austria ragiona

Gran discussioni trovasi a Vienna e a Roma.

3

Là dentro si discute e si ragiona

L'uno vuol questo e l'altro non consente

Al fin de' conti l'ora triste suona

e della guerra ognun di noi sta dolente.

Incomincia il cannone che scuote e tuona

che in lontananza ognun lo sente

L'eco rimbomba e fa tremar la terre

Ecco l'Europa che è tutta in guerra.

4

A tanti padri il petto gli si serra

madri spose e ragazze in compagnia

Pensando che i suoi cari vanno in guerra

Contro i cannoni e la fucileria.

Ogni soldato la propria arma afferra

Tanto a cavallo che di fanteria

Anche l'83 dei primi è stato

Di quelli che la frontiera - hanno varcato

5

Diversi paesetti fu occupato

Il primo. Tezze, questo è il proprio nome

Benché di poche case sia formato

Il quale è privo pur della stazione.

Grigno rimane assai distaccato

Si unisce a questi con un bel stradone

Il tratto è lungo, il carico pesante

Che ci tirava a, terra ad ogni istante.

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Gocce di sudore ne gettai tante

Che a contarle non sarei capace

Quasi d'andar non ero più bastante

Bollivo come fossi una fornace.

Arrivammo a Grigno tutto ansante

Regna il silenzio, tutto intorno tace

Dalla stanchezza, la gran sete e fame

Mi gettai a terra come fossi un cane

7

Per poche ore fermi si rimane Sdraiati

a terra come fosse un letto

Poi ci vien data una razion dì pane

E l'ordine d'andare a Spedaletto.

A noi sembravano parole strane

E a tutti ci gonfiava il cuore in petto

L'ordine fu dato e non si può mentire

Zaino in spalla, e bisogna partire.

8

Quanto soffrii non ve lo posso dire

In quelle prime notti della guerra

Da questo e quello si sentiva – dire

Io non ne posso più, mi gettò a terra.

Molti miei amici li vidi svenire

E rimanere lì distesi a terra

io pur soffrendo dai piedi alle spall

Giunsi ad Ospedaletto,, in quelle valle.

9

Tristi nottate, incominciai a passarle

Ma pure eravain' giunti agli avamposti

E pure il fischio acuto dalle palle

Si sentiva essendo anche dai piccol posti

La pioggia cade e ci bagna le spalle

Si dorme in campi, vigne, prati e boschi

Asciutti e molli si dorme per terra

Questo è il letto che abbiamo in guerra.

10

Il giorno dopo ognun di noi un arnese afferra

E tutti abbiamo l'occhio un po' più sveglio

Si scavan fosse e buche per terra

Per difenderci oppur offender meglio

Ben poco si conosce ancor di guerra

Perché il nemico sembra un poco sveglio

Ma pur la vita è stata triste assai

Perché ,in tre mesi, non ci si ferma mai.

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Ricognizioni se,ne fece assai

Esplorando quei paesi dei dintorni

i quali assai discreti, li trovai

e le genti pur volean nostro soggiorno.

Eppure a strigno non venite mai?

a me disse una vecchietta un giorno.

Ma la sua volontà fu appagata

due giorni dopo ci fu l'avanzata.

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Era d'agosto una bella giornata ,

Dopo la pioggia dì una notte intera

La quale di vedetta avevo passata'

in mezzo a un campo dove alcun riparo non c'era.

Ogni ufficiale ci chiama all'adunata

Fan cercar quei che presenti non c'era.

Lo zaino in spalla, ch'era affardellato

Il cuor fa sospirare a ogni soldato.

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L ordine di partire poi ci han dato

siamo discesi giù per una collina

Poi a disfarle' tende ci han portato

E verso, Strigno poi ci si incammina.

Questo la sera era già occupato .

E sempre più in là il nemico ci confina

Quelle pattuglie che erano appostate

Furon scacciate a suon di fucilate.

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Qui s'incomincian le tristi nottat

Siani sotto al tiro dell'artiglieria

Più qua e più là scoppiavan le granate

Passan sopra la testa e vanno via.

Pur delle case n'hanno bombardate

Povera gente ha dovuto andar via

Scappavan tanto nudi che vestiti

Povera gente eran tutti impauriti.

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Il 23 d'agosto siam partiti

Senza sapér se si facea ritorno

Siamo arrivati a Sera assai avviliti

Carichi come muli e con affanno.

La notte eravam tutti' ringrulliti

Dal freddo che credete era un malanno

E la fame ancor più c'ha tormentato

Perché da tanto tempo non avevam mangiato.

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Alle due poi c'hanno svegliato

Già s'era molli di guazza e infreddoliti

S'era ridotti in un cattivo stato

Di sotto terra si pareva usciti

Una razione di lesso poi c'han dato

E di far silenzio pur c'hanno avvertito

Queste parole il fante le indovina

C'è l'avanzata prossima e vicina.

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Per certe brutte strade s'incammina

per macchie fossi e piccoli sentieri

siamo discesi giù per una collina

e siamo giunti dove s'era ieri.

Mentre la prim'alba s'avvicina

e siamo giunti dove s'era ieri.

Dove un forte nemico su di un monte

a colpi ci fa fare il dietrofronte.

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Piovean granate che parea una fonte

però gran danno non ce lo arrecava

per noi più gran riparo era il monte

La testa quasi a terra si ficcava

le mani sul fucile sempre pronte

benchè il nemico assai lontano stava

Alfine un ponte s'è trovato

così dalle granate c'ha salvato.

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Quant'era meglio che non fossi nato

piuttosto che trovarmi a queste prove

quasi due anni è che son soldato

otto mesi in guerra, il resto altrove.Fra le altre

cose un fante sfortunato

perchè mi son trovato sempre a tristi prove

patir la fame e sete ed ogni stento

specie a trovarmi in combattimento.

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Ora ci sono abituato e non lo sento

come nei primi tempi della guerra

Tanto restare al''acqua oppure al vento

dormire nella paglia oppure in terra

Pur nella vita mia verrà il momento

che i sacrifici sentirò della guerra

e se fortuna avrò di non morire

pur ritornando c'avrò da soffrire.

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Troppo mi ci vorrebbe per finire

di raccontar la vita della guerra

chi non la prova non la può capire

fosse il più intelligente della terra.

Cosa lo conterei anche il morire?

così morendo ogni morir si serra.

Ma il peggio è continuando questa via

che allunga sempre la nostra agonia.

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Lasciamo queste cose, andiamo via

e riparliamo un po' dell'avanzata

che da quel ponte siam venuti via

abbiamo camminato una mezza giornata

senza mettere un piede sulla via

Varcando fossi e vigne all'impazzata

Si varca un fiume, si entra in un canale

come in Maremma alla caccia al cinghiale.

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Appena quello scende noi si sale

già l'avanguardia fa le fucilate

il nemico scappa è naturale,

ma si rivolta con le fucilate

Sopra di noi facea un fuoco infernale

più qua e più là scoppiavan le granate

L'una dopo l'altra ci picchiavano accanto

tra fuoco e fumo copria tutto quanto.

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La testa alzavo allor di tanto in tanto

Per conoscere l'effetto dl cannone

Scorsi una casa, un campanile accanto

Che era sepolto da un gran polverone

Era scoppiata una granata accanto

Sopra a un tetto, su nel cornicione

Di un bel palazzo che nel centro stava

Fortuna che nessuno l'abitava.

25

Per caso della gente passeggiava.

Nei pressi di quel luogo disgraziato

Dove più la mitraglia grandinava

Tanto sui tetti come nel selciato

Un povero barbiere che se ne stava

Con altra gente presso un porticato

Arriva all'improvviso una granata

Tutta la gente fu terrorizzata.

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Certo la peggio sorte fu toccate

Al povero barbiere che fu colpito

Da una di quelle scheggie di granata

Che si scagliò scoppiando in quel granito.

Tutta la testa sua fu fracassata

E anche in altri posto fu ferito

Fra il dolore degli astanti, la famiglia al pianto

La sera fu portato al camposanto.

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Siamo arrivati, a Borgo, dopo tanto

Un bel paese, pure un po' elegante

E' circondato da un bel verde manto

Quasi nascosto in mezzo alle piante

C'è una catena di montagne accanto

Fabbriche d'ogni specie ce n'è tante

Ma or si trovano in tristi condizioni

Perché si trovano in mira dei cannoni.

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Il nemico non ha punta compassione

Né delle donne né degli innocenti

Che spesso ne massacra col cannone

E tanti cuori li fa star dolenti.

L'artiglieria nemica è in posizione

Lancia granata giù tutti i momenti

Chi si spaventa, e chi riman ferito

E chi nel cimitero vien seppellito.

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Vorrei spiegarvi tutto a dito a dito

Di ciò che 'in questi posti ora succede

Ma ora 'non posso e qui 'faccio 'finito

Lasciando in altro tempo il passo al piede

Invio a tutti un saluto infinito

E spero che tutti l'accetterete con fede

Alla famiglia, ai parenti e amici

Sperando di vederci un dì felici.

(Informatrice, Maria Bernardini, anni 70)

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