ora sì che il sole è alto su nel cielo

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Annibale Bianchini Ora sì che il sole è alto su nel cielo Racconti brevi 1

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Racconti http://parolescritteavoce.wordpress.com

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Annibale Bianchini

Ora sì che il sole è alto su nel cielo

Racconti brevi

1

2

Presentazione

Scritti nel 2014, i racconti qui contenuti

sono nati da piccole cose - un'immagine, una

statuina di cera, un ricordo - che mi hanno

ispirato il desiderio di scrivere storie brevi,

semplici, adatte a lettori di varie età. Spero

di esserci riuscito.

Questi miei racconti sono stati protagonisti,

durante la stagione radiofonica 2014-15,

della trasmissione Dentro il cuore di ogni

giorno che conduco per Radio ECZ e in

seguito pubblicati su

3

parolescritteavoce.wordpress.com, il blog

dove, oltre a trovare riferimenti per

ascoltare le singole trasmissioni, si possono

leggere altri miei recenti scritti.

Annibale.

4

NOTA

Gli scritti contenuti in questo libretto

(e il disegno di copertina)

possono essere liberamente condivisi

(fotocopiati, letti ad alta voce, etc.),

a patto che:

- sia sempre citato il nome dell'autore;- siano condivisi senza fini di lucro;

- siano mantenuti integri nella forma e nelcontenuto.

Ogni altro diritto è riservato salvo esplicita autorizzazione dell'autore.

https://parolescritteavoce.wordpress.com

5

6

Eston e Moma

C'erano una volta un pappagallo e una

scimmietta, che si chiamavano Eston e

Moma. Erano amici da molto tempo, fin da

quando erano piccoli, poiché le loro mamme

avevano costruito nido e tana su due rami

affiancati dello stesso albero. In effetti

anche le mamme erano molto amiche e

abitando così vicini i due piccoli si vedevano

tutti giorni. Giocavano a fare la lotta, a

inseguirsi sui rami dell'albero, a chi faceva il

verso più strano. Una volta diventati più

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grandi preferivano andarsene in giro

insieme per la foresta, il più delle volte in

volo, con Moma a cavalcioni di Eston. Ogni

tanto facevano a gara a chi arrivasse per

primo al fiume, il pappagallo volando a tutta

birra e la scimmietta saltando fra liane e

alberi. Alla fine non vinceva nessuno dei

due, perché ogni volta arrivavano nello

stesso momento e questo li divertiva molto.

Il gioco che però amavano di più era

cantare insieme. Dopo aver volato un po' o

aver corso a perdifiato, si mettevano su un

albero e cominciavano a cantare le canzoni

imparate dalle loro mamme o da altri

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animali della foresta. Appena intonavano una

canzone intorno a loro si faceva silenzio,

tutti fermavano le loro attività e si

mettevano in ascolto. Dopo qualche minuto

però cedevano al più forte desiderio di

unirsi a quel canto. Quello che all'inizio

poteva dirsi un concerto di artisti davanti al

pubblico, diventava un unico grande coro a

cui si univano sempre più voci, facendo

vibrare tutta la foresta.

In quelle occasioni i minuti, le ore e le

giornate passavano velocemente e la sera

sopraggiungeva senza che nessuno se ne

accorgesse. Quando Eston e Moma

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rientravano a casa, le loro mamme li

sgridavano per essere tornati così tardi, ma

poi sorridevano sapendo che i due giovani,

per farsi perdonare, avrebbero cantato una

canzone tutta per loro.

Dopo quei momenti di intrecci di voci, la

notte passava tranquilla e serena, mentre i

grilli e gli altri animali notturni

continuavano a cantare sommessamente per

non disturbare chi stava dormendo.

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Fransisco e Barro

Il giorno era iniziato. Il sole cominciava a

illuminare tutte le cose. Gli insetti, gli

uccelli, le scimmie e gli altri animali erano

in attività già da quando il cielo aveva

cominciato a rischiararsi. C'era chi invece

non aveva la minima intenzione di svegliarsi:

il bradipo, socchiudendo ogni tanto gli occhi,

si era reso conto dell'inizio del nuovo giorno,

ma continuava a sonnecchiare a cavalcioni

del ramo su cui si era messo la sera prima.

Ad un certo punto sentì che qualcosa lo

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colpiva sulla testa e una vocina rapida,

familiare e assolutamente antipatica gli dava

il tormento:

"Ehi Fransisco! Non è ora di alzarsi? Non

vedi che il sole è già alto? Su forza, in

piedi! Non è più tempo di dormire!".

Al che il bradipo, con somma calma, non

fece altro che mettersi sotto il ramo su cui

stava, aggrappandosi saldamente con le sue

zampe uncinate per non cadere di sotto.

Non passò molto tempo quando sentì che

qualcosa era caduto sulla sua pancia e quel

qualcosa aveva la stessa voce che poco

prima lo stava tormentando. Alzando la

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testa e aprendo gli occhi si rese conto che

si trattava di Barro, l'amico scoiattolo che

ora stava a pochi millimetri dal suo naso.

Aveva le guance talmente piene che

Fransisco pensò che gli sarebbero scoppiate

sul muso.

"Maaaa..." iniziò a dire il bradipo chiudendo

di nuovo gli occhi.

Visto che non continuava, due secondi dopo

Barro disse a gran velocità:

"Ma cosa? Cosa vuoi dirmi? Ehi? Allora?

Guarda che io non ho tutto il giorno per

darti retta! Su, sveglia amico mio, dimmi

dimmi!"

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Inondato da quella mitraglia di parole

Fransisco avrebbe voluto rispondere a tono,

ma preso un bel respiro riuscì a dire ciò

che voleva dire con la sua solita lentezza:

"Com'è che hai le guance così gonfie? Non

vorr..."

Senza dargli tempo di continuare, lo

scoiattolo con tono un po' risentito rispose a

raffica:

"Be' caro mio, è già dall'alba che io lavoro!

Non ho mica tempo da perdere io, ho una

famiglia da sfamare e i miei piccoli non

farebbero altro che mangiare. Per cui io,

mentre tu continui a sonnecchiare, ho già

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fatto scorte fino a domani mattina. Vuoi una

nocciolina?" disse ficcandosi una zampetta in

bocca e allungandola poi verso l'amico

bradipo.

Fransisco si rese conto di avere fame, ma

visto da dove proveniva l'offerta dello

scoiattolo, girò la testa con un certo

disgusto.

"Vedi un po', una in più per me" disse Barro

rificcandosi la nocciolina in bocca. Poi

girandosi per andarsene aggiunse:

"Be' amico mio, vorrei restare qui a fare

conversazione con te, mi farebbe molto

piacere, ma come ti dicevo prima non ho

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tempo da perdere e quindi è meglio che

torni alle mie faccende. Se passo ancora da

queste parti ti faccio un fischio. Intanto

vedi di alzarti e darti una mossa!"

Fransisco non aveva sentito granché delle

ultime parole dello scoiattolo, perché appena

questi fece i primi passi, si riaddormentò

profondamente; la velocità di parola

dell'amico scoiattolo a quell'ora di mattina,

lo aveva stancato non poco.

Si risvegliò dopo qualche ora. "Ora sì che il

sole è alto su nel cielo" pensò riaprendo gli

occhi. Ricordando di aver fame già da un

po', con la sua solita calma afferrò le foglie

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del ramo a cui era appeso e se le mangiò

masticando lentamente e a lungo, tanto

lentamente e a lungo che finì per

riaddormentarsi.

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La tartaruga e lo scarabeo

Nel grande giardino di una casetta costruita

nel bosco, viveva da molto tempo una

tartaruga. Faceva una vita molto tranquilla,

pienamente soddisfatta. Passava le sue

giornate andando a passeggio di qua e di là

senza mai uscire dal recinto che circondava

il giardino; di cose da vedere ce ne erano a

sufficienza senza bisogno di avventurarsi

nel bosco. Quando aveva fame bastava che

si dirigesse verso l'orto, dove poteva trovare

tutto ciò che voleva e che le piaceva. Be',

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non proprio tutto, perché poteva cibarsi solo

delle verdure che si trovavano al di fuori

della rete che proteggeva il resto dell'orto,

riservato ai padroni di casa. Quando poi si

sentiva stanca e aveva voglia di dormire si

fermava in un qualsiasi punto del giardino e

si ritirava nella sua corazza.

A volte era talmente stanca che capitava si

addormentasse a pochi centimetri da dove

aveva appena fatto i suoi bisogni.

L'inconveniente era che il loro odore, non

certo gradevole, la faceva risvegliare prima

del tempo. Una di quelle volte però le capitò

di risvegliarsi come se avesse dormito per

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tutto il tempo necessario. Ne fu sorpresa e

quindi si girò a guardare dietro di sé: si

accorse in effetti che i suoi bisogni erano

già spariti. Forse i padroni di casa avevano

già fatto pulizia, pensò la tartaruga. Mentre

faceva questo pensiero vide con la coda

dell'occhio uno scarabeo che correva

all'indietro a tutta velocità spingendo con le

zampe posteriori una pallina scura grande

più del doppio di lui. Che sta facendo quello,

si chiese la tartaruga. Cose strane

succedono oggi nel mio giardino, si disse

mentre continuava a guardare lo scarabeo

che si allontanava e decise che avrebbe

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indagato. Andò a dormire presto quella sera

così da essere sicura di non addormentarsi

il giorno dopo. Svegliatasi di mattina presto,

si nascose fra l'erba alta, in un punto in cui

poteva tenere d'occhio gran parte del

giardino. Non passò molto tempo quando

vide giungere lo scarabeo, stavolta

camminava in avanti. Girò un po' per il

giardino in cerca di chissà cosa. Poi, visto

che non trovava ciò che cercava, si diresse

verso il retro della casa ed entrò in una

specie di vasca dove i padroni mettevano i

bisogni della tartaruga, forse in attesa di

liberarsene tutti insieme. Dopo qualche

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minuto ecco lo scarabeo uscire da quella

vasca spingendo una pallina scura, ancora

più grande di quella del giorno prima. A

quel punto la tartaruga uscì pian piano dal

suo nascondiglio e urlò lentamente allo

scarabeo: "Ehi tu, che cosa fai con i miei

bisogni?".

"Per ora mi diverto un mondo a farli

rotolare!" rispose lo scarabeo salutando

allegramente. Tempo pochi secondi e la

tartaruga lo vide sparire oltre il recinto del

giardino. Veloce come il vento, pensò la

tartaruga, domani bisogna che lo fermi

prima che vada nella vasca.

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Il giorno dopo, appena sveglia, la tartaruga

fece provvista di cibo e si piazzò proprio

davanti alla vasca dei bisogni. Quando

arrivò, lo scarabeo salutò cordialmente la

tartaruga, ma non diede l'idea di volersi

fermare. A quel punto la tartaruga riuscì a

bloccarlo con una zampa e con voce non

troppo gentile disse: "Si può sapere che ne

fai dei miei bisogni?".

Lo scarabeo con voce un po' strozzata

rispose: "Te l'ho detto ieri, mi diverto a

farli rotolare".

"Sì, ho capito" insistette la tartaruga "Ma

poi cosa ne fai?".

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"Beh, che domande, ci costruisco la mia

casa!" rispose lo scarabeo cercando di

alzare un po' la voce. La tartaruga,

lasciando libero l'insetto, cominciò a ridere

a crepapelle, tanto da non riuscire a

completare ciò che voleva dire:

"Tu… Ah ah ah… Costruisci… Ah ah ah… Con

la mia cac… Ah ah ah…".

"Be', cara mia, sapessi quanto è resistente e

sicura" rispose lo scarabeo mentre la

tartaruga continuava a ridere a più non

posso "Tanto tu non la usi più e non so cosa

possano farsene i tuoi padroni. Io riesco a

farmi una casa. Certo non ha un gran

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odore, anche se un po' passa, ma almeno

tiene ben lontano ladri e scocciatori!"

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La Rosa di Gerico

Ah, quanta gente conosco nel corso degli

anni! Quante famiglie incontro di

generazione in generazione! Un sacco di

persone conosco nel corso della mia vita.

Sempre che sia vero quello che si dice su di

me… Chi sono?! Oh scusate, non mi sono

presentata, io sono la Rosa di Gerico. Cosa si

dice su di me? Che… Sono eterna! Che non

muoio mai! Perché?! Ma io non lo so il

perché! E sinceramente non mi interessa

granché saperlo. Il fatto è che io sembro

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tutta rinsecchita e appallottolata senza vita,

ma basta darmi un goccio d'acqua, anche a

distanza di settimane e addirittura di mesi,

e io rinasco, mi apro, mi stendo, sgranchisco

i miei rametti e mostro a chi mi guarda

tutto il verde che racchiudo. Poi quando

l'acqua si esaurisce, torno a sembrare un

cespuglietto rotondo e secco, una specie di

palla un po' bruttina secondo qualcuno. Ma

quest'idea della palla a me non piace molto,

perché quando sono chiusa io mi vedo più

che altro... fatta a forma di cuore. Non

trovate? In effetti mi sento un cuore che

sta sempre in ascolto ed è pronto ad aprirsi

27

quando qualcuno glielo chiede. Che sia

chiusa o che sia aperta io sento tutto quello

che succede intorno a me. Sembra che io sia

ferma, muta e immobile, ma mi accorgo

proprio di tutto. So se c'è qualcuno che sta

male, qualcuno che scoppia di gioia,

qualcuno che alza la voce o che dice parole

gentili a qualcun altro. Potrei raccontarvi un

sacco di storie se aveste molto tempo, anzi

moltissimo tempo, per ascoltarle. Sì, perché

finora sono passata tra le famiglie di almeno

dieci generazioni e tutte mediamente

numerose, con figli, sorelle, nipoti, cugini,

zie, pronipoti. Quindi immaginate quante

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storie avrei da raccontare, ma visto che il

tempo è sempre limitato, cercherò di

raccontarvene almeno una.

In una grande veranda luminosa, vivevano

con me un ciclamino e una primula. Non

provavano molta simpatia l'uno per l'altra;

almeno così sembrava, perché non passava

giorno che non discutessero e litigassero

per le cose più stupide di questo mondo. A

turno, improvvisamente, ognuno diceva che

cosa credeva riguardo a questo o a quello, e

puntualmente l'altro ribatteva che credeva

esattamente l'opposto. E andavano avanti

per minuti e minuti, a volte per ore, a

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difendere il proprio pensiero e a dire "tu

non capisci che", "cosa vuoi mai sapere tu",

"non stai sul filo del ragionamento", "sei

semplicemente una bastian contraria", "sei

un ipocrita" e via di questo passo. Per me,

che ero proprio in mezzo ai loro vasi, era

un vero strazio, finché arrivata al limite

della sopportazione cominciavo a cantare a

squarciagola una filastrocca senza senso e

riuscivo a far smettere quel ping pong di

parole e di voci.

"Ma possibile che voi due" dissi arrabbiata

un giorno "su ogni argomento che prendete

in considerazione la pensiate uno l'opposto

30

dell'altra? Non vi viene mai l'idea, il

pensiero, il dubbio che qualche volta

potreste pensarla allo stesso modo?".

"Be'..." iniziò a dire il ciclamino "sì… qualche

volta…". "No…" disse invece la primula

"sempre, se si tratta di un argomento

specifico…".

"Sì, in effetti su un solo argomento siamo

pienamente d'accordo" rincalzò il ciclamino.

Poi visto che si guardavano di sottecchi e

non dicevano niente chiesi un po' stizzita:

"Qual è questo argomento? Me lo volete

dire?".

Loro si guardarono di nuovo e poi in coro

31

risposero così: "Che tu dovresti lasciarci

discutere e litigare in pace e se questo ti dà

fastidio fatti portare in un'altra stanza!".

Be'... era l'ultimo argomento a cui avrei

pensato, ma finalmente avevano espresso

entrambe lo stesso pensiero. Un'ora dopo,

non ci crederete, Anselmo - a quel tempo

bambino di sei anni, oggi nonno di sei nipoti

- mi prese e mi portò in giardino. Mi mise

al centro di un bellissimo tavolo posto sotto

una grande magnolia. All'aria aperta capite!

E lì sono ancora oggi, in amabile compagnia

della luce del sole e della frescura della

pioggia.

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La campana del vento

Ho un buon rapporto con il vento, mi fa

cantare e sperimentare armonia più di

chiunque altro. Certo qualche volta esagera

e mi sento un po' troppo sballottata. Il

canto non è male, ma si fa più frenetico e

rapido e subito dopo mi sento stanca.

Molto meglio la brezza che soffia leggera,

delicata, senza mai spingere. Con lei il canto

è tranquillo, fatto di note sparse, di suoni

allungati, di pause. E poi è come se fossi su

un dondolo, ondeggio pian piano e mi rilasso.

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Fosse per me starei sempre con la brezza o

al massimo con il vento non troppo forte.

Ma d'altronde bisogna prendere quello che

viene, non è che basta pensare

intensamente ed ottengo il soffio che mi fa

stare meglio. C'è da ringraziare la rosa dei

venti quando posso cantare e risuonare,

perché a volte non c'è il più piccolo soffio

d'aria.

Mi è capitato, per fortuna poche volte, di

avere a che fare con venti molto forti. Mi

hanno spinto di qua e di là, mandato a

sbattere contro il ramo a cui ero appesa e

più che cantare mi hanno fatto urlare di

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paura. Una volta sono stata suonata da una

tromba d'aria: mi ha fatto vorticare come

una trottola. È durato pochi secondi, per

fortuna, ma alla fine vedevo girare tutto.

Per parecchi minuti non ho capito più

dov'ero, né che cosa fosse successo. Poi mi

sono ricordata di averla sentita ridere

mentre diceva: "Adesso ti faccio fare un bel

giro". Be' io non mi sono divertita per

niente. Spero proprio di non fare mai più un

incontro del genere.

Una mia amica che vive sulle coste

dell'America mi ha raccontato che anche lei

ha incontrato una tromba d'aria. Solo che

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dalle sue parti la chiamano tornado e a

quanto pare è molto, molto più forte.

Talmente forte che la mia amica, più che

vorticare, è stata trasportata per chilometri

e chilometri. E poi si è ritrovata sbattuta in

cima ad un fienile in un posto sconosciuto.

Beh, direte voi, almeno è atterrata sul

morbido. Sì, ma che spavento! Poi tutto si è

risolto bene perché un bambino l'ha trovata

e, aggiustata qualche ammaccatura, l'ha

appesa sotto il portico della sua casa. In

ogni caso è una fortuna che io abiti da

queste parti. E da quando ho saputo di

quella brutta avventura, sono molto felice se

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posso cantare accarezzata dalla brezza e

cerco di non lamentarmi troppo se capita di

essere sballottata da un vento un po' più

irrequieto.

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Il nido

"Chissà com'è farsi il nido fra i rami di un

albero..." si chiese la passerotta abituata a

farlo sotto le tegole di un tetto. "Devo

chiedere alla mamma appena la vedo".

"Ah non lo so" disse la madre alla figlia

quando si incontrarono "io e tuo padre

l'abbiamo sempre fatto dove ora lo fanno

tutti e dove lo fai anche tu, sotto il tetto

dei nidi degli umani".

"Non avete mai provato a fare un nido su un

albero?" chiese allora la passerotta.

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"E perché avremmo dovuto farlo?" disse la

madre con le ali sui fianchi "Qui sotto siamo

al riparo dalla pioggia, dal vento, dal sole

quando scotta e i piccoli sono protetti.

Sarebbe un po' da stupidi rinunciarci, non

credi?".

"Forse sì…" disse pensierosa la passerotta

"Ma mi chiedo se i nidi degli umani siano

sempre stati fatti così".

"Ah questo devi chiederlo al vecchio Passero

Cantastorie" disse la mamma mentre

spiccava il volo "lui ne sa certo più di tutti

sugli umani".

"Cosa ne so degli umani!?" disse il

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cantastorie sgranando gli occhi

"Probabilmente anche più di loro. Ho

raccolto tante di quelle storie che per

raccontarle tutte avrei bisogno di decine e

decine di vite. Ma perché ti interessano

tanto?".

"Mi interessa sapere se i loro nidi sono

sempre stati così" rispose la passerotta.

"E perché mai dovrebbe interessarti?" disse

il cantastorie solleticandosi sotto il becco

"Vuoi fartene uno anche tu? Così grande?!".

"No, non è per quello" rispose ridendo la

passerotta "solo vorrei sapere se il popolo

dei passeri ha sempre fatto il nido sotto i

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loro tetti".

"E quando lo sai che cosa cambia?" chiese il

cantastorie grattandosi la testa.

"Forse niente" rispose la passerotta

dondolando un po' sulle zampette "ma mi è

venuta la curiosità di sapere com'è farsi il

nido tra i rami di un albero, come fanno

tanti altri uccelli".

"Ah, potevi dirlo subito!" disse il cantastorie

dandosi un colpetto d'ala sulla fronte "Non

servivano tanti giri di parole. Farsi un nido

su un albero richiede un po' di lavoro in più,

ma anche noi passeri un tempo li facevamo

tra i rami".

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"E perché adesso non li facciamo più?"

chiese la passerotta quasi interrompendo

l'altro.

"Perché dovremmo rinunciare a tutte le

nostre comodità!" disse Passero Cantastorie

aprendo le ali "Tu lo faresti?".

"Credo di sì" rispose la passerotta dopo

aver fatto sì con la testa alcune volte.

"Ah sì?" chiese l'altro socchiudendo gli

occhi. "Sì" disse convinta la giovane.

"Sì..., in effetti tu potresti farcela" disse il

vecchio passero dopo aver sorriso per

qualche istante in silenzio "il coraggio non ti

manca". Dopo qualche momento di

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riflessione, disse a gran voce: "E allora

avanti, provaci mia cara! Potresti addirittura

dimostrare che non è poi così difficile

tornare a farsi il nido come un tempo. E

anzi sai cosa ti dico? Se ci provi ti aiuterò

molto volentieri! Scegli l'albero e domani ci

mettiamo al lavoro".

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Zannino

Questa è la storia di un elefantino di nome

Zannino, che scoprì per caso di amare il

disegno e di essere molto bravo, perché i

suoi disegni piacevano non solo alla sua

mamma e agli elefanti del branco, ma anche

agli altri animali.

Beh, a dire il vero non fu proprio per caso

Zannino scoprì il suo amore per il disegno,

ma sicuramente in modo inaspettato.

Un giorno, mentre stava facendo il bagno,

vide in lontananza alcuni elefantini più

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grandi fare un gioco che sembrava molto

divertente: lanciarsi a tutta velocità su uno

scivolo di terra e poi tuffarsi nel fiume.

Allora chiese alla mamma il permesso di

andare a vedere più da vicino. La mamma lo

lasciò andare, ma gli raccomandò di stare

solo a guardare, perché era ancora troppo

piccolo per un gioco del genere. Zannino era

così impaziente di arrivare che correndo a

tutta velocità lungo l'argine, finì per

inciampare in un grosso sasso. Perdendo

l'equilibrio ruzzolò lungo tutto lo scivolo e

poi cadde dentro il fiume. Subito, gli altri

elefantini corsero ad aiutarlo e lo

45

accompagnarono a riva. Lui piangeva

naturalmente, per lo spavento e certo per

qualche botta. Ma pianse ancora di più

quando un'elefantina gli fece vedere la

zanna che aveva perso cadendo. La prese

lentamente con la sua piccola proboscide e

poi singhiozzando disperato la lasciò

ciondolare sul terreno. Dopo qualche minuto

arrivò la sua mamma e vedendo che cosa

era successo, cominciò a coccolare Zannino

e a fargli carezze sulla testa. Ad un certo

punto notò che la zanna ciondolante del

figlioletto lasciava dei segni che

assomigliavano tanto alle onde create dalla

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corrente del fiume. La cosa le piacque tanto

e la fece notare a Zannino. Il piccolo

elefante smise improvvisamente di piangere.

Vedendo ciò che aveva fatto sorrise e fece

un piccolo barrito di gioia. Poi, armeggiando

di nuovo sul terreno con la sua piccola

zanna, disegnò se stesso con le gambe

all'aria. Quando ebbe finito gli altri

elefantini intorno a lui mormorarono

meravigliati; e così il resto del branco che si

era avvicinato. Non si era mai visto un

elefante che sapesse disegnare. Quindi

decisero di fare subito una grande festa.

Da quel giorno Zannino cominciò a

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disegnare tutti i giorni. I primi tempi

continuò a farlo sul terreno in riva al fiume.

Poi si accorse che intingendo la sua piccola

zanna nel fango poteva fare disegni sulle

pietre e sugli alberi e lì potevano essere

ammirati per molti giorni. Un giorno scoprì

anche di poter disegnare con diversi colori:

bastava schiacciare un po' di erba e

otteneva il verde, da fiori e frutti ricavava

il giallo, l'azzurro, il rosso e tanti altri

colori.

Col passare degli anni diventò sempre più

bravo, tanto che molti in tutta la regione

parlavano di lui. Altri invece, seguendo il suo

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esempio, iniziarono a disegnare. Avevano

trovato un modo per rendere ancora più

bello il mondo dove vivevano.

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La Pendola Matrona

In un grande salone di un palazzo antico

vivevano insieme tre pendole, quattro

orologi e dodici sveglie. Se ne occupava ogni

mattina il signore del palazzo, ma a parte

dare la carica o una veloce spolverata, non

faceva altro.

Quella che invece faceva in modo che tutti

facessero l'ora giusta era la Pendola

Matrona. Nessuno l'aveva incaricata di

svolgere quel compito, ma era la più antica

e quindi aveva molto da insegnare; in

50

particolare su come segnare il tempo senza

sgarrare di un secondo, neanche quando la

carica stava per finire.

Svolgeva il suo compito con perfetta

regolarità. Ogni mezz'ora richiamava

all'ordine ogni sveglia, pendola e orologio

presente nel salone. Diceva di darsi una

mossa a chi restava indietro e di non

correre a chi andava avanti. Se uno o l'altra

non ticchettava al ritmo del suo pendolo,

contava ad alta voce ogni secondo che

passava finché l'altro non ritrovava il giusto

passo. Ma chi si era fermato se la passava

davvero brutta. Veniva richiamato a suon di

51

rintocchi assordanti e poi obbligato ad

ascoltare la Pendola Matrona che raccontava

ancora una volta che lei, da quando era

nata, non aveva mai ceduto alla fatica e

sempre aveva trovato la forza per essere

precisissima.

Le altre due pendole la ammiravano

grandemente. Una diceva che voleva

diventare come lei, l'altra che sarebbe

diventata anche più brava ascoltando i suoi

consigli. Fra gli orologi e le sveglie c'era chi

non la sopportava, chi non se la prendeva

più di tanto e chi avrebbe voluto prendere il

suo posto. Ma al di là di tutto questo, la vita

52

nel salone continuava come sempre,

segnando il tempo senza troppe sorprese.

Una mattina di giugno però successe

qualcosa di strano. Uno degli orologi

svegliandosi si rese conto che erano già le

8.15, secondo più secondo meno. Gli sembrò

strano visto che solito il primo controllo

dell'ora e del ticchettio avveniva alle 6 in

punto. Allora bisbigliando chiamò la sveglia

vicino a sé, che a sua volta svegliò l'orologio

a fianco e in pochi secondi furono svegli

tutti quanti. Tranne la Pendola Matrona…

Che mai sarà successo, chiedeva l'una

all'altro. È stata male, dicevano le pendole.

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Le è preso un colpo, disse una sveglia.

Ormai è vecchia, osservò un orologio. Che si

fa, chiesero altri. Furono tutti concordi nel

dire che bisognava svegliarla trovando il

modo giusto perché non si arrabbiasse. Ma

non servì perché sentirono che la Pendola

Matrona sbadigliava e subito dopo diceva

con voce assonnata: "Controllo delle sei".

"Ma… veramente…" disse una delle pendole

"sarebbero le 8.20…".

"No, è impossibile" disse la Matrona

svegliandosi del tutto "vi state sbagliando".

"No, guardi..." azzardò un orologio.

"Silenzio!!" rintoccò furibonda la Matrona

54

"In tutti questi secoli non ho sbagliato di un

solo secondo! E quindi senza discutere vi

regolerete sulle ore 6, 2 minuti e 25

secondi!". E uno dopo l'altra tutti quanti

obbedirono.

Qualche minuto più tardi, entrò nel salone

come ogni mattina il signore del palazzo. Fu

stupito di vedere che pendole, orologi e

sveglie segnavano le 6.10, perché il suo

orologio da taschino faceva le 8.30. Non

sapeva che pensare. Ma dopo qualche

istante decise che era meglio regolare

l'orologio sull'ora della Pendola Matrona,

perché sapeva che era sempre giusta. "E

55

visto che è ancora così presto" disse poi ad

alta voce "torno a letto a sonnecchiare

ancora un po'".

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Il gufetto che legge

Sapete cosa ho scoperto? Che il gufetto che

sta sulla mia libreria legge i libri. Vi sembra

strano eh? Adesso vi racconto com'è andata.

Qualche notte fa mi sono alzato per fare la

pipì. Appena uscito dalla camera mi è

sembrato di sentire un rumore provenire

dallo studio. Così mi sono fermato e ho

aperto bene le orecchie. Dopo qualche

secondo ecco di nuovo il rumore: era

qualcuno che rideva. Allora sono entrato

nello studio in punta di piedi. Appena

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superata la porta ho visto una luce sulla

libreria. Quando sono stato abbastanza

vicino mi sono accorto che era il gufetto,

con la mia pila accesa e un libro aperto.

Ecco che di nuovo l'ho sentito ridere. Non

potevo credere ai miei occhi né alle mie

orecchie. "Divertente?" ho chiesto senza

alzare troppo la voce.

Ma il gufetto si è spaventato e sussultando

ha fatto cadere il libro e rotolare la pila.

Appena ritrovato l'equilibrio si è girato

verso di me con le ali sui fianchi e gli occhi

quasi chiusi. Aveva sul becco un paio di

occhiali tondi che lo rendevano molto

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simpatico. Ma lui rimettendo a posto la pila

mi ha detto un po' arrabbiato: "Ti pare

questo il modo di spaventare la gente?"

Al che io ho ribattuto: "Ti sembra questa

l'ora di leggere?" E poi ci siamo messi a

ridere.

"Che cosa stai leggendo di così divertente?"

chiesi al gufetto.

"Un racconto di un certo Astolfo Boffani" mi

ha risposto guardando il libro a terra.

"E da quando ti piace leggere?" chiesi

raccogliendo il libro.

"Eh… Da un bel po'. Ho già letto tutti questi

libri e stasera stavo ricominciando da capo"

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mi ha detto come se fosse la cosa più

normale di questo mondo.

"Ma non c'è bisogno, ne ho ancora tanti

nell'altra stanza" ho detto subito, pensando

però che forse stavo solo sognando.

"Ah, grazie... come ti chiami?" mi ha chiesto.

"Astolfo... Boffani" ho detto arrossendo un

po', ma forse al buio non si è visto.

"Ah… Quello del racconto? Be' complimenti!"

ha detto mettendo le ali dietro la schiena.

"E tu hai un nome?" ho chiesto a mia volta.

"Certo. Sono Amilcare Dionisio Occhitondi"

ha risposto il gufetto con un inchino.

"Be' Amilcare Dionisio" ho detto dopo aver

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fatto un inchino anch'io "io ora devo proprio

andare in bagno e poi tornare a letto. Tu se

vuoi puoi dare un'occhiata ai libri nell'altra

stanza".

"No, grazie" ha detto lui sbadigliando "lo

farò domani. Fra poco farà giorno e mi

metterò a dormire".

"D'accordo. Allora buona notte" gli ho

augurato.

"Buonanotte" mi ha risposto rimettendosi a

leggere.

La mattina seguente, dopo essermi alzato e

aver fatto colazione, sono andato nello

studio per fare un saluto al gufetto. La

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scena che ho visto sulla libreria mi ha

intenerito: il libro era chiuso e la pila

spenta; Amilcare Dionisio russava

leggermente, con gli occhi non del tutto

chiusi e gli occhiali ancora sul becco.

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