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Page 1: Opera Omnia - Venerabile Francesco Antonio Marcucci...Opera Omnia, vol. IV, Grottammare (AP) 2008, p. XXV. 11 INTRODUZIONE Monsignor Marcucci e Il Saggio della Prosodia latina 0. PREMESSA
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Opera Omnia

di Francesco Antonio Marcucci

1.4

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Ai cultori diFrancesco Antonio Marcucci

L’uomo di cultura e di fede.

Albero delle arti liberali e Meccaniche.

Dal primo volume dell’Opera Omnia: FRANCESCO ANTONIO MARCUCCI,Artis Historicæ Specimen, p. 1, Venezia 2002.

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Istituto Suore Pie Operaie dell’Immacolata Concezione

MARCUCCIANA OPERA OMNIADiretta da Maria Paola Giobbi

PIANO GENERALE

Sezione 1. storico-letteraria

2. biblico-teologica

3. mariologica

4. filosofica

5. omiletica

6. varie

7. epistolare

VOLUMI PUBBLICATI

1.1 Artis Historicæ Specimen. Riflessioni sopra di alcuni precetti più

importanti dell’Arte Istorica, 20021.2 De Asculo Piceno. De Inscritionibus Asculanis. Delle Sicle e

Breviature, 20023.1 Sermoni per il triduo e per la festa dell’Immacolata Concezione, 2004.3.2 Sermoni per le feste Mariane, 2008.1.3 Gramatichetta Franzese ad uso delle Educande del Venerabile

Monistero dell’Immacolata Concezione di Ascoli. Tetragolo Sacro per

l’Epifania, in STEFANIA VALERI, La lingua “franzese” nella Marca

pontificia: l’esempio di Mons. Francesco Antonio Marcucci, 2008.1 4 Il Saggio della Prosodia latina. Antologie metriche, 2008.

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Stemma di mons. Francesco Antonio Marcucci.Marcucci lo scelse nel 1741, appena divenne sacerdote.È un adattamento dello stemma di famiglia. Sulla destrasono raffigurati tre monti, simboli della giustizia, dellaclemenza e dell’equità. La statera rafforza il simbolodella giustizia. Sulla sinistra introdusse l’immaginedello Spirito Santo e dell’Immacolata Concezione.Lo stemma fu mantenuto per tutta la vita. Il cappellosull’ovato fu aggiunto nel 1770, quando divenneVescovo e la Croce con due aste trasversali nel 1781,quando divenne Patriarca di Costantinopoli.

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FRANCESCO ANTONIO MARCUCCI

IL SAGGIO DELLA PROSODIA LATINA

________________________

ANTOLOGIE METRICHE

Introduzione, traduzioni e note a cura di FRANCO ZENOBI

Istituto Suore Pie Operaie dell’Immacolata Concezione

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In I di copertina

Cattedra in legno dipinto, sec. XVIII, conservata nella Biblioteca storica“Francesco Antonio Marcucci” - Ascoli Piceno

In IV di copertina

Cartiglio della Biblioteca storica posto sopra la porta d’ingresso.

SI RINGRAZIANOSuor Maria Paola Giobbi per avermi concesso il privilegio di “incontrare”

Francesco Antonio MarcucciMadre Virgilia Trasatti, Superiora Generale, per avermi accordato il

permesso di leggere i manoscritti.La Professoressa Maria Grazia Bianco per i preziosi consigli nella fase della

redazione finale.La professoressa Emanuela Colombi, dell’Università di Trieste, per il

materiale fornito.La professoressa. Emanuela Lori, per la rilettura della traduzione dei testi

latini.Ines e Pierluigi per aver assecondato questa mia “passione”

FOTO: Domenico Oddi

© 2008 Suore Pie Operaie dell’Immacolata ConcezioneVia S. Giacomo, 3 – 63100 Ascoli PicenoE-mail: [email protected] web: www.monsignormarcucci.comCasa generalizia, via Cosimo Tornabuoni, 12 - 00166 Roma.

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta,memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo elettronico, infotocopia, in disco o in altro modo, senza l’autorizzazione scrittadell’Editore.

Stampa: Giservice s.r.l.- Teramo, novembre 2008

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PRESENTAZIONE

Mentre stringiamo tra le mani Il Saggio della Prosodia latina di Francesco Antonio Marcucci e ne percepiamo l’odore di freschezza e di novità, torno con la mente ad una calda giornata di giugno. Facevo assistenza agli studenti del V anno, alle prese con il compito di Italiano, presso il Liceo della Comu-

nicazione Paritario, Maria Tecla Relucenti di Ascoli Piceno, quando il Presi-dente della commissione esaminatrice, Prof. Franco Zenobi, mi chiama. - E’ da tempo che desidero vedere l’antica Biblioteca Marcucci e il fondo dei suoi Manoscritti - disse - possiamo concordare una visita alla casa madre dell’Istituto? Stupita ed onorata per la domanda, risposi di sì. Da lì a poco iniziava per il prof. Zenobi un incantesimo! Chiese di poter trascrivere Il Saggio della Prosodia latina e di affiancarci i brani antologici usati dall’Autore per far esercitare le sue allieve all’uso della metrica latina, in traduzione italiana. E’ stato un iter appassionato, laboriosissimo e di grande onestà intellettuale e scientifica. Il prof. Zenobi si è avvicinato a mons. Marcucci in punta di piedi e con e-stremo interesse, come un padre che contempla il suo neonato nel sonno e, da ogni più lieve movimento, immagina come sarà da grande. Ha letto molte opere del suo Autore e tutto ciò che su di Lui è stato scritto. Ha sfogliato e risfogliato tutti i libri della sua Biblioteca e quelli donati ai Canonici della cattedrale della città. Si è posto tante domande, in particolare si è chiesto quali fonti avesse usato il Nostro per redigere Il Saggio della Prosodia latina e le rispettive Antologie; quale influsso abbiano avuto sulla sua formazione iniziale le grandi Scuole degli Ordini religiosi presenti in città e il Seminario stesso e in quale misura questi insegnamenti si fossero coniugati con il suo impegno di autodidatta. Molte domande hanno trovato una risposta soddisfa-cente, altre rimangono aperte ad ulteriori ricerche. Qualcuno potrebbe chiedersi il perché di tanto impegno per pubblicare un’opera che ha ormai fatto il suo tempo. La risposta è che Il Saggio della Prosodia latina,oltre ad essere espressione della migliore cultura ascolana del tempo, secondo il giudizio di vari esperti, ha una straordinaria attualità ed ha un significato esemplare e metodologico di grande rilievo educativo. Mons. Marcucci è così rigoroso nell’insegnamento della metrica latina per-ché sa che questo è lo strumento per leggere e comprendere la cultura del tempo, in primo luogo la sacra Scrittura e gli Inni sacri della Liturgia, e-spressi in forma poetica.

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La sua preoccupazione è la formazione della mente, consapevole che ad essa sono legati i sentimenti e le decisioni dell’uomo1. Egli ricono-sce alla poesia e alla preghiera, espressa in forma poetica, una grande importanza nel processo formativo della mente umana, specialmente della donna. Il Saggio della Prosodia latina è stato, infatti, il testo base usato nella scuola femminile marcucciana per più di cento anni, fino alle disposi-zioni legislative emanate dal Governo italico. Mons. Marcucci usa spesso, nella sua predicazione, poesie, preghiere ed innni2. Anche quando parla di Maria SS.ma, egli, come nota il grande mariologo p. Stefano de Fiores, “non disdegna le composizioni poetiche e drammatiche”3. Siamo molto grati al professor Franco Zenobi che ci permette di aprire un altro “scrigno” del Servo di Dio mons. Francesco Antonio Marcuc-ci. Uno scrigno che mette in luce la sua alta cultura umanistica e clas-sica coniugata con una fede sincera e profonda, testimoniata e tra-smessa con ogni mezzo alle nuove generazioni. L’augurio delle Pie Operaie dell’Immacolata Concezione, che conti-nuano con trepidazione l’opera educativa iniziata dal loro Fondatore e Maestro, è che il Saggio della Prosodia latina costituisca per il mondo scolastico odierno e per l’intera società un arricchimento e uno sprone. Un grazie sentito a Sua Ecc.za mons. Silvano Montevecchi, vescovo di Ascoli Piceno, al Sindaco Piero Celani, all’Amministrazione Co-munale e Provinciale per il sostegno ad ogni iniziativa verso il concit-tadino Servo di Dio Francesco Antonio Marcucci e per la stima verso l’opera educativa che l’Istituto delle Concezioniste svolge. Un grazie sincero, infine, a quanti leggeranno l’Opera.

Suor Maria Paola Giobbi Pia Operaia dell’Immacolata Concezione

1 Nel Ristretto della Retorica, don Marcucci scrive: “L’insegnare è di necessità, il

dilettare è di utilità, il muovere è di vittoria” (ASC 18, 1749, p.1). 2 Cf Spiegazione della sacra lode per la festa dell’Immacolata Concezione in Sermoni

per il triduo e per la festa dell’Immacolata Concezione (1739), Marcucciana, Ope-ra Omnia, vol. III, Dolo (VE) 200, pp. 3-18.

3 STEFANO DE FIORES, introduzione a Sermoni per le feste mariane, Marcucciana, Opera Omnia, vol. IV, Grottammare (AP) 2008, p. XXV.

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INTRODUZIONE Monsignor Marcucci e Il Saggio della Prosodia latina

0. PREMESSA

0.1. Il punto sulla ricerca biografica.

Si può senz’altro affermare che ormai la ricerca biografica1 su Francesco Antonio Marcucci abbia raggiunto i migliori risultati. In epoca recente alla sua figura sono stati dedicati convegni e incontri con l’intento di illustrarne la personalità e l’opera2.

1 Tra le opere biografiche resta ancora fondamentale quella di ARCANGELO ROSSI-BRUNORI,

La vita e la Istituzione di M. Marcucci, Ascoli Piceno 1917, pubblicata in occasione del se-condo centenario della nascita di Monsignore. Anteriori all’opera del Rossi-Brunori sono il Succinto Ragguaglio della Vita, Virtù, e Morte preziosa di Monsignor Francesco Antonio

Marcucci di MARIA BEATRICE CAPOZI, e Antonio Marcucci di FRANCESCO SAVERIO

CASTIGLIONI. La Capozi, superiora delle Pie Operaie dal 1793 al 1807, era presente agli ul-timi istanti del Fondatore. Il Ragguaglio, scritto subito dopo la morte del Servo di Dio, è stato pubblicato nel 1998 sul n. 3, anno XXVIII, pp. 7-24, di “Luci di Maria”, periodico del-le Pie Operaie. Il Castiglioni, divenuto papa con il nome di Pio VIII, era succeduto a Mon-signor Marcucci come vescovo di Montalto delle Marche. La sua biografia, apparsa già in PISTOLESI FRANCESCO, Notizie biografiche dei Vescovi di Montalto, Montalto Marche, 1912, pp. 37-43, ora è leggibile in Congregatio De Causis Sanctorum, Asculana in Piceno

Beatificationis et Canonizationis servi Dei FRANCISCI ANTONII MARCUCCI Positio su-

per Vita, fama sanctitatis et Virtutibus, Romæ 2003, vol. II, pp. 787-792. Tra le opere più recenti che si occupano del Marcucci si possono citare: VINCENZO CATANI, Le visite pasto-

rali nelle diocesi di Montalto - Ripatransone - S. Benedetto del Tronto, Quaderni per la Ri-

cerca, n. 6, Grottammare, 2004, pp.171-186; VINCENZO CATANI, I santi della Chiesa Truen-

tina, Storia della diocesi di S. Benedetto del Tronto - Ripatransone - Montalto, I Santi, Grottammare, 1999, pp. 143-180; ma il punto d’arrivo di questo sforzo d’indagine è sicura-mente la già citata Congregatio De Causis, d’ora in poi Positio, in due volumi, cui deve es-sere affiancata Risposta della Postulazione ai rev.mi Consultori Storici in Congregatio de

Causis Sanctorum, Asculana in Piceno, Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Franci-

scii Antonii Marcucci, Relatio et vota, Romæ 2004, pp. 75-109. D’ora in poi Relatio et vota. Altre opere saranno citate nel corso della ricerca.

2 Ricordiamo due Convegni. Il primo si tenne a Roma e Ascoli tra il 1993 e il 1994, in occa-sione del 250° anniversario della fondazione della Comunità religiosa delle “Suore Pie Ope-raie dell’Immacolata Concezione”. Gli Atti sono stati pubblicati nel 1995, in Donna educa-

zione società Esperienza e proposte del Vescovo Francesco Antonio Marcucci (1717-1798), Torino 1995. Poi il “2° Colloquio internazionale di mariologia”, svoltosi ad Ascoli Piceno dal 5 al 7 ottobre 1998. L’aveva voluto Sr. Maria Roberta Torquati, madre generale del Pie Operaie dell’Immacolata Concezione dell’epoca, per “commemorare il bicentenario della morte del Fondatore mons. Francesco Antonio Marcucci († 1798)”. Negli Atti di quel “Col-loquio” Maria Santa e Immacolata segno dell’amore salvifico di Dio Trinità, Roma 2000, vi è l’intervento di ANDREA ANSELMI L’«Orazione per l’Immacolata Concezione» di Fran-

cesco Antonio Marcucci tra intercultura e progettualità (pp. 141-168), che ripercorre la sto-ria del Nostro in prospettiva mariana.

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Inoltre sempre più spesso di Marcucci si occupa la produzione giornalistica, soprattutto con i progressi che sta facendo la causa di beatificazione del Ser-vo di Dio e la diffusione della sua fama della santità3. Ormai anche la ricerca su internet dà ottimi risultati: basta digitare il nome completo del Marcucci, in un qualsiasi motore di ricerca, per approdare a una massa di informazioni4. Nonostante la vasta letteratura che possediamo e a cui è possibile attingere con ogni mezzo, le opportunità di ricerca restano ancora sconfinate. Insom-ma, per dirla con un’immagine giornalistica suggestiva, “i succhi di novità che si possono estrarre da questo tronco sempre vivo”5 sono tanti.

0.2. Le prospettive della ricerca biografica.

0.2.1. I rilievi dei Consultori storici. - Un primo percorso di ricerca è quel-lo tracciato dalle Relazioni dei “Consultori Storici”, contenute nel volume “Relatio et Vota”6. Il 30 settembre 2003, “nelle ore pomeridiane”, i Consul-tori della “Congregazione delle Cause dei Santi” si radunarono nella Sala dei Congressi per “esprimere il loro giudizio” 7. Nelle Relazioni sono contenute le osservazioni e i giudizi che ciascuno si è fatto sulla Santità e sulla vita in generale del Marcucci, attraverso la lettura dei due volumi della Positio. Non è qui il caso di ripercorrere gli interrogativi dei singoli Consultori. A essi hanno dato risposta gli attori della causa nella seconda parte della Relatio et

Vota8. Delle riflessioni però sono indispensabili, perché, a nostro parere, si

3 Ci limitiamo a citare solo alcuni dei pezzi giornalistici apparsi tra il 2003 e il 2006: Celebra-

zioni commemorative del Vescovo Mons. Francesco Antonio Marcucci, nota redazionale di “L’Ancora”, 16 marzo 2003; I nostri santi, il Servo di Dio Mons. Francesco Marcucci, di Alfonso Schiaroli, “Flash, mensile di vita picena”, anno XXIV, n. 306, 2003; Arriva da

Roma la donna del miracolo, nota redazionale di “Il Messaggero”, 2 giugno 2003; Maria

negli scritti di Francesco A. Marcucci, di Gino Concetti, “L’Osservatore Romano”, 8 di-cembre 2004; Monsignor Marcucci verso la beatificazione, di Bruno Ferretti, “Il Messagge-ro”, 4.11.2004; Verso la Beatificazione di Mons. Francesco Marcucci, di Suor Maria Paola Giobbi, “L’Ancora”, 12 giugno 2005; Marcucci beato? Un passo avanti, di Bruno Ferretti, 18 novembre 2005; La funzione ecclesiale della canonizzazione e il punto sulla causa di

mons. Francesco Antonio Marcucci, di Maria Paola Giobbi, “La Vita Picena”, 11 febbraio 2006; Sulle orme di Mons. Marcucci nella fedeltà al Vangelo, di Gino Concetti, “L’Osservatore Romano”, 1 giugno 2006.

4 Dal 2007 c’è un sito che dà risposte su: Biografia, Opere, Museo-Biblioteca, Itinerari mar-cucciani, Eventi, Gallery. È www.monsignormarcucci.com. È stato realizzato, con il contri-buto della Carisap, dalle Pie Operaie dell’Immacolata Concezione.

5 OSVALDO, GUERRIERI, Pirandello allo specchio della vita, “La Stampa - tuttolibri”, 18, mar-zo 2006, p. 3.

6 Relatio et vota, pp. 4-70. 7 Ibid. p. 3. 8 Ibid. pp. 71-154.

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possono aprire percorsi di ricerca che potranno dare esiti molto interessanti, per fare chiarezza su alcune vicende biografiche di Monsignore. Le relazioni più “puntigliose” (che hanno forse esacerbato “gli amanti” di Monsignore, ma che per noi sono fonti preziose di indicazioni) sono la se-conda di Vincenzo Criscuolo9, la quarta di Giuseppe Orlandi10, e la quinta di Ottorino Pasquato11. Il Criscuolo ritiene che qualche fondo archivistico nella raccolta documenta-ria “non sia stato tenuto in considerazione”12; che “alcuni aspetti, oggetto di giudizi e interpretazioni contrastanti avrebbero dovuto ricevere maggiore luce”: tra questi cita l’“opinione della sua nascita illegittima”, la figura della madre, Giovanna Battista Gigli, e la “controversia per la primogenitura”13. La Relazione di Giuseppe Orlandi presenta per noi tratti interessanti, perché si sofferma ad analizzare aspetti della cultura e della formazione del Mar-cucci. Torneremo più avanti su questi argomenti. Per il resto anch’egli, dopo aver “lodato” il “rispetto sostanziale delle norme della moderna storiografia” della Positio, analizza ed elenca i punti che, a suo parere, suscitano “varie perplessità”14. Egli ritiene che si potrebbe chiarire meglio “la sua attività di

9 Relatio et vota, cit., pp. 6-16. In realtà le relazioni non sono firmate e l’elenco nominativo

dei “Consultori Storici” è a pagina 3 della Relatio et Vota, citati in ordine rigorosamente al-fabetico: “Chiar.mo Prof. Pietro Borzomati, p. Prof. Vicenzo Criscuolo O.F.M. Cap., Ill.mo Rev.mo Mons. Prof. Giovanni Maceroni, Rev.mo p. prof. Giuseppe Orlandi C.SS.R., Prof. Don Ottorino Pasquato S.D.B., Rev.mo p. Prof. Eutimio Sastre Santos C.M.F”. Supponiamo che le relazioni siano state riportate secondo l’ordine alfabetico dell’elenco appena trascritto (Ibid. p. 3.).

10 Ibid., pp. 23-31. 11 Ibid., pp. 31-49. 12 Ibid., pp. 12: “Per il nostro caso il fondo vaticano della Sacra Congregazione del Concilio,

Relat. Dioc. 539 B, ff. 111r-146v, contiene molto materiale originale, in parte autografo del Servo di Dio (…) all’Archivio della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (…). Purtroppo non è stato tenuto presente nemmeno l’Archivio di Stato di Napoli”, dove “sarebbe stato possibile investigare e reperire la documentazione relativa ai contrasti insorti per la zona della sua diocesi sita nel Regno di Napoli (…), sareb-be stato importante anche per la documentazione riguardante alcuni attacchi personali con-tro il Marcucci”.

13 Ibid., pp. 12-13: “Nella Positio si alternano documenti e affermazioni che sostengono sia la legittimità, sia l’illegittimità della nascita (…) viene riportato l’atto di battesimo del Servo di Dio, ove si dice che «parentes eius ignorantur» (Positio, 152), nell’atto di morte (…) la madre (…) viene semplicemente definita «damigella delli nobili signori Marcucci» (ivi). (…) La trattazione monca o molto rapida di qualche aspetto particolare della vita del Servo di Dio potrebbe far nascere il sospetto di una certa reticenza da parte degli estensori della Positio. Si pensi, ad esempio, alla controversia per la primogenitura”.

14 Ibid., pp. “La redazione della Positio è stata realizzata nel rispetto sostanziale delle norme della moderna storiografia. (…). Il desiderio di facilitarne la comprensione del contenuto ha spinto chi ha redatto la Positio ad abbondare nell’offerta di notizie, parti delle quali super-flue”.

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missionario popolare”15; come pure gli sembrano non sufficientemente chia-riti i problemi legati alla “nascita del S. di Dio e la questione matrimoniale”. Anzi a questi due argomenti il Nostro dedica molta più attenzione degli altri Consultori16. Notiamo in fine che è l’unico a rispondere apertamente “nega-tive” a uno dei quesiti (al III) 17. La Relazione di Ottorino Pasquato18 è la più dettagliata e documentata. Ri-percorre con scrupolo e competenza i due volumi della Positio, indicando molte occasioni di ricerca e di approfondimento. Qui ne indichiamo solo alcune: quelle che ci sembrano più interessanti o diverse rispetto agli altri Consultori. Ecco, Giovanna Battista Gigli, la madre del Marcucci, gli sembra che sia stata troppo trascurata dai Compilatori della Ricerca19. Quale “trava-glio” suscitò nella Famiglia la sua improvvisa decisione di abbracciare la vita religiosa?20. Un altro interrogativo riguarda il carattere dell’oratoria marcucciana21. Nonostante la massa di osservazioni e di puntualizzazioni, il Pasquato risponde “affermative” a tutti e tre i quesiti. Alla maggior parte dei dubbi e delle osservazioni dei Consultori è stata data risposta nella seconda parte della Relatio et Vota.

0.2.2. Gli inediti e l’epistolario. - Un campo sconfinato di opportunità di ricerca è rappresentato da tutti gli inediti di Monsignor Marcucci, conservati dalle eredi del Servo di Dio, le Pie Operaie, da lui fondate ad Ascoli Piceno nel 1744, e che ancora hanno la loro Casa Madre nella sede originaria.

15 Relatio et vota, p. 27: “La Positio offre varie indicazioni sul suo metodo missionario. (…)

Ma non distingue tra «missione popolare» ed «esercizi spirituali in forma di missione»”. 16 Ibid., pp. 27-28: “Chi ha redatto la Positio afferma di aver «ritenuto opportuno compiere

un’indagine accurata nel merito del cosiddetto matrimonio segreto dei genitori, per far luce sull’intera questione». (p. 145). (…) Non sembra che l’impegno profuso abbia aggiunto il risultato sperato”.

17 Ibid.: “An in eisdem documentis ea inveniantur elementa quæ solidum fundamentum histo-ricum afferant ad iudicium de fama sanctitatis Famuli Dei atque virtutum execitio feren-dum?”

18 Ibid., pp. 31-49. 19 Ibid., p. 33: “Della madre, di umili origini, sappiamo poco (Oss.: non si poteva cercare di

più su di lei tra i docc. Del marito e della fam. Marcucci?); ci è sconosciuto l’influsso sul figlio, che aveva 14 anni, quando essa morì (perciò la zia gli fece da madre)”. L’osservazione del Consultore apre un angolo affascinante nella storia di Monsignore. Può servire a spiegare la sua filiale devozione per la Madre divina?

20 Ibid., p. 35: “La scelta sacerdotale avviene nel pellegrinaggio a Loreto nel segno di Maria (Marcucci, Direttorio, 9: BD, p. 192, n. 5). La P. non documenta il travaglio della famiglia,

specie del padre in merito (p. 192)”. 21 Ibid., pp. 41-42: “Condividiamo solo in parte quanto la P riferisce dell’oratoria secondo il

S. di D., che dovrebbe essere priva di «barocchismi», semplice e chiara, non ricercata (F.

Dicanori, Avvertimenti retorici, 1767): di fatto il S. di Dio non sempre la pratica (BD, c.

VIII, doc. 3 e 6 [dove per es. non traduce al popolo frasi latine contrariamente a quanto

qua e là la P afferma], …)”.

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0.2.2.1. Le opere inedite. - Di fronte alla mole degli scritti del Marcucci molti sono rimasti sorpresi e disorientati. Il giudizio di uno dei Teologi Cen-sori della Positio super scriptis si arrischia “di primo acchito” a un’accusa “di presunzione o di grafomania”22. Abbiamo voluto aprire con questo giu-dizio non perché ci sembri particolarmente importante, ma perché è vera-mente l’impressione che si ricava al primo impatto con il vasto cumulo di materiale, che - a nostro parere - può essere attentamente vagliato e utilizzato per una conoscenza dell’uomo, del fondatore, del mistico, del letterato, del pedagogista, del santo, ecc. Riteniamo che la prima operazione da fare sia quella di mettere ordine fra le tante “Bibliografie” che sono state redatte nel tempo, e che spesso sono in disaccordo fra loro. La prima bibliografia “completa” ci sembra quella di Rossi-Brunori23. Gli scritti sono distinti in “Opere stampate di Mons. Marcucci” e in “Opere ma-noscritte di Mons. Marcucci”. Sono elencate e descritte diciassette opere “stampate”24. Degli inediti e dell’epistolario si dà un attento, pur se sintetico, resoconto. Il Feriozzi25 nel suo opuscoletto del 1977 si limita alla trascrizio-ne pura e semplice della bibliografia proposta dal Rossi-Brunori. Un altro elenco delle opere del Marcucci è quello contenuto nella Positio Super

Scriptis, con il titolo di “Index Scriptorum Servi Dei”, che, come abbiamo detto nella nota 22, è stata riprodotta in anastatica nel secondo volume della Positio

26. Già nel primo volume della citata Positio si ritiene opportuno pro-cedere all’aggiornamento di quella bibliografia: “Studi successivi alla Posi-

tio hanno consentito l’identificazione di alcuni autografi del Marcucci, pseu-donimi o senza nome; altri col nome dell’Autore sono stati trovati sparsi in

22 Sacra Congregatio Pro Causis Sanctorum Asculan. in Piceno Beatificationis et Canoniza-

tionis servi dei Francisci Antonimi Marucci, Positio Super Scriptis, Roma 1978, p. 52, ora in riproduzione anastatica nella Positio cit., vol. II, p. 1217: “Sono tali e tanti gli scritti e le opere che il Servo di Dio Mons. Francesco Antonio Marcucci, Patriarca di Costantinopoli e Vescovo di Montalto, ci ha lasciati che si direbbe non vi sia materia in cui egli non si sia cimentato a scrivere. Tanto che - di primo acchito - si sarebbe tentati di accusarlo di presun-zione o di grafomania. Abbiamo, infatti, oltre ad un vasto epistolario, scritti di teologia, di esegesi biblica, di diritto canonico, di predicazione, di regolamento dell’Istituto da lui fon-dato, di retorica, di letteratura, di storia, di lingue, di musica, ecc.”. La Positio super scriptis è un documento della fase diocesana del processo di Beatificazione di Monsignor Marcucci.

23 A. ROSSI-BRUNORI, La vita, cit., pp. 216-222. Il primo biografo del Servo di Dio avverte subito nella presentazione del sua opera (“Chi scrive a chi legge”) di aver voluto fare “una semplice raccolta di documenti” (p. III).

24 Ibid. pp. 216-218. 25 LUIGI FERIOZZI, Le Pie Operaie della Immacolata Concezione nel Bicentenario dell’ap-

provazione della Congregazione (1777-1977), Ascoli Piceno 1977, pp. 63-73. 26 Positio, cit., vol. II, pp. 1177-1216.

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Miscellanee della biblioteca della Casa Madre dell’Istituto”27. Anche questa, benché appaia ricca di distinzioni e di percorsi28, non può considerarsi defi-nitiva, e difatti i redattori delle precedenti bibliografie ne stanno preparando un’altra ancora più aggiornata, che è arrivata a registrare circa 682 opere (anche se il termine opera è da intendersi in senso molto lato, poiché spesso significa anche un semplice foglio manoscritto). L’operazione in atto è un “work in progress”, poiché gli archivi riservano continue sorprese, e manca-no ancora all’appello molti testi, di cui si conosce indirettamente l’esi-stenza29. Manca inoltre in questa “griglia”, che si sta elaborando la distinzio-ne, tra opere edite e opere inedite. L’elenco è ordinato cronologicamente. Si danno la data e il luogo di composizione, inoltre il formato, il numero dei fogli o pagine, la fonte, il genere e la posizione archivistica. Nella fonte si fa la distinzione tra manoscritto originale autografo/olografo e opera a stam-

pa.

27 Positio, vol. I, p. 49: “Il presente capitolo riporterà un elenco di tali scritti inediti, integrati-

vo a quello della Positio (A. 1). Le opere edite, pubblicate dallo stesso SdD, tutte con l’appro-vazione ecclesiastica, sono una ventina, mentre quelle stampate successivamente sono una decina circa. Qui è riportato l’elenco (A. 2), poiché nella Positio Super Scriptis è stato osservato che non è chiara la distinzione tra scritti editi ed inediti”.

28 A. Scritti del servo di Dio; B. Scritti rivolti al Servo di Dio; C. Scritti intorno al servo di

Dio; D. Bibliografia ausiliaria citata. Gli elenchi B. e C. sono elenchi aperti. Trascuriamo le distinzioni di B. C., perché non attinenti al nostro lavoro. D. non presenta alcuna difficol-tà. Ci appaiono invece importanti quelle introdotte in A: 1. Elenco integrativo (EI) alla “Po-

sitio Super Scriptis” degli Scritti inediti; 2. Scritti Editi: distinti in: a) Opere edite durante la vita del SdD; b) Opere edite dopo la morte del SdD; c) Opere ristampate in copia Anastati-ca; 3. Scritti del SdD distinti per Gruppi Tematici: distinti in: a) Omelie; b) Mariologia; c) Teologia morale; d) Retorica; e) Biblica; f) Regolamento di vita; g) Epistolario; h) Testa-menti.

29 Già l’Anselmi nell’introduzione al primo volume dell’Opera omnia di Monsignor Marcuc-ci, parlando della rassegna degli scritti, (vedi nota 22) scrive: “All’elenco vanno aggiunti i manoscritti del Servo di Dio rinvenuti nel corso dell’inventariazione della Biblioteca delle Suore Concezioniste e altri scritti in possesso di privati” (ANSELMI ANDREA, Storia e “Buon

Gusto” L’«arte istorica»: riflessione tra retorica e precettistica, in FRANCESCO ANTONIO

MARCUCCI, Artis Historicæ Specimen, Saggio sulla storiografia, Marcucciana Opera

Omnia, 1, Venezia 2002, p. XIII). La precarietà di ogni elenco delle opere del Marcucci è destinata a durare a lungo, perché i suoi manoscritti hanno subito le traversie di tre secoli. Conosciamo il titolo di opere ricordate dallo stesso Marcucci, ma ad oggi non se ne ha trac-cia. Ecco un elenco: I Cinque Mercoledì di S. Francesco di Sales, di essa il Marcucci parla nella Selectio metrica, collegata a Saggio di metrica latina, di cui ci occupiamo (v. p. 195); dello stesso “libretto” fa menzione nel Direttorio Generale delle Costituzioni (manoscritto conservato nell’Archivio delle Concezioniste, ASC Opera 117bis, p. 26), dove pure si ricor-dano altre opere: “Aveva dato alla luce, uno nel 1738. sopra la Divozione dei nove Salmi per

l’Immacolata Concezione; l’altro nel 1739, … col titolo di Viva Gesù nel mio Cuore, estrat-te dalle Opere Selesiane; ed il terzo nel 1741. sopra i Mercoledì di San Francesco di Sales; oltre a parecchi Regolamenti manuscritti, intitolati chi Ricordi di perfezione e chi Vita Co-

mune.”

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0.2.2.2. L’epistolario. Le osservazioni fatte per le opere in generale di Mon-signor Marcucci valgono in modo particolare per il suo Epistolario. Come pure si deve rilevare che si è ben lontani da una ricognizione completa e si-cura del complesso delle lettere. Partiamo anche per l’Epistolario dalle annotazioni dei due Teologici censori, contenute nella Positio super scriptis, e riproposte nel secondo volume della Positio super fama santitatis et virtutibus

30; sia perché questi teologi, durante il Processo Diocesano per la canonizzazione del Marcucci, furono con molta probabilità i primi attenti lettori dell’Epistolario, sia perché ci hanno dato le prime impressioni sulle opere inedite del Marcucci. Il primo mette in evidenza la complessità di queste lettere e la capacità di farci “penetrare nell’intimo di chi scrive”31; mentre il secondo rivela una certa meraviglia, e non manca di qualche valutazione critica32. Un altro attento lettore dell’Epistolario marcucciano è Don Giacomo Napo-leone. Il testo a cui facciamo riferimento è contenuto nel secondo volume della Positio

33. È la deposizione che Napoleone fece in occasione della fase diocesana del Processo di Beatificazione. Il Tribunale riconosce che il Sa-cerdote è un attento conoscitore del Marcucci, anche perché l’incontro e la pratica con il Marcucci sono maturati nel tempo34. E proprio dalla lettura

30 Positio, vol. II, pp. 1217-1256. 31 Ibid., p. 1235: “Come sempre, le lettere ci fanno penetrare nell’intimo di chi scrive. In esse

pulsa tutto l’animo del Servo di Dio, che si avverte: in tutti i toni, dal dolce al forte, dal pa-tetico al severo, dal faceto al risoluto. Una profonda conoscenza dell’animo femminile, una soda dottrina, una fede adamantina e una rara prudenza fanno di lui un direttore di anime non comune. Gli argomenti trattati sono diversi: dai familiari a quelli di vita spirituale, dot-trinali, di informazione, di erudizione. Sempre preoccupato della buona formazione delle sue figliuole, risponde a dubbi, quesiti; prende spunto dalla liturgia o dalle solennità per in-culcare le verità rivelate e per dare un buon pensiero su cui meditare, una esortazione per correggersi ed elevarsi.”

32 Ibid., p. 1247: “Sono pervenute fino a noi numerosissime lettere, in gran parte dirette alle Religiose, e fa meraviglia come, nonostante i gravosi e molteplici uffici ai quali doveva at-tendere, abbia potuto trovare il tempo necessario per scrivere non soltanto sì numerose lette-re, ma anche spesso lunghissime, che contengono dei veri trattati su discipline varie. (…) Nelle lettere, tuttavia, troviamo delle notizie che forse sarebbe stato meglio occultare, o non trattare, non essendo di necessità tale per essere conosciute. (…) Parimenti, durante il viag-gio a Vienna assieme a Pio VI, scrive delle lunghissime lettere nelle quali racconta anche nei minimi particolari quanto avveniva, specialmente quando riceveva qualche onorificenza, o forse poteva mettersi in mostra.”

33 Ibid., pp. 863-879. 34 Ibid. p. 863: “La mia conoscenza del Servo di Dio risale agli anni di Seminario, attraverso

le parole del Rettore Mons. Marco Pala, poi dai contatti avuti con una certa frequenza con le Pie Operaie dell’Immacolata Concezione, dalle Biografie del Servo di Dio, in particolare di quella scritta dal Can. Rossi-Brunori che a me pare molto ben fatta, e di una certa importan-za, perché basata solo sui documenti. Una conoscenza più profonda l’ho acquisita da un’attenta lettura delle prediche e, particolarmente dall’epistolario”.

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dell’Epistolario egli ricava gli elementi per una grande quantità di informa-zioni35: sulla vita, sui viaggi, sull’attaccamento “premuroso e tenace” alla sua “opera prediletta”, cioè l’Istituto delle Pie Operaie dell’Immacolata Con-cezione, di cui si dichiarava “primo servo e pastore”, sulle idee di Pedagogia e di Sociologia36. Ci dà anche indicazioni sullo stile di queste lettere. Lo de-finisce: “Semplice, famigliare, a volte popolaresco perfino dialettale”37. Alcuni dei relatori del Convegno, tenuto a Roma e ad Ascoli Piceno, in oc-casione del 250° anniversario di fondazione dell’Istituto delle Pie Operaie (le cui relazioni sono raccolte nel volume degli Atti38), rivolsero particolare at-tenzione all’Epistolario, anche se fecero per lo più riferimento all’Antologia tematica pubblicata nel 198339. Ci riferiamo in particolare ai testi di Carmela Di Agresti40, e di Maria Elma Grelli41. La Di Agresti dichiara: “Privilegiare l’epistolario per tratteggiare un breve profilo di Marcucci educatore è scelta voluta e, mi sembra, giustificata per più motivi”. Il primo motivo “è di carat-

tere oggettivo. Ritengo che l’epistolario rifletta al meglio il pensiero del-l’autore sui problemi educativi”42. La Grelli invece ricostruisce attraverso l’esame delle tre redazioni delle Costituzioni, e soprattutto dalla lettura di alcune lettere43 “la figura dell’Educatrice” secondo il Marcucci.

35 Ibid., p. 864: “Il cospicuo epistolario manoscritto di Mons. Marcucci, raccolto in cinque

grossi libri e conservato gelosamente intatto dalle Pie Operaie dell’Immacolata Concezione nell’Istituto di Ascoli Piceno, pur non mirando ad un fine scopertamente letterario, perché semplice, manifesta con dovizia gli affetti del suo animo pio e l’intento dei suoi santi pen-sieri. Il contenuto, molto vario, è sommamente interessante non solo come documentazione del gusto e della personalità non comune dell’autore, ma anche come espressione vera della sua profonda religiosità interiore. Senza dubbio, le lettere, considerate nel loro complesso, hanno un valore essenziale per la raccolta di prove relative all’istruzione del processo in-formativo sulla fama di santità del Servo di Dio perché costituiscono altresì una fedele te-stimonianza, ricca di particolari, e del tempo e della storia della fondazione dell’Istituto del-le Pie Operaie.”.

36 Ibid., p. 864 e passim: “Dalla lettura di questo epistolario, sebbene alla distanza di tanti anni, oggi, come da una sequenza cinematografica, possiamo conoscere quasi tutto della vi-ta del Servo di Dio, dai molteplici avvenimenti d’un certo rilievo fino alle minuzie che in-torno a lui si svolsero e di cui fu protagonista.”.

37 “Figliuola, in pace vi ho detto il tutto quanto allo stile (ha illustrato tre stili, famigliare, temperato, sublime, da usarsi nello scrivere) e genere di dire. Può servire anche per le epi-stole: Qui però dominar deve l’infimo e il famigliare. Questo a me piace molto. L’ho appre-so dai sermoni di Agostino” (II, 116).

38 Donna educazione, cit. 39 FRANCESCO ANTONIO MARCUCCI, Una Sorgente di ieri per santificarti oggi, Roma 1983. 40 CARMELA DI AGRESTI, L’impegno educativo di mons. Marcuccci, in Donna, cit., pp. 231-

250. 41 MARIA ELMA GRELLI, La figura dell’educatrice secondo mons. Marcucci, in Donna, cit.,

pp. 251-266. 42 C. DI AGRESTI, L’impegno, cit., p. 231. 43 M. E. GRELLI, La figura, cit., passim

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Ma quelli che abbiamo fatto sono solo degli esempi. Molti hanno attinto all’Epistolario marcucciano, anche se non ne esiste ancora una ricognizione completa di esso. Sono ancora molti gli archivi che possono restituire delle lettere, perché fitta era la trama dei contatti che Monsignor Marcucci stabilì nel corso della sua vita, soprattutto da Vescovo e da Vicegerente. Una menzione particolare merita un testo di Suor Isabel Do Nascimento e Suor Maria Paola Giobbi44. Bisogna subito evidenziare che quest’opera si limita ad analizzare le lettere contenute nell’antologia che abbiamo sopra citato45, di cui abbia fatto cenno più sopra. L’opera di Do Nascimento - Giobbi mostra l’aspetto più caratteristico di questo Epistolario: cioè che esso è prima di tutto lo strumento di “direzione spirituale”46, che Monsignor Mar-cucci utilizza per svolgere la preziosa funzione di guida della Congregazione appena fondata. Le lettere si collocano tutte nel periodo 1770-1796, “corri-sponde all’anno di nomina di Marcucci a Vescovo di Montalto fino al perio-do in cui si ritira, come suo desiderio, nella foresteria della casa delle suore, dove trascorse gli ultimi anni della vita”47. Conoscendo la grande familiarità che il Marcucci aveva con le opere di Francesco di Sales, a nessuno può sfuggire la concordanza tra le finalità che il Nostro assegna al suo Epistolario e ciò, che scrive il santo Vescovo di Ginevra nell’Introduzione alla vita devota: “Spetta soprattutto ai vescovi cercare di perfezionare le anime perché la loro dignità è la suprema tra gli uomini, come quella dei serafini tra gli angeli, così che il loro tempo non può essere meglio impegnato che in questo. Gli antichi vescovi Padri della Chie-sa erano perlomeno tesi quanto noi al loro compito, e non tralasciavano tut-tavia di avere cura della direzione particolare di molte anime che ricorrevano alla loro assistenza, come appare dalle loro epistole: imitavano in questo gli apostoli che, in mezzo all’universale messe, raccoglievan tuttavia alcune spighe più notevoli con speciale a particolare affetto”48. L’Epistolario di Monsignor Marcucci è conservato nell’Archivio di Ascoli delle Concezioniste, rilegato in quattro volumi, e in una busta. È un corpus di più di 700 lettere. A queste bisogna aggiungere il volume noto con la sigla

44 MARIA ISABEL DO NASCIMENTO - MARIA PAOLA GIOBBI, Francesco Antonio Marcucci Mae-

stro di vita spirituale, Roma 1992. 45 F. A. MARCUCCI, Una Sorgente, cit. 46 Il capitolo secondo, pp. 15-31, le raggruppa per destinatari, analizzando “i contenuti e i

metodi nella pratica della direzione spirituale” (p. 33); nel capitolo terzo si tenta “un’analisi più minuziosa [dei contenuti] e di cogliere affinità e diversità tra pratica della direzione spi-rituale attuata dal Marcucci e alcuni orientamenti odierni accolti dal Magistero” (p. 33).

47 M. I. DO NASCIMENTO - M. P. GIOBBI, Francesco Antonio Marcucci, cit., p. 15. 48 SAN FRANCESCO DI SALES, Introduzione alla vita devota, Milano 1956, p.14. Notiamo che

l’autore nella stessa pagina, elenca tra i “figliuoli spirituali” di San Paolo, santa Tecla, e tra quelli di San Pietro santa Petronilla: due nomi cari a Monsignor Marcucci.

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EI, 8, che “raccoglie la corrispondenza epistolare tra il SdD e la Giovane Sr. M. Petronilla Capozi”49. Non è stata mai realizzata un’edizione completa dell’Epistolario. Esistono solo edizioni parziali. La più ampia è quella del 1983. Vi sono raccolte lettere di “direzione spirituale”50. Comprende 215 lettere. I destinatari di esse sono stati descritti e analizzati nell’opera, già ricordata, di Do Nascimento-Giobbi, nei capitoli secondo e terzo51. Alle lettere contenute nel volume EI, 8 (quelle, per intenderci, tra Monsignor Marcucci e Suor Petronilla), tempo fa era stato progettato di dedicare un volume, che doveva raccogliere tutte quelle già note, nella traduzione del Prof Alberto Cettoli. Il Volume52, oltre alle lettere in traduzione italiana, è introdotto da una “Presentazione generale” di Sr. Maria Paola Giobbi, e da una “Presentazione. Lettere di Sr M. Petronilla” di Alberto Cettoli. Ma il volume non ha visto ancora la luce. L’attenta analisi, che di queste lettere di Marcucci e Petronilla fanno i due Presentatori, aiuta a convincersi quanto potrebbe essere utile la pubblicazione dell’intero ricco Epistolario, per una più ampia conoscenza del Marcucci. Il fallito progetto potrebbe essere l’occasione per ripensarlo con il testo latino a fronte.

0.2.3. Lo scrittoio di Marcucci - Deriviamo il termine da una pubblica-zione di qualche anno fa di Vincenzo Di Benedetto53, nella quale il critico passa in rassegna letture ed esperienze culturali di Foscolo, per definire e analizzare le sue opere e le sue idee. Ora riteniamo che possa dare ottimi risultati un attento esame dei libri e degli autori frequentati dal Nostro. In questo compito ci è di grande aiuto la Biblioteca storica della Casa Madre delle Pie Operaie dell’Immacolata Concezione di Ascoli54. L’interesse prin-cipale della Biblioteca è dato dalla sua caratteristica. In essa sono conservati solo libri dei secoli XVI, XVII, XVIII. “Il nucleo originale è sicuramente costituito dai volumi provenienti da casa Marcucci”55. I libri contenuti in

49 Positio, I, cit., p. 75. 50 F. A. MARCUCCI, Una Sorgente, cit. p.7. 51 M. I. DO NASCIMENTO - M. P. GIOBBI, Francesco Antonio Marcucci, cit., pp. 16-31 e 33-53. 52 FRANCESCO ANTONIO MARCUCCI - SR MARIA PETRONILLA CAPOZI, Corrispondenza episto-

lare, 225 anni dopo. Il testo era stato inserito nella “Collana di pubblicazioni storiche reli-giose delle Suore Pie Operaie dell’Immacolata Concezione”. Era stata ideata la copertina: “Immagine composta di due dipinti raffiguranti, a sinistra, Mons. Marcucci; a destra, Sr M. Petronilla; al centro, L’Immacolata, comune ispirazione della loro vita”. Si ringraziava la Fondazione CARISAP, “per il contributo elargito; i professori Alberto Cettoli, Andrea Ma-rozzi, Pietro Alesiani, Andrea Narduzzi e Nazzareno Rossi per la traduzione delle lettere latine e Ignacio Maria Coccia per le traduzioni spagnole”.

53 VINCENZO DI BENEDETTO, Lo scrittoio di Ugo Foscolo, Torino 1990. 54 ELIO NEVIGARI, Libri della Biblioteca Marcucciana, in Guida al Museo Biblioteca France-

sco Antonio Marcucci, al Convento e alla Chiesa dell’Immacolata, Ascoli Piceno 2007, pp. 136-137.

55 Guida al Museo, cit., p. 136.

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questa Biblioteca trattano gli argomenti più svariati. Il nucleo iniziale era formato sicuramente dai testi della biblioteca paterna56. Lo dimostra la pre-senza di molte opere di argomento giuridico. Molti membri della famiglia, appartenente alla nobiltà consolare di Ascoli Piceno, hanno esercitato la professione forense nella città57. Lo stesso Fran-cesco Antonio era destinato alla carriera di avvocato58. Avvocato era il padre Leopoldo59 e forse anche lo zio Domenico60. La biblioteca seguì “l’evoluzione spirituale ed esistenziale di mons. France-sco Antonio Marcucci”61. Essa si arricchisce di continui acquisti fatti dal Nostro nel corso dell’intera vita, come ci testimonia il suo Epistolario

62. Una

56 Guida al Museo, cit., p. 136. 57 Ibid. La Positio (I, pp. 132 e ss.) dice che il Capostipite riconosciuto della famiglia Marcuc-

ci, il Beato Marco, prima di diventare “francescano dell’Osservanza”, era “un dottore in legge e medicina” (p. 133). Ricorda poi che Pietrangelo Marcucci (1551-1632) fu giurista e letterato (p. 133, n. 30); che Niccolò Marcucci (1629-1687), oltre che autore della Storia

cronologica di Ascoli, “dalla quale mons Marcucci avrebbe tratto molte informazioni per la compilazione delle sue opere storiche … ricoprì ruoli di notevole importanza a livello poli-tico, con una carriera di avvocato brillante” (p. 135). Rossi-Brunori (La vita, cit., p. 4) ri-corda Giacinto Marcucci († 1697) “giureconsulto assai ricercato” (ibid), e Ferrante Marcuc-ci, “celebre avvocato in Roma” (ibid). Cfr. Positio, I, cit. p. 132, n. 27.

58 Positio, I, cit., p. 161; CARLOS ALBERTO CACCIAVILLANI, Francesco Antonio Marcucci e il

suo trattato sul disegno e sulla matematica: Analisi e confronti, in Atti del Convegno di

Studi Immagini della memoria storica, Città di Montaldo Marche, Anno XI, Acquaviva Pi-cena 2006, p. 172.

59 Positio, I, cit., p. 142, e n. 62. 60 Le numerose e alte cariche del governo locale, che ricoprì dal 1711 al 1742, fanno supporre

che anche lui, come il fratello Leopoldo avesse una solida preparazione giuridica, anche se forse non esercitò mai la professione di avvocato, a causa dei numerosi impegni della “sua lunga ed illustre carriera politica” (Positio, I, cit., pp. 138-139).

61 Guida al Museo, cit., p. 136. 62 M. I. DO NASCIMENTO - M. P. GIOBBI, Francesco Antonio Marcucci, cit., p. 26. In particola-

re le lettere indirizzate a Suor Maria Emanuele di S. Gioacchino. A essa fu affidato, dopo la morte della prediletta Suor Petronilla, l’incarico di “Madre Conservatrice”, cioè biblioteca-ria, “e dunque spesso utilizza la corrispondenza per trattare argomenti di ufficio: informare la suora dell’acquisto di libri (let. 67), di come conservarli (let. 1), chiedere la collaborazio-ne in alcune pratiche di acquisto (let. 78) e offrirle la valutazione di alcuni di essi (let. 111)”. In una lettera del 2 luglio 1783 si preoccupa della sistemazione della biblioteca, quando le suore devono trasferirsi nella casa Priorale per la costruzione della nuova casa: “La biblioteca potrete farla ripartire nella camera, cioè della Viceprefetta, o di Suor Ma E-midia” (A. F. MARCUCCI, Una Sorgente, cit., p. 158). Molto interessante è una lettera del 20 ottobre, perché ci mostra l’interesse e la “gratitudine” con cui le suore accoglievano i libri che il Fondatore inviava loro, e la diligenza con cui egli sceglieva le opere da inviare: “Mia buona figliuola, il più pregevole di tutti i libri, che vi ho rimessi, è quello del gradimento, e della gratitudine che ne mostrate … Tra vari libri, che tengo in ordine da rimettervi, ha il primo luogo il gran Tomo in foglio di tutte le Omelie, Sermoni, e Trattati di San Massimo Vescovo di Torino, fatto stampare dal Papa, per donarlo al Re Sardo. Questo S. Padre del quinto secolo insegna apertamente l’Immacolata Concezione di nostra Signora. Il caro libro

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fonte ancora inesplorata di notizie sul formarsi della nostra biblioteca è senz’altro la corrispondenza in latino fra il Marcucci e Suor Maria Petronilla Capozi63. Anche perché è nostro convincimento che il nucleo fondamentale di questa Biblioteca sia nato dalla “complicità” culturale tra maestro e disce-pola. Petronilla sembra realizzare il suo ideale di Concezionista. Così si ri-volge a lei nelle lettere: “Sorella mia Petronilla, discepola mia, corona delle mie fatiche”, o “Discepola prediletta” 64. Per soddisfare la sete di cultura della “Diletta figlia”, che lo ha sostituito nel “compito di maestro presso le suore”65, risponde a ogni questione che essa le sottopone, dissipa i suoi dub-bi, le dà consigli di lettura66, e le fornisce i libri che gli richiede: “Desideri il lessico culturale del Calmeto? Lo avrai […]. Entro pochi giorni soddisferò alle tue richieste, cosicché il predetto lessico sarà sempre in uso alla tua bi-

della Imitazione di Maria, lo stampa qui in Roma il Salamoni. Lo faccio stampare in ottavo da potersi portare in saccoccia. Vi faccio aggiungere i dodici Salmi Mariani, la Coroncina variata in alcune cosette, e il Te Matrem Dei” (A. F. MARCUCCI, Una sorgente, cit., p. 178). Nella lettera del 24 novembre 1779 (Ibid., p. 116) annuncia l’invio di Ortografia o Crusca

in compendio di Jacopo Facciolati, famoso coautore del Totius Latinatatis Lexicon, di cui proprio in quel periodo esce la prima edizione, che più volte nel corso di questa ricerca do-vremo consultare, e che il Marcucci dimostra di conoscere molto bene. Oppure quando si congratula con Suor Emanuela per l’acquisto dell’Opera Omnia di S. Agostino, perché ci dice il grande amore del Nostro per questo Padre della Chiesa e la familiarità che egli ha con la sua opera: “Ho avuto gran piacere, che abbiate provveduto codesta Biblioteca delle Opere tutte del grande Agostino: dopo la divina Scrittura, codesto è il più gran capitale di una cristiana libreria. L’edizione dei Padri Maurini è veramente la più corretta ed esatta, poiché quei Padri Benedettini della Congregazione di S. Mauro di Parigi seppero metter da parte le Opere certe dalle incerte e dubbie di S. Agostino: il che non era mai stato fatto per l’addietro. Usava nei secoli passati ascrivere a questo e quel Santo Dottore libri e trattati ed operette, affin di dar loro credito e stima; e studiavasi d’imitare al possibile lo stile: ma poi a lungo andare o da certi anacronismi di tempo e di storia, o da qualche errore inserto, o da qualche aperta contraddizione, o da altro, si vennero a discoprire le orditure tenute. Che perciò sono a figurarmi, che in codeste Opere di S. Agostino di edizione antica non siavi la distinzione delle sue opere certe dalle incerte; ma che tutte siano ascritte al S. Dottore” (I-bid., pp. 91-92). E promette anche un’analisi critica e annotazioni per questi Tomi.

63 Su questa corrispondenza e sul Progetto di pubblicazione rinviamo alla nota 53, e al testo a cui la nota fa riferimento. Comunque sembra imminente la ripresa del progetto e l’ipotesi di affiancarvi la trascrizione a fronte del testo latino. Comunque il progetto è legato all’ipotesi della pubblicazione dell’intero Epistolario del Marcucci. Ma prima di realizzare la pubbli-cazione dell’Epistolario è necessario fare ulteriori indagini.

64 MARIA PAOLA GIOBBI, Presentazione generale, in F. A. MARCUCCI - SR MARIA PETRONILLA

CAPOZI, Corrispondenza epistolare, cit., p. X [Il numero delle pagine di questo testo ha va-

lore puramente indicativo e si riferisce alla copia cartacea in nostro possesso]. 65 Ibid., p. IX. 66 “Figliola mia Petronilla, Agostino è Agostino, ti basti sapere chi sia Agostino, e quanto alta

e difficilissima la sua lettura. Sono veramente poche e deboli le nostre forze per capire Ago-stino. Lascia passare il tempo e vedrai. Intanto ringrazia innumerevoli volte (meglio il più volte possibile) Dio Onnipotente, se capisci qualche cosa di latino” (F. A. MARCUCCI - SR

MARIA PETRONILLA CAPOZI, Corrispondenza epistolare, cit., p. 6.

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blioteca”.67 A volte anticipa anche le sue richieste68. Nelle lettere del Mar-cucci a Petronilla ricorre spesso l’espressione “Accipe interim pro Biblioteca strennas”69. C’è però una lettera più interessante delle altre. “Fran(cis)cus Ant(oni)us ab Imm. Conc. E(pisco)pus Montaltensis Mariæ Petronillaæ ab Assumptione Bibliotecariæ suæ S. P. D. Ex hisce Montibus jam te lacrymantem video, mea Petronilla, te flentem audio, plorantemve intueor. Væ miserrimæ Bibliothecæ meæ, clamas, quis tui memor, quis tui amator nunc, quis tuus inquam Mæcénas? Quis, petis? Ego memor, ego amator, ego Mæcenas. Biblioteca enim est tua simul et mea, tuo item meoque profectui addicta; Deo, Deipareque Virgini Immacula-tæ Animarumque saluti sacra. Lacrymarum desine, fletus, ululatusque conti-ne. Ast, strenas dedisti, reponis, cunctis filiabus tuis pro Natalitiis festis, Bi-bliothecæ verò fuisti oblitus. Etiam. Memineris tamen velim, omnes filias meas bene mihi fuisse precatas; minime verò Bibliothecam, sive pro ea Bi-bliotecariam. Quibus, peto, in Natalitiis festis strenæ dantur, nisi iis qui bene precantur? Fuit in me, inquis, memoriæ lapsus excusatione dignus. Optime. Fuit quoque in me, subdo, manuumque defectus venia perdignus. Sit igitur utrinque pax. Accipe interea tres Julios Romanos. Strena hæc est, quam ad Bibliothecam mitto. Si vita comes fuerit, disce, quomodo altera vice te gere-re debeas. Vale, Filia mea. Læto esto animo. Ora pro me. Valeto iterum. Montalti III. Nonas Jannuarias MDCCLXXII”70.

67 F. A. MARCUCCI - SR MARIA PETRONILLA CAPOZI, Corrispondenza epistolare, cit., pp. XI-

XII. 68 “Petronilla ringrazia per il Calmeto (L, 18P), per l’Apologia (L, 25P) per le lettere di S.

Girolamo, e per la Bibbia (L, 20P), per la Biblioteca morale del Ferrari (L, 32P), per il libro Del Dialogo «composto con grandissima eloquenza ed elegante linguaggio» (L, 26P), infine per il Purcozio, per il Terzaghi e il Lopez (LL, 34P, 38P)”, Ibid., p. XII.

69 Ibid., p. 211: “Ricevi intanto i doni per la Biblioteca”. 70 “Francesco Antonio dell’Immacolata Concezione, Vescovo di Montalto Saluta Maria Pe-

tronilla dell’Assunzione, sua Bibliotecaria - Da questi monti già ti vedo in lacrime, o mia Petronilla, ti sento piangere o ti immagino lamentarti. Ahi, mia sfortunatissima Biblioteca, chi si ricorda di te, chi ti ama ora, chi è il tuo Mecenate? Chi? Io mi ricordo, io la amo, io sono il suo Mecenate. La Biblioteca infatti è tua e nello stesso tempo mia, destinata al tuo profitto e parimenti al mio; sacra a Dio, alla Vergine Immacolata, Madre di Dio e alla salute delle anime. Cessa di lacrimare, trattieni i pianti e le grida. Tu dici, per le feste di Natale hai dato le strenne a tutte le tue figlie e ti sei dimenticato della Biblioteca. E sia. Ma vorrei che ti ricordassi che tutte le mie figlie mi hanno ben pregato; ma non la Biblioteca, o, per lei, la Bibliotecaria. A chi - domando - si danno le strenne, nelle Feste di Natale, se non a quelli che chiedono bene? Vi fu in me, tu dici, una mancanza di memoria degna di scusa. Benis-simo. Vi fu anche in me un difetto delle mani degno di venia. Vi sia pertanto pace da ambo le parti. Ricevi intanto tre Giulio Romani. Questa è la strenna che mando alla Biblioteca. Se la vita sarà cortese, impara come ti debba comportare in altre occasioni. Ti saluto, figlia mia. Sii di animo lieto. Prega per me. Di nuovo ti saluto. - Montalto, 7 gennaio 1772” (Ibid., pp. 208-209).

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Il maggior incremento la biblioteca lo ebbe sicuramente durante il periodo della Vicegerenza (1774-1786). Marcucci inviò “a più riprese dalla capitale varie casse di libri da lui acquistati o ricevuti in dono”71. La sua posizione lo metteva nella condizione di conoscere tutta la produzione libraria dello Stato della Chiesa, e non solo. Le pubblicazioni che uscivano con l’imprimatur passavano attraverso il palazzo della Vicegerenza. Molti dei testi arrivati nella biblioteca nel periodo della sua carica romana portano il “visto si stam-pi” di Monsignor Antonio Marcucci. Questo è il periodo in cui la biblioteca si arricchisce di più. “Negli ultimi anni della sua vita il Marcucci fece dono di una cospicua parte della biblioteca al Capitolo della Cattedrale”72. Oggi la biblioteca storica, è collocata in una sala del secondo piano della Casa Madre delle Pie Operaie dell’Immacolata Concezione di Ascoli Piceno73, conta cir-ca 2000 volumi. Molti sono di grande interesse, e non solo culturale. L’unico catalogo della biblioteca è quello compilato da una suora concezionista “alla metà degli anni ’80 del passato secolo”74. Pur se è da considerare opera meri-toria e utile fino ad oggi agli studiosi che lo hanno consultato, esso risulta tuttavia privo di ogni requisito scientifico. È nostra ferma convinzione e pro-posito procedere alla realizzazione di un catalogo scientifico e ragionato, che comprenda anche la donazione fatta da Mons. Marcucci al Capitolo della Cattedrale. 0.3. La Cultura Illuministica

Francesco Antonio Marcucci nacque a Force75 il 27 novembre 1717, e morì ad Ascoli Piceno il 12 luglio 1798.

71 Guida al Museo, cit., p. 136. 72 Ibid. 73 Nel momento in cui scriviamo, i libri sono stati momentaneamente “poggiati” in una stanza

di fronte alla sala della biblioteca, per permettere di eseguire lavori di manutenzione e di consolidamento di questa sala, che lo stesso Marcucci aveva ideato, e ne aveva affidata la realizzazione ai migliori pittori e decoratori del suo tempo. Si può leggere una descrizione di questa sala nella Guida, citata più volte, MARIA GABRIELLA MAZZOCCHI, La biblioteca

marcucciana, in Guida al Museo, cit., pp. 133-135. 74 Guida al Museo, cit., p. 137. 75 Del problema della nascita e del matrimonio dei genitori si sono occupati ampiamente gli

estensori della Positio, a cui si rinvia (I, pp. 144 e ss). Essi sembrano avvalorare l’ipotesi che la nascita a Force sia stata un fatto casuale (cfr. la nota 75, p. 144: “«Nacque nella Ter-

ra di Force in occasione che il suo Signor Padre si trovava per alcune onorifiche commis-

sioni, essendo per altro la di Lui casa in Ascoli»: così si legge nelle testimonianze raccolte nel processo in vista della sua consacrazione episcopale: cf. ASV, Processus Datariae, 147, f. 292; cf. tavole nn.1 – 2”. La stessa ipotesi sembra accolta dal primo biografo: A. ROSSI-BRUNORI, La vita, cit., p. 6. Diversa invece e la giustificazione che ne dà lo stesso Marcucci nella lettera-supplica che egli invia il 31 ottobre 1771 Alla Sacra Real Maestà di Ferdinan-

do IV Re delle due Sicilie, di Gerusalemme ec. ec. ec. dopo l’elezione a Vescovo di Montal-

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È necessario definire immediatamente le coordinate biografiche del Nostro, per individuare l’ambito culturale entro cui si collocano la sua vicenda terre-na, la sua opera e le sue idee. Egli trascorse la sua vita interamente nel Seco-lo XVIII, che comunemente è definito “l’età dei lumi”, ma che è sicuramente uno dei periodi più variegati sia dal punto di vista storico e culturale, sia da quello politico e militare76. Per tacere degli altri aspetti ricordiamo che nel secolo XVIII si sovrappon-gono Illuminismo, Arcadia e Storicismo alla Giambattista Vico e alla Ludo-vico Antonio Muratori. Marcucci è coetaneo di D’Alembert (1717-1783), poco più giovane di Dide-rot (1713-1784): i creatori e gli animatori più tenaci dell’Encyclopédie, “or-gano”, per così dire, dell’Illuminismo. Su Voltaire, scrisse parole di fuoco, regestando un libretto, che conservava gelosamente, e che fece rilegare in-sieme ad altri testi, fra cui uno della diletta “figlia” Suor Petronilla77. Della settima operetta, che forma questa miscellanea, tralascia il titolo e tutti gli

to delle Marche. Egli si rivolge a Ferdinando IV per “vedermi ora pertanto dai miei Avver-sari dipinto appresso di V. M. or come un segreto Partitante dei consaputi Esuli Religiosi, or come un illegitimo temerario Intrusore nella Badia e nel Vescovado, ed or come un Posses-sore ingiusto di tale Badia”. Così spiega la sua nascita a Force: “Mio Padre medesimo, qua-lora vidde di me incinta mia Madre, per tener celato il Matrimonio alla sterile Contessa Francesca Gastaldi, sua Cognata di b.m., e Consorte del fu Capitan Domenico Marcucci mio Zio, stimò bene esentarsi da mia Casa, e girsene sott’onesti pretesti nella Terra di Force, ed ivi trattenersi sinché io nascessi, senza neppur indicare il Matrimonio a chi mi ri-generò con le sacre Acque Battesimali: tuttoché poi, conciliate le cose, rimpatriassero i miei Genitori, e mi riportassero in Casa, ma senza vario discorso del mio nascimento”.

76 Cfr. FRANCO VENTURI, Settecento riformatore, Torino 1969-1990, e ID. Utopia e riforma

nell’Illuminismo, Torino 1970; DORINDA OUTRAM, L’Illuminismo, Bologna 2006. 77 “Miscellanea Diversarum rerum in septem Opuscula distributa”. Dopo il titolo ci sono il

monogramma della Vergine e la data, Romæ 1. Martii 1783. Ecco i titoli: “(I) Dissertatio de Jure Christi Dñi ad Regnum temporale Judæorum. R. M. Mariæ Petronillæ ab Assuntione Piæ Operariæ Immaculatæ Conceptionis, Congregationis Asculi in Piceno. (II) Epítome del-le antiche Monarchie coll’Appendice delle Sette Età del Mondo, della R. M. Suor Maria Emanuele di San Giovacchino Pia Operaia dell’Immac. Concezione della Congregazione di Ascoli Piceno nella Marca. (III) Difesa della reale esistenza del Corpo di San Francesco di

Assisi nella Basilica del suo Nome in quella Città. Scrittura del P. Lombardi Min. Conv. contro del Manuale del P. Látera Min. Riformato. (IV) Acta Ssmi D. N. Pii Papæ VI Causa Itineris sui Vindobonensis sive Viennesis, cum Descriptione Itineris usque Vindobónam si-ve Viennam Austriæ, idest a Die Discessus a Vaticano 27 Febbruarii 1782, usque ad Diem Reditus in Urbem 13. Junii 1782. (V) Lettera di un dotto Teologo sotto nome di un Vescovo; diretta a Mons. Leopoldo ab Hài Vescovo di Konisgràtz (Reginæ Gradícium) in Boemia in-torno al Sistema della Tolleranza di ogni Religione, di cui si mostrava fautore, (VI) Disser-tazione Apologetica di un dotto Teologo sopra lo Stato Religioso delle Monache e in difesa del Celibato contro di certi odierni Miscredenti e Nemici della Castità Verginali”.

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altri aspetti editoriali per dedicarsi a una animosa requisitoria contro il filo-sofo d’Oltralpe, per evidenziarne l’empietà e “l’ostinato ateismo”78. All’Illuminismo lo legano oltre ai dati anagrafici, specifici interessi culturali e l’attenzione che dedica alle opere dei maggiori filosofi del suo tempo. Come sappiamo la maggior parte delle opere di Marcucci sono tuttora inedi-te. È iniziato nel 2002 il progetto della pubblicazione dell’Opera Omnia

79. Restano comunque inediti tutti gli scritti di carattere teologico-filosofico. Costituiscono un interessante campo di ricerca, che può aprire interessanti orizzonti. Durante il lavoro sul Saggio di Prosodia latina abbiamo dovuto leggere at-tentamente molte delle opere contenuta nella cosiddetta Miscellanea 60, per-ché vi sono contenute le due Antologie collegate al Saggio. Di queste daremo informazioni più avanti. Ora notiamo che in questa Miscellanea sono raccol-te alcune “Disputatio”, di carattere filosofico-teologico, condotte sul modello delle controversie scolastiche medioevali, nelle quali appaiono evidenti i modelli filosofici di riferimento di Marcucci: S. Agostino, S. Tommaso e S. Bonaventura, anche se nel corso delle discussioni egli si dichiara più volte ecclettico: “Quid nobis cum Vuolfio, quid cum Malebranchio? Sumus enim Ecclectici, idest quoad humanas Scientias liberi in philosophando. Rationes perquirimus non auctoritates; rationibusque quiescimus, non systematibus arbitrariis.”80 Bene, in questo testo il Nostro dimostra di conoscere e di voler confrontare la propria esposizione con tutti I filosofi razionalisti contempo-ranei che si sono occupati del problema delle Idee innate, e analizza e discu-te le posizioni di J. Locke, C. Wolff, N. Malebranche, ecc., e naturalmente

78 Il titolo dell’operetta è: Voltaire, raccolta delle particolarità curiose della sua vita e della

sua morte, Fuligno 1782. Così Marcucci annotava regestando: “Della Vita iniqua e della pessima Morte dell’empio Ateo VOLTAIRE o sia Voltèr, così decantato per le sue empie Opere e scritture iniquissime. Egli si chiamò propriamente Arouèt, e nacque in Parigi nel 1694., fu il disonore della sua Nazione, ed un uomo senza Fede, senza pietà, senza rispetto, senza verità, e senza fondo di dottrina: fu carcerato, esiliato, bastonato, e odiato: tornato in Parigi vi fece una pessima Morte ai 30 di Maggio del 1778. in età di anni 84., avendo più volte finto di pentirsi e di ritornare alla cattolica Fede, con cui era stato educato; ma poi sempre ostinato nell’ateismo e nell’empietà, vi morì disperatamente, e prima di morire si fece arrolare nell’iniqua Setta dei Liberi Muratori già condannata: onde fu alla fine sepolto alla campagna. Ecco l’empio Voltèr decantato a dì nostri, sino da chi ha le labra puzzolenti di latte! Esso è l’odierno Ristoratore del Libertinaggio e dell’empia Incredulità.”.

79 Il Progetto dell’Opera Omnia è del 2002. Il piano delle pubblicazioni si articola in sette sezioni: 1. storico-letteraria; 2. biblico - teologica; 3. mariologica; 4. filosofica; 5. omilitica; 6. varie; 7. epistolario. Sono stati pubblicati già sei volumi.

80 A. S. C. Misc. 60, p. 40. Pro Ideis innatis concertatio “Che cosa abbiamo in comune con Wolff, e Malebranche? Infatti noi siamo Ecclettici, cioè nelle Scienze umane filosofiamo liberamente. Cerchiamo le ragioni non le autorità; ci lasciamo convincere dalle ragioni non dai Sistemi arbitrari”. Il testo a cui facciamo riferimento è il sesto o il settimo della Miscel-lanea. La precarietà della numerazione è dovuta al loro stato di abbozzo.

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smonta le loro posizioni, anche se di alcuni riconosce qualità e meriti. Così dice di Malebranche: “Sentire vero cum Nicolao Malebranchio, viro aliunde doctissimo æque pientissimo, et quoad vires suas Idearum innatarum Restau-ratore … et fanaticum et enthusiasticum est”81. Nel testo successivo “Exercitium Philosophicum” egli torna all’esame degli stessi autori, che sono definiti “Cartesiani”, e all’elenco aggiunge il Genove-si. Anzi nello stesso testo dedica degli specifici “Argumenta”82, per criticare e controbattere le posizioni filosofiche di Locke e Genovesi, che egli defini-sce “Anteidealistas”. Un altro testo importante per conoscere la posizione del Marcucci nei con-fronti dell’età illuministica, e in particolare della Rivoluzione francese, è il “Ragionamento Cattolico”. Il Manoscritto83 nell’Inventario archivistico delle Pie operaie di Ascoli Piceno ha il numero 109. IL titolo completo è Ragio-

namento Cattolico in detestazione dell’Ateismo e della pretesa possibilità di

una Repubblica di veri Ateisti, sognata e progettata stoltamente dagli empi

moderni Ateisti e Giacobini Franzesi. L’opera, come ritiene Elio Nevigari, che ne ha fatta una prima pubblicazio-ne84, è una “conferenza di tipo accademico”, rivolto alle sue suore, com’era solito fare spesso il Marcucci. Essa si compone di 8 brevi capitoli, ed è la naturale “continuazione di un corso sui fondamenti della Religione Cattolica svolta l’anno precedente e ne costituisce un approfondimento.”85 Lo spazio a disposizione, e l’occasione non ci consente di analizzare nei dettagli questo testo, che potrebbe essere molto illuminante per l’argomento che stiamo trattando. Per una prima analisi rimandiamo all’edizione del Ne-vigari, in attesa di una edizione critica del testo. L’opera è comunque di grande utilità per conoscere la “risonanza che l’evento rivoluzionario france-se ebbe nello Stato Pontificio e, nella fattispecie, come esso sia considerato da parte di un ecclesiastico, tipico rappresentante dell’ancien regime, che stava volgendo al termine”86. Citiamo solo i passi che riteniamo più indicativi87. Nel Capitolo terzo si leg-ge: “Consideriam dunque per ora l’Essenza dell’Uomo filosoficamente col

81 ASC. Misc. 60, p. 41. “Condividere però il pensiero di Nicola Malebranche, uomo per altro

dottissimo e religiosissimo, e che ha dedicato le sue forze per restaurare le idee innate … sarebbe fanatico e fantasioso”.

82 Ibid., p. 57 83 ASC, 109, aut. orig. ff. 1-2; 17-18. Relatio et vota, cit., pp. 139-140. 84 ELIO NEVIGARI, Il Ragionamento Cattolico di Mons. Francesco Antonio Marcucci in “Fir-

mana quaderni di teologia pastorale”, nn. 22-23, Dicembre 1999-Marzo 2000. 85 Ibid. p. 194. 86Ibid. p. 193. 87 Cfr. E. NEVIGARI, Il Ragionamento, cit., soprattutto i paragrafi introduttivi: “Genere, strut-

tura e contenuto del Ragionamento Cattolico” e “Le fonti dell’opera” (pp.194-195).

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solo lume naturale. Or l’Uomo non è Bestia, e confessar lo deve anche il più imbestialito Giacobino Ateista. L’Uomo è stato creato con l’Intelletto e con la Ragione. La Bestia no; giacché i Bruti non hanno altro che naturale Istinto e Sensibilità del piacere e del comodo; del dispiacere e del danno o sia in-commodo. Se dunque l’Uomo è stato creato coll’Intelletto e con la Ragione; ha necessariamente ed essenzialmente da avere in sé impressa la idea e il discernimento del Vero e del Falso, del Giusto e dell’Ingiusto, dell’One-sto e del Turpe, e così di altre Virtù morali e dei Vizi opposti”88. Nel Capitolo quinto dopo aver esacrato “l’empio sistema dello scelleratissimo Pietro Bá-yle”89 Marcucci afferma: “Non può idearsi una qualsivoglia Popolazione regolata in società, se per base e fondamento della sua Sociazione ed Unione non abbia uno stabile, fisso, ed immutabile principio e regolamento di buon Costume e di Virtù almeno morale, che la tenga legata nel Bene dell’Onestà e della Giustizia, e la allontani dal Male della sfrenata Rilassatezza e della impunita Ingiustizia. Or tutto ciò non accade fingerlo in un Popolo senza Religione e senza Dio”90. Dopo aver affermato che l’“Uomo Bestia” ateista, tende naturalmente al suicidio, è Egoista, “cioè amante soltanto di sé”, e tendenzialmente un “disperato”, elenca gli “Ateisti pratici ed affettati”, uo-mini “empi e scelleratissimi”: Vanini, Spinoza, Hobbes, Bayle, Collins, Rousseau, Voltaire, Mirabeau, Raynal91. Come si può notare mette insieme autori di diverso valore e notorietà, almeno ai nostri giorni. Concludiamo questa sommaria analisi del Ragionamento con una considera-zione di Elio Nevigari: “Il Marcucci rivela una concezione dell’Illuminismo come sistema filosofico escludente la religione dalla società; quest’ultima, privata dell’apporto educativo e regolatore della religione, cade in una libertà di pensiero e di azione immancabilmente sfrenata ed empia”92. Non è possibile qui dare una definizione dell’Illuminismo. Utilizzando il manualetto di Dorinda Outram93 si mostra solo che questo movimento “è stato definito in molti modi diversi …” e secondo il parere dell’Autrice, ciò tradisce “la fondamentale eterogeneità del concetto” 94. Per questo sarebbe

88 E. NEVIGARI, Il Ragionamento, cit., p. 199. 89 Ibid. p. 201. 90 Ibid. p. 201. 91 Ibid., pp. 202-203, passim. Indicazioni sommarie sui nomi dei filosofi contenuti in questo

elenco si possono trovare nel testo del Nevigari. 92 Ibid. p. 194. Vedi pure: ANDREA ANSELMI, L’«Orazione per l’Immacolata Concezione» di

Francesco Antonio Marcucci tra inculturazione e progettualità, in Maria Santa e Immaco-

lata segno dell’amore salvifico di Dio Trinità, Roma 2000, pp. 141 ss. 93 D. OUTRAM, L’Illuminismo, cit. L’opera della Outram ci dispensa dall’onere di fornire una

Bibliografia dell’Illuminismo, perché in Appendice il volumetto contiene, oltre ad un’uti-lissima Cronologia, un elenco di “Letture consigliate”, per chi “intenda approfondire le te-matiche affrontate nel volume” (ivi, p. 195 ss.).

94 Ibid. p. 7.

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un errore fermarsi a rilevare gli aspetti contro del Marcucci. Egli vive inte-ramente la sua età e sa coglierne anche gli aspetti positivi e stimolanti. La Outram nel capitolo ottavo del manualetto che abbiamo appena citato, si occupa di “Religione e Illuminismo”, e sostiene, citando Keith Thomas, che nel secolo XVIII vi fu una profonda alterazione dei valori religiosi “mentre prima Dio era visto come un potere che si muoveva al di fuori e di là della creazione, in seguito venne messo in risalto «il modo ordinato con cui Dio compiva le sue azioni agendo mediante cause naturali, accessibili all’indagi-ne umana»”95. Insomma a partire dall’inizio del Settecento non si verifica la scomparsa della fede religiosa, ma un cambiamento radicale delle concezioni religiose. Il secolo vede nascere un mutamento radicale del significato della Religione e del suo contesto. “Nei fatti - sostiene la Outram - l’Illuminismo produsse un’ampia gamma di risposte alla religione organizzata, dalla vio-lenta ostilità di un Voltaire ai vari tentativi di rafforzare l’ortodossia dimo-strandone la razionalità e l’armonia con le leggi naturali”96. Oltre a questo aspetto bisogna ricordare che il secolo XVIII conobbe la nascita di vigorosi movimenti religiosi, alcuni dei quali furono condannati dalla gerarchia catto-lica per eccesso di pietismo e di intransigenza morale97, ci riferiamo, per esempio al Giansenismo, che segnò anche l’adesione di eminenti personalità della cultura. Serafino Prete nella relazione, che propose per il 250° anniversario di fonda-zione dell’Istituto delle Concezioniste98, scrive che durante l’Illuminismo, che segna il dominio per non dire il trionfo della ragione umana, “I valori Dio, religione, autorità, tradizione sono rifondati su altre basi, indicate e get-tate dalla razionalità dell’uomo”99. E più avanti afferma “che alla fine del Seicento esiste un pre-illuminismo cui si può avvicinare la cultura cristiana. «La cultura illuminata e il cristianesimo non solo coesistono ma sono in simbiosi in alcuni dei più alti rappresentanti del pre-illuminismo»”100. Tra questi pre-illuministi Prete mette in evidenza, oltre al Genovesi, che già ab-biamo incontrato101, soprattutto il Muratori e S. Alfonso M. de Liguori. Monsignor Marcucci è senza alcun dubbio annoverabile nella schiera dei continuatori dell’uno e ammiratore e lettore dell’altro.

95 D. OUTRAM, L’Illuminismo, cit., p. 146. KEITH THOMAS, La religione e il declino della

magia: le credenze popolari nell’Inghilterra del Cinquecento e del Settecento, Milano 1985, p. 623.

96 Ibid., p. 149. 97 Ibid., pp. 157 ss. 98 SERAFINO PRETE, Cultura e religiosità nel Settecento, in Donna, cit., pp. 5-12. 99 Ibid., p. 5. 100 Ibid. 101 Cfr. p. 27 ss.

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Al Muratori lo legava sicuramente l’interesse per la storia in genere e per l’epigrafia in particolare, e del Muratori egli ammirava la cultura e il metodo di ricerca. Così scrive di lui: “Del rimanente il signor Lodovico Antonio Mu-

ratori, o scopertamente col nome suo proprio oppur copertamente abbia scritto col nome di Lamindo, o di Lampridi, o di Valdesio, o di altro; sebbene non in tutte le cose abbia colpito il vero (era alla fine un Uomo fallibile), non può negarsi però che non sia stato l’uomo dei cinque talenti, l’onor del Colla-rino, la gloria della nostra Italia, ed un letterato dottissimo, il più erudito forse, ed il più universale, che abbia avuto questo Secolo nostro fioritissimo; meritatamente perciò plaudito infin di là dai monti, e quel ch’è più, insin dagli Eretici stessi grandemente stimato”102. Del Muratori Marcucci condivi-deva la necessità di una riforma del clero. “Un clero - scrive Mario Sensi - pletorico, superfluo rispetto alle esigenze del culto, affaccendato in occupa-zioni spesso decisamente profane e non di rado accusato di non osservare la promessa di castità: accuse fondate, se l’episcopato si trovò costretto ad e-manare in materia circostanziate disposizioni sinodali”103. E così prosegue: “La cultura della stragrande maggioranza del clero di città conseguiva un modesto livello culturale, mentre la preparazione del clero di campagna il più delle volte sfiorava l’ignoranza vera e propria”104. Monsignor Marcucci si sente impegnato in quest’opera di rinnovamento e persegue l’obiettivo con l’attività missionaria che intraprende anche prima dell’ordinazione sacerdo-tale, percorrendo le Marche e l’Abruzzo a predicar Missioni, organizzandole in maniera capillare e dettagliata, tanto da meritare da Benedetto XIV nel luglio del 1742 il titolo di “Missionario apostolico”. Narrò inoltre in molte opere e in diversi modi quelle che egli chiama “Sante Missioni”105.

0.4. Ascoli Piceno nel XVIII secolo.

Richiamare per sommi capi un quadro delle condizioni di Ascoli Piceno nel XVIII secolo appare essenziale per delineare le opportunità e le occasioni che accompagnarono la formazione di Monsignor Marcuccci. 102 F. A. MARCUCCI, Orazione per l’Immacolata Concezione di Maria sempre Vergine, Ascoli

Piceno 1760, p. 64. Cfr. Positio cit., I, p. 519. Su i suoi legami con il Muratori e S. Alfonso M. de Liguori si rinvia all’articolo di S. PRETE Cultura e religiosità, cit., pp. 6 ss. Ricordia-mo qui di passaggio le postille che il Marcucci scrisse sulla prima edizione Della Regolata

Divozion de’ Cristiani, trattato di LAMINDO PRITANIO (pseudonimo del Muratori). A questo argomento abbiamo dedicato una nota in “Luci di Maria”, a. XXXVIII, n. 3, 2008, pp. 14-17.

103 MARIO SENSI, Educazione e cultura nell’Illuminismo cattolico: l’esempio di Marcucci, in

Donna, cit., p. 37. 104 Ibid. 105 F. A. MARCUCCI, Istoria delle Sante Missioni, Ascoli Piceno 27 marzo 1744, manoscritto

di 60 ff. (ASC 9). Cfr. Positio cit., I, pp. 227-264; pp. 425-471; A. ROSSI-BRUNORI, La vita, cit., pp. 31 ss.

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Ci limitiamo ad un quadro sommario, per il resto rinviamo ad alcune ricer-che illuminanti sull’argomento106. Partiamo dal giudizio del Marcucci su i suoi tempi. Nella polemica che lo contrappone al Cappuccino padre Stefano da Cesena sulla Primogenitura107, egli afferma che “gli Ascolani del presente secolo possono chiamarsi mori-

gerati, quieti, umili, divoti, caritatevoli, scrupolosi e Santi rispetto a quei che popolarono questa Città nei Secoli lagrimevoli precedenti. Non più ci regna-no in Ascoli (Grazie mille al misericordiossissimo Dio, all’Immacolata sua Madre singolar Padrona di questa Città, ed al nostro Protettor S. Emidio) quei lunghi sanguinosi Scismi che nei Secoli degli Antipapi ci regnarono: non più occupano la Cattedra Vescovile quei Pseudovescovi Ariani che nei tempi antichi a viva forza Cesarea ci furono intrusi: non più ci dominano i Goti e i Longobardi, che per tanti anni la tennero tiranneggiata: non più ser-peggiano l’esacrande Eresie, che per via di armi tumultuose osarono nei pas-sati tempi mantenercisi alquanto. Dove son più ora le fatalissime e ostinate Fazioni Guelfe e Gibelline con altre che a queste da mano in mano succedute con istragi continue? Dove più fra noi le ferali Guerre Civili sì lunghe, per cui né Chiese, né Chiostri, né Torri, né Case per porre in salvo la vita erano buone? Dove più in queste nostre Contrade gli ammutinamenti di centinaja e centinaja di Fuorusciti con Incendi e desolazioni frequenti e di Archivj, e di Case, e di Campagne, e per sino d’interi Villaggi? Dove ora la forzata viola-zione di Sacri Chiostri, i violenti rapimenti, gli scandalosi Concub...?”108. A riprova di questa descrizione del suo tempo e della sua città promette al Cappuccino di Cesena di scrivere ed effettivamente scrive un Saggio. “Siam’ora, per così dire, in un Paradiso rispetto ai Secoli precedenti, nei quali in Ascoli vedevasi un vivo ritratto dell’Inferno. Vi rimetto ad un SAGGIO DELLE COSE ASCOLANE, che a vostro riguardo ho pensato di aggiungere, come Appendice, sulla fine di questa Operetta”109.

106 Cfr: Positio, vol. I, pp. 121 ss.; S. PRETE, Cultura, cit., pp. 5 ss.; COSIMO SEMERARO Chiesa

e società durante i pontificati di Clemente XIV e Pio VI in Donna, cit., pp.13 ss.; FRANCO

LAGANÀ Nobiltà e società ascolana del Settecento in Donna, cit., pp. 23 ss. 107 FRANCESCO ANTONIO MARCUCCI, La Primogenitura difesa col suo Paregora operetta di un

Abate Ascolano, Teramo 1766. 108 Ibid. p. CXVIII. (I corsivi e i puntini di sospensione sono dell’Autore). 109 Ibid. p. CXIX. Il testo è [FRANCESCO ANTONIO MARCUCCI], Saggio delle Cose Ascolane e

dei Vescovi di Ascoli nel Piceno dalla Fondazione della Città fino al corrente Secolo deci-

mottavo, e precisamente all’anno mille settecento sessantasei dell’Era volgare Publicato Da un Abate Ascolano in Teramo MDCCLXVI. È in appendice a La Primogenitura, cit. Che il Saggio facesse “mostruosa figura di APPENDICE all’Operetta apologetica della Primoge-

nitura difesa” l’Autore ne è consapevole e se ne scusa con “il benigno Leggitore” nella premessa al Saggio, e pensa che “se mai questo SAGGIO avesse altra volta ad essere a parte premuto dai torchi, dovrebbe certamente spogliarsi affatto della mostruosità di APPENDICE”.

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1. LA FORMAZIONE DI MONSIGNOR MARCUCCI

1.1. La formazione umanistica.

Un contributo fondamentale alla formazione di base (cioè quella che corri-sponde all’attuale scuola primaria e secondaria) del Marcucci lo diede cer-tamente la famiglia110. Egli apparteneva alla nobiltà consolare ascolana, ed era considerato l’erede della sua tradizione culturale. Doveva intraprendere la carriera in quella professione giuridica, che aveva dato lustro a molti suoi antenati. Per tanto fin dalla prima fanciullezza gli fu impartita un’istruzione adeguata, che aveva come fulcro gli studi umanistici. A casa aveva a dispo-sizione “severi” maestri di latino, come confermano i suoi ricordi di ragazzo. Il primo documento nel quale ci parla della sua storia di studente è un poe-metto “festoso” intitolato Bertoldino sapiente. Vi si rappresenta il pedagogo Bertolduccio che cerca di insegnare senza tanta fortuna al fanciullo i primi rudimenti di latino. “È una simpatica operetta in poesia, composta in quarti-ne endecasillabiche, e improntata a una fine e sottile ironia contro il metodo ricorrente nelle famiglie benestanti di avvalersi, per l’educazione dei loro figli, di precettori sovente incompetenti e ignoranti. Il giovane autore, trami-te l’esercizio letterario di tono fiabesco, colpisce da un verso certa presun-tuosa e vanesia pedagogia e permette, da un altro, di individuare quale note-vole padronanza letteraria egli aveva raggiunto e di quale disposizione criti-co-introspettiva era già dotato”111. L’operetta porta la data del 1735, e nel testo si legge che è “parto di un indotto / Poetin di diciotto / anni”. Ma pro-babilmente essa fu rivista più tardi dall’autore che ne fece una “copia in puli-to”. Ciò lascia supporre anche il monogramma mariano del frontespizio. L’altra opera in cui Marcucci ci racconta episodi della sua vita di studente è La Primogenitura difesa. C’è una pagina del capitolo VI della Parte terza che ci fa capire molte cose della sua vita di scolaro e dei suoi rapporti con i Maestri che gli impartivano lezioni di Latino e di altre discipline. Leggiamo-la per ricavarne alcune informazioni importanti: “L’esser io insinora di Me-moria alquanto propizia fa che ben mi rammenti di certe Regolette Gramma-ticali, che nell’età mia tenera un mio Maestro di muso un po’ verdiccio, con labbra arricciate e con sempre una benedetta sferza alla mano, sul verbo Consulo (ch’è una parte della Metafisica dei Picciolelli) mi andava insinuan-do. Guarda bene, Bamboccio, mi diceva, che il verbo Consulo è di vario significato a tenore della varia costruzione, con cui lo regolarono i nostri

110 Per le notizie essenziali sulla famiglia del Marcucci si rinvia alla ricostruzione e alle in-

formazioni proposte dagli estensori della Positio (vol. I, pp.121 ss.) 111 Positio, cit., vol. I, p. 163.

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venerandi Latini del Secol di oro e di ariento. Coll’Accusativo significa prender Consiglio. Così lo usa Cicerone (e fagli riverenza) nelle sue Orazio-ni, nell’Epistole ad Atticum ed in quelle Familiari, nel libro de Officiis, de finibus, de Oratore, ed altrove; cosi pur se ne servono Cornelio Nipote, T. Livio, Svetonio, ed altri. Col Dativo poi importa provvedere, dar rimedio ec., come può osservarsi negli Autori predetti, ed anche in Terenzio, ed in Giustino. Et siccome volli far’ io alquanto del Dottorino con certe Regole moderne Sanziane, che avevo sentite, e che veramente più mi quadravano, mi furon buone le gambe, ma non tanto, che in fuggendo non cadessi per mia disgrazia in una vicina cloaca, e non venissi forzato con Crate Mallote ad essere Cloacinese. Onde capii ch’era più proprio per il Consulo col Dativo, affin di provvedere ai casi miei; in quella guisa che poi col Consule Con-

scientiæ tuæ (e non già Conscientiam tuam) suggerii a quel celebre Lettera-to, che ai casi suoi provvedesse. Di tali regole, come dissi, insinora ne ho viva Memoria. Ma se giungerò all’età vostra, sarò forse il primo a tuffarle nell’acqua di Lete. Perciò, ripeto, della dimenticanza non ne fo meraviglia. Attribuisco anzi una tal disgrazia al motivo ancora, perché noi Italiani usiam di attender allo studio della Lingua Latina negli anni troppo immaturi e pue-rili, che di tutto son colmi fuorché di soda riflessione e di bastevole discer-nimento; e perdiam l’età più bella in cose materialmente apprese senza go-dimento veruno. Io bramerei, che in qualche Casa Signorile, che abbia voglia e maniera di far ben educare i Figliuoli sotto il proprio tetto da prescelto Ma-estro, bramerei, dissi, che provasse di far apprendere ad un Figliuolo di sei in sett’anni i primi Rudimenti Gramaticali della propria natìa Lingua Italiana. Indi in Italiano pur se gli facesse studiar l’Epistolica (tanto trascurata nelle Scuole, benché la più necessaria), la Logica, la Rettorica, l’Ontologia, ed i primi Elementi della Cronologia e della Storia, comeppur della Geometria ed Aritmetica. Tuttociò studiato in Italiano, sull’età di dodici o quattordici anni, secondo l’Ingegno del Giovinetto, si mettesse per un par di anni allo studio fondato di Lingua Latina con una tintura di Greco. Indi allo studio delle Scienze reali, a tenor dello stato ed impiego, in cui volesse appigliarsi. Ottima ne crederei la riuscita. E perché no, se ottima in Francia l’hanno spe-rimentata, rispetto alla lor Lingua Franzese, molti dottissimi Cavalieri?”112. È la descrizione dell’ambiente scolastico in cui studia il Marcucci. Severi maestri, gelosi dei propri metodi, che non ascoltano, anzi castigano gli alun-ni curiosi e desiderosi di tecniche di apprendimenti moderni. Lo scarso at-taccamento, che spesso si rileva negli alunni, è dovuto alla sensazione di perdere “l’età più bella in cose materialmente senza godimento veruno”113. È una pagina che meriterebbe l’attenta riflessione di qualche pedagogista. Nel- 112 M. A. MARCUCCI, La Primogenitura, cit., pp. CVI-CVII. 113 Ibid., p. CVII.

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lo studio del latino è indicato come metodo più efficace, quello elaborato da Lancelot, autore del Compendio del Nuovo Metodo per apprender agevol-

mente la Lingua Latina, di cui parleremo più avanti. Insomma Marcucci aveva la sensazione di conoscere tutte le regole del latino, cioè di averlo ap-preso “materialmente”, ma di non averne ricevuto “godimento veruno”. Nel 1735, quando capì, che Dio l’aveva destinato ad un grande progetto: “Un solo impedimento allora egli conobbe, che si frapponeva alle sue fervorose idee, ed era il non aver impiegato nello studio quel singolare talento, che Iddio gli aveva donato: perciò, bramoso di risarcire al tempo perduto e ma-lamente speso, si risolvette, benché tardi, di rifarsi da capo allo studio, inco-minciando da sé a studiar la Grammatica Latina, e così poi da mano in mano gustando le altre Arti e Scienze, potendosi dire con verità, che non vi è stata Arte e Scienza Letteraria, che egli non abbia poi gustato”114. Insomma il Marcucci fu essenzialmente un autodidatta. “Di conseguenza, ampliando gradualmente le conoscenze e moltiplicando la frequenza di religiosi e di ambienti culturali attinenti, il suo bagaglio si arricchì e si consolidò. Egli, tuttavia, in ultima analisi, rimaneva ancora nella condizione di autodidatta, non frequentando con regolarità alcuna scuola e non dipendendo specifica-mente da alcun maestro; la questione rimane aperta, in quanto il SdD, pur aumentando le sue relazioni con le istituzioni religioso-educative presenti di Ascoli (Gesuiti, Francescani, Filippini, Domenicani) ed avvicinandone i ri-spettivi insegnanti, sembra poi fosse egli stesso a selezionare le fonti e i con-tenuti del sapere, sia pure sotto l’aiuto e la guida di più persone. È presumi-bile che, col tempo, la frequenza di detti ambienti divenisse più sistematica e ordinata”115

1.2. Le scuole di formazione.

Ma pur supponendo una formazione da autodidatta, è utile ugualmente cono-scere l’ambiente culturale nel quale si forma la personalità del Nostro. Lo spazio a disposizione non ci consente di approfondire l’argomento, che però è stato ampiamente illustrato da numerose ricerche alle quali si rinvia116. Poiché “tutte le istituzioni educative erano per lo più dirette e composte da ecclesiastici e da esponenti dell’aristocrazia cittadina”117, daremo alcune indicazioni sugli ordini religiosi che in qualche modo furono essenziali nella formazione del Marcucci.

114 F. A. MARCUCCI, Direttorio generale delle Costituzioni, n. 5, ASC., op. 117. 115 Positio, I, cit., pp. 174-175. 116 GIUSEPPE FUÀ, Gli studi in Ascoli Piceno prima del 1860, in GIUSEPPE CASTELLI, L’istru-

zione della provincia di Ascoli Piceno dai tempi più antichi ai nostri giorni, Ascoli Pice-no1899; S. PRETE, Cultura, cit.; Positio, I, cit., pp. 151 ss.

117 Positio, I, cit., pp. 156.

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1.2.1. I Gesuiti. Un merito particolare va riconosciuto all’impegno educa-tivo dei Gesuiti. Essi fondarono ad Ascoli il loro Collegio degli studi il 7 marzo 1613, in seguito alla Bolla del papa Paolo V, che assegnò alla loro cura la parrocchia di S. Venanzio e il possesso dell’annesso palazzo118. Te-nevano scuola in tutte le discipline, dalla Grammatica alla Teologia119. Nella vita del Marcucci i Gesuiti svolsero un ruolo molto importante. A un Gesuita fece la confessione generale, che sancì la sua decisione di cambiare vita e di “legarsi con Voto perpetuo di Castità”120; lo stesso Gesuita che poi lo con-vinse a non “farsi Religioso di San Francesco di Paola”, ma “Sacerdote Se-colare”. Così riuscì a seguire il disegno divino, e “che anche condiscendesse-

ro, ma non senza molte lacrime, i suoi Domestici”. E quando nel 1771, no-minato Vescovo di Montalto, rivolgeva la sua supplica a Ferdinando IV, perché la “Badia e Diocesi di Monte Santo in Abruzzo” era “annessa e in-corporata al Vescovato di Montalto”, dovette dichiarare di non aver “mai avuta segreta né pubblica intelligenza coi consaputi Religiosi esuli”, cioè i Gesuiti, espulsi dal Regno di Napoli121. 1.2.2. Gli altri Istituti religiosi. “Accanto ai Gesuiti operavano inoltre molti altri ordini e congregazioni religiose, sia maschili che femminili, come i Domenicani, con il loro Pubblico Studio di S. Domenico, e le loro tre catte-dre di Rettorica, Filosofia e Teologia, poi i Francescani, gli Agostiniani, i Filippini, l’Istituto delle Convittrici del Bambino Gesù, le Agostiniane del Buon Consiglio. Un ruolo notevole, nell’attività educativa e nell'istruzione, era svolto anche dal Seminario Vescovile con l’annesso convitto per giova-netti nobili”122. Sarebbe troppo lungo elencare i ruoli che religiosi dei vari ordini ebbero nella vita formativa di Monsignor Marcucci, citiamo per brevi-tà quanto dice egli stesso. “Primieramente adunque - scrive infatti - alla dot-tissima Compagnia di Gesù le grandi mie obbligazioni, e la mia venerazione e gratitudine a contestare qui sono, per l’ottima istituzione avuta e nell’Asce-tica e nella Vita Spirituale, e nello studio delle Divine Scritture, e spezial-mente nella Dottrina e nelle Opere del mio caro Santo di Sales [...]; non mi-nore obbligazione, stima, e gratitudine debbo [...] al dottissimo Ordine dei Predicatori ed alla dottissima Religione dei Minori Conventuali. Impercioc-ché a questa ultima son tenuto dell’ottima istituzione ricevuta nei primi ru-dimenti e delle Scienze Filosofiche, e della sacra Teologia Morale e della

118 G. FUÀ, Gli studi, cit., p. 118. 119 Positio, I, cit., pp. 158; G. FUÀ, Gli studi, cit., p. 118. 120 F. A. MARCUCCI, Istoria della fondazione della Congregazione delle religiose dell’Imma-

colata Concezione di Ascoli, in Direttorio, cit., Paragrafo Primo, 4. 121 F. A. MARCUCCI, Alla Sacra real Maestà, cit. 122 Positio, I, cit., p. 158.

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Pagina 139 del manoscritto de Il Saggio

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Dogmatica, e spezialmente del prediletto e così caro Trattato De Immaculata

Virginis Conceptione”. Ai Domenicani pure dichiara di essere “obbligatis-simo dell’ottima istituzione avuta nei primi rudimenti e della Sacra Teologia Scolastica, e della incomparabil Dottrina del mio prediletto Angelico Dottor San Tommaso”123.

1. IL SAGGIO DELLA PROSODIA LATINA.

2.1. Struttura dell’opera.

Il Saggio è firmato da Lotemia Conca124 Accademica Concezionista, ed è “diretto alla Reverendissima M. Prefetta”. Oltre a “Lotemia Conca” Marcuc-ci usa molti altri eteronimi nelle sue opere125. L’opera fu scritta il 23 agosto 1749126. È uno di quei manuali, che Marcucci scrisse per le Suore, subito dopo la fondazione della Congregazione delle Pie Operaie dell’Immacolata Concezione. Quando “si risolvette di istituirlo [lo studio letterario] dentro la Congregazione; e di far egli stesso da Maestro tre volte almeno la settimana: dando intanto ordini pressantissimi, ch’egli voleva tre cose; cioè la prima, che ogni Religiosa parlasse sempre puntutamente in Italiano, si astenesse dal tutuizzare, e da certi altri termini rozzi e popolari: la seconda, che ciascuna imparasse a mente la Dottrina Cristiana del Bellarmino: le terza, che le Mae-stre ed altre prescelte incominciassero a studiare i primi Rudimenti Gramma-ticali della Lingua Latina, ch’egli avrebbe loro spiegati”127. È un delizioso libricino, oggi diremmo un tascabile. È composto di 166 pa-gine, diviso in XLIII capitoli e due Appendici. La prima Appendice tratta la quantità dei nomi patronimici, la seconda la Prosodia e la Poesia italiana. Ogni capitolo è suddiviso in paragrafi. La materia è distinta in quattro parti: dal Capo II, al Capo VIII, la Metrica; dal CAPO IX al CAPO XVI la Proso-

dia; dal Capo XVII al Capo XLII (nella numerazione è stato saltato il XXXVII) le Regole particolari per stabilire la quantità delle sillabe; e in fine

123 F. A. MARCUCCI, Riflessioni istoriche sopra la dottrina e le opere di S. Francesco di Sales,

Ascoli 3 nov. 1759, (ASC 44) 24, 5-6. 124 Nel “Selectio Metrica”, (di cui parleremo più avanti), che fa da corredo al Saggio, è lati-

nizzato in “Lauthemia Conca”, e potrebbe significare “vaso ricolmo” di sapienza. 125 A Faminio Dicánori sono attribuiti i trattati Dell’Arte del Sapere, Saggio della Matemati-

ca, Dissertazione sopra il sapone; ad Alitólogo Eclettico Il Saggio della Enciclopedia, e al-tri eteronimi s’incontrano tra i suoi manoscritti (Nicola Amato Cezomino, Lotemia Cezomi-na Conca, ecc.).

126 La data indica forse l’inizio della stesura. Il completamento ha sicuramente richiesto più giorni. Si può ipotizzare che la realizzazione sia durata almeno una settimana. Infatti la pri-ma Antologia, la Selectio metrica, che, come vedremo, è strettamente legata al Saggio, porta la data 6 settembre 1749, mentre la seconda De vita, et operibus Jesu Christi Servatoris no-

stri. Excerptio metrica è datata 6 ottobre 1749. 127 Direttorio generale delle Costituzioni, paragrafo VIII, 3, ASC, op. 115.

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al Capo XLIII le Regole per determinare la quantità delle sillabe dei nomi e

dei Cognomi moderni, non usati dagli antichi, e di “alcune abbreviature dei vocabolari di Prosodia”. Il CAPO PRIMO funge da Introduzione.

2.1.1. Il Manoscritto. È formato da quattro fascicoli cuciti fra loro e legati con un filo di refe a un cartoncino comune, che fa da copertina. Il cartoncino sulla parte esterna è ricoperto con carta da parato a fiori dorati, mentre sulla parte interna il cartoncino è a vista. Il dorso è rinforzato con un pezzo di car-ta da parato diversa per disegno e colore, e con cuciture per arrotondarlo e collegarlo ai quattro fascicoli del volume. Le dimensioni dei fascicoli sono le seguenti: cm. 14,2 di altezza e cm. 10 di larghezza. I fascicoli sono di gran-dezza diversa per numero dei fogli che li compongono. Il primo fascicolo contiene 13 fogli. La numerazione inizia dalla prima facciata del secondo foglio. La prima facciata del primo foglio contiene il frontespizio, senza nu-mero con l’indicazione in alto del titolo: SAGGIO DELLA PROSODIA LATINA, del destinatario: R.ma M. Prefetta, dell’autore: Lotemia Conca Accademica Concezionista. In basso è indicata la data di composizione: Sabbato 23. Agosto 1749. Al centro, tra l’autore e la data, è disegnato con abilità il Monogramma dell’Immacolata Concezione, che si ritrova in tantis-sime opere del Marcucci, con poche variazioni di tratto128. La seconda fac-ciata del primo foglio è bianca. Ai primi due fogli del primo fascicolo sono state tagliate due pagine129, pertanto la numerazione del primo fascicolo va 1 a 46. Il secondo fascicolo è composto in realtà da due fascicoli cuciti uno dentro l’altro: il primo di 8 fogli, il secondo di 4, la numerazione pertanto va da 47 a 94. Il terzo fascicolo va da pagina 95 a pagina 122 ed è di 7 fogli. Il quarto è formato da 11 fogli, è numerato da 123 a 166. Non avanzano pagine bianche. I fogli sono di carta comune, spessa e resistente. Risulta ruvida al tatto ed è simile per tipologia alla carta che il Marcucci usa negli altri suoi manoscritti, e quasi certamente essa proviene dalla cartiera papale di Ascoli Piceno, ora dismessa e trasformata in museo130. La scrittura è sempre nitida e

128 Il Monogramma è composto di una grande M che poggia su una mezzaluna, ed è incorona-

ta da una grande Omega, che ha al centro una stella a nove punte. Alla M è sovrapposta una V rovesciata, le cui aste s’incrociano con quelle centrali della M e formano una losanga, all’interno della quale sono disegnate altre due losanghe minori.

129 Il motivo del taglio non è facile individuarlo. Da un attento esame si desume che le pagine erano state già scritte. Forse l’autore, per eliminare una serie di errori, ha preferito ricopiare quelle pagine, eliminando quelle sbagliate.

130 Ad Ascoli Piceno si fabbricava carta fin dall’Alto Medioevo. “Nel 2000 una importante opera di recupero ha riportato alla vita l’antica cartiera pontificia di Ascoli, grande costru-zione in travertino voluta personalmente da Papa Giulio II negli anni iniziali del XVI seco-lo, e alla cui realizzazione contribuirono due grandi architetti dell’epoca, Alberto da Piacen-za e Cola dell’Amatrice.” (FEDERICO ORLANDI, La Cartiera papale di Ascoli Piceno, dal sito web della Cartiera).

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bella. A volte, se si confronta con la stampa dell’epoca, si ha l’impressione che i suoi testi è meglio leggerli manoscritti che a stampa. Non c’è traccia tra i suoi manoscritti di una minuta di questo Saggio, pertanto è da ritenere che egli abbia composto il manualetto di seguito, tenendo a portata di mano le fonti da cui ricavava le diverse informazioni. Perché, è certo, il testo è la sintesi di informazione che l’autore traeva dai diversi libri dell’epoca. Più avanti esamineremo le fonti da cui trae le sue informazioni. La carta per lo più ha conservato bene la scrittura. Solo alcune pagine dell’ultimo fascicolo appaiono macchiate: l’inchiostro ha impregnato la carta confondendosi con la scrittura della facciata opposta131. Sicuramente ciò è dovuto all’umidità che può aver assorbito nel tempo, e ai maneggiamenti che ha sopportato. Il libricino, abbiamo detto, è stato composto di seguito e senza molti ripensa-menti. Le correzioni e le aggiunte sono poche, anche in rapporto alla mole del manoscritto e all’impegno “scientifico”, che la materia esigeva132. La

131 In particolare le seguenti pagine: 123-124, 125-126, 127-128. Poi alcune parti delle pagine

147-148, 151-152, 163-164, 165-166, ecc. 132 Nel frontespizio dopo “M. Prefetta” è stata cancellata una parola (forse) “Magistra”; p. 1,

r. 2: Cancellatura (c): (metodica?); p. 4, r. 10: Sostituzione (s): mono = uni; p. 6, r. 19, c: quindi verso; p. 7, rr. 3-4-5: c e di queste per lo più attende (?), quindi ai piedi della Misura che in sostanza la stessa che il Piede e il Metro; p. 9, r. 15: s Molosso (?) = Tribraco; r. 15: c ?; p. 10, r. 18: c costimessa; p. 13, r. 18: c qualità; p. 17, r. 6: c; p. 24: aggiunta trasversale di due righe; p. 25, rr. 5, 22: c giambico, avendo; p. 27, rr. 12, 14, 15: c; p. 28, r. 1: s quattro = tre; p. 31, r. 8: c; p. 34, r. 3: s piede = verso; p. 36, r. 17: c; p. 39, r. 5: s per = in; rr. 14, 15, 16: c; 16: s sua; 17: c; p. 41, r. 19: c; p. 43, r. 13: s: per mezzo = in virtù; p. 48, r. 6: c; r. 8: s Iato = Cacofonia; p. 50, r. 20: c; p. 51, r. 15: c; p. 52, r. 20: s è = vien; p. 58, r. 21: c; p. 59, r. 15: c e, s Salūber = e in; p. 60, rr. 6, 8, 14: c; p. 63, r. 19: s ? = propĕ; p. 64, rr. 10, 13,16, 17: c; p. 65, rr. 8, 11, 20, 23: c; p. 67, r. 4: s fosse = sia; rr. 5, 6, 14: c; p. 68, r. 4: ag-giunta laterale richiamata da un +; rr. 6, 8: c; r. 15: s può = possono; p. 69, rr. 9, 12, 13: c; p. 70, r. 11: c; r. 20: s sono = hanno l’j; p. 73, r. 8: c; p. 77, r.17: s composti = derivati; p. 80, r. 8: c; p. 81, r. 2: s nel = in un; r. 6: c; p. 83 r. 1: s fine = altro tempo; fra le rr. 3, 4 e r . 15, : c; r. 19: s possono = può; p. 87, r. 10: s regola = precetto; p. 89, rr. 4, 16,17: c; p. 91, r. 5: c; p. 92, rr. 11, 12: c; p. 95, rr. 14, 15: s ? = Infernas nātis, Supernas nātis, che usò Plinio; p. 90, r. 19: c; p. 100, r. 10: s breve(?) = lungo; p. 102, rr. 12, 13, 23: c; p. 103, rr. 1, 8: c; p. 105, r. 4: c; p. 107, r. 4: c; rr. 14. 15: s secondo = terzo; p. 108, r. 4: aggiunta laterale richiamata da un +; p. 113, r. 4: c; p. 114, r. 2: s come = per; r. 9: c; p. 115, r. 18: c; p.116, rr. 7, 10, 11: c; 117, rr. 4, 5: s sono le Acque = è la fonte; p. 118 rr. 7, 19: c; p. 121, r. 16: c; p. 122, r. 16: s ? = congiunzione; r. 16: c; p. 123, rr. 6, 17: c; r. 15: s ? = insegna; p. 125 r. 5: c; r. 7: s ? = Davĭd, &c; p. 126, r. 22: c; p. 130, r. 12: c; p. 121, r. 7: s ? = molti; p. 133, rr. 1, 11, 12, 13, 14, 15: c; rr. 11: s ? = dicono; r. 19: s Dea = figlia; p. 137, rr. 4, 5: s ? = Typhóĕŏs; rr. 13,14: c essendo lunghi gli altri casi plurali; rr. 21, 23, 24: c ?; p 138, rr. 1, 11, 15, 22: c; p. 145 rr. 8, 9, 10: c; p. 146, r. 9: c; p. 147, r. 12: c; r. 17: s ? = Nerínes; p. 151, r. 6: c; p. 153, rr. 13, 19: c; p. 154, r. 3: aggiunta laterale richiamata da un +; p. 156, r. 14: s ? = quasi; p. 159, rr. 4, 5, 7: c: nella sua essenza; allo; ?; r. 20: s cosa = epiteto, o cosa; p. 161, rr. 4, 13: c; r. 17: ? = spezie; p. 162, r. 9: s per = per li; r. 11: s che = nelle quali; p. 163, r. 14: s dello stesso per-fetto = dei suddetti; p. 164, rr. 7, 13: c; p. 165, r. 8: c; p. 166, rr. 4, 12, 15, 16: c; r. 15: ? = così non si elidono; r. 15: aggiunta laterale richiamata da un ≠.

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forma è sempre chiara, piana ed efficace, e sorprende la modernità della lin-gua. La sintesi offerta delle norme della Prosodia latina è ampia e attenta a tutte le tendenze espresse dai filologi contemporanei, di cui si dà un’ampia panoramica. Ora vediamo i contenuti essenziali del Saggio.

2.2. Contenuto dell’opera.

Il Saggio della Prosodia è diviso in tre parti con un’Introduzione e due Co-rollari finali. Le diverse parti sono individuate con un sistema ingegnoso, che a prima vista non è evidente133. L’Introduzione si occupa “dell’essenza e della necessità della Prosodia”. Si afferma che la conoscenza della prosodia è necessaria per “l’orazione pro-saica”, e indispensabile per “l’orazione legata o sia metrica”134. Cioè serve al poeta come al prosatore, perché dà le regole dell’accento, del tono e della quantità delle sillabe. Il Capo II può essere considerato un’introduzione a quella parte che i trattati-sti moderni chiamano propriamente Metrica. Vi si discorre “Della Sillaba e dei suoi Accidenti”. Dopo aver definito la sillaba come l’unione di più lette-re, se ne indicano gli “accidenti”, cioè il tenore o accento (acuto, grave, cir-conflesso), lo spirito135 (aspro e dolce), il tempo o quantità (breve, lunga e comune) e il numero delle lettere (monogramma, digramma, trigramma, te-tragramma, pentagramma, esagramma). Il monogramma è una sillaba im-propria, perché è composta solo da una vocale e quindi manca l’elemento di “comprensione o aggregato” del termine greco συλλαβή136.

133 La suddivisione in tre parti è evidenziata dal Marcucci con una diversa grafia dei capitoli

delle singole parti. Introduzione: CAPO PRIMO; La prima parte: Capo II, ecc; La seconda parte: CAPO IX, ecc.; La terza parte: Capo XVII, ecc.; Corollario I, Corollario II. Questa diversa grafia all’inizio c’era sembrata un capriccio e una casualità. Poi ci siamo accorti che in Marcucci quasi nulla è lasciato al caso o all’improvvisazione.

134 Il Saggio della Prosodia Latina, p. 91. [L’indicazione delle pagine fa riferimento alla

presente edizione]. 135 Forse il richiamo allo spirito, più proprio della lingua greca che di quella latina, lo deriva

dal Manuzio, cfr. ALDI PII MANUTII Grammaticarum Institutionum libri IV, Venetiis 1575, lib. I, p. 4: “Syllabae quot accidunt? Quattuor, tenor, spiritus, tempus, et numerus” (Quanti

sono gli accidenti della sillaba? Quattro, tenore, spirito, tempo, numero.) 136 Marcucci legge Syllabì, (v. Il Saggio, cit., p. 92), perché nella lettura del greco segue il

cosiddetto itacismo o iotacismo (la lettera η è pronunciata ī, come pure la υ, e i dittonghi ει e οι). Questa indicazione nella pronuncia greca fu usata dagli studiosi fin oltre la metà dell’Ottocento, ed è detta anche reucliniana dall’umanista tedesco J. Reichlin (1455-1522) e si avvicina alla pronuncia greco-bizantina e a quella del greco moderno. Fu adottata anche dalla Chiesa (Κύριε ελέησον pron. Kírie eléison). Oggi è diffusa la pronuncia erasmiana, propugnata da Erasmo di Rotterdam (1467-1536), e consiste nel pronunziare il greco così come è scritto, il cosiddetto etacismo, perché legge la η come una ē, ecc.

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Partendo dalla definizione di Verso, nel Capo III, si esaminano i piedi o le misure che lo compongono. I Piedi si distinguono per il numero delle sillabe da cui sono formate. Quelli di uso più comune sono i disillabi, cioè di due sillabe, e i trisillabi, di tre sillabe. I piedi necessari per fare qualunque verso sono i disillabi spondeo e trocheo, e i trisillabi dattilo, anapesto e tribraco. La cesura “taglia e sega il Verso in più parti”137. Un verso, in cui ogni parola coincidesse con un piede, mancherebbe di armonia: la cesura taglie le parole e le lega nell’armonia del verso, segnando le pause. La cesura può essere triemimeri, cioè cade dopo il primo piede, pentemimeri, dopo il secondo piede, eftemimeri, dopo il terzo piede, eneemimeri, dopo il quarto piede. In rapporto alla qualità e alla specie i versi noti agli autori latini sono tredici: l’esametro, o verso eroico, il pentametro, o verso elegiaco; e i versi lirici: il giambico, il coliambico o scazonte, l’anapestico, l’alcaico, il trocaico, l’esclepiadeo, il gliconico, il ferecrazio, il saffico, l’adonico, il faleucio. Pur se è necessario conoscere le forme di tutti versi, i principianti (quelli per cui il Marcucci scrive Il Saggio) devono conoscere soprattutto l’esametro, il pentametro e il giambico. E l’esametro e il pentametro sono “i più belli tra tutti, e i più maestosi”138. Si invita poi a evitare i cosiddetti esametri leonini, cioè gli esametri con la rima. In fine si avverte che il pentametro è di solito usato insieme all’esametro. Tra i versi lirici, a parere del Marcucci, i più importanti sono il Giambico e il Coliambico. La prima distinzione da fare è che essi, quando al numero delle sillabe, possono essere perfetti o imperfetti. Il verso perfetto è quello che conserva tutti i suoi piedi, l’imperfetto è il cosiddetto catalettico cioè “che manca o soprabonda di piedi”139. Nella trattazione dei versi lirici, molto am-pia e dettagliata, forse la parte più interessante è quella in cui l’autore si oc-cupa della metrica dei componimenti religiosi Analizzando la metrica degli Inni sacri, i cui autori più importanti secondo il Marcucci sono Venanzio Fortunato, Elpide, S. Bernardo di Chiaravalle, S. Ambrogio e S. Tommaso, annota che spesso gli Innografi trascuravano la metrica per essere più ade-renti al significato. A correggere queste imperfezioni metriche provvide il Pontefice Urbano VIII, “che diede un miglior metro a tutti gli Inni sacri”140. Questa parte riguardante la metrica si conclude con la distinzione dei com-ponimenti poetici in rapporto ai tipi di metri usati e con l’analisi delle “figure

137 Il Saggio, cit., p. 94. 138 Ibid., p. 97. 139 Ibid., p. 99. 140 Ibid., p. 23. Cfr. S. AMBROGIO, Inni, introduzione, traduzione e commento di Antonio

Bonato, Milano 1992. Il testo contiene un’ampia introduzione e una dettagliata bibliografia generale che può essere utile per un quadro d’insieme sull’argomento. Vi sono anche rife-rimenti agli aspetti metrici degli Inni di S. Ambrogio e degli altri autori. Cfr. CONCETTO MARCHESI, Storia della Letteratura latina, vol. II, Milano 1964, pp. 464-489.

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poetiche, che si incontrano nella scansione o sia misura dei versi”141. Del-le”varie sorti dei Poemi” l’autore tratta brevemente. Delle figure metriche dice che esse sono necessarie per scandire il verso. Possono essere necessità

metriche o licenze poetiche. E sono: l’Ettassi o Diastole, la Sistole, la Sinere-

si e la Dieresi; la Sinalefe e l’Ectlissi “si comprendono sotto il nome di Eli-sione”142. Con il CAPO IX iniziano la seconda e la terza parte del Saggio. La trattati-stica moderna le indica con il termine Prosodia. Per stabilire la quantità delle sillabe, annota il Marcucci, bisogna prima definire la posizione che esse oc-cupano nella parola: Prima, Media, Ultima Sillaba. Le norme per conoscere la quantità delle sillabe sono otto: “La Vocale innanzi all’altra, che si chia-ma Concorso di due vocali in una voce; il Dittongo, la Posizione, la Proposi-

zione, la Composizione, la Derivazione, l’Esempio dei buoni Poeti, e la Re-

gola particolare”143. Queste norme valgono prima di tutto per le Prime silla-be. Quattro di esse: La Vocale innanzi all’altra, il Dittongo, la Posizione e l’Esempio dei buoni Poeti valgono anche per le medie e per le ultime sillabe, che sono dette anche Regole comuni e universali. Infine ci sono le regole particolari “che riguardano i Preteriti, e i Supini, l’Incremento dei Verbi e dei Nomi, e le ultime Sillabe”144. Queste sono le parti più ampie e più dettagliate del Saggio ed è perfettamen-te inutile tentare di riassumerle, perché vi si intrecciano regole, eccezioni e ipotesi contrapposte. Le lasciamo all’attenzione del lettore più curioso. Ci interessa soffermarci su alcuni capitoli particolari, perché da essi si ricavano alcune informazioni importanti. Il primo è il CAPO XVI. Può essere considerato una sintesi velocissima del-la Storia della Letteratura latina. Per illustrare quella che il Nostro ritiene la regola più sicura sulla quantità delle Sillabe, cioè “l’esempio e l’autorità dei buoni Poeti Latini”145, ci viene proposto un “canone” dei “buoni poeti”. L’elenco segue la ripartizione classica, che all’epoca poteva contare sull’autorità del Facciolati e del Forcellini146, età di Oro, ed età di Argento. I Poeti del Secolo di Oro sono Ennio, “di metro benespesso ridicolo”, Pacu-

vio, Cecilio, Nevio, Lucilio, Accio, Afranio, Valerio Flacco: “di tutti questi non se ne trovano altro che frammenti”; poi seguono Papinio Stazio, Plauto

141 Il Saggio, cit., p. 100. 142 Ibid., p. 108. 143 Ibid., p. 113. 144 Ibid. 145 Ibid., p. 123. 146 JACOBI FACCIOLATI, Orationes XII Acroases, Dialecticæ Epistolæ Philologicæ, Patavii,

MDCCXXIX, pp. 387 Septem Linguarum Calepinus, hoc est Lexicon Latinum, Latini Scrip-tores in suas ætates distributi, Patavii MDCCCCLVIII; Totius Latininatis Lexicon opera et studio AEGIDII FORCELLINI, Prati 1868-1870 (ultima edizione), pp. LXXVIII-LXXIX.

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“comico ma alquanto duro”, Terenzio “di tersa latinità”, Virgilio “Principe dei Poeti”, Orazio “Principe dei Lirici”, Catullo “alquanto duro di metro”, Lucrezio “buon Arcaista”, Tibullo, Properzio, Ovidio “bravo”. I Poeti del Secolo di Argento sono Marziale “bravo”, Lucano “spesso di stile gonfio”, Anneo Seneca “Principe dei Tragici”, Floro, Persio, Giovenale “di stile mi-gliore di Persio”. Poi aggiunge i nomi di due donne: Sulpizia e Proba Falco-

nia quest’ultima è da collocare “nel Secolo di bronzo”147. Il Capo XLII lo segnaliamo perché, esaminando le “ultime Sillabe finite in S”, si cita il nome Illiăs liados, o Iliăs, e Marcucci scrive: “Iliade, Poema famoso di Omero, benché tedioso per la troppa lunghezza, costando di 23 (sic) volumi, da cui n’è nato quel Proverbio, Più prolisso dell’Iliade”148. A parte l’indicazione di “23 volumi”, che può essere sicuramente considerato un “lapsus calami”, risulta evidente che il Marcucci non aveva una diretta conoscenza dell’opera di Omero: nella biblioteca storica non ve n’è traccia, e pertanto il suo giudizio si lega direttamente alla tradizione critica che prevale fino al Settecento. La figura di Omero appare secondaria e la conoscenza delle sue opere o a lui attribuite è sempre indiretta. Nel Settecento inizia la sua rivalutazione e va sotto il nome di “Questione omerica”. Uno dei fautori di questa “scoperta del vero Omero” è proprio Giambattista Vico, che dedica il terzo libro della sua Scienza nuova a quest’argomento149. Il “Capo XLIII ed ultimo” è dedicato ad alcune indicazioni sulla quantità delle sillabe dei Nomi propri e dei Cognomi sconosciuti ai Poeti antichi. Qui l’autore dà alcune regole, derivandole direttamente dal Bonciario150. Nella seconda parte dello stesso capitolo illustra le abbreviazioni che si incontrano nei Dizionari Prosodici, di cui raccomanda l’uso, perché attraverso di essi “e coll’esercizio, potrà perfettissimammente acquistarsi, ed essere di ottimo fondamento tanto pel buon parlar Prosaico che Poetico”151. Il dizionario pro-sodiaco a cui fa riferimento è il Regia Parnassi

152. Del testo nella Biblioteca

147 Il Saggio, cit., pp.74-76. Su Proba Falconia vedi p. 84 e ss. Su Sulpizia vedi p. 103. 148 Ibid., p.148. 149 La prima edizione dell’opera vichiana è del 1744, ed è ignota al Marcucci quando scrive il

Saggio. Sulla questione omerica rinviamo al Disegno storico della letteratura greca di GÉNNARO PERROTTA, Milano 1960, pp. 8-14. Cfr. L’enciclopedia multimediale Wikipedia, alla voce “Questione omerica” .

150 MARCI ANTONII BONCIARII, Grammaticæ Institutio, Laureti MDCCLXXIII, pp. 121-122. Questa edizione è nella Biblioteca storica, ma è posteriore alla redazione del Saggio; si deve supporre che Marcucci avesse un’altra edizione della stessa Grammatica del Bonciario.

151 Il Saggio, cit., p. 151. 152 Regia Parnassi, seu Palatium Musarum in quo Sinonyma, Epitheta, Periphrases, et Phra-

ses Poëticæ,ex Officinâ Textoris, Delectu Epithetorum, Scalâ Parnassi Arte Poëtica, The-

sauro Poëtico, & Elegantiis Poëticis: Historiæ, Explicationes, & Fabulæ ex Dictionario

Historico-Geographico-Poëtico excerptæ, ordine Alphabetico continentur, Auctore P. V. Soc. Jesu. Venetiis MDCCXXXV. Ex Typographia Balleoniana

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storica esistono due edizioni. La prima è stata attentamente postillata dal Marcucci, e da essa egli ha derivato alcuni esempi e definizioni153. Il Saggio termina con due Corollari. Il primo si occupa dei Patronimici. L’autore afferma di non voler tralasciare questo argomento perché i poeti spesso nelle loro opere se ne servono154. Sono chiamati così perché per lo più derivano dai nomi dei Padri. In realtà si possono formare da qualsiasi di-scendente, e sono degli aggettivi gentilizi, almeno a parere di una delle fonti principale del Nostro: Álvarez155. I Patronimici possono essere maschili e femminili e seguono la flessione delle prime tre declinazioni latine. Il primo corollario si conclude con esempi di declinazione. Certo di maggiore interesse è il secondo Corollario. Si occupa di Prosodia e Poesia italiana. Partendo dall’affermazione che “La nostra Italiana Favella […] tralle Lingue tutte porta il vanto di esser la più sonora, e più grata all’orecchio” 156, afferma che pur se qualcuno si è occupato di scrivere “no-bili e meravigliose grammatiche”, e tra questi ricorda il Buommattei157 e il Gigli158, nessuno ancora si è occupato sistematicamente di Prosodia. Il moti-

153 Le annotazioni autografe sono nelle pagine che seguono al frontespizio e alla premessa “Al

lettore”. Queste pagine non hanno numerazione, ma complessivamente sono 29. La nume-razione comincia con il Dizionario vero e proprio e s’intitola Dichiarazione dei versi più

usuali, e dei piedi, che li compongono. Sopra al titolo di questa parte il Marcucci ha scritto “Per la lettura precedente circa la metà della Prosodia” (Frase un po’ sibillina!). Tutta la ma-teria contenuta in questa Dichiarazione è stata numerata da 38 a 85. Alcune parti sono state sottolineate e postillate. Quando si parla del Verso scazonte, Monsignore corregge con scas-

sonte e aggiunge “o Coliámbo”. Alla fine di questa parte annota: ”Da qui si passa alla Sino-

psi della Poetica nella fine di questo Libro”. Le annotazioni e la numerazione (da 86 a 100) riprendono a pagina 846 della Regia, con la premessa “Per lettura precedente in fine della Prosodia”.

154 Il Saggio, cit., p. 151. 155 EMMANUEL ALVARUS, Grammatica, ex Typographia Remondini, Venetiis 1722 (?), p. 325:

“Multa a Regionibus, Urbibus, Montibus, Fontibus, Fluviis, aliisque rebus fiunt, quæ for-mam quidem Patronymicam habent, re autem vera Gentilia sunt, aut pro Possessivis, Adjec-tivisque nominibus ponuntur” (Molti [Patronimici] si formano dai nomi di Nazioni, di Città, di Monti, di Fonti, di Fiumi, e da molti altri nomi, che pur avendo la forma di Patronimici sono in realtà gentilizi o con funzione di aggettivi possessivi e qualificativi).

156 Il Saggio, cit., p. 156. 157 BENEDETTO BUOMMATEI, Della lingua toscana, Firenze 1643. Nella biblioteca storica (n.

453) c’è di questo libro l’edizione del 1744. Benedetto Buommattei visse a Firenze tra il 1581 e il 1648. Fu segretario dell’Accademia della Crusca. Il trattato Della lingua toscana in due libri è di grande interesse: “Si introduce per la prima volta nei nostri studi grammati-cali il logicismo e l’intellettualismo; ciò spiega la fortuna di cui godette l’opera di B., più volte ristampata nei secoli successivi”: MARCO PERUGINI, Buommattei Benedetto, in Lette-

ratura italiana. Gli autori, Torino 1990, p. 380. Cfr. La Vita di Benedetto Buommattei scrit-

ta da Dalisto Nargeate Pastore Arcade, in B. BUOMMATTEI Della lingua Toscana, Verona 1774, pp. 1-29.

158 GIROLAMO GIGLI, Regole di toscana favella, Roma 1721; ID., Lezioni di lingua toscana, Venezia 1729. Girolamo Gigli visse dal 1660 al 1772, passando da Siena, dove era nato, a

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vo è che spesso si afferma che “non può in tutto ristringersi a legge una lin-gua viva”159. Eppure è necessario stabilire delle norme soprattutto perché “non può la nostra Favella esser solo regolata da una Provincia, ver. gr. dalla Toscana”160. È sicuramente un concetto essenziale, perché postula l’unità linguistica che deriva dall’apporto di tutte le realtà territoriali dell’Italia, anche se la politica non ha ancora trovato le ragioni dell’Unità. Si parte, per definire le regole della Prosodia, dai principi fondamentali della Retorica, cioè l’Invenzione, la Disposizione e l’Elocuzione, per ciascuna di esse si danno indicazioni. E poiché regola fondamentale di ogni Prosodia è la “lettu-ra dei buoni Poeti”, si propone un canone dei “buoni Poeti Italiani”. “Princi-pe” dei poeti è il Petrarca. Dante “è alquanto duro”161. Si prosegue con nomi noti e meno noti: Bembo, Sannazaro, Della Casa, Tasso, Ariosto, Guidiccio-

ne, Molza. E poi i contemporanei: Testi, Chiabrera, Filicaia, Lemene, Redi, Zappi, Manfredi, Orsi, Maggi, Gigli e si finisce con il gesuita Cerasola

162.

Roma e a Viterbo. I suoi numerosi spostamenti sono determinati da contrasti religiosi, civili e culturali. Fu prima membro dell’Accademia della Crusca, ma fu costretto a lasciare la ca-rica per polemiche, e poi dell’Arcadia. Si occupò di teatro e di grammatica. Cfr. SIMONA FO, Gigli Girolamo, in Gli Autori, cit., p. 893; LUCIDA SPERA, Gigli Girolamo, in Dizionario

Biografico degli italiani, ad vocem, Roma 2000, pp. 676-679. 159 Il Saggio, cit., p. 156 160 Ibid. 161 Ibid. p. 161 162 È sicuramente inutile dare indicazioni biografiche e critiche dei poeti più importanti della

letteratura italiana, come Dante, Petrarca, Bembo, Sannazaro, Della Casa, Tasso, Ariosto. Preferiamo rinviare a una buona Storia letteratura italiana, come quella diretta da E. Cecchi

e N. Sapegno, appena ristampata e aggiornata, Milano 2005; o a quella più “tecnica” dell’editore Salerno ideata e diretta da ENRICO MALATO, di ben 18 volumi di grande forma-to. Qualche informazione potrebbe essere utile per alcuni autori meno noti come Giovanni Guidiccioni, nato a Lucca nel 1500, e morto a Macerata nel 1541, amico di Annibal Caro: “È autore di un canzoniere di ortodossia petrarchista” (Cfr. GABRIELLA MILAN, Guidiccioni

Giovanni, in Gli Autori, cit., p. 978); Francesco Maria Molza (Modena 1489 - 1544), buon conoscitore delle lingue classiche, anch’egli scrisse Rime di carattere petrarchesco, e un po-emetto in ottave Nimpha Tiberina. Ebbe fama di scrittore latino di epistole (Cfr. GIANFRANCO CRUPI, Molza Francesco Maria, in Gli Autori, cit., pp. 1206-1206; Fulvio Te-sti (Ferrara 1583- Modena 1646) iniziò la sua attività di poeta, che alternava con quella di uomo di corte e ambasciatore, con poesie di gusto barocco, per passare poi a liriche “elo-quenti e sentenziose, T. godé larga fama presso gli avversari del barocchismo” (cfr. MONICA

CRISTINA STORINI, Fulvio Testi, in Gli Autori, cit., p. 1714); Gabriello Chiabrera (Savona 1552 - 1638), in rapporto con i migliori poeti del suo tempo, scrisse poemi d’ispirazione tassiana e ariostesca, rime alla maniera pindarica, per approdare a composizioni con sfuma-ture gnomiche e moraleggianti (cfr. FRANCO PIGNATI, Gabriello Chiebrera, in Gli Autori cit., pp. 539-541); Vincenzo Filicaia (Firenze 1641 - 1707) divenne famoso per delle can-zoni sull’assedio di Vienna. È considerato un antimarinista ed esponente dell’Arcadia (cfr. MONICA CRISTINA STORINI, Filicaia Vincenzo, in Gli Autori, cit., pp. 786-787; Francesco de Lemene (Lodi 1634 - 1704), esponente dell’Arcadia, compose poesie amorose e liriche sacre (cfr. PAOLA ROCCHI, Lemene Francesco, in Gli Autori cit., p. 1043; Francesco Redi

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Dopo gli autori si passa alla rassegna dei versi, o alla “varietà dei Componi-menti”, come lui li chiama. I versi italiani si possono ridurre a due categorie: verso intero e perfetto, e verso rotto e imperfetto. Il verso perfetto e intero “che è il più bello e maestoso che abbia la nostra Lingua”163, è l’endecasil-

labo, con cui si compongono i Poemi eroici, i Sonetti, le Ottave rime, le Se-

stine, e componimenti simili. Alla specie del verso rotto e imperfetto appar-tengono tutti gli altri versi a partire da quello di dieci sillabe, di sette e “talo-ra di sei, talora più o meno, secondo i componimenti”164. In questi versi si scrivono molti componimenti minori e spesso gli imperfetti si uniscono ai perfetti. I componimenti scritti con versi imperfetti sono Le Odi, i Versi

sciolti, le Ballate, gli Idilli, le Improvvisate, le Frotole, le Barzellette, le A-

riette, i Drammi, le Codette, i Sormontesi, i Ritondelli, i Ghiribizzi, gli Estri, e simili. Si ricorda poi che Claudio Tolomei165 inventò quelli che oggi noi, con termine carducciano, chiamiamo “metri barbari”. Tra i versi lirici il So-

netto è il componimento “più bello”; il Poema epico “il più maestoso e nobi-

(Arezzo 1626 - Pisa 1698) medico e Accademico della Crusca, reso famoso dal ditirambo “Bacco in Toscana” di 980 versi. Fu Arcade ed ebbe molti discepoli, che invitò a combatte-re il concettismo e le ricercatezze barocche (cfr. MONICA CRISTINA STORINI, Redi Francesco in Gli Autori cit., pp. 1486-1487); Giovan Battista Felice Zappi (Imola 1667 - Roma 1719) fu uno dei fondatori dell’Arcadia. Trasformò insieme alla moglie, anch’essa poetessa, la sua casa nel salotto più rinomato di Roma (cfr. CLAUDIO COSTA, Zappi Giovan Battista

Felice, in Gli Autori cit., p. 1852); Eustachio Manfredi (Bologna 1674 - 1739) matematico e astronomo, fu socio dell’Arcadia e pubblicò una breve raccolta di Rime petrarchesche (cfr. LUCIANA FREZZA, Manfredi Eustachio, in Gli Autori, cit., p. 1121); Orsi Gian Giu-seppe Felice (Bologna 1652, Modena 1733) amico del Muratori e accademico della Crusca fu noto soprattutto come polemista; Carlo Maria Maggi (Milano 1630 - 1699), cultore di lingue classiche e moderne, amico di molti letterati e soprattutto del Muratori, esponente dell’Accademia della Crusca, lettore del Petrarca, scrisse “poesie segnate da una profonda religiosità”, opere teatrali e poesie satiriche in cui usò il dialetto milanese (cfr GABRIELLA

MACCIOCA, Maggi Carlo Maria, in Gli Autori, cit., pp. 1105-1106); Girolamo Gigli (Siena 1660 - Roma) l’abbiamo già citato come grammatico, ma scrisse anche opere teatrali e liri-che satiriche (cfr. n. 151). Invece oggi è quasi completamente ignoto Domenico Cerasoli, di cui non conosciamo la data di nascita. Nella raccolta di Rime oneste dei migliori poeti

antichi e moderni scelte ad uso delle scuole di ANGELO MAZZOLENI, tomo primo, Bassano 1821, pp. XLII-XLII, 162-163, 222, si dice che fu coadiutore della Compagnia di Gesù e “nutrì la sua devozione colla poesia, nella quale compose con più dottrina che a laico sembri convenire, e con felicità nello spiegare materie scabrose, e dolcezza nell’insinuarsi assolu-tamente riguardevole”.

163 Il Saggio, cit., p. 159. 164 Ibid. 165 CLAUDIO TOLOMEI, Versi et regole de la nuova poesia toscana, Roma 1539. Il Tolomei

oltre che autore di questo tentativo sfortunato di adattare la metrica quantitativa latina al volgare, è stato autore di Poemetti encomiastici, oratore apprezzato e grammatico. “Sosten-ne con lucide argomentazioni la tesi della toscanità della lingua, fondata, ancor prima che sugli scrittori, sull’uso moderno, parlato e popolare”: GIANFRANCO CRUPI, Tolomei Clau-

dio, in Gli Autori, cit., p. 1724.

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le”. Completamente negativo è invece il giudizio del Marcucci sui Poemi epico-cavellereschi, che egli chiama Romanzi. “Poemi giocosi e ridicoli, ripieni di favolose iperboli degne di riso, e in conseguenza non vanno né stimati, né letti, tantopiù che in gran parte sono oscenissimi. Benché questo è un punto, su cui ha urtata la maggior parte dei Poeti Italiani; e perciò in leg-gendoli ci vuol la cautela, e quella diligenza di scegliere il bello, e il buono, e lasciare ed abborrire il brutto, ed il cattivo”166. Il breve excursus sulla me-trica italiana si conclude rinviando per un esame più attento ad alcuni autori, che il Marcucci ritiene fondamentali sull’argomento, e dei quali ha cono-scenza diretta: Ruscelli167, Muratori168 e Salvini169.

2.3. Le fonti del Saggio.

Altre informazioni si possono ricavare studiando le fonti. Il testo infatti è un manuale scientifico di Prosodia e Metrica, che farebbe ottima figura nelle nostre scuole. L’Autore non si limita dare le regole della Prosodia, come fanno normalmente i Moderni. Spesso supporta le sue regole o le sue ipotesi con l’autorità dei maggiori grammatici, che scrissero tra il XVI e il XVIII

166 Il Saggio, cit., p. 160. 167 GIROLAMO RUSCELLI, Del modo di comporre in versi nella lingua italiana […] Nel quale

va compreso un rimario, Venezia 1559. Di quest’opera nella biblioteca storica vi sono due edizioni. La prima, Il Rimario, Barezzi, Venetia MDCL; la seconda, Il Rimario, Simone Occhi, Venezia MDCCXLII. Tutte e due le edizioni contengono nella prima parte Del modo

di comporre versi nella lingua italiana. La seconda edizione è sicuramente la più aggiorna-ta. Simone Occhi nella premessa “Al Lettore”, la definisce “riveduta, riordinata, ed amplia-ta”. (La prima è interessante perché conserva alcuni segni dell’uso del Marcucci, e inoltre sulla prima e la quarta di copertina, sulla pagina che precede il frontespizio, e sulla prima facciata dell’ultima pagina ci sono cinque sonetti autografi. Tutti composti in epoche diver-se, come si desume dalle date poste al termine di ciascun sonetto: 11 Xbre 1786; 30 Dicem-bre 1786; 6 Gennaio 1787; 10 Gennaio 1787; 29 Xbre 1786.) Il Ruscelli è una poliedrica figura di letterato. Collaborò con diversi tipografi per l’edizione di classici. Scrisse di im-prese militari e di questioni grammaticali, linguistiche e retoriche. Il suo Rimario è stato ri-stampato molte volte. Cfr. GIANFRANCO CRUPI, Ruscelli Girolamo, in Gli Autori, cit., p. 1550.

168 LUDOVICO ANTONIO MURATORI, Della perfetta poesia italiana spiegata e dimostrata con

varie osservazioni e con vari giudizi sopra alcuni componimenti altrui, Modena 1706. L’opera è stata poi ristampata nella Raccolta delle opere minori di LODOVICO ANTONIO

MURATORI, con annotazioni di Anton Maria Salvini, tomo terzo Napoli MDCCLVII. Dare indicazioni biobibliografiche sul Muratori è inutile, data la vastità dell’opera e l’importanza del nome. Molti sono i legami che ha con il Marcucci. Vi si è accennato già a p. 31. Le cita-zioni del Muratori nell’opera di Marcucci sono molte e quasi impossibile analizzarle tutte; con lui spesso è in polemica, con lui si confronta, e di lui ha somma stima.

169 Salvini Anton Maria (Firenze 1663 - 1729) ai suoi tempi fu noto come umanista, Acca-demico della Crusca, autore di numerosi discorsi accademici e di Sonetti, ma soprattutto come traduttore dal latino, dal francese, dall’inglese e dal greco. Cfr. PAOLA ROCCHI, Salvi-

ni Anton Maria, in Gli Autori, cit., p. 1574.

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secolo. In tal modo dal testo si ricava un quadro dei più autorevoli filologi di quei secoli: Mureto (il francese Muret), Gifanio (l’olandese Giffen), Alvaro, (il portoghese Alvares o Alvarez, come scrive Marcucci), Scioppio (il tede-sco Schoppe), Lancellotto (il francese Lancelot), il portoghese Despauterio, il belga Jano Douza, e gli italiani Paolo Manuzio, Bonciario, Faerno. E natu-ralmente i grammatici antichi: Diomede, Nonio, Probo, Scauro, Servio, Te-renziano Mauro. 2.3.1. Scioppio. È sicuramente il filologo più citato nel Saggio. Il suo no-me vi ricorre per ben 23 volte. E sempre le ipotesi sostenute dall’umanista tedesco appaiono risolutive e pienamente condivise dal Marcucci. Però stra-namente nella biblioteca storica non si trova traccia della vastissima produ-zione grammaticale e filologica dello Scioppio. Perché Monsignor Marcucci non ha conservato nessuno dei testi dello Scioppio utilizzati per il Saggio? Forse potrebbe aiutarci a rispondere, ripercorrendo i tratti essenziali della vicenda bio-bibliografica di questo illustre umanista. Ci limiteremo ad alcu-ne informazioni sommarie, perché le vicende biografiche si intrecciano e si confondono con le polemiche e le battaglie che egli ingaggiò con la maggior parte dei letterati e dei potenti della sua epoca, tanto che qualche studioso lo ha definito “gladiatore della repubblica delle lettere”170. Gaspare Scioppio (in latino Gaspar Scioppius, o Schoppius, o Sciopius, in tedesco Gaspars o Gaspard Schopp o Schoppe171) nacque a Neumarck, nel Palatinato il 27 maggio 1576172. Nel 1593 già si faceva notare per alcuni componimenti lati-ni. Ma subito iniziò il suo vagabondare da uno Stato all’altro, da una corte all’altra, “allo scopo di perfezionare i suoi studi” e sempre alla ricerca di favori e protezione, in cambio dei suoi studi teologici e letterari, con i quali si acquistava sempre più lodi e sempre più nemici, “perché al pari del suo talento cresceva il suo smisurato orgoglio, che mai poté domare il culto delle lettere e la sua eccessiva inclinazione alla satira, che fu l’occupazione co-stante e il tormento della sua vita”173. Restano memorabili tra i tanti nemici e tra le tante battaglie, che si andava procurando, quella che ingaggiò con Giu-

170 CHARLES NISARD, Les gladiateurs de la républiche des lettres aux XV ͤ , XVI ͤ , XVII ͤ

siècles, tome second, Paris 1860, pp. 1-206. 171 È impresa disperata e inutile acquisire certezze sul nome di quest’autore. D. JOACHIM

GOMEZ DE LA CORTINA, Catalogus Librorum, tomus V, p. 257, Matriti MDCCCLIX, dice che, oltre a tutti questi nomi, di cui l’elenco forse non è completo, è stata fatta “una lista di 16 eteronimi, dietro i quali si nascondeva, se così conveniva ai suoi intenti”.

172 Tutte le informazioni biografiche sono naturalmente passibili di contraddittorio. Cfr. OPORINI GRUBINII, Amphotides Scioppianæ, etc., Parisiis 1611; GASPARIS SCIOPPII, comitis a

Clara Valle De Pædia humanarum ac divinarum litterarum, Patavii, 1636; Vita et parentes

G. Scioppii, etc., Satiræ duæ, DANIEL HEINSIUS, etc, Leide 1609. 173 D. JOACHIM GOMEZ DE LA CORTINA, Catalogus, cit., p. 253. (La traduzione è nostra).

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seppe Scaligero174; quella che lo oppose ai Gesuiti e ai re di Francia e d’Inghilterra175. Forse nessun letterato o potente fu immune dai suoi strali, ma la prodigiosità della sua cultura resta innegabile. Concludiamo questi brevi cenni ricordando e traducendo ciò che scrivono il già citato Gomez della Cortina176 e il Bayle177. Alcune sue opere sono state ristampate anche di recente178 e il suo pensiero filosofico-religioso ancora interessa i ricercato-ri179. I suoi testi fondamentali di grammatica latina sono la Minerva Sanctia-

na180, e la Grammatica Philosophica

181. Non abbiamo trovato il testo citato nel Saggio, Annotazioni critiche alla Prosodia dell’Alvaro; ma non esiste un elenco completo delle opere dello Scioppio, molti sono gli inediti, o potrebbe essere contenuto nella Grammatica filosofica, perché nella Minerva Sanctia-

174 Celebre umanista francese di origine italiana nato ad Agen il 5 agosto 1540 e morto a

Leida il 21 gennaio 1609, prima ammirato dallo Scioppio, poi ne divenne il bersaglio. Si ricorda l’invettiva scioppiana Scaliger Hypobolimæus, nella quale “dimostra la falsità della genealogia del suo avversario e giudica con rigorosa giustizia le sue ridicole pretensioni … La vanità dello Scaligero non doveva essere un ostacolo, perché lo Scioppio non ricono-scesse il talento superiore di quell’eminente critico e gli importanti servizi che aveva reso alle lettere” (D. JOACHIM GOMEZ DE LA CORTINA, Catalogus, cit., p. 254).

175 Contro i Gesuiti nel 1634 pubblicò a Venezia Astrologia Ecclesiastica, e altri libelli con pseudonimi diversi (Philoxenus Milander, Sanctius Galindus, Bernardinus Giraldus, ecc.); nel 1611 aveva pubblicato Ecclesiasticus, auctoritati Ser(enissimi) Domini. Jacobi Magnæ Britaniæ Regis oppositus, Hartberg, rivolto principalmente contro Giacomo I d’Inghilterra, ma vi si scagliava anche contro la memoria di Enrico IV di Francia.

176 D. JOACHIM GOMEZ DE LA CORTINA, Catalogus, cit., p. 253: “Dotato di una memoria pro-digiosa, per questo spesso si scagliava con chi gli era contrario; di carattere impulsivo, di facile eloquio di assiduità infaticabile nello studio, Scioppio sarebbe stato inserito tra i più distinti letterati, se avesse fatto miglior uso del suo talento. La violenza del suo carattere e la sua eccessiva vanità sono la causa per cui la maggior parte dei critici chiuse gli occhi e di-sconobbero i suoi meriti, al punto che, fino ad oggi quasi nessuno gli ha reso giustizia. Sen-za dubbio Scioppio fu il primo Grammatico del suo tempo, e come dice bene l’Arnauld, nessuno ha capito meglio di lui i maggiori autori della lingua Latina, però era talmente qui-squiglioso che non tollerò mai che qualcuno usasse, anche la più banale parola con signifi-cato diverso da quello che aveva a Roma nei tempi migliori della lingua Latina”.

177 PIERRE BAYLE, Dictionnaire historique et critique, tome treiziéme, Paris 1820, pp.186, ss.: “Nessuno può negare che egli fu un uomo abilissimo; e se avesse avuto altrettanta modera-zione e probità per quanto aveva di saggezza e di spirito, egli sarebbe giustamente annove-rato tra gli eroi della repubblica delle lettere. La sua applicazione al lavoro, la sua memoria, la moltitudine dei suoi scritti, la sua passione, la sua eloquenza, la sua ascendenza sugli av-versari sono delle cose sorprendenti”.

178 GASPARE SCIOPPIO, L’angelo della pace. Modi e regole per comporre il dissidio religioso

tra cattolici e protestanti, Tirrenia (Pisa) 2006. 179 MARIO D’ADDIO, Il pensiero politico di Gaspare Scioppio e il Machiavellismo del Seicen-

to, Milano 1962. 180 GASPARIS SCIOPPII, Comitis à Claravalle, Minerva Sanctiana, hoc est Francisci Sanctii

Brocensis de Causis linguæ Latinæ Commentarius cum obsevationum Scoppianarum aucta-

rio, Patavii MDCLXIII. 181 GASPARIS SCIOPPII, Grammatica Philosophica, Mailand 1628.

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na non si parla di metrica latina. Perché il Marcucci non ha conservato nes-suna delle opere dello Scioppio? Forse per la sua aspra polemica con i Ge-suiti, e forse per ciò che scrisse sul dogma dell’Immacolata182. 2.3.2. Álvaro. Personalità completamente diversa è quella di Alvaro. Em-manuel Alvarez o Alvares, portoghese, nacque a Ribera nell’Isola di Madei-ra, nel 1526 e morì a Evora, un sobborgo di Lisbona, nel 1582. Egli pratica-mente non si allontanò dal suo luogo di origine, lasciando viaggiare per tutta l’Europa la sua De Institutione Grammatica libri tres

183. Anche un libro qua-si coevo è parco di notizie biografiche sul Nostro: “Emanuel Alvarez, natio-ne Lusitanus, patria ex Insula Maderâ, seu Materiâ, pridie Nonas Junii anni Salutis MDXLVI, [ætatis XX.] in nostrun numerum ascriptus est; qui cum eximiâ vitæ integritate, prudentiâque præstaret, Rectoris Collegiorum Co-nimbricensis, Eborensis, Olisipponensis, Præpositi etiam Domus Professæ S. Rochi munere functus est, [votis IV solemnibus illigatus ab anno MDLX]. Sed cùm non minus tum ceteris omnibus, tum verò Humanioribis potissi-mum litteris excelleret (quâ erat humilitante, caritateque præditus) in for-mandâ ad pietatem iuventute, et ad Latinam, Græcam, atque Hebraicam Lin-guam instituendâ, expoliendâque plurimos annos impendit. Demum bono-rum operum plenus in Collegio Eborensi vitam cum morte commutavit die XXX. Decembris anno Salutis MDLXXXII: Scripsit: Libros de Arte Gram-

maticâ valdè præclaros, qui doctis viris mirificè probantur; quos et Commen-tariis copiosè Antonius Vallesius Lusitanus et ipse, illustravit. [Eboræ MDXCIX. Quanti porro libros hos fecerit Gaspar Scioppius, et Gerardus Joannes Vossius viri Litteraturæ humanioris admodum periti, et quibus in locis editi fuerint hi libri, vide, si lubet in Biblioteca Hispana Clarissimi viri Nicolai Antonii]”184. La sua Grammatica fu subito adottata dai Gesuiti nel

182 Cfr. M. D’ADDIO Il pensiero, cit., pp. 184-185; 596-597; 602; 606. 183 Fu scritta dall’Alvares per incarico dei suoi Superiori: Emmanuelis Grammatica, p. 6,

Bassano del Grappa 1722 (?). La prima edizione dell’opera fu stampata a Lisbona nel 1572. 184 PHILIP ALEGAMBE, Bibliotheca Scriptorum Societatis Jesu, Antverpiæ MDCXLIII, p. 100,

con le modificazioni (che abbiamo posto tra parentesi [ ]) inserite in EMMANUELIS ALVARI, e societate Jesu De Institutione Grammatica libri tres ab Horatio Tursellino ejusdem Societa-

tis olim in compendium redacti, hac editione accuratius restituti, typis Josephi Raimundi, Neapolim 1766: “Emmanuele Alvarez, portoghese nacque a Madeira, o Materia il 4 giugno 1546, [a venti anni] entrò nella nostra Congregazione; essendosi distinto per straordinaria integrità di vita e per prudenza, fu insignito della carica di Rettore dei Collegi di Coimbra di Evora e di Olisippo, e di Preposto della Casa Professa di S. Rocco, [dal 1560 fece la quarta professione solenne che lo legò alla Congregazione]. Eccellendo in ogni campo, ma partico-larmente nelle umane lettere (fornito di umiltà e di carità), spese molti anni a preparare i Giovani nella Pietà, e a insegnare e spiegare la lingua latina, greca ed ebraica. Il 30 dicem-bre 1682, ricolmo di opere buone, morì nel collegio di Evora. Scrisse: Libri sull’Arte della

Grammatica, molto famosi e apprezzati dai dotti, tra i quali lo stesso nostro Antonio Valle-

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loro insegnamento del Latino185, e con i Gesuiti percorse tutta l’Europa186. Nella Biblioteca del Marcucci ci sono tre edizioni diverse di questo testo187, e il suo nome è citato 12 volte nel Saggio. È così l’autore più accreditato, subito dopo lo Scioppio.

2.3.3. Bonciario. Marco Antonio Bonciario o Bonciari nacque ad Antria, in provincia di Perugia il 9 febbraio 1555. Apparteneva ad una povera fami-glia. L’intenso amore per la cultura umanistica e la protezione del Vescovo di Perugia, cardinale Fulvio Della Cornia188, gli permisero di terminare gli studi nel Seminario di Perugia, dove si distinse negli studi di lettere e filoso-fia. Aveva avviato la sua preparazione con un precettore di pochi scrupoli,

sio, portoghese, [Evora 1599. Quanta stima abbiano attribuito a questo libro Gaspare Sciop-pio, e Gerardo Giovanni Vossio, dotti umanisti, vedilo, se ne hai interesse, nella Biblioteca spagnola dell’illustre uomo, Antonio Nicolai]”. Cfr. Diccionario Histórico de la Compañía

de Jesús biográfico-temático CHARLES E. O’NEIL - JOAQUÍN M.ª DOMÍNGUEZ (directores) Roma-Madrid 2001, p. 90.

185 Nella Ratio atque Institutio Studiorum Societis Iesu, pubblicata per volontà del quinto superiore Generale p. Giulio Acquaviva nel marzo 1599, è subito adottata come manuale: “Dabit operam ut nostri magistri utantur Grammatica Emmanuelis” [Si adopererà che i no-stri insegnanti usino la Grammatica del padre Emanuele]. Cfr. Ratio atque Institutio Studio-

rum Societatis Iesu, introduzione e note di Angelo Bianchi, testo latino a fronte, Milano 2002, pp.102-103.

186 La diffusione in Italia è dimostrata dalle numerose edizioni, adattamenti e traduzioni che si trovano nelle biblioteche italiane (Cfr. sul web Manuel Alvarez). Nella sola biblioteca “M. Delfico” di Teramo ne esistono almeno 20 edizioni diverse, di cui 2 tradotte e adattate all’italiano, 8 nella forma originale, 1 annotata dal Gesuita Orazio Tursellino, e 8 con il tito-lo di Lumen grammaticum, adatte da GIOVANNI BATTISTA FAGEO, edite nelle diverse città d’Italia, di cui la più recente a Napoli nel 1856. “Circa seicento edizioni, totali o parziali (u-na in Giappone, 1594) e le numerose traduzioni, dimostrano la sua straordinaria preziosità” (Diccionario Histórico, cit., p. 90). Per la diffusione in Europa si veda CARLOS SOMMER-VOGEL, Bibliotheque de la Compagnie de Jèsu, première partie, tome I, Bruxelles-Paris 1890, cc. 232-249; ENRICO SPRINGHETTI, Storia e fortuna della Grammatica di Em. Alvares, in “Humanitas” 13-14 (1961-1962) 283-304.

187 Nel frontespizio del primo testo si legge soltanto la dicitura EMMANUELIS GRAM-MATICA Ex typographia Remondini sulla base di una statua di donna che con la destra versa acqua da un vaso su una piccola pianta con teneri germogli. Potrebbe essere un’edizione del 1722 del Remondini; Cfr. n. 176. L’altra è la traduzione italiana La Famo-

sa Grammatica di EMMANUELE ALVARO della compagnia di Gesù volgarizzata da D. Gio:

Lorenzo Guarnieri, Venezia MDCCXXII; e poi due edizioni di Limen Grammaticum seu

prima litterarum ab Emmanuelis Alvari Institutionibus olim excerpta a JOANNE BAPTISTA

FAGÆO, Patavii, ac Bassani, MDCCXLIV Ex Typographia Remondini. Di questa edizione ve ne sono due copie. L’altra è del tutto simile, cambia però l’editore, Venetiis MDCCXLV, apud Hieronimum Bartoli q. Franciscum. Sul verso della copertina il Marcucci ha scritto: “Questo libro è senza fallo il migliore di quanti ce ne sono per i principianti”.

188Dizionario Biografico degli Italiani, ad vocem, pp. 676-678; GIOVANNI BATTISTA VERMI-GLIOLI, Biografia degli scrittori perugini e notizie delle loro opere, tomo I, parte prima, Pe-rugia 1828, pp. 221-239

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che lo sottoponeva a maltrattamenti, e da qui ebbe origine la sua cecità. Si perfezionò in Latino con il Muret189, di cui divenne amico e discepolo. Poi tornò a Perugia, dove iniziò la sua attività di insegnante. Nel 1586 le già pre-carie condizioni di salute, che lo portarono alla completa cecità, lo costrinse-ro ha ritirarsi dall’insegnamento. Intanto la fama di umanista e di “ciceronia-no convinto”190 si diffondeva in Italia e in Europa. Una fitta corrispondenza lo metteva in contatto con i maggiori dotti dell’epoca191. Nel 1592, nonostan-te la cecità, fu richiamato dal nuovo Vescovo di Perugia ad insegnare prima nel Seminario e poi nel Collegio internazionale di S. Bernardo, incarico che condusse avanti brillantemente con l’aiuto del nipote Mario. Dalla sua scuola uscirono illustri cittadini192. La malattia non gli impedì di continuare i suoi studi tanto da meritare dal Puteano, altro umanista dell’epoca, il titolo di “Omero italico”193, e di ricevere chiamate da altre Università. Morì 9 genna-io 1616. L’opera sua più lodata è sicuramente l’Epistolario

194. Il Vermiglioli

elenca altre 46 opere. Il Marcucci cita una Prosodia195, di cui fa menzione

anche il Vermiglioli, e una Proapologia. Nella biblioteca storica c’è un’edizione della Donati et Guarini grammatica institutio, uscita a Perugia nel 1593, e due Grammatiche

196. Il Bonciario è citato per ben sette volte nel Saggio, la stessa ricorrenza del Lancellotto. Di particolare rilievo è l’autorità accordata al Bonciario per la determinazione della quantità delle sillabe nei Nomi propri e Cognomi “dei quali non trovasi esempio nei Poeti antichi”.

189 G. B. VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori, cit., p. 223. Di quest’amicizia abbiamo testi-

monianza anche nel Saggio. A pagina 62 Marccucci lo definisce “suo discepolo”, e a pagina 139 “degno allievo del Signor D. Muret”.

190 Dizionario Biografico, cit., p. 677. 191 Ibid.; G. B. VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori, cit., p. 224 192 Ibid., p. 223. 193 Ibid., p. 225. 194 Si conoscono almeno due volumi di lettere (Cfr. G. B. VERMIGLIOLI, Biografia degli scrit-

tori, cit., p. 233), “che lo fanno uno dei più importanti epistolografi tra la fine del sec. XVI e il principio del XVII” (Dizionario Biografico, cit., p. 677).

195 Il Saggio, cit., p. 116 196 Nova additio ad Donati et Guarini Grammaticam post M. Antonii Bonciarii Ampliationem

Ad majorem facilitatem Puerorum, Asculi 1749. Questo testo è postillato e corretto con no-te, introduzione e appendice autografe del Marcucci. Rilegata insieme con esso, è la Gram-

maticæ Institutio et in eam notæ ampliores. MARCUS ANTONIUS BONCIARIUS postremum re-

censuit, Asculi s.d. La terza opera è la MARCI ANTONII BONCIARII Grammaticæ Institutio, Laureti MDCCLXXIII. (Come appare evidente quest’ultima edizione è posteriore al Saggio, ma è l’unica che contiene una parte chiamata “Prosodia versibus”, e che è citata direttamen-te nel Saggio. Molto probabilmente il Marcucci possedeva un’altra edizione di questa Insti-

tutio o la Prosodia stessa, che però ora non esiste più nella Biblioteca.) Nessuno degli autori da noi consultati elenca invece tra le opere la Proapologia, né vi è traccia di essa nella Bi-blioteca.

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2.3.4. Lancellotto. Claude Lancelot nacque a Parigi tra il 1615 e il 1616197. La sua vicenda biografica è strettamente legata alla storia e alle vicissitudini di Port-Royal. Dall’età di dodici anni seguì gli studi presso il seminario di S. Nicolás du Chardonnet, dove apprese filosofia, teologia, ma soprattutto le lingue classiche e le lingue romanze, tra cui l’Italiano e lo Spagnolo. Qui ebbe occasione di conoscere Jean-Ambroise Duvergier de Hauranne, abbé de Saint-Cyran, e attratto dalla sua dottrina, divenne un “solitario” di Port- Ro-yal198, cioè una delle figure più attive della vita e dell’insegnamento di Port-Royal. Qui nacque un nuovo tipo di educazione dei giovani che prese il no-me di “Petites écoles”. Egli era responsabile dell’istruzione grammaticale e per questo scopo scrisse manuali, che diventarono subito strumenti fonda-mentali, molto apprezzati, improntati ad una forte richiesta di “metodo e progresso”. Nel 1644 pubblicò la prima edizione di Nouvelle méthode pour

apprendre la langue latine, nel 1656, dopo la scoperta delle grammatiche latine di Sanzio199 e di Gaspare Scioppio200, ne fece una seconda edizione, nella quale introdusse importanti modificazioni al suo Metodo

201. Proprio dalla lettura delle opere di quei famosi grammatici arrivò alla conclusione che non è possibile “porgere in Latino le Regole per fare apprender la lingua Latina”202. Con lo stesso sistema e con il medesimo titolo nel 1655 scrisse il

197 La data della sua nascita è incerta e si colloca tra il 1615 o più probabilmente il 1616,

come si può desumere da Chroniques de Port-Royal, numéro spécial, 2004. Cfr. Enciclope-

dia Italiana, Treccani, Roma 1949, vol. 6, p. 347; XAVIER LABORDA GIL, La Gramática de

Port-Royal: fuentes, contenido e interpretación, Barcellona 1978, edición eletrónica, 2004, pp. 45-49; P. SWIGGERS, Lancelot, in Katholieke Universiteit Leuven, Leuven, 2006, ad vo-

cem; HARTMUT LOHMANN, Lancelot, in Biographisch-Bibliographisches Kirkenlexicon, Band IV Spalten 1992, pp. 1060-1062.

198 LUIS COGNET, Claude Lancelot, solitaire de Port-Royal, Paris 1950. 199 Vedi ciò che dice di lui Lancellotto in Nuovo metodo per apprender agevolmente La lin-

gua Latina, Tratto dal Francese nell’Italico Idioma, Volume I, Torino MDCXLI, p. 12. 200 Cfr. 2.3.1. infra. 201 Cfr. “Proemio dell’autore Ove si ragiona delle nuove giunte fatte a questo libro nella se-

conda, e nell’ultima Impressione, tratta dai più eccellenti tra i moderni Autori”, in Nuovo

metodo, cit., p.12. 202 Citiamo dalla traduzione italiana che si trova nella biblioteca storica del Marcucci: Nuovo

metodo, cit., p. 25. Così prosegue “Perché qual uomo mai per insegnar la lingua Ebraica, presentar vorrebbe una Grammatica in versi Ebraici; o in versi Greci, per dar notizia della Greca; o in versi Italiani, per altrui nell’Italian Idioma ammaestrar? Non farebbe egli sup-porre già la cognizione di quello, che vuolsi insegnare, e quel, che s’intende fare, averlo per fatto; presentare i primi elementi d’una Lingua, ch’altri vuol imprendere, nei termini stessi di quella Lingua, che visibilmente incogniti affatto gli sono”. Il riferimento a una grammati-ca in versi latini è suggerito dalla grande diffusione all’epoca, insieme a quelle di Sanzio, dello Scioppio e del Vossio (altro rinomatissimo umanista del XVI secolo), di una Universa Grammatica del Despauterio (di cui faremo cenno più avanti), in versi, di cui così dice Lan-cellotto nel punto citato “Alcuni, avendo per oscuri in qualche parte i Versi del Despauterio, si sono ingegnati di farne degli altri più chiari e più colti”.

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Metodo per la lingua Greca, nel 1660 per la lingua Italiana e per la lingua Spagnola. Quando nel 1660 le “Petites écoles” furono chiuse e i “solitari” e i religiosi furono imprigionati o dispersi, Lacelot divenne dapprima precettore privato di nobili rampolli, poi monaco cistercense, ed infine entrò nell’Or-dine benedettino a Quimperlé, in Bretagna, dove morì il 15 aprile 1695. Nel Saggio il nome del Lancellotto è citato sette volte come il Bonciario. Nella Biblioteca storica ci sono sia i due volumi del Metodo

203, sia un Compen-

dio204.

2.3.5. Gifanio. Nel Saggio è nominato quattro volte, e tre volte su quattro come “autorità” addotta o lodata dallo Scioppio205. Il Marcucci lo definisce “dottissimo”206, e cita la “Prefazione a Lucrezio”, un testo tuttora in grande considerazione207. Nella Biblioteca storica non esistono libri del Gifanio. Ciò conferma il carattere derivato delle citazioni. Ubert van Giffen, in latino Hu-bertus o Obertus Giphanius nacque a Buren, in Olanda, nel 1534. Compì gli studi di Filologia e di Diritto a Lovanio, a Parigi e a Orléans, dove conseguì il dottorato in diritto 1567. Nel 1565, mentre ancora attendeva agli studi di Diritto pubblicò l’edizione di Lucrezio, di cui abbiamo detto. Al seguito dell’Ambasciatore francese arriva in Italia, a Venezia, ed entra in contatto con i migliori studiosi dell’epoca, interessandosi soprattutto di Filologia e Filosofia. Ben, presto si sposta in Germania, prima a Strasburgo, dove i suoi interessi continuano a legarsi alla Filologia e alla Filosofia. Trasferitosi ad

203 [CLAUDIO LANCELLOTTO], Nuovo metodo per apprender agevolmente La lingua Latina,

Tratto dal Francese nell’Italico Idioma, E per utilità dei novelli scolari aggiuntivi nel prin-

cipio Gli Elementi Tolti dal Compendio della medesima Opera, per intelligenza di tutte le

parti dell’Orazione e nel fine un Trattatello della Volgar Poesia Coll’indice dell’Opera

sin’ora desiderato all’uso delle Regie Scuole di tutti gli Stati di Sua Maestà Volume Primo, in Torino, MDCXLI, nella Stamperia Reale; Nuovo Metodo Per apprender La Lingua lati-

na, Volume II, in Torino, MDCXLII, nella Stamperia Reale, con Licenza de’ Superiori. 204 [CLAUDIO LANCELLOTTO], Compendio del Nuovo Metodo Per apprender agevolmente La

Lingua Latina Aggiuntivi gli Elementi messi in un Ordine novello colle Regole delle decli-

nazioni, delle Coniugazioni, dei Generi, della Sintassi, della Quantità, e degli Accenti Lati-

ni delli Signori di Porto reale Tradotto dalla Francese Nell’Italiana Favella. In Venezia, MDCCXXXVII, Presso Sebastiano Coleti. Con Licenza de’ Superiori, e Privilegio. Le an-notazioni per il Saggio derivano da questo Compendio, perché il Marcucci lo ha annotato, corretto e postillato da pagina 240 a pagina 288, dandogli il titolo di “Prosodia”.

205 Il Saggio, cit., pp. 64, 78, 118. 206 Ibid., p. 64. 207 GIUSEPPE SOLARO, Lucrezio. Biografie umanistiche, Bari 2000, pp. 6-22. Dopo la premes-

sa su “La rielaborazione umanistica della biografia lucreziana”, poi da pagina 58 a pagina 64 è proposta la Biografia lucreziana di Giffen, contenuta in Titi Lucretii, de rerum Natura

libri sex, emendati et ex manuscriptis restituti ab OBERTO GIPHANIO, BURANO. Addita sunt

Vita Lucretii, et gentis Memmiæ Descriptio: Notæ marginales: etc., Antuerpia (Anversa) apud Christoph. Plantinum, 1565.

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Altdorf prima e poi a Ingolstadt e a Praga, cominciò a dedicarsi prevalente-mente al Diritto, per divenire presto “il primo giurista della Germania … Prima del sec. XIX è difficile trovare in Germania uno che, come lui, colti-vasse lo studio della giurisprudenza sotto i suoi vari aspetti, sistematico-filosofico, storico-critico, pratico, e che fosse insieme straordinariamente colto in altre scienze”208. Giffen morì a Praga il 26 luglio 1604. Tralasciamo di citare i suoi tanti scritti di Diritto. Di Filologia, oltre all’edizione lucrezia-na, ricordiamo alcune Observationes singulares in linguam Latinam, uscite postume a Francoforte209. 2.3.6. Mureto. Marc-Antoine Muret nacque a Muret, vicino a Lomoges il 12 aprile 1526, e morì a Roma il 4 giugno 1585. Trascorse la vita a insegnare e a fuggire dalle accuse di immoralità che lo perseguitavano. Tenne lezioni in molte città della Francia e dell’Italia, e ottenne fama per la larghezza delle cognizioni, e per l’entusiasmo dell’erudizione. Il suo sapere spaziava dal campo filologico a quello filosofico, giuridico e teologico. Fu editore e commentatore di classici latini e poeta latino di grande sensibilità. Scrisse orazioni, note e prefazioni per molti autori latini210, Poemata, e una tragedia Julius Cæsar, e intrecciò corrispondenza con molti dotti dell’epo-ca211. Nel Saggio compare per lo più come autore di versi esemplari212, o come maestro del Bonciario213. 2.3.7. Paolo Manuzio. Umanista, editore e tipografo, nacque a Venezia nel 1512. Era figlio di Aldo il vecchio e fratello di Marco e Antonio Manuzio. Nel 1533 iniziò a gestire l’azienda tipografica di famiglia in società con gli zii Giovanni Francesco e Federico Torresano. Nel 1540 la società si sciolse e 208 EMILIO ALBERTARIO, Giffen, in Enciclopedia Italiana Treccani, ad vocem, Roma 1933,

vol. XVII, p. 101. Cfr. FRANÇOIS-XAVIER DE FELLER, Biographie Universelle ou Diction-

naire Historique des Hommes qui se son fait un nom, Paris 1848, tome IV, p. 111; Me-

moires pour a servir a L’Histoire litteraire des dix-sept provinces des Pays-Bas, de la Prin-

cipauté de Liege, et de quelques contrées voisines. Tome seizième, a Louvaine MDCCLXIX, pp. 87-107.

209 OBERTI GIFANII, Observationes singulares in linguam Latinam, in quibus ex abditissmo

usu politioris latinitatis, dictionum, verborum, particularum significatus plane reconditi

eruuntur et explicantur. Accedunt aliquot Dissertaiones de linguæ Latinæ reparatione et

aliis non absimilibus argumentis. Francoforte 1624. Cfr. IO. FRID. NOLTENII Lexici Latinæ

Linguæ Antibarbari quadripartiti Tomus Posterior, Upsaliæ MDCCLXXX, p. 238. 210 M. ANTONII MURETI, Presbyteri, J. C. et Civis Romani Orationes, Epistolæ, et Præfationes,

Venetiis MDCCXXXIX. 211 M. ANTONII MURETI, Epistolæ, Lipsiæ, 1838. Cfr. F.-X. DE FELLER, Biographie Universel-

le, cit., tome V. pp. 151-152; Muret, in Enciclopedia Italiana Treccani, ad vocem, Roma 1934, vol. XXIV, p. 55.

212 Il Saggio, cit., pp. 94, 97. 213 Ibid. p. 150.

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Manuzio continuò a lavorare da solo. Dal 1558 al 1559 fu professore di elo-quenza e tipografo dell'Accademia Veneziana. Nel 1561 fu chiamato a Roma da Pio IV e affidò l’azienda veneziana al figlio Aldo. Morì a Roma il 6 aprile 1574. Il Tiraboschi, tra i tanti elogi che gli tributavano i dotti del suo tempo, ricorda che il Mureto, che gli era amicissimo non sapeva decidersi “se più debba a Cicerone il Manuzio, o al Manuzio Cicerone”214. Nel Saggio è citato due volte215, e nella biblioteca del Marcucci esiste un’edizione della gram-matica latina del padre Aldo Pio, ristampata dal nipote Aldo216. 2.3.8. Faerno, Despauterio, Douza. Li abbiamo qui riuniti non perché abbiano minore importanza dei precedenti, ma perché compaiono una sola volta nel Saggio e sempre in forma indiretta217. Gabriele Faerno nacque a Cremona intorno al 1510, dove morì nel 1561218. Chiamato a Roma divenne bibliotecario vaticano. I suoi studi filologici furono apprezzati dai migliori studiosi. La sua fama però sembra legata alle cento favole che egli trasse da Esopo e “da altri antichi scrittori e da lui esposte in versi latini di vari metri con sì tersa e sì facile eleganza, che pochi tra gli scrittori moderni si sono ugualmente accostati alle grazie degli antichi poeti”219. Le sue favole si ri-stampano ancora oggi220. Jan de Spauter, latinizzato in Johannes Despaute-rius, fu un famoso umanista fiammingo, nato a Ninove intorno al 1580, e morto a Komen nel 1520. Fece i suoi studi a Lovanio, dove poi tornò a inse-gnare come maestro di Arte, che comprendeva grammatica latina, retorica, dialettica, musica aritmetica, geometria e astronomia. Pubblicò diversi libri riguardanti la grammatica latina, noti con il titolo di Commentarii grammati-

ci. Qui ricordiamo in particolare l’Ars versificatoria221. I suoi libri furono

usati in tutta Europa fino alla fine del secolo sedicesimo, quando cominciò

214 GIROLAMO TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana, tomo VII, 4, Venezia 1824, p.

280; cfr., ibid., pp. 270 3 ss.; GIAMBATTISTA CORNIATI, I secoli della Letteratura italiana, Torino 1855, pp. 86-89; PAOLA ROCCHI, Manuzio Paolo, in Gli Autori, cit., vol. II, p. 1127.

215 Il Saggio, cit., pp. 102, 124. 216 ALDI PII MANUTII, Grammaticarum Institutionum Libri. IV; EIUSDEM De uitia uocalium

diphthongorum prolatione Ράρεργον. Accessit Index locupletissimus, Venetiis ∞ D LXXV. 217 Faerno (Il Saggio, cit., p. 140) e Giano Douza (ibid., p. 134) sono citati dallo Scioppio

per avvalorare le proprie tesi; invece il Despauterio (ibid., p. 147) è criticato da Lancellotto perché le sue scelte appaiono “senza autorità veruna”.

218 Cfr. LUIGI CISORIO, Gabriele Faerno di Cremona, favolista, filologo e letterato del Cin-

quecento, Cremona 1926; LUIGI CERETTI, Gabriele Faerno filologo in otto lettere inedite al

Panvinio, in “Aevum”, 27 (1953) p. 307-369; ROMEO DE MAIO, Riforme e miti nella Chiesa

del Cinquecento, Napoli 1992, pp. 335 e ss. 219 GIROLAMO TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana, tomo VII, 4, Milano 1824, p.

2061. 220 GABRIELE FAERNO, Le favole, Roma 2005. 221 JOHANNES DESPAUTERIUS, Ars versificatoria, Paris 1511.

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ad essere sostituito dall’Alvares222. Jean van der Does, in latino Janus Dou-sa o Douza, e in italiano Giano Dousa, nacque a Noortwyk, vicino a Leida, il 6 dicembre 1545. Apparteneva ad una nobile famiglia olandese. Fece i primi studi con i migliori maestri del tempo, distinguendosi nel latino e nel france-se. Nel 1561 si recò a Lovanio a studiare diritto, e in fine a Parigi. Si occupò di politica e di studi umanistici. Scrisse in latino opere storiche e poetiche e curò le edizioni critiche di molti autori classici (Sallustio, Orazio, Catullo, Tibullo, Petronio, Plauto, Properzio, Lucilio)223. 2.3.9. I Grammatici antichi: Terenziano Mauro, Nonio, Diomede, Scauro, Probo e Servio. Tra i grammatici antichi il più importante per Il

Saggio, anche se vi è citato una sola volta224, è sicuramente Terenziano Mauro. Di lui non è possibile fissare con certezza le coordinate cronologi-che, anche se probabilmente è collocabile tra il III e IV secolo. Compose un trattato di prosodia e metrica, di cui ci sono giunti 3000 versi225, molti dei quali il Marcucci conosceva attraverso un manuale del Manuzio, presente nella Biblioteca storica226. Anche Nonio Marcello, citato una sola volta nel Saggio

227, si colloca storicamente tra il III e il IV secolo. È autore di un les-sico dal titolo Compendiosa doctrina per litteras

228. Diomede è un gramma-tico della seconda metà del IV secolo ed autore di un’Ars grammatica in tre libri. Egli non gode grande stima tra i filologici moderni229. Quinto Terenzio Scauro230 fu un celebre grammatico dell’età di Adriano. Delle sue opere ci resta solo un trattato De orthographia quasi completo, il più antico tra quelli di questo genere arrivati fino ai nostri giorni. Valerio Probo, originario della

222 FRANCISCO FUENTES MORENO, Notas sobre las fuentes antiguas del Ars Versificatoria de

Joannes Despauterius in “Humanismus y Pervivencias del Mundo Clasico” II, 3, Cadiz 1997, p. 923-932. Cfr. Dictionnaire historique ou histoire abregée, tome deuxieme, Paris MDCCLXXIX, p. 492; ROMEO ROGELIO PONCE DE LEON, Textos grammaticales jesuíticos

para la enseñanza del latin nel Portugal: el De constructione octo partium orationis, (Coimbra 1555), in “Cuad. Filol. Clas. Estudios Latinos”, vol. 22, num. 1. (2002), p. 213.

223 Cfr. Memoires pour a servir a L’Histoire litteraire, cit., pp. 205-233; CHRIS L. HEESAKKERS, Praecidanea Dousana. Materials for a Biography of Janus Dousa Pater

(1545-1604). His Youth, Holland Universiteits Pers, Amsterdam 1976. 224 Il Saggio, cit., p. 114. 225 Cfr. ETTORE PARATORE, Storia della letteratura latina, Firenze 1962, pp. 861-862; C.

MARCHESI, Storia, cit., vol. II, p. 391 e n. 1; TERENTIANUS, MAURUS, De litteris, de syllabis,

de metris, a cura di Chiara Cignolo, Hildesheim, Olms, 2002. 226 A. P. MANUTII, Grammaticarum Institutionum, cit., pp. 332 e ss. 227 Il Saggio, cit., p. 134 228 Cfr. C. MARCHESI, Storia, cit., p. 413; JOSEPHI PERIN, Onomasticon totius latinitatis, tomo

II, Patavii, MDCCCXX, p. 349. Cfr. GUIDO MILANESE, Autori, Opere, e Bibliografia in Let-

teratura latina della Cambridge University, vol. II, Milano 1992, pp. 782-783. 229 J. PERIN, Onomasticon, cit., p. 486. G. MILANESE, Autori, cit., pp. 778-779. 230 J. PERIN, Onomasticon, cit., p. 678.

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Siria, fu il più celebre grammatico del primo secolo. Era stimato letterato rigido e critico acre. S. Girolamo lo definisce “il più erudito fra i grammatici di Roma”. Marziale ne parla come del critico più temuto della sua età231. Mario Onorato Servio è noto soprattutto per “l’ampio commento di Virgilio: l’unico degli antichi commenti virgiliani che ci sia pervenuto integro. Ricca miniera d’informazioni e citazioni”232. Non si hanno notizie certe sulla sua vita, anche se deve essere collocato quasi sicuramente nel IV secolo233. Nel Saggio si ricorda una volta anche Ausonio, ma non sappiamo se il “gramma-tico” di Marcucci si identifica con l’autore di Mosella e Iter.

2.4 Valutazioni e confronti.

Il Saggio, come sappiamo, fu scritto nell’agosto del 1749. Aveva come de-stinatario, nella finzione letteraria, la Madre Prefetta, quale responsabile dell’organizzazione della “Scuola Letteraria” della Congregazione234. Ma doveva svolgere la funzione, diremmo oggi, di “manuale in adozione” per il corso di Prosodia tenuto da Lotemia Conca, come è detto nel titolo della Selectio metrica

235, di cui parleremo più avanti e che può essere considerata, quasi un “eserciziario”. Fuori della finzione letteraria il Saggio è uno dei quei testi che il Marcucci preparò quando decise “di far egli stesso da Mae-stro tre volte almeno la settimana … e (che) le Maestre ed altre prescelte incominciassero a studiare i primi Rudimenti Grammaticali della lingua lati-na ch’egli avrebbe loro spiegato”236. Pertanto, pur con la “scientificità” di cui abbiamo detto sopra, è un manuale pratico, da adottare anche dalle Maestre per lo studio. Questa finalità pratica è dimostrata anche dal modello lingui-stico, privo di quelle ricercatezze retoriche, che, per esempio, furono adottate nella composizione dall’Orazione per l’Immacolata concezione. Il linguag-gio è semplice e la patina settecentesca appare oggi meno diffusa. Più volte

231 MARCO VALERIO MARZIALE, Epigrammi, libro terzo, III, v. 12. Cfr. C. MARCHESI, Storia,

cit., pp. 337-338; E. PARATORE, Storia, cit., pp. 645-647; J. PERIN, Onomasticon, cit., p. 528. 232 C. MARCHESI, Storia, cit., pp. 413-414. 233 J. PERIN, Onomasticon, cit., p. 618; ROBERT BROWNING, Figure minori in Letteratura

latina della Cambridge, cit., pp. 572-573, 781-782; NINO MARINONE, Elio Donato, Macro-

bio e Servio commentatori di Virgilio, Vercelli 1946; ID., Per la cronologia di Servio, in “Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino”, n. 104 (1970) pp. 101-168; ANDREA

PELLIZZARI, Servio. Storia, cultura e istituzioni nell’opera di un grammatico tardoantico, Firenze 2003.

234 Cfr. F. A. MARCUCCI, Direttorio delle Pie Operarie della Immacolata Concezione della

Congregazione di Ascoli nella Marca intorno alle loro principali funzioni, Roma MDCCLXXVIII, pp. 39-53. Sull’organizzazione della “Scuola Letteraria” vedi anche le pa-gine 108-111.

235 Vedi p. 164-165. 236 Istoria della Fondazione, cit., paragrafo ottavo, 3.

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difatti nel corso del testo si fa riferimento a Principianti237, e a regole essen-ziali. Se si volesse trovare uno strumento didattico che oggi gli rassomigli, pensiamo che potrebbe essere paragonato a quei manuali di Prosodia e me-trica che si usano, o meglio che una volta erano diffusi nelle Scuole ad indi-rizzo umanistico: Liceo classico e Istituto Magistrale. Abbiamo assunto co-me termine di confronto il trattato di Zambaldi238. Se prendiamo per esempio la definizione di esametro dello Zambaldi239 e del Marcucci240, le differenze appaiono quasi irrilevanti. Abbiamo scelto il manuale di Zambaldi, perché è un vecchio testo che conserva ancora una certa cura nella trattazione degli argomenti di Prosodia, che nei manuali recenti si è andata sempre più sem-plificando. Infatti la grande differenza tra il testo di Marcucci e i manuali moderni è che questi hanno come obiettivo di fornire gli elementi fondamen-tali per una sicura “lettura metrica” dei testi latini, quello di Marcucci invece si propone di insegnare la Prosodia per comporre in latino. Così si spiega il largo spazio che nel testo è riservato alla Prosodia, con esemplificazioni molto diffuse e dettagliate annotazioni dei filologi contemporanei. In questa parte il confronto è più difficile, perché nei manuali moderni la parte della Prosodia è ridotta all’essenziale, e spesso in Metrica ci si limita ed esamina-re l’Esametro e il Pentametro e qualcuno dei versi lirici oraziani. La parte più originale del testo marcucciano è quella che riguarda i componimenti sacri, perché questo argomento difficilmente si trova trattato nei libri in cir-colazione. La seconda parte della Selectio metrica, collegata direttamente al Saggio, è dedicata proprio alla metrica sacra. Marcucci stesso ha composto alcuni inni, secondo le regole della Prosodia. 3. LE ANTOLOGIE. 3.1. Le due antologie. Come complemento del Saggio della Prosodia latina il Marcucci compose due Antologie, perché servissero come testi di esercitazione su tutta la mate-ria che aveva trattato nel Saggio. La prima è intitolata Sélectio Métrica (An-tologia metrica) e fu composta il 6 settembre 1749, ed è collegata diretta-mente alla materia del Saggio. È definita “esercizio di traduzione durante il corso di Prosodia tenuto da Lotemia Conca”. La seconda fu composta un 237 Cap. IV, 2, p. 96. 238 FRANCESCO ZAMBALDI, Elementi di Prosodia e di Metrica latina, Torino 1972. 239 Ibid., p.: “L’esametro dattilico è composto di sei dattili, l’ultimo dei quali è bisillabo”,

seguono poi tutte le particolarità. 240 Il Saggio, cit., p. 2: “Il Verso Esametro o sia Eroico è quello, … che vien composto di sei

Piedi; dei quali i primi quatto sono indeterminati, … e l’ultimo è sempre Spondeo”, seguo-no poi le particolarità.

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Pagina 1 del manoscritto della seconda Antologia

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mese dopo, il 4 ottobre 1749, ed è un’Antologia a tema. Era destinata a stru-mento di studio come “esercizio di memoria” durante il mese di ottobre, normalmente periodo di vacanze. Il tema è la vita di Cristo: La vita le opere

di Gesù Cristo Salvatore nostro, rivisitata attraverso i componimenti “epici” di Giovenco, Sedulio e Proba Falconia. Anch’essa con finalità di esercita-zione metrica, com’è specificato nel titolo: “Excerptio metrica”. Questa volta l’autore non si nasconde dietro un eteronimo: l’opera ha un suo autore: “F.A.M. ab Imm. Conc.”, cioè Francesco Antonio Marcucci dell’Immacolata Concezione. 3.1.1. I manoscritti delle due Antologie sono contenuti nella Miscellanea 60. Questa raccolta di testi marcucciani è divisibile in due parti ben distinte. Nella prima parte sono state radunate una serie di Lezioni o Esercitazioni filosofiche tenute ad Ascoli dal Marcucci o “sotto la sua assistenza”, intorno ai più diversi argomenti, secondo il modello delle lezioni scolastico-tomistiche. I primi sette fascicoli contengono Esercitazioni filosofiche che hanno come unico argomento le “Idee innate”. Il terzo fascicolo è una lettera alla “Reverenda Madre Suor Maria Petronilla”, per la quale fa una breve esposizione del problema delle Idee innate. Il fascicolo ottavo è il più grande e vi sono esposti, sempre secondo il modello scolastico tomistico argomenti diversi241. Seguono poi altri nove fascicoli che contengono sempre esercita-zioni filosofiche su i più svariati argomenti242. Quello che unisce tutti questi manoscritti e il modello di discussione e la lingua latina, con cui sono argo-mentati questi problemi. Gli ultimi tre fascicoli contengono le Antologie. I fascicoli di filosofia sono numerati da 1 a 195. La numerazione è posteriore, anzi recente: è stata fatta con una biro. I tre fascicoli delle Antologie hanno invece una numerazione originale. Il terzo, quello della Selectio metrica, è formato di nove fogli ed è numerato da 1 a 31. Il primo foglio non è numerato. Il retto della prima pagina contie-ne il frontespizio e il verso è bianco; l’ultima pagina del primo foglio è bian-ca e “si è” incollata con il tempo al cartoncino della copertina; anche il verso della seconda pagina del secondo foglio è bianco, mentre il retto è solo nu-merato, ed ha il numero 31. Il fascicolo ha dimensioni cm. 20x13,5. Nel

241 Vi sono ancora due “Esercitazioni” sulle Idee innate, una “De infusione Scientiæ facta

Adamo”, cioè da dove derivano le conoscenze di Adamo, un’altra si occupa di Cabala, la quinta dell’intervento della volontà nel giudizio.

242 Gli argomenti sono dei più disparati: Rapporto tra Scienza e Filosofia; L’Episcopato è un ordine diverso dal Presbiterato; Adamo peccò di Superbia o di Disubbidienza; Può un Padre diseredare una figlia, che si sposa senza il suo consenso. Non manca neppure una discussio-ne legale, nella quale si discute la tesi della lesa maestà.

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frontespizio è stato disegnato lo stesso monogramma che abbiamo descritto alla nota 129 di questa introduzione. La seconda antologia è contenuta in due fascicoli di questa Miscellanea. Su uno, il secondo, è copiato il Centone virgiliano di Proba Falconia. È formato da quattro fogli tutti scritti fittamente. Non ha parti bianche, ed è numerato da 51 a 65. La numerazione è originale e di mano del Marcucci. Il primo contiene i testi Giovenco e Sedulio e due “Corollari” (di questi parleremo più avanti). È di nove fogli e numerato da 1 a 34 dal Marcucci. La prima pagina non ha numerazione: il retto è bianco e il verso contiene l’indicazione della destinazione dell’Antologia: “Esercizio di memoria durante il mese di ottobre di ogni anno”, e poi l’elenco dei testi scelti. Che il Centone di Proba Falconia appartenga a questa Antologia si ricava dall’elenco dei testi, nel verso della prima pagina, e da quella, che contiene il titolo e l’elenco degli autori. Le dimensioni dei due fascicoli sono quasi uguali: cm. 19,2x13,1. Per la car-ta e la scrittura rinviamo a quanto abbiamo già detto, descrivendo il Mano-scritto del Saggio. I fascicoli della Miscellanea formano un volume, rilegato con un cartoncino piegato sul dorso, rinforzato con un pezzo di tela. I fascicoli sono cuciti con un filo di refe al cartoncino e alla tela del dorso. La prima pagina bianca del primo fascicolo e l’ultima pagina dell’ultimo fascicolo, quello della Selectio

metrica, sono incollate ai piatti interni della copertina. La parte esterna della copertina è rivestita con un foglio di carta da parato con stelle e disegni cur-vilinei. Sul dorso era stata incollata una striscia di carta chiara, che copriva la tela e le cuciture del dorso, e si sovrapponeva in parte alla carta da parato messa sopra al cartone. Ora questa striscia si è logorata, rendendo illeggibile ciò che era scritto sul dorso, come segnatura, forse di mano dello stesso Marcucci. 4. SELECTIO METRICA.

Questa “Antologia metrica” fu pensata in stretto rapporto con il Saggio, e ne doveva essere il manuale di esercitazione. Accompagnava il corso di Lote-mia Conca”.243. Ancora nel titolo si dice che è divisa in due parti: sacra e profana, e in diciotto lezioni, nove per ciascuna delle due parti. Sì, proprio lezioni dice l’autore. In tal modo si capisce lo scopo didattico, quasi una “programmazione curriculare”. Il testo fu approntato subito al termine della 243 Nell’Antologia il nome è stato mutato in “Lauthémia Conca”. È il tentativo di latinizzare

l’eteronimo? Sempre nel titolo c’è il nome greco Mετάγωγυµνασία, che è stato creato allo scopo, unendo Mετάγω (traduco) e γυµνασία (esercizio), interpretato come “esercizio di traduzione”. Il Marcucci forse del greco aveva quella “tintura” di cui parla nella Primogeni-

tura, (p. 108).

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compilazione del Saggio. Porta la data del 6 settembre: posteriore di una settimana a quella del Saggio.244 4.1. I metri profani. Più che i metri, “profani” sono gli autori citati. Infatti le prime nove “lezio-ni” sono dedicate a Marziale, Ovidio, Virgilio e Orazio. Sulla scelta degli autori è difficile dare delle indicazioni. La cosa più sor-prendente è l’inserimento nell’elenco, e in posizione di rilievo, di Marziale, che nella storia della letteratura latina non è considerato tra i massimi auto-ri245. Monsignor Marcucci aveva un amore particolare per quest’autore. Lo dimostra la stessa Antologia, nella quale sono riportate alcune composizioni del Nostro costruite sul modello di Epigrammi di Marziale. Tra i libri che furono donati dal Marcucci alla biblioteca del Capitolo ascolano c’è una copia degli Epigrammi di Marziale, riccamente postillata con note autogra-fe246. Ogni autore profano è introdotto da una scheda descrittiva (Admonitio), nella quale si forniscono le informazioni fondamentali, e si formulano un giudizio critico e una valutazione morale. 4.1.1. Marziale. Sulla priorità e sulla stima che Marcucci riserva a Marzia-le abbiamo già formulato qualche ipotesi, altro aggiungeremo quando esa-mineremo i “Corollari”, che intercalano le diverse parti delle Antologie. C’è però da aggiungere che mentre a Ovidio, Virgilio e Orazio sono dedicate due lezioni, a Marziale ne sono riservate tre. La scheda è dettagliata e abbastanza completa247, e la fonte sembra un testo del Criniti248, utilizzato anche dal commentatore degli Epigrammi di Marzia-le appena citato. Vi si indicano come suoi amici Caio Plinio il giovane, Silio Italico e Valerio Flacco249, e si ricorda che nella poesia epigrammatica Mar-ziale si considerava continuatore di Catullo e di Marso, Pedone e Getulico,

244 Le date molto probabilmente indicano l’inizio della compilazione. 245 Marcucci scrive: “Inter Ætatis argenteæ Auctores, licet non inter primos, reponitur”; “È

collocato tra gli Autori dell’Età d’argento, e nemmeno tra i più importanti” (p. 166-167). 246 Marcucci donò molti volumi al Capitolo di Ascoli. Si riconoscono dalla dicitura “Ex libris

Francisci Antonii Marcucci ab Immaculata Conceptione” o una sua variante. Il Marziale cui si fa riferimento è il seguente: M. VAL. MARTIALIS Epigrammata. Ex Museo Petri Scriverii.

Ab omni rerum obscænitate verborumque turpitudine vindicata, Venetiis MDCXCV. 247 Cfr. E. PARATORE, Storia, cit., pp. 675-682; C. MARCHESI, Storia, cit., II, pp. 126-142. 248 PETRI CRINITI, viri undecumque doctissimi, Honesta disciplina libri XXV. De poetis Latinis

eiusdem libri V. Poemarum quoque illius libri II, Basileæ MDXXXII, p. 491-493. 249 Su tutti questi autori rinviamo ai due testi di letteratura latina già indicati, in particolare C.

MARCHESI, Storia, cit., II: Plinio il giovane, pp. 275-283; Silio Italico, pp. 193-196; Vale-rio Flacco, pp. 191-192.

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tre poeti, questi ultimi, quasi sconosciuti e dei quali non possediamo nulla, oltre a quello che ci riferiscono lo stesso Marziale e pochi altri autori250. In-fine si annota che il Mureto fu un acerrimo censore di Marziale251. La prima lezione è dedicata agli epigrammi XIX252 del De Spectaculis e al XLIX del libro VIII: tutti e due indirizzati a Cesare Domiziano. Epigrammi molto amati dal Marcucci; sui quali fece delle variazioni, mutando ovvia-mente destinatari: Cristo e Maria. Nella lezione seconda si prende in esame il mordace epigramma contro Meciliano253: il LI del Libro IX. Nella terza le-zione si propongono tre epigrammi tratti dagli ultimi libri dell’opera di Mar-ziale: l’XI degli Xenia, “Lactuca”, il XIII, “Nuces”, e il CLXXVII, “Nota-rius” degli Apophoreta. Era stato proposto anche il CXXXI, “Zona”, degli Apophoreta, poi però è stato cancellato: forse il riferimento a una cintura femminile è sembrato troppo frivolo.

4.1.2. Ovidio. La scelta di Ovidio era quasi obbligata in una rassegna della poesia latina. “Dante lo pone al terzo posto, dopo Omero ed Orazio, fra i sommi poeti che vegono incontro a Virgilio nel Limbo”254. Dovunque nel mondo, dall’età medioevale al Rinascimento e fino ai giorni nostri, letteratu-ra e pittura hanno subito il fascino delle belle forme e dell’edonismo ovidia-no. La scheda che gli dedica il Marcucci sembra anch’essa derivare dal testo del Criniti: è molto dettagliata ed esauriente. Elenca tutti gli elementi neces-sari per conoscere la vita e le opere del poeta di Sulmona. Né manca il giudi-zio morale. Dopo averne descritte le qualità artistiche “Poeta fuit præclarus, amænus, copiosus, ingeniosus, ac tersæ Latinitatis cultor”, si passa subito a dichiarare “fuit tamen obscenissimus; quamobrem periculose legitur non solum in iis libris, ubi nequitiam apertè profitetur (ut præcipuè in libris de Amore, qui uri penitus deberent), sed etiam in aliis”255.

250 Per Catullo, vedi E. PARATORE, Storia, cit., pp. 312-329; per Marso, Pedone e Getulio

vedi: PETRI CRINITI, De poetis Latinis, cit.: Marso, p. 465; Getulico, pp. 477-478; Pedone, pp. 480-481. Cfr. C. MARCHESI, Storia, cit., II, pp. 139-140, n. 3.

251 M. A. MURETI, Catullus, et in eum commentarius, Venetiis, apud P. Manutium Aldi filium 1554.

252 Abbiamo conservato la numerazione, che si ricava da: M. VAL. MARTIALIS Epigrammata.

Ex Museo Petri Scriverii, cit. Tra parentesi quadre [] abbiamo dato quella delle edizioni moderne. Questo epigramma oggi ha il numero XVII, il successivo il LVI, e di seguito il LXX, XIV, XIX, CVIII. Per la numerazione moderna abbiamo fatto riferimento a MARZIALE, Epigrammi a cura di Simone Beta, Milano 2007.

253 Le edizioni moderne leggono Ceciliano: cfr. MARZIALE. Epigrammi, cit., p. 524. 254 E. PARATORE, Storia, cit., p. 500. 255 Vedi pp. 170-171: “Fu Poeta famosissimo, piacevole, prolifico, geniale e cultore di una

tersa latinità … Fu tuttavia molto osceno; perciò è pericoloso leggere non solo quei libri, dove si professa apertamente il vizio (come accade soprattutto nei libri sull’Amore, che si dovrebbero sicuramente bruciare) ma anche gli altri”.

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Gli sono dedicate due lezioni. Nella prima sono proposti alcuni distici dei Fasti, sull’origine dei nomi dei mesi dell’antico calendario romano, e quattro versi dell’incipit dei Tristia. Nell’altra lezione si esamina alcuni distici dell’Elegia alla moglie, la quinta del secondo libro dell’Epistulæ ex Ponto, poi i primi sette versi delle Metamorfosi.

4.1.3. Virgilio. La presenza di Virgilio in una rassegna di poeti latini è obbligatoria; gli elogi che ne fa il Marcucci sono quelli che fanno i critici di ogni tempo256. Dopo averlo definito il principe della Poesia latina, prosegue citando il giudizio del Mureto, contenuto in quel commento a Catullo che già conosciamo:257 “Quo, ut scribit Muretus in Comment. ad Catull., nihil potest

fieri divinius circa Poesin, eique fit injuria si nullo modo aliis cum Poetis

comparetur.” La scheda passa poi in rassegna le varie opere. Non vi è alcun cenno ad un giudizio morale, perché finalmente poesia e moralità sembrano coincidere. Le due lezioni, che sono dedicate a Virgilio, presentano nella prima l’inizio della settima Egloga, e l’incipit delle Georgiche, nell’altra, oltre all’inizio dell’Eneide tramandato dalla tradizione, “Ille ego”, ecc., la protasi del Poema, l’invocazione alla Musa, e l’inizio del secondo libro.

4.1.4. Orazio. Le ultime due lezioni sui “Metri profani” sono dedicate a Orazio. La sua presenza in questa rassegna è quasi ovvia: il poeta di Venosa è considerato il maggiore poeta lirico latino, e per il Marcucci era l’unico autore tra i quattro scelti che gli consentiva di documentari i metri lirici con autori profani. La scheda che precede l’Antologia è al solito molto efficace e dettagliata negli elementi informativi258. Ma anche per Orazio ritorna la dif-ferenza tra il giudizio artistico e quello morale: “Omnia quidem ingeniosè, splendidè, ac luculenter scripsit, et tersissima latinatate usus est; undè opti-mos inter Auctores ætatis aureæ reponitur. Non pauca tamen habet lutulenta (hoc fuit Poetarum cacoethes), et inquinandis moribus, nisi delectus habea-tur, opportuna”259. Nelle due lezioni si esaminano l’Ode 22, I, a Fusco: sull’integrità morale; la famosa ode 10, II: sull’aurea mediocrità; la 14, II: sulla inevitabilità della morte. Poi si termina con la 24, III: contro l’avarizia;

256 Per altri approfondimenti rinviamo ai nostri manuali: E. PARATORE, Storia, cit., pp. 361-

404; C. MARCHESI, Storia, cit., I, pp. 388-465. 257 M. ANT. MURETI, Catullus, et in eum commentarius, cit. “Per questo, come scrive il Muret

nel Commento a Catullo, niente può accadere di più divino nella Poesia, e gli si fa un torto,

se in qualche modo lo si confronta con altri Poeti”. 258 Anche per Orazio rimandiamo a E. PARATORE, Storia, cit., pp. 410-436 e a C. MARCHESI,

Storia, cit., I, pp. 465-509. 259 Vedi pagine 176-177: “Scrisse tutte queste opere, con ingegno, abilità e perfezione, fece

uso della più limpida latinità, per questo è collocato tra i migliori Autori dell’età aurea. Tut-tavia non pochi componimenti sono limacciosi (questo era un malcostume dei Poeti), anche per la possibilità di corrompere i costumi, se non se ne fa un’opportuna scelta”.

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si finisce con due brani tratti dagli Epodi: il secondo: la lode della vita rusti-ca, e il sesto: contro il poeta maldicente. Una lesione al manoscritto ha fatto perdere un confronto di Orazio con quelli che sono considerati i suoi ispiratori: Pindaro e Callimaco.

4.2. I metri sacri

La seconda parte della Selectio Metrica contiene i metri sacri, ossia compo-nimenti sacri, di cui si analizza il metro con cui sono composti. Le prime cinque lezioni, precedute da una Admonitio, presentano 10 Inni ecclesiastici, tutti appartenenti all’Ufficio sacro. Gli inni sono raggruppati per destinatari: lo Spirito Santo, il SS.mo Sacramento, la SS.ma Vergine, gli Angeli, S. E-midio. Le ultime quattro lezioni sono dedicate all’esame dell’opera poetica latina di Jacopo Sannazaro, ed in particolare al De Partu Virginis. Questa è la parte più originale dell’Antologia. Non è facile trovare prima del Marcucci testi che prendano in esame la metrica degli Inni liturgici. Proprio un secolo prima, come si dice nell’Admonitio, Papa Urbano VIII aveva mes-so mano a tutti gli Inni per regolarizzarne la metrica.260 E ciò era accaduto, come annota il Marcucci, perché gli autori degli inni spesso trascuravano la metrica per fare più attenzione al senso, e forse anche perché nel periodo in cui i testi furono composti si stava perdendo il senso della quantità delle sil-labe. Il maggiore interesse per il senso è documentato dalla lettera di S. Ber-nardo di Chiaravalle all’Abate Guidone261, citata dal Marcucci.

4.2.1. Inni allo Spirito Santo. La prima lezione prende in esame due Inni allo Spirito Santo: il Veni Creator Spiritus, e il Veni sancte Spiritus. Il primo in Dimetri giambici262, il secondo in Dimetri trocaici catalettici263. L’attri-buzione del Marcucci a S. Ambrogio del Veni Creator Spiritus oggi è messa in dubbio da più parti264. Per il Veni sancte Spiritus si fa soprattutto il nome di Stefano Langton265 e del Papa Innocenzo III266. 260 Nel testo della Premessa c’è sicuramente un errore nella data, dovuto a uno scambio di

posizione di un numero, cioè bisogna leggere 1629 e non 1269. 261 D. BERNARDI, Doctoris Mellitissimi ac Primi Abbatis Clarævallensis Cænobij Opera in

duos tomos distincta, tomus II, Venetiis MDLXXXIII, p. 118, c. 1. Maggiori indicazioni su questo argomento si troveranno sia nel Saggio, sia nel testo della Selectio metrica.

262 Il Saggio, cit., p. 101. 263 Il Saggio, cit., pp. 103. 264 Oggi si fanno anche i nomi di Rabano Mauro, Vescovo di Magonza, vissuto circa dal 780

al 856, e di S. Gregorio Magno papa, nato intorno al 540 e morto nel 604 (Cfr. Storia dei

Papi, cit., I, pp. 218-231), e di altri (Vedi The Catholic Ecyclopedia, Vol. 15, ad vocem, New York 1912, riveduta nel 2008).Vedi anche C. MARCHESI, Storia, cit., II, pp. 467-470; Enciclopedia Cattolica, XII, p. 1230, Firenze 1954

265 Arcivescovo di Canterbury vissuto nel secolo XIII. Si conosce la sua data di morte: 1228. Cfr. The Catholic Ecyclopedia, cit., Vol. 15, ad vocem . Enciclopedia Cattolica, cit., 1232.

266 Cfr. Storia dei Papi, cit., II, pp. 33-42.

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4.2.2. Inni al SS.mo Sacramento. La seconda lezione, dedicata agli inni al SS.mo Sacramento, esamina soprattutto il Pange lingua, un componimento formato da strofe nelle quali si alternano un Dimetro trocaico e un Dimetro brachicatelettico267. L’attribuzione di questo inno a S. Tommaso non è messa in dubbio da nessuno268. Si dà poi la quarta strofa del Verbum supernum

prodiens, attribuito ancora a S. Tommaso, in Dimetro Giambico269. 4.2.3. Inni alla SS.ma Vergine. La terza lezione passa in rassegna tre inni alla SS.ma Vergine. Il primo Quem Terra, Pontus, Sidera, e il secondo O

gloriosa Virginum sono entrambi in Dimetri giambici, ed entrambi attribuiti a Venanzio Fortunato270. Il terzo è il famoso Ave maris stella, in Dimetro giambico Brachicatalettico. L’attribuzione a S. Bernardo non è da tutti con-divisa: si fanno i nomi di Venanzio Fortunato o di Paolo Diacono271. 4.2.4. Inni agli Angeli. Una sezione di questa rassegna si occupa di inni agli Angeli. Il Marcucci aveva una particolare devozione per gli Angeli, e per S. Michele in particolare, e i due inni presi in esame sono in suo onore. Il primo è Te splendor, et virtus Patris, in Dimetri Giambici, il secondo Chri-

ste, sanctorum decus Angelorum, in strofe saffiche272. Dei due inni il Mar-cucci non sa indicare l’autore. Oggi la ricerca sembra attribuirli a Rabano Mauro273.

4.2.5. Inni a S. Emidio. La quinta lezione è dedicata agli inni in onore di S. Emidio. Il Santo patrono di Ascoli era stato più volte oggetto d’interesse del Marcucci274. Il primo inno è Audiat miras oriens, cadensque, in strofa saffi-ca, l’altro Jesu, corona Martyrum, in dimetro giambico. Del primo l’autore ci dice che è composto sul modello dell’inno a S. Gaudioso, di Jacopo San-nazzaro275, ma non se ne conosce l’autore. Potrebbe essere lo stesso Marcuc-ci, o qualche altro sacerdote del clero ascolano. Esso comunque è entrato nel Breviario Romano, per la ricorrenza della commemorazione di S. Emidio, il

267 Il Saggio, cit., p. 103. 268 Va solo ricordato che circa sette secoli prima era stato composto da Venanzio Fortunato

(vissuto fra il 530 e il 600, cfr. C. MARCHESI, Storia, cit., II, pp. 488-489) un inno con lo stesso titolo “Pange Lingua”, anche questo sopravvissuto nella tradizione liturgica occiden-tale (Cfr. GIAN BIAGIO CONTE, Letteratura latina, Firenze 1997, p. 465.)

269 The Catholic Ecyclopedia, cit, Vol. 15, ad vocem. 270 The Catholic Ecyclopedia, cit, Vol. 12, ad vocem;. Enciclopedia Cattolica, cit., IX, p. 86. 271 Cfr. Ibid., II, pp. 516-517. 272 Il Saggio, cit., p. 105; Enciclopedia Cattolica, cit., XII, p. 6; Ibid., III, p. 1568. 273 GAETANO MELZI, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani come che

sia aventi relazioni all’Italia, tomo III, p. 532, Milano MDCCCLIX. Vedi sopra nota 268. 274 Cfr. F. A. MARCUCCI, Saggio delle cose ascolane, cit., pp. CXCVII e ss. 275 JACOPO SANNAZZARO, Epigrammi, Biblioteca Italiana, Roma 2005, libro II, n. LIX.

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9 agosto276. Jesu, corona Martyrum è composto sullo stesso schema di Jesu,

corona Virginum. Anche di quest’inno non si conosce l’autore, e si potrebbe formulare la stessa ipotesi del precedente. Nel Breviario romano è recitato alle Lodi277. Infine si ricorda che anticamente esisteva un altro inno a S. E-midio Æternæ Regi gloriæ, e poi viene cita una strofa in Dimetro giambico. Di quest’inno non si riesce a sapere niente oltre a quello che tramanda il Marcucci, Questa parte però termina con una nota doppiamente interessante per la nostra ricerca. Prima di tutto perché si dice che il Marcucci ha compo-sto un inno in Dimetro giambico in onore di S. Francesco di Sales, il cui inizio è Si queris cordis gaudium, che non riporta in questa parte del libro perché lo ha già presentato e spiegato in italiano nel suo libro I cinque Mer-

coledì di San Francesco di Sales. Purtroppo, come abbiamo già detto, questo libro è uno di quelli che mancano all’appello278. 4.3. Jacopo Sannazaro. Le ultime quattro lezioni della “metrica sacra” sono tutte per Jacopo Sanna-zaro e il suo De Partu Virginis. L’antologia del poema è preceduta dalla soli-ta Admonitio. Le informazioni contenute nella nota sono ricche e presentano un’immagine completa dell’autore. Sono analizzate sia le opere Italiane: Arcadia e Rime, sia quelle Latine: Elegiæ, Eclogæ piscatoriæ, Epigrammata, e De partu Virginis, definito dal Marcucci “divino Poema”. Si annota poi che i dotti dell’epoca gli rimproveravano la confusione di elementi sacri e profani nel poema, a cui egli lavorò per vent’anni; si ricorda l’amicizia che lo legava a Pietro Bembo, cardinale e notissimo letterato italiano, che scrisse l’epitaffio per l’amico279; e infine si afferma che Sannazaro fu aspro censore delle opere altrui. In tutto questo prezioso materiale informativo, quello che

276 Breviarium Romanum, pars æstiva, Romæ MDCCCCXII, p. 28* e ss. Quest’inno si recita

in parte, l’inizio, ai Vespri, e l’altra parte al Mattutino. Il Marcucci ha unificato le due parti, tagliando alcune strofe.

277 Ibid., p. 33* 278 Vedi infra n. 29 279 Pietro Bembo fu il poeta e il letterato più noto del Cinquecento, esponente di quel movi-

mento che si fece promotore del culto della poesia del Petrarca, e che va sotto il nome di “bembismo”. Autore di trattati che segnarono l’apogeo e il declino del Rinascimento. Era anche apprezzato poeta latino, e compose il distico, che ancora si legge sul sarcofago di Sannazaro, e che fu tradotto in età giovanile dal Leopardi: “Spargi qui fiori, ove a Maron vicino / ha di giacer il vanto / chi sì vicin di già fu a lui nel canto” (GIACOMO LEOPARDI, Puerili, in Poesie e Prose, vol. I, Milano 2006, p. 882. Per maggiori approfondimenti si può consultare ROBERTO FEDI, La fondazione dei modelli. Bembo, Castiglione, Della Casa, in Storia della Letteratura italiana, diretta da Enrico Malato, vol. IV, Il primo Cinquecento, Roma 1996, pp. 507-594, che contiene anche un’ampia e approfondita bibliografia sull’autore e sui movimenti rinascimentali di cui fu protagonista.

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sorprende è l’inesattezza dei dati di nascita, di morte e degli anni di vita. Si dice che nacque nel 1471 e che morì nel 1533, e che visse 62 anni. Con gli elementi indicati il periodo di vita è esatto, ma non sono esatte le date. Oggi sappiamo che nacque nel 1456 e morì nel 1530. Come mai il Marcucci ha delle informazioni anagrafiche così diverse? Non sappiamo da quale fonte attinge per le sue Avvertenze, nelle quali per altro è sempre scrupoloso e pre-ciso. Certo non può essere né un suo errore, né uno scambio di numeri280, come abbiamo rilevato per Urbano VIII. Eppure fra i suoi contemporanei circolavano notizie esatte e circostanziate281.

4.3.1. Il Parto della Vergine. Nella sesta lezione prima di iniziare l’analisi del De Partu Virginis, Marcucci propone due distici di Lazaro Cardona282,

280 Sulla data di nascita del Sannazaro c’è qualche discordanza: De Roberti la pone nel 1457

(DOMENICO DE ROBERTI, L’esperienza poetica del Quattrocento, in La Letteratura italiana, 5, Milano 2005, pp. 482-526), come il Garbini (PAOLO GARBINI, Sannazaro Jacopo, in Gli

Autori, cit., pp. 1579-1580); il Corniani sceglie il 1458 (GIAMBATTISTA CORNIANI, Elogio di

M. Jacopo Sannazaro, in M. JACOPO SANNAZARO, Arcadia con la vita di lui scritta dal con-

sigliere Giambattista Corniani, e con le annotazioni di Luigi Portirelli, Milano 1806, pp. X-XXIII. Il Momigliano dice “probabilmente” nel 1456 (A. MOMIGLIANO, Storia, cit., p. 139. C’è una ricerca specifica sull’argomento: MARIA CORTI, Ma quando è nato Iacobo Sanna-

zaro, in Collected essay on Italian language & literature, Manchester 1971, pp. 45-53. An-che se la data di nascita può oscillare tra il 1455 e il 1458, non si riesce mai a giungere al 1471. La data di morte non dà adito a dubbi, è il 1530, perché è scritta sulla tomba. Oltre a tutte le opere su Sannazaro che abbiamo già citato per analizzare il problema della nascita, aggiungiamo soltanto GIANNI VILLANI, Iacopo Sannazaro, in Storia della letteratura italia-

na diretta da E. Malato, cit., vol. IV, Il primo Cinquecento, pp. 763-802, che contiene un’ampia e aggiornata bibliografia e una breve analisi del De partu Virginis, con indicazioni sulle edizioni recenti e sulle analisi del poema.

281 Cfr. Jacobi, sive Actii Synceri Sannazarii, Neapolitani viri patricii Vita a JOANNE ANTONIO

VULPIO conscripta, in ACTII SANNAZARII Patricii Neapolitani, Opera Latine scripta, ex se-cundis curis Jani Broukhusii, Amstelædami MDCCXXVIII. JACOBI, sive ACTII SYNCERII

SANNAZARII Poemata ex antiquis editionibus accuratissime descripta. Accessit ejusdem vi-ta, JO. ANTONIO VULPIO auctore; item Gabrielis Altilii et Honorati Fascitelli carmina quae exstant. - Editio altera, priore locupletior. Patavii: excudebat Josephus Cominus, 1731 Pata-vii, p. 494: “Natus est Jacobus hic noster Neapoli, anno a Christi adventu MCCCCLVIII, sesto die Sancti Nazarii, V. Kal. Sextilis: quod ipse clarissimis carminum suorum monimen-tis non semel testatum esse voluit”, p. 525: “Mortuus est Sannazarius Neapoli, omnibus quæ ad religionem pertineret, rite sancteque persolutis, anno ab humano genere servato MDLXX annum agens LXXII” (Nacque a Napoli il 27 giugno 1458 e qui morì nel 1570, a 72 anni).

282 Cfr. GIUSEPPE M. MIRA, Bibliografia Siciliana ovvero Gran Dizionario Bibliografico delle

opere edite e inedite, antiche e moderne di autori siciliani o di argomento siciliano stampa-

te in Sicilia e fuori opera indispensabile ai cultori delle patrie cose non che ai librai ed agli

amatori di libri, vol. I, New York, s.d., p. 178. Di Lazaro Cárdona possediamo pochissime notizie. Modica ne rivendica l’origine nel 1533. Si dice che morì nel 1586, che fu sacerdote e dottore in legge. È noto solo per il commento del De Partu Virginis. Cfr. ANTONINO

MONGITORE, Bibliotheca sicula sive de scriptoribus siculis (rist. anast. Panormi, 1707-1708).

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uno dei primi Commentatori283 del Poema. Il primo è dedicato a “Gesù Bambino nel Presepio, il secondo a “Maria Madre di Dio”. Passa poi alla rassegna del testo, iniziando dall’incipit del Poema284, che contiene le due parti canoniche, cioè la “Proposizione”, una specie di sintesi suprema, e l’invocazione alla Musa. E proprio quest’ultima parte svela quella contami-nazione di sacro e profano che gli rimproverano il Marcucci nella Admonitio e la critica in generale anche recente. Il breve componimento, (tre canti e 1443 esametri), ha il suo argomento focale nella Natività. Si inizia con l’immagine di Dio che non può rassegnarsi alla caduta eterna dell’uomo, e convoca l’Arcangelo Gabriele per dargli istruzioni sul messaggio che deve portare alla Vergine. Nell’ultima lezione, dopo l’accettazione di Maria, si riportano alcuni versi del libro II, sulla nascita e sul Presepio e si finisce con 5 esametri del III libro, sull’arrivo dei Pastori. Sono brevi citazioni ma suffi-cienti a dare un assaggio del clima religioso e poetico di questo testo, che ebbe “notevole fortuna nel Cinquecento, non solo in Italia, ma anche in Eu-ropa”285. 4.3.2. Costruzione e Spiegazione delle lezioni. Alla parte dell’Antologia

dedicata a Sannazaro, segue una curiosa e originale appendice. Marcucci ci dà un saggio di una vera e propria lezione sul testo sannazariano: “Costru-zione, ossia Ordine Grammaticale e Spiegazione delle Lezioni su Il Parto della Vergine”. Un esempio di quella analisi grammaticale e commento del testo, che l’autore scrive a mo’ di esempio. Corrisponde all’incirca alle note, alle spiegazioni e ai commenti che corredano i libri dei classici commentati che circolano attualmente nelle scuole. E questa analisi linguistica e stilistica è fatta in latino, una lingua semplice e scorrevole, ma che ci rivela anche il metodo d’insegnamento usato dal Marcucci con le sue “alunne”. E sappiamo che era uso corrente insegnare il latino con il latino: pratica che romperà Lancelot con il Nuovo metodo

286.

283 LAZARI CARDONÆ, Presbyteri U. J. D. Siculi Modicani Commentaria in tres libros Jacobi

Sannazarii De Partu Virginis a Sannazaro editos, apud Franciscum Senensem Venetiis 1584.

284 L’edizione più recente è IACOPO, SANNAZARO, De partu Virginis. A cura di C. Fantazzi e A. Perosa, Firenze 1988. Si può anche consultare G. VILLANI, Iacopo Sannazaro, cit., pp. 794-797; LUCIA GUALDO ROSA, a cura di, Iacopo Sannazaro, in Letteratura italiana Storia

e Testi, Poeti Latini del Quattrocento, Verona 1964, pp. 998-1207. Cfr. AZIO SINCERO

SANNAZARO, patrizio napoletano. Le opere latine, recate in versi italiani col testo a fronte e d’illustrazione fornite da Filippo Scolari, Venezia 1844. Il testo contiene un’introduzione, la traduzione in ottave, l’elenco dei codici, delle edizioni del poema fino al 1805, delle tra-duzioni fino 1839. Il testo della traduzione è seguito da una serie di note di vario carattere.

285 G. VILLANI, Iacopo Sannazaro, cit., p. 797. Vedi anche quanto si dice al successivo punto 5 di questa introduzione.

286 Vedi p. 53, n. 202.

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4.3.3. Corollario. L’Antologia si termina con un Corollario, che ritrovere-mo, meglio strutturato e funzionale all’organizzazione delle diverse parti, nell’Antologia a tema. Qui pare più un espediente per riempire le pagine del fascicolo rimaste bianche. Inoltre sembra aggiunto successivamente. Infatti è stato inserito dopo la parola “Finis”, che conclude sempre le opere. Contiene tre epigrammi: due li ritroveremo inseriti in un altro Corollario tra i testi di Giovenco e di Sedulio, con la variante che il secondo è dedicato alla Vergine Madre di Dio, invece che a Cristo. Sono imitati da Marziale, e di essi abbia-mo già detto più in dietro287. Il terzo invece è di Sannazaro288, ed è un inno di lode alla bellezza e alla potenza di Venezia, paragonata a Roma: questa, si dice costruita dagli uomini, quella dagli dei289. 5. DE VITA, ET OPERIBUS JESU CHRISTI SERVATORIS NOSTRI. Ottobre è il mese delle vacanze290. Monsignor Marcucci prepara anche per questo periodo un manualetto che serva a “esercitare la memoria”. Così si legge nella premessa-sommario, in cui si spiega la finalità dell’Antologia e si elencano i contenuti. Il collegamento con il Saggio è dichiarato nel sottotito-lo: “Excerptio metrica”. Insomma dovrebbe svolgere una doppia funzione: esercizio di memoria ed esercitazione metrica. E quale argomento migliore, per un libro “delle vacanze”, di una serie di testi poetici collegati alla storia di Gesù Cristo, ed in particolare ai Vangeli canonici: ecco allora un’an-tologia di versi tratti da Giovenco, Sedulio e Proba Falconia. L’accosta-mento di questi tre autori è suggerito al Marcucci dalla comune fonte della loro materia poetica, ma soprattutto dalla tradizione editoriale che molte volte li ha visti uniti291. Il titolo dell’Antologia sottolinea questo aspetto: “La Vita e le Opere di Gesù Cristo nostro Salvatore”. Tre poeti cristiani del IV secolo. Certamente alla scelta non è estranea l’ultima parte dell’Antologia precedente: il De partu Virginis di Sannazaro. I tre poeti del IV-V secolo appartengono al quel filone letterario, che va sotto il nome di “epica latina del Nuovo Testamento”, filone di cui Sannazaro rappresenta uno dei momenti più noti e felici, ma che conta anche la Cristia-

287 Infra p. 63. 288 ACTII SANNAZARII Patricii Neapolitani, Opera Latine scripta, cit., liber I, XXXVI, p. 201. 289 Cfr. FRANCESCO ZECHINI, L’epigramma di Iacopo Sannazaro a la città di Venezia, Città S.

Angelo 1900. È una curiosa plaquette di poche pagine, e contiene il testo, la traduzione dell’epigramma con un sonetto, l’occasione e la dedica “Al Cav. Pasquale Ventilj”.

290 Cfr. Direttorio, cit., p. 105. 291 Nel tomo secondo della Collectio plurium poetarum Christianorum del 1501 Venetiis apud

Aldum, ci sono “Sedulius Juvencus, Arator, Probæ Faltoniæ Cento”, nel 1537 ancora due edizioni che vedono insieme Giovenco e Sedulio, poi ancora nel 1541 e nel 1588. Anche nelle Collezioni moderne di Scrittori Cristiani spesso Sedulio e Giovenco sono insieme.

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de di Girolamo Vida292 e tanti altri poemi latini, per lo più ignorati dalla cri-tica letteraria e spesso dimenticati dall’editoria. Ma anche testi come Le sette

giornate del mondo creato293 di Torquato Tasso, Il Paradiso perduto

294 di John Milton, fino al Messia

295 di Friedrich M. Klopstock. Proprio il collega-

mento con il poema di Milton ha riacceso l’interesse degli studiosi anglo-americani per l’epica religiosa di Giovenco e Sedulio e di altri autori. Carl Springer scrive: “Il suo (di Sedulio) capolavoro, il Paschale Carmen, è uno dei più antichi esempi di ciò che spesso è stato definito “epica biblica”, un genere popolare dal quarto al 17° secolo, di cui il Paradiso perduto di John Milton ne è l’esempio più rappresentativo in lingua inglese”296. Lo stes-so autore ricostruisce l’origine297 e la fortuna di questi autori in tutto il peri-odo medioevale fino al XVI-XVII secolo.

292 Cfr. GUIDO SACCHI, Esperienze minori di mimesi in Storia letteraria d’Italia, Il Cinque-

cento, a cura di Giovanni dal Pozzo, Milano 2006, pp. 1061 e ss. Girolamo Antonio Vida nacque a Cremona nel 1480. Seguì gli studi con migliori umanisti del suo tempo. Entrato nell’ordine dei Teatini, studiò la filosofia e la teologia. Nel 1510 è a Roma alla corte di Giu-lio II, dove si fa apprezzare per i suoi poemi in esametri latini. Per incarico di Leone X compose la Cristiade che poi dedicò al successore Clemente VII, che lo nominò vescovo di Alba, dove morì nel 1556. Cfr. GIANFRANCO CRUPI, Vida Marco Girolamo, in Gli autori, cit., II, p. 1814.

293 Sul Tasso e sul Mondo Creato vedi un qualunque manuale di Letteratura italiana p. e: ETTORE BONORA Torquato Tasso in La Letteratura italiana, vol.7, Il Cinquecento la crisi

del Classicismo Milano 2005, pp. 533 e ss. Per Le sette giornate del mondo creato in TORQUATO TASSO, Opere, vol. II, Napoli 1840, pp. 85-160.

294 Per Milton e il suo capolavoro si rinvia a MARIO PRAZ, La letteratura inglese dal Medioe-

vo all’Illuminismo, Firenze 1967, pp. 253-267. 295 “L’epica cristiana inizia una lunga serie di composizioni poetiche ispirate alla Bibbia prima

in latino e poi in volgare: da Caedmon, Cynewulf, Otfrid, l’Heliad, la Passione di Clermont, fino a Milton e a Klopstock”: ERNEST ROBERT CURTIUS, Letteratura europea e Medio Evo

latino, Firenze 1995, p. 510. 296 CARL P. E. SPRINGER, The manuscripts of Sedulius, A Provisional Handlist, Philadelphia:

American Philosophical Society, 1995, p. 1. (La traduzione è nostra). 297 CARL P. E. SPRINGER, The Gospel as epic in late Antiquity, The Pascale Carmen of Sedu-

lius, Leiden - New York 1988, p. 5: “Sedulio è uno dei poeti Cristiani del quarto, quinto e sesto secolo che si accinsero a riproporre in lunghi poemi in esametri i racconti biblici. Gli autori Latini Cristiani hanno scritto in prosa durante i primi secoli dell’esistenza del loro movimento, ma dopo l’Editto di Tolleranza (311) e il cosiddetto Editto di Milano (313), che segnò la fine delle persecuzioni iniziate durante l’impero di Diocleziano, essi cominciarono a sperimentare il verso. L’epica biblica era una delle forme poetiche più antiche e più popo-lari della nuova Cristianità. Le altre opere di epica biblica con cui ci siamo imbattuti dopo il Paschale carmen di Sedulio comprende gli Evangeliorum libri quatuor di Giovenco (c. A.D. 329-330, il Cento di Proba (normalmente dato al 360)”. Seguono poi nell’elenco altri autori che non interessano la nostra ricerca: Cipriano Gallo, Vittore, Draconzio, Avito, Ara-tore. Poi aggiunge: “Fra questi autori Giovenco, Sedulio, Aratore e Avito erano gli autori più popolari e più influenti”. (La traduzione è nostra).

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I tre autori, pur distanti cronologicamente (vedi nota 297), nella tradizione letteraria medioevale ed editoriale, anche recente, appaiono spesso legati in una indissolubile unità298. Per tanto seguendo la ricostruzione della fortuna e delle vicende editoriali di Sedulio, che attualmente, (ma anche nel passato), gode di maggiore fortuna critica, (come dimostra Springer299), possiamo avere un’idea di massima di tutti gli autori che appartengono a quella che abbiamo chiamata “epica biblica”, con particolare riguardo a Giovenco. Scrive Springer: “La popolarità di Sedulio tocca il punto massimo nel 16° secolo. Più di 30 edizioni del Paschale carmen appaiono tra il 1501e il 1588300. Il numero delle edizioni del poema trova improvvisamente una bat-tuta di arresto nel 17° secolo, per contrasto, e nel 18° e 19° secolo non va molto meglio al Paschale carmen. Il nostro stesso secolo non produce alcuna nuova edizione del poema”301. Lo stesso autore in un altro testo302 dopo aver riconfermato e documentato la popolarità di Sedulio nel Medioevo passa in rassegna la grande quantità di manoscritti durante l’età carolingia, fino alla prima edizione del 1740 circa. E aggiunge: “Fra gli autori dell’epica biblica latina della tarda Antichità, che erano ancora inclusi nel curriculum medioe-vale, specialmente Giovenco, che scrisse il suo Evangeliorum Libri Quatuor durante il regno di Costantino, e Aratore del sesto secolo, la cui Historia

Apostolica è chiaramente influenzata dall’autore del Paschale Carmen, Se-dulio appare aver goduto la più ampia circolazione e la più consistente popo-larità negli anni”303. Popolarità che inizia il suo lento declino nel Rinasci-mento. “Durante il Rinascimento e la Riforma il nuovo entusiasmo per gli scrittori dell’antichità classica si accompagna con una misconoscenza dell’impor-tanza degli scrittori Cristiani della tarda antichità, e la visione

298 Gli autori che si dovevano leggere nell’insegnamento della grammatica delle scuole me-

dioevali erano scrittori pagani e cristiani, e tra questi figuravano quasi sempre Giovenco, Sedulio e a volte anche Proba Falconia: Cfr., E. R. CURTIUS, Letteratura europea, cit., pp. 59, 289; LOUIS HOLTZ, Glosse e Commenti, in Lo Spazio letterario del Medioevo, 1. Il Me-

dioevo latino, vol. III. Roma 2000, p. 76. 299 C. SPRINGER, The Gospel as epic, cit., pp. 1 e ss. 300 Ibid. Arevalo ne registra 22 per Giovenco e 27 per Sedulio, anche se spesso si trovano

insieme nella stessa edizione, a volte con Proba Falconia (Cfr. CÆLII SEDULII Opera Omnia, Mss. codd. Vaticanos, aliosque, et ad veteres editione recognita. Prolegomenis, scholiis, et appendicibus illustrata a FAUSTINO AREVALO, Romæ 1794, ristampata dal Migne: Quarti

sæculi Poetarum christianorum, Juvenci Sedulii, Optiani, Severi, et Faltoniæ Probæ. Ope-

ra omnia ad fidem Arevalensis et Pisaurensi editionum recognita, expressa et emendata,

accedunt D. Ausonii Burdigalensis opuscula omnia tam soluto quam stricto sermone scrip-

ta et variis recensionibus inter se diligenter collatis collecta, et cura qua par erat castigata.

tomus unicus, in Patrologiæ cursus completus, Accurante J. - Migne, tomus XIX, Parisiis 1846, coll. 9-390 (Juvencus); coll. 433-794 (Sedulius); Coll. 801-818 (Faltonia Proba).

301 C. SPRINGER, The Gospel as epic, cit., pp. 1-2. 302 C. SPRINGER, The Manuscripts, cit., pp. 1 e ss. 303 Ibid., p. 5.

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piuttosto negativa «di Età oscura» della civiltà medioevale è rafforzata du-rante il cosiddetto Illuminismo con i suoi sospetti nei confronti della Chiesa Cattolica”304. E proprio nel periodo in cui la cultura dominante sembra mi-sconoscere questi autori Monsignor Marcucci li propone per un’Antologia alle sue suore. L’altro aspetto che lo Springer rende evidente è lo scarso interesse che è dedicato a questi autori. Sempre partendo dall’osservatorio di Sedulio, anno-ta: “La gran parte del lavoro fatto su Sedulio ha avuto la forma di annotazio-ni in ampie Storie letterarie, cenni che appaiono sommari (anche se non privi originalità), e che tendevano a ripetere l’“ortodossia” corrente, come la que-stione della paternità, della datazione, della provenienza, molto spesso ripe-tendo pappagallescamente i ricorrenti giudizi negativi sul valore letterario del Paschale carmen”305. In fine fa notare che “Sebbene alcune delle barrie-re, che tradizionalmente si ponevano di fronte a eventuali studiosi (…) dell’epica biblica della tarda Antichità, siano state rimosse negli ultimi anni, un problema critico, che non è stato ancora risolto, è quello posto dalla co-siddetta «teoria della parafrasi». Alcuni decenni fa nei suoi influenti studi di letteratura Latina Medioevale, E. R. Curtius asserì che «Si è sottolineato troppo poco, finora, che gran parte della poesia cristiana prosegue le antiche parafrasi dei retori»”306. Ma passiamo ad esaminare i singoli autori. Altre osservazioni le faremo parlando di ciascuno singolarmente.

304 CAROLLINE WHITE, Early Christian Latin poets, London and New York 2000, p 3. La

White, dopo una breve introduzione traduce in inglese brani di Giovenco (1. 224-254; 4. 428-477; Sedulio (1. 136-159; 5. 20-68 e 164-244) ); Proba (580-599).

305 C. SPRINGER, The Gospel as epic, cit., pp. 1-2. A conferma della sua tesi cita autori stranie-ri inglesi e tedeschi, e gli italiani: SISTO COLOMBO, La poesia cristiana antica, Roma 1910, pp.156-162; AURELIO AMATUCCI, Storia della letteratura latina cristiana, Torino 1927; UMBERTO MORICCA, Storia della letteratura latina cristiana, Torino 1932, III, pp. 46-58; FILIPPO ERMINI, Storia della letteratura latina medioevale dalle origini alla fine del secolo

VII, Spoleto 1960, pp.237-39; MANLIO SIMONETTI, La letteratura cristiana antica greca e

latina, Milano 1969, pp. 343-4. 306 C. SPRINGER, The Gospel as epic, cit., p. 9. E. R. CURTIUS, Letteratura europea, cit., p.

168. La teoria della parafrasi trova ancora molti sostenitori oltre a MICHAEL ROBERTS, Bi-

blical Epic an Rhetorical Paraphrase in Late Antiquity, Liverpool 1985, citato anche da Springer (ibid., pp. 10 e ss.), ma è anche nei ricercatori italiani più recenti: MAURO

DONNINI, Versificazione: I testi, in Lo spazio letterario del Medioevo, cit., pp. 222 e ss. Il paragrafo dedicato a questi poeti è intitolato “Le Parafrasi bibliche”. Cfr. DIETER

SCHALLER, La poesia epica, in Lo spazio letterario del Medioevo, cit., Vol. II, pp. 9 e ss. GIUSEPPE CAMPAGNUOLO, Caratteri e tecniche della parafrasi di Giovenco, in “Vetera Christianorum” 27, 1973, pp. 76-81; GIUSEPPINA SIMONETTI ABBOLITO, Osservazioni su al-

cuni procedimenti compositvi della tecnica parafrastica di Giovenco, in “Orpheus”, 6, 1985, pp. 304-324; G. SIMONETTI ABBOLITO, I termini tecnici nella parafrasi di Giovenco, in “Orpheus”, 7, 1987, pp. 53-84.

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5.1. Giovenco.

Il primo autore dell’Antologia è Gaio Vettio Aquilino Giovenco (Gaius Vet-

tius Aquilinus Iuvencus), che “è anche il primo poeta cristiano conosciuto che, nel secolo quarto, si pone il problema della creazione di un linguaggio poetico, mediante il quale esprimere letterariamente i nuovi fatti e le idee derivate dalla sacra Scrittura”307. Sull’importanza dell’opera di Giovenco oggi la critica sembra abbastanza concorde. Egli rappresenta il momento del passaggio dalla tradizione letteraria classico-pagana alla nuova letteratura cristiana308. Giovenco è da tutti riconosciuto come l’autore di questa opera-zione. L’interesse per la sua opera si è andata sempre più ampliando, soprat-tutto in area anglo-iberica309, ma anche negli autori italiani310.

307 ESPERANZA BORRELL VIDAL, La palabra de Virgilio en Juvenco, Barcelona 1991, p. 11. 308 C. SPRINGER, The Gospel as epic, cit., p. 5. 309 Cfr. GREEN ROGER, Latin epics of New Testament, Juvencus, Sedulius, Arator, Oxford

University Press, New York 2006, pp. 1-134; C. WHITE, Early, cit, pp. 3-25, 34-38; ANTHONY HILHORST, The cleasing of the Temple (John 2,13-15) in Juvencus and Nonnius, in Early christian poetry, a collection of essays; Leiden, New York. Köln 1993, pp. 61 e ss.; C. SPRINGER, The Gospel as epic, cit., passim; M. ROBERTS, Biblical epic, cit., pp. 493-496; E. BORREL VIDAL, Las palabras, cit.; ID., Studia Iuvenciana, Barcelona 1990; Id., Iuvenci

index verborum et alia instrumenta léxica, Barcelona 1990; CASTILLO BEJARANO, Historia

evangelica, Madrid 1998. Vedi pure le pagine finali (176-184 del testo di E. BORREL VIDAL, Las palabras, cit.

310 ANTONIO V. NAZZARO, L’Annunzio dell’Angelo a Zaccaria (Lc. 1, 5-25) nella parafrasi di

Giovenco (1, 1-51) e Paolino di Nola carm. 6, 27-107), in Munera amicitiæ, Studi di Storia

e cultura sulla Tarda Antichita offerti a Salvatore Pricoco, a cura di Rossana Barcellona e Teresa Sardella, Soveria Mannelli (Cz) 2003, pp. 283 306; A. V. NAZZARO, L’Annunzio

dell’Angelo a Maria (Lc 1,26-38) nelle riscritture metriche di Giovenco (1,52-79) e Paolino

di Nola (Carm.6,108-138), in La poesia tardoantica e medievale. Atti del II Conv. intern. di studi. Perugia 15-16 novembre 2001, Alessandria 2004, pp, 19-33; A.V. NAZZARO, La visita

di Maria a Elisabetta (Lc 1,39-56) nelle riscritture metriche di Giovenco (I 80-104) e Pao-

lino di Nola (Carm 6, 139-178), in “Societas Studiorum”, Napoli 2004, pp. 355-370; EMANUELA COLOMBI, Iuvenciana I, in “Vetera Christianorum” 37, 2 2000, pp. 235-269; ID., Poesia ed esegesi cristiana: Interferenze tra i Vangeli di Matteo e Luca negli Evangeliorum libri di Giovenco, in Prospettive sul Tardoantico. Como 1999, pp. 151-156; ID., Sull’uso

delle preposizioni negli Evangeliorum libri IV di Giovenco, in Discentibus obvius, Como 1997, pp. 9-21; ID., Gli Evangeliorum libri di Giovenco tra parafrasi e commento, in “Cas-siodorus” 3 1997, pp. 3-30; PAOLA SANTORELLI, Nota a Giovenco IV 809, in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Univ. di Napoli”, vol. XXIX, 1986-1987, pp. 17-20; SALVATORE COSTANZA, Giovenco, in Enciclopedia Virgiliana, vol. 2, Firenze 1985, pp. 748-49; ID., Da Giovenco a Sedulio. I proemi degli Evangeliorum libri e del Carmen Pa-

schale, in “Civiltà classica e Cristiana” 6, 1985, pp. 253-286; FURIO MURRU, Analisi semio-

logica e strutturale della praefatio agli Evangeliorum libri di Giovenco, in “Wiener Stu-dien” 14, 1980, 133-151; M. DONNINI, Annotazioni sulla tecnica parafrastica negli Evange-

liorum libri di Giovenco, in “Vichiana” 1 1972, pp. 232-249; ID., Un aspetto della espressi-

vità di Giovenco. L’aggettivazione, in “Vichiana” 2 1973, pp. 54-67; FLORA LAGANÀ, Gio-

venco, Catania 1947.

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Le uniche notizie certe che conosciamo sulla vita di Giovenco sono quelle fornite da S. Gerolamo, e riprese nell’Avvertenza da Monsignor Marcucci311. Sappiamo che era prete, oriundo dalla Spagna, e apparteneva ad una famiglia aristocratica. Visse nell’età dell’imperatore Costantino, all’inizio del secolo IV. Monsignor Marcucci indica come data di composizione del poema di Giovenco il 332 circa. Gli autori moderni la anticipano al 329-330312. Nel testo di San Gerolamo si fa riferimento alla nobiltà dell’origine “nobilissimi generis Hispanus”. Per documentare tale informazione sia l’Arvalo313, sia la ricerca contemporanea sostengono che “l’ipotesi di S. Girolamo sulle nobili origini di Caio Vettio Aquilino Giovenco […] è supportata dal fatto che an-che uno dei consoli dell’anno 286 porta il nome di Vettio Aquilino, e che un C. Vettio Aquilino è attestato al tempo di Commodo. Il nostro Giovenco non è verisimile identificarlo con un console, ma non è totalmente impossibile che egli ne fosse il figlio o il nipote”314. Giovenco - afferma Marcucci - dedi-cò il suo poema a Costantino (cui elegans Opus suum nuncupavit). “Secondo Gregorio di Tours, che scriveva nel VI secolo, l’opera gli fu commissionata da Costantino (rogante … imperatore), ma questa è una falsa deduzione da Girolamo”315. Oltre la Evangelica historia, sono attribuiti a Giovenco un Liber in Genesim, un De laudibus Domini e in fine il Triumphus Christi He-

roicus316. Possono essere questi i “nonnulla eodem metro ad sacramentorum

ordinem pertinentia” di cui nel De Viris Illustribus parla S. Girolamo?317.

311 Partendo dalle annotazioni di S. Girolamo (De Viris illustribus vel De Scriptioribus Eccle-

siasticis Ad Dextrum prætorio præfectum, in D. HIERONIMI STRIDONIENSIS, Epistolæ et libri

contra hæreticos, ex antiquis exemplaribus, nunc primum, opera, ac studio Mariani Victorii Reatini emendavit eiusdemque argumentis, et scholiis illustravit, Romæ MDLXVI, apud Paulum Manuntium, Aldi f, tomus primus, p. 44; Chronicon ad annum 329/330; Epistola

LXXXIIII Magno oratori romano, Commentarium ad Mattheum in HIERONIMI, Epistolæ et

libri, cit., p. 1084) FAUSTINO ARÉVALO, C. Vetti Aquilini Iuvenci presbyteri hispani Histo-

riæ Evangelicæ Libri IV, Eiusdem Carmina dubia aut Supposta ad mss codices Vaticanos

aliosque, et ad veteres editiones, Roma 1792, e poi riproposta in Patrologiæ Cursus, cit., XIX, pp. 10-346, ha ricostruita tutte le informazioni in nostro possesso e tutti gli autori suc-cessivi in qualche modo dipendono dall’Arévalo.

312 C. SPRINGER, The Gospel as epic, cit., p. 5. G. ROGER, Latin epics, cit., p. 3: “Girolamo è più preciso sulla data nel suo Cronicon, dove pone il poema di Giovenco sotto l’anno corri-spondendo al 329”

313 F. ARÉVALO, C. Vetti Aquilini Iuvenci, cit., pp.14-15. 314 G. ROGER, Latin epics, cit., p. 2. 315 Ibid., p. 3. GREGORIO DI TOURS, Storia dei Franchi, 1, 36 in Patrologiæ cursus completus,

cit., LXXI, p. 179. 316 Vedi Patrologiæ cursus completus, cit., XIX, pp. 317-387. 317 “Alcuni testi nello stesso metro (l’esametro), che avevano per argomento l’ordine dei

sacramenti”. Il Roger annota: “Il significato del termine sacramentum era molto vago al tempo di S. Girolamo e certamente non corrisponde a ciò che noi conosciamo come i «sa-cramenti»; egli lo usava nel senso di sette varie, simboli, e riti riguardanti la fede Cristiana” (G. ROGER, Latin epics, cit., pp. 1-2). S. Girolamo usa la parola sacramenta anche per indi-

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5.1.2 De Evangelica historia. Il poema di Giovenco è conosciuto anche con i titoli Liber Evangeliorum o Evangeliorum libri quatuor. I migliori co-dici che contengono il testo lo indicano con questi nomi318. La critica con-temporanea sembra aver adottato definitivamente il titolo Evangeliorum libri

quatuor. Sulla divisione in quattro libri sono state formulate varie ipotesi. Alcuni pensano ad una divisione arbitraria e non certamente attribuibile a Giovenco319, altri invece la attribuiscono allo stesso Giovenco320. Anche sul numero dei versi del poema non c’è accordo fra le diverse edizioni. Si va dai 3226 dell’Arévalo321 ai 3183 del Marold322. Ma poiché la nostra ricerca non può soffermarsi su tutti i vari argomenti tecnici riguardante il testo, per que-sta parte rinviamo alla tesi di dottorato La Historia evangélica de Juvenco en

la edición de Faustino Arévalo di Gil Abellán, Mª Carmen323. Finiamo con il giudizio di Concetto Marchesi, che ci sembra particolarmente interessante, anche se non tiene conto della ricerca sviluppatasi in quest’ultimo periodo su Giovenco e Sedulio. Scrive Marchesi: “Nella prima metà del secolo quarto la Spagna aveva dato, prima di Prudenzio, un altro devoto poeta alla letteratura latina, anch’egli obbediente alla tradizione della tecnica classica: il prete Giovenco (G. Vettius Aquilinus Iuvencus), che volle - come lui stesso dice - porgere «gli ornamenti terrestri della lingua, cioè della poesia, alla gloria della legge divina». I libri Evageliorum, scritti sotto Costantino verso l’a. 329 (GEROLAM., Chron. ad a. 2345), dovevano rappresentare la nuova epo-pea cristiana che cantava le alte imprese del Cristo sulla terra, e Giovenco invocava ispiratore (auctor) al posto delle Muse il santificus ... Spiritus (Præf. 25-26): ma ne venne fuori una povera parafrasi dei vangeli versificata con espressioni di poeti classici, di Virgilio soprattutto324, secondo quel pes-

care i doni dei Magi, Commentarium ad Matheum: “Pulcherrime munerum sacramenta Ju-vencus presbyter uno versiculo comprehendit; «Thus, aurum, myrram, regique, hominique, Deoque, / Dona ferunt». “Il Prete Giovenco con un solo verso esprime molto elegantemente i sacramenti dei doni; «Incenso, oro e mirra, al re all’uomo, al Dio / portano in dono» (Vedi pp. 204-205): Cfr. Patrologiæ cursus completus, cit., XIX, p. 41.

318 Cfr. Patrologiæ cursus completus, cit., XIX, pp. 27 e ss., §§ 44, 45, 46, 47, 48, 49. 319 Cfr. ANACLETO OREJÓN CALVO, La Historia evangelica de Juvenco, in “Revista Española

de Estudios Biblicos, I, 1926, pp. 3-19. 320 ÁNGEL CUSTODIO VEGA, Capítulos de un libro: Juvenco y Prudencio, in “Cuidad de Dios”,

157 1945, pp. 209-247; S. COSTANZA, Giovenco, cit., pp. 748-748. 321 F. ARÉVALO, C. Vetti Aquilini Iuvenci, cit. 322 CAROLUS MAROLD, C. Vettii Aquilini Juvenci Libri Evangeliorum IIII, Leipzic 1896. 323 La tesi è su internet al sito “La Historia evangélica de Juvenco en la edición de Faustino

Arévalo”. Alle pagine 444-471 c’è un’ampia e aggiornata bibliografia dalla quale abbiamo attinto anche noi informazioni, anche se essa è ferma al 2004, anno di discussione presso la facoltà di Filologia classica della Murcia. Al termine vi è anche una “Sintesi” in italiano.

324 Su quest’argomento ci sembra molto interessante il testo già citato della E. BORREL VIDAL, Las palabras cit. In esso si legge: “Il nostro lavoro è consistito in una analisi particolareg-giata del primo libro degli Euangelia di Giovenco in relazione con gli opera maiora di Vir-

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simo gusto di poesia centonaria che godette di tanto favore in quel tempo … Era quella una materia delicatissima a toccare e a rimaneggiare sia per lo scrupolo religioso che vietava ogni sostanziale alterazione dei detti divini sia per l’indole stessa dei libri evangelici; ché qualche arte o immaginazione di scrittore, anche più alto di Giovenco, doveva necessariamente riuscire gonfia e faticosa rispetto alle pagine di Matteo325, ingenue e semplici e perciò ap-propriate alla sublimità del celeste messaggio e alla grandiosità della divina passione”326. Il Marcucci ha realizzato un’antologia di 284 versi tratti327 (a sua detta) dal I e dal II libro della Evangelica historia. Dal I libro: Il saluto dell’Angelo (vv. 93-98, 100-101, 103-107, 112-113), La Visita della Vergine a S. Elisabetta (vv. 115-128, 138-139), Censimento di tutto l’impero per ordine di Cesare

Augusto (vv. 179-192), L’Angelo Annunzia ai Pastori (vv. 193-214), L’Adorazione dei Magi (vv. 259-289), La Disputa di Gesù con i Dottori (vv. 316-329), Il Battesimo di Cristo (vv. 390-399); dal II Libro: Il miracolo di

Cristo e soprattutto la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana,

ecc. (vv. 128-153), La Guarigione di un Lebbroso (vv. 770-779), La Donna

guarita dal flusso di sangue (vv. 385-398), Il Giovane liberato da una legio-

ne di Spiriti maligni (vv. 43-74), La Fanciulla richiamata in vita (vv. 399-409). Ci sono poi alcuni brani che secondo il Marcucci sono tratti dal II Li-bro, ma che nell’edizione dell’Arévalo, da noi seguita, sono assegnati al I: La guarigione di molti malati (vv. 471-483), La Cura del Paralitico (vv. 75-94), La Suocera di Simone febbricitante guarita da Cristo Signore (vv. 806-890); e altri che dall’Arévalo sono assegnati al IV: Lazzaro morto richiama-

to in vita (vv. 385-398), Cristo comanda al Mare e ai Venti. C’è poi il brano La Presentazione del Ragazzo Gesù al Tempio (vv. 220-242), tratto dal pri-mo libro, ma stranamente inserito nell’Antologia di Sedulio. Non sappiamo se l’errore di attribuzione sia di Marcucci o della sua fonte. Da quanto appe-

gilio, attraverso la quale abbiamo intrapreso un faticoso lavoro di ricerca parola per parola, verso per verso del testo iuvenciano in Virgilio secondo la sua posizione metrica e la catena contigua di parole, per il quale lavoro è stato di fondamentale importanza le concordanze, i lessici, e i diversi indici del Mantovano e di Giovenco”. Cfr. E. BORREL VIDAL, Iuuencii in-

dex uerborum et alia instrumenta lexica, Barcellona 1990. 325 Marchesi in nota dice: “I libri Evangeliorum hanno per base il Vangelo di Matteo, che

Giovenco leggeva in una versione latina, pur avendo forse qualche conoscenza del testo greco. Adoperò pure Luca (specie in principio per i fatti che precedono la nascita di Gesù), Giovanni e raramente anche Marco”.

326 C. MARCHESI, Storia, cit., pp. 484-485. 327 Nell’Antologia del Marcucci non sono indicati il numero dei versi. Noi abbiamo seguito

l’edizione dell’Arévalo, già più volte citata, secondo la ristampa del Migne. Non siamo riu-sciti a individuare il libro dal quale il Marcucci riproduce i brani. Né nella biblioteca storica, né nella biblioteca capitolare di Ascoli, abbiamo trovato finora un testo che contenga l’opera di Giovenco.

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na detto si ricava che nella sua Antologia il Marcucci non segue l’ordine che i brani hanno nel poema. Per questo è molto importante individuare la fonte da cui sono stati tratti i versi proposti. Nella trascrizione abbiamo rispettato scrupolosamente il manoscritto conser-vandone la punteggiatura, i titoli e, per lo più, anche l’aspetto grafico. Ab-biamo mantenuto tutte le maiuscole e abbiamo evidenziato con un carattere neretto l’inizio di ogni verso, come sembra suggerire il Marcucci. Nella tra-duzione a fronte abbiamo seguito il criterio del “verso a verso”, secondo il modello (fatte naturalmente le debite proporzioni) già adottato da Luca Ca-nali per la traduzione della Farsaglia di Lucano, l’Eneide di Virgilio e La

Natura delle Cose di Lucrezio328. In calce abbiamo riportato le note a margi-ne, per lo più del compilatore, spesso di carattere metrico o esplicativo. Altre note sono nostre, necessarie per risolvere alcuni dubbi di lezione del testo, o di carattere bibliografico. Le note del Marcucci sono evidenziate con caratte-ri particolari, quelle nostre sono per lo più nel lato a fronte della traduzione e seguono l’ordine numerico progressivo. 5.2. Corollario.

Abbiamo già incontrato un Corollario al termine della Selectio Metrica. Ma, come abbiamo fatto osservare, in quella parte sembrava più un tentativo per riempire il foglio avanzato del fascicolo. Qui invece ha la funzione di inter-rompere un argomento e preparare il passaggio al successivo. Insomma è una specie di interludio, in cui si presentano curiosità e sperimentazioni. La prima curiosità di questo Corollario è tratta da una nota del Testo Cano-

nico Clementino, all’articolo sulla Somma Trinità e la Fede cattolica, capito-lo 1. In questa annotazione si riprendono i contenuti di una tradizione leg-gendaria che indica quali erano i quattro tipi di legno che furono usati per costruire la croce: cioè la Palma, il Cedro, il Cipresso e l’Ulivo. Sono poi indicate le parti della Croce in cui furono utilizzati i diversi generi di legno, e il valore simbolico di ciascuno di essi, il tutto sintetizzato con il verso “Li-gna Crucis, Palma, Cedrus, Cupressus, Oliva”329. Sono poi presentati due epigrammi di Monsignor Marcucci: gli stessi di cui abbiamo parlato a pagina 71. Probabilmente essi sono stati inseriti in questa Antologia e poi duplicati in quella precedente, perché, come abbiamo suppo-

328 Vedi queste traduzioni nei classici della BUR. 329 Cfr. JACOPO DA VORAGINE, Leggenda Aurea, Dresda, Lipsia 1846, p. 304: “Ne la croce

furono quattro differenze di legni, cioè il legno ritto e ‘l legno per traverso e la tavola sopra la testa e ‘l ceppo in ch’ella fu commessa […]. Catuno di questo poté essere d’alcuno de’ detti legni”. Cfr. ARTURO GRAF, Miti, leggende e superstizioni del Medio evo, NewYork 1985, pp. 78 e ss., n. 17. “Quatuor ex lignis dominis crux dicitur esse; / Pes crucis est ce-drus; corpus tenet alta cupressus: / Palma manus retinet; titula retatur oliva.

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sto, quel corollario è stato aggiunto successivamente. I due epigrammi hanno di diverso solo qualche segno di interpunzione e qualche maiuscola. Inoltre il secondo, che qui è dedicato alla Vergine, lì è adattato in onore di Cristo. Gli epigrammi, come abbiamo già rilevato, sono imitati da Marziale, e pre-sentati nella Selectio metrica, parte prima330. L’ultima curiosità di questo Corollario è l’Orologio spirituale della Passione

di Cristo: 24 esametri di Pier Matteo Petrucci331, detto Teofilo Filarete. Un esametro per ogni ora del giorno: dal distacco dalla madre in lacrime alla sepoltura sono descritti i momenti salienti della Passione di Gesù, scanditi dalle ore del giorno. 5.3. Sedulio.

Il secondo autore dell’Antologia è Sedulio. Di lui il Marcucci dice che “Fu Poeta eccellente, di tersa latinità, e ricercato, e più elegante di Giovenco nel componimento eroico”. La critica moderna non è sempre unanime a preferir-lo a Giovenco. Curtius dice: “In Giovenco il trapasso (ad una letteratura di contenuto cristiano e di forma classica) si svolge senza ostacoli e la polemica con i poeti classici è ridotta ai minimi termini. Ma accade un’altra cosa nel secondo poeta cristiano, Sedulio, l’autore del Carmen Paschale (metà del V secolo). In contrapposizione al linguaggio poetico di Giovenco, limpido, chiaro, nobilitato da risonanze virgiliane e alla sonora classicità cristiana di Prudenzio, in Sedulio incontriamo per la prima volta un’ampollosa retorica in veste cristiana”332. Paratore dice che nell’opera di Sedulio “L’imitazione di Virgilio è evidente, la tecnica metrica classicheggiante, pur con qualche

330 Vedi p. 152, e p. 153 331 Pier Matteo Petrucci è una figura controversa della spiritualità della fine del XVII secolo.

Accusato di Quietismo, fu costretto all’abiura e alla pubblica distruzione dei suoi scritti, messi all’Indice. Nacque a Jesi nel 1636, dopo aver conseguito la laurea in utroque iure nel 1652, divenne segretario del Cardinal Alderano Cybo. Nel 1661 entrò nella Congregazione degli Oratoriani di S. Filippo Neri, dove ricoprì anche la carica di Preposto. Nel 1681 fu consacrato Vescovo di Jesi, il 2 settembre del 1686 fu nominato cardinale. Ma nel dicembre del 1687 fu accusato di Quietismo. Trascorse gli ultimi 14 anni della vita “nell’esilio e nel silenzio”. Cfr. SERGIO MARIA FAINI, Una biografia: la vita e la carriera ecclesiastica di

Pier Matteo Petrucci, in “Controluce”, 6 (1999), pp. 18-19; COSTANTINO URIELI, Il cardina-

le Pier Matteo Petrucci il vescovo quietista di Jesi, in Ascetica cristiana e ascetica gianse-

nista nelle regioni d’influenza avellanita, Atti del I Convegno di Studi Avellaniti, Fonte Avellana 1977, pp. 127-188. Vitæ et res gestæ Pontificum romanorum et S. R. E. Cardina-

lium a Clemente X. usque ad Clementem XII, scriptæ a MARIO GUARNACCI, in romana curia XII viro signaturæ justitiæ, et sac. congregationis fìrmanæ a secretis quibus perducitur ad nostra hæc tempora historia eorundem ab Alphonso Ciacconio ordinis Prædicatorum alii-sque descripta a S. Petro ad Clementem IX, Tomus Primus, Romæ MDCCLI, pp. 245-28.

332 E. R. CURTIUS, Letteratura europea, cit., p. 511. “Sedulio era provvisto di una buona dose di ambizione letteraria, ma non aveva nulla da dire” (ibid., p. 513).

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tentativo di adattare la lingua e il metro all’uso popolare (è frequente, per esempio, la ricerca della rima), ma il valore poetico è quasi nullo”333. Mar-chesi si limita ad cenno descrittivo della sua opera senza stabilire paragoni con Giovenco334. Anche Amatucci sembra preferire Giovenco: “Sedulio, che scriveva nel ventennio seguente alla morte di Agostino, è un esempio mani-festo di come la Scuola, in genere, ormai sbandata, si irrigidisse e mortificas-se anche gli’ingegni migliori; di come cioè tutto in essa si annuvolasse. Sic-ché, quando fra tanta nuvolaglia nella poesia di questo scrittore noi scorgia-mo qualche squarcio di azzurro, esso non fa che renderci ancora più tristi, ben sapendo come presto l’ispirazione virgiliana sarà guasta da puerili giuo-chi retorici; la freschezza, sia pur silvestre, di Giovenco, da un arido mistici-smo (…) Manca insomma quella fusione tra l’«antico» e il «nuovo» che A-gostino aveva dichiarato di assoluta necessità”335 La moderna critica italiana ha privilegiato quasi sempre l’opera di Sedulio. Si segnalano soprattutto gli studi di Sisto Colombo di Aurelio Amatucci336, e soprattutto quelli di Francesco Corsaro337. Oggi sembra prevalere in Italia il desiderio di riscoprire l’opera di Giovenco. E questa riscoperta si deve so-prattutto agli studi di Flavia Laganà, Salvatore Costanza, ed Emanuela Co-lombo338. La ricerca anglo-iberica accomuna spesso i due autori339. I dati biografici di Sedulio sono scarsi e si ricavano soprattutto dalle sue ope-re, in particolare dalle due lettere dedicatorie del Carmen e dell’Opus: “De-dicatio Carminis Paschalis ad Macedonium” e dalla “Dedicatio Operis Pa-schalis ad Macedonium”340. Le biografie fondamentali restano quelle degli editori moderni delle sue opere: i Prolegomena di Arevalo341, e le monogra-fie di Karl Liembach342 e Johannes. Huemer343. Prima di riassumere gli elementi biografici essenziali su Sedulio, bisogna sgombrare il campo da un equivoco, in cui ci si imbatte spesso anche oggi, e nel quale sembrare essere caduto lo stesso Marcucci, fidandosi della lettera-tura dell’epoca. Con il nome di Sedulio nel periodo medioevale e rinasci-mentale si indicavano almeno due autori. Essi sono vissuti in periodi com-

333 E. PARATORE, Storia, cit., p. 956. 334 C. MARCHESI, Storia, cit., II, p. 485, e n. 3. 335 A. AMATUCCI, La Letteratura cit., pp.287-288. 336 Vedi nota 305. 337 F. CORSARO, La poesia di Sedulio, Catania 1945; ID., L’opera poetica di Sedulio, Catania

1948; ID., La lingua di Sedulio, Catania 1949; ID., Sedulio poeta, Catania 1956. 338 Vedi nota 310. 339 Vedi nota 309. 340 Cfr. Patrologiæ cursus completus, cit., XIX., pp. 533-548. 341 Ibid., pp. 435-534. 342 KARL LEIMBACH, Cælius Sedulius und sein Carmen Paschale, Goslar, 1789. 343 JOHANNES HUEMER, De Sedulii poetæ Vita et scriptis,Vindobonæ,1878.

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pletamenti diversi, pur se entrambi forse di origine irlandese. Oggi per evita-re l’equivoco al Nostro è stato assegnato il nome di Celio Sedulio e all’altro Sedulio Scoto

344. Anche sull’origine irlandese di Celio Sedulio quasi tutti sono scettici. Anzi il Ramsay sostiene che questa notizia, come altre, “potrebbe derivare dalla confusione di tre differenti persone, tutti ecclesiastici, che portano lo stesso nome”345. Molti autori lo ritengono di origine italica e alcuni addirittura ro-mana346. Il Marcucci nella premessa al De mirabilibus Operibus Dei lo defi-nisce “Presbyter Scotus”, ma è evidente che l’informazione sull’origine de-riva dal fatto di averlo confuso con Sedulio Scoto. Anche la determinazione del periodo di tempo in cui il poeta visse è molto approssimativa. Sull’anno di nascita non si hanno informazioni. La data di morte oscilla tra il 449 e il 496. Su tutte le controversie biografiche si rinvia al testo di Corsaro347. Mar-cucci dice che “vivebat enim anno ab Incarnatione Dominica quadringente-simo quinto”, ma, poiché non siamo riusciti a rintracciare le fonti sia delle Antologie, sia del Saggio di Metrica, non sappiamo da dove egli derivi l’in-formazione. Invece sono certe e confermate da documenti citati dall’Aré-valo348 le notizie, riportate anche da Marcucci, cioè che visse al tempo degli imperatori Teodosio, figlio di Arcadio, e di Velentiniano, figlio di Costanti-no, tra il 424 e il 450. In questo periodo, si dice, studiò filosofia in Italia, alla scuola di Macedonio, da cui fu convertito al Cristianesimo. Sedulio poi partì per la Grecia, dove scrisse il Paschale Carmen. Negli ultimi anni divenne forse anche Antistites, Vescovo. 5.3.1 Le Meravigliose Opere di Dio. Il poema seduliano generalmente è conosciuto con il titolo Paschale Carmen, ma spesso nei manoscritti se ne incontra anche un altro Mirabilium divinorum libri, che nel Marcucci diventa De Mirabilibus Operibus Dei. Al termine della “Dedicatio Carmins ad Ma-cedonium”, si trovano entrambe le diciture349. Mentre in una Sedulio dice chiaramente qual è il titolo del libro: “Huic autem operi, favente Domino,

344 Sedulio Scoto o il giovane, per distinguerlo da Celio Sedulio, fu grammatico e commenta-

tore di Sacre scritture di origine irlandese, fiorì fra l’840 e l’860. Le opere più importanti di Sedulio Scoto sono il trattato De Rectoribus Christianis, noto fino ai giorni nostri (vedi la traduzione italiana recente, SEDULIO SCOTO, Sui governanti cristiani, Siena 2003); un com-mento all’Isagoge di Porfirio e dei Collectanea in omnes beati Pauli Epistolas, dal Marcuc-ci attribuiti a Celio Sedulio (Cfr.TURNER WILLIAM, Sedulius Scotus in The Catholic En-

cyclopedia, cit., vol. 13. 345 WILLIAM RAMSAY, Sedulius, in Dictionary of Greek and Roman Biography, vol. III, pp.

764-765. 346 FRANCESCO CORSARO, Sedulio Poeta, cit., p. 15. 347 Ibid., pp. 10 e ss. 348 Patrologiæ cursus completus, cit., XIX., p. 437 349 Ibid., pp. 745.746.

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Paschalis Carminis nomen imposui”350, nell’altra invece sembra dare una sintesi dell’opera: “Quatuor ergo Mirabilium Divinorum libellos, quos ex pluribus pauca complexus usque al passionem, et resurrectionem, ascensio-nemque Domini nostri Jesu Christi, quatuor evangelistarum dicta congregans ordinavi”351. Il testo appena citato solleva un altro problema. “Anche la ripartizione in libri della materia del Paschale Carmen dà luogo a non poche controver-sie”352. Contrariamente a quanto afferma l’autore, quasi tutti gli editori divi-dono il poema seduliano in cinque libri e questa suddivisione è accettata dalla maggior parte degli studiosi moderni353. Abbiamo ricordato questo problema perché il Marcucci trascrive da un’edizione in quattro libri. Tra parentesi quadre è indicata la corrispondenza con l’edizione del Migne L’Antologia comprende 347 versi. Nella presentazione dei brani, come è già accaduto per Giovenco, Marcucci non segue l’ordine dei libri. Ecco l’elenco con l’indicazione del libro da cui è tratto il brano: Il peccato di Adamo e la

riparazione di Cristo. Eva e Maria (1. [2]), La nascita di Cristo (1. [2]), L’adorazione dei Magi. (1. [2]), La disputa nel Tempio, (1. [2]), Il battesimo

di Cristo, (1. [2]), I Miracoli di Cristo e in particolare il mutamento

dell’acqua in Vino (2 [3]), La cura di molti malati (2 [3]), La donna che era

ricurva da diciotto anni, (2 [3]), La purificazione del Lebbroso, (2 [3]), La

Suocera di Simone febbricitante, (2 [3]), La cura di uomo muto posseduto

dal demonio (2. [4], L’Idropico guarito nel giorno di Sabato (2 [4]), La cura

di uomo muto posseduto dal demonio (2 [4]), La guarigione dei Ciechi (2. [3]), La cura del Paralitico (2 [3]), La riabilitazione della Mano (2 [3]), L’Uomo liberato da una legione di Spiriti malvagi. (2 [3]), La liberazione

del Figlio unico posseduto dallo Spirito. (2 [3]), Il Figlio unico di una vedo-

va richiamato in vita (3. [4]), La resurrezione di Lazzaro, (3. [4]), Cristo

comanda al Mare e ai Venti, ecc (2 [3]), Il Discorso alle Folle sulla nave di

Pietro, e la Rete piena di Pesci (3 [4]), Il potere sui veleni dato ai Discepoli,

&c. e la loro missione, &c. (3 [4]), L’oscuramento del Sole, il Terremoto e

la resurrezione dei Corpi alla Morte di Cristo Signore (4 [5]), Dignità e

culto della croce (4 [5]). Per i criteri seguiti nella trascrizione, nella traduzione dei testi e per le note inserite si rimanda a ciò che è stato detto per l’Antologia di Giovenco354.

350 Ibid., 746. “A quest’opera, a Dio piacendo, ho dato il titolo di Carme Pasquale”. 351 Ibid., 745. “Ho composto dunque quattro libri sulle Opere Straordinarie di Dio, racco-

gliendo fra i tanti alcuni detti tratti dai quattro Evangelisti fino alla passione, alla resurre-zione e all’ascensione di nostro Signore Gesù Cristo”.

352 F. CORSARO, Sedulio, cit., p. 18. 353 Su tutta questa materia si può consultare il capitolo III dello studio del Corsaro (pp.18-23). 354 Vedi p. 74

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5.4. Corollario

Questo secondo Corollario è dedicato, possiamo dire, all’“argutezza”, tanto venerata nel secolo XVII e celebrata da Il Cannocchiale Aristotelico di E-manuele Tesauro. Il Tesauro ne è in parte anche la fonte. Il primo argomento trattato è l’Acrostico. Si parte citando un Acrostico sul nome di Gesù. Il componimento riportato è attribuito a un certo Juvencyo

355. Si passa poi

all’Anagramma, distinto in letterale e numerico. Del letterale non si fa men-zione perché si ritiene noto. Mentre si danno le regole di quello numerico, e si propongono esempi. Tutta questa materia è tratta da Il Cannocchiale del Teasuro. Nella Biblioteca storica del Marcucci esiste una copia coeva dell’opera, ma non sembra quella citata nel Saggio

356.

5.5. Proba Falconia.

L’Antologia si conclude con la seconda Parte, “più geniale e più bella, cioè Capitolo II”, del Centone Virgiliano di Proba Falconia357. Le notizie bio-grafiche pervenute su questa poetessa sono scarse e spesso contraddittorie, pertanto non è facile controllare e conoscere quelle più importanti. Abbiamo preferito trascrivere quanto oggi è reperibile sull’enciclopedia multimediale di Wikipedia. “Proba apparteneva ad una importante famiglia del IV secolo, i Petronii Probi. Suo padre era Petronio Probiano, console nel 322, sua ma-dre si chiamava probabilmente Demetria, suo fratello Petronio Probino, con-sole del 341, suo nonno paterno Pompeo Probo, nel 310. Sposò Clodio Cel-sino Adelfio, praefectus urbi nel 351, dal quale ebbe almeno due figli, Quin-to Clodio Ermogeniano Olibrio e Faltonio Probo Alypio, tutti alti funzionari imperiali. Ebbe anche una nipote, Anicia Faltonia Proba, figlia di Olibrio e Tirrania Anicia Giuliana: attraverso questo matrimonio Faltonia Proba si era dunque imparentata anche con l’influente gens Anicia.Nata in una famiglia pagana, Proba si convertì quando già era adulta, facendo poi convertire an-

355 Nulla a che vedere con il nostro Giovenco. Il Marcucci cita anche l’opera da cui e tratto: §

1, libro 5 di una Istituzione Poetica, di cui non siamo riusciti sapere più di quanto dice lo stesso Marcucci.

356 Nella Biblioteca c’è EMANUELE TESAURO, Il Cannocchiale Aristotelico, stampato “in Ro-ma a spese di Guglielmo Hallé Libraro nella Piazza Pasquino M.DC.LXIV”, e il materiale citato è alle pagine 446-448, mentre il Marcucci dice esattamente “cap. 7. De æquivoc.fol. mihi 255”, cioè “capitolo 7 De Equivoco, nel mio testo foglio 255. Il capitolo corrisponde ma non le pagine.

357 Oggi più spesso il suo nome completo è indicato come Anicia Faltonia Proba (Cfr. FILIPPO

ERMINI, Il centone di Proba e la poesia centonaria latina, Roma 1909, pp. 5 ss.). È facile comprendere l’alterazione da Faltonia in Falconia. Altra forma del nome è Faltonia Betitia

Proba (cfr. ALESSIA FASSINA, Alterazioni semantiche ed espedienti compositivi nel Cento

Probae, in “Incontri triestini di filologia classica” 5 2005-2006, Trieste 2006, p. 261.

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che il marito e i figli. Faltonia Proba morì prima di Celsino; cristiana, venne probabilmente sepolta assieme a lui nella basilica di Sant’Anastasia al Pala-tino a Roma, dove, fino al XVI secolo esisteva una iscrizione funebre, appo-sta su di una colonna presso l’altare maggiore della chiesa, che fu poi ricol-locata a Villa Borghese nel XVIII secolo prima di scomparire. Il legame tra la chiesa e Proba potrebbe essere proprio sant’Anastasia, la quale era proba-bilmente appartenente alla gens Anicia: a Proba e a Celsino potrebbe essere stato concesso, dunque, il privilegio di una sepoltura ad sanctos (vicino alla tomba di un santo), in virtù della venerazione della famiglia per la santa”358. Il Centone nella letteratura antica e medioevale era un genere letterario mol-to stimato e praticato. È un testo composto con il riuso di versi o porzioni di versi di un poeta, uniti a formare un’opera originale. Il termine deriva dal latino centō che in origine indicava un panno formato da pezze di tessuti vari (e a sua volta in greco κέντρων kéntrōn designa un indumento e questo tipo di composizione). “Il recupero di temi e forme impiegati da altri scrittori di successo, sotto forma di citazione dotta, di allusione, di rielaborazione con finalità emulative è talmente diffuso nel mondo greco e in quello latino da costituire uno degli aspetti più caratteristici di quel modo di far poesia”359. L’Ermini aggiunge: “La stessa voce fu largamente usata a denotare un poe-ma in cui l’autore si proponeva di scrivere d’un suo argomento adoperando solamente le frasi, le parole, gli emistichi o i versi d’un altro poeta, che per fama d’arte fosse degno d’essere imitato. Così i centonari, che erano vendi-tori di cenci logori, e di vesti dimesse, divennero una categoria di poeti”360. Il culto di Virgilio fu vivo e crescente fin dal secondo secolo dell’Impero. Il poeta mantovano divenne simbolo di autorità artistica e morale, e il suo po-ema fu annoverato fra le massime opere della sapienza umana. La fama di Virgilio, si consolidò quando il Cristianesimo, pur rifiutando la dottrina mo-rale e politeistica del mondo romano, ne ereditò molti valori e, attraverso l’interpretazione cristiana della quarta ecloga, scritta in realtà in onore del figlio di Pollione, considerò il maggior poeta latino un annunciatore profeti-co della nuova religione361. Di centoni virgiliani si contano a decina362.

358 Su Proba Falconia cfr.: F. ERMINI, Il centone, cit.; ROSA LAMACCHIA, Dall’arte allusiva al

centone, «A&R» III 1958, 193-216; CARLO CARIDDI, Il centone di Proba Petronia (nobil-

donna del IV secolo della letteratura cristiana), Napoli 1971; MARIA R. CACIOLI, Adatta-

menti semantici nel Centone virgiliano di Proba, in “Studi Italiani di Filologia Classica”, a. II, 1979, pp. 95-118; A. FASSINA, Alterazioni semantiche, cit., pp. 261-272

359 GIOVANNI POLARA, I Centoni, in Lo spazio letterario di Roma antica, Vol. III, Roma 1993, p. 247.

360 F. ERMINI, Il centone, cit., p. 22. 361 Cfr. F. ERMINI, Il centone, cit., pp. 28 ss; DOMENICO COMPARETTI, Virgilio nel Medioevo,

Firenze 1981, pp. 63 e ss. 362 F. ERMINI, Il centone, cit., pp. 47-55.

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5.4.1 Il Centone virgiliano. Tra i Centoni cristiani tramandati quello di Proba Falconia è sicuramente quello che sempre ha goduto di maggiore fa-ma, sia per l’abilità combinatoria del materiale virgiliano, sia i meriti artistici che gli sono riconosciuti. In realtà Proba di Centoni ne scrisse due. Il primo, che aveva per argomento la guerra di Costanzo contro il ribelle Magnezio, come ricorda lo stesso Marcucci, a noi non è pervenuto363. Il secondo, quello noto come Cento Probæ, fu scritto nella seconda metà del IV secolo364, ed è diviso in due parti, di quasi pari estensione. La prima, nella quale si narrano la storia della Creazione e fatti dell’Antico Testamento fino al Diluvio, si estende fino al verso 334; la seconda, a cui si dà spesso il titolo De laudibus

Christi, comprende 360 versi e narra episodi della vita di Cristo. Marcucci nella sua Antologia propone questa seconda parte. “Appena compilato, il centone fu conosciuto e ammirato dai suoi contempo-ranei, e salì a tanta fama presso i posteri, che lo riputarono quasi un perfetto modello per le poesie di argomento cristiano”365. “L’importanza del cento Probae nell’ambito della poesia del IV sec. risiede infatti nella voluta interconnessione che la poetessa riuscì a creare tra i pia

munera Christi, come vengono definite al v. 23 le verità di fede, e la grande tradizione classica incarnata dalla lingua virgiliana. Sottesa alla continua ripetizione di formule del modello si celava una precisa strategia culturale volta a creare, attraverso la risemantizzazione del modello, una lingua epica cristiana che potesse diventare il veicolo della nuova realtà spirituale; pertan-to lo scopo dell’opera risiedeva nel duplice obiettivo di trasmettere la parola divina ad un’élite cristiana imbevuta di letteratura profana e di suggerire, al contempo, una rilettura cristiana delle opere virgiliane, il cui latente valore spirituale sembrava emergere proprio attraverso il loro impiego nel nuovo contesto sacro”366. 6. CONCLUSIONI

Vogliamo terminare queste note riproponendo una nostra riflessione di qual-che tempo fa: “Se Marcucci è poco noto nelle sue Marche, in parte se l’è voluta. E sì perché, pur avendo scritto una quantità di opere che toccano i più

363 Cfr. F. ERMINI, Il centone, cit., pp. 56 e ss. 364 Per la datazione si veda ELIZABETH ANN CLARK, Faltonia Betitia Proba and her Virgilian

Poem: The Christian Matron as an Artist, in ELIZABETH ANN CLARK, Ascetic Piety and

Women’s Faith, Studies in Women and Religion 20, Edwin Mellon Press, 1986, p. 124-152. 365 F. ERMINI, Il centone, cit., p. 60. Anche le critiche di Papa Gelasio I, che emanò un decre-

to, che poneva il centone di Proba tra i libri apocrifi (Patrologiæ cursus completus, cit., LVIII., pp.162, 179), e di s. Girolamo (HIERONIMUS Tertius tomus Epistolæ, cit., p. 8, atte-stano la fama e la lettura frequentissima di quest’opera nel IV e V secolo.

366 A. FASSINA, Alterazioni semantiche, cit., pp. 262.

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diversi campi del sapere, pur potendosi annoverare «tra le personalità più rappresentative del secolo XVIII della Chiesa in Italia»; pur avendo «intes-suto una trama di relazioni vastissima e varia» con personalità di spicco della cultura del XVIII secolo, pur avendo fondato Accademie, com’era uso in quell’epoca, la sua opera è rimasta sconosciuta ai più e ha avuto quasi esclu-siva circolazione nell’ambito del suo ordine religioso, ed è ancora quasi completamente inedita, soprattutto perché spesso la produzione aveva finali-tà «educative e edificanti», destinata ad una circolazione ristretta: strumenti didattici delle sue Pie Operaie impegnate nella formazione delle Fanciulle. Ad emendare questo «peccato» di «ignoranza» dell’opera marcucciana stan-no provvedendo le Pie Operaie, eredi del grande patrimonio culturale, reli-gioso e morale del loro Fondatore. La trascrizione e la pubblicazione dei suoi manoscritti è iniziata nel 2002 con il primo Volume dell’Opera omnia, che contiene Artis Historicæ Specimen e Riflessioni sopra alcuni Precetti più

importanti dell’Arte Istorica è proseguita nel marzo del 2004, con il secondo volume, che contiene De Asculo Piceno, De Inscriptionibus Asculanis e Del-

le Sicle e Breviature; e in ottobre del 2004 con Sermoni per il Triduo e la

Festa dell’Immacolata Concezione (1739-1786. Ma il materiale da trascrive-re e studiare è ancora tanto e riserva continue sorprese”367. Da allora tanti altri tasselli sono stati aggiunti al progetto di far conoscere Monsignor Mar-cucci ad un più vasto pubblico. Nell’aprile del 2008 si è proseguito con i Sermoni per le feste mariane (1746-1789). Questa pubblicazione de Il Sag-

gio della Prosodia latina, con le Antologie collegate, si pone in questo solco: è il sesto volume dell’Opera omnia. Insieme al percorso, già avviato da qualche tempo, che porterà, ne siamo certi, Monsignore alla gloria degli alta-ri, si sta attuando il progetto di rendere giustizia anche all’uomo di cultura, facendo conoscere la sua opera. E l’uno e l’altro obiettivo potrebbero essere raggiunti prima del terzo centenario della nascita: cioè prima del 2017. La prosa del Marcucci è fruibile con facilità anche dai lettori contemporanei. Nella trascrizione dei testi sono stati adottati solo alcuni criteri di uniformità linguistica: è stata reintegrata la vocale finale nelle proposizioni articolate con la i (de’, ne’, co’, ecc., sono tornate dei, nei, coi, ecc.); è stato sempre usato l’accento acuto sulle congiunzioni tronche con la vocale finale e: per-

ché, poiché, ecc. Il Marcucci per indicare la posizione dell’accento nelle parole, fa uso sempre dell’accento acuto, mentre quello grave o circonflesso lo usa nelle Antologie per segnare la quantità lunga di una vocale latina. È stato normalizzato l’uso dell’apostrofo con gli articoli un, uno, una. La pun-teggiatura è rimasta quella originale. Anche nell’impaginazione si è cercato di riprodurre l’aspetto del manoscritto.

367 “Luci di Maria”, a. XXXVI, n. 6 (dicembre 2006), p. 21.

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Frontespizio del manoscritto de Il Saggio

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IL SAGGIO

DELLA PROSODIA LATINA

Diretto alla R.m̃a M. Prefetta.

Da Lotemia Conca

Accademica Concezionista

Sabbato 23. Agosto 1749. _____________________________________________________________

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Pagina 116 del manoscritto de Il Saggio

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CAPO PRIMO. Dell’essenza, e necessità della Prosodia.

1. La Prosodia, seconda parte della Gramatica, è un’arte di ben rego-

lare le Sillabe in quella Lingua, di cui si tratta. Quindi ogni Lin-guaggio ha necessariamente la sua Prosodia che dà i precetti sopra l’accento, il tuono, e la quantità delle Sillabe. Qui si darà un saggio solamente in riguardo alla Prosodia della Lingua Latina.

2. Quanto sia necessaria questa Prosodia lo dimostra la stessa necessità che abbiamo di sapere ben spesso come, e con qual tenore, e con che quantità vada pronunziata una sillaba in una parola, affin di non i-sbagliare in proferendola. Tuttogiorno si sta soggetta a questi sbagli, perché vien troppo trascurato lo studio Prosodiaco.

3. E da qui può conoscersi quanto sia grande la follia di certuni, che si danno a credere esser soltanto necessaria la Prosodia per comporre i Versi; quasiché la prosa potesse darsi senza sillabe. Che inconsidera-tezza! Fuvvi un Giovine di buon talento, e di molta lettura, ma affat-to digiuno di Prosodia, che invitato da un suo Amico a spendere quattro mesi nello studio Prosodiaco così a lui necessario, rispose franco, Tanto sarò dotto senza saper comporre in Verso. Al che con più franchezza soggiunse in risposta l’Amico, Sarai tu dunque di

quei Dotti che non sanno né leggere, né parlare. Ottima risposta in-vero, sì perché la Prosodia serve ugualmente per la prosa, e pel Ver-so; e sì ancora, perché non aveva già l’Amico invitato quel Giovine a studiar la Poetica, ch’è l’arte di saper comporre in verso varie sorti di Poesie.

4. Non si vuol però negare con questo, che la Prosodia non sia la madre della Poetica, e la regolatrice delle Sillabe nel Verso: anzi fa duopo confessare, che senza i suoi precetti non sarebbe possibile tirare un Verso di qualunque sorta. Quindi, se essa è di grande importanza, ed utilità per la orazione sciolta o sia prosaica; è però di totale necessità indispensabile per la orazione legata o sia metrica.

Capo II.

Della Sillaba, e dei suoi Accidenti. 1. La Sillaba è una comprensione o sia unione ed aggregato di più let-

tere sotto un sol tuono, inclusavi necessariamente una vocale. 2. Gli Accidenti della Sillaba, o vogliam dirli circostanze che l’accom-

pagnano, sono quattro, cioè Tenore, Spirito, Tempo, e Numero di let-

tere.

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3. Il Tenore della Sillaba è lo stesso che l’accento, che regola il tuono o sia inflessione della voce nella pronunzia. Questo accento è di tre spezie, cioè acuto, che alza un poco la sillaba in proferendola; grave, che l’abbassa; e circonflesso o sia composto, che l’alza, e l’abbassa insieme. I segni di questi accenti sono così, cioè dell’acuto (´), del grave (`), del circonflesso (^ ~). Del come, e quando si usano questi accenti in ciascuna parola, o essa sia unisillaba, o dissillaba, o trisil-laba, o polisillaba, non stimo necessario farne parola, per esser cose minime. Avviso solamente che spesso si suol segnare l’accento acu-

to in luogo del circonflesso. 4. Lo Spirito della Sillaba è di due sorti, cioè aspro, e dolce. Ordina-

riamente tutte le Sillabe che finiscono colla vocale, sono di spirito e tuono dolce; quelle che finiscono con lettera consonante, sono per lo più di spirito aspro.

5. Il Tempo della Sillaba è lo stesso che altri chiamano Quantità della Sillaba, e serve parimenti per la pronunzia, regolandola in quanto tempo debba esser fatta. Questo tempo o sia quantità è di tre sorti, cioè Breve, che vale la metà di una Lunga*; Lunga, che vale la dura-zione di due Brevi#, e Comune, o Dubbia, che nel Verso ora è lunga, ed ora è breve. I segni di queste quantità si formano così, cioè della Breve ( ˘ ), della Lunga ( ¯ ), e della Comune ( º ). Questa Quantità delle Sillabe si conosce e dalle Regole sì generali, che particolari, e dall’Autorità dei buoni Poeti.

6. Finalmente il Numero delle lettere nella Sillaba può esser di una, di due, e insino di sei lettere. Quella Sillaba di una sola lettera, com’è appunto ogni vocale, si chiama all’uso Greco, Monogramma. Quella di due, come Ne, si dice Digramma. Quella di tre, come Vir, appella-si Trigramma. Quella di quattro lettere, come Pars, si nomina Tetra-

gramma. Quella di cinque, come Strix, si dice Pentagramma. Quella poi di sei, come Stirps, si chiama Sillaba Esagramma. Dal che si ca-va che di due sorti è la Sillaba, cioè Propria, e Impropria: la Propria è quella che costa di più lettere, dicendosi perciò dal Greco Syllabí, cioè comprensione o aggregato; la Impropria è quella che costa di una lettera sola; quindi tutte le vocali sono sillabe Improprie, essen-do esse propriamente Monogramme.

* Cioè vale un tempo o spazio. # Cioè due tempi o spazi.

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Capo III. Del Verso Poetico, e dei Piedi,

e delle Cesure che lo compongono. 1. Il Verso Poetico, che i Latini chiamano Versus ovvero Carmen, ed i

Greci Stíchos, egli è un composto di un certo numero di Piedi, di-sposti con ordine, e cadenza regolare. Il Piede Poetico, che si chiama anche Metro, è una misura numerata di alcune Sillabe*. La Misura

Poetica poi si divide in Maggiore, che costa di due Piedi; e in Mino-

re, che costa di un solo: ed essendo essa la stessa che il Metro, che è voce Greca, perciò anche questo dividesi in Maggiore, che è di due Piedi, e in Minore, che è di un Piede solo. Quindi in quelle spezie di Verso, che chiamano Esámetro, e Pentámetro si intende il Metro

minore, cioè la misura di un Piede; onde Esametro è lo stesso che Verso di sei Piedi, e Pentámetro di cinque; nell’altra spezie poi che dicono Giámbico il Metro si intende Maggiore, onde il predetto Ver-so Giambico si chiama Dímetro quando ha quattro Piedi, che sono due metri e misure maggiori; e Trímetro quando ha sei Piedi, cioè tre metri maggiori. Così di metro maggiore si intende il Verso Monome-

tro, che è il più scarso che possiamo avere, cioè di un solo metro maggiore, come è il verso Adónico; e cosippure il Verso Tetrámetro, che è il più copioso che abbiamo, cioè di quattro metri maggiori, che vagliono otto Piedi.

2. Questi Piedi poi sono di varie sorti, secondo più, o meno di Sillabe che contengono, e secondo la diversa loro Quantità: Onde alcuni so-no Disillabi, cioè di due Sillabe; alcuni Trisillabi, di tre; così si tro-vano i Quadrisillabi o Tetrasillabi, di quattro; i Pentasillabi di cin-que; e sino gli Essasillabi, di sei; ma questi tre ultimi, cioè di quat-tro, cinque, e sei Sillabe, sono o Piedi raddoppiati, o composti di due Piedi di spezie diversa; né accade fermarsi a considerarne neppure i loro nomi. Quei su cui fa duopo far ponderazione sono i Disillabi, ed i Trisillabi; benché neppur tutti sono utili, ed in conseguenza neppur necessari.

3. Quattro sono adunque i Piedi Disillabi, cioè il Pirícchio, che costa di due sillabe brevi come Pătĕr; lo Spondéo, che costa di due Silla-be, lunghe, come Ūrbēs; il Giambo, che costa di una breve, e di una lunga, come Dŭcēs; e il Trochéo, che costa di una lunga, ed una bre-ve, come Ārmă. Tra questi il Piricchio o Corio, conforme altri lo di-cono, è inutile nell’Esametro, e nel Pentametro Verso.

* Onde si vede che le Sillabe compongono il Piede, e i Piedi il Verso.

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4. Otto sono i Piedi Trisillabi, ma quattro sono i principali, cioè il Dát-

tilo, che costa di una Sillaba lunga, e due brevi, come Scrībĕrĕ; l’Anapésto, che costa di due brevi, ed una lunga, come Pĭĕtās; il Mo-

losso, che costa di tre lunghe, come Mājēstās; e il Tríbraco, che co-sta di tre brevi, come Lĕgĕrĕ (Questo Piede viene chiamato anche Trochéo trisillabo da Cicerone e da Quintiliano). Tra questi il Tri-

braco è inutile nell’esametro. 5. Sicché sei soli Piedi sono necessari per fare ogni sorta di Verso, cioè

tre Disillabi, e sono lo Spondéo, il Giambo, ed il Trochéo, o sia Co-réo, come altri lo appellano; e tre Trisillabi, e sono il Dáttilo, l’Anapésto, e il Tríbraco.

6. Ha il Verso Poetico, particolarmente l’Esametro, e il Pentametro, ha dissi il Mezzopiede ancora, che all’uso Greco si chiama Emimeri, e costa di una Sillaba; la quale, perché taglia e sega il Verso in più parti, perciò vien chiamata Sezione o Cesúra. Questa Cesúra adun-que è una Sillaba, che è aggiunta ad un Piede, e finisce la parola, come può vedersi in Cōngrĕdĭōr; in vīncĭt ămōr, dove amendue gli or sono Cesúre.

7. Nel Verso Esametro o sia Eroico la Cesúra, non può star mai sola, ma necessariamente va unita con altre sillabe, principiando essa il Piede: conforme appare in questo verso di Mureto

Mēntīrī nōlī: nūmquām mēndācĭă prōsūnt.1

Può essa nel Verso Esametro star dopo il primo Piede; e allora si chiama Triemímeri, perché si fa al terzo mezzo piede, come si vede in Mēntīrī soprariferito. Si fa talora dopo il secondo Piede, e si ap-pella Pentemímeri, perché si forma al quinto semipiede, cioè nella Sillaba dopo il secondo Piede; come si osserva in quel verso di Vir-

gilio, Ārmă vĭrūmquĕ cănō &c. 2

Quella che fassi dopo il terzo Piede, si chiama Eftemímeri: così quella dopo il quarto, si nomina Eneemímeri. Vero è però che tutte queste osservazioni Cesurali non sono necessarie a farsi nel Verso Esametro. Basta sol notare che in detto Verso è la Cesura di tal for-za, che talora fa lunga una sillaba breve: benché ciò sia licenza o ne-

1 MARC-ANTOINE MURET. Institutio puerilis ad M. Antonium Fratris F., v. 5, “Non mentire: le

menzogne non giovano mai”, in MARCUS ANTONIUS BONCIARIUS, Grammaticæ Institutio, Asculi, s.d. (Probabilmente la data di stampa è il 1749, come di un altro volumetto Nova Additio ad Donati et Guarini Grammaticam post Antonii Bonciarii ampliationem, Asculi 1749, insieme al quale è rilegato, e conservato nella biblioteca storica, con annotazioni au-tografe).

2 Eneide, I, v. 1: “Canto le armi e l’eroe, ecc.

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cessità Metrica, che non dee imitarsi; come vedesi in quel verso Vir-giliano.

Ōmnĭă vīncĭt ămōr, ēt nōs cēdāmŭs ămōrī.3 Dove or di amor dovrebbe esser breve, e non lunga, come l’ha fatta Virgilio sol per forza di Cesura.

8. Nel Verso Pentametro poi la Cesura di rado sta accompagnata ad al-tre Sillabe: almeno sì quella che dee star dopo i primi due Piedi, co-me l’altra che star debbe dopo gli altri due Piedi ultimi, sempre per necessità dee star da se sola. Eccone un esempio,

Cōrrĭgăt ērrōrēs Vīrgŏ bĕātă mĕōs.4

Dove res di errores, ed os di meos sono cesure sole: e queste sono le vere e le proprie. Un altro esempio di Ovidio, Cōnvĕnĭūnt rēbūs nōmĭnă sǣpĕ sŭīs.

5

Dove unt di conveniunt non è cesura sola; sono bensì sole per neces-sità us di rebus ed is di suis.

Capo IV. Delle diverse spezie e qualità

del Verso Poetico. 1. Molte sono le spezie e qualità del Verso Poetico. Dagli Autori se ne

numerano tredici, cioè Esámetro, o sia Eroico, Pentámetro, Giámbi-

co, Coliámbico o sia Scassonte, Anapéstico, Alcáico, Trocáico, A-

sclepiadéo, Glicónico, Ferecrázio, Sáffico, Adónico, e Faléucio o sia Endecasíllabo: i quali tutti possono ridursi a tre generi, cioè Eróico, Elegíaco, e Lírico; tantoché il Verso Esámetro è lo stesso che l’Eró-

ico, così detto sì per la sua gravità, ed eccellenza sopra tutti gli altri Versi, comeppure perché esso serve per li Poemi o sieno componi-menti eroici, come sono i Poemi Epici, che trattano di eroiche azioni di Uomini illustri. Il Verso Pentámetro può chiamarsi Elegíaco, per-

3 Bucoliche, X, v. 69: “L’Amore vince ogni cosa, e noi ci arrendiamo all’amore”. 4 Il Verso è stato sicuramente creato dal Marcucci: “La Vergine beata corregga i miei errori”. 5 “Spesso i nomi si adattano proprio bene alle cose che indicano”. Il verso non è Ovidio ma di

Riccardo da Venosa. È contenuto nella commedia Libellus de Paulino et Polla (Il Libro di

Paolino), scritta e, poi, letta alla presenza dell’imperatore Federico II. “Riccardo da Venosa, volendo divertire il suo imperatore, da finissimo intellettuale, scanzonato e dissacratore, se-condo lo spirito di modernità che circolava nella corte di Federico II, tratta della vecchia popolana Polla, che, sdentata e vacillante, vuole sposare Paolino, vecchio anche lui e ormai inadatto al matrimonio”. Riccardo da Venosa era un giudice al servizio della corte di Fede-rico. Il verso è considerato uno degli aforismi più noti del Medioevo, ed è stato riportato a nuova fama in epoca moderna. (Cfr. sul web Riccardo da Venosa, a cura di GIOVANNI

CASERTA).

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ché aggiunto all’Esametro, di esso si servono i Poeti in quel compo-nimento, che chiamano Elegía. Il Verso Giámbico poi, e tutti gli al-tri, si chiamano Lírici, attesoché servono per la Poesia Lírica, voglio dire per le Odi, Inni, ed altre Canzoni Latine.

2. Benché tra tutte le predette spezie dei Versi, le principali, e più ne-cessarie a sapersi, particolarmente dai Principianti, sieno l’Esametro, il Pentametro, e il Giámbico; nulladimeno dirò succintamente qual-che cosa sopra tutte. Si noti qui però preventivamente, che nei Versi vi sono alcuni Piedi determinati, ed alcuni indeterminati. I primi so-no quei, che necessariamente debbono essere in un certo sito del Verso. I secondi sono quei, che possono mettersi indifferentemente, secondo che il Poeta giudica a proposito. Ciò premesso, eccomi alla spiegazione dei Versi.

3. Il Verso Esámetro o sia Eroico è quello, come già accennossi altro-ve, che vien composto di sei Piedi, dei quali i primi quattro sono in-

determinati, e possono essere ad arbitrio o tutti Dáttili, o tutti Spon-

déi, o in parte Dattili, e in parte Spondei: i due ultimi poi sono de-

terminati, attesoché il quinto Piede sempre è Dáttilo, e l’ultimo è sempre Spondéo. Eccone un esempio,

Sīc vīvūnt hŏmĭnēs tāmquām mōrs nūllă sĕquātūr.6 Bisogna nondimeno osservare, che i Poeti talora mettono nel quinto Piede uno Spondéo invece del Dáttilo (ma non sono da imitarsi, se la necessità non costringa); e allora il Verso si chiama Spondáico. Ne do un esempio di Virgilio,

Clāră Dĕūm sŏbŏlēs, māgnūm Jŏvĭs īncrēmēntŭm.7 4. Il Verso Pentámetro o sia Elegíaco, che quasi sempre vien congiun-

to all’Esametro, è quello che costa di cinque Piedi; ma così partiti, cioè in un mezzo Piede o sia Cesúra dopo ogni due Piedi. I primi due Piedi sono indeterminati, potendo essere Dattili, o Spondei; indi siegue la Cesúra lunga: gli altri due Piedi sono determinati, dovendo esser due Dáttili; indi si pone un’altra Cesúra, così

Nōn sŏlĕt Īngĕnĭīs sūmmă nŏcērĕ dĭēs.8 Si potrebbe anche scándere e misurare senza cesura (benché allora sarebbe durissimo, ed è inusitato), misurando il terzo Piede sempre per uno Spondeo, e il quarto, e il quinto per Anapesto, ch’è il piede di due brevi, ed una lunga. Ver. gr.

Nōn sŏlĕt / īngĕnĭ / īs sūm / mă nŏcē / rĕ dĭēs.

6 Il verso è dell’Autore del Saggio, o di qualche trattatista, fra quelli citati più volte: “Gli uo-

mini vivono come se non dovessero mai morire”. 7 Bucoliche, 4, v. 49. “O illustre figlio degli Dei, o grande incremento di Giove”. 8 OVIDIO, Lettere dal Ponto, IV, 16, v. 2: “L’ultimo giorno non può ferire l’ingegno”.

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5. Essendo questi due Versi Esametro, e Pentametro i più belli tra tutti gli altri, e i più maestosi, mi piace di aggiungere alcuni utili avver-timenti spettanti ad essi. E primieramente rispetto ad ambedue biso-gna fuggire di farli Versi Leoníni. Versi Leoníni si chiamano quei Versi che con la cesura dopo il secondo piede fanno rima colle due ultime sillabe del Verso. Come quell’esametro di Ovidio

Vīr prĕcŏr Ūxōrī, frātēr sūccūrrĕ Sŏrōrī.9 E quel Pentametro dello stesso Quǣrēbānt flāvōs pēr nĕmŭs ōmnĕ flăvōs.10 Virgilio li ha pur usati talvolta; e vi sono stati dei Poeti che su questa rima ci han composti Poemi interi: nulladimeno non vengon graditi se non per qualche vezzo. Sono chiamati poi Leonini dal nome di un Religioso di San Vittore di Parigi, chiamato Leónio

11, il quale circa l’anno 1150. si applicò particolarmente a comporre e ad accreditare tal sorta di Versi, vedendoli stilati da buoni Poeti prima di lui. A dir il vero, sono più faticosi, perché fa duopo in comporli attendere e ai Piedi, e alla rima.

6. Secondariamente, rispetto al solo Esametro, bisogna avvertire, che la sua Cesura per lo più dev’esser dopo il secondo Piede, come

Sī quīd pēccārīs, &c.12 Ovvero dopo il primo, e il terzo piede, come Īn prīmīs vĕnĕrārĕ Dĕūm, &c.13

Tanto ché il verso è aspro se la Cesura manchi dopo il terzo piede, o al più dopo il quarto.

Inoltre dee l’Esametro terminar per lo più con una parola di due sil-labe, over di tre; e rare volte con una monosillaba, se non fosse quando si elide, o per proprietà di significato; come in Mureto,

Nīl cŭpĭdē spēctā, nĭsĭ quōd fecisse dĕcōrum ēst.14

E in Virgilio

Dāt lătŭs, īnsĕquĭtūr cŭmŭlō prǣr[ū]ptŭs ăquǣ mōns.15 Può ancor terminare con due monosillabe; e talora per tre; ma è un

poco duro. Mureto: Dūlcĭă sīnt quāmvīs, nūmquām tămĕn āppĕtĕ quǣ sūnt.

9 Eroine, VIII, v. 29: “Marito, ti prego, corri in aiuto alla Moglie, fratello alla Sorella”. 10 Fasti, III, v. 746: “Cercavano fiori gialli, fiori gialli per tutto il bosco”. 11 Cfr, J. PERIN, Onomasticon, cit., tomus alter p. 101, col. 3. 12 FEDRO, Favole, Appendice Perottina, XX, v. 18: “Se commetterai un grosso sbaglio, ecc.” 13 M. A. MURET. Institutio puerilis, cit., v. 3: “Prima di tutto venerare Dio, ecc.”. 14 Ibid., v. 21: “Non guardare nulla con cupidigia se non ciò che è onorevole aver fatto”. 15 Eneide, I, v. 105: “Espone il fianco: incalza un monte scosceso d’acqua”.

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Nōn tāntum īn prǣsēns ōbsūnt pēccātă; sĕd hōc plūs.16 Di vantaggio è duro il verso quando finisce con tre, o quattro dissil-

labe, come quello di Tibullo, Sēmpĕr, ŭt īndūcōr, blāndōs ōffērs mĭhĭ vūltūs.17 Finalmente quando in uno stesso verso vi sono due epíteti, fa duopo

separarli dai loro sostantivi, come in Virgilio Ārdŭă vēsānīs pūlsāntūr cūlmĭnă vēntīs 18.

Bisogna bensì sfuggire in uno stesso verso di porre l’epiteto in fine, se il sostantivo preceda: sta solamente bene l’epiteto in fine, quando il sostantivo è nel verso che siegue.

7. In quanto poi al solo Pentametro, è necessario notare, che la prima cesura non dev’esser seguitata da una elisione, altrimenti è duro, come quello di Ovidio

Hūnc īnflāmmăt ămōre, ēt fĕră bēllă mŏvēt.19 Può esser bensì l’elisione nella stessa cesura. Ovidio: Nōn ŏcŭlīs grāta ēst Ātthĭs, ŭt āntĕ, mĕīs.20 La cesura può essere una Monosillaba. Ovidio: Clāmārēm mĕŭs ēst &c.21 In oltre il Pentametro per ordinario finir dee con una disillaba; o con

parola talora di quattro, cinque, e sei sillabe: eccettuata di tre sillabe, che non ha bella grazia in fine del verso: e la monosillaba in fine fa pure una cattiva cadenza, purché non ci fosse l’elisione: cosìppure in fine è dura una disillaba innanzi alla cesura: due monosillabe però possono finir bene il verso; come in Ovidio

Prǣmĭă sī stŭdĭō cōnsĕquăr īstă, săt ēst22

Per finirla, di rado si mette l’epiteto alla fine del verso; benché spes-so vi si pongono i pronomi meus, tuus, suus.

16 M. A. MURET. Institutio puerilis, cit., vv. 59, 79: “Anche se è piacevole, non desiderare ciò

che può arrecare un danno. Il peccato nuoce tanto al momento; ma soprattutto rende l’animo incline al male.”

17 Libro I, VI, v. 1: “Sempre mi offri i tuoi teneri sguardi, perché ne sia avvinto”. 18 Il verso non sembra di Virgilio: “Le cime più alte sono colpite da venti terribili”. 19 Il verso non sembra di Ovidio: “Lo infiamma d’amore, e muove fiere guerre”. 20 Eroine, XV, v. 18: “Atte non è gradita al mio cuore come un tempo”. 21 Ibid., XII, v. 158: “Avrei gridato: “È mio”. 22 Tristezze, V, 7, v. 70: “Se con lo studio conseguirò questi premi, è sufficiente”.

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Capo V. Dei Versi Lirici, e in particolare

del Giámbico, e Coliámbico. 1. Prima che entriamo a vedere l’essenza, e qualità dei Versi Lírici, fa

duopo notare, come il Verso quanto al numero e misura dei suoi Piedi, e delle sue Sillabe, può esser perfetto, e imperfetto. Il Verso perfetto è quello che ha la sua giusta misura, avendo tutti i suoi pie-di, e tutte le sillabe, delle quali debbe esser composto: e questo chiamasi Verso Acatalettico all’uso Greco, ed è quello che deve far-si, ed imitarsi da ciascuno. L’Imperfetto poi è quello che manca, o sovrabbonda di piedi, e di sillabe (e non deve assolutamente imitarsi, se non fosse per qualche gran necessità), ed è [di] più sorti, cioè o mancanti di una sillaba in fine, e si chiama Cataléttico; o mancante di un Piede, e si appella Brachicataléttico; o soprabbondante di una sillaba, o di un piede, e si nomina Ipercataléttico ovvero Ipérmetro; com’è a cagion di esempio quell’esametro di Virgilio lib. 1. Eneid.

Āllŏquĭtūr Vĕnŭs, ō quī rēs hŏmĭnūmquĕ, dĕōrūmquĕ23 Dove il que di Deorumque è soprabbondante. 2. Ciò notato, veniamo al primo Verso Lirico, cioè al Giámbico, che è

così detto a cagione del piede Giambo (che costa di una breve, ed una lunga) il quale n’è il principal piede, ed alle volte lo compone tutto intero. Or questo verso Giámbico è di due sorti; cioè Senario, e Quadernario. Il primo costa di sei piedi, o di tre metri maggiori, che vale lo stesso, e perciò all’uso Greco vien chiamato Trímetro. Il se-condo costa di quattro piedi o sia di due metri maggiori, e si nomina Dímetro. Benché si trovino Componimenti a parte del Giambico trimetro, e del dimetro, nulladimeno spesso il secondo si unisce col primo, a guisa del Pentametro coll’Esametro.

3. Il Giambico Senario o sia Trimetro si suddivide in Puro, e in Misto. Il Puro è quello ch’è composto di sei Piedi tutti Giambi; e questo è il vero e perfetto Trimetro. L’esempio di Catullo,

Phăsēllŭs īllĕ quēm vĭdētĭs hōspĭtēs24 Il Misto poi è quello ch’è composto di varie sorti di piedi; percioc-ché, fuorché il sesto ed ultimo piede che sempre è Giambo, gli altri sono vari: il primo, terzo, e quinto piede possono esser misti di Giambo, di Spondeo, di Anapesto (che costa di due brevi ed una lun-ga), da Tríbraco (che costa di tre brevi), o pure di Dattilo; il secon-

23 v. 229: “Venere dice, O tu che [reggi i destini] degli uomini e degli dei”. 24 Carmi, IV, v. 1 “Quella barchetta, che voi vedete, o ospiti”.

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do, e quarto piede possono essere o Giambi, o Tribrachi. L’esempio del Lirico poeta, Sŏrŏr Tŏnāntĭs: hōc ĕnīm sōlūm mĭhī.

25

Si scande, Sŏrŏr / Tŏnān / tĭs: hōc / ĕnīm / sōlūm / mĭhī /. Per esempio sacro può servir l’Inno in onor di San Pietro, e di San Paolo Apostoli, che i Sacerdoti dicono alle Laudi nel Giorno del 29. di Giugno,

Bĕātĕ Pāstōr Pētrĕ clēmēns āccĭpē

Voces precantum &c.

Ēgrĕgĭĕ Dōctōr Pa̅ulĕ mōrēs īnstrŭē,

Et nostra &c.26

Si scandiscono Bĕă / tĕ Pā / stōr Pē / trĕ clē / mēns āc / cĭpē.

Ēgrĕgĭ / ĕ Dō / ctōr Pa̅u / lĕ mō / rēs īn / strŭē. Essendo Giambico Trimetro o sia Senario misto. Quest’Inno lo com-pose la piissima, e celebre Poetessa Élpide

27 Romana della nobilis-sima Famiglia Aniciána, e Consorte del dottissimo e piissimo Boé-

zio28 Nobile Romano; che fiorì circa l’anno 522. Vero è, che in tem-

po che il Sommo Pontefice Urbano VIII 29 diede un miglior metro a

tutti gli Inni sacri, anche questo di Élpide fu ripulito, e mutato in al-cune voci, e in alcune Sillabe. Perciocché convien sapere che gli Au-tori degli Inni ecclesiastici per accomodar bene le parole al senso, trascurarono spesso le leggi del Metro, come di sé confessa San Ber-

nardo30 scrivendo a Guidone epist. 312.; onde tra i suddetti Autori

troviamo che solamente Sant’Ambrogio fu un poco più attento degli altri alla métrica legge.

25

L. A. SENECA, Ercole furente, v. 1: “Sorella del Tonante, infatti solo questo mi resta”. 26 “O Beato Pastore, O Pietro clemente, accogli le voci di coloro che ti pregano, ecc. / O E-

gregio Dottor Paolo, insegnaci le regole della vita, e i nostri, ecc.”. 27 Che fosse moglie di Boezio non è opinione accettata da tutti. Cfr. GIROLAMO TIRABOSCHI,

Storia della letteratura italina, tomo III, Milano 1923, p. 90; AGOSTINO REALE, Ricordanza

della vita e delle Opere di Severino Boezio, Pavia 1852, p. 8 e ss.; GIUSEPPE EMANUELE

ORTOLANI, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, Ornata dei loro ripsttivi ritratti, to-mo III, Napoli 1819, ad vocem, pp. 16-19.

28 Cfr. ANICIO MANLIO SEVERINO BOEZIO, La consolazione della filosofia, a cura di Christine Mohrmann e Ovidio Dallera, Milano 1977.

29 Cfr. I Grandi Libri della Religione: Vite dei papi Alessandro VI - Benedetto XVI, Milano 2006, pp. 309-317.

30 Epistola CCCXCVIII: “Deinde quod ad cantum spectat, hymnum composui, metri negli-gens, ut sensui non deessem”, (“Poi riguardo al canto, ho composto un Inno, trascurando il metro per essere più attento al senso”). Marcucci cita da: D. BERNARDI, Doctoris Mellitis-simi ac Primi Abbatis Clarævallensis Cænobij Opera in duos tomos distincta, tomus II, Ve-netiis MDLXXXIII, p. 118, c. 1. Su S. Bernardo c’è una vasta bibliografia: Cfr.: JEAN

LECLERCQ, Bernardo di Charavalle, Milano 2007.

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4. Il Verso Giambico poi Quadernario o sia Dímetro, che costa di quattro piedi, egli è pur misto nei primi tre piedi, potendo essere o Giambi, o Spondei, o Anapesti, o Tribrachi, o Dattili; eccettuato il quarto piede, che è sempre Giambo: Diamo l’esempio,

Vīrtūs bĕātōs ēffĭcīt.31 Si scande, Vīrtūs / bĕā / tōs ēf / fĭcīt. Per esempio sacro possono servir molti Inni Ecclesiastici, come quello che si dice al Matutino dell’Offizio di N.rã Signora, composto da Fortunato, e ridotto in miglior forma da Urbano VIII, cioè

Quēm Tērră, pōntūs, sīdĕră.32

Così, Vĕnī, Crĕātōr Spīrĭtūs33, composto da Sant’Ambrogio, che è

ancora Autore di tutti quegli altri Inni di Metro Giambico Dimetro, che i Sacerdoti dicono a Prima, Terza, Sesta, Nona, e Compieta.

Così del metro medesimo sono quei consaputi Responsori, Ăvē Vīrgō Dĕĭpără.

Bĕātrīx ādmīrābĭlīs.34

Qualora questo Giambico fosse catalettico si chiamerebbe Anacre-

ontico, ecc. 5. Chiudo intorno al Verso Giámbico coll’avviso, che il suo primo In-

ventore fu un certo Archílogo Poeta Lacedemonése, che visse al tempo di Romolo; e a suo riguardo fu perciò ancor chiamato il Giambico Verso Archilochio.

6. Passando poi a favellar del Verso Colíambico, o Colgíambico, è lo stesso che il Verso Giambico Senario o sia Trímetro, e costa pur di sei piedi; se non che nel sesto piede ha sempre uno Spondeo (dove il Trimetro Giambico ha sempre un Giambo), e nel quinto si serve sempre di un Giambo; i primi quattro piedi poi sono Misti come nel Giambico Trimetro Misto. Eccone l’esempio di Catullo,

Ō quīd sŏlūtīs ēst bĕătĭūs cūrīs.35 Scandesi, Ō quīd / sŏlū / tīs ēst / bĕă / tĭūs / cūrīs /. Chiamasi Coliámbico all’uso Greco, che noi diressimo Giambico Zoppo, perché col mettergli nel sesto piede uno Spondeo invece di un Giambo, pare quasi che zoppichi. I Greci lo chiamano anche Scassónte, cioè Zoppicante. In Marziale abbiamo anche degli esem-pi di questo Verso.

31 Il verso è forse del Marcucci: “La virtù rende felici”. 32 “Che la Terra, il mare e le stelle”. Vedi pp. 186-187. 33 “Vieni, o Spirito Creatore”. Vedi pp. 182-183. 34 “Ave o Vergine Madre di Dio. Batrice ammirevole”. 35 Libro, carme 31, v. 7: “Che cosa vi è di più piacevole dell’essere liberi dalle preoccupazio-ni.”

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Bisogna però confessare che esso è più dolce di metro quando è Ca-

talettico, cioè quando manca di una Sillaba in fine; talché il sesto piede, che doveva essere uno Spondéo, si riduca ad un mezzo piede, cioè ad una Sillaba. Ecco l’esempio di Orazio lib. I, Ode 4. Jūnctǣquĕ Nīmphīs Grātĭǣ dĕcēntēs.36 Si scandisce, Jūnctǣ / quĕ Nīm / phīs Grā /tĭǣ / dĕcēn / tēs /. Ci sono stati Poeti, che hanno allungato con altri piedi questo Verso Coliambico, sino a farlo Tetrametro o sia Ottonario, cioè di otto pie-di; col renderlo talora Catalettico per farlo meno duro (tuttoché o Acatalettico, o Catalettico sempre è all’orecchio di molta asprezza). Vari esempi ne abbiamo in Orazio, in Terenzio, in Catullo, e in Se-

neca, giuniore, Principe tra i Poeti Trágici. Bisogna nondimeno dire, che una tale spezie di Giambico Tetrametro è molto proprio per li componimenti Cómici e Trágici (com’è l’esametro per li épici).

Capo VI. Delle altre spezie dei Versi Lirici.

1. Il Verso Anapéstico è quello che costa di quattro piedi, o Dáttili, come sono per lo più, o Spondei, mischiandoci qualche Anapesto (che costa di due brevi ed una lunga): senonché bisogna guardarsi di porre il Dattilo nel secondo, e quarto piede. È buono l’Anapéstico quando il secondo piede è di una dizione senza cesura: ottimo poi è quando ogni piede abbia la sua dizione intera, senza avanzo di cesu-ra. Il dottissimo, e piissimo Boezio ce ne porge l’esempio, Lib. 3. metro 2.

Quāntās rērūm flēctăt hăbēnās.37 Da questo esempio si raccoglie che alle volte l’Anapestico non ha verun anapesto come ne abbiamo alcuni esempli anche in Seneca giuniore, a cui tale specie di verso fu familiare.

2. Il Verso Alcáico è una spezie dell’Anapestico, e costa pur di quattro piedi; ed è di tre specie. L’Alcáico della prima specie ha per primo piede uno Spondeo, o un Giambo; per secondo piede un Bácchio (che ha una breve, e due lunghe); e due Dattili per terzo, e quarto piede. L’Alcáico della seconda specie ha i primi due piedi, come quello della prima; e per terzo, e quarto piede ha due Trochei. Quel-lo poi della terza specie, ch’è forse il più stretto Alcáico, ha due Dát-

36 Odi, v. 6: “Le splendide Grazie avvinte alle Ninfe”. 37 La consolazione, cit., p.: “Con quali briglie governa le cose”. Dopo questo verso erano stati

riportati anche gli altri due versi che seguono nel testo di Boezio, ma poi sono stati cancella-ti. Ecco i due versi: “Natura potens quibus immensum / Legibus orbem provida servet”. (La natura potente con quali leggi conserva provvida l’universo immenso).

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tili per primo, e secondo piede, e due Trochéi per terzo e per quarto. Bisogna però notare, che di ordinario di questi Versi Alcaici se ne congiungono quattro insieme, ponendosene due della prima specie per primo, e secondo. Eccone l’esempio di Orazio.

1. Mūsīs ămīcūs trīstĭtĭam, ēt mĕtŭs Trādām prŏtērvīs īn mărĕ Crētĭcŭm 2. Pōrtārĕ vēntīs: quīs sŭb Ārctŏ 3. Rēx gĕlĭdǣ mĕtŭātŭr ōrǣ?38

Scandesi. Mūsīs / ămīcūs / trīstĭtĭ / am, ēt mĕtŭs /

Trādām / prŏtērvīs / īn mărĕ / Crētĭcŭm / Pōrtā /rĕ vēntīs: / quīs, sŭb / Ārctō / Rēx gĕlĭ / dǣ mĕtŭ / ātŭr / ōrǣ? /

Questo nome di Alcaico deriva da Alcéo, bravo, e diligente Poeta Li-rico, suo primo Inventore.

3. Il Verso Trocáico è una specie del Verso Giámbico (e specie di que-sto pur sono i sovranotati Alcáico, e Anapéstico), ed è di più sorti, che appena sono in uso, fuor del Trocaico Dimetro, e del Tetrame-

tro. Il Dimetro o Quadernario costa di quattro piedi, dei quali i primi due sono misti, potendo essere o Trochéi (che costano di una lunga, ed una breve), o Dattili, o Giambi, o Spondei; il terzo piede è sempre Trocheo; il quarto poi si stila dimezzarlo, riducendolo ad una cesura; essendo perciò stilati solamente i Catalettici (mentre gli Acatalettici o sieno perfetti non sono in uso sì in riguardo ai Trocaici Dimetri, che Tetrametri). Seneca ce ne dà l’esempio

Quīdquīd ēxcēssīt mŏdūm.39 Si scande Quīdquīd / ēxcēs / sīt mŏ / dūm /.

Talora si usa il Trocaico Dimetro Brachicateléttico, cioè mancante di un piede intiero (ch’è il quarto) terminando col terzo, ch’è Trochéo. Alcuni esempli sacri ne abbiamo, e particolarmente l’Ăvē Mărīs Stēl-

lă,40 che secondo vari Autori compose S. Bernardo. Scandesi, Ăvē / Mărīs / Stēllă /. Così l’Inno in onore del SS.mo Sagramento, Pange Lingua, che com-pose l’Angelico San Tommaso; il quale nel primo verso pose il Tro-caico Dimetro Acatalettico o perfetto, e nel secondo il Brachicataletti-

co, così tirandolo tutto.

38 Odi, I, XXVI, vv. 1-4: “Caro alle Muse, tristezze e pene / darò da portare nel mare di Creta

/ ai venti impetuosi: quale Re / di una gelida regione incute / timore sotto l’Orsa?. 39 Edipo, v. 909: “È andato oltre ogni limite”. 40 “Ave Stella del Mare”. Vedi pp. 188-189.

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Pāngē līnguă glōrĭōsī Cōrpŏrĭs Mȳstērĭūm.41 Si scande, Pāngē / līnguă / glōrĭ / ōsī / Cōrpŏrĭs / Mȳstē / rĭūm /.

Il Trocaico Tetrametro o sia Ottonario, costa di otto piedi, ma coll’ultimo pur dimezzato, essendo perlopiù Catalettico: i suoi primi sei piedi sono misti, e il settimo è Trocheo. Gli Innografi sono più rigorosi su di questo verso (che ora non si stila più negli Inni), che non sono i Tragici. Prudenzio buon Innógrafo ce ne da un esempio

Cōrdĕ nātŭs ēx pārēntīs āntĕ mūndi ēxōrdĭūm.42 Si scandisce

Cōrdĕ / nātŭs / ēx pā / rēntĭs / āntĕ / mūndi ē / xōrdĭ /ūm. / 4. Il Verso Asclepiadéo (che tra i versi Lirici è il più maestoso, onde sì

esso, che il Sáffico sono i più maestosi della Poesia Lirica) costa di quattro piedi, il primo dei quali è Spondéo, il secondo è Dáttilo colla Cesura; il terzo, e il quarto Dáttili. Eccone l’esempio di Orazio lib. 1, Ode 1.

Mǣcēnās ătăvīs ēdĭtĕ Rēgĭbŭs.43 Scandesi,

Mǣcē / nās ătă /vīs / ēdĭtĕ / Rēgĭbŭs /. Altri lo scandiscono diversamente, cioè col primo piede Spondeo,

col secondo, e terzo Coriambi (essendo il piede Coriambo composto di un Trocheo, e di un Giambo, avendo quattro sillabe, la prima, e l’ultima lunghe, e le altre brevi), e col quarto piede Pirícchio, che costa di due brevi. Eccone l’esempio,

Dōctōs Pērĭŏdūm dīscĕ lŭbēns mŏdo̊s.44 Si scande, Dōctōs / Pērĭŏdūm / dīscĕ lŭbēns / mŏdo̊s /. Qualora al fine dell’Asclepiadéo si aggiunga una Sillaba, divenir può un intero Pentametro, come

Dōctōs Pērĭŏdūm dīscĕ lŭbēns mŏdŭlōs.45 Si chiama poi Asclepiadéo per essere stato inventato da Asclepíade Poeta.

5. A questo Verso suol aggiunersi il Verso Glicónico, che costa di tre piedi, dei quali il primo è Spondeo, e gli altri Dattili. Eccone l’esem-pio del Tragico Seneca in Thyest. act. 2.

41 “Canta, o lingua, il Mistero / del glorios Corpo. Vedi pp. 184-187. 42 “Nato dal cuore del Padre, prima della nascita del mondo”. 43 Odi, v. 1: “O Mecenate nato da stirpe di Re”. 44 Il verso è forse del Marcucci: “Impara volentieri i dotti modi dei Periodi”. 45 Cfr. nota 40: “Impara volentieri i dotti moduli dei Periodi.

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Īllī mōrs grăvĭs īncŭbăt, Quī nōtūs nĭmĭs ōmnĭbŭs Īgnōtūs mŏrĭtūr sĭbĭ.46

Un esempio sacro ne abbiamo nell’Inno sopra il SS.mo Sagramento, composta dall’Angelico San Tommaso, che i Sacerdoti recitano nel Matutino della Festa del Corpus Dñi. In quest’Inno si vede il Verso Asclepiadéo col Glicónico in fine.

Sācrīs sōlēmnĭīs jūctă sīnt ga̅u̅dĭă, Ēt ēx prǣcōrdĭīs sŏnēnt prǣcōnĭă: Rĕcēdānt vĕtĕră, nŏvă sīnt ōmnĭă Cōrdă, vōcēs, ĕt ōpĕră.47

6. Il Verso Ferecrázio (così detto dal suo Inventore Ferecráte Atenie-se, Poeta Comico) costa pur di tre piedi, cioè Spondeo, Dattilo, e Spondeo; oppure Coréo o sia Trocheo, Dattilo, e Coréo.

Gli esempi sono: Rēgēs pūrpŭră vēstīt. Sōmnūs ōccŭpăt ārtŭs.48

7. Il Sáffico è un verso che costa di cinque Piedi, cioè Trocheo il pri-mo, Spondeo il secondo, Dáttilo il terzo, Trocheo il quarto, e il quin-to.

Un esempio di Orazio lib. 1, Ode 22. Īntĕgēr vītǣ scĕlĕrīsquĕ pūrŭs.49

Si scande, Īntĕ / gēr vī / tǣ scĕlĕ / rīsquĕ / pūrŭs /. Costando questo verso di undici Sillabe, come il verso del nostro Sonetto, può chiamarsi Verso Endecasíllabo, benché quando si parla di questo, si intende propriamente il Faleucio, che orora si spiegherà.

8. Notar si deve che di ordinario al Sáffico dopo il terzo verso si ag-giunge il Verso Adónico, che costa di un Dattilo, e di uno Spondeo.

Eccone l’esempio di Orazio lib, 2. Ode 10. Saff. Sǣpĭūs vēntīs ăgĭtātŭr īngēns

Pīnŭs, ēt cēlsǣ grăvĭōrĕ cāsŭ Dēcĭdūnt tūrrēs, fĕrĭūntquĕ sūmmŏs

Adon. Fūlmĭnă mōntĕs.50

46 Tieste, vv. 401-403: “Una grave morte incombe, / su colui che troppo noto a tutti / è ignaro

di se stesso”. 47 “Durante le sacre solennità siano congiunte le gioie, / e dal profondo del cuore risuonino i

canti: / cedano il passo i vecchi sentimenti, e tutto si rinnovi: cuori, voci e opere”. 48 “La porpora riveste i Re. / Il sonno invade le membra”. 49 Odi, v. 1: “Integro di vita, e privo di ogni macchia”. 50 Odi: vv. 9-12: “Un pino gigante è scosso più spesso / dai venti, e le torri eccelse cadono /

con più fragore, e i fulmini feriscono / le cime dei monti.

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Presso buoni Poeti si trovano interi componimenti di soli versi Adó-

nici. Così presso il dottissimo Boezio lib. 1. Nūbĭbŭs ātrīs Cōndĭtă, nūllūm Fūndĕrĕ pōssūnt Sīdĕră lūmēn.51 .

Un esempio sacro di Verso Sáffico coll’Adonico in fine, ce ne porge Paolo Diacono nel suo Inno sopra San Giovanni Battista, che i Sa-cerdoti recitano nel Matutino di detta Festa ai 24. di Giugno:

Sáffici Āntră dēsērtī tĕnĕrīs sŭb ānnĭs “ Cīvĭūm tūrmās fŭgĭēns, pĕtīstī,

“ Nē lēvī pōssēs măcŭlārĕ vītām Adónico Crīmĭnĕ līnguǣ.52

9. Finalmente il Verso Faléucio è quello che costa di cinque piedi, cioè Spondeo il primo (presso Catullo però si trova per primo talora un Giambo, e talora un Trocheo; tuttoché di questo abuso se ne asten-gano Stazio, e Marziale), Dattilo il secondo; e gli altri tre Trochei. Eccone un esempio di Marziale lib. 1.

Cōmmēndō tĭbĭ, Quīntĭānĕ, nōstrōs, Nōstrōs dīcĕrĕ sī tămēn lĭbēllōs Pōssūm, quōs rĕcĭtāt tŭūs Pŏētă.53

Questo Faléucio essendo di undici Sillabe si chiama propriamente Endecasíllabo; e questo hanno imitato i nostri Poeti Italiani nel fare i versi del Sonetto (che sono i Versi eroici Italiani). Si chiama poi Fa-

léucio dal suo Inventore che fu Faléuco Poeta.

Capo VII. Di varie sorti dei Poemi.

1. Il Poema è un componimento in versi: ma siccome questo compo-nimento può farsi con varie sorti di Versi, così quello che non costa altro che di una spezie di Versi, si chiama all’uso Greco Poema Mo-

nócolo, cioè componimento di una sola sorte di Verso. Così a cagion d’esempio l’Eneide di Virgilio si chiama Monócolo perché costa di soli versi eroici o sieno Esametri.

51 La consolazione, cit., VII, vv. 1-4: “Nascoste da nere / nubi le stelle / non possono diffor-

ndere / nessuna luce”. 52 “Fin dalla più tenera età, fuggendo le masse / delle persone, sei andato nelle caverne / del

deserto, per evitare di poter macchiare la vita / con una colpa lieve della parola. 53 Epigrammi, LII, vv. 1-3: “O Quinziano, ti affido i miei libretti, / se ancora si possono dire

nostri / quelli che recita il tuo Poeta”.

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2. Quel Poema che costa di due sorti di Versi, si chiama Dícolo; di tre sorte Trícolo, ec. Così i Fasti, i Tristi, e il de Ponto di Ovidio sono tutti Poemi Dícoli, perché costano di due spezie di Verso, cioè Esa-

metro e Pentametro, come deve costare ogni Elegia; e tali pur sono l’Epigrammi di Marziale; e così ogni altro componimento che co-stasse di due sorte di metro. In Orazio, ed in altri Poeti ne abbiamo degli esempi.

3. Bisogna notare (benché le annotazioni circa i propri nomi dei Poemi non sieno cose essenziali) che qualora un Poema contenga più sorte di Versi, e sia diviso in tante stanze, ciascuna delle quali finita, si ri-torni alla prima spezie di versi, com’è appunto ogni Componimento di Elegia, o di Epigramma, in cui ogni stanza costa di un Esametro, e di un Pentametro, e poi si riprincipia la stanza coll’Esametro: in tal caso il Componimento si dice diviso in Strofe o sieno Stanze. Che se la Stanza sia una sola, allora si chiama Monóstrofo; se due Dístrofo; se tre Trístrofo; se quattro Tetrástrofo; ec. che se le stanze fossero molte in numero, allora il Poema sarebbe Polístrofo.

4. Dal numero dei Versi ha il Poema il suo titolo; poiché quel Poema che costa di due soli Versi si chiama Dístico; di quattro Tetrástico; di sei Esástico; di dieci Decástico; ec.

Capo VIII.

Di alcune Figure Poetiche, che si incontrano nella Scansione o sia misura dei Versi.

1. Lo scándere54 il Verso non è altro che il misurarlo, e dividerlo in tut-

ti i Piedi, che lo compongono: e si dice scándere cioè salire, perché pare che il Verso vada come salendo qualor si misura, e si divide nei suoi Piedi.

2. Affinché questa Metrica Scansione e misura riesca ben fatta fa d’uopo notare sei Figure Poetiche, che sovente s’incontrano nei ver-si, cioè l’Éttasi o sia Diástole, la Sístole, la Sinéresi o sia Sinecfoné-si, la Diéresi, la Sinaléfe, e l’Ectlipsi. Le prime quattro, qualora si trovino usate, o si usino per necessità del Verso, vengono comprese sotto il nome di Necessità Metrica; quando poi sieno usate senza ne-cessità, ma per vezzo, o capriccio (come sovente le usarono i Poeti Latini, ma non comendabili in questo particolare), allora vengono

54 [CLAUDE LANCELOT], Nuovo Metodo Per apprender La Lingua latina, Volume II, Torino,

MDCXLII, p. 444; M. ANTONIO BONCIARIO, Guarinus Sive Introductio ad Latinam Lin-

guam, collecta, Perusiae MDCIII, Introductionis ad artem Rhetoricam libri II ex Cicerone

potissimum de pro.pti et ad puerorum usum accommodati, Perusiae, 1596, pp. 56 ss.

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comprese sotto il titolo specioso di Licenza Poetica. Le ultime due figure poi, cioè la Sinaléfe, e l’Ectlipsi, si comprendono sotto il no-me di Elisione o sia Assorbimento o Distruggimento.

3. L’Éttasi o sia Diastole (che noi Dilatazione diressimo, o Allunga-mento) è una Figura Poetica, che fa lunga una sillaba, la quale di sua natura è breve: come Prīamides, ec. con la prima sillaba lunga, ben-ché sia breve: di sua natura. I Poeti si sono serviti di tale figura, per fuggir nel Verso Eroico un Piede di tre brevi, cioè un Tríbraco che non può entrarci. Gli esempi ce ne sono molti. Vergilio lib. 1. Æ-neid.

Ītălĭām fātō prŏfŭgūs, Lāvīnăquĕ vēnīt.55 e nel 6. libro dell’Enéide. Ātque hīc Prīămĭdēm lănĭātūm cōrpŏrĕ tōtō.56

Questo è quando si muta semplicemente la sillaba da breve in lunga. Ma talora però si fa lunga coll’aggiunta di qualche consonante, cioè raddoppiandosene qualcuna che ci era nella sillaba, come Rēlligio, Rēlliquia, Rēpperit, Rēttulit, Rēppulit, che tutte trovansi in Virgilio, Orazio, e Lucrezio. Eccone l’esempio di Virgilio. lib. 2. Æneid.

Rēllĭgĭōnĕ Pătrūm mūltōs sērvātă pĕr ānnōs.57 È duro assai nondimeno il Rēddūcīt, e il Rēddūctūm, che si trova in

Lucrezio, e in Orazio; così il Rēccidere, Rēffugisse, Rēllatum, Rēm-

mota, &c di Lucano, né queste licenze sono da imitarsi, senza una ben grande necessità.58

4. La Sistole (che noi diressimo Abbreviamento) è quella che abbrevia una Sillaba di sua natura lunga, come Stetĕrunt, Fulgĕre, ecc. con le penultime brevi, quando sono, e debbono esser lunghe di lor natura. Moltissimi ne abbiamo di esempi. Eccone uno di Virgilio lib. 6. Æn.

Īllǣ autēm, părĭbūs quās fūlgĕrĕ cērnĭs ĭn ārmīs.59 Per via di Sístole hanno talora i Poeti tolta una consonante, affin la sillaba lunga divenisse breve; dicendo Ver. gr. Obĭcis invece di O-

bjīcis, abĭcis per abjīcis, &c. Poniamo un esempio di Ovidio lib. 2 de Ponto, eleg. 3. Tūrpĕ pŭtās ăbĭcī quĭă sīt mĭsĕrāndŭs Ămīcūm.60

55 V. 2: “Profugo per volere del fato, giunse in Italia, a Lavinio”. 56 V. 494: “E qui vide il figlio di Priamo, dilaniato in tutto il corpo” 57 V. 715: “Conservata per molti anni dalla religione dei Padri”. 58 Per una verifica di queste indicazioni vedi sul web: Itinera Electronica: Du texte à l’hyper-

texte 59 V. 826: “E quelle che vedi risplendere con pari armi”. 60 V. 37: “Tu ritieni riprovevole che un Amico sia allontanato, perché è degno di commisera-

zione”.

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5. La Sinéresi, che ancor Sinecfonési (o Episinaléfe) da altri si chiama, e noi l’appellaressimo Contrazione o sia Restringimento, è quella che riunisce e ristringe due sillabe, o per dir meglio due vocali, in una sillaba sola; come ai, au, ea, ee, ei, eo, eu, ia, ie, ii, io, iu, oa, oe, oi, oo, ou, ua, ue, ui, uo, uu, contraendole in una sillaba. Per esem-pio, aı̅t au̅t, di una sillaba; eādēm, deērīt, deōrsūm ōrphēus, &c. ri-strette in due sillabe; e simili. Nei Poeti se ne trovano esempi senza numero: i Cómici nondimeno sono stati più franchi, e più liberali nell’uso di queste Contrazioni: Terenzio nel solo Prologo, e nella so-la Scena prima di una sua Comedia, che intitolò Andria, se ne servì più di quindici volte; e altrove senza conto. Alla Sinéresi ancora si rapporta la licenza di mutar alle volte l’i, e l’u vocali in j, e d v consonanti; a cagione di esempio, invece di ăbĭēs far ăbjēs, così pārjēs in cambio di pārĭēs, gēnvă per gēnŭă, flūvjă in-cambio di flūvĭă, e simili. Si deve avvertire che l’u dopo la g, e la q, e la s, accompagnata con altra vocale, come Guărinus, Guīdo, Quāndo, Suādeo, Suēsco, Suā-

vis, &c. si strugge sempre di sua natura, senza bisogno di licenza si-neretica, essendo allora vocale liquida; e piuttosto sarebbe licenza se altramente si pigliasse.

6. La Diéresi o sia Dialísi, che noi diressimo Divisione, è quella che divide una sillaba in due; ond’è contraria alla Sinéresi. Come Aurái, vitái invece di au̅rǣ, vitǣ; così Sylua, Dissoluo in cambio di Sylva, Dissolvo, e simili. Anche di questa figura sono stati amici i Poeti, giacché per uso loro solamente è stata inventata: tra i Comici più de-gli altri l’hanno usata; e Plauto, e Terenzio ne sono testimoni, giac-ché essi per le licenze (e per gli arcaismi) non han pari.

7. La Sinalefe, che noi chiameressimo Conglutinamento o Assorbimen-to, è una figura in virtù della quale si strugge e si elide una vocale, o un dittongo nel fine di una parola, a cagione di un’altra vocale, o di un altro dittongo, che sia nel principio della parola seguente. Ver. gr. in Virgilio lib. 2. Æneid.

Cōntĭcŭēre ōmnēs, īntēntīque ōră tĕnēbānt.61 E nel lib. 10. Æneid. Dārdănĭdæ ē mūrīs,62 &c.

8. La Ettlipsi, che noi chiameressimo Disfacimento, è una figura in vir-tù di cui si elide, e si strugge la lettera m che sta in fine di un a paro-

61 V. 1: “Tutti tacquero e stavano con lo sguardo attenti”. 62 V. 263: “I Dardanidi dalle mura, ecc.”.

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la, insieme colla sua vocale precedente, a motivo di un’altra vocale che incomincia la parola seguente: come in Virgilio lib. 1 Æneid.

Mūltum īlle ēt tērrīs jāctātŭs ĕt āltō.63 Et lib. 3. Æneid. Ītălĭam Ītălĭām prīmūs cōnclāmăt Ăchātēs.64

9. Convien però fare molte osservazioni su di queste due figure dell’Elisione. Primieramente tanto la Sinaléfe, quanto l’Ettlipsi sono più dolci quando la vocale seguente, di cui si vestono, è lunga, che quando è breve: come in Catullo, Sĕpūlcrum Eūrōpǣ65. Secondariamente la Sinaléfe ha una particolar dolcezza, quando la parola seguente incomincia colla stessa vocale, che fu distrutta nella precedente: come in Virgilio, Īlle ĕgŏ, &c. ____ Ērgo ōmnīs &c. ____66 In terzo luogo, non debbono queste due figure esser troppo frequen-ti, spezialmente nell’Elegie, che richiedono una dolcezza particolare: è vero però che nel Verso Eroico possono dare talvolta, secondo i luoghi, e le materie, qualche grazia, o qualche gravità maggiore. Co-si Virgilio per una certa affettata dolcezza, conveniente al soggetto di cui parlava, riempì di Sinaléfe questo Verso, Phīllĭda ămo ānte ălĭās; &c. 67 E per rappresentare qualche cosa di orrido nella descrizione del brut-to Polifémo Pastore, empì di figure elisive questo verso, Mōnstrum hōrrēdum, īnfōrme, īngēns, cui, &c. 68 Fuori di tali casi, non debbono queste figure usarsi più di due volte in uno stesso verso.

10. In quarto luogo, non bisogna neppur sì facilmente metterle al princi-pio del verso, né del sesto piede dell’Eroico; come fece Giovenale con troppa durezza: Lōrĭpĕdēm Rēctūs dērīdĕăt, Ēthĭŏpem Ālbūs.69 Nettampoco bisogna porle nel mezzo del verso Pentametro; come in Properzio, Hērcŭlĭs, Āntĕĭquē Hēspĕrĭdūmquĕ cŏmēs.70 E neppure nell’ultimo Dattilo del Verso predetto, in cui non han molta grazia, se non si usano con discretezza; come in Ovidio,

63 V. 3: “Egli molto perseguitato per terra e per mare”. 64 V. 523. “Italia, Italia per primo strilla Acate”. 65 Libro, Carme 68, v. 89: “Troia comune sepolcro d’Asia e d’Europa…”. 66 Eneide, II, v. 24; VII, v. 494: “Quell’io....”; Ciris (Airone), v. 126: “Dunque tutto ...”. 67 Bucoliche, Egloga III, v. 78: “Amo Fillide più di tutte le altre, ecc.”. 68 Eneide, III, v. 658: “ Un orrendo mostro spaventoso, immenso, al quale, ecc.”. 69 Satire, II, v. 23: “Che un sano derida uno storpio, e un Bianco un Etiope”. 70 Elegie, III, 22, v. 10: “I compagni di Ercole, di Anteo e degli Esperidi”.

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Quādrĭ jŭgōs cērnēs sǣpĕ rĕsīstĕre ĕquōs.71 Puossi dire ancora che ingrate sono all’orecchio nel fine del quinto piede dell’Esametro; come in Catullo, Dīffĭcĭle ēst lōngūm sŭbĭtō dēpōnĕre ămōrēm.72

11. In quinto luogo, convien notare che la Sinaléfe alla volte si tralascia regolarmente, e alle volte per licenza. Si tralascia regolarmente in tutte le interiezioni, come o, heu, ah, hei, e simili, le quali non si eli-dono, e neppur jo; altrimenti sarebbero inutili, se non fossero pro-nunziate.

Virgilio: Ō Pătĕr, ō hŏmĭnūm &c.73 Ovidio: Heu̅! ŭbĭ pāctă fĭdēs? ŭbĭ quǣ jūrārĕ sŏlēbās?74 Ovidio: Jō Ărĕthūsă vŏcāvīt.75 E talora in qualche congiunzione posta in principio del verso, come

in Virgilio, Sī ād vitulam spectes &c.76

Tralasciasi poi per licenza, o quando si considera l’h come una con-sonante, conforme in Virgilio,

Pōst hăbĭtā cŏlŭīssĕ Sămō: hīc īllĭŭs ārmā.77 O quando si voglia imitare i Greci, come fece Virgilio in quel Verso, Ēt sū[c]cūs pĕcŏrī, ēt lāc sūbdūcĭtŭr āgnīs.78 Ma o si tralasci la Sinaléfe in un modo, o in un altro, fa duopo osser-

vare che allora la Vocale lunga, o il Dittongo non eliso, diviene di quantità comune; e ce ne abbiamo molti esempi. Vero è nondimeno che l’elisione bisogna farla dov’entra, senza tanto imitar le licenze; e quando si omettesse, ciò dovrebb’esser raro; altrimenti ne verrebbe quel vizio di pronunziar separatatamente una vocale dall’altra nel lo-ro concorso: il quale concorso di vocali nelle parole, come Occurrito officioso homini incomitato, si chiama Iáto, oppure Discorso iúlco, cioè troppo aperto e molle nella pronunzia (ch’è contrario a quello troppo duro ed aspro, come sarebbe quello di Virgilio 1. Æn. Nume-

rum cum navibus æquat79, dove il concorso della m, e della n è duro,

e si chiama Cacofonía o escrologia): vizio che nell’Orazione sì Pro-saica, che Poetica sfuggir si deve, come dice Cicerone de orat. cap.

71 Tristezze, IV, 2, v, 54. “Vedrai spesso impennarsi i cavalli della tua quadriga”. 72 Carme 76, v. 13: “È difficile dimenticare subito un lungo amore”. 73 Eneide, X, v. 18: “O Padre, o potestà degli uomini, ecc.” 74 Fasti, III, v. 485: “Oh, dove sono finiti la fedeltà ai patti che tu solevi promettere?” 75 Metamorfosi, V, v. 625: “Aihmé, Aretusa, invocò”. 76 Bucoliche, Egloga III, v. 43: “Se guardi alla vitella, ecc.”. 77 Eneide, I, v. 16: “Trascurata Samo poi abbia abitato lì, lì le sue armi”. 78 Bucoliche, Egloga III, v. 6: “E il sangue viene tolto alle pecore e il latte agli agnelli”. 79 Eneide, I, v. 193: “Ed uguaglia il numero con le navi”.

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23. Egli però, che in prosa fu il Principe degli Scrittori Latini, non avendo avuto tal sorte in Verso, allorché ne volle comporre qualcu-no, diede tosto nello scoglio della Cacofonia, come in quel suo cu-rioso verso

Ō fōrtūnātām nātām, mē cōnsŭlĕ Rōmām,80

dove quel concorso di m, e di n, quel principio di una voce colla sil-laba ultima della voce precedente, come natam, me, fanno una dura Cacofonia; e cosippur la farebbe quel porre insieme molte voci della stessa desinenza, ver. gr. Flentes, plorantes, lacrymantes, obtestan-

tes. Quindi sì in verso, che in prosa deve molto amarsi l’Eufonía o sia Discorso sonoro e dolce di pronunzia: così per eufonia diciamo noi affectus, e non adfectus, non ostante che tal voce sia composta da ad e fectus; così Jordanis, e non Jordan, non ostante che questo fiume venga da due fonti Jor, e Dan nella falda del Monte Libano; e simili.

12 In sesto luogo, tanto la Sinalefe, quanto l’Ectlipsi ha luogo qualche-volta nell’ultima sillaba del verso, che sia soprannumeraria, purché il verso seguente abbia la prima parola che incominci per vocale, con cui quella sillaba si elide; come in quel verso di Virgilio, Ōmnĭă Mērcŭrĭō sĭmĭlīs, vōcēmquĕ cŏlōrēmque

Ēt crīnēs flāvōs, &c.81 13. Tralasciavano inoltre gli antichi Poeti la m senza eliderla, ma di ra-

do; e allora era breve. Eccone un esempio di Lucrezio lib. 1. Cōrpŏrŭm, ātquĕ lŏcī, rēs īn quō quǽquĕ gĕrāntūr.82 Delle volte poi la elidevano innanzi ad una consonante. Un altro e-sempio di Lucrezio. Lānĭgĕrǣ pĕcŭdēs, ĕt ĕquōrū bēllĭcă prōlēs.83

14. Finalmente, essi stilavano talora di elider qualchevolta la s innanzi ad una Consonante; come si vede in Ennio Ann. 7, (Poeta di metro assai triviale). Dōctŭ fĭdēlīs, suāvĭs hŏmō fācūndŭ sŭōquē.84

80 “O Roma fortunata, rinata sotto il mio consolato”. (Il verso era nel Poemetto di Cicerone

De consulatu meo, Il mio consolato, ricordato dallo stesso Cicerone, in un frammento di una sua epistola perduta. Frammento VIII, Ep. ad Attico, II, 3, 4).

81 Eneide, IV, v. 558: “In tutto simile a Mercurio, e la voce, e il colore, e i biondi capelli, ecc.” 82 La natura, I, v. 482: “(Accidenti) della materia e dello spazio, dove si produce ogni cosa”.

(Oggi pero i filologi preferiscono la forma singolare Corporis, invece del plurale Corpo-

rum). 83 La natura, IV, v. 661: “Le lanose pecore e la stirpe guerriera dei cavalli”. (La ricostruzione

moderna del testo non prevede l’elisione della m di equorum, inoltre a bellica prefrisce duellica).

84 “Dotto, fidato, amabile, facondo, contento del suo”.

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Ove Doctu vale per Doctus, e facundu per facundus. Qualche volta ancor la elidevano con tutta la intera sillaba innanzi ad una vocale: conforme si osserva nello stesso Ennio loc. cit. Cōntēnt ātquĕ bĕātūs, scitus facunda loquens in.85 Ove content sta invece di contentus.

CAPO IX. Della Quantità delle Sillabe.

1. Per conoscere di che quantità sieno le sillabe nelle Voci Latine, bi-sogna primieramente osservare il luogo e il sito che esse tengono nelle Voci. Se stanno nel principio, si chiamano Prime Sillabe; se nel mezzo, Medie; se in fine, Ultime. V. G. in Discipula, Di è prima Sillaba, scipu sono medie; la è sillaba ultima.

2. Or sopra a ciascuna di queste Sillabe si assegnano varie regole e modi per conscerne la quantità. Queste regole sono otto, cioè la Vo-

cale innanzi all’altra, che si chiama Concorso di due vocali in una voce, il Dittongo, la Posizione, la Preposizione, la Composizione, la Derivazione, l’Esempio dei buoni Poeti, e la Regola particolare. Tutte queste Regole spettano alle Prime Sillabe: ma quattro di loro servono anche per le Medie, ed Ultime, e perciò si chamano Regole comuni e universali, e sono la Vocale avanti l’altra, il Dittongo, la Posizione, e l’Esempio dei Poeti. Di tutte tratteremo; e poi delle re-gole particolari che riguardano i Preteriti, e i Supini, l’Incremento

dei Verbi, e dei Nomi e le ultime Sillabe. Veniamo alla prima.

CAPO X. Della Vocale innanzi all’altra.

1. Sei Vocali riconosce il Lazio, cioè cinque sue proprie, e sono A, E, I, O, U, ed una pigliata in prestito dalla Grecia, ed è l’Y. Niuna vo-cale è presso i Latini stabilmente breve, o lunga. Presso i Greci bensì sono brevi sempre ε ed ο, cioè Épsilon, ed Ómicron; così sono sem-pre lunghe η ed ω, cioè Ita (che i Latini lo voltano in e lungo), ed Ómega; come nelle medie Sillabe di Erémus, e di Idólum: e appresso di loro α, ι, υ, cioè Alpha, Jota, Ypsilon, sono comuni, e varie.

2. Ciò presupposto, si abbia per regola e precetto generale che presso i Latini la Vocale posta innanzi ad un’altra Vocale è di quantità bre-

ve, come Dĕus, Misericordĭa, &c. Dissi, per regola generale, perché 85 “Beato, felice, accorto, che sa parlare in modo acconcio al momento giusto”. (Il testo si tro-

va in AULO GELLIO, Le Notti attiche. (La filologia lo ricostruisce così: Dōctŭ(s) fĭdēlīs /

suāvĭs hŏmō fācūndŭ(s) sŭō cōntēntŭ(s) bĕātŭs / Scītŭ(s) sĕcūndă lŏquēns īn tēmpŏrĕ cōm-

mŏdŭs vērbūm).

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ci sono alcune regole particolari, che si chiamano eccezioni, le quali in qualche cosa le atterrano, e fanno che non ci sia regola tanto certa, e stabile, che non patisca in qualche particolarità la sua eccezione; essendo perciò nato quel proverbio, Omnis regula patitur suam ex-

ceptionem:86 ma queste eccezioni, riguardando sempre il meno, non possono aver vigore di gettare a terra, non solo in tutto, ma neppur nella maggior parte, la regola generale.

3. Le eccezioni adunque, che ha l’addotta regola generale intorno alla quantità breve della Vocale innanzi ad un’altra, sono le seguenti. Prima, l’i di Fio è lunga in quei tempi dove Fio non ha la r, come Fio, fiebam, &c; dove poi ha la r, seguita la regola generale, essendo breve la i di fieri, fierem, &c. Lo Scioppio, nondimeno avverte, che gli antichi Poeti solevano far lunga anche l’i di fierem, fieri, &c., e ne adduce l’esempio del comico Plauto. in Amphit. act. 1. sc. 2. Pa-

ter curavit uno ut fetu fīĕrĕt.87 Non è però da imitarsi. 4. Seconda, la lettera e quando vien posta fra due i, come Diēi, Speciēi,

Progeniēi, &c., si fa lunga; onde così l’hanno tutti quei Genitivi e Dativi della quinta Declinazione, che hanno l’e framezzato a due i; perché se non l’hanno così framezzato, come in Rĕi, Spĕi, Fidĕi, al-lora l’e seguita la regola generale.

5. Terza, i Genitivi che finiscono in ius, come unius, illius, ipsius han-no l’i di ius di quantità comune nel Verso (attesoché in prosa sempre è lunga); eccettuato il genitivo alīus che l’ha sempre lunga, e alte-

rĭus che l’ha sempre breve, e ciò tanto nell’orazione sciolta, che le-gata. Nota contuttociò lo Scioppio che l’elegantissimo Gramatico Terenziano, dove parla del Verso Giambico, fa lunga l’i di alterius, dicendo, Nec āltĕrīus indigens – Opis veni.

88 Attengasi nondimeno all’i breve; correndo così l’uso comune che di-ce: Cōrrĭpĭt āltĕrĭūs sēmpēr, prōdūcĭt ălīūs.89

6. Quarta, l’antico Genitivo in ai, come Aurāi, Terrāi, Aquāi &c. per Diéresi invece di Auræ, Terræ, Aquæ, &c. hanno lunga la penultima, cioè l’a di āi.

7. Quinta, i Vocativi Cāi, Pompēi, Vultēi, e simili, hanno la penultima lunga. L’interiezione ohe ha l’o di quantità comune.

86 “Ogni regola ha la sua eccezione”. 87 Anfitrione, v. 487: “Il padre volle che fosse generato in un solo parto”. 88 “Sono venuto pur non avendo bisogno di altro.” 89 “Abbrevia sempre la i di alterius, allunga quella di alius”.

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8. Sesta, questi nomi āer, cytherēa, elegīa, Darīus, e simili, hanno la vocale lunga innanzi all’altra, perché sono Grechi; così chorēa e platēa, benché amendue talora si facciano brevi dai Poeti.

9. Settima, le voci in ēĭŭs, o in ēĭă, tre sillabe hanno lunga la e, come Primēĭŭs, Cytherēĭă, Elegēĭă.

10. Ottava, in Verso queste voci Idea, Æneas, Andreas, Philosophia, Symphonia, Etymologia, Orthographia, Prosodia, &c. seguitano la regola generale avendo breve la vocale innanzi l’altra: benché da molti Uomini dottissimi, e quasi comunemente, si pronunziino in Prosa con la Vocale lunga, all’uso dei Greci; i quali tengono vario uso intorno alle loro Vocali, e particolarmente su di quelle tre riferi-te, cioè α, ι, υ, che per lo più le hanno di quantità comune.

CAPO XI.

Del Dittongo. 1. Molti sono i Dittonghi della Lingua Latina; tantovero che ventidue

ne conta lo Scioppio. Sei nondimeno sono i più cogniti, cioè AE, AU, EI, EU, OE, YI, come Præmium, Aurum, Hei, Europa, Pœna, Harpyia.

2. Or regola generale si è che il Dittongo sempre è lungo tanto presso i Latini, che i Greci, come Æneas, Paulus, Euripĭdes

*, Præmium, &c. 3. L’eccezione sua nondimeno è che quando dopo il dittongo siegue

una vocale, allora il dittongo divien comune, come Præ̊eo, præ̊ire, præ̊ustus, Mæ̊oticus, &c.; non ostanteché alcuni pretendono che se ciò accade nelle voci Latine, allora il dittongo sia breve; se nelle vo-ci Greche sia lungo: ma una tal distinzione va a terra coll’esempio dei buoni Poeti. Onde resta sicura la quantità comune assegnata, che il Bonciario la sostiene a tutto costo, tanto nella sua Prosodia, che nella sua Proapologia.

CAPO XII.

Della Posizione. 1. Dicesi Posizione in Prosodia quando una vocale di sua natura breve,

diventa lunga o comune a cagione delle lettere consonanti che se le pongono appresso. Ver. gr. Rĕ di Rĕligio è breve di sua natura, per-ché la particola rĕ è breve nelle voci da essa composte; ma se i Poeti la vogliono far lunga per Diástole, raddoppiano la l, e dicono Rēlli-

* Nome di un Poeta Greco Tragico.

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gio; e allora Rē diventa lunga per Posizione, cioè perché due conso-nanti se le pongono appresso.

2. Or questa Posizione è di due sorti, una si chiama Posizione Ferma e certa, l’altra dicesi Fievole e mutabile. Parlando ora della prima, de-ve notarsi che essa può accadere in tre modi. Primo, quando dopo una vocale seguono in una stessa voce due consonanti, come in Cārmen, Mārcus; oppure una consonante doppia, cioè la X, e la Z, come in Māxentius, Amāzon; ovver seguita un j consonante unito ad una vocale, come Trōja, Ājo: e in tutti questi casi la vocale prece-dente sempre divien lunga. Secondo, può avvenire la Posizione in due voci, cioè quando una parola finisce in consonante, e l’altra principia con un’altra consonante, come āt pius, pēr terras; e allora pur divien lunga la vocale precedente: e con più di ragione, come di-ce il Bonciario, avendo un nonsoché di forza maggiore la posizione così divisa. Terzo, può succedere quando nel concorso di due parole, la posizione stia tutta nel principio della seconda, come occultå spo-

lia, æquorå Xerses; nemoroså Zacynthos; e in tal caso ci sono alcuni Autori, come l’Alvarez, che dicono non oprar nulla tal posizione, co-sicché la vocale precedente se di sua natura era breve, breve pur re-sti. Altri poi, come il Bonciario, benché accordino che la maggior parte delle volte la Vocale resti breve, nondimeno sostengono che divenga comune. L’esempio dei buoni Poeti, che talora per via di questa Posizione han fatta lunga la vocale precedente, fa che resti fuor di ogni dubbio la quantità comune sovrassegnata. Il Lancellotto adduce in compruova un testo di Virgilio; ove dice Tēlā scāndĭtĕ

mūrōs.90 3. L’eccezione convien darla all’J consonante sovramenzionata, nei

composti di Jugus, come Bĭjugus, Quadrĭjugus; perciocché in queste voci fa figura di consonante semplice, e non doppia, e in conseguen-za la vocale precedente è breve.

4. Venendo all’altra sorta di Posizione, cioè alla fievole e mutabile, questa avviene quando in una parola la vocale sta innanzi a due con-sonanti, la prima delle quali sia muta, e l’altra liquida; come Påtris, Důplex, &c.; e allora la vocale che di sua natura era breve, diventa comune nel verso. Quali sieno le Consonanti mute, è troppo noto, come B, C, D, F, G, P, T, essendo sette colla F; le Liquide poi sono quattro, cioè L, M, N, R; benché appo i Latini solamente L, ed R, facciano figura; perciocché M, ed N, di rado son liquide, fuorché nelle voci Greche, come Tecmessa, Cycnus, Teramnæ, Ichneumon.

90 Eneide, IX, v. 37: “[Date] giavellotti, salite sui muri”.

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Dissi sopra, che per ragion della muta colla liquida la vocale breve precedente diveniva comune, perché se la vocale fosse lunga di sua natura, lunga pur rimane, come Mātris, Arātrum.

5. Spesso si conosce dal Nominativo (dove la muta e la liquida non so-no unite) se la sillaba sia di sua natura breve, o lunga: come in Cală-

bro, Cantăbro, Pătre l’a è breve di sua natura, perché tal’è in Cală-

ber, Cantăber, Păter: al contrario in Mātre, Salūbre, Ātrum l’a è lunga di sua natura, perché tal’è in Māter, e in Āter; e tal’è l’u di Sa-

lūber: il che lo dà a conoscere l’accento grave (che abbrevia), o acu-to delle Sillabe; oppur l’esempio dei buoni Poeti. Quindi è stata fatta dall’Alvaro un’osservazione, che qualora i buoni Poeti han fatta bre-ve una vocale che per posizione fievole era comune, quella era di sua natura breve. Ver. gr. in Virgilio, Sǽvĭt ătrōx &c.91.

6. Bisogna nondimeno alla detta Posizione fievole dar qualche ecce-zione, ed è che nelle voci ōbruo, ābluo, sūblevo, ādnítor, ōblĭno, &c. composte dalle preposizioni ob, ab, sub, ad, e simili, non fa effetto veruno la Posizione, non rendendo comune la vocale precedente; onde questa nei suddetti verbi non può farsi breve. La ragione si è, perché acciocché la Posizione fievole operi, è duopo che amendue le consonanti, cioè la muta, e la liquida spettino alla vocale seguente, come sarebbe in Re-cludo, Re-flecto, A-dria, &c. Or nelle sovraddet-te voci non accade così, perché la muta spetta alla vocale precedente colla quale forma la preposizione, e la liquida alla vocale seguente; come Ob-ruo, ab-luo, sub-levo.

7. Intorno a questa fievole posizione bisogna avvertire, che nella Prosa essa non ha verun vigore, perciocché tutte quelle voci sì Greche, che Latine, le quali hanno una vocale breve di sua natura, con la vocale breve debbono pronunziarsi, non ostante che alla vocale seguiti la muta colla liquida; così perciò van pronunciate Funĕbre, lugŭbre, mediŏcre, affăbre, intĕgrum, palpĕbra, pharĕtra, tenĕbre, insŭbres, Agatŏcles, Nicŏcles, e simili che se abbiano una vocale lunga di sua natura, con la lunga debbono proferisi (giacché anche nel Verso così succederebbe), come salūbre, involūcrum, lavācrum, ventilābrum, candelābrum, ed altri. Piace nondimeno agli Uomini dotti, che in molte voci, per quel che riguarda la Prosa, si abbia l’attenzione all’orecchio, e all’uso più comune della pronunzia. Sentimento assai lodato, e praticato dal celebre Signor Muret Franzese, (o sia Mureto già noto), e dal Bonciario suo Discepolo. Onde se a cagion di esem-pio si pronunziasse in prosa colla vocale breve Cleopătra, Idolătra,

91 Eneide, IX, v. 420: “Infuria atroce Volcente”.

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Perĭcles, chi non vede quanto ne rimarrebbe offeso l’orecchio: e perciò, eziandio che tali nomi abbiano nel luogo consaputo la vocale breve di sua natura, pure per ragion di pronunzia dolce egli è meglio proferirli con vocale lunga, dicendo Cleopātra, Idolātra, Perīcles, &c. (massimamente trattandosi di Voci Greche).

CAPO XIII. Della preposizione.

1. Possono considerarsi le Preposizioni, o come semplici, o come com-

positive. Sono semplici quando stanno sole da se stesse, come Ab, ex, in, ob; sono compositive, quando stanno unite a qualche altra vo-ce con la quale fanno un sol vocabolo, come Abeo, exeo, induco, o-

beo, ec. Queste Preposizioni compositive poi altre sono significative ed altre non significative: le prime son quelle che anche fuori della composizione significano, come le predette Ab, ex, in, ob, ad, inter, super, subter, de, pro, ec.; le seconde sono quelle, che fuor della composizione nulla significano, come sono Di, re, se, dis, con, an, am, le quali hanno il significato soltanto nei composti, come Diver-

sus, Recondo, Sepono, Dispar, Concors, Anquiro, Ambio; e perciò tali preposizioni non significative, erano chiamate Loquelari dagli antichi Gramatici, attesoché fuor della composizione non servivano ad altro che per una pura loquela o sia articolazione di voce, ma sen-za significato.

2. Or favellando prima delle proposizioni significative, la regola gene-rale Prosodiaca è ch’esse di quella quantità che sono per se stesse, di quella quantità medesima sieno nelle voci da loro composte. Brevi sono perlopiù Ăb, ăd, antĕ, circŭm, ĭn, ŏb, pĕr, Subtĕr, Supĕr, Sŭb, intĕr; onde tali ancor sono nei composti, come Ăbeo, Ădoro, Antĕ-

fero, Circŭmago, Ĭnūro, Ŏbeo, Pĕrimo, Supĕraddo, Sŭbeo, Intĕrdo. Cosippur brevi sono Apŭd, penĕs, adversŭs, prætĕr, proptĕr, cĭs, propĕ, ponĕ, sinĕ. Dissi perlopiù, perché ab, sub, ad, si trovano talo-ra lunghe, anche non seguendo loro consonante doppia; come si os-serva in Lucrezio lib. 3, ādĭgĭt ullum;92 e conforme lo nota il dottis-simo Gifánio in præfat. ad Lucret, lodato grandemente e citato dallo Scioppio nelle sue Annotazioni Critiche alla Prosodia dell’Alvaro. Le altre Proposizioni poi sono tutte lunghe, come Ergā, extrā, infrā, intrā, juxtā, citrā, circā, suprā, ultrā, cūm, adversūm, circūm, se-

cundūm, clām, corām, palām, trāns, prǣ, dē, ē, ēx, e prō. Su di que-sta pro bensì è da notarsi, che essa nei Composti Greci è breve, per

92 La natura, III, v. 922: “Né alcun rimpianto di noi ci arreca il dolore”. (Nella ricostruzione

moderna del testo si ha adficit).

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motivo dell’omicron; onde in Prŏpheta, Prŏmachus, Prŏculus, Prŏ-

metheus, &c. è breve. Nei Composti Latini però è benespesso lunga, come in Prōduco, prōveho, prōmoveo, &c. Dissi benespesso, per-ciocché in molte voci è breve, come in Prŏfiteor, Prŏnepos, Prŏso-

cer, Prŏnurus, Prōpago se si pigli per la Stirpe, Prŏcella, &c.; in al-cune altre è comune, come in Pro̊pago verbo (quando Prōpago no-me significa Vite abbassata e colcata sotto terra, ha lunga la prō), Pro̊pino, &c. Lo Scioppio dice su tal proposito, che sono inutili tante eccezioni alla pro, attesoché presso i Latini è comune; e si vede chia-rissimo in alcune di quelle voci, ove si è stabilita la Prŏ breve, è fat-ta lunga da Ovidio, come sarebbero Prōsocer, Prōnurus.

3. È falso poi quel che alcuni dissero che l’o sia sempre breve presso i Latini, quando era segnacaso del Vocativo; perciocché Ovidio lo fa lungo, dicendo Ō ŭtĭnām vēntī &c.,93 e Virgilio lo fa breve, ove dice Tē Cŏrydōn, ŏ Ălēxĭ, trăhīt sŭă quēmquĕ vŏlūptās.

94 4. Venendo alle Preposizioni loquelari o sieno non significative, alcune

sono brevi nei Composti, ed altre sono lunghe. Sono lunghe Ām co-me Āmbio, ān come ānquiro (se poi ăn fosse avverbio, sarebbe bre-ve, se non lo impedisse qualche posizione), cōn come cōnduco, dīs come dīspar, sē come sēparo, e dī come dīversus (eccettuato il verbo dĭrimo, e il nome dĭsertus, che hanno il dĭ breve). È breve poi rĕ come Rĕdeo, rĕfero, &c.; fuorché Rēfert, rēferebat in significato di interest, avendo allora la rē lunga: benché ciò non sia sempre vero, trovandosi in Giovenale con la rĕ breve rĕfert in senso di interest. Lo Scioppio ne riporta in compruova vari esempi anche di Plauto.

CAPO XIV.

Della Composizione o Composto. 1. Ogni voce composta vien composta da qualche particella (o altra

parte dell’Orazione), e da qualche voce semplice, ver. gr. Perlego, è un composto da per ch’è la particella, e lego ch’è il semplice; così alióqui è composto da alio ch’è la parte componente, e qui ch’è il semplice, il quale resta composto.

2. Ciò premesso, la regola generale è che dalla quantità del Semplice si conosce sovente quella del Composto; e viceversa; perciocché i Composti seguitano perlopiù la quantità dei loro Semplici. Ver. gr. Expōno composto ha pō lunga, perché lunga è nel suo semplice pō-

no; così Infĕro, Profĕro, Perlĕgo hanno le penultime brevi, perché

93 Le Tristezze, libro IV, Egl. IV, v. 87: “O se i venti, ecc.). 94 Bucoliche, Egl. II, v. 65: “Corindone insegue te, o Alessi, ciascuno porta il suo destino”.

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quelle Sillabe sono brevi nei semplici Fĕro, e Lĕgo. Il preterito Per-

lēgi, relēgi ha lē lunga, a motivo che lunga è nel preterito del Sem-plice lēgi: cosìppure oblĭtum supino di oblĭno nis ha lĭ breve, essen-do tale il suo semplice lĭtum supino di lĭno nis (che se oblītum sia supino di obliviscor, ha lunga lī): obĕdo obĕdis rodere coll’ĕ breve, come in ĕdo dis.

3. Si conserva tal quantità dei Semplici nei Composti anche quando la sillaba muti vocale: come elĭgo, selĭgo composti da lĕgo gis, mutata lĕ in lĭ: così Concīdo, Occīdo, Excīdo da cǣdo dis, mutata cǣ in cī: Allīdo, collīdo da lǣdo dis: Exquiro, requiro da quǣro, mutata quǣ in quī: Obēdio obēdis ubbidire, da a̅udio, mutata a̅u in ē: comeppure Occĭdo (cadere, tramontare, morire) da cădo.

4. Bisogna nondimeno eccettuarne molti, che hanno una sillaba breve, tuttoché i loro Semplici o sieno Primitivi l’abbiano lunga; e vicever-sa. Così Dejĕro, Pejĕro hanno la jĕ breve, non ostanteché il Sempli-ce Jūro abbia la jū lunga: Pronŭba, innŭba con nŭ breve, benché nū di nūbo sia lunga (nů di Connůbium nondimeno è comune): Causĭ-dicus, Maledĭcus, Fatidĭcus, Veridĭcus col dĭ breve, ancorché dīco abbia lunga la dī: Semisŏpitus ha sŏ breve, tuttoché sōpio, e sōpitus l’abbia lunga. Ambĭtus ambizione, ha la bĭ breve; ma ambītus bīta bītum cinto, circondato participio, ha la bī lunga (non già di sua na-tura, come avverte lo Scioppio, ma per accidente; tantovero che Scauro antichissimo Grammatico assegnò al detto participio la bĭ breve).

5. Fuor di queste eccezioni adunque dalla quantità del Semplice si co-nosce quella del Composto. Ma il punto sta nel conoscere la quantità dei Semplici, per cui non si può dar certa regola, stante la varietà, e moltiplicità delle eccezioni che si incontra. Nulladimeno possono servir di lume gli avvertimenti seguenti. Primo, si badi se ci entra Posizione, o Dittongo, o Concorso di due Vocali; potendosi allora saper facilmente di che quantità sia la silla-ba. Secondo, generalmente parlando le vocali A, ed O sono lunghe; E poi, I, ed U sono benespesso brevi; benché le eccezioni sieno innu-merabili. Terzo, la lettura dei buoni Poeti può contribuire a togliere ogni dub-bio, comeppur l’uso dei buoni Vocabolari Prosodiaci, fatto con ri-flessione.

6. Cosa più facile è il conoscer la quantità della prima parte del Com-

posto, tanto se sia Preposizione, quanto se altra parte dell’Orazione. Imperciocché se la sudd(ett)a prima parte termina in A, come in

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Trāduco, Trādo, Trāno nas (nuotare più oltre) ha la sillaba lunga; essendo negli addotti esempi lunga trā. Se poi finisce in E, perlopiù è breve, come in Nĕfas, Archĕtypus, &c. Si eccettuano Vidēlicet, Ve-

nēficus, Venēfica, Nēquando, ed altri composti da ne, come Nēqui-

tia, Nēquis, &c., avendo tutti l’ē lunga. Hanno bensì l’ē comune Li-

que̊facio, Made̊facio, Pate̊facio, e simili, come prova lo Scioppio; benché di rado si trovano con la ē lunga.

7. Che se la prima parte del Composto termini in I, o in Y, è breve; co-me Omnĭpotens, Sĭquidem, Tubĭcen, Poly̆dorus. Bisogna eccettuare Ibīdem, Ubīque, Īdem maschile (essendo breve il neutro), Bīgæ, Quadrīgæ, Sīquis, Sīcubi, Scīlicet, īlicet, Tibīcen, Melīphyllon, Trī-nacria, bīmus, trīmus, quadrīmus, tantīdem, quīvis, quīdam, quīlibet, bīduum, trīduum; e tutti gli altri composti da dies, come quotīdie, merīdies, &c. i quali tutti hanno l’I lunga. Si noti nondimeno che quatrı̊duum ha il trı̊ comune, facendosi alle volte breve; comeppure ubı̊vis, ubilı̊bet, e ubı̊cumque, il quale ultimo più spesso ha breve il bĭ. Ausonio celebre antico Gramatico fece lunga trī di Matrīcida, e breve rĭ di Parrĭcida, benché sia stato criticato da alcuni.

8. Giacché parliamo dell’I, notisi come per episodio, che il jota ι dei Greci, che presso loro è vario di quantità, nelle voci Grecolatine, non è mai consonante in Prosodia: onde Jason, Jambus, Jaspis, &c. han-no l’I vocale nel verso, essendo voci trisillabe. Il jod י bensì degli Ebrei è sempre consonante nelle voci Ebraicolatine: quindi Jesus, Joannes, Jacobus, Jonathas, &c. hanno l’j consonante anche nel Verso: e chi lo facesse vocale, imiterebbe i Greci, e non sarebbe ri-prensibile.

9. Ma torniamo al nostro proposito. Se la prima parte del Composto fi-nisca in O, bisogna avvertire la distinzione delle voci Grecolatine, e delle pure Latine. Perciocché nelle prime l’O è breve, come in Cymŏthoe, Carpŏphorus, Argŏnauta, Leucŏpetra, &c., per esser quell’o un Ómicron: bisogna nondimeno eccettuarne Geōmetra, Mi-

nōtaurus, e Lagōpus, per esser l’o un Ómega. Nelle voci Latine però l’O è comune, poiché in alcune voci è lunga, come in Aliōquin, quandōque, quandōcumque, intrōduco, retrōversus; in alcune altre è breve, come in Quandŏquidem, hŏdie, bardŏcucullus (saltabanco, o cappuccio, o camicciotto, o altro vestimento rustico facile a porsi in-dosso). Finalmente se termini in U, per lo più è breve, come in Dŭ-

centi, dŭcenties, dŭceni, &c. salve le varie eccezioni che ci sono.

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CAPO XV. Della Derivazione o Derivato.

1. La voce derivata è quella che deriva da qualche altra voce; la quale si chiama primitiva rispetto alla sua derivata. Ver. gr. Paternus è De-rivato da Pater che è il suo Primitivo. Or su di questi Derivati regola generale è che essi quando alle Sillabe sieguono la natura dei loro Primitivi. Benché qui fa duopo pur confessare la difficoltà che s’incontra nel non potersi assegnare regole stabili per tutti i Primiti-

vi, e in conseguenza neppure per tutti i Derivati; tantopiù che questi talora si partono dalla regola generale, e discordano per l’eccezioni.

2. Secondo la regola generale sono Ănĭmosus con le due prime brevi, derivando da Ănĭmus che li ha pure tali. Così Nātūralis ha le due prime lunghe, perché così le ha il suo primitivo Nātūra; e questa ha la prima sillaba lunga, perché viene da Nātūm. In simil guisa si rego-la Păternus da Păter; Māternus da Māter; Virgĭneus da Virgĭni; Sanguĭneus da Sanguĭni; arātrum da arātum; volutābrum da volutā-

tum; Ōrator, ōratio, ōrans, ōraturus da ōro (di cui è composto exō-

ro); Ămor, ămicus, ămabilis, ămans, &c., da ămo (di cui è composto Redămo). Così Pro̊fusus ha pro̊ comune, perché così lo ha il suo primitivo pro̊fundo: Lı̊quidus ha lı̊ comune, a motivo che ora viene da lĭqueo ques (liquefare) col lĭ breve, ed ora da līquor queris (esser fatto liquido) col lī lungo: nondimeno il nome Lĭquor quóris ha sempre breve la prima, derivando da lĭquor quáris quatus sum li-quefarsi. E in siffatta maniera si dica di varie altre voci derivate.

3. Se ne eccettuano però moltissime, le quali hanno o la sillaba breve, non ostanteché i loro Primitivi l’abbiano lunga; o viceversa. Così l’hanno breve Dĭtio da Dīs dītis col dī lunga; Mŏlestus da mōles, ed altre. L’hanno poi lunga Mācero da măcer col mă breve; hūmor da hŭmus; Hūmanus da Hŏmo; sēcius da sĕcus; maledīcentior colla ter-za lunga da maledĭcus con la terza breve; ed altre.

4. Ma ciò che di maggior attenzione è degno si è, che i Derivati neppur sieguono i loro Primitivi quando perdono, o aggiungono una Conso-nante. Ver. gr. Rēttulit, raddoppiando la t per Diástole ha la prima lunga per Posizione, benché venga da Rĕfero colla prima breve. Così altri Derivati hanno la prima breve, benché vengano da Primitivi lunghi, perché perdono una Consonante; come Dĭsertus da Dīssero; Fărina da Farris; Cŭrūlis (Curule, sedie di magistrato) da cūrro; Ŏ-

fella (ofella, sorta di vivanda di carne, solita a cuocersi nella gratico-la) da Ōffa (offa, pezzo di pane, o carne, o altro); Mămilla da Mām-

ma; Sĭgillum da Sīgnum; Tĭgillus o Tĭgillum (Travicello) da Tīgnus o Tīgnum (Trave, e in particolare quella che sostiene il tetto; e simili.

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CAPO XVI. Dell’Esempio ed autorità dei Poeti.

1. Non ci può essere al certo regola più sicura per conoscer la quantita delle Sillabe, quanto l’esempio ed autorità dei buoni Poeti Latini. Quindi chi, di continuo legge, e spiega con attenzione questi Maestri celebri della Poesia, può assai meglio capire la varietà delle regole, e delle eccezioni intorno alle Sillabe. Bisogna perciò in leggere i Poeti notar diligentemente la quantità che danno alle suddette, la varietà, con cui talora le pigliano, le licenze, le figure, e simili.

2. I buoni Poeti poi (la cui autorità in Prosodia non può rigettarsi) sono quei che vengono riposti nell’età di Oro e di Argento. I Poeti del Se-

colo di Oro sono i seguenti, cioè Q. Ennio, Poeta di metro benespesso ridicolo.

M. Pacúvio, Tragico. Stazio Cecílio, Comico C. Névio. C. Lucílio, primo Scrittore di Satire. L. Áccio, Tragico. L. Afránio, Comico. Várrio Flacco. Di tutti questi non se ne trovano altro che frammenti. Inoltre P. Papinio Stazio, Eroico. M. Accio Plauto, Comico, ma alquanto duro. M. Terenzio, Comico di tersa Latinità. P. Virgilio Marone, Eroico, e Pricipe dei Poeti. Q. Orazio Flacco, Lirico, e Principe dei Lirici. C. Valerio Catullo, alquanto duro di metro. T. Lucrezio Caro, buon Arcaista. Albio Tibullo, Elegiografo. Sesto Aurelio Properzio, Elegiografo. e P. Ovidio Nasone, Eroico, ed Elegiografo bravo.

3. Quei Poeti poi che furono del Secolo di Argento, sono gli infrascrit-ti, cioè M. Valerio Marziale, Epigrammatografo bravo. M. Annéo Lucáno, spesso di stile gonfio. Annéo Seneca giuniore, Principe dei Tragici. L. Annéo Floro. A. Persio Flacco, Satirico. D. Junio Giovenale, di stile migliore di Persio. Sulpízia nobile Poetessa Romana, Autrice della Satira in Domitia-

num.

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E qualche altra, come Proba Falconia pur Romana, che in Verso E-roico scrisse De Creatione Mundi, imitando la grazia di Virgilio: benché sia riposta nel Secolo di bronzo.

Capo XVII. Delle Regole particolari, e spezialmente

sovra i Preteriti dissilabi, e geminati. 1. Oltre le già spiegate regole, ce ne sono alcune altre particolari sopra

le Sillabe, che danno maggior notizia sopra la lor quantità. Qui in-cominceremo con quelle che riguardano i Preteriti, poi passeremo a quelle dei Supini, indi a quelle degl’Incrementi, ec.

2. I Preteriti adunque possono considerarsi o come dissillabi cioè di due sillabe, o come geminati cioè colla prima sillaba raddoppiata. Qualor si considerino dissillabi, regola generale è che essi hanno lunga la prima sillaba, eziandio che derivino da un Presente breve: quindi lunga l’hanno Ēgi, Vēni, Vīdi, Vīci, Lāvi, Mōvi, &c. coi loro derivati. Ēgeram, ēgisse, vēneram, vīdero, vīcisse, lāvero, mōvissem, &c. Bisogna nondimeno eccettuarne alcuni come Bĭbi, Dĕdi, Fĭdi (preterito di Findo dis fendere spezzare), Scĭdi, Stĕti, e Tŭli; i quali sei coi loro Derivati, e Composti, hanno breve la prima. Il preterito composto Abscı̊dit (benché in prosa per lo più abbia la penultima breve) ha la scı̊ comune nel Verso; cosicché quando dai Poeti si fa lunga, probabilmente si prenderà il preterito dall’inusitato Presente Abscīdo; qualora si faccia breve, dell’usato presente Abscindo, ta-gliar via, diminuire. Lo Scioppio nondimeno coll’autorità del Gifa-

nio, sostiene che Abscído composto di abs e cædo fu un verbo usa-tissimo dai Latini; ed attesta che un testo di Virgilio, che in oggi si legge abscindens de corpore, egli nella chiosa, che si conserva nella Biblioteca Vaticana, leggesse abscídens, così

Hic plantas tenero abscīdens de corpore Matrum.95 3. Quanto poi ai Preteriti geminati o raddoppiati nella prima sillaba,

hanno sempre breve la prima, e spesso la seconda ancora, purché non venga impedita da qualche Posizione. Quindi amendue brevi le hanno Cĕcĭdi, preterito di Cado, Tĕtĭgi di Tango, Pĕpĕri di Pario, Pĕpŭli di Pello, Tŭtŭdi di Tundo (pestare, dibattere), Cĕcĭni di Cano, Pŭpŭgi di Pungo, &c. Cŭcūrri poi, Pĕpēndi di Pendo dis (pesare), e simili, hanno solamente la prima breve, poiché la seconda è impedi-ta dalla Posizione.

95 Georgiche, II, v. 23: “Questo tagliando via i germogli dal tenero corpo delle Madri”.

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4. Due se n’eccettuano da questa regola generale, e sono Pĕpēdi di Pe-

do dis (peteggiare, mandar fuori i flati), e Cĕcīdi di Cædo, nei quali la seconda è lunga.

5. Tutti gli altri Preteriti poi, ritengono la quantità del loro Presente. Così clāmavi ha lunga la prima da clāmo; cŏlui, e vŏcavi hanno la prima breve da cŏlo, e vŏco; pro̊fudi ha la prima comune da pro̊fundo (spandere, versare). Se n’eccettuano Pŏsui, Gĕnui, Pŏtui che hanno la prima breve, benché Pōno, Gīgno, e Pōssum o Pōtis sum (da cui deriva Possum) abbiano lunga la prima: così bisogna ec-cettuar Dīvīsi, che ha lunga la seconda tuttoché l’abbia breve Dīvĭdo.

6. Quanto si è detto qui sopra dei Preteriti che seguono la quantità del loro Presente, si debbe intendere purché la loro Sillaba non dipenda dall’incremento o sia aumento; dovendosi allora badare alla regola propria a parte. Tuttavolta si può qui avvertire, che tutti i Preteriti di due, o più Sillabe, che finiscono in vi hanno sempre la penultima lunga, come Amāvi, flēvi, Quīvi, Petīvi. Audīvi, &c.

Capo XVIII.

Dei Supini disillabi, e polisillabi. 1. Possono considerarsi i Supini o come Dissillabi o come Polisillabi

cioè di più sillabe. Parlando dei primi, si dà per regola generale, che i Dissillabi, non altrimenti che i Preteriti di due Sillabe, hanno lunga la prima, come Mōtum, Lōtum (supino di lavo lavas lavi), Nōtum (di nosco noscis novi), Vīsum, &c., con tutti i loro Derivati, come Mōtu-

rus, Mōtio, Lōturus, Lōtio, Nōtio, Vīsio, Vīsurus, &c. 2. Vari nondimeno se ne eccettuano da questa regola generale, e sono

Dătum supino di Do, Ĭtum di Eo, Quĭtum di Queo, Sătum di Sero, Sĭ-tum di Sino, Rătum di Reor (pensare, giudicare, stimare), Rŭtum an-tico supino di Ruo, che in oggi ha Rŭĭtum, coi suoi Composti Dīrŭ-

tum, Ērŭtum, Ōbrŭtum, Lĭtum di Lino; i quali tutti hanno breve la prima, anche nei loro composti, come Circundătus, Redĭtus, Inĭtus, Transĭtus, Consĭtus, Desĭtus, Irrĭtus, Oblĭtus (poiché oblītus con la penultima lunga è di obliviscor), Interlĭtus, &c. Stătum di Sto ha pur la prima breve, ma l’ha lunga in un suo Derivato, cioè Stāturus.

3. Sopra il Supino Citum però fa duopo osservare, che quando sia di Cieo cies civi (invitare, muovere), allora ha breve la prima: quando poi sia di Cio cis civi (chiamare, eccitare) l’ha lunga. Quindi i suoi Composti Concı̊tus, Excı̊tus, benché in prosa abbiano breve la penul-tima, in Verso nondimeno l’hanno comune.

4. Circa ai Supini Polisillabi poi si abbia per regola generale, che quei i quali terminano in utum hanno lunga la penultima sillaba, come So-

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lūtum di Solvo, Argūtum di Arguo, Indūtum di Induo, e simili. Co-sìppur lunga l’hanno quei Supini che terminano in itum, purché deri-vino da un Preterito in ivi. Quindi tali sono Quæsītum di Quæro ris quæsivi, Cupītum di Cupivi, Petītum di Petivi, Audītum di Audivi, Condītum di Condio dis divi (condire, far saporito): perciocché con-

dĭtum con la penultima breve qui non può entrare, per essere Supino di Condo dis didi (nascondere, fabbricare). Che se poi non proven-gono da un Preterito in ivi, ma da qualche altro, sono brevi. Così il testé citato Condĭtum di Condidi, Agnĭtum di Agnovi, Cognĭtum di cognovi, tacĭtum di tacui, monĭtum di monui, credĭtum di credidi, e simili.

5. Bisogna eccettuare Recensītum di Recenseo ses recensui (Rivedere, raccontare, riconoscere, fare una rassegna), che ha la penultima lun-ga, come osserva lo Scioppio adducendo l’autorità di Claudiano Po-eta, e Gramatico dell’età di ferro. Il Lancellotto sostiene lo stesso; ma dice in oltre che Recensītum in tanto sia di quantità lunga, perché è composto di Re, e Censio censis censivi censītum (che oggi non si usa), e non da Censeo ses sui.

Capo XIX. Delle Medie Sillabe.

1. Fu detto nel Capitolo IX. che le Sillabe nelle Voci Latine, altre si chiamano Prime, delle cui Regole abbiam sinora favellato, altre Me-

die, ed altre Ultime. Or tralasciando queste per altro tempo, favelle-remo al presente delle Medie; delle quali, oltre a ciò che si è detto incidenter nelle Regole precedenti, parlerassi ancora sinché si tratte-rà degl’Incrementi dei Nomi, e dei Verbi.

2. Quattro Regole adunque, come altrove notossi, competono alle Me-

die Sillabe, cioè il Concorso di due Vocali, il Dittongo, la Posizione, e l’Esempio dei buoni Poeti; come in Delĭus, in Tragœdia, in Satūr-

nus si possono osservare, e nelle due medie lunghe di Matūtīnus, co-sì pigliate da tutti i Poeti. Eccone un esempio di Lucano

Mātūtīnă rŭbēnt rădĭātī lūmĭnă Sōlīs96. 3. Oltre le predette Regole però (su di cui non accade fermarsi), è da

notarsi, che può ancor conoscersi la quantità delle Medie dall’accen-

to della penultima Sillaba della Voce; parlando nel caso che sin dai primi principj (come è duopo farsi) si fosse stato attento alla retta e naturale pronunzia delle Voci Latine. Qualora adunque l’accento si fermi sulla penultima Sillaba, questa divien lunga; come può osser-

96 LUCREZIO, La Natura, V, v, 462: “Non appena la luce dorata del Sole raggiante rosseggia”

(Il verso è di Lucrezio, l’attribuzione a Lucano è sicuramente un lapsus).

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varsi in Natúra, Fortúna, Urbánus, Asculánus, &c. Che se l’accento non ci si fermi, allora è breve; come in Fabŭla, Hercŭles, Rustĭcus, &c.

4. Quando poi la parola fosse di quattro, o più Sillabe, allora per cono-scer facilmente se di che tempo sieno le Medie, bisogna recider la parola, e ridurla al suo Primitivo, o sia al suo principio. Ver. gr. Per saper di che quantità sia la prima media di Amaveram, Amavisse, Al-

binovanus, sciogliendo il Derivato, troverassi che i loro Primitivi so-no il preterito Amāvi, e il Nome Albīnus, che hanno la penultima lunga; onde lunga ancor sarà la prima media (ch’è la Sillaba stessa) in Amāveram, Amāvisse, e Albīnovanus. Così viceversa, avranno breve la prima media Obtŭlerim, Obtŭlisse, Hercŭlanus, Ascŭlanus, perché tali sillabe sono brevi nei loro Primitivi Obtŭli, Hercŭles, A-

scŭlum. 5. Bisogna nondimeno avvertire, che, in moltissime di queste Voci po-

lisillabe derivate, e particolarmente da nomi propri come Hercula-

nus, e simili, i Poeti usano le medie sillabe indifferentemente or bre-vi, ed or lunghe.

6. In oltre si osservi, che i nomi Aggettivi, che hanno la desinenza in inus, vengono regolati nelle penultime sillabe secondo l’origine che hanno. Perciocché quei che derivano da Sostantivi di cose animate, hanno lunghe le penultime, come Mustelīnus derivato da Mustéla (Donnola, animale noto), Murīnus da Mus muris, Anserīnus da An-

ser, Caballīnus da Caballus (Cavallo); e tal regola si riducono Festī-nus, Clandestīnus, Mediastīnus (Servidore il più vile della Casa). Quei poi che vengono da Sostantivi di cose inanimate, hanno sempre brevi le penultime, come Christallĭnus derivato da Christallus, A-

damantĭnus, da Ádamas mantis, Coccĭnus da Coccum o Coccus, Fa-

gĭnus da Fagus, Cedrĭnus da Cedrus, Cupressĭnus da Cupressus, Amygdalĭnus da Amýgdalus (mándorlo), Bissĭnus da Bissus o Byssus (Bisso, spezie di finissimo lino), Oleagĭnus da Olea o Olíva, Janthĭ-nus (color violato) da ia Greco, cioè Viola ed anthi cioè fiore, (tal-ché Janthĭnus è lo stesso che violaceus o ex colore violæ).

7. Della stessa quantità breve sono gli Aggettivi di tempo come Cra-

stĭnus da Cras, Serotĭnus da sero, Perendĭnus da Perendie (fuorché questi due Matutīnus, e Vespertīnus, che hanno lunga la penultima).

Capo XX. Dell’Incremento o Aumento dei Nomi.

1. L’Incremento o sia Aumento dei Nomi, è quando i casi Obliqui del Nome avanzano col numero delle Sillabe il Caso Retto. Ver. Gr. Pa-

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cis Genitivo avanza in sillabe il suo Nominativo Pax, Sermonis a-vanza Sermo; e simili. Nel primo esempio l’Aumento è nella prima Sillaba Pa di Pacis (onde sarebbe Incremento spettante alle Prime Sillabe), nel secondo esempio è l’Aumento nella penultima mo di Sermonis; ed è Incremento appartenente alle Medie Sillabe. Sicché se il Genitivo non ha più sillabe del Nominativo, allora esso non ha Incremento veruno. Tali sono i Genitivi Singolari della prima Decli-nazione, come Poétrĭa Poetrĭæ, Præfecta Præfectæ (i Genitivi plura-li però l’hanno, come Musæ Musarum); e vari altri Genitivi, come Patronus Patroni, Templum Templi, &c.

2. Or fa duopo tener per precetto generale, che il Genitivo Singolare che ha incremento, regola sempre tutti gli altri Casi sì del numero singolare, che plurale; onde di quella quantità che sarà il suo Au-mento, di quella stessa quantità sarà in tutti i casi rimanenti da lui regolati. Diasi l’Esempio di Sermo Sermōnis, in cui il Genitivo ha l’incremento mō lungo, e tale lo ritiene negli altri casi, come Sermō-

ni, Sermōnem, Sermōne, Sermōnum, Sermōnibus. 3. Da questo precetto generale bisogna eccettuar il plurale Bōbus che

ha lunga la ō, benché nel Genitivo singolare Bŏvis sia breve. Lo Scioppio poi rende la ragione perché bō di bōbus sia lunga, e dice perché è una voce contratta per sincope da Bovibus; da cui prima fu fatto Bou̅bus, indi Būbus e Bōbus.

4. Il Lancellotto rende la stessa ragione soggiungendo che il medesimo accade in Būcula, voce contratta da Bovicula. Quindi egli pone per regola stabile, e generale, che ognivolta che due Sillabe per sincope si contraggono, o si congiungono in una, questa Sillaba contratta è lunga; come Cōgo contratta da Coago o Conago; Cōperuisse da Co-

operuisse; Nīl da Nihil; Tibīcen da Tibiicen; īt da iit; Mī da Mĭhĭ; Vēmens da Vehemens, e simili.

Capo XXI.

Degl’Incrementi della prima, e seconda Declinazione, nel numero Singolare.

1. La prima Declinazione non ha veruno incremento nel numero Singo-lare, come si disse; fuorché presso i Poeti ha quel lungo in āi per Diéresi, come Aulāi, Pictāi invece di Aulæ, &c.

2. La seconda Declinazione bensì ne ha di varie desinenze. Onde ab-biasi per regola stabile, che tutti quei Nomi, che nel Nominativo fi-niscono in er, in ir, ed in ur, hanno l’Incremento breve, come Gener Genĕri, PuerPuĕri, Prosper Prospĕri, Vir Vĭri, Satur Satŭri.

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3. Si eccettua Ĭber che ha l’incremento lungo Ĭbēri (Spagnuolo, ed an-che Asiano); e cosìppure Celtĭber Celtibēri (Aragonese, o Gallizia-no) suo Composto.

Capo XXII.

Degl’Incrementi della terza Declinazione, e particolarmente dei Nomi singolari

in al, el, ol, ed in ul. 1. L’Aumento dei nomi maschili in al è breve, come hic Sal sălis, An-

níbal Annibălis, Asdrúbal Asdrubălis. Dei neutri però è lungo, come hoc Vectígal vectigālis, Animal animālis.

2. Dei nomi poi in il, ed in ul è ancor breve l’incremento, come Vigil vigĭlis, Pugil pugĭlis, Consul Consŭlis, Exul exŭlis.

3. È lungo bensì nei nomi in el, ed in ol, come Michael Michaēlis, Sol Sōlis.

Capo XXIII.

Degli Aumenti dei Nomi singolari in n, ed in o.

1. L’Incremento in ānis è lungo, come hic Pæan Pæānis (Canto presso i Gentili in onor di qualche loro Dio ridicolo), hic Titan Titánis (So-le, oppur Titane, f(rate)llo di Saturno). Cosìppure è lungo quelli in enis, come hic Lien liēnis, Splen Splēnis (ambedue significano Mil-za), hæc Siren Sirēnis (Sirena), Ren rēnis. Così ancor lungo è quello in onis come Cicero Cicerōnis, Sermo Sermōnis, hæc Sion Siōnis, hic Mando Mandōnis (Mangione, Mangiatore).

2. Su di questo incremento in onis bisogna avvertire, che i Nomi Gre-colatini, qualora abbiano l’aumento coll’Omicron ο nella loro natia lingua, è breve, come Memnon Memnŏnis, Philæmon mŏnis, Palæ-

mon mŏnis, Sindon dŏnis, Agamennon mennŏnis, Amázon zŏnis, Ja-

son sŏnis (che può dirsi anche Jaso sŏnis, omettendo la N, come spesso fanno i Latini, come Agamenno nŏnis, &c.), Macedo dŏnis, Saxo xŏnis, Brito tŏnis, Vasco scŏnis, Senon nŏnis, Teuton tŏnis, &c. Qualora poi essi abbiano l’aumento coll’Omega ω, questo è lungo, come Simon mōnis, Spadon dōnis, Agon gōnis, Sidon dōnis, Solon lōnis, Lacon cōnis, Sicyon cyōnis (Città, Patria del celebre Arato in Grecia), hic Helicon cōnis (Monte Elicona, celebre presso i Poeti, consacrato ad Apollo, e alle Muse). Due nomi variano nell’In-cremento, cioè Orion Orio̊nis (Orione, uno degli Dei presso i Genti-li, ed ora uno dei Segni celesti, nel cui nascere si eccitano varie tem-

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peste), potendosi far breve, e lungo, benché perlopiù si usi breve: ed Ægon Ægo̊nis (Nome di un Pastor di capre presso Virgilio).

3. L’aumento in inis è breve, come Carmen mĭnis, Ordo dĭnis, &c. Si eccettua quello che ha il Nominativo in in, come questi Nomi Greci Sálamin Salamīnis, Delphin phīnis (nome di un Pastore), Phorcin Phorcīnis (nome di un Uomo), ov’è lungo.

Capo XXIV.

Degli Incrementi in aris, ed in eris. 1. È breve l’Incremento in aris quando il Nome è maschile, come A-

milcar milcăris, Cæsar săris, Par păris, Impar păris, Dispar spăris, Compar păris, Lar lăris (focolare, o Luogo dove si fa il fuoco, anche Casa, e presso i Gentili significava i Dei Domestici Lăres rium). Che se il Nome è di genere Neutro, allora l’aumento è lungo, come hoc Calcar calcāris (Sprone, Aculeo, Torchio), Laquear queāris, Exem-

plar plāris, Pulvinar nāris (Guanciale). 2. Si eccettuano i Maschili Nar nāris (Nera, fiume), e Cāres cārium

(Popoli della Carnia in Asia), che hanno lungo l’aumento. Si eccet-tuano ancora i seguenti Neutri, Nectar ctăris, Jubar jubăris, Bachar chăris (sorta di erba) che hanno l’aumento breve.

3. I Nomi che hanno il Nominativo in er, fanno breve l’aumento in e-

ris, come Dēgĕnĕr genĕris, Cārcer cĕris, Mulier liĕris, Aer aĕris, æther thĕris, ecc. Ma bisogna eccettuare Iber ibēris (Abitator d’Iberia, che può essere anche della 2. declinazione), Crater tēris (Tazza), Ver vēris (Primavera), Ser sēris Nome di Popoli che lavo-ravano la seta; Recimer cimēris (nome proprio), Spinter tēris (sorta di abbigliamento che ab antico usavano le donne nel braccio sini-stro), ed altri Nomi Greci, che hanno lungo l’aumento.

Capo XXV

Dell’Incremento dei Nomi in or, ed in ur. 1. I Nomi in or qualora sieno Mascolini, hanno lungo l’aumento in ō-

ris, come Candor dōris, Timor mōris, Lepor pōris (piacevolezza, gentilezza). Si eccettua Memor mŏris, che lo ha breve; dicendosi an-ticamente Memŏris, et hoc memŏre.

2. Se poi son Neutri, lo hanno breve, come hoc Marmor mŏris, hoc Æquor æquŏris, hoc Ador adŏris (Grano puro). Ve ne ha di alcuni femminili, che pur l’hanno breve, come hæc Arbor arbŏris.

3. Anche i Nomi Greci in or hanno breve l’incremento, come hic Ca-

stor stŏris, Hector ctŏris, Nestor stŏris, Rhetor tŏris, &c.

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4. Tutti i Nomi in ur fanno breve l’aumento in oris, o in uris, comun-que lo abbiano; come hic Furfur furfŭris (Semola, Crusca), hic Ligur Ligŭris (Ligure, Genovese), hoc Murmur mŭris, hæc Turtur tŭris, hic Vultur tŭris; hoc Femur femŏris (Parte fuori della Coscia), hoc Robur robŏris; hoc Jecur jecŏris, fegato.

5. Qui riferir bisogna i Nomi Greci in yr, come Martyr Marty̆ris, detto anche dai Latini Martur Martŭris; e simili. Quei nostri antichi Latini più giudiziosi, che non vollero in conto veruno soggettarsi ai Greci, né ammetter nella Lingua Latina veruna Lettera straniera, usavano l’u vocale invece dell’ypsilon. Tanto vero che Ennio antichissimo Poeta Latino (non ostanteché bravo in lingua Greca, di cui ne fu Ma-estro a Catone) nei suoi Annali, nominando Pirro Guerrier Greco, invece di Pyrrhus, sempre scrive Purrhus. Gli antichi libri Latini, come nota Cicerone in Orat. son pieni di tali esempi. E spesso suole l’ypsilon Greco tradursi anche in oggi in u Latina.

Capo XXVI Dell’Incremento dei Nomi singolari

in as, in es, in is, in os, ed in us. 1. I Nomi singolari in AS hanno in più maniere l’Aumento. Quei che lo

hanno in adis lo fanno breve, come hic Arcas Arcădis (Arcade, uno di Arcádia), hic Vas vădis (Colui che è mallevadore, o fa la sicurtà) hæc Pallas Pallădis (Pállade o Minerva, creduta dai Gentili per Dea della Sapienza), hæc Lampas Lampădis, &c.

2. Hoc Vas ha lungo Vāsis. Hic Mas măris, Maschio, lo ha breve. 3. L’Aumento in atis è lungo quando viene da as, come Pietas tātis;

Infernas nātis, Supernas nātis, che usò Plinio: si eccettua Anas ană-

tis, che è breve. Tal è ancora quando viene da a, o da ar, come E-

nigma mătis, Dogma mătis, Baptisma mătis, Hepar hepătis (fegato, ed anche spezie di Pesce) o hepătos, essendo voce Grecolatina (men-tre la pura latina è Jecur).

4. I Nomi in ES hanno anch’essi in varie guise l’Incremento. Regola generale però è che tutti i Nomi predetti lo hanno breve, in qualun-que modo abbia la desinenza. Così sono Pes pĕdis, Interpres prĕtis, Ceres cerĕris, Miles milĭtis, Præses Præsĭdis, e gli altri derivati da sedeo; così l’aggettivo Teres terĕtis (cosa lunga e rotonda, v. gr. la Gamba; e significa ancor Pulito).

5. Si eccettuano Hæres hærēdis, Lŏcŭples plētis, Merces cēdis, Quies quiētis, e simili. Comeppure quei Nomi Greci, che hanno etis, come Dares Darētis (Darete, Atleta, Lottatore), Lebes lebētis (Pajuolo,

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Caldaja), Magnes magnētis (Calamíta), Tapes tapētis (Tapéto), ed altri.

6. L’aumento poi dei Nomi in IS ordinariamente è breve, come Charis Charĭtis (usato per lo più in plurale Chărĭtes charĭtum, le Grazie), Pulvis vĕris, Sanguis guĭnis, Chlămys clămy̆dis (Clámide, Manto), &c. Egli è lungo nondimeno in questi altri, come hic Dis dītis (Plu-tone), Glis Glīris (Ghiro, Animale simile al Sorcio, benché più gros-so di corpo, si nutre negli alberi, e dorme una buona parte dell’an-no), Lis lītis, Quiris Quirītis (si usa perlopiù in plurale Quirītes Qui-

rītum, Romani), Samnis Samnītis (si usa di ordinario in plurale Sam-

nītes Samnītum, Abbruzzesi), Sălămis salamītis (Salamína, Isola), Neris rīdis (Neride, Terra nella Morea; ed anche una spezie di Nar-do).

7. L’Aumento dei Nomi in Os è lungo; come Os ōris, Dos dōtis, &c. Così i Greci in os come Rinoceros rōtis, Tros trōis (Troe nome pro-prio, ed anche Trojano) Heros rōis, Minos minōis (Minoe, Nome proprio), scritti in Greco per ω ómega. Si eccettuano i seguenti che lo han breve, cioè Bos bŏvis, Impos impŏtis, Compos pŏtis (Potente).

8. Finalmente i Nomi terminati in Us, generalmente parlando, hanno breve il loro Incremento, come hic Tripus trĭpŏdis (Trepiede), hoc Munus nĕris, hoc Dĕcus dĕcŏris (giacché decōris sarebbe dativo plu-rale dell’aggettivo dĕcōrus, bello, adorno), hic Lĕpus lepŏris (la Le-pre). Si eccettuano nondimeno quei Nomi che hanno il Genitivo in udis, uris, e utis, come Pălus Pălūdis, Incus incūdis, Jus jūris, Tellus lūris, Sālus lūtis, &c. Hæc Pĕcus pĕcŭdis (Bestiame, armento) biso-gna eccettuarlo, comeppure Intercus intercŭtis (Idropisia; ma pro-priamente è Aggettivo di gen. com., onde aqua intercus, cioè inter cutem, vuol dir Idropisia).

9. I Comparativi in jus hanno l’Aumento lungo, come Mĕlius liōris, Majus jōris; i quali Aumenti possono anche venir dal Maschile Mĕ-

lior, Mājor, Pejor, &c.

Capo XXVIII Dell’Aumento dei Nomi singolari

che terminano in S unita ad un’altra consonante, in T, ed in X

1. L’Aumento dei Nomi, che finiscono in S unita ad un’altra Conso-nante, è vario, attesoché in alcuni è breve, come in Auceps aucŭpis, Cælebs cælĕbis, Chălybs ly̆bis (Acciajo), Dŏlops dolŏpis (si usa per-lopiù in plur. Dolŏpes pum, Dolopi, Popolo della Tessaglia), Hy̆ems hyĕmis, Ĭnops inŏpis, &c. In alcuni altri poi è lungo, come in hic

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Cyclops cyclōpis (Ciclope, nome di alcuni Giganti favoleggiati da Poeti, che avessero un sol occhio in mezzo della fronte, e che fosse-ro figli di Nettuno, e di Anfitrite, e ferrari di Volcano, e che abitasse-ro in Sicilia vicino al Monte Etna), Cercops cercōpis (meglio in plu-rale Cercōpes pum, Cercopi, Popoli dell’Isola di Pitecusa, mutati in Scimie per la loro malizia, come favoleggia Ovidio nelle sue Meta-morfosi), Gryps Grȳphis (Grifone, o Grifo, Animale favoleggiato da Poeti, simile al Leone, ma col capo, e colle Ali di Aquila, e fiero Nemico del Cavallo), Hydrops hydrōpis, Plebs plēbis, &c.

2. Circa i Nomi terminati in T, basti osservare Căput, che insieme coi suoi Composti ha breve l’Incremento in ogni numero, come Caput capĭtis, capĭtum capĭtĭbus; così Sincĭput Sincĭpĭtis, Sincĭpĭtĭbus (Par-te dinnanzi al Capo), Occĭput occipĭtis (Occipizio, parte dietro al Capo), Anceps ancipĭtis (Dubbioso), Bĭceps bicipĭtis (chi ha due ca-pi).

3. Quanto ai Nomi singolari in X, l’Aumento è vario. Perciocché di quei che hanno il Genitivo in gis, alcuni hanno l’Aumento breve, come Állobrox brŏgis (Savojardo, Piemontese), Conjux jŭgis, Phryx phry̆gis (Uno della Frigia), Rēmex remĭgis (Galeotto, Vogatore): al-cuni altri poi lo hanno lungo, come Frux frūgis (frutto di ogni sorta, ma ora si usa solo in plur. frūges), Rex Rēgis, Lex Lēgis: benché i composti di Lex variano, avendolo lungo Exlex exlēgis (senza legge), e avendolo breve Ăquĭlex aquilĕgis, Colui che raccoglie le acque, o conosce dove esse sieno; e Lĕlex lelĕgis (nome di un antico Popolo di Asia, oriundo Greco).

4. Di quei che hanno il Genitivo in acis, alcuni fanno lungo l’Aumento, essendo tale di sua natura, come Pax pācis, Fĕrāx rācis (fertile, frut-tuoso), Fornax nācis; altri lo fanno breve per eccettuazione, come Abax abăcis (Tavola da mangiare, o per altro uso), Clīmax măcis (Scala, Gradino), Fax făcis, Sĭmĭlax lăcis (Amido), Storax o Styrax răcis (Storace); così Arctŏphy̆lax arctophylăcis (Boote, un dei segni Celesti, che sta alla coda di quel Segno, chiamato Orsa, e dai Greci Arctos); e così alcuni altri nomi Greci.

5. Quei col Genitivo in ecis hanno l’Incremento breve, come Nex nĕ-

cis, Prex prĕcis, &c. Si eccettuano Fæx fǣcis, Hālex lēcis (anche Hāles), Vervex vēcis (Castrato, Castrone).

6. Quei poi col Genitivo in icis hanno l’Aumento lungo, come Fēlix fē-

līcis, Rādix dīcis, Vībex vībīcis (segno lasciato dalle battiture), Vic-

trix trīcis, &c. Si eccettuano Frŭtex frutĭcis (Arboscello, Arbusto), Ĕryx ery̆cis (Erice, Monte di Sicilia), Călix lĭcis, Formix mĭcis (Vol-ta, Arco), Fĭlix lĭcis (felce), Larix rĭcis (Larice, albero simile al Pino,

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da cui si cava la pece), Pix pĭcis, Sălix lĭcis (Sálice, Salcio, Salce, Salicastro, albero noto), Varix rĭcis (enfiagione di Vene, particolar-mente nelle gambe; onde Varicosus vuol dir chi ha le Vene gonfie), Vix vĭcis in plurale Vĭces (Vece, luogo). Nix Nĭvis ha anche breve il suo Aumento. Cosìppur Cĭlix lĭcis (Popolo di Cilicia o Caramania nell’Asia), Histrix strĭcis (Istrice, Porco spinoso).

7. L’Álvaro credendo a Nónio Gramatico antico che in favore della quantità breve dell’aumento di Natrix (Natrice, Serpente) citò Luci-

lio sat. 2., credette anch’egli di riporre Natrix Natrĭcis tra gli Au-menti brevi. Il Verso del sudd(ett)o Lucilio antico Poeta, e primo Scrittor Satirico, è questo.

Sī nătĭbūs Nătrĭcēm īmprēssīt crāssam ēt căpĭtātăm.97 Lo Scioppio però sostenendo che assolutamente senza dubbio veru-

no l’Aumento di Natrix è, ed esser debbe lungo, riprende l’Álvaro, come troppo credulo a Nonio; e coll’autorità di Giano Douza legge il verso di Lucilio così,

Nătrĭcēm īmprēssīt mănĭbūs crāssam ēt căpĭtātăm.98 Cosìppur coll’aumento lungo la usò Lucrezio.

8. Quei in oltre che hanno l’Aumento in ocis lo fanno lungo, come Fĕ-

rox ferōcis, Vēlox lōcis, Vox vōcis, Cĕlox lōcis (Vascello corto, e ve-loce), e simili. Si eccettuano Cappădox padŏcis, Præcox cŏcis (ag-gett., Ciocché è innanzi tempo).

9. Finalmente quei nomi singolari in X, che hanno il Genitivo in ucis lo fanno breve, come Dux dŭcis, Rĕdux redŭcis (Chi è di ritorno), Nux nŭcis, Trādux dŭcis (Propriamente quel ramo di vite, che passa ad un altro albero; traslativamente può significare anche la fama. Il suo plurale Tradūces si vuol lungo da Paolo Manuzio. Si dice anche Rumpus pi); Trux trŭcis aggettivo (crudele). Si eccettuano Lux lūcis, Pollux pollūcis (Pollúce, fratello minore di Cástore, da cui fu amato teneramente, come favoleggiano i Poeti. Onde si annoverano fra i più stretti Amici, che vidde l’antichità Pagana; e furono Cástore, e Pólluce finti figli di Giove; Teséo e Piritóo; Damóne e Pítia; Achille e Pátroclo; Niso ed Euríalo; Pílade ed Oréste, dei quali conta Ovi-dio, che l’uno si mostrava pronto a morire per l’altro).

97 Frammento di Lucilio riferito da Nonio (Cfr. Scriptorum Romanorum quæ extant omnia, C.

Lucilius, Venezia 1965) “Se infilò tra le gambe un serpente grosso e con una grande testa”. 98 “Infilò tra le mani un serpente grosso e con una grande testa”.

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Capo XXIX Dell’Incremento dei Nomi plurali.

1. L’Aumento plurale è quell’avanzamento, che sopra il Nominativo plurale fanno gli altri casi nel numero delle Sillabe: onde dove il Genitivo, e il Dativo plurale avanzano il Nominativo (il quale di-pende sempre dal Genitivo singolare), lì è l’Incremento. V.G. Musa-

rum avanza Musæ, onde sarum è l’Aumento: così Amborum, ambo-

bus rispetto ad ambo, e simili. 2. Or su di questi Aumenti plurali bisogna notare che quei in A, E, O

sono lunghi; come Musæ Musārum, Hæ hārum, Quæ Quārum, Am-

bæ ambārum ambābus; Res rērum rēbus; Medĭci Medicōrum, Hi Hōrum, Qui quōrum, &c. Quei poi in I ed U sono brevi, come Ser-

mones Sermonĭbus, Vītes Vitĭbus, tres trĭbus, Qui quĭbus; Lacus la-

cŭbus, Vĕrua Verŭbus, Portus portŭum portŭbus, &c. 3. Avvertasi in oltre che alle volte si ritrovano degli Aumenti singolari

anche al Plurale come Sermōnĭbus, la seconda sillaba è Aumento singolare, ed è lunga, perché si regola sopra il Genitivo Sermōnis: la penultima però è Aumento plurale, perché ella passa il suddetto Ge-nitivo singolare (da cui dipende il Nominativo plurale) nelle sillabe; ed è breve, secondo la regola assegnata di sopra.

Capo XXX.

Dell’Incremento dei Verbi. 1. Essendosi abbastanza parlato degli Aumenti dei Nomi, ora è duopo

rintracciar l’essenza, e la qualità dell’Incremento dei Verbi. Sappiasi pertanto che l’Aumento dei Verbi si regola sempre dalla seconda Persona singolare dell’Indicativo o sia del primo Presente: di modo che i Tempi che non l’avanzano punto in sillabe, non hanno Aumen-to alcuno; come Amas amat amant; Audis audit, &c. Quei Tempi poi che l’avanzano di una Sillaba, come Amamus, Auditis (dove la se-conda Sillaba è l’Aumento), avranno un Incremento solo. Quei che l’avanzano di due Sillabe, hanno due Incrementi; come Amabamus, Docebamus. Quei che l’avanzano di tre, ne hanno tre; come Amave-

rimus, amaveritis. Quei che l’avanzano di quattro, ne hanno quattro; come Audiebamini.

2. Cosìppur si regola l’Aumento del Passivo sopra la seconda Persona singolare dell’Attivo. V. G. in Amaris la seconda, e la terza Sillaba sono Aumenti, misurandole sopra Amas.

3. Rispetto ai Verbi che chiamano Comuni, e Deponenti, bisogna fin-gere la seconda Persona singolare dell’Attivo, e regolarli come gli

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altri. V. G. Depópulor Comune avrà nella sua seconda, e terza per-sona Depopularis, e Depopulatur un Aumento nella sua penultima Sillaba, misurandole sopra il finto Depopulas: cosìppur avrà Utor uteris Deponente; e simili.

4. Si avverta bene pertanto che l’ultima Sillaba non può esser mai In-cremento, ma bensì la penultima (e le altre antecedenti ancor quando sieno in una voce più Aumenti). La prima Sillaba bensì può esser talora Aumento, quando accada che la seconda Persona dell’Indi-cativo, che è la norma incrementiva, come si disse, sia monosillaba: come Das, Fles, &c. Onde Datis, dabam, dare; Flemus fletis, flebam flere, e tutti gli altri loro disillabi hanno un solo Aumento.

Capo XXXI.

Dell’Aumento in A, ed in E dei Verbi. 1. Negli Aumenti dei Verbi, A sempre è lunga, come Exprobrāre (Rin-

facciare), Stābam, Properāmus, Audiebāmini, &c. Nel Verbo Do das bisogna avvertire che il primo Aumento Da l’ha sempre breve, come Dămus, dăbunt, dări, dătum: e tal lo ritiene anche nei suoi Compo-sti, come Circumdămus, circumdătum, circumdăre; Venundăre, ve-

nundăbo (vendere, o dare a vendere). Ma negli altri Aumenti ha lun-ga l’A, come dabāmus, dabātur, dabāmini.

2. Rĕdundo das, Ăbundo das, Exundo das, Ĭnundo das (significando i primi due abbondare, il terzo traboccare, l’ultimo inondare, diluvia-

re) hanno lungo anche il Da, non essendo composto di Do das, ma di Undo das (Ondeggiare): Onde diciamo Redundāmus, Abundābo, Exundāre, Inundātis, col da lungo.

3. La E ancora è lunga, generalmente parlando, in ogni sorta di Coniu-gazione, come Amēmus, amavēris; Docēbam, docērer; Legērunt vel legēre, legēris, legētur; Audivērunt, audiēris, &c. Bisogna nondime-no eccettuare tutti quei Tempi che finiscono in Bĕris o Bĕre, in ĕ-

ram, in ĕrim, e in ĕro, avendo allora l’E breve in tutte le Persone; come Amabĕris vel amabĕre, Docuĕram docuĕramus, Potĕro potuĕ-

ro, fecĕro, fecĕrimus, Legĕrim, legĕritis, &c. In oltre fa duopo eccet-tuare nella terza Coniugazione il primo Incremento di ogni Presente, e di ogni Imperfetto, ove si ritruova un R dopo l’E, come Legĕris vel Legĕre di Legor Presente; così Legĕre dell’Imperativo Passivo, e dell’Infinito Attivo: comanche Legĕrem e Legĕrer Iperfetto Attivo, e Passivo. Ogni altro Tempo, eziandio abbia la R dopo l’E, ha l’Au-mento lungo, come Legērunt Preterito, Legēris Futuro Passivo; e si-mili: così lungo è l’altro in Rēris o Rēre, come Legerēris ec. Imper-fetto secondo Passivo.

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4. Avvertasi che la terza Persona Plurale in erunt era anticamente bre-ve, o almeno comune nel Preterito dei Verbi; onde poteva dirsi breve legĕrunt, come oggi diciamo Legĕram, legĕrim, legĕro; essendo fondata questa analogia e similitudine di quantità sopra la E seguita da una R. Quindi troviamo in Virgilio Bucol. Ecl. 4.99 Tulĕrunt; Georg. 2.100 Miscuĕrunt; Eneid. 2.101 Stetĕrunt; e in Tibullo l. 2.102 Profuĕrunt. Quantunque sia meglio il non servirsi di queste Sistoli, particolarmente nei curti Poemi; e così far lunghe le suddette Silla-be; tantopiù che l’orecchia, ch’è Giudice della Poesia, si è presente-mente a tal suono lungo accostumata,

Capo XXXII.

Dell’Incremento dei Verbi in I, in O, ed in U. 1. Generalmente parlando l’Aumento in I è breve, come Inquĭmus,

Amabĭtis, Audiebamĭni, ec. Si eccettua nondimeno il primo Aumen-to della quarta Coniugazione (ch’è il più considerabile per li Versi), come Audīre, Molītur, Scīrent, Servītum, Ībo, Adībo, ec. Sono anco-ra lunghi Sīmus, Velīmus, Nolīmus, Nolīto, malīmus colle altre loro Persone Sītis, &c.

2. Sono ancor eccettuati tutti i Preteriti terminanti in ivi, come Audivi, Petīvi, Quæsīvi, ec. Benché i suddetti Preteriti abbiano breve l’imus, come Quæsivĭmus, Audivĭmus, Venĭmus (giacché Venīmus è del Pre-sente; che pur si trova fatta breve da Terenzio Phorm. act 1, sc. 2.103).

3. Circa quei Tempi del Congiuntivo, che in plurale finiscono in Ri-

mus, e in Ritis, come Amaverimus, Amaveritis, che sono sì del Per-

fetto, che del Futuro, è da notarsi esservi stata una gran lite circa la lor quantità tra gli antichi Gramatici, e quel ch’è più curioso, anche dura senza decisione. Vogliono essi, che qualora quelle voci sieno del Futuro, abbiano la penultima lunga. V. G. Amaverītis, Transierī-tis, &c. Così vuole Dioméde; e ne adduce un esempio di Ovidio.

99 v. 61: “Matri longa decem tulerunt fastidia menses” (Dieci mesi recarono lunghi dolori al-

la madre). 100 v. 129: “Miscueruntque herbas et non innoxia verba” (E mescolarono erbe e parole non

innocue); e il verso si ripete identico al libro III, v. 283]. 101 v. 774: “Obstipui steteruntque comæ et vox faucibus hæsit” (Raggelai e i capelli si drizza-

rono e la voce si incollò alle fauci). Cfr. anche X, v, 334. 102 Egloga 3, v. 12: “Nec cithara intonsæ profueruntve comæ” (E i lunghi capelli non giova-

rono per il canto). 103 v. 103 “«Eamu’: duc nos sodes». Imus venimus” (“«andiamo: accompagnaci per favore».

Ci moviamo, arriviamo là”.

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Ēt Mărĭs Īsŏnĭī trāsĭĕrītĭs ăquās104. Qualora poi sieno del Preterito, abbiano la penultima breve. Così la discorre il testé riferito Dioméde, citandone un esempio di Virgilio lib. 6 Æneid. Nāmque ūt sūprēmām fālsa īntēr gau̅dĭă nōctēm

Ēgĕrĭmūs, nōsti, &c105. Altri poi parlano diversamente, e pretendono che o sia Futuro, o Preterito, sempre quelle voci debbano aver la penultima lunga. In tal guisa la sostiene Probo, e quando al Preterito si unisce con lui Ser-

vio; né ambedue hanno rossore di asserire che Virgilio nel citato pas-so usasse il Preterito breve, costretto da pura necessità: quasiché un Poeta il più eccellente, e il più dotto in lingua Latina non avesse po-tuto ritrovar un’altra voce per far il Piede, che fosse stato necessitato a servirisi di una falsa quantità. Tra queste disparità adunque vi ha più indizio di vero nel dire, che quelle Sillabe nel Verso erano, e so-no di quantità comune; tuttoché in Prosa sia più conforme al-l’orecchio il pronunziarle con quantità breve.

4. L’Amento in O, che non trovasi se non nell’Imperativo, è sempre lungo, come Amatōte, Itōte, Mementōte, &c.

5. Finalmente l’Aumento in U è breve, come Sŭmus, Volŭmus, Possŭ-

mus, Adsŭmus, &c. Si eccettua il Participio in Rus, ed il Futuro in Rum dell’Infinito, essendo lunghi, come Amatūrus, Amatūrum, Pro-

fectūrus, Profectūrum, &c. E ciò basti quanto agli Incrementi, e alle Medie Sillabe.

Capo XXXIII. Delle ultime Sillabe.

1. Le Sillabe che nelle Voci Latine tengono l’ultimo luogo, in parte si conoscono per via del Dittongo (come altrove si disse) Ver. gr. Mu-

sæ; in parte col mezzo della Posizione, come Parēns, Pāx; e in parte per via degli esempi dei buoni Poeti, e per via di Regole particolari (che ora assegneremo. Una sola Regola Generale può assegnarsi, ed è intorno alle ultime Sillabe del Verso. Su di che convien notare, che l’ultima Sillaba, del Verso, siasi di qualunque sorta o Eroico, o Ele-giaco, o Lirico, e sempre Comune, cioè si può prendere per breve, o per lunga, come sarà in grado, senza che vi sia obbligo di stare attac-cato ad una determinata quantità, come dice Cicerone in Orat. (che ancorché non fosse buon Poeta, pure ebbe un’alta cognizione delle

104 Lettere dal Ponto, IV, egloga 5, v. 6: “E attraverserete le acque del Mar Ionio”. 105 vv. 513-14: “E infatti come passammo tra un falso giubilo l’ultima notte, lo sai”.

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regole Poetiche). Postrema Syllaba, ecco le sue parole, brevis, an longa sit, ne in versu quidem refert

106. 2. Di fatto così sonosi regolati i Poeti. Virgilio, per tacer di altri, pone

in fine del Verso Eroico talora una Sillaba di sua natura breve, quando si sa che detto Verso la richiede lunga; attesoché ha da finire con un piede Spondeo, e non Trocheo. Eccone il testo, Eneid.1.

Posthabita coluisse Samo; hic illius ārmă;107 dove ma di arma divenendo comune, si piglia da Virgilio per lunga. Così può darsi l’esempio nei Versi Lirici. V. G. Il Faléucio, che co-stando di cinque Piedi, ha per ultimo un Coréo o sia Trocheo, eppure Marziale lib. 9. talora vi pone uno Spondeo; come

Nobis non licet esse tam dĭsērtīs

Qui Musas colimus severiōrēs108

. Ove si vede, che tis di disertis, e res di severiores, non ostanteché sieno lunghe di lor natura, pure divengono comuni, perché si trova-no in fine del Verso, e Marziale le prende per brevi, come richiede il metro del Faléucio.

Capo XXXIV. Dell’A finale.

1. Le Voci che finiscono in A, generalmente favellando, sono lunghe nella loro stessa ultima Sillaba in a, come Amā, Pugnā verbo, Me-

morā, Intereā, ultrā, Anteā, Prætereā, e simili. Sono eccettuati Ejă, Posteă, Ită, Quiă, Pută creduto avverbio, avendo la finale A breve, comeppur l’hanno tutti i Casi in A del Nome, Ver. Gr. Poetă No-min., o Poetă Vocat., Tempora Nomin. plur., Peccată Accusat. plur., fortiă, omniă, e simili; fuorché l’Ablativo in A, che è sempre lungo, a Poetā, a Musā, &c. Lungo è parimenti il Vocativo in A di quei Nomi Greci che hanno il Nominativo in as, come Eneā, Andreā, Matthiā da Eneas, Andreas &c., (fuorché Midas lo ha breve o Mi-

dă); oppur che hanno il Genitivo in Antis, come Pallas lantis (Pal-lante, Compagno di Enea, ucciso da Turno), Atlas tlantis (Atlante, Re di Marocco, Astrologo famosissimo), Calcas Calcantis (Calcan-te, o Testoride, famoso Mago Greco), hanno tutti il Vocativo lungo, come o Pallā, Atlā, Calcā o Calchā, e simili.

2. Comune è l’A ultima nei seguenti, cioè Contrå, e Frustrå, tuttoché l’Alvaro asserisca esser lunga. Perciocché, parlando di Contrå, que-

106 Cap. LXIV, § 217: “Se l’ultima sillaba è breve o lunga, non interessa neppure nel verso” 107 v. 15: “E che, dopo aver abbandonato Samo, l’abbia abitata, e qui le sue armi”. 108 Epigramma XI, vv. 16-17: “A noi, che coltiviamo Muse un po’ severe, non è consentito

essere ricercati”.

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sto si truova coll’A breve presso il Poeta Manilio replicate volte, presso Valerio Flacco, e presso Fedro lib. 3. fabul 41.;109 tuttoché gli altri Poeti lo facciano lungo. Quanto poi a Frustrå lo Scioppio in pruova che alle volte è stato usato breve cita Terenzio Heaut. att. 4 sc. 8.110 coll’osservazione fattavi sopra da Faerno. Onde il citato Scioppio sostiene che come Frustrå senza dubbio è comune, così sia Anteå, Ultrå, Citrå, Posteå, Proptereå, Intereå Præterå; e ne adduce buone ragioni; asserendo di più con varie autorità dei Comici, che presso gli Antichi tutti gli Imperativi in A, E, I, ebbero l’ultima co-mune.

3. Comune ancor è l’ultima di Trigintå, Quadragintå, e simili Numera-li; benché più sovente si trovi lunga.

Capo XXXV. Della E finale.

1. La E finale è breve, come Furiosĕ, Utilĕ, Partĕ, Docerĕ, Sinĕ, Men-

tĕ, Panĕ, Achillĕ, Illĕ. Patisce nondimeno molte eccezioni. Primie-ramente è lunga in tutti i Nomi della prima Declinazione, che sono Greci, o declinati all’uso Greco, come hæc Grammaticē, Cetē (nome indeclinabile di gen. neut plur, Balena), o Anchisē (voc. di hic An-

chises sæ), o Anchisiadē (Voc. di hic Anchisiade dæ), hæc Lethē (Leta, finto fiume d’Inferno, le cui acque fan dimenticar del passato: trovasi anche hæc Lethes thæ), Tempē (neut. plur. indeclin., Luoghi ameni in Tessalonica); così hæc Calliopē, Euterpē, Melpomĕnē, Terpsichŏrē, Uraniē, &c.

2. Questi Nomi sono tutti di Muse, la cui favola Poetica è che esse fu-rono nove, e che fossero Inventrici delle Scienze, e che ad esse pre-siedano, particolarmente alla Poesia, sotto la guida, ed assistenza di Apollo o Apolline, come altri lo dicono; e che abitino nei Monti Parnaso, Elicona, Pierio, e Pinto, dove è la fonte Castália, ed Aga-

nippe, fatte scaturire dal Cavallo Pegaso con un colpo di piede. I nomi loro sono 1. Callíope che presiede in particolare alla Poesia di Verso Eroico, 2. Eráto agli Inni, ed alle Canzoni di Amore, 3. Mel-

pómene alle Tragedie, 4. Talía alle Commedie, 5. Clio alla Storia, 6. Uránia all’Astrologia, 7. Terpsícore alla Cetera, e alle Danze, 8. Eu-

térpe al Canto col Piffaro o Flauto, 9. e Polímnia o Polimnea, Musa

109 v. 4: “alii onerant saxis; quidam contra miseriti” (Altri si armano di sassi; alcuni al con-

trario provando compassione…). 110 v. 857 “daturum. ME. [v]ah frustra sum igitur gavisus miser” (Lo darà a lei . - ME. Ah,

povero me che mi sono rallegrato).

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finta di singolarissima memoria, che presiede all’Azione, e al gesti-re.

3. È ancor lunga la E finale nell’Ablativo singolare della quinta Decli-nazione, come Progeniē, Fidē, Spē, Diē (coi suoi Composti Hodiē, Pridiē, &c.), Rē (coi suoi Composti, Quarē, Ferē, Requirē), Famē, Plebē, declinandosi anticamente Fames mei, Plebes bei, come si ve-de in Livio, ed in Salustio.

4. Lunga in oltre è in tutti gli Avverbi formati dagli Aggettivi in us del-la seconda Declinazione, come Indignē, Minimē, Maximē, Sanē (cer-tamente), Valdē (sincopato di Validē), Præcipuē, Firmē, Fermē (quasi, o facilmente, ma non ha fermus in oggi), Summē, &c. Si ec-cetuano Benĕ, e Malĕ che sono brevi; comeppure Inferne̊ (di sotto), e Superne̊ (di sopra) che sono comuni; trovandosi brevi in Lucrezio lib. 6; ove dice

Tēctă sŭpērnĕ tĭmēnt, mĕtŭūnt īnfērnĕ căvērnās111. Lo Scioppio coll’autorità del Gifanio osserva che vari dei riferiti Aggettivi avverbiati malamente sono stati creduti sempre allungati dai Poeti: e che una tale credenza ha fatto poi depravar molti testi, dove invece di leggersi gli avverbi coll’e breve, sono stati letti gli aggettivi coll’a breve. Così in Virgilio 2. Georg.112 si legge in oggi Flōs āpprīmă tĕnāx, quando dir deve secondo un antico Codice Flōs āpprīmĕ tĕnāx, &c. Quindi egli nota che comune è āpprime̊, longe̊, sane̊ &c. trovandosi Longĕ usato breve da Lucrezio lib. 4.,113 e Sanĕ da Terenzio in And. act. 1. sc. 4.114

5. Si fa pur lunga L’E finale negli Aggettivi della Terza Declinazione, come Sublimē, Suavē, Difficilē, &c.

6. Similmente negli Imperativi della seconda Coniugazione di num. sing., come Monē, Docē, Habē, &c. Si eccettuano Cave̊ (che più spesso si fa breve), Vide̊, Vale̊, Responde̊, che sono comuni, trovan-dosi talora brevi. L’Alvaro ne adduce la ragione dicendo, che ciò è provenuto perché vari Verbi che ora sono della seconda Coniugazio-ne, anticamente erano della terza (i cui Imperativi hanno l’E breve, come Legĕ, &c.): trovandosi perciò in Manilio l’Infinito Respondĕre breve nella penultima dall’antico Respondeo dis. Ma benché ciò sia

111 v. 597: “Temono in alto i tetti, e hanno paura delle caverne nel sottosuolo”. 112 v. 134. Oggi si legge: “Flōs ād prīmă těnāx” (Il fiore è assai resistente). 113 Nel libro 4 abbiamo incontrato almeno 6 volte (vv. 355, 679, 682, 813, 838, 1175) longe,

ma sempre con la ē lunga, come nel verso 355: “Āngŭlŭs ōbtūsūs quĭă lōngē cērnĭtŭr ōm-nĭs” (Poiché ogni angolo appare ottuso se guardato a distanza).

114 v. 229: “sane pol illa temulentast mulier et temeraria” (Ma quella, per Apollo, è un donna

ubriacona e senza cervello).

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vero, io direi non esser provenuto da questo, che Responde̊, Cave̊ Vide̊, &c. sieno comuni; ma piuttosto, perché gli Antichi facevano comuni ogni qualsivoglia Imperativo di numero singolare, terminan-te in E, come fu altrove avvertito collo Scioppio.

7. Finalmente le Monosillabe hanno anch’esse lunga la E, come Mē, Nē, Tē, Sē. Si eccettuano le congiunzioni enclitiche, cioè Quĕ per et, Nĕ per an, Vĕ per vel, come in Materquĕ, Tantanĕ, Petrusvĕ, essen-do brevi: e tali pur sono quelle congiunzioni loquelari o sillabiche poste in fine delle Voci, cioè ptĕ, cĕ, tĕ, come in Suaptĕ, Hiscĕ, Tutĕ (cioè Tu con un Pleonasmo).

8. Per chiusa si avverta che l’Interiezione Ohē ha pur lunga l’E finale. Un Faleucio, o endecasillabo di Marziale lib. 4. n’è testimonio:

Ōhē, jām sătĭs ēst, ōhē lĭbēllĕ.115

Capo XXXVI. Dell’I finale.

1. Lunga è la I in fine delle parole, come Classī, Oculī, Fierī, Sī, Nī, Antonī, Bonī &c. Eccettuansi Nisĭ, Quasĭ, che quasi sempre son bre-vi: Mihı̊, Tibı̊, Sibı̊, Ibı̊, Ubı̊, Cuı̊ dissillabo, che sono comuni coi loro composti, come Alicubı̊, Sicubı̊, &c., tuttoché nei loro Derivati sieno lunghi sempre, come in Ubīque, Ibīdem, &c.

2. Si eccettuano ancora i Neutri in I o in y, come Sĭnāpĭ (neut. Indeclin. Senape, meglio declinata hæc Sĭnāpis, o hoc Sināpe), Gummĭ (neut. Indeclin. Gomma, declinata meglio hæc Gummis), Hydrómelĭ (Ac-qua melata), Mŏly̆ (erba celebre presso Omero), avendo l’I finale breve: comeppur l’hanno i Dativi, e Vocativi dei Nomi Greci, come Daphnĭ, Palladĭ, Minŏdĭ (Minode, Re di Creta), Minoidĭ (Ariadna, figlia del Re Mínoe sudd(ett)o), Parĭdĭ (Paride, figlio di Priamo Re di Troia, perciò detto anche Priamide), Pierĭdĭ (Pieride, Musa, Pica), Thetĭdĭ, Teti, finta Ninfa e Dea del Mare, Tyndarĭdĭ (famiglia di Tindaro Re di Taranto, Padre di Pollúce, Castóre, ec.), Adónĭ, Alexĭ, Amarillĭ, Chely̆, Briseĭ (eccettuati Piladī, Orestī, ed altri che vengo-no dalla prima dei Greci).

Capo XXXVII. Dell’O finale.

1. L’O finale è comune, come Ambo̊, Opto̊, Nolo̊, Leo̊, e simili. Si ec-cettuano i Dativi, e gli Ablativi in o, e i Monosillabi, essendo sem-pre lunghi, come Somnō, Ventō, Odiō, Tuō, Stō, Dō, Ō, Flō (cioè Flo flas flavi flatum, Soffiare). Lunghi ancor sono gli Avverbi derivati

115 Epigramma 89, v. 1: “Ahimé, già è abbastanza, ahaimé, o libretto”.

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dai Nomi (giacché a parlar propriamente non sono altro che Ablati-vi), come Subitō, Meritō, Multō, Tantō, ec. ai quali si aggiungono Adeō, Seriō, Crebrō, Sedulō, Profectō, Mutuō, Postremō, Serō, e Ve-

rō. Benché non bisogna stimarli lunghi con tanto rigore, che alcuni non possano esser comuni, come avverte Gifánio; trovandosi in buoni Poeti coll’o breve talora Serŏ, Verŏ (congiunzione), Sedulŏ, Mutuŏ, Profectŏ, Postremŏ; tuttoché non sieno da imitarsi senza grande necessità.

2. Lunga similmente è l’o in fine di quelle Voci Greche che finiscono in ω Ómega, come Androgĕō (nome proprio), Alectō (Aletto, finta, una delle tre Arpie, Furie d’Inferno, figlie di Acheronte, e della Not-te, le due altre sono Megéra, e Tisífone), Athō (Monte Santo, nome di un altissimo Monte in Grecia), Cliō, Didō, Eratō, Iō (nel cui Ge-nitivo fa Ius Io, figlia di Inaco, finta dai Poeti convertita in Vaccina, e data in custodia ad Argo centocchi); e simili. Si eccettuano quei nomi propri che sono maschili, potendosi fare ancor brevi, come Apollo̊, Pluto̊, Zeno̊ Plato̊ (benché questo ha l’o breve di sua natura, avendo ο Ómicron).

3. Comune è l’O finale in Cito̊, Imo̊, Modo̊ coi suoi Composti, come Quomodo̊, Dummodo̊, Postmodo̊, tuttoché più spesso si trovino fatti brevi: comeppur Scio̊, Nescio̊, Ego̊, Duo̊, i quali si vogliono da Ser-

vio sempre brevi, ma sono comuni. 4. Lunga è la O in Ergō qualor significa Causa, come dice Probo, es-

sendo Ablativo del Greco Ergon, come insegna lo Scioppio. Così in quel Verso di Virgilio Æneid. 6. Īllĭŭs ērgō, &c.,116 si conosce che ergo ha forza di nome, come se dicesse Causa illius. Qualora poi è congiunzione, e significa Igitur, ha l’o comune, come l’ha Porro̊, Ideo̊, fecendosi alle volte brevi. Così troviamo in Giovenale Sat. 5. Ērgŏ Dĕūs, &c.117 Lo Scioppio nondimeno dice che Ergo significa sempre Causa, anche qualor secondo l’uso sia pigliato come con-giunzione illativa. Ver. Gr. Deus est summe bonus, Ergo est aman-

dus super omnia.118 In quest’esempio ognun vede che quell’Ergo, chiamato congiunzione, è un vero nome, come dicesse Hujus rei er-

go, hanc ob rem, hac de re, hac de causa est amandus super

omnia.119

116 v. 670: “Per lui dunque”. 117 v. 15. Anche se oggi si legge: “Ērgŏ dŭōs” (Dunque dopo due mesi). 118 Dio è sommamente buono, perciò deve essere amato sopra ogni cosa. 119 Per questo motivo, per questa ragione, perciò, a causa di ciò, deve essere amato sopra ogni

cosa.

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Capo XXXVIII. Dell’U finale.

1. L’U finale è sempre lungo nelle Voci come Vultū, Manū, Panthū, Visū, &c. Un bell’esempio di Ovidio in Arte, si può addurre, secon-do che lo legge il Lancellotto, sopra un fingitore

Tantum ne pateat verbi simulator in ipsis

Effice nec Vūltū destrue dicta tuo.120

Paolo Manuzio legge diversamente il primo Verso.

Capo XXXIX. Delle ultime Sillabe finite in B, D, T.

1. Le Ultime Sillabe, che finiscono in B, D, T, sono brevi, come Ăb, ŏb, sŭb, Quĭd, Ăd, Istŭd, Capǔt, Amăt, Audĭt. Si eccettuano i nomi Ebrei, come Eliůd, Beelzebůb, Davı̊d, &c., ed altri vocaboli forestie-ri; i quali sono comuni. Si eccettua anche Haūd ch’è lunga (congiun-zione).

2. Bisogna notare, che se questi Preteriti Obiĭt, Rediĭt, Petiĭt, Audiĭt, che già hanno l’ĭt breve, si contraggono per Sineresi, v. g. Obīt, Re-

dīt, Petīt, Audīt, allora per lo più si fanno coll’īt lungo. Dissi perlo-più, perché alcuni a volte si trovano ancor brevi. E la data annota-zione si intenda anche per qualunque altro Verbo in t contratto, co-me Invitāt per Invitavĭt, Disturbāt per disturbavĭt, Fumāt per fuma-

vĭt, e simili, che si trovano sovente in Virgilio, ed altri Poeti. 3. Avverte lo Scioppio che presso i più antichi Latini ogni sillaba ter-

minata in T era comune. Osservisi in due esempi, uno di Ennio, Ōmnīs cūră vĭrīs ŭtĕr ēssēt Īndŭpĕrātōr121.

L’altro di Livio Andrónico, che dicono avere scritto le Romanidi prima di Ennio

Cūm sŏcĭōs nōstrōs māndīssēt īmpĭŭs cȳclōps122. In Plauto e in Terenzio se ne trovano di altri esempli, dai quali ap-pare che presso gli Antichi la Sillaba in T era comune, vedendosi prodotta anche senza la contrazione.

4. Un altro avviso dà il riferito Scioppio, ed è, che parlando in rigor di verità niuna consonante può far lunga la Sillaba; perciocché la lun-ghezza della Sillaba non è altro che una lunghezza, e quasi raddop-

120 L’Arte di amare, II, vv. 311-312: “Soltanto che non traspaia dalle stesse parole che sei un

simulatore e non distruggere le parole con il tuo volto”. 121 Gli Annali, I, fr. 51 v. 8: “A tutti gli uomini interessava sapere chi dei due sarebbe stato

il capo). 122 Odissea, fr. 9: “Avendo l’empio Ciclope mangiato i nostri compagni”.

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piamento della sola Vocale in pronunziandola. Per esempio Nōn lunga è quasi Noon, haūd, è quasi hauud.

Capo XL. Delle ultime Sillabe finite in C, L, M.

1. La Sillaba finita in C è lunga, come Āc dūc, hōc avverbio, Sīc, e si-mili. Si eccettuano Nĕc, e Donĕc che sono brevi; e Hı̊c pronome, Låc, e Fåc, che sono comuni (benché Fac perlopiù è breve). Hoc, tuttoché dall’Alvaro, e da molti altri sia fatto lungo, nulladimeno lo Scioppio mostra che presso gli Antichi fosse anche breve, anzi dice ch’è tale sempre di sua natura.

2. Comuni pur sono le voci ebraiche, ed altre forestiere, che finiscono in C, o in CH, come Abimele̊ch, Lame̊ch, Melchisede̊c, Sado̊ch (que-sta voce, benché la vogliono alcuni coll’o lunga, venendo scritta per ω ómega). E qui si noti, che la Lingua Latina non ha voce che termi-ni per F, né per G, né per H (fuorché le interiezioni Āh, e Vāh, che sono lunghe, essendo A aspirate). Onde Josēph, Magōg (che sono lunghe, la prima per l’η Ita Greco, l’altra per l’ω Ómega), ed altre, sono tutte forestiere, ch’è meglio ridurle nel verso, se si può, alla La-tina inflessione, come Josephus, Magógus, Abimelechus, &c.

3. La Sillaba finita in L è breve, come Asdrŭbăl, Consŭl, Pervigĭl, Ni-

hĭl, Semĕl, Simŭl, &c. Si eccettuano Sōl, Sāl, Nīl, che sono lunghe; comeppur sono perloppiù le voci Ebree Raphaēl, Michaēl, Michōl, Nabāl, Saūl, e simili; tuttoché Baăl, e Michŏl meglio si fan brevi.

4. La Sillaba finita in M anticamente fu breve, né si elideva, come ora, colla seguente vocale per Ectlipsi. Eccone un esempio di Ennio An-nal 10.

Īnsīgnītă fĕrē tūm mīllĭă mīlĭtŭm ōctō.123 Ora poi è lunga, e si elide qualora s’incontri con una voce che co-minci con vocale (eccettuate sempre le voci composte, come circu-

mago, ove non si dà elisione).

Capo XLI. Delle ultime Sillabe finite in N, ed in R.

1. La Sillaba finita in N è lunga, come Dān, Liēn, Sīn, ēn, quīn, &c. Comeppure le parole Greche sì Maschili, che Femminili, come Tī-tān, Titane (si piglia sovente per lo Sole), Sirēn, Salamīn, Phorcȳn (Medúsa, che avea per chioma molte serpi, la cui vista mutava gli uomini in sassi, come figurano i Poeti), così Corydōn, Atteōn (Atte-

123 Frammento di origine incerta. “Allora furono insigniti circa otto mila soldati”.

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one, mutato in Cervo, e divorato dai suoi Cani, per aver veduta Dia-na in una fonte, come fingono i Poeti), e simili che hanno un’ω Ó-mega. Cosìppur gli Accusativi Greci della prima, che derivano da nomi in As, Es, E, come da Eneas Eneān, da Anchíses Anchísēn, da Calliope Calliopēn, Grammatice Grammaticēn, &c. Comanche i Genitivi Greci plurali di qualunque declinazione, come Epigramma-

tōn, Cimmeriōn, Havesseni, Popoli oriundi dalla Scizia, abitanti vi-cino allo stretto di Costantinopoli, ov’è un’aria molto fosca, da cui n’è nato il proverbio delle Tenebre Cimmerie.

2. Si eccettuano Ăn, Ĭn, Forsăn Forsĭtăn (Composti di ăn), Deĭn, Proĭn (per Deĭnde, e Proĭnde), Tamĕn col suo Composto Attamĕn, Verun-

tamĕn, avendo tutti la Sillaba breve in N. Così pur l’hanno Vidĕn (invece di Videsne), Nostĭn, invece di Nostĭne, e simili Verbi apoco-pati nella congiunzione aggiunta, come Aĭn, egŏn, satĭn, nemŏn, e simili, come vuole il Lancellotto. All’Alvaro però non piace troppo, dicendo che Scīn (invece di scis ne), Audīn, e simili, come Vīn (per Vis ne), ec. si allungano: quindi intorno a Nostĭn, che si trova breve in Ovidio, Epist 12, ove dice Nōstĭn ăn ēxcĭdĕrīnt, &c., dà ancor l’ecce-zione, che altri leggono meglio Nēscĭo ăn ēxcĭdĕrīnt, &c.124

3. I nomi Latini in en che hanno il Genitivo in inis sono ancor brevi, come Nomĕn, Pectĕn, Lumĕn, Flumĕn, Carmĕn, Numĕn, &c. Così quei Greci in on, che hanno l’ο ómicron (che spettano alla nostra se-conda Declinazione), come Iliŏn (Troia, Città), Peliŏn (Pelion, Mon-te della Tessalia), &c. E così per finirla tutti quei Accusativi Greci, derivati da Nomi coll’ultima breve, come Scorpiŏn (da Scorpios per omicron), Menelaŏn (Meneláo fratello del Re Agamennone, e Con-sorte di Elena), Tenedŏn (da Tenedos, Isola nel Mar Egéo), Erodeŏn (da Erodios, Achirone, Uccello simile alla Cicogna), Daphnĭn, E-

rinny̆n (furia infernale, detta Erinni, Thetĭn, Ity̆n (Itine, figlio del Re Tereo, e cangiato in fagiano) Majăn (Maja, madre di Mercurio), E-

gínăn (Nome di una Regina, ed anche di una Città), Médeăn (Mede-a, famosa Maga), e simili.

4. La Sillaba finita in R (favelliamo ora di questa) è breve, come Cæ-

săr, Sempĕr, Precŏr, Hectŏr, Turtŭr, Imbĕr, Diffĕr, Vĭr, Robŭr, Gla-

diatŏr (Difensore, Campione), Lintĕr tris (Barchetta), Amilcăr (no-me proprio), Amĕr, Legăr, Patĕr, Matĕr, Cŏr (benché Molti lo vo-gliono comune).

124 Eroine, Ep. 12, v. 71. (I filologi moderni leggono: “Noscis an exciderunt mecum loca?”

(Lo sai tu, o quei luoghi, come me, li hai scordati).

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5. Si eccettuano questi Monosillabi Cūr, Fār, Fūr, Nār, Vēr, Lār, e Pār coi suoi composti Compār, Dispār, Impār, Suppār. Cosìppur si ec-cettua Ibēr tuttoché Celtibĕr suo Composto sia assolutamente breve, come lo vuole il Lancellotto, il quale critica il Despautério come che lo voglia comune senza autorità veruna. L’Alvaro, il Bonciario, e lo Scioppio lo vogliono nondimeno comune; e ne apportano un Co-liambico di Catullo, secondo i codici antichi, Nūnc Cēltĭbēr īn Cēltĭ-bērĭā tērrā.125

6. Hanno anche lunga l’ultima quei Nomi Greci, che hanno il Genitivo in eris (o sia breve, o sia lungo) come Aēr, Æthēr (che hanno ĕris breve), Vēr, Podēr, Recimēr, Spintēr, Cratēr (che hanno ēris lungo).

Capo XLII.

Delle ultime Sillabe finite in S. 1. Queste ultime Sillabe finite in S, possono considerarsi partite in cin-

que desinenze, cioè in AS, in ES, in IS, in OS, e in US. Favellando delle prime, si abbia per regola generale, che la Sillaba finita in AS è lunga, come Ætās, Thomās, Adămās mantis (Diamante) Calchās o Calcās cantis (Calcante, Mago de’ Greci nella Guerra Trojana), At-

lās antis, Pallās lantis, Musās, Poetās, &c. Si eccettuano quei Nomi Greci, che hanno il Genitivo in adis, come Pallăs lădis, Lampăs pă-

dis, Arcăs cadis, Najăs jadis (Najade, Ninfa di fonti, e dei fiumi), Il-liăs liados (o Iliăs. Iliade, Poema famoso di Omero, benché tedioso per la troppa lunghezza, costando di 23 (sic) volumi, da cui n’è nato quel Proverbio, Più prolisso dell’Iliade.

2. Hanno ancora breve l’ultima quei Accusativi Greci in as, che in La-tino sono della terza, come Najadăs dal Nomin. Greco plur. Naja-

des, Delphinăs, Arcadăs, Amazonăs, Cratērăs (da Crater), che se sia accusativo di hæc Cratēra, è lungo.

3. Circa la Voce Anas si ha disparità tra gli Autori. L’Alvaro dice, che significando Anatra è breve, significando poi il fiume che divide la Spagna dal Portogallo ha la as lunga. Lo Scioppio dice ch’è breve, e cita un Verso faleucio di Petronio, cioè Et pictis Anăs innovata pen-

nis:126 onde siegue a dire che na in Anătis, e in Anătinus è breve, e cita Plauto. Il Lancellotto dice lo stesso, e aggiunge che la sola Ana-logia lo dimostra, avendo l’aumento breve in Anătis. Alcuni nondi-

125 I Carmi, 39, v. 17: “Ora i Celtiberi nella terra dei Celtiberi”. 126 Il Satiricon, XCIII: “e l'anatra dalle penne screziate”.

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meno dicono che Anås abbia la as comune;127 ma se ne brama un buon esempio.

4. Quando poi alla Sillaba finita in ES è lunga, come Nubēs, Ariēs, Jo-

annēs, Locuplēs, Anchisēs, Quotiēs, dicēs, Cybĕlēs (genit. di Cybele, Cibele, finta figlia del Cielo, e della Terra, Consorte di Saturno, vien coronata con Torri, e tirata da Leoni con Carro), Totiēs, &c.

5. Il Verbo Sum nondimeno fa breve l’ĕs; e così i suoi Composti, Adĕs, Potĕs, Abĕs, Inĕs, &c., ed anche Penĕs preposizione. Ma ēs di edo è lunga, coi suoi composti Comēs, Exēs, Perēs, &c.

6. Sono pur brevi i Neutri Greci, come Cacoēthĕs (Malcostume), Hip-

pomănĕs (Ippómane, veleno). Ma Hippoménēs è lungo (Ippoméne, Marito di Atlanta, convertito l’uno in Leone, l’altra in Leonessa da Cibele, come fingono i Poeti). Così i Nominativi, e Vocativi plurali Greci (che sieguono la terza dei Latini), come Amazonĕs, Aspidĕs, Delphínĕs, Erynnĭĕs, Gryphĕs, Heroĕs, Lyncĕs (da Lynx cis, Lupo Corriero), Rhetorĕs, Mimallŏnĕs (Mimalloni, Donne Baccanti del Castello Mimante in Grecia, consecrato dai Gentili a Bacco), Napa-

dĕs, &c. Ma l’Accusativo Latino di questi Nomi suddetti è lungo, at-tesoché il Greco è terminato in as, ed è breve. Onde hos Arcadēs è lungo; ma Arcadăs è breve.

7. Similmente han breve l’es quei Nomi Latini, che hanno breve l’Aumento, come Milĕs lĭtis, Segĕs gĕtis, Pedĕs, dĭtis, Divĕs vĭtis, Comĕs mĭtis, &c. Si eccettuano Abiēs abiĕtis, Ariēs ĕtis, Pariēs ĕtis, Cerēs rĕris, Pēs pĕdis coi Composti Cornĭpēs, Sonĭpēs, Trĭpēs, Alĭ-pēs, Quadrŭpēs, che hanno l’es lungo, benché abbiano breve l’incre-mento. Del resto regola è generale la prima, come l’opposta a quella, cioè che quei che hanno l’aumento lungo, lungo pur hanno l’es, co-me Hærēs o Herēs rēdis, Locuplēs ētis, &c.

8. Nota a parte lo Scioppio, che la Voce Găny̆mēdēs (Ganiméde, figlio di Trojo Re della Frigia, e Coppiero di Giove, per favola Poetica), che comunemente, e di sua natura ha l’es lunga, pur in Orazio si tro-va breve. Così la seconda Persona presente di Sum, cioè Ĕs, che co-

127 A questo punto sono state cancellate tre righe e mezza, che a fatica siamo riusciti a legge-

re. (Normalmente è molto difficile leggere ciò che è stato cancellato, poiché il Marcucci in-terviene con tratti molto forti per impedire la lettura di ciò che stato depennato.) Ecco il contenuto di ciò che è stato cancellato: “Poiché la trova fatta lunga da Ovidio e da Marziale. L’esempio del primo è Āccĭpĭtrēm flǔvĭālĭs ănās; quām Trōĭcūs hērōs. Del secondo”. Il ver-so di Ovidio è tratto dalle Metamorfosi, IX, v. 773. (Come l’anitra fluviale [colta fuori dal

lago] dallo sparviero; ma l’eroe troiano [la insegue].

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munemente è fatta breve, trovasi lunga nell’elegia di Pedone ad Li-viam, ove si legge, Nātă quŏd ēs āltē, quōd fǣtĭbŭs auctă dŭōbūs.128

9. Passando ora alla Sillaba finita in IS o in YS, generalmente parlando è breve, come Apĭs, Lapĭs, Inquĭs, Ĭs pronome, cĭs preposizione, Thetĭs (Teti, Ninfa o Dea del Mare presso i Poeti), Ĕrinny̆s (Erinni, furia Infernale), Chĕly̆s (Liuto), Căpsy̆s (Capi nom. propr. di due E-roi, uno dei quali fabbricò Capua), Libys, Itys (Iti, figlio di Tereo Re, e cangiato in un fagiano presso i Poeti).

10. Sono bensì lunghi i casi plurali, come Musīs, vobīs, vivīs; così queīs invece di quibus. Così quegli Accusativi plurali antichi omneīs o omnīs per omnes, treīs o trīs per tres, urbeīs o urbīs per urbes, civeīs civīs per cives, &c. Lunghi ancor sono Gratīs, e Forīs, consideran-dosi come casi plurali; cosìppur Glīs (Ghiro, animaletto noto), Vīs sì nome, che Verbo, Fīs, Sīs coi composti loro, come Quamvīs, velīs, nolīs, adsīs, prosīs, auxīs, faxīs, &c. Così sono pur quei Nomi che hanno il Genitivo lungo in inis, entis, itis, come Salamīs mīnis, Si-

moīs moentis (Simoe, fiume della Frigia), Samnīs mnitis, Līs litis. 11. I Verbi sono pur lunghi nella seconda Persona singolare, ogniqual-

volta nella plurale hanno l’ītis lungo, come īs ītis, redīs redītis, sīs sītis, audīs audītis, &c. Dal che si vede che legĭs ha l’is breve, per-ché breve ha ĭtis nel plurale.

12. Venendo ora alla sillaba finita in OS, essa è lunga secondo la regola generica, come Honōs, Rōs, Bōs, Dominōs, Nepōs, Flōs, Mōs, Ōs o-

ris, Virōs, &c. Si eccettuano però Ŏs ossis, Osso, Exŏs exossis, senz’osso, avendo l’ŏs breve: onde n’è nato il volgato verso,

Ōs ōrīs lŏquĭtūr; sĕd ŏs ōssīs rōdĭtŭr ōrē.129 Così brevi pur sono Impŏs, e Compŏs (Potente, e talora si piglia per Sano di mente, come est sui Compos).

13. Quanto ai Nomi Greci, son brevi quando in Greco si scrivono coll’ο omicron, come Arctŏs, Melŏs, Chaŏs, Argŏs (che son Greci neutri) Iliŏs, Tyrŏs, e questi Genit. sing. Arcadŏs, Palladŏs, Typhóeŏs, Te-

nedŏs, Tetyŏs, Erinyŏs, Tereŏs, &c. Quei poi che si scrivono coll’ω ómega, sono lunghi, come Trōs, Herōs, Minōs, Androgeōs, Athōs, &c.

14. Finalmente la ultima Sillaba finita in US generalmente parlando è breve, come Deŭs, Meŭs, Intŭs, Tempŭs, Fluctŭs nom. e voc. singo-

128 La filologia moderna inserisce la Consolatio ad Liviam, in cui è contenuto il verso (v.

339), nel Corpus ovidiano: cfr. sul web la “bibliotheca Augustana” (Poiché tu sei nata da

alta stirpe e nobilitata da due figli). 129 “La bocca parla, ma con la bocca si rode l’osso”.

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lare, come tutti gli altri consimili della 4. declinazione, che ha ancor breve il dat. e ablat plurale, come Visibŭs, Manibŭs, &c.

15. Si eccettuano primieramente le monosillabe Mūs, Sūs, Rūs, Thūs, &c. essendo lunghe. In oltre quei Nomi che crescendo nel Genitivo lo hanno lungo, come Virtūs tūtis, Salūs, Tellūs lūris, Incūs cūdis, Trapezūs zuntis, Amathūs thuntis, Opūs puntis, nome di Città, Grūs gruis, &c. Palūs lūdis si fa breve una volta da Orazio: Servitūs talora è stata fatta breve per necessità; e Juventūs per capriccio.

16. Lunghi hanno l’us ancora il Genitivo singolare, ed il Nom., Vocat., e Accusat. plurale della quarta Declinazione, come hujūs Visūs, hi Visus, o Visūs, hos Visūs. Il Lancellotto ne dà la ragione dicendo che in questi casi l’us è una pura contrazione dell’antica terminazione; dicendosi anticamente hujus Visuis, hi visues, hos visues, o Visues.

17. Similmente hanno lunga la us finale quei Nomi Greci, che hanno il Genitivo in untis, come Opūs puntis, Amathūs, ed altri sovramenzio-nati, così quei che lo hanno in ŏdis, come hic Trĭpūs pŏdis, Trepiede; hic Melampūs pŏdis, Melampo, nome di un dotto Uomo Greco: co-sippur lunga è la us di alcuni Genit. sing. Greci, come hæc Sappho Sapphūs (Saffo Poetessa inventrice dei versi sáffici) Dido Didūs o Didonis, Didone Regina; Calypso Calypsūs, Calipso, Ninfa, e Regi-na; hic Pantho Panthūs, Panto, Sacerdote del Sole presso i Gentili; Manto Mantūs, Manto, Donna Maga; Clio Cliūs, Clio, una delle Muse; ma vien fatta spesso breve; e così lungo ancor è il Ss.mo No-me Jesūs.

Capo XLIII. ed ultimo.

Dei Nomi propri, e Cognomi, non trovati nei Poeti antichi, e di alcune Abbreviature dei Vocabolari Prosodiaci.

1. Mario Antonio Bonciario, degno allievo del Signor D. Muret, sulla fine del trattato delle ultime Sillabe, discorrendo di quei Nomi pro-pri, e Cognomi, dei quali non trovasi esempio nei Poeti antichi, dà alcuni ammaestramenti, che riduconsi a questi, cioè Primo. Quei Nomi propri, e Cognomi, dei quali non abbiamo esem-pio negli antichi Poeti, possono usarsi ad arbitrio di un buono, e giu-dizioso orecchio. Secondo. Potrebbesi perciò o far lunga, o breve indifferentemente la prima sillaba in Co̊lumna, Co̊mitolus, Ge̊rardus, Gråtianus, Pe̊ret-

tus, Såregus, Ůbaldus, e mille altri. Terzo. Così indifferente è la seconda in Baro̊nius, Burge̊sius, Far-

ne̊sius, Hono̊ratus, &c.

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Quarto. Indifferentemente pur possono pigliarsi tutte le medie Silla-be in Justı̊nı̊ånus, Alcı̊åtus, Arrı̊go̊nı̊us, Bevı̊låqua, Floråmontı̊us, Panı̊cåro̊la, Pellı̊cånus, Saunåro̊la, &c. Quinto. Né a tal’indifferenza farebbe verun ostacolo il Dittongo, qualor s’incontrasse in alcune voci, come in Ansidæ̊us, Borromæ̊us, Passionæ̊us, Quæ̊rengus, &c., potendosi far brevi gli stessi ditton-ghi; benché allora sarebbe meglio scriver le voci senza dittongo, come Ansidĕus, Quĕrengus, Passionĕus, &c.

2. E sin quì basti pel Saggio della Prosodia; la quale e con queste Re-gole assegnate, e con la lettura dei buoni Poeti, e coll’uso dei Voca-bolarj Prosodiaci, e coll’esercizio, potrà perfettissimamente acqui-starsi, ed esser di ottimo fondamento tanto pel buon parlar Prosaico che Poetico.

3. Mi piace sol qui soggiungere in rapporto ai Vocabolarj o Dizionari Prosodiaci e Poetici, che in essi talora si trovano alcune abbreviatu-re, che danno dell’incomodo ai Principianti. Le Abbreviature perlo-più son queste, cioè SYN., EPITH., PERIPHR., PHR., EXPLIC., HIST., ed eccole dilucidate.

SYN. vuol dire Synónima, cioè Verba synonima. Affinché chi vuol comporre possa aver copia ed abbondanza di voci; e non riuscendo-gliene una a proposito, possa averne delle altre in pronto; perciò nei Dizionarj Prosodiaci si pongono varie voci di uno stesso significato, e si chiamano voci sinonime ovvero univoche, cioè che hanno una medesima significazione. Così per esempio alla Voce Jesus si pon-gono per sinonime queste altre voci Christus, Redemptor, Servator, essendo tutte univoche, voglio dire di un significato stesso. Così Maria, SYN. Virgo, Deípara, Christípara.

EPITH. vuol dire Epítheta, cioè Verba epítheta. Queste voci epítete o sieno apposte o aggiunte, non sono altre che Aggettivi adattati per quella voce prima, o sia per quel soggetto di cui si ragiona; e con tal mezzo si dà comodo allo Studioso di poter senza fatica saper le qua-lità, e gli aggettivi propri ch’egli può prendere. Ver. gr. alla voce Maria si porranno per EPITH. Immaculata, Intemerata, Amabilis, Casta, Inclyta, Augusta, Sancta, &c. che sono tutte voci epítete sue proprie, e aggettivi che spiegano le sue rare, e santissime qualità.

PERIPHR. vuol dire Períphrases, cioè Perífrasi o sieno Circunlocu-

zioni. Or questa Perífrasi e Circunlocuzione ch’è un Tropo o sia fi-gura Rettorica spettante alle parole, consiste nel dire in più parole una cosa, che può dirsi in poche. Quindi per accrescer di lumi, e di materie la fantasia, e la mente di uno Studioso, si pongono le Perí-

frasi dopo i Sinonimi, e gli Epiteti. Così di Maria alcune PERIPHR.

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sarebbero queste, Virgo decus Cœli; Jesu inclyta Mater; Excelsi Re-

gina Poli; Magni Sponsa Tonantis; Immaculata Dei părens, &c.130 Qui è bene che io avverta che non debbe confondersi la Perífrasi già spiegata colla Paráfrasi, la quale benché abbia una qualche analogia con quella, pure è distinta; attesoché la Paráfrasi è una interpreta-zione (o sia comento) fatta a qualche Autore, o a qualche sua Sen-tenza, col ridir quello stesso ch’ei disse, ma più largamente, e diffu-samente, non partendosi però mai dal suo senso, come richiede Quintiliano l. 10 c. 5. Onde noi diciamo parafrasare il far la paráfra-si, e Parafraste quello che la fa. San Francesco di Assisi fece una bellissima Parafrasi al Pater noster; il cui principio è così, Pater no-

ster, Creator, Redemptor, Salvator, et Consolator noster, qui es in

Cœlis, in Angelis, in Sanctis, quibus lumen præbes ut te cognoscant,

amorem ut te ament, &c.131 PHR. vuol dir Phrases cioè Frasi. Questa frase non è altro che lo sti-

le, o sia genere elegante, ed ornato di parlare. Ogni arte scientifica ha la sua frase propria. L’arte Oratoria o sia Rettorica ha il suo stile e frase a parte; e i Dizionarj o Regie Oratorie che ci sono, pongono una infinità di queste frasi, facendo vedere come i Rétori ed Oratori stilano di parlare, e con qual modo elegante discorrono di una cosa. Così ci sono a parte libri delle Frasi dell’arte Poetica che insegnano con quale stile e genere elegante di dire favellano i Poeti di qualche materia. E queste appunto sono le Frasi che in gran copia vengono notate nei Vocabolarj o sieno Regie Prosodiache, acciocché gli Stu-diosi con facilità apprender possano con qual frase poetica regolar si debbano. Diamo l’esempio sopra Maria Ss.ma, eccone in Poetica va-rie PHR.

Judæas inter Virgo pulcherrima Nymphas,

Quæ Superum puro concepit ab æthere Regem

Quæ Ventre beato

Gaudia Matris habens cum Virginitatis honore,

Nec primam similem visa est, nec habere sequentem.

Mater Virgineum servavit sola pudorem.

Tu mihi perfugium, tu mihi portus ades.

Tu clypeus, tutela mihi, tu certa Salutis

130 “Vergine onore del Cielo; Inclita Madre del Cielo; Eccelsa Regina del Mondo; Sposa del

Tonante; Immacolata madre di Dio”. 131 “Padre nostro, Creatore, Redentore, Salvatore, e Consolatore nostro, che sei nei Cieli, tra

gli Angeli, tra i Santi, ai quali dai la luce per vedere te, l’amore per amare te”. Cfr. Regia

Parnassi, seu Palatium Musarum, Auctore P. V. soc. Jesu, Venetiis MDCCXXXV, p. 546. Di questo volume esistono due edizioni nella biblioteca del Marcucci.

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Anchora, tu statio tuti placidissima portus.

Unica fortunis Ara reperta meis.132

EXPLIC. vuol dire Explicatio. Questa Spiegazione si pone talora nelle voci dei Fiumi, o Città, o simili; così nelle voci degli Uomini, Donne, Animali, ec. affinché il Leggitore ne abbia più distinta noti-zia. Ver. gr. nella voce Achelóus si pone in fine l’EXPLIC. che dice Acarnániæ fluvius, Ætoliam ab Acarnania dividens, a Monte Pindo

oritur133; cioè Achelóo è un fiume della Provincia Acarnania

nell’Epiro, il quale la divide dall’Etolia, ed ha la sua origine dal monte Pindo. Bene spesso queste Spiegazioni vengono poste senza la prenotata abbreviatura EXPLIC.

HIST. vuol dir Historia, ed è quando su di quella voce si riporta qualche Istoria. Così dove notasi FAB. cioè Fabula, si intende che ivi si riferisce qualche Favola finta ed inventata dai Poeti.

4. E questo basti intorno alle abbreviature dei Vocabolarj Prosodiaci; i quali, qualora sieno ricchi di Sinonimi, Epiteti, Perífrasi, Frasi, Spiegazioni, Istorie, e Favole possono pur chiamarsi, ed in verità so-no, una intera Libreria, col privilegio poi di esser manuale.

IL FINE

COROLLARIO I. Dei Nomi Patronimici.

1. Sogliono gli Autori trattar dei Nomi Patronimici in fine della Proso-dia, a motivo che di essi si servono ben spesso i Poeti: quindi anch’io di questi Nomi darò un Saggio, per non mancare in cosa ve-runa. I Nomi Patronimici, pertanto, vengono così chiamati, perché derivano dai Nomi dei Padri, e di altri Antenati, e Maggiori; e signi-ficano il lor Figlio, o la lor Figlia, il Nepote, o la Nepote, o altro lor Discendente; per li quali i suddetti Nomi sono come Nomi propri (e

132 La Vergine più bella fra tutte le fanciulle giudee, che concepì per puro spirito il Re de Celesti che nel ventre beato avendo le gioie di Madre insieme all’onore della Verginità, Né pare che si possa avere una simile prima né poi. La sola madre che conservò il Virgineo pudore. Tu sei per me rifugio, tu per me il porto. Tu sei per me scudo, tu sicuro rifugio di Salvezza Ancora, tu tranquillissima sede di un porto sicuro. Unica altre trovata per la mia sorte. 133 Cfr. Regia Parnassi, cit., p. 21.

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così di fatto i Poeti li chiamano). Per esempio Pelídes vuol dire A-

chille Figlio di Peleo; Æácides vuol dire lo stesso Achille come Ni-

pote di Eaco; Neríne o Nerínes è il nome Patronimico di Galatéa Figlia di Néreo: così Dardánidæ sono i Trojani, oriundi dal Re

Dárdano primo Monarca di Troja; Cecropidæ sono gli Ateniesi, o-

riundi da Cécrope primo Re di Atene; e così degli altri, come Anchi-

síades vuol dir Enéa Figlio di Anchise; Thesidæ nome dei suddetti Ateniesi da Teséo loro Re; &c.

2. Or questi Nomi Patronimici, tuttoché si facciano perloppiù dai Nomi Greci, non è però che vari non possano farsi dai nomi Ebraici anco-ra, e dai Latini. Il Bonciario ammette Adámides, Figli, o Nipoti e Di-scendenti di Adamo; Abrámides, Isácides, &c. che son nomi derivati dall’Ebraico; così Itálides, Nazionali d’Italia, Francíades, Nazionali di Francia, e simili; i quali sono Patronimici derivati dal Latino.

3. Egli è inoltre da notarsi, che i Nomi Patronimici non solamente si deducono dai Padri, Avi, Proavi, Abavi, Atavi, Trítavi, ed altri An-tenati e Maggiori; ma dalle Madri ancora, come Ilíades è nome di Romolo Figlio d’Ilia; così Philýrides è nome di Chirone Centauro, nato da Filira; così Látois tóidis o toidos è il nome di Diana come Figlia di Latóna. In oltre si deducono eziandio dai Fratelli, dai Re, dai Fondatori; come Phorónis è il Nome di Io o Isi Dea degli egizi, come Sorella di Foroneo; Phăĕtontias è nome di Élia Sorella di Fa-

etonte; Romúlidæ sono i Romani da Romolo lor Fondatore; Ænéadæ le Genti del Re Enéa. Finalmente possono dedursi dai Paesi, Monti, Città, Fiumi, Fonti, e simili; ma allora, benché abbiano una forma e figura di nomi Patronimici, pure in realtà sono nomi Gentilizi, come avverte l’Álvarez, e si pongono per nomi Aggettivi Possessivi.

4. Tutti i nomi Patronimici sono o Maschili, o Femminili. I primi han-no la desinenza in Des. I secondi l’hanno di tre sorti, cioè in As, in Is, e in Ne. Parlando ora dei primi, questi Patronimici Mascolini possono formarsi in latino dai Nomi della prima, seconda, e terza Declinazione in tal maniera. Quei della prima li formano dal Geniti-

vo, mutando l’æ in ades, come Ænéæ fa Ænéades, Hippotæ fa Hip-

pótades. I nomi però Anchises, e Laertes pongono un’i avanti l’ades, come Anchisiades, Laertiades.

5. Quei della seconda Declinazione formano il Patronimico dal Geniti-

vo coll’aggiunta di des; come Príami fa Priámides, Tántali fa Tantá-

lides, Francisci Francíscides, &c. Che se il Genitivo finisca con due ii, muta il secondo in a, come Mænetii fa Mænetíades, Antonii Anto-

níades, &c. Se poi il Genitivo termini in ei, allora contráe e restringe

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l’ei in un’i lungo, come Théseus Thései fa Thesídes, Átrei Atrídes, Pompéus Pompéi fa Pompídes, &c.

6. Quei della terza Declinazione formano il Patronimico dal Dativo coll’aggiunta di des, come Simon mónis móni fa Simónides, Hectori Hectórides, Agĕnŏri Agenórides, &c. Bisogna bensì eccettuar quei Nomi che si declinanano per as antis, e alcuni per on onis, i quali al Dativo aggiungono ades; come Atlas tlantis tlanti fa Atlantíades, co-sì Abas bantis, Pæas Pæantis, Dryas Dryantis, Athamas mantis, &c., cosi Thelamon monis moni fa Thelamoniades, Amphitrion, Pháeton, Laomedon, &c.

7. Rispetto poi ai Patronimici Femminili, che come si disse hanno tre desinenze, cioè in As, in Is, e in Ne, quei delle due prime desinenze appartengono alla terza Declinazione Latina; e si formano dai Patro-nimici Maschili, lasciando il des; come da hic Priámides Figlio di Príamo si forma hæc Príamis cioè Figlia, o Nipote di Príamo; così da hic Anchisíades si fa hæc Anchísias hujus Anchisiadis, Figlia o Nipote di Anchise; così da hic Taumantiades hæc Taumantías, da hic Theseides hæc Théseis, da hic Nereides hæc Nereis. Anzi alcuni hanno amendue le desinenze in as, e in is, attesoché il Patronimico maschile, da cui derivano, pure è doppio; come da hic Atlántides o Atlantíades nome di Mercurio, nipote di Atlante, si forma hæc At-

lantis, ed hæc Atlantias, Donna nipote di Atlante. 8. Quei Patronimici Femminili della desinenza in Ne spettano alla pri-

ma Declinazione Latina, e si formano dal Genitivo maschile della seconda Declinazione; come da hic Néreus hujus Nérei si forma hæc Neríne Figlia di Néreo sovraspiegata; da Adrastus Adrasti hæc A-

drastine Figlia o Nipote di Adrasto; da Neptúnus Neptúni hæc Nep-

tuníne; così da Franciscus Francisci hæc Franciscine, da Antonii hæc Antoníne, &c.

9. Eccone gli esempi di alcuni Patronimici declinati.

Prima Declinazione.

Hic Priámides, hujus Priamidæ, huic Priamidæ, hunc Priamidem, o Priamide, ab hoc Priamide. Plur. hi Priamidæ, horum Priamidarum vel Priamidum, his Priamidis, hos Priamidas, o Priamidæ, ab his Priamidis.

Hæc Neríne, hujus Nerines, huic Nerinæ, hanc Nerínem, o Neríne, ab hac Neríne. Plur. hæc Nerinæ, harum Nerinarum, his Nerinis, has Nerinas, o Nerinæ, ab his Nerinis.

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Terza Declinazione Hæc Anchisias, hujus Anchisiadis vel Anchisiados, huic Anchisiadi,

hanc Anchisiadem vel Anchisiada, o Anchisias, ab hac Anchisiade. Plur. hæ Anchisiades, harum Anchisiadum, his Anchisiadibus, has Anchisiades vel Anchisiadas, o Anchisiades, ab his Anchisiadibus.

Hæc Théseis, huius Theseidis vel Theseidos, huic Theseidi, hanc Theseidem vel Theseida, o Theseis, ab hac Theseide. Plur. hæ The-

seides, harum Theseidum, his Theseidibus, has Theseides vel The-

seidas, o Theseides, ab his Theseidibus. 10. Conchiudo con un Avvertimento, ed è che essendo i Patronimici

proprj dei Poeti, gli Oratori perciò di rado se ne servono.

...........................................................................................................................

Corollario II

Di alcune Cose spettanti alla Prosodia e Poesia Italiana.

1. La nostra Italiana favella che tralle Lingue tutte porta il vanto di es-ser la più sonora, e più grata all’orecchio, è stata ben da Uomini giu-diziosi e dotti fondata, e fermata su certe leggi e precetti stabili, tal-ché arricchita pur l’hanno di varie nobili e meravigliose Gramatiche. Mille e mille tra gli antichi, e moderni Scrittori citar qui ne potrei di quei che così l’hanno illustrata, tra i quali nominar basti il Buommat-

tei, e il Gigli. Niuno però, per quanto io risappia, si è posto a com-porne a parte una certa e stabile Prosodia, per regolar bene tutte le vocali, le Sillabe, gli accenti, i tempi, e le quantità delle nostre paro-le. Molti sono, è vero, i libri che trattano degli accenti della nostra Lingua; ed ogni suo Vocabolario, fatto con diligenza, come sarebbe l’ultimo della Crusca, del Facciolati, delle Voci Italiane, e di qual-che altro, si trovano accentate le parole per distinzione della lor quantità o breve, o lunga, e della pronunzia o stretta, o aperta; ma tutto questo però non è un ridurre a regole generali la Prosodia Ita-

liana, e non è un soddisfare il bisogno di molti o Nazionali, o Stra-nieri, che in moltissime parole, che non travansi accentate, né udir si possono talora proferir da buoni Maestri, non hanno regola a cui ri-correre, né sanno a qual partito appigliarsi. E ciò, a confessare il ve-ro, è una pruova manifesta di quella gran verità, da alcuni non voluta conoscere, cioè che non può in tutto ristringersi a legge una Lingua viva, di cui quegli stessi che vivono ne sono i Legislatori, i Disposi-

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tori, e gli Árbitri (intendo Uomini dotti e di buon gusto); e che non può la nostra Favella, esser solo regolata da una Provincia, ver. gr. dalla Toscana; poiché molte parole che in una si pronunziano lun-ghe, o aperte, in un’altra, non inferiore in dottrina, e in giudizio, si pronunzieranno sempre brevi, e strette. Né accade sognarsi queste ridicole schiavitù, in cui le altre Provincie, e Città dell’Italia debba-no soggiacere, quasi tutte Discepole ver. gr. di una Siena, di una Fi-

renze. Lo Stato Pontifizio, Veneto, Milanese, Napoletano, e Modo-

nese, per tacer di altri, hanno avuti Maestroni di nostra Lingua, dai quali la Toscana ha molto appreso, ed ha pigliato ancora per arric-chire i suoi Vocabolarj.

2. Ma per tornare al mio proposito, possono almeno servire per rego-lamento della Prosodia Italiana i seguenti avvisi, cioè Primo, Si ba-di all’uso comune dei Dotti, come questo regoli l’accento, la quanti-tà, e pronunzia delle parole. Secondo, Se una voce non sia comune-mente usata, si ricorra ai buoni Vocabolarj Italiani, e si osservi con quale accento, e in quale sito venga notata. Terzo, Se nei Vocabolarj non si truovi, abbiasi la diligenza di osservare se quella voce corri-sponda alla voce Greca, o Latina; e si procuri diversificarla dalla quantità del Lazio, e dal suo accento, per quanto si può. Quarto fi-nalmente, se neppur quest’analogia tra la voce Latina, ed Italiana si trovasse, resti in libertà della Persona giudiziosa il pronunziarla o lunga, o breve, o aperta, o stretta, come più le pare proprio. Siamo alla fine Italiani, e siamo noi i Padroni, e gli Autori della nostra Lin-gua.

3. Come, e quanto sia necessaria la Prosodia Italiana ai Componimen-ti Italiani sì Prosaici che Poetici, non accade dirlo, che ognun lo ve-de. E per quel che riguarda il Poetico, al certo la struttura dei nostri Versi non è tanto difficile quanto quella dei Versi Latini, ai quali la Prosodia Latina, innestata quasi colla Greca, bisogna che sommini-stri tanta diversità di piedi, e di sillabe, colla restrizione della quanti-tà in certi determinati siti: spinajo che non punge i nostri Versi Ita-liani, per la cui struttura basta somministrare un certo numero de-terminato di sillabe, atto a far rima.

4. Per ben condurre bensì la nostra Italiana Poesia, come ogni qualun-que altra (giacché l’Arte Poetica è una sola), fa duopo badar bene al-le tre sue Parti principali, cioè Invenzione, Disposizione, ed Elocu-

zione (che son ancor parti della Rettorica); e per tuttettre ci vuol In-gegno, e Giudizio.

5. L’Invenzione Poetica consiste 1. in saper trovare Soggetto e materia propria, che debbe esser grata, vaga, leggiadra, piaevole oppur gra-

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ve. 2. in rinvenire un bel pensiero, nuovo, e pellegrino su quel Sog-getto. 3. in idearsi belle finzioni o favole per adornar quella materia, che sempre debbe esser o vera, o almeno verisimile in se stessa. 4. in fare che questa Materia così vestita diletti, e giovi unitamente; non solo per mezzo dell’allegoría (che sempre è lontana), ma ancor colla stessa materia così vestita. 5. in fare che in qualsivoglia Componi-mento particolare il Soggetto, almeno primario, sia sempre un solo; e così vadasi discorrendo di altre cose spettanti all’Invenzione.

6. La Disposizione Poetica consiste 1. in disporre bene le parti dell’Orazione Poetica, massimamente nei Poemi Épici ed Eroici, in cui l’Oratore principiar dee colla Proposizione, poi discendere all’Invocazione di qualche Nume, indi passar alla Narrazione, ec. 2. in ben disporre la materia in cascun particolar componimento; ver. gr. che non ci sia epiteto, o cosa messa a forza, fuor di proposito, di-rem così per riempitura; e nemmeno un verso, o porzione di verso così infilzato: comeppure, che il Componimento non cominci con un pensiero, e poi senza finirlo salti in un altro. 3. in osservar le leggi di ciascuna spezie di Poesia, ver. gr. del Sonetto, Ode, Madrigale, ec., e così dicasi di altre cose in ordine alla Disposizione.

7. L’Elocuzione Poetica consiste 1. nell’usar una purità, e leggiadria gentile di Lingua. 2. una frase nobile, e stile sublime e maestoso. 3. una buona testura e connessione sì nei passaggi, che nella corrispon-denza delle voci in rima. 4. nel servirsi di cadenze dolci, e non ru-stiche al possibile; e nel far versi dolci, e non duri. 5. nell’usar le fi-gure con grazia, e tempo, e luogo. 6. in fuggir, al possibile le licenze Poetiche, e particolarmente quelle troppo affettate, o dure, e così di altre cose che riguardano l’Elocuzione.

8. Certo è che dalla lettura dei buoni Poeti Italiani si può imparar mol-to, anzi tutto, qualor si procuri di imitarli, e notarli nella nobiltà del Pensiero, nella vivacità delle figure, nella gentilezza delle finzioni, nella leggiadria della frase e del dire, nella delicatezza delle descri-zioni; in somma nel lor Bello, e Buono. Questi buoni Poeti Italiani, tra gli antichi sono Dante, benché è alquanto duro, il Petrarca (che è il Principe), il Bembo, il Sannazáro, il Casa, il Tasso, l’Ariosto, il Guidiccione, il Molza, ec. Tra i moderni poi il Testi, il Chiabréra, il Filicáia, il Leméne, il Redi, il Zappi, il Manfrédi, l’Orsi, il Maggi, il Gigli, ed altri, tra i quali il Fratel Cerasóla Gesuita può ancor con-numerarsi.

9. Or in questi Poeti nostri può ancor vedere ciascuno la varietà dei Versi, di cui si serve la nostra Italiana Poesia; la varietà dei Compo-

nimenti; e simili. Ma per dirne qui succintamente qualche cosa, il

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Verso Poetico Italiano puossi ridurre a due spezie. Quello della pri-ma si chiama Verso intero e perfetto (da altri anche detto Verso

maggiore), e costa di undici Sillabe, se nonché qualora il verso sia sdrúcciolo costa di dodici. Eccone alcuni esempi.

Di 11 Sillabe Chi vuol veder quantunque può Natúra.134 Petrar.

Di 12 Sillabe L’invidia, figliuol mio, se stessa lácera,

E si diligua come agnel per fáscino.135 Sannaz.

Questo verso perfetto e intero, che è il più bello e maestoso che ab-bia la nostra Lingua, e può chiamarsi Verso Eroico Italiano, serve appunto per li Poemi Eroici, per li Sonetti, per le Ottave Rime, per le Sestíne (che dicesi inventasse il Dresino

136, e nelle quali ogni verso finir debba con nome Sostantivo, come osserva il Porcacchi

137 nelle Sestine del Sannazzáro), e simili Componimenti, come Terze Rime, ec.

10. Quello della seconda spezie si chiama Verso rotto e imperfetto (altri ancor lo dicono or minore, or corto, or picciolo, ed or versetto); e costa talora di dieci Sillabe, come il verso tronco e zoppo (che non dee usarsi nei Sonetti, e le Canzoni, né in Madrigali, né in altri com-ponimenti Lirici Maestosi, moltomeno poi nei Poemi Eroici). Ecco-ne un esempio in Dante.

Ábram Patriarca, e David Rè

Israèl con suo Padre, e co’ suoi Nati, E per Rachele, per cui tanto fè

138. Talora costa di sette sillabe, talora di sei, talora più, o meno, secondo i componimenti, ver. gr. nelle Odi, nei Versi sciolti, nelle Balláte, negli Idilli, nelle Improvisate, nelle Frótole, nelle Barzellette, nelle Ariette, nei Drammi, nelle Codette, nei Sormontesi, Ritondelli, Ghiribizzi, Estri, e simili: ove benespesso questi versi Imperfetti si uniscono insieme coi Perfetti, secondo le stanze, e le strofe del Componimento.

134 Canzoniere, CCXLVIII, v. 1. 135 Arcadia, Ecloga 6, vv. 13-14. 136 Con questo nome l’Ariosto (Orlando Furioso, XLVI, 12, v. 2: vedi LUDOVICO ARIOSTO,

Orlando Furioso, a cura di Dino Provenzal, Milano 1955, vol. 4, pp. 256-257) indica Gian Giorgio Trissino (1458- 1550), filologo e poeta (autore tra l’altro del Poema L’Itala libera-

ta dai Goti, e della tragedia Sofonisba), che non può essere certo l’inventore della sestina. 137 Cfr. SANNAZARO, IACOPO, Arcadia. Nuovamente corretta, e ornata d’alcune Annotationi da

Thomaso Porcacchi. Con la vita dell’autore descritta dal medesimo. Rime, nuovamente cor-rette et reviste,Venezia, Fabio e Agost. Zoppini fratelli, 1583. 2 voll.

138 Inferno, IV, vv. 58-60.

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11. Bisogna nulladimeno considerar un’altra sorta di verso più, o meno lungo dei suddetti, qualora voglia farsi gli Italiani Essametri, Pen-

tametri, Sáffici, ec. che ad imitazione dei Latini inventar volle Mon-signor Claudio Tolomei, che ne pubblicò anche le regole, ed i precet-ti (ma con poco séguito).

12. Passando poi dai Versi a dir due parole su dei Componimenti, fa duopo confessare che tra i Lirici il Sonetto è il più bello (che come già è noto costa di quattordici versi, cioè di due Quadernari, e due Terzetti): tra i Poemi poi l’Epico è il più maestoso e nobile, poi il Trágico, indi il Cómico: e qui è bene ricordare che quei Poemi chiamati Romanzi, non sono altro che quei Poemi giocosi e ridicoli, ripieni di favolose iperboli degne di riso, e in conseguenza non van-no né stimati, né letti, tantopiù che in gran parte sono oscenissimi. Benché questo è un punto, su cui ha urtata la maggior parte dei Poeti Italani; e perciò in leggendoli ci vuol la cautela, e quella diligenza di scegliere il bello, e il buono, e lasciare ed abborrire il brutto, ed il cattivo.

13. Ma via che ho accennato abbastanza su della nostra Prosodia, e Poe-sia Italiana. Meglio vedrassi il tutto nello studio dell’Arte Poetica, un cui bel libro, tra i mille che ce ne sono, ce ne lasciò il Signor Gi-

rolamo Ruscelli, il quale di vantaggio, affinché ciascuno potesse senza molta fatica trovar copia di parole in ogni rima e cadenza, egli ce ne compose come un Vocabolario, colla distinzione a parte delle rime correnti, e delle sdrúcciole, e lo intitolò Rimario. Il celebre Mu-

ratori poi ha donato alla luce la sua Perfetta Poesia Italiana, che non può desiderarsene migliore; tantopiù ch’è postillata dal chiaris-simo Abate Anton Maria Salvini.

14. Soggiungo soltanto un avviso intorno alla sudd(ett)a Prosodia Poeti-ca, e servirà per chiusa, che le Sillabe dei Versi Italiani si hanno a numerar con questa legge, cioè ogni vocale costituisce una Sillaba: e qualora s’incontrino in una voce due vocali insieme, come in Aura. Mauro, Aita, Sia, Mio, Tuo, Lei, Io, Noi, Cui, ec., allora se questo concorso di vocali succeda in fine del Verso, amendue le vocali fan-no una sillaba a parte, per ciascuna, se poi accade dentro il verso, quasi sempre (mentre di rado è stato usato il contrario) fanno una sil-laba sola. Un esempio di Dante dimostra l’uno, e l’altro.

1. 2. Così vid’ io venir traendo guai.139

139 Inferno, V, v. 48.

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Dal qual esempio anche appare che la nostra Poesia ha sempre la eli-

sione e la sinaléfe ogni qual volta s’incontrano due vocali, l’una infine di una parola, l’altra in principio di un’altra; come succede invid’io, ove il di del vidi si elide con io (ancorché non stasse apostro-fato), eccettuandosi sempre però quelle vocali accentate con un ac-cento grave, che stanno in fine delle parole, e le monosillabe chehanno accento come Ma, Re, Do, Fu, Fo, Là Nè (ma Ne ripieno, Mi,Ti, ec. si elidono): così non si elidono Bontà, Virtù, Amò, Perché

Perciò, ec. Eccone un esempio di Petrarca,So io ben, ch’a voler chiuder in versi

140.Ove il So non si elide perché vi si ferma la voce, come in accentograve.

Viva Gesù.

140 Canzoniere, XXIX, v. 50.

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Dal qual esempio anche appare che la nostra Poesia ha sempre la eli-

sione e la sinaléfe ogni qual volta s’incontrano due vocali, l’una infine di una parola, l’altra in principio di un’altra; come succede invid’io, ove il di del vidi si elide con io (ancorché non stasse apostro-fato), eccettuandosi sempre però quelle vocali accentate con un ac-cento grave, che stanno in fine delle parole, e le monosillabe chehanno accento come Ma, Re, Do, Fu, Fo, Là Nè (ma Ne ripieno, Mi,Ti, ec. si elidono): così non si elidono Bontà, Virtù, Amò, Perché

Perciò, ec. Eccone un esempio di Petrarca,So io ben, ch’a voler chiuder in versi

140.Ove il So non si elide perché vi si ferma la voce, come in accentograve.

Viva Gesù.

140 Canzoniere, XXIX, v. 50.

Particolare di pagina 117 del manoscritto de Il Saggio

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Pagina 92 del manoscritto de Il Saggio

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ANTOLOGIE METRICHE

_________________

Seléctio Métrica Selezione Metrica

__________________________

De Vita et Operibus Jesu Christi

Servatoris nostri La Vita e le Opere di Gesù Cristo

Nostro Salvatore Esercitazione metrica

Giovenco, Sedulio

Proba Falconia

______________________________

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SELÉCTIO MÉTRICA

Profana, atque sacra

Duas in partes, ac octódecim in lectionesDistribúta,

ProΜετάγωγυµνασία

idestPro traductionis exercitio,Prosodíaco curso durante,

aLauthémia Conca

Académica Conceptionísta

Sabbati die, Postrid. Non. Septemb., MDCCXLIX.

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SELEZIONE METRICA

Profana, e sacra

DivisaIn due in parti, e diciotto lezioni,

ComeΜετάγωγυµνασία

cioèCome esercizio di traduzione,Durante il corso di Prosodia,

tenuto daLotemia Conca

Accademica Concezionista

Sabato, 6 settembre MDCCXLIX.

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Pars prima

Metra continens profana.

Admonitio.

Priores tres Lectiones ex Marco Valerio Martiali selegimus. Fuit ipse Hispanus, ex Bilbili Celtiberiæ haud ignobili oppido natus. Romæ verò publicis honoribus ornatus, atque honestatus fuit. Cajo Plinio juniori, Silio

Italico, Valerio Flacco fuit apprímè carus. Quatuordecim Epigrammatum libros ingeniosè, lepidè, mordaciter, sed in multis obscenè scripsit: quorum duos posteriores, penultimum Xénia (idest Munera hospitibus dari solita, quæ distichis descripsit), ultimum vero Apophoréta (Munera videlicet Amicis, seu Patronis dari solita), nuncupavit. In his alios Poetas, Marsum precipuè, Pedonem, Getúlicum, necnon Catullum quoque secutus est. Inter ætatis argentæ Auctores, licet non inter primos, reponitur. Sub Impe-ratoribus Domitiano, Nerva, et Trajano vixit. In Hispania obiit. Mores et ingenium perpolire potest ejus lectio, si obscæna deleantur Epigrammata. In eum Censor fuit rigidissimus Marc. Antonius Muretus, ut videri potest in Commentar. ad Catullum.

Lectio Prima.

Epigramma XIX [XVII]. ex libello De Spectaculis, qui extra ordinem reliquorum Librorum recensetur.

De Elephante Cæsarem adorante.

Quod pius et supplex Elephas te, Cæsar, adorat: Hic modò qui Tauro tam metuendus erat: Non facit hoc iussus nulloque docente Magistro: Crede mihi, numen sentit et ille tuum.

Epigramma XLIX [LVI]. ex Lib. VIII.

Ad Cæsarem. Magna licet toties tribuas, maiora daturus Dona, Ducum Victor, victor et ipse tui; Diligeris Populo non propter præmia, Cæsar, Propter te Populus præmia, Cæsar, amat.

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Parte prima

Metri profani.

Avvertenza. Le prime tre lezioni le abbiamo tratte da Marco Valerio Marziale. Egli era

Spagnolo, nato a Bilbili famosa città della Celtiberia, ma a Roma fu ornato e colmato di pubblici riconoscimenti. Fu amico soprattutto di Caio Plinio il giovane, di Silio Italico, di Valerio Flacco. Scrisse Quattordici libri di Epigrammi, ingegnosi, sapidi, mordaci, ma molti osceni: due libri li scrisse dopo, chiamò il penultimo Xénia (cioè i Doni che si era solito dare agli

ospiti, scritti in distici), e l’ultimo Apohoreta (i Doni che si era solito dare agli Amici, o ai Patroni). In essi seguì tra gli altri Poeti, soprattutto Marso, Pedone, Getúlico, e anche Catullo. È collocato tra gli Autori dell’Eta ar-gentea, e neppure tra i più importanti. Visse sotto gli imperatori Domiziano, Nerva e Traiano. Morì in Spagna. La sua lettura può affinare il costume e l’ingegno, se si eliminano gli Epigrammi osceni. Marco Antonio Mureto fu un suo severissimo Censore, come si può vedere nel Commento a Catullo.

Prima Lezione.

Epigramma XIX [XVII]. dal libro Gli Spettacoli,

che è considerato a sé stante rispetto agli altri Libri

L’Elefante che adora Cesare.

Se l’elefante, pio e supplice, o Cesare, t’adora: che fino a poco fa era temuto anche da un Toro:

non lo fa per comando, o per insegnamento d’un Maestro credi a me, egli già sente la forza del tuo Nume.

Epigramma XLIX [LVI]. dal Libro. VIII.

A Cesare. Benché tu faccia molti doni, e molti ancora ne farai, ti vincitore di Sovrani e vincitore di te stesso; tu sarai amato, o Cesare, dal Popolo, non per i tuoi doni, ma per te, o Cesare, il Popolo ama i tuoi doni,

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Lectio II.

Epigramma LI [LXX]. ex Lib. IX.

In Mæcilianum. Dixerat, o MORES, o TEMPORA! Tullius olim,

Sacrilegum strueret cùm Catilina nefas; Cùm Gener atque Socer diris concurreret armis,

Mæstaque civili cæde maderet humus. Cur nunc, o MORES, cur nunc o TEMPORA! dicis? 5

Quod tibi non placeat, Mæciliane, quid est? Nulla Ducum feritas, nulla est insania ferri;

Pace frui certa lætitiaque licet. Non nostri faciunt tua quod tibi tempora sordent,

Sed faciunt mores, Mæciliane, tui. 10 ______________________________________________

Lectio III

Epigramma XI [XIV]. ex Lib. XIII. Xénia.

Lactuca. Claudere qua cænas Lactuca solebat Avorum,

Dic mihi cur nostras inchoat illa dapes?

Epigramma XIII [XIX]. ex Lib. XIV. Apophoreta

Nuces. Alea parva nuces, [et] non damnosa videtur:

Sæpe tamen pueris abstulit illa diem.

Epigramma CLXXVII [CCVIII]. ex eod. Lib.

Notarius. Currant verba licet, manus est velocior illis:

Nondum Lingua suum, Dextra peregit opus.

____________________________________________

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Lezione II.

Epigramma LI [LXX]. dal Libro IX.

Contro Meciliano. Un tempo Tullio disse: o TEMPI, o COSTUMI, quando Catilina preparava il sacrilego atto, quando Genero e Suocero si sfidavano con terribili armi, e quando mesta la terra grondava della strage civile. Perché ora dici: o COSTUMI, perche ora dici: o TEMPI! 5 che cosa è che non ti piace, o Miciliano? Nessuna crudeltà di Capi, nessuna follia di armi si può godere di pace sicura e di letizia. Non i nostri costumi rendono cupi i tuoi tempi, ma i tuoi costumi, o Meciliano, li rendono cupi. 10 ______________________________________________

Lezione III

Epigramma XI [XIV]. dal Libro XIII. Xénia.

La lattuga.

La lattuga, con cui si solevano chiudere le cene degli Avi, dimmi, perché ora invece apre i nostri banchetti?

Epigramma XIII [XIX]. dal Libro XIV. Apophoreta

Le Noci.

Le noce sembrano un gioco innocente e futile; tuttavia spesso ha tolto ai Fanciulli i giorni.

Epigramma CLXXXVII [CCVIII] dallo stesso Libro.

Lo stenografo

Corrano pure le parole, la mano è più veloce di esse: la lingua non ha ancora finito il suo lavoro, la mano sì.

_______________________________________________

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Admonitio. Ex Publio Ovidio Nasone quarta, et quinta Lectio est selecta. Hic Sulmone

ex equestri Nasonum familia natus, Romæ postea educatus, liberalibus disciplinis institutus fiut. Poeta fuit præclarus, amænus, copiosus, ingeni-osus, ac tersæ Latinitatis cultor; itaut inter ætatis aureæ Auctores ad-scribitur. Multa scripsit, quindecim libros putà Metamorphoseon seu Tra-sformationum versu heroico; et misto ex Hexametro, et Pentametro tres libros Amorum, tres alios de Arte amandi, duos de Remedio Amoris, sex Fastorum Romanorum, quinque Tristium sui, quatuor de Ponto (quos omnes varias in Elegias divisit), alios Epistolarum, &c. Fuit tamen ob-scænissimus; quamobrem periculosè legitur non solùm in iis libris, ubi nequitiam apertè profitetur (ut præcipuè in libris de Amore, qui uri peni-tus deberent), sed et in aliis, ut in Metamorphosibus, Epistolis, &c. Tristia

verò, et libri de Ponto minus habent periculi. Ipse ab Augusto Cæsare in Pontum (quæ Græca Provincia est in Natolia seu Asia Minore) relegatus fuit, anno ætatis suæ quinquagesimo, quod ad Juliam, ejus Filiam, sub Corynnæ nomine lascivas de Amoribus elegias scripsisset. Tomis (quæ Urbs est in Bulgaria Græciæ) novem post annos mærore extinctus est an-no a Christo Domino nato decimoseptimo, ibique sepultus.

Lectio IV.

Ex libro primo Fastorum Tempora digere[re]t cum Conditor Urbis*, in anno 27

Constituit menses quinque bis esse suo. .......................................................................... Martis erat primus mensis, Venerisque secundus, 39 ......................................................................... Tertius a senibus, Juvenum de nomine quartus, 41

Quæ sequitur, numero turba notata fuit. At Numa nec Jan[um], nec avitas præterit umbras,

Mensibus antiquis addidit ille duos.

Ex libro 1. Tristium, elegia 1. Parve (nec invideo) sine me liber ibis in Urbem: 1

Hei mihi, quòd Domino non licet ire tuo. Vade: sed incultus, qualem decet exulis esse, Infelix habitum temporis huius habe.

* idest Romulus.

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Avvertenza. La quarta e la quinta lezione è tratta dalle opere di Publio Ovidio Nasone.

Egli, nato a Sulmona dalla famiglia equestre dei Nasone, a Roma fu poi educato istruito nelle discipline liberali. Fu Poeta famosissimo, piacevole, prolifico, geniale e cultore di una tersa latinità; per questo è annoverato tra gli Autori dell’età aurea. Ha scritto molto: quindici libri di Metamor-

fosi, o Trasformazioni, in esametri; e in Esametro e Pentametro accoppia-ti (distico elegiaco) tre libri di Amori, e altri tre sull’Arte di amare, due sui Rimedi d’amore, sei di Fasti Romani, cinque delle sue Tristezze, quat-tro di [Lettere] dal Ponto (tutte queste varie opere le divise in Elegie), al-tre di Epistole, ecc. Fu tuttavia molto osceno; perciò è pericoloso leggere non solo quei libri, dove si professa apertamente il vizio (come accade soprattutto per i libri sull’Amore, che si dovrebbero sicuramente bruciare) ma anche altri, come le Metamorfosi, le Epistole, ecc. Ma le Tristezze, e il libri dal Ponto sono meno pericolosi. Cesare lo relegò nel Ponto (una Provincia Greca in Anatolia, o Asia Minore), all’età di 50 anni, perché aveva scritto per Giulia, sua figlia, chiamandola Corinna, elegie licenzio-se sull’Amore. A Tomi (che è una Città [colonia] greca in Bulgaria) morì di disperazione dopo nove anni, nel 17 d. C., e lì è sepolto.

________________________________________________________

Lezione IV

Dal Libro primo dei Fasti. Il Fondatore* di Roma, suddividendo il tempo, 27 nel suo anno dieci mesi stabilì che ci fossero.

............................................................................ Di Marte era il primo mese, il secondo di Venere, 39 ............................................................................

il terzo dai Vecchi, i quarto dal nome dei Giovani: 41 gli altri che seguono furono individuati dal numero.

Ma Numa non dimenticò né Giano, né le ombre avite, e agli antichi mesi egli ne aggiunse altri due.

Da Libro 1. delle Tristezze. elegia 1. Piccolo libro, (e non t’invidio), andrai senza di me a Roma: 1 ahime, perché al tuo Padrone non è lecito andarvi. Vai: ma spoglio, come si addice che sia il libro di un esule, infelice, metti l’abito di questo mio tempo.

* cioè Romolo.

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Lectio V.

Ex lib. 1. de Ponto, eleg. 5. [4] ad Uxorem. Jam mihi deterior canis aspergitur ætas:

Jamque meos vultus ruga senilis arat, Jam vigor et quasso languent in corpore vires,

Nec iuveni lusus qui placuere iuvant. Nec me, si subito videas, cognoscere possis, 5

Ætatis facta est tanta ruina meæ. Confiteor facere hoc annos, sed et altera causa est,

Anxietas animi, continuusque labor.

Ex lib. 1. Metamorphosen. In nova fert animus mutatas dicere formas

Corpora: Dii, cœptis (nam vos mutastis et illas) Aspirate meis: primaque ab origine Mundi Ad mea perpetuum deducite tempora carmen. Ante mare, et terras, et, quod tegit omnia, Cælum, 5 Unus erat toto naturae vultus in orbe: Quem dixere Chaos: &c.

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Admonitio. Lectionem sextam, et septimam ex Publio Virgilio Marone seorsim

collegimus. Hujus tanti Viri patria fuit Andes, Vicus prope Mantuam, hinc Mantuanus nuncupatur Poeta, ac Latinæ Poeseos Princeps, quo, ut scribit Muretus in Comment. ad Catull., nihil potest fieri divinius circa Poesin, eique fit injuria si nullo modo aliis cum Poetis comparetur. Tersissimæ verò Latinitatis est Auctor, undè optimos inter Auctores ætatis aureæ collocatur. Permulta heroicis versibus elegantissimis scripsit, puta Bucólica seu Carmina Pastoralia in decem Éclogas divisa, Geórgica seu Carmina ad Agriculturam pertinentia in quatuor distinta libros, et percelebrem Ænéidem seu Poema de Rege Ænéa Trojano in libros quindecim1 divisum. In Bucólicis Theócritum, in Geórgicis Hesíodum, et in Ænéide Homérum, Poetas Græcos, imitatus est. Alia quædam opuscula, ac Tragædias scripisse ferunt. Anno ante Christum D(omi)num septuagesimo natus est: Cæsari Augusto fuit appríme carus: annosque vixit quinquaginta unum.

1 Duodecim.

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Lezione V

Dal libro 1. [Lettere] dal Ponto, elegia 5 [4]. Alla Moglie. Già la vecchiaia mi cosparge con le sue canizie: già una ruga senile ara le mie sembianze. Già il vigore e le forze languono nel corpo fiaccato, né mi allietano i giochi che piacquero al giovane. E potresti non riconoscermi, se ad un tratto tu mi vedessi, 5 così grande si è fatta la rovina della mia età. Confesso che è colpa degli anni, ma anche altra è la causa: l’affanno dell’animo e la preoccupazione continua.

Dal Libro 1. delle Metamorfosi. L’animo mi spinge a dire le forme mutate in nuovi

corpi: O Dei, (voi infatti anche le avete mutate), ispirate la mia impresa: fate che ne derivi un canto continuo dalle prime origini del Mondo fino ai miei giorni. Prima del mare, della terra, e del Cielo, che tutto regge, 5 unico era in tutto l’universo il volto della natura: lo chiamarono Caos: ecc.

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Avvertenza. La lezione sesta e la settima le abbiamo ricavate in particolare da Publio

Virgilio Marone. La patria di quest’Uomo così grande fu Andes, un Villaggio vicino a Mantova, per questo è detto Poeta Mantovano, e Principe della Poesia Latina, per questo, come scrive il Muret nel Commento a Catullo, niente può accadere di più divino nella Poesia, e gli si fa un torto, se

in qualche modo lo si confronta con altri Poeti. È sicuramente Autore di tersissima Latinità, per questo è inserito tra i migliori Autori dell’età aurea. Scrisse molte opere in elegantissimi versi eroici, come le Bucoliche, o Componimenti Pastorali in dieci egloghe, le Georgiche, o Componimenti sull’Agricoltura, in quattro libri, e la celeberrima Eneide, o Poema sul Re Troiano Enea, in quindici2 libri. Nel Bucoliche imitò Teocrito, nelle Geogiche Esiodo, e nell’Eneide Omero, Poeti Greci. Si tramanda che abbia scritto qualche altra operetta, e delle Tragedie. Nacque nel 70 avanti Cristo: fu molto caro a Cesare Augusto: visse 51 anni.

2 Dodici. Stranamente aveva scritto dodici, e poi ha corretto quindici.

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Lectio VI

Ex Ecloga 7. Bucolicorum, ubi Melibæum Pastorem inducit referentem certámen Corydónis, et Thyrsidis

Pastorum, post judicium certaminis Daphni Pastoris. Fortè sub arguta consederat illice Daphnis,

Compulerantque greges Corydon, et Thyrsis in unum, Thyrsis oves, Corydon distentas lacte capellas, Ambo florentes ætatibus, Arcades ambo, Et cantare pares et respondere parati. 5

Ex lib 1. Geogicorum, ad C. Mæcenátem. Quid faciat lætas segetes: quo sidere terram

Vertere, Mæcenas, ulmisque adiungere vites, Conveniat, quæ cura boum, quis cultus habendus Sit pecori; (atque) apibus quanta experientia parcis; 5 Hinc canere incipiam. Vos, o clarissima Mundi Lumina, labentem Cælo quæ ducitis annum, Liber et alma Ceres, &c.

_______________________________________________________________

Lectio VII Ex lib. 1. Æneidos, cujus principium a Tucca, et Varo sublatum, sic erat,

Ille ego, qui quondam gracili modulatus avena * Carmen, et egressus sylvis vicina coegi Ut quamvis avido parērent arva* colono: Gratum opus Agricolis: at nunc horrentia Martis.

Principium verò nunc sic est, Arma, virumque cano, Trojæ qui primus ab oris 1

Italiam, fato profugus, Lavinaque venit Littora: multum ille, et terris jactatus* et alto Vi Superum, sævæ memorem Iunonis ob iram.

....................................................................... Musa, mihi causas memora: quo numine læso

Quidve dolens Regina* Deum# tot volvere casus

* hic pro fistula. * idest agri. * idest afflictus. * Juno. # Eolum Regem Ventorum.

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Lezione VI.

Dall’Egloga 7. delle Bucoliche, in cui rappresenta

il Pastore Melibeoche racconta la gara nel canto dei Pastori Coridone, e Tirsi,dopo il giudizio del gara del Pastore Dafni.

Un giorno Dafni s’era seduto sotto un leccio canoro Corindone e Tirsi vi avevano radunato insieme le greggi Tirsi le pecore, Corindone le caprette gonfie di latte, entrambi fiorenti d’eta, Arcadi entrambi, a cantare di pari valore, e a rispondere pronti. 5

Dal libro 1. delle Georgiche, a C. Mecenate. Che cosa renda fertili i campi: e sotto che stella convenga

rivoltare la terra, o Mecenate, e unire le viti ai tralci, e quale la cura dei buoi, quale impegno è necessario per le greggi, e quante esperienza per le api frugali, 5 Da qui inizio a cantare. Voi, o fulgentissimi astri del Mondo, che guidate nel Cielo l’anno che volge, Libero, e Cerere alma, ecc. _______________________________________________________________

Lezione VII. Dal libro 1. dell’Eneide, il cui inizio, secondo la redazione

di Varo e Tucca, era così, Io, che un tempo ho modulato il canto su una fragile canna*

e, uscendo dai boschi, ho costretto i prati* vicini ad assecondare i desideri del pur avido colono, opera grata ai contadini, ma adesso gli orrori di Marte.

L’inizio però ora è così, Canto l’armi e l’uomo, che per primo dai lidi di Troia, 1

giunse in Italia e sulle Lavinie spiagge, esule per volere del fato: molto egli fu sbattuto* per terra e per mare dalle forze di Numi, per la memore ira della fiera Giunone. .......................................................................................

Musa, le cause rammentami: per quale divinità offesa, e dolendosi di che cosa la Regina* degli Dei# costrinse

* Qui per flauto. * Cioè campi. * Cioè afflitto. * Giunone. # Eolo Re dei Venti. Il riferimento ad Eolo non sembra giustificata.

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Insignem pietate Virum, tot adire labores 10 Impulerit; tantæne animis cælestibus iræ?

Ex lib. 2. Æneidos, cujus initium est, Conticuere omnes, intentique ora tenebant.

Inde toro Pater Æneas sic orsus ab alto: Infandum, Regina*, iubes renovare dolorem, &c. .............................. Et iam nox umida Cælo Præcipitat suadentque cadentia sidera somnos. Sed si tantus amor casus cognoscere nostros 10 Et breviter Trojæ supremum audire laborem: Quamquam animus meminisse horret luctuque refugit, Incipiam. &c.

_______________________________________________________________

Admonitio Hujus primæ partis postremas duas lectiones, octavam putà, et nonam

selegimus ex Quinto Horatio Flacco. Hic quinque post Virgilium annis, anno videlicet sexagesimo quinto ante Christum Dominum, Venusii in Apulia natus est, unde et Poeta Venusinus, et Lyricorum Poetarum Princeps nuncupatur. Lyricorum Carminum quatuor libros, ac Epodorum libellum, varias in odas distributos, scripsit; sicut et varios libros Satyrarum, et de Arte Poetica, et Epistolarum

*. Omnia quidem ingeniosè, splendidè, ac luculenter scripsit, et tersissima latinatate usus est; undè optimos inter Auctores ætatis aureæ reponitur. Non pauca tamen habet lutulenta (hoc fuit Poetarum cacoethes), et inquinandis moribus, nisi delectus habeatur, opportuna. Cæsaris Augusti, et Mæcenátis fuit amicissimus. Annos vixit sexagintatres: ac post mortem Augustum reliquit hæredem.

Lectio VIII.

Ex Carminum lib. 1. Ode 22. ad Fuscum, de vitæ integritate.

Integer vitæ, scelerisque purus 1 Non eget Mauris jaculis, nec arcu, Nec venenatis gravida sagittis, Fusce, pharetra.

* Dido * Píndarum, Callimacumque, Poetas Græcos Lyricos, est imitatus in […] in tertia

quarti libri Carminum.

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un uomo famoso per la pietà a subire tante vicende e affrontare 10 tante fatiche; così grandi sono le ire negli animi celesti?

Dal libro 2. dell’Eneide, il cui inizio è, Tutti tacquero, e attenti fissavano gli sguardi.

Allora il padre Enea così iniziò a parlare dall’alto divano: “O Regina*, mi chiedi di rinnovare un dolore indicibile, ecc. .................................. E già l’umida notte discende dal Cielo, e le stelle declinanti invitano al sonno. Ma se tanto è il desiderio di conoscere i casi nostri 10 e udire brevemente l’agonia finale di Troia: benché l’animo rabbrividisca al ricordo e rifugga lo strazio, comincerò. ecc.

_______________________________________________________________

Avvertenza. Le ultime due lezioni, l’ottava e la nona, di questa prima parte, le abbiamo

tratte da Quinto Orazio Flacco. Egli nacque cinque anni dopo Virgilio, e quindi nel 65 avanti Cristo Signore, a Venosa, in Apulia (oggi Basilicata), per questo è detto Poeta Venusino e Principe dei Poeti Lirici. Ha scritto quattro libri di Carmi Lirici, un libretto di Epodi, diviso in varie odi; come anche vari libri di Satire, sull’Arte Poetica, e di Epistole

*. Scrisse tutte queste opere, con ingegno, abilità e perfezione, fece uso della più limpida latinità, per questo è collocato tra i migliori Autori dell’età aurea. Tuttavia non pochi componimenti sono limacciosi (questo era un malcostume dei Poeti), anche per la possibilità di corrompere i costumi, se non se ne fa un’opportuna scelta. Fu molto amico di Cesare Augusto e di Mecenate. Visse sessantre anni: e dopo la morte lasciò erede Augusto.

Lezione VIII.

Dal libro 1. dei Carmi. Ode 22. a Fusco, Una vita irreprensibile.

Chi è irreprensibile di vita e da colpe scevro 1 non ha bisogno né di giavelloti mauri, né di arco, e neppure, o Fusco, di una faretra ricolma di frecce avvelenate.

* Didone. * Pindaro e Callimaco, Poeti Lirici Greci, imitò in […] in tre dei quattro libri dei

Carmi. Un taglio ha fatto cadere una parte dell’annotazione del Marcucci.

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Ex Carmin. lib. 2. Ode 10. ad Licinium,

de retinenda mediocritate. Auream quisquis mediocritatem 5 Diligit, tutus caret obsoleti Sordibus tecti, caret invidenda

Sobrius aula. Sæpius ventis agitatur ingens Pinus et celsæ graviore casu 10 Decidunt turres: feriuntque summos

Fulmina montes.

Ex Carm. lib. 2. Ode 14. Ad Postumum, De morte inevitabili.

Eheu fugaces, Postume Posthume, 1 Labuntur anni, nec pietas moram

Rugis, et instanti senectæ Afferet, indomitæque morti.

_______________________________________________________________

Lectio IX.

Ex Carminum lib. 3. Ode 24. in Avaros invéhitur.

Intactis opulentior Thesauris Arabum et divitiis Indiæ

Cæmentis licet occupes Tyrrhenum omne tuis, et mare Ponticum:

Si figit adamantinos 5 Summis verticibus dura necessitas Clavos: non animum metu,

Non mortis laqueis expedies caput.

Ex Epodorum libel. Ode 2. De vitæ rusticæ laude.

Beatus ille qui procul negociis, Ut prisca Gens mortalium,

Paterna rura bobus exercet suis, Solutus omni fænore, 5

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Dal libro 2. dei Carmi. Ode 10. a Licinio,

Il culto della mediocrità. Chi sceglie la preziosa via di mezzo, 5

evita sicuro il sudiciume di un tugurio squallido, e saggio evita una reggia che desta invidia. Il pino gigantesco più spesso è agitato dai venti: e le eccelsi torri cadono 10 con maggior rovina: i fulmini feriscono le sommità dei monti.

Dal libro 2. dei Carmi. Ode 14. a Postumo

L’inevitabilità della morte. Ahi, rapidi, o Postumo, Postumo, 1 scorrono gli anni: né la pietà farà ritardare le rughe, e la vecchiaia che incalza e la morte indomabile. ________________________________________________________________

Lezione IX.

Dal libro 3. dei Carmi. Ode 24 inveisce contro gli Avari

Più ricco dei tesori intatti degli Arabi e delle ricchezze d’India invadi pure di macigni duri tutto il mare Tirreno e il mare d’Apulia: ma se la funesta Necessità 5 conficca i suoi chiodi adamantini nei sommi vertici, tu non scioglierai l’animo dal timore e dal lacci della morte.

Dal libro degli Epodi Ode 2. Lode della vita rustica.

Beato colui che, lontano dagli affari, come l’antica stirpe dei mortali,

coltiva il paterno campo con i suoi buoi, libero da ogni ansia di guadagno, 5

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Neu excitatur classico miles truci Neque horret iratum mare*: Forumque vitat et superba Civium Potentiorum limina.

Ergo, &c. 10

Ex Epod. Ode 6. in Cassium Severum Poetam meledicum.

Quid immerentes hospites vexas, Canis 1 Ignavus adversum lupos?

Quin huc inanes, si potes, vertis minas Et me remorsurum petis?

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Prioris partis finis

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* Oda est pulcherrima.

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non lo sveglia l’aspra tromba, come il soldato, e non ha timore del mare* infuriato:

Evita il Foro e le superbe porte dei cittadini illustri.

Dunque, ecc. 10

Dagli Epodi. Ode 6. contro Cassio Severo Poeta maldicente.

Perché ti scagli come un cane contro innocenti ospiti 1 e ti mostri vile con i lupi? Perché, se puoi, non avventi qui le tue vuote minacce e non chiedi a me di ricambiarti i morsi?

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Fine della prima parte

_________________________________________________

* L’Ode è bellissima.

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Pars secunda

Metra continens sacra

Admonitio. Ex Poesi lyrica Ecclesiastica, seu ex Ecclesiasticis Hymnis priores quinque

selegimus Lectiones. Advertendum tamen Auctores Hymnorum Ecclesiasti-corum leges Metri sæpius neglexisse, ut sensui potius quam Metro Verba consonarent: quod de se fatetur Sanctus Bernardus epist. 312. ad Guidonem1. Sanctus Ambrosius verò accuratius composuisse videtur. Ex Hymnis, qui antiquitus in Ecclesia recitabantur, quamplures emendavit Urbanus VIII. Summus Pontifex anno 12692.; et falsis syllabis correctis ultra nongentas, ac mutatis principiis Hymnorum ultra triginta, intactos reliquit tres de Ss.mo Sacramento, unum de augustissima Cælorum Regina, putà Ave Maris Stella (quæ soluta potius est oratio aliquibus incísis partíta), unum Angelorum, paucosque alios.

Lectio Prima.

Hymnus de Spiritu Sancto a Sancto Ambrosio juxta Carminis Jambici Dimetri legem dispositus, ac compositus.

Vĕnī Crĕātōr Spīrĭtūs, Mentes tuorum visita, Imple supernâ gratiâ, Quæ tu creasti, pectora,

Qui diceris Paraclitus, Altissimi donum Dei, Fons vivus, ignis, Caritas, Et spiritalis unctio.

Tu septiformis munere, Digitus Paternæ Dexteræ, Tu rite promissum Patris, Sermone ditans guttura.

Accende lumen sensibus; Infunde amorem cordibus;

Infirma nostri corporis Virtute firmans perpeti.

Hostem repellas longius, Pacemque dones protinus: Ductore sic te prævio Vitemus omne noxium.

Per te sciamus da, Patrem, Noscamus atque Filium, Teque utriusque Spiritum Credamus omni tempore.

Deo Patri sit gloria, Et Filio, qui a mortuis Surrexit, ac Paraclito In sæculorum sæcula. Amen

1. Cfr. BERNARDUS CLARÆ VALLENSIS, Opera omnia, Epistola CCCXCVIII, P.L., Migne, vol.

187: “Deinde, quod ad cantum spectat, hymnum composui, metri neglegens, ut sensui non deessem”.

2 1629.

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Parte seconda

Metri sacri

Avvertenza. Le prime cinque Lezioni le abbiamo tratte dalla Poesia lirica Ecclesiastica,

ossia dagli Inni Ecclesiastici. È necessario tuttavia avvertire che gli Autori degli Inni Ecclesiastici il più delle volte non hanno fatto conto delle norme metriche, perché le Parole si accordassero più al senso che al Metro: è ciò che dice di sé San Bonaventura nell’Epistola 312, a Guidone1. Sant’Am-

brogio pare invece che abbia scritto con più cura. Degli Inni, che si recitavano anticamente in Chiesa, molti sono stati rivisti dal Sommo Pontefice Urbano VIII, nell’anno 12692. A più di novecento corresse gli errori delle sillabe, a più di trecentò Inni mutò l’inizio, ne lasciò intatti tre al SS. mo Sacramento, uno all’augusta Regina del Cielo, cioè Ave Stella del

Mare (che per lo più è prosa intercalata da incisi), uno degli Angeli, e pochi altri.

Lezione Prima

Inno allo Spirito Santo disposto e composto da Sant’Ambrogio secondo la legge del Verso Giambico Dimetro.

Vieni, o Spirito Creatore, visita le menti dei tuoi fedeli, riempi della divina Grazia i cuori che tu hai creato.

O tu che sei il Consolatore dono del Padre altissimo, fonte viva, fuoco, amore, spirituale balsamo.

Dito della Paterna Destra, solenne promessa del Padre, che irradii i tuoi sette doni, suscitando in noi la parola.

Accendi la luce ai sensi, infondi amore nei cuori;

le ferite del nostro corpo sanale con la tua Virtù

Tieni lontano il nemico, la pace, donaci subito con la tua guida sicura eviteremo ogni male.

Tu fai che conosciamo il Padre E che conosciamo il Figlio e che crediamo ogni momento Te Spirito dell’uno e l’altro.

Sia gloria a Dio Padre, al Figlio, che dai morti è risorto e al Consolatore per tutti i secoli dei secoli. Amen.

1 Vedi p. 66 e n. 261. “Quanto al canto, io ho composto un inno, preoccupandomi poco del metro,

per essere più attendo al senso”. 2 1629. Vedi p. 66 e n. 260.

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AlterHymnus de Spiritu Sanctoab Autore incognito (verisimiliter ab eodem Sancto

Ambrosio) juxta Carminis Trocháici Dimetri Cataleptici legem compositus.

Vĕnī sānctĕ Spīrĭtūs, Et emitte cælitus Lucis tuæ radium.

Vĕnī, Pătēr Pau̅pĕrūm, Veni dator munerum, Veni lumen cordium;

Consolator optime, Dulcis hospes Animæ, Dulce refrigerium:

In labore requies, In æstu temperies, In fletu solatium.

O, Lux beatissima Reple cordis intima Tuorum Fidelium!

Sine tuo numine, Nihil est in homine, Nihil est innoxium.

Lava quod est sordidum, Riga quod est aridum, Sana quod est saucium,

Flecte quod est rigidum, Fove quod est frigidum, Rege quod est devium:

Da tuis Fidelibus, In te confidentibus, Sacrum Septenarium.

Da virtutis meritum, Da salutis exitum,

Da perenne gaudium. Amen. _____________________________________________________________

Lectio II.

Hymnus de SS.m͂o et Divinissimo Sacramento a Sancto Thoma Aquinate compositus hac lege metrica,

nempe quod primus versiculus Carmen est Trochaicum Dimetrum Acatalepticum, alter vero Brachicatalepticum: et lege

hac totus hymnus est dispositus.

Pāngē līnguă glōrĭōsī Cōrpŏrĭs mȳstērĭūm, Sānguīnīsquĕ præ̅tĭōsī, Quēm īn Mūndī præ̅tĭūm Fructus Ventris generosi Rex effudit Gentium.

Nobis datus, nobis natus Ex intacta Vírgine, Et in Mundo conversatus, Sparso verbi semine, Sui moras incolatus Miro clausit ordine.

In supremæ nocte Cænæ Recumbens cum Fratribus, Observata lege plenè Cibis in legalibus: Cibum turbæ duodenæ Se dat suis Manibus.

Verbum Caro panem verum Verbo Carnem efficit: Fitque Sanguis Christi merum, Et si sensus deficit: Ad firmandum cor sincerum Sola fides sufficit.

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Altro Inno allo Spirito Santo composto da Autore ignoto (verisimilmente dallo stesso

Sant’Ambogio) secondo la regola del Verso Trocaico Dimetro Catalettico.

Vieni, santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri, vieni datore dei doni, vieni, luce dei cuori.

Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo.

Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto.

O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa.

Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina.

Piega ciò che rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato.

Dona ai tuoi fedeli che in te confidano i sette santi doni.

Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna. Amen.

_________________________________________________________

Lezione II.

Inno al Santissimo e Divinissimo Sacramento composto da San Tommaso d’Aquino, con questa regola metrica,

il primo versetto è un componimento Trocaico Dimetro Acatalettico,

il secondo invece un Brachicatalettico: l’intero Inno è articolato secondo questa norma.

Canta o lingua il mistero,

del glorioso Corpo e del sangue prezioso che per riscatto del Mondo, frutto del Ventre generoso, offrì il Re delle Genti.

A noi dato, per noi nato dall’immacolata Vergine e nel mondo dimorato, il seme della Parola gettato, concluse il tempo della sua dimora con un rito mirabile.

Nella notte dell'ultima cena, a tavola con i fratelli, osservata appieno la Legge sul pasto pasquale, si dà con le sue Mani in cibo alla schiera dei Dodici.

La Parola incarnata trasforma con una Parola il pane in Carne, il vino diventa Sangue di Cristo, e se i sensi vengono meno, la sola fede basta a rassicurare un cuore sincero.

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Tantum ergo Sacramentum

Veneremur cernui: Et antiquum documentum Novo cedat ritui: Præstet fides supplementum Sensuum defectui.

Genitori, Genitoque Laus et jubilatio, Salus, honor, virtus quoque Sit et benedictio: Procedenti ad utroque Compar sit laudatio.

Amen.

Ex altero Hymno de Eucharistico Sacramento, cujus initium

est Verbum supernum prodiens, Nec Patris, &c. ab eodem Doctore Angelico composito juxta

Metrum Carminis Jambici Dimetri

Sē nāscēns dĕdīt sŏcĭūm, Convescens in edulium, Se moriens in prætium, Se regnans dat in praemium.

________________________________________________________

Lectio III.

Hymnus de SS.m̃a Virgine Deipara, et D.ña nostra, a Fortunato juxta Jambici Dimetri Carmen

compositus.

Quēm Tērră, Pōntūs, Sīdĕră Colunt, adorant, prædicant, Trinam regentem machinam Claustrum Mariæ bajulat.

Cui Luna, Sol, et omnia Deserviunt per tempora, Perfusa Cæli gratia, Gestant Puellæ viscera.

Beata Mater munere, Cujus supernus Artifex, Mundum pugillo continens, Ventris sub arca clausus est.

Beata Cæli nuncio, Fæcunda Sancto Spiritu, Desideratus Gentibus, Cujus per Alvum fusus est.

Jesu, tibi sit gloria, Qui natus es de Virgine, Cum Patre, et almo Spiritu, In sempiterna sæcula.

Amen.

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Questo grande Sacramento

adoriamo genuflessi: e l’antico testamento ceda il passo al nuovo rito: e la fede venga in aiuto ad il senso che vacilla

Sia lode, sia gloria E al Padre, e al Figlio, salute, onore e potenza: sia ogni benedizione

a chi procede da entrambi sia dato uguale omaggio.

Amen.

Da un altro Inno, al Sacramento Eucaristico, il cui inizio è

La Parola divina manifestandosi, né del Padre, ecc., composto dallo stesso Dottore Angelico

secondo il Metro del Verso Giambico Dimetro.

Nascendo si offrì come compagno, al banchetto come cibo, morendo come prezzo, regnando si dà in premio. _______________________________________________________________

Lezione III.

Inno alla Vergine Madre di Dio e Nostra Signora, composto da [Venanzio] Fortunato secondo

la norma del Giambico Dimetro.

Chi la Terra, il Mare, le Stelle venerano, adorano, predicano, e regge quei triplici regni lo porta il ventre di Maria.

Colui che in ogni tempo la Luna e il Sole servono, per profusa grazia del Cielo, porta il seno di una Fanciulla.

Beata madre per dono, il cui superno Artefice che tiene il mondo in pugno, è chiuso nell’arca del Ventre.

Beata per annuncio del Cielo feconda di Spirito Santo il desiderato dalla Genti fu generato dal suo Seno.

Gesù, sia a te la gloria, che sei nato dalla Vergine, con il Padre e l’almo Spirito nei sempiterni secoli.

Amen

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Alter Hymnus de eadem Virgine metro pariter Jambico Dimetro ab eodem Fortunato

compositus.

Ō glōrĭōsă Vīrgĭnūm, Sublimis inter Sidera, Qui te creavit, Parvulum Lactante nutris Ubere.

Quod Heva tristis abstulit Tu reddis almo Germine: Intrent ut astra flebiles Cæli recludis cardines.

Tu Regis alti janua, Et aula lucis fulgida: Vitam datam per Virginem Gentes redemptæ pláudite.

Jesu, Tibi sit gloria, Qui natus. &c.

Alter Hymnus de eadem Virgine, metro Trochaico Dimetro Brachicataleptico, a Sancto Bernardo

compositus.

Ăvē, mărīs Stēllă Dĕī mātĕr ālmă, Ātquĕ sēmpēr Vīrgŏ Fĕlīx Cæ̅lī pōrtă.

Sumens illud ave, Gabrielis ore, Funda nos in pace, Mutans Hevæ nomen.

Solve vincla Reis, Profer lumen Cæcis, Mala nostra pelle, Bona cuncta posce.

Monstra te esse Matrem, Sumat per te preces Qui pro nobis natus Tulit esse tuus.

Virgo singularis, Inter omnes mitis, Nos culpis solutos Mites fac, et castos.

Vitam præsta puram, Iter para tutum, Ut videntes Jesum Semper collætemur.

Sit laus Deo Patri, Summo Christo decus, Spiritui Sancto, Tribus honor unus.

Amen.

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Ancora un altro Inno alla Vergine, e ancora in Giambico Dimetro composto dallo stesso

[Venanzio] Fortunato.

O gloriosa fra le Vergini, tu sublime fra le stelle, il Fanciullo che ti ha creato nutri col latte del tuo seno.

Ciò che la triste Eva tolse tu col fecondo Seme rendi: perché i pianti in alto salgano riapri le porte del Cielo.

Tu, porta dell’alto Re, e fulgida sede della luce: la vita ridata attraverso Vergine o uomini redenti applaudite.

Gesu, a Te sia gloria, che sei nato. Ecc.

Ancora un altro Inno allaVergine, in metro Trocaico Dimetro Brachicatalettico, composto

da S. Bernardo1

Ave, Stella del mare, alma madre di Dio e pur sempre Vergine, felice porta del cielo.

Accogliendo quell’Ave, dalla bocca di Gabriele, effondi in noi la pace, mutando il nome di Eva.

Sciogli i vincoli ai Rei, dà la luce ai Ciechi, scaccia i nostri mali, chiedi per noi ogni bene.

Mostrati che sei Madre, e accetti per te le preghiere, colui che nato per noi, volle essere tuo.

Vergine singolare, fra tutte la più mite, rendi anche noi miti

e puri, mondati da colpe Dacci una vita pura,

prepara una via sicura, perché vedendo Gesù

noi gioiamo per sempre. Sia lode a Dio Padre,

gloria al Sommo Cristo, e allo Spirito Santo,

ai Tre un solo onore. Amen.

1 Dell’inno Marucci il 17 marzo 1746 fece “una traduzione poetica” ora pubblicata in FRANCESCO

ANTONIO MARCUCCI, Sermoni per le Feste Mariane (1746- 1749), a cura di Suor Maria Paola Giobbi, Grottammare (AP) 2008, pp. 41-46.

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Lectio IV.

Hymnus de Sancto Michaele Archangelo (cujus Auctor desideratur) metro Jambico Dimetro.

Alter Hymnus de Sancto Michaële, cæterisque Angelis (cujus Auctor pariter desideratur) Carmine Sapphico cum Adónico in fine.

Chrīstĕ, sānctōrūm dĕcŭs Āngĕlōrūm, Gēntĭs hūmānæ̅ Sătŏr, ēt Rĕdēmptǒr, Cæ̅lĭtūm nōbīs trĭbŭās bĕātās Scāndĕrĕ sēdēs. Āngĕlūs pācīs Mĭchăēl īn æ̅dēs Cæ̅lĭtūs nōstrās vĕnĭāt; sĕrēnæ̅ Aūctŏr ūt pācīs lăcry̆mōsa ĭn Ōrcūm Bēllă rĕlēgēt. Angelus fortis Gabriel, ut hostes Pellat antiquos, et amica Cælo, Quæ Triumphator statuit per Orbem Templa revisat. Angelus nostræ medicus salutis Adsit e Cælo Raphael, ut omnes Sanet Ægrotos, dubiosque vitæ Dirigat actus. Virgo Dux pacis, Genitrixque lucis, Et sacer nobis chorus Angelorum Semper assistat, simul et micantis Regia Cæli. Præstet hoc nobis Deitas beata Patris, ac Nati, pariterque Sancti Spiritus, cujus resonat per omnem

Gloria Mundum. Amen.

Tē splēndŏr, ēt vīrtūs Pătrīs Te Vita, Jesu, Cordium, Ab ore qui pendent tuo, Laudamus inter Angelos.

Tibi mille densa millium Ducum corona militat: Sed explicat Victor Crucem Michaël salutis Signifer.

Draconis hic dirum caput In ima pellit tartara.

Ducemque cum rebellibus Cælesti ab arce fulminat.

Contra Ducem superbiæ Sequamur hunc nos Pricipem Ut detur ex Agni trono

Nobis corona gloriæ Patri, simulque Filio,

Tibi Sancte Spiritus Sicut fuit, sit jugiter Sæclum per omne gloria. Amen.

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Lezione IV.

Inno a San Michele Arcangelo (di Autore sconosciuto) in metro Giambico Dimetro.

Te, splendore e virtù del Padre te, Gesù, vita dei Cuori, lodiamo tra gli Angeli, che pendono dalla tua bocca.

ed il Capo dei ribelli dalla rocca Celeste fulmina.

Contro il Capo dei superbi noi seguiamo questo Principe,

A te serve la folta schiera di migliaia di condottieri: Ma Michele portatore di salute Vincitore alza la Croce

Del Dragone il triste capo egli scaccia in fondo al tartaro,

affinché ci sia data la corona della gloria dal Trono dell’Agnello

Al Padre come al Figlio e a Te Spirito Santo sia ancora come fu per i Secoli la gloria. Amen.

Altro Inno a San Michele, e agli altri Angeli (anche questo di Autore sconosciuto)

in Verso Saffico con Adonio finale.

O Cristo, ornamento degli Angeli beati Redentore e Salvatore dell’umana gente a noi concedi di poter salire alle beati sedi Celesti. L’Angelo della pace, Michele, dal Cielo venga nelle nostre case; e come Autore di una serena pace ricacci le tristi guerre nelle sedi dell’Orco. L’Angelo forte Gabriele, ché i nemici antichi vinca, e venga a visitare i templi amici al Cielo, che Cristo Trionfatore sparse per la Terra. L’Angelo medico della nostra salute Raffaele venga giù dal Cielo, e sani gli Ammalati, e guidi le dubbiose azioni della vita. La Vergine Guida di pace, Madre di luce, e il sacro stuolo degli Angeli sempre ci assista, e anche la splendente Regia del Cielo. Questo a noi doni la Divinità beata del Padre, del Figlio, e del Santo Spirito, la loro gloria risuona nel Mondo intero. Amen

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Lectio V.

Hjmnus de Sancto Emygdio, Patrono nostro gloriosissimo, carmine Sapphico cum Adonico in fine.

Aūdĭāt* mīrās ŏrĭēns, cădēnsquĕ Sōl tŭās lau̅dēs, cĕlĕbrēsquĕ pālmās, Præ̅sŭl Ĕmȳgdī, cŏlŭmēn, tŭæ̅quĕ Glōrĭă Gēntīs. O jubar Cæli radiis decorum, O potens signis, meritisque felix, Quem Deus gestis adhiberi suevit Grandibus olim. Éthico primum genitus parente, Illicò nomen Superis dedisti, Mox feras gentes numerosa reddis Agmina Christo. Imperas saxo, látitans repentè Lympha consurgit fluitans salubri Fonte Baptismi, populosque lustras Flumine sacro. Pectoris duros silices repelle, Saxeum cordis tumidi rigorem Contere, ut sordes lacrymosa manans Abluat unda. Non times sævi rabiem Tyranni, Sanguine effuso generose Martyr, Quin tibi abscissum caput usque ad aras Mortuus effers. Nunc triumphator super astra regnans Semitam nobis aditumque monstra, Supplices ductor genitos supernis Sedibus infer. Annuat Cælo Pater, atque Natus Annuat compar utriuque Virtus Spiritus Votis, Deus unus, omni Temporis ævo Amen.

* Sannazárus lib. 2. epigram. sic incipit Himnus in S. Gaudiosi honorem, ad Vesperas.

Audiat surgens pariter, cadensque

Sol tuas laudes, meritosque honores,

Urbis o nostræ Columen, tuæque

Gloria Gentis.

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Lezione V.

Inno a Sant’Emidio Patrono nostro gloriosissimo in verso Saffico con Adonio finale.

Ascolti* il Sole, sorgendo e tramontando le lodi tue mirabili e i celebri allori, Emidio Presule, palma e gloria della tua Gente. O astro che adorni di raggi il Cielo, potente per i segni, beato per i meriti di cui un tempo Dio volle servirsi per grandi azioni. Pur se generato da un padre pagano subito hai dato il nome ai Superni, presto hai portato a Cristo fiere genti in folta schiera. Comandi al sasso, e subito ne sgorga linfa nascosta, che scorre al salubre fonte battesimale, e con l’onda sacra i popoli purifichi. Caccia la durezza aspra dell’animo, scalfisci il rigore di pietra dal cuore superbo, chè l’onda del pianto che si versa lavi le colpe. Tu non temi la rabbia del feroce Tiranno, dopo aver versato il sangue, generoso Martire: pur con il capo reciso fino all’altare morto tu lo porti. Ora trionfatore sopra gli astri assiso a noi mostra il cammino e il via: tu fa da guida ai supplicanti figli alle superne sedi. Annuisca dal Cielo il Padre, il Figlio annuisca ai voti lo Spirito, uguale Valore dell’uno e l’altro, unico Dio in ogni tempo. Amen.

* Sannazaro nel Libro 2 degli Epigrammi così inizia l’Inno in onore di S. Gaudioso, ai Vespri. Ascolti il Sole sorgendo e tramontando

le tue lodi e i meritati onori

della nostra città, Colonna e gloria

della tua Gente.

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Alter Hymnus de eodem S. Emygdio, metro Jambico dímetro.

Jēsū, cōrōnă Mārty̆rūm,

Quī pōst crŭēntă præ̅lĭā Ād sēmpĭtērnā præ̅mĭā Sānctūm vŏcāstī Ĕmȳgdĭūm.

Casti cruoris purpura, Palmáque ovantem nobili, Inter Choros Cælestium Reples beato lumine.

Nunc ejus ad victorias Nos somnolentes excita, Virtutis ad præconia Sopores mersos libera:

Ut invocatus reddidit: Membris salutem languidis;

Sic labe prorsus criminum Arcana purget mentium:

Ut, editis miraculis, Aras deorum diruit; Sic damna præsens arceat Quæcumque nobis imminent:

Ut voce quodam sustulit Cultus nefandos dæmonum; Sic impetret precantibus Æterna Cæli guadia.

Tu postulatis annue Rex magne, Jesu, Martyrum, Cum Patre, et almo Spiritu Regnans per omne sæculum. Amen

Ex altero Hymno de Sancto Emigdio, cujus initium est

Æternæ Regi gloriæ, metro Jambico dimetro, quem Asculana Ecclesia antiquitus in ejus Festo

ad Laudes recitabat.

Ūndā Nātōs nau̅frăgĭī Nātā, Bāptīsmō dĭlŭīt; Dum fluvio, Polimii Natam*, renatam eluit.

Hymnum de Sancto Francisco Salesio, cujus initium Si queris cordis gaudium, metro Jambico dimetro, a nostro Missionario Marcuccio ab Immac. Concept. compositum, heic ponerem, nisi ipsemet Auctor in suo libello, cujus titulus I Cinque Mercoledì di San Francesco di Sales, vernaculâ linguâ explicasset.

* Idest Sanctam Polísiam.

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Altro Inno allo stesso Sant’Emidio, in metro Giambico dimetro1.

Gesù, corona dei Martiri,

che dopo battaglie cruenti ai premi sempiterni hai chiamato Sant’Emidio:

Per la porpora del puro sangue E per la nobile palma esulta

tra la schiera dei Celesti lo riempi del beato lume.

Ora alle sue vittorie sprona noi sonnolenti, all’esaltazione della virtù libera chi è avvolto nel sonno.

Come invocato restituì la salute ai corpi infermi

così dalle macchie delle colpe purifichi i recessi delle menti:

Come, coi miracoli compiuti, ruppe gli altari degli dei così allontani i mali presenti da dovunque ci minaccino:

Come con la parola cancellò gli empi culti dei demoni; così ottenga a chi lo prega l’eterna gioia dei Cieli.

Tu, grande Re dei Martiri, Gesù, ascolte le preghiere, col Padre e l’almo Spirito che regni per l’eternità. Amen.

Da un altro Inno a Sant’Emidio, il cui inizio è

Al re d’eterna gloria, in metro Giambico dimetro, che la Chiesa Ascolana recitava fin dall’antichità

alle Laudi il giorno della sua festa.

Levatasi un’onda, purificò il Figli del naufragio con il Battesimo; mentre col fiume, la Figlia* di Polimio, rinata egli lavò.

L’Inno a San Francesco di Sales, che inizia Se cerchi la gioia del cuore, composto dal nostro Missionario Marcucci dell’Immacolata Concezione, in metro Giambico Dimetro, lo citerei qui se lo stesso Autore non lo avesse già spiegato nel suo libretto intitolata I cinque Mercoledì di S. Francesco di

Sales2, in lingua volgare.

1 L’Inno fu pubblicato da Monsignor Marcucci, con lo pseudonico di “sacerdote ascolano”, in

Esercizio divoto per la Novena o Triduo del glorioso martire Sant’Emidio, primo Vescovo

della città di Ascoli, Macerata 17781, pp. 40-41. * Cioè Santa Polisia. 2 Di questo libro purtroppo non vi è più traccia. Esso è citato anche in altre opere del

Marcucci: Direttorio generale delle Costituzioni, cit., paragrafo secondo, 1.

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Admonitio. Ultimas quatuor lectiones seorsim collegimus ex Poemate sacro De Partu

Virginis percelebris Jacobi Sannazári. Is origine Hispanus ex illustri prosa-pia, Patriaque vero Neapolitanus, anno 1471. natus est. Poëseon mirabili fa-cilitate, copia, amænitate, ingenio, ac arte coluit; eamque tum Italice, tum Latine exercuit. Italice Arcadiam, Bucólica Virgilii imitando, scripsit, in duodecem Prosas Pastorales, ac totidem Éclogas distibutam; quæ, si ab aliqua obscænitate purgetur, amænissima est: necnon alia Carmina scripsit, quæ sub titulo Rime collecta, ac partes in duas distributa fuere. Latinè verò Elegias

+, ac Epigrammata composuit, et præcipue Divinum illud Poema, heroico versu, De Partu Virginis, unius et viginti annorum spatio, indu-striaque elaboratum, ac tres in libros distinctum; in quo de Poëseos perfectione cum Virgilio, quem comínus imitatus est, decertare videtur (tantummodo tamen censuratus a Doctis, quod sacrum, et profanum aliquando miscére velit). In aliorum opera Censor fuit rigidus; attamen Viris doctissimis, et præsertm Petro Bembo Cardinali præclarissimo, acceptissi-mus fuit. Romæ obiit anno 1533., ætatis suæ sexagesimo secundo. Neapolim postea traslatus, in Templo in honorem Beatæ Virginis ab ipso costructo sepultus est. Supra sepulchrum hæc duo leguntur Carmina, a Bembo composita,

Dā sācrō cĭnĕrī flōrēs: hīc īllĕ Mărōnī* Sīncērūs

# Mūsā, prōxĭmŭs, ūt tŭmŭlō.

Lectio VI.

Disticon ad Puerum Jesum in Præsépe.* Christe Deus, lumen verum de lumine vero,

Factus Homo verus, tu miserere mei.

Aliud Disticon ad Deíparam Virginem.

Virgo Dei Genitrix, succurre piissima nobis, Funde preces Nato, Virgo beata tuo.

+ Eclogas Piscatorias. * Cognomentum Virgilii. # Cognomentum Sannázari, ut Poeta: cognominabatur enim Actius Sincerus. * Utrius Distici Auctor est Don Lazarus Cárdona Siculus, celeberrimus Sannazari de Partu

Virginis Commentator.

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Avvertenza. Le ultime quattro lezioni le abbiamo tratte in particolare dal Poema sacro Il

Parto della Vergine del famosissimo Jacopo Sannazaro. Spagnolo discendente da una illustre famiglia, ma Napoletano di Patria, nacque nel 1471. Coltivò la Poesia con straordinaria facilità, abbondanza, amenità, ingegno e arte, la esercitò sia in Italiano, sia in Latino. In Italiano scrisse l’Arcadia, opera Bucolica ad imitazione di Virgilio, suddivisa in dodici Prose Pastorali e altrettanti Egloghe; se fossero eliminate alcune oscenità, l’opera sarebbe molto piacevole: scrisse anche altri Componimenti, che furono raccolti sotto il titolo di Rime e divise in due parti. In Latino compose Elegie

+ e Epigrammi, e soprattutto il famoso Poema, in esametri, Il Parto

della Vergine, composto in ventuno anni e con grande ricercatezza, sud-diviso in tre libri; in esso sembra gareggiare in perfezione poetica con Virgilio, che comunque imitò (ma è stato criticato dai Dotti, perché qualche volta vorrebbe mescolare il sacro e il profano). Fu censore rigidissimo delle opere altrui; tuttavia fu molto apprezzato dagli Uomini più dotti, e soprat-tutto dal famosissimo Cardinale Pietro Bembo. Morì a Roma nel 1533, all’età di 62 anni. Fu trasportato a Napoli, e fu sepolto nel tempio costruito da lui stesso in onore della Beata Vergine. Sul sepolcro si leggono questi due versi composte da Bembo cioè,

Dà fiori al sacro cenere: qui quell’illustre Sincero# è vicino al Marone* per la Poesia, come per il tumolo.1

Lezione VI.

Distico a Gesù Bambino nel Presepio.*

O Cristo Dio, luce vera da luce vera divenuto Uomo vero, abbi pietà di noi.

Altro Distico alla Vergine Madre di Dio.

Vergine Madre di Dio, vieni piissima in nostro soccorso, porgi preghiere al tuo Figlio, o Vergine beata.

+ Ecloghe piscatorie. # Nome di Sannazaro come Poeta: si chiamava infatti Azzio Sincero. * Nome di Virgilio. 1 Così l’ha tradotto Leopardi “Spargi qui fiori, ove a Maron vicino / Ha di giacer il vanto / chi sì

vicin di già fu a lui nel canto (GIACOMO LEOPARDI, Puerili, in Poesie e prose, volume I, Poesie, Milano 2006, p. 882.

* L’Autore di entrambi i Distici è Don Lazaro Cardona, Siciliano, famosissimo Commentatore del Parto della Vergine di Sannazaro. (Cfr., Commentaria in tres libros de Virginis partu a

Sannazaro editos LAZARI CARDONAE presbyteri u.i.d. Siculi Modicani, Venetiis 1584)

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Ex lib. I de Partu Virginis, cujus initium est, Vīrgĭnĕī Pārtūs, māgnōquĕ æ̅quæ̅vă Părēntī Propositio.

Prōgĕnĭēs, sŭpĕrās Cæ̅lī quæ̅ mīssă pĕr au̅rās, Antiquam Generis labem mortalibus aegris Abluit, obstructique viam patefecit Olympi*, Sit mihi, Caelicolae, primus labor, hoc mihi primum 5 Surgat opus, Vos auditas ab origine causas, Invocatio. Et tanti seriem, (si fas est) evolvite facti. Nec minus, o Musæ, Vatum decus, &c.

_________________________________________________________________

Lectio VII.

Ex eodem lib. 1. de Partu Virginis. Viderat ætherea superum Regnator ab arce, Narratio.

Undique collectas vectari in tartara prædas, &c. Tum pectus Pater, æterno succensus amore, 40

Sic secum: Ecquis erit finis? tantum ne Parentum Prisca luent pœnis seri commissa Nepotes? Ut quos victuros semper Superisque crearam Penè pares, tristi patiar succumbere letho,

Informesque domos, obscuraque Regna subire? 45 Non ita: sed Divum potius revocentur ad oras, &c. ................................................................................ Quumque caput fuerit, tantorumque una malorum 51 Fœmina principium, lacrymasque, et funera terris Intulerit: nunc auxilium ferat ipsa, modumque, Qua licet, afflictis imponat femina rebus.

Hæc ait: &c. __________________________________________________________

Lectio VIII.

Ex eodem lib. 1. de Partu Virginis. Hæc ait: et celerem stellata in veste Ministrum, 55

Qui castæ divina ferat Mandata Puellæ, Alloquitur, facie insignem et fulgentibus alis: &c. ............................................................................... Te decet ire, novumque in sæcula jungere fœdus: 60 Nunc animum huc adverte; atque hæc sub pectore serva: Est urbeis &c.

* Olympi obstructi, idest Cæli clausi.

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dal Libro 1. Il Parto della Vergine, che così inizia, Il Frutto del Virgineo Parto, coeterno al grande Proposizione.

Padre, che, inviato per le superne aure del Cielo, lavò l’antica macchia d’Origine agli egri mortali, e spalancò di nuovo la via del serrato Olimpo*, sia per me, o Celesti, la prima fatica: quest’opera sia 5 prima per me: Voi, (se è lecito) dipanate le cause Invocazione. udite fin dall’origine, e la serie di così grande fatto. Né voi da meno, o Muse, ornamento dei Vati, ecc.

____________________________________________________________

Lezione VII.

Dal stesso libro 1. Il Parto della Vergine. Il Re dei Superni aveva visto dall’eterea rocca Narrazione.

trascinare nel tartaro, le prede d’ogni parte adunate, ecc. Allora il Padre acceso nell’animo da eterno amore 40 così tra sé: “Ci sarà mai una fine? I tardi Nipoti laveranno le antiche colpe dei Padri con così lunghe pene? E quelli che avevo creato perché sempre vivessero, e quasi pari ai Superni, sopporterò che subiscano una triste fine, e raggiungano le informi case e gli oscuri Regni? 45 Non così: anzi saranno richiamati alle sedi dei Numi. ecc. ............................................................................................ 50 Poiché una sola donna fu il principio e l’origine di così grandi mali, e lacrime e morte portò sulla terra: ora la stessa donna porti soccorso ponga fine alle afflizioni, nel modo che è lecito”. Così dice, ecc. ________________________________________________________

Lezione VIII.

Dal stesso libro 1. Il Parto della Vergine. Così dice: poi si rivolge al veloce Ministro dalla veste 55

stellata, bello nel volto e con le ali fulgenti, perché porti a una casta Fanciulla i divini comandi, ecc. .............................................................................. “Tu devi andare a stringere per l’eternità un nuovo patto: 60 ora per questo ascolta e conserva in petto queste parole. C’è tra le città, ecc.

* Del serrato Olimpo, cioè del Cielo chiuso.

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Hanc mihi Virginibus jampridem ex omnibus unam Delegi, prudensque animo interiore locavi, Ut foret intacta sanctumque1 Numen in alvo 75

Conciperet, ferretque pios sine semine partus: Ergo age; nubivagos molire per aera gressus, Deveniensque locum castas hæc, jussus, ad aures Effare; et pulchris cunctantem hortatibus imple. &c. Dixerat: Ille, altum Zephris per inane vocatis, 85 Carpit iter, scindit nebulas, atque aera tranat Ima petens, &c.

Lectio IX. et ultima

Ex eodem libro 1. de Partu Virginis. His dictis, Regina oculos ad sidera tollens, &c. 177 Annuit, et tales emisit pectore voces: &c.

En adsum; accipio venerans tua jussa, tuumque 181 Dulce sacrum, Pater omnipotens, &c.

Ex libro 2 . de Partu Virginis. Divinum, spectante polo, spectantibus astris, 360

Edit ONUS, &c. Tunc Puerum tepido Genitrix involvit amictu, Exceptumque sinu, blandeque ad pectora pressum Detulit in Præsepe, hìc illum mitia anhelo Ore fovent Jumenta. O rerum occulta potestas! 380 Protinus agnoscens Dominum procumbit humi bos Cernuus, et mora nulla, simul procumbit asellus Submittens caput, et trepidanti poplite adorat.

Ex lib. 3 . de Partu Virginis.

Pastores, ite, antra novis intendite sertis, Reginam ad cunas, positumque in stramine Regem (Certa fides) alti jamjam Moderator Olympi Cernere dat; properate, novique tepentia lactis 140 Munera, cumque suo date condita subere mella: Insuetum, et sylvis stipulâ deducite carmen.

1 Sanctum quæ.

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Lei sola fra tutte le Vergini da gran tempo io ho scelto per me, e provvidenziale l’ho posta nei disegni reconditi: che fosse intatta colei che1 doveva concepire in seno il santo 75 Nume, e senza il seme doveva realizzare il pio parto. Allora orsù, affretta i nubivagi passi per l’aria, e, giunto sul luogo, riferisci, come ordinato, alle caste orecchie ciò, e con belle parole sollecita lei riluttante”. Ecc. Così aveva detto: egli si avvia nell’immenso vuoto, 85 e chiamati i Zefiri, attraversa le nubi, e vola nell’aria verso la terra, ecc.

Lezione IX. e ultima.

Dal stesso libro 1. Il Parto della Vergine. Detto ciò, la Regina, levando gli occhi al cielo, ecc. 177

annuì, e trasse dal petto tali parole: ecc. 179 eccomi: eccetto riverente i tuoi ordini, e il tuo 181 dolce comando, Padre onnipotente; ecc.

Dal libro 2. Il Parto della Vergine. Sotto gli occhi del cielo, e delle stelle diede alla luce 360

il divino PARTO, ecc. Poi la Madre avvolse il Fanciullo in un tiepido panno, e lo prese in seno, e poi stringendolo teneramente, lo porta verso la mangiatoia, lì lo scaldano i miti animali con la bocca anelante. O straordinario potere della natura! 380 Subito il bue riconoscendo il Signore si prostrò a terra riverente, e senza indugio si prostrò anche l’asinello abbassando la testa, e con le ginocchia trepidanti lo adora.

Dal libro 3. Il Parto della Vergine. Pastori, andate, adornate la grotta di nuove corone,

ormai il Signore dell’alto Olimpo, (è cosa certa) vi concede di vedere la Regina presso la culla e il Re deposto nella paglia, affretatevi e offrite caldi doni 140 di fresco latte, e miele conservato nel proprio favo, e con lo zuffolo traete dalle selve un canto nuovo.

1 Il senso e la metrica fanno supporre un errore di trascrizione.

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Lectionum de Partu Virginis

Costructio sive Ordo Grammaticalis ac Explicatio

Lectionis VI. Virginei Partus, &c. Ordo talis est. Celicolæ, idest o Superi, aut Numina

Cælestia, sive Spiritus, Incolæque Cælestes, Progenies Virginei Partus, idest Christus Jesus, progenies seu filius Mariæ Virginis, quæ ipsum parturivit, que pro et, æquæva, supple Progenies dicta, magno Parenti, scilicet Deo Pa-tri, cui est æqualis secundum Divinitatem. Quæ, scilicet Progenies, missa per

auras superas Cæli, idest jussu Dei Patris discendens a Cælo ad Terras, abluit antiquam labem Generis ægris mortalibus, idest lavit maculam peccati, a Protoplasto Parente orti, Generationis humanæ hominibus a polluta illa radice originem trahentibus: que pro et, patefecit, idest aperuit Viam

obstructi Olympi, idest clausi Cæli. Sit mihi primus labor, idest volens scribere de Virginis partu, laborem hunc primum ac præcipuum arbitror; hoc

opus primum surgat mihi, idest ad utilitatem meam scribatur. Vos, idest o Cælicolæ (si fas est, putà si vobis videtur esse conveniens) evolvite causas

auditas ab origine, idest narrate ac prodite quæ fuerint Causæ tam mirabilis Partus, quas vos a principio audistis, Deo revelante; et seriem tanti facti, idest ordinem mirabilis hujus Divinique Partus.

Nec minus, o Musæ, Vatum decus, idest Poetarum decus, &c. Hic est primus defectus hujus Poetæ, quòd sacrum, et profanum heic miscere incipiat. Invocat enim primò Cælicolas, Spiritusque Cælestes, et in secunda Invoca-tionis parte Musas ac Aónides fabulosas cum veris Cælicolis permiscet.

Lectionis VII. Viderat ætherea. Grammaticalis ordo, ac sensus talis est. Regnator Superum

viderat ab arce ætherea, idest Deus Superorum ac Cælestium Regnator, Creator, atque Rector viderat a Cælo empireo, imò ab æterno in sua mente præviderat prædas, collectas undique, vectari in tartara, scilicet Animas raptas, præditasque a Diabolo, mediante peccato, collectas ac congregatas undique locorum, vectari seu duci ad Inferos. Tum Pater succensus pectus

æterno amore, sic secum, idest tunc Deus Pater habens pectus succensum et inflammatum amore æterno sic dixit secum: Ecquis erit finis? scilicet, Numquid non erit finis? seu, ergo non dabitur finis huic malo? Tantum ne, idest ergo tanto tempore seri Nepotes luent pœnis prisca commissa Pa-

rentum? videlicet, serò descedentes successores, seu Posteri cuncti solvent pœnis antiquum peccatum Adæ, seu propter Adæ peccatum Posteritas tota pœnæ subjacebit? Ut et quos crearam semper victuros pené pares Superis,

patiar succumbere tristi letho, et subire oscura Regna, informes domos?

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Costruzione, ossia Ordine Grammaticale e Spiegazione delle Lezioni Il Parto della Vergine

della Lezione VI. Del Virgineo Parto, ecc. La costruzione è questa. O Celesti, cioè o Superni,

ovvero Numi Celesti, ossia Spiriti, Abitanti Celesti, Il Frutto del Virgineo

Parto, cioè Cristo Gesù, progenie, ossia Figlio di Maria Vergine, che lo par-torì, (que) per e, coevo (coeterno), sottintendi detto Figlio, al Grande Padre, cioè a Dio Padre, a cui è uguale secondo la Divinità. Che, cioè il Figlio, inviato per le Superne aure del Cielo, cioè per comando del Padre scendendo dal Cielo sulla terra, lavò l’antica macchia dell’Origine agli egri mortali, cioè lavò la macchia del peccato, originato dal Progenitore dell’uomo, agli uomini che traggono origine da quella radice macchiata del Genere umano: (que) per e, spalancò, cioè aprì la via del serrato Olimpo, cioè del Cielo chiuso. Sia per me la prima fatica, cioè volendo scrivere il Parto della Vergine, lo ritengo il primo e principale lavoro poetico; quest’opera sia prima per me, cioè si scriva per mia utilità. Voi, cioè o Celesti (se è lecito, cioè se a voi non sembra sconveniente) svolgete le cause udite dall’origine, cioè narrate e manifestate quali furono le cause di un Parto tanto mirabile, che voi udiste dal principio, per rivelazione di Dio; e la serie di così grande

fatto, cioè l’ordine di questo mirabile e Divino Parto. Né voi da meno, o Muse, ornamento dei Vati, cioè decoro dei Poeti, ecc.

Questo è il primo difetto di questo Poeta, poiché comincia a mescolare sacro e profano. Invoca infatti prima gli Abitanti del Cielo, e gli Spiriti Celesti, e nella seconda parte dell’Invocazione mescola le Muse e le favolose Aonidi con i veri Abitanti del Cielo.

della Lezione VII. Aveva visto dall’eterea. La costruzione grammaticale, e il senso è questo. Il Re

dei Superni aveva visto dalla rocca eterea, cioè Dio Re dei Superni e dei Celesti, Creatore e Rettore aveva visto dal Cielo empireo, fin dall’eternità nella sua mente eveva previsto prede d’ogni parte adunate essere trascinate

nel tartaro, cioè le Anime strappate, prede del Diavolo, mediante il peccato, raccolte e radunate da ogni parte della terra, essere trascinate ossia condotte all’Inferno. Allora il Padre acceso nell’animo da eterno amore, così tra sé. cioè allora Dio Padre avendo il petto acceso e infiammato d’amore eterno così disse: Ci sarà mai una fine? cioè Non ci sarà mai una fine?, dunque non si porrà mai fine a questo male? Tanto dunque, cioè dunque per tanto tempo i tardi Nipoti pagheranno con le pene le antiche colpe dei Padri? cioè i discendenti e successori, cioè i Posteri laveranno con le pene l’antico peccato di Adamo, o per il peccato di Adamo tutta la Posterità soggiacerà alla pena? Cosicché, quelli che avevo creato perché sempre vivessero quasi

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Idest, Ut, et quos Posteros creaveram ut semper viverent quasi æquales Spiritibus Cælestibus, ego feram ipsos subdi morti æternæ, et deorsum ire seu præcipitanter ire ad Infera, et ad domum, ubi nulla forma, nulla lux, nullus ordo, sed sempiternus horror inhabitat? Non ita, supple erit: sed potius

revocentur ad oras Divum (per syncopem pro Divorum); scilicet, sed potius Posteri reducantur ad sedes Spirituum Cælestium, ac Beatorum. Cumque una

fœmina fuerit caput et principium tantorum Malorum, et intulerit Terris

lacymas et funera; videlicet, cum una fœmina, seu Eva, fuerit origo, et principium tantorum Malorum, et intulerit Mundo totique Generi humano lacrymas, et mortem: nunc ipsa Fœmina idest SS.m͂a Virgo Maria, ferat

auxilium, et imponat modum afflictis rebus, qua licet, videlicet, ferat auxilium, finem imponat afflictioni, ea parte qua licet, ac convenies est. Hæc

ait: idest, hæc Pater æternus dixit: &c.

Lectionis VIII. Hæc ait: et celerem &c. Ordo, sensusque est. Hæc ait, ac dixit Pater Æternus:

et alloquitur celerem Ministrum in veste stellata, insignem faciem, et fulgen-

tibus alis, qui ferat divina Mandata castæ Puellæ; videlicet, et alloquitur Gabrielem Archangelum, obedientem, ac velocem Ministrum, veste plena stellis indutum, insignem ac pulchrum in facie, et in alis fulgentibus; qui Gabriel ferat divina Mandata castæ Immaculatæque Puellæ. Decet te ire, et

jungere seu stabilire ac firmare novum fœdus, novam putà legem sive pacem in secula, in æternum. Nunc adverte animum huc, idest Mandata mea attende, et audi; atque serva hæc mea mandata sub pectore seu in corde. Est

urbeis, &c., seu est regio inter urbes Phœnicium &c, (describitur hic Regio, et Urbs ad quam missus est Gabriel, et Stirps Regia, et qualitas Deiparæ Virginis). Hanc jampridem unam delegi ex omnibus Virginibus mihi, scilicet, hanc Virginem Mariam longo ante tempore solam ac singularem elegi mihi ex omnibus Verginibus, eamque solam dignam feci Spiritus Sancti habitaculum; et prudens locavi animo interiore, idest prudenter locavi ac statui in mea Mente Divina, ut foret intacta, scilicet ut esset inviolata; et

conciperet sanctum Numen in Alvo, et ferret pios partus sine semine; idest, et uti intacta conciperet Jesum Deum verum in Ventre purissimo, et gestaret pium Divinumque Partum sine hominis operatione, sed Spiritus Sancti tantum Virtute. Ergo age, seu euge; molire gressus nubívagos per aera; videlicet, para gressus per nebulas, ac per aera; et deveniens locum, jussus,

effáre hæc ad aures castas; et imple cunctantem pulchris hortatibus; idest, postquam tu pervenies ad locum, tanquam a me jussus, effare et dic hæc verba ad aures castas Mariæ Virginis; et imple, seu consolare (eique animum adde) pulchris hortatibus eam cunctantem seu verentem ac timentem tuum

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pari ai Superni, sopporterò che subiscano una triste fine, e raggiungano gli

oscuri Regni e le informi case? Cioè, i Posteri che avevo creato perché vivessero sempre quasi uguali agli Spiriti Celesti, io sopporterò che siano sottomessi alla morte eterna, e poi andare o cadere all’Inferno e nella casa, dove non abita nessuna forma, nessuna luce, nessun ordine, ma l’orrore sempiterno? Non così, aggiungi sarà: ma anzi saranno richiamati alle sedi

dei Divi (sincope sta per Divini); cioè ma anzi i Posteri saranno ricondotti alle sedi degli Spiriti Celesti, dei Beati. E come una sola donna fu l’inzio e il

principio di così grandi Mali, e introdusse le lacrime e la morte; cioè, come una donna, ossia Eva fu l’origine e il principio di così grandi Mali, e introdusse nel Mondo e nel Genere umano lacrime e morte: ora proprio la

Donna, cioè la Santissima Vergine Maria porti soccoroso e ponga fine alle

afflizioni, nel modo che è lecito ossia, porti aiuto, e ponga fine all’afflizione, per quanto è lecito, ed è conveniente. Così dice: cioè il Padre eterno dice queste cose: ecc.

Della Lezione VIII. Così dice: poi il veloce ecc. L’ordine e il senso è questo. Queste cose dice, e

disse il Padre Eterno: e chiama il veloce Ministro dalla veste stellata,

splendente in volto con le ali fulgenti, perché porti i comandi divini alla

casta Fanciulla; ossia, e si rivolge a Gabriele Arcangelo, obbediente e veloce Ministro, vestito di un abito pieno di stelle, bello e insigne nel volto, e splendente nelle ali; il quale Gabriele porti i divini ordini alla casta e Immacolata Fanciulla. Tu devi andare a stringere o a stabilire e confermare un nuovo patto, cioè una nuova legge o pace nei secoli, in eterno. Ora a tal

fine ascolta, cioè esegui i miei Comandi e ascolta; e conserva in petto tali

cose i miei ordini. C’è una città, ecc. ossia c’è una regione tra le città dei Fenici ecc. (viene descritto qui la Regione e la Città, in cui è inviato Gabriele, e la Stirpe Regia e la qualità della Vergine Madre di Dio). Questa

sola fra tutte le Vergini da gran tempo io ho scelto per me, cioè questa Vergine Maria da lungo tempo unica e singolare ho scelta per me fra tutte le Vergini, e solo lei ho fatta degna dello Spirito Santo, e provvidenziale l’ho

posta nei reconditi disegni, cioè provvidenzialmente l’ho collocata e fissata nella mia Mente Divina, che fosse intatta, cioè che fosse inviolata; e

concepisse nel Seno il santo Nume, e senza il seme realizzasse il pio parto; cioè e che intatta concepisse Gesù Dio vivo, nel Ventre purissimo, e portasse a gestazione il pio e Divino Parto senza l’intervento dell’uomo, ma soltanto per virtù dello Spirito Santo. Allora orsù, cioè bene; affretta i

nubivagi passi per l’aria, ossia preparati a muovere i passi tra le nubi e l’aria; e giunto sul luogo riferisci, come ordinato alle caste orecchie ciò; sollecita lei riluttante con belle esortazioni; cioè poi giungendo sul luogo, come da me ordinato, parla e dici queste Parole alle orecchie delle casta

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aspectum. Dixerat Pater Æternus: Ille, scilicet Archangelus, subitò carpit

iter per altum inane, vocatis Zephris (per syncopen, idest Zephyris); hoc est, accingitur itineri per altum Cælum, vocatis in adiutorium occidentalibus ventis (Poetica est locutio; nam Angeli pro discensu, et ascensu vento non indigent); scindit nebulas, atque tranat aera, petens ima, &c., idest disrumpit secatque nebulas, atque graditur volans aera, discendens ad Terram, &c.

Lectionis IX. et ultimæ. His dictis Regina &c. Subintellige hic completum Colloquium inter Angelum,

et Virginem. Ordo igitur, ac sensus est. His dictis Regina tollens oculos ad

sidera; &c. scilicet Responsis datis ad Angelum, Regina Cæli elevans oculos ad Cælum, &c. annuit, idest, assentitur, et tales voces emisit pectore, scilicet emisit ex ore, cum prius in corde conceperat. En adsum, idest, Ecce ancilla Domini; Pater omnipotens, venerans accipio tua jussa, et tuum

sacrum dulce, &c., scilicet, O Pater omnipotens, veneranter accipio tua præcepta, et tuum sacrum Mandatum eloquio dulci mihi præpositum, fiat ergo mihi secundum Verbum tuum; &c.

Spectante polo, et astris spectantibus, edit Divinum ONUS, &c. Idest, Cælo spectante ac admirante, et Cælicolis, ac Terrestribus admirantibus, Virgo beatissima parturivit Puerum Jesum, Deum verum, et Hominem, &c.

Tunc Genitrix involvit Puerum, exceptum Sinu, tepido amictu; scilicet, Tunc nato Jesu, ejus Genitrix Virgo Maria involvit eumdem Puerum Jesum, quem in sinu exceperat, amictu seu parvo palio calefacto; et blandè pressum ad

pectora detulit in Præsépe, scilicet, et dulciter admotum pectori suo locavit in Præsepio: hìc mitia jumenta ore anhela fovent illum, putà, in dicto Præsepio Bos, et Asinus ore respirante fovent Puerum. O potestas occulta

verum! Scilicet, O incomprehensibilis, ac penitus inscrutabilis Dei potentia! Protinus bos agnoscens Dominum, cernuus procumbit humi; videlict, subito bos cognoscens Dominum Creatorem, genua flectens procumbit humi adorando; et mora nulla, asellus submittens caput, simul procumbit, et

trepidanti poplite adorat; scilicet, et mora nulla fuit, asellus inclinando caput simul cum bove procumbit, et genibus trepide flexis adorat. Pastores, ite, intendite antra novis sertis, scilicet, Apparens tunc Angelus ad Pastores dixit eis, Pastores ite vos, ornate antra Præsepiumque novis sertis ac coronis; jamjam Moderator alti Olympi (certa fides) dat cernere Reginam ad

Cunas, et regem positum in stramine; videlicet, nunc statim Omnipotens Creator Cæli (certa fides est, credite mihi) concedit vos cernere Reginam Cælorum ad Cunas, et Regem Cælorum positum et jacentem in Præsepio stipulis strato: et properate munera tepentia novi lactis, hoc est, properanter ite ad offerendum ei aliquod vas plenum lacte novo recenter emuncto; et da-

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Maria Vergine, e sollecita, o esorta (falle animo) con belle esortazioni lei perplessa o riverente e timorosa per il tuo aspetto. Aveva detto il Padre eterno. Egli cioè l’Arcangelo subito si avvia attraverso il vuoto cielo

chiamando i Zefri (per sincope cioè i Zeffiri); cioè comincia il cammino per l’Alto Cielo, chiamato in aiuto i Venti occidentali (è locuzione Poetica; gli Angeli per l’Ascesa e la discesa non hanno bisogno di vento); attraverso le

nubi e vola nell’aria verso la terra ecc., cioè rompe e taglia le nubi, volando attraversa l’aria, scendendo sulla Terra, ecc.

della Lezione IX e ultima.

Detto ciò, la Regina ecc. Sottintendi qui il Colloquio completo tra l’Angelo, e la Vergine. L’ordine dunque e il senso è. Detto ciò, la Regina, sollevando gli

occhi al cielo; ecc. cioè Dopo aver risposto all’Angelo, la Regina del Cielo levando gli occhi al cielo, ecc. annuì, cioè assentì, e trasse dal petto tali pa-

role, ossia emise dalla bocca quanto prima aveva concepito nel cuore. Ecco-

mi, cioè, Ecco l’Ancella del Signore; Padre onnipotente, riverente accetto i

tuoi ordini e il tuo dolce comando, ecc. ossia, O Padre onnipotente, con rive-renza accolgo i tuoi precetti, e il tuo sacro Comando propostomi con dolci parole, sia fatta di me secondo la tua Parola; ecc.

Sotto gli occhi del cielo e delle stelle, diede alla luce il Divino PARTO, ecc. Cioè, Osservata e ammirata dal Cielo, e con Meraviglia del Cielo e della Terra la beatissima Vergine partorì il Fanciullo Gesù, Dio Vero e Uomo, ecc.

Poi la Madre avvolse il Fanciullo, accoltolo in seno, in tiepido panno; cioè, Poi, la Madre, la Vergine Maria avvolse il Fanciullo, Gesù, che aveva ac-colto in seno, in un vestito o piccolo panno scaldato; e strettolo teneramente

al petto lo depose nel Presepio, ossia, e portatolo dolcemente al suo petto lo pose nel Presepio: lì i miti animali con la bocca anelante lo scaldano, cioè, in detto Presepio il Bue e l’Asino con la bocca spirante scaldano il Fanciullo. O potere straordinario della natura! Ossia, O incomprensibile, e quasi imperscrutabile potenza di Dio! Subito il bue riconoscendo il Signore, si

prostra a terra riverente; ossia, subito il bue riconoscendo il Signore Crea-tore, piegando le ginocchia si prostra al suolo adorando; e senza indugio, si

prostra anche l’asinello abbassando la testa, e adora con le trepidanti

ginocchia; ossia, e non ci fu alcun indugio, l’asinello piegando la testa insieme al bue si prostra, e timorosamente, con le ginocchia piegate, adora.

Pastori, andate, adornate la grotta di nuove corone, ossia, poi l’Angelo apparendo ai Pastori disse loro, Pastori, adornate la grotta e il Presepio con nuove fronde e corone; ormai il Signore dell’alto Olimpo, (è cosa certa) vi

concede di vedere la Regina presso la Culla, e il Re deposto nella paglia; ossia, ora immediatamente l’Onnipotente Creatore del Cielo (la fede è certa, credetemi) vi concede di vedere la Regina dei Cieli vicino alla Culla, e il Re

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te mella condita cum suo subere, idest cum suo alveo seu alveari; et deducite

sylvis stipulâ insuetum carmen; scilicet, et canendo deducite ac ferte e sylvis cum stipula seu tibia carmen insuetum, ac ultra modum gratum, et dulce.

Omnipotenti Deo, Deiparæque Virgini sine labe conceptæ sit gloria,

decus, et honor in sæcula. Amen Fi n i s

Corollarium. Aliqua Epigramma ex variis selecta.

Epigramma a Patre nostro compositum.

De Asello Puerum Jesum adorante.

Quòd pius et supplex, Te, Christus, adorat Asellus, Hic qui inter stolidas tam speciosus erat: Non facit hoc jussus, nulloque docente Magistro; Numen Divinum sentit et ille tuum.

Aliud epigramma ejusdem Auctoris. Ad Christum Jesum amabilem.

Magna licet totiens tribuas, maiora daturus Dona, Ducum Victor, Rector et ipse potens; Diligeris Populo, non propter præmia, Jesu, Propter te Populus præmia, Christus, amat.

De mirabili Urbe Venetiis.

Epigrammma, Auctore Sannazaro, ex lib. 1. ejus epigram.

Viderat Hadriacis Venetam Neptunus in undis Stare Urbem, et toto ponere jura Mari. Nunc mihi Tarpejas quantumvis Juppiter arces Objice, et illa tui mœnia Martis, ait: Si Pelago Tybrim præfers, Urbem aspice utramque,

Illam Homines dices, hanc posuisse Deos.

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dei Cieli posto a giacere nel Presepio coperto di paglia: e affrettatevi e offrite

caldi doni di fresco latte, cioè, andate in fretta ad offrirgli alcune tazze piene di latte fresco appena munto; e miele conservato nel proprio favo, cioè con il suo favo o alveare; e traete fuori dalle selve con lo zuffolo un canto nuovo; ossia e cantando conducete e portate fuori dalle selve con lo zuffolo o flauto una canzone insolita e molto piacevole e dolce.

A Dio onnipotente, e alla Vergine madre di Dio concepita senza macchia sia gloria,

venerazione e onore nei secoli Amen. F i n e.

Corollario

Alcuni epigrammi scelti da vari Autori.

Epigramma composto dal nostro Fondatore1. L’Asinello che adora Gesù Bambino

Se pio e supplice, o Cristo, ti adora l’Asinello, quello che tra gli sciocchi era tanto grande:

non lo fa a comando, e non c’è Maestro dietro; sente anche lui intorno il Divino Nume.

Altro epigramma dello stesso Autore A Cristo Gesù amorevole.

Benché tu faccia molti doni, e molti ancora ne farai, tu Vincitore di Re e tu stesso Regitore potente;

tu sarai amato, o Gesù, dal Popolo, non per i tuoi doni, ma per te, o Cristo, il Popolo ama i tuoi doni,

Venezia città meravigliosa.

Epigramma, di Sannazzaro, dal libro 1. dei suoi epigrammi.

Nettuno aveva visto la Città Veneta signoreggiare sulle onde Adriatiche, e dettare leggi in tutto il Mare. Vantami pure ora quanto vuoi, o Giove, disse, la Tarpea rupe e le famose mura del tuo grande Marte: Se preferisci il Tevere al mare, guarda entrambi le città: quella dirai l’hanno fondata gli Uomini, questa gli Dei. 1 Questo epigramma (composto sul modello di Marziale (vedi pp. 166-167) è pure alle pagine

232-233; il succesivo (ancora una variazione di Marziale vedi pp. 166-167), riprende, con diversa dedica e alcune varianti, quello delle pagine 232-233.

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Pro Memoriæ exercitio, Octobris Mense, Quolibet in anno.

Numerus Versuum &c.

Ex Juvenco, Post Præfa(tio)nem, ducenti octoginta quatuor Versus &c.,

ac tres et triginta ex Corollario

Ex Sedulio, Post Præfa(tio)nem, tercenti quadraginta septem Versus &c.,

ac quinque ex Corollario; ubi de Anagrammate Numerico, et de Acrostichide agitur.

Sequuntur Centones Probæ Falconiæ,

Mulieris clarissimæ.

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Per esercitazione della Memoria, nel Mese di Ottobre, di Ogni anno.

Numero di Versi ecc.

Da Giovenco, Dopo la Prefazione duecento ottantaquattro Versi, Ecc.

e trentatré di Corollario.

Da Sedulio, Dopo la prefazione trecento quarantasette Versi, Ecc. e cinque di Corollario; dove si parla dell’Anagramma

Numerico, e dell’Acrostico.

Seguono i Centoni di Proba Falconia, Donna nobilissima.

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DE VITA, ET OPERIBUS JESU CHRISTI

SERVATORIS N(OST)RI

Excerptio metrica

ex

Juvenco, & Sedúlio Presbyteris, sacrisque optimis Poetis:

et ex Proba Falconia.

Per F.A.M. ab Imm. Conc.

Sabbato, IV. Nonas Octobris, MDCCXLIX. _____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

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EX JUVENCO.

Juvencus Presbiter fuit Hispanus, et insignis Poeta (cujus meminit Sanctus

Hieronymus in Catalogo Scriptorum Ecclesiasticorum). Is sacrosancta Evangelia quatuor libris heroico carmine complexus, pene ad verbum transtulit. Vixit tempore Costantini Magni Imperatoris, cui elegans Opus suum nuncupavit circa annum a Christo Domino nato 332.

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LA VITA E LE OPERE DI GESU CRISTO

NOSTRO SALVATORE

Antologia metrica

da

Giovenco e Sedulio Preti e ottimi Poeti sacri, e da Proba Falconia.

di Francesco Antonio Marcucci dell’Immacolata Concezione

Sabato, 4 Ottobre 1749. ________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

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DA GIOVENCO.

Giovenco era un Prete Spagnolo e un insigne Poeta (di lui fa menzione San

Girolamo nel Catalogo degli Scrittori ecclesiastici). Traspose in quattro

libri di esametri, quasi parola per parola, i Santi Vangeli. Visse al tempo dell’Imperatore Costantino il Grande, al quale dedicò la sua elegante Opera intorno all’anno 332 dopo Cristo.

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Ex lib 1. De Evangelica historia

De Salutatione Angelica Luc. 1.

Salve Progeniem Terris paritura salubrem, 93 Desine conspectu mentem turbare verendo: Nam tua concipient Cælesti Viscera jussu 95 Natum, quem regnare Deus per secula cuncta,

Et propriam credi Subolem gaudetque, jubetque; Hunc ubi sub lucem dederis sit nomen Iesus.*

Nullos conceptus fieri sine conjuge dicunt, 100 Unde igitur Subolem mihi nunc sperabo venire? Virtus cælsa Dei circumvolitabit obumbrans Spiritus, et veniet purus, lætissima1 Virgo, Ac tibi mox Puerum casto sermone jubebit 105 Magnificum gigni Populis, quem credere sanctum, Supremique Dei Natum vocitare necesse est. Virgo dehinc, Domino Famulam nunc ecce jubenti, 110

Ut tua verba sonant, cernis servire paratam.

Ex eod. lib. 1. De Visitatione Virginis ad Elisabeth.

Luc. 1. Illa dehinc rapidis Judæam passibus urbem, 115

Zacchariæque domum penetrat gravidamque salutat Helisabeth, clausæ cui protinus anxia Prolis Membra uteri gremio motu majore resultant. Et simul exiluit, Mater concussa tremore Divinæque Vocis completa afflamine sancto, 120 Et magnum, clamans, felix o Fœmina, Salve, Felicem gestans Uteri sinuamine Fœtum! Unde mea[m] tanto voluit Deus æquus honore Illustrare domum, quam Mater Numins alti Viseret? Ecce meo gaudens in Viscere Proles 125 Exultat, Mariæ cum prima afflamina sensit. Felix, quæ credit finem mox affore Verbis, Quæ Deus ad Famulos magnum dignando loquetur.

* Ĭēsūs, heic est nomen trisyllabum Græcorum more. 1 Lectissima.

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Dal libro 1. Il racconto Evangelico.

Il Saluto dell’Angelo. Luca 1.

Salute a te che partorirai alla Terra un Figlio che salva, 93 cessa di turbarti la mente temendo la mia visione: ecco le tue Viscere concepiranno per Divino volere 95 un Figlio, che Dio gioisce e comanda che regni per i secoli eterni, e che sia creduto suo Figlio; appena l’avrai partorito gli sia dato nome Gesù.*

Dicono che senza marito nessun concepimento possa 100 avvenire, da dove debbo sperare che mi arrivi un Figlio?

L’eccelsa potenza di Dio scenderà coprendoti con la sua ombra, e lo Spirito puro verrà su di te, o Vergine prediletta1, e subito ti ordinerà con casta parola di generare 105

per i Popoli un Fanciullo Magnifico, che tutti dovranno credere Santo e chiamare Figlio di Dio Altissimo. La Vergine allora: “Eccomi sono l’Ancella del volere del Dio, 112 considerami pronta a servire, come suonano le tue parole”.

dal medesimo libro 1. La visita della Vergine ad Elisabetta. Luca 1.

Poi essa con rapidi passi va in una città di Giudea 115 ed entra nella casa di Zaccaria e saluta Elisabetta, incinta, a cui le membra, nel grembo, affannate

per il Figlio che ha dentro, sussultarono più forte. La Madre insieme sobbalzò, percossa dal tremore della Voce Divina, ricolma di santa ispirazione, 120 forte disse: esclamando “Salute, o Donna beata,

che porti nel curva del Grembo un Figlio Beato! Perché Dio giusto volle rendere così tanto onore alla mia casa, che l’ha visitata la Madre dell’alto Signore? Ecco, gioiendo dentro al mio Seno, il Bimbo 125 ha esultato, appena ha sentito le prim parole di Maria.

Beata, colei che crede che si avvereranno le Parole che Dio con grande degnazione rivolse ai suoi Servi.”

* Ĭēsūs (Gesù), qui è un nome trisillabo secondo l’uso greco. 1 Prediletta. La lezione lætissima non è segnalata neppure dal Migne (cfr. Patrolologiæ, cursus, cit., IX, c.

73-74).

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Tunc illic mansit trinos ex ordine menses, 138 Ad propriamque domum repedat jam certa futuri.

Ex eod. lib. 1. De Descriptione totius Orbis

jussu Cæsari Augusti. Luc. 2.

Sed cum forte novi capitum discussio census 179 Cæsaris Augusti jussis per plurima Terræ 180

Describebatur Syríæ, quam jure regebat Cyrinus, proprii cui tota per oppida fines Addebant Populi vires, nomenque, genusque.

Urbs est Judææ, Bĕtlĕem Davída canorum Quæ genuit, generis censum, quæ jure petebat: 185 Edidit hic Mariam, Davidis origine Joseph, Desponsamque sibi scribens, gravidamque professus. Hospitum amborum Bethleem, sub mœnibus Urbis Angusti fuerant per parva habitacula juris. Illic Virgo novum, completo tempore Fætum Nativitas 190 Edidit, et leni pannoso tegmine motu Christi

Texit, cui durum cunas Præsepe ministrat,

Ex eod. lib. 1. Angelus ad Pastores &c.

Luc. 2.

Cura sollicitæ pecudum, custodia noctis 193 Pastores tenuit vigiles per pascua læta, Ecce Dei monitu visus descendere Cœlo 195 Nuncius, et subito terror tremefacta pavore Prostravit viridi Pastorum corpora terræ. Talis et attonitis Cælo vox missa cucurrit: Ponite terrorem mentis, mea sumite dicta Pastores, quibus hæc ingentia gaudia porto; 200 Nam genitus Puer est, Davidis origine clara, Qui Populis lucem mox, lætitiamque propaget: Hoc signum dicam, Puerumque cernere vobis Jam licet implentem gracili præsepia voce. Talia dicenti junguntur millia Plebis 205 Cælestis, cunctique Deum laudantque, rogantque, Gloria supremum comitetur debita Patrem, In Terris justos Homines pax digna sequetur, Et simul his dictis, Cœli secreta revisunt.

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Allora rimase li rimase lì Maria per tre mesi di seguito, 138 e ritornò a casa sua ormai sicura degli eventi futuri.

dal medesimo libro 1. Censimento di tutto l’Impero per ordine

di Cesare Augusto. Luca 2.

Poiché in quel tempo si teneva la revisione dei popoli 179 della Siria, che di diritto reggeva Quirino, per il nuovo 180 censimento, ordinato da Cesare Augusto in tutto l’Impero, i suoi sudditi gli andavano a dichiarare i possedimenti nei diversi territori, le sostanze, il nome e la stirpe. Betlemme è una città di Giudea, che ha dato i natali a Davide cantore, e a ragione chedeva il censo della stirpe: 185 qui Giuseppe, della discendenza di Davide, condusse Maria, e la registrò come sua sposa, e dichiarò che era incinta, Betlemme fu dimora di entrambi, presso le mura della città, in una casa modesta, poiché di condizione angusta. Qui la Vergine, compiuto il tempo, diede alla luce Natività 190 il Figlio primogenito, e lo avvolse con mano leggera di Cristo in fasce di panno, e un duro Presepe gli fece da culla.

dal medesimo libro 1. L’Angelo annunzia ai Pastori.

Luca 2. L’attenta custodia del gregge di una notte inquieta 193

teneva svegli i Pastori distesi sulla fertile terra, ecco inviato da Dio fu visto discendere dal Cielo 195 un Angelo, e subito lo spavento prostrò a terra le membra tremanti di paura dei Pastori, e tale voce inviata dal Cielo corse sugli attoniti visi:

Allontanate la paura della mente, ascoltate i miei detti, o Pastori, io vi annuncio una immensa gioia; 200 infatti è nato un Bambino dall’illustre stirpe di Davide che presto diffonderà tra i Popoli la luce e la gioia: Vi dò questo per segno, potrete vedere un Bambino che già riempie il Presepio con la sua debole voce”. Mentre ancora diceva tali cose migliaia di Creature celesti 205 si aggiunsero a lui e tutti lodavano e invocavano Dio, “La Gloria dovuta accompagna il Padre Supremo, e sulla Terra una degna pace seguirà gli Uomini giusti”. E dette queste parole, subito tornano verso i recessi del Cielo.

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Pastores properè veniunt, Puerumque jacentem 210 Præsepis gremio cernunt, post inde frequentes Dispergunt latè celebris vaga semina famæ, Mirantes laudant, lætantes constupuerunt Omnia nocturnis monitis, quòd vera recurrant.

Ex eod. lib. 1. De Adoratione Magorum.

Matth. 2. Gens est ulterior surgenti proxima Soli 259

Astrorum solers, ortusque, obitusque notare: Hujus Primóres nomen tenuere Magorum, Hinc læti1 Proceres, Solymas perlonga viarum Deveniunt, Regemque adeunt, orantque doceri,

Quæ regio imperio Puerum Judæa teneret Progenitum, sese stellæ fulgentis ab ortu 265 Admonitos venisse viam; quo supplice dextra

Exortum Terris, venerabile Numen adorent. Territus Herodes, vatum, legumque peritos,

Quique Prophetarum veterum præsagia noscunt, Imperio accitos, jubet omnia quærere legis, 270 Quo pateat, quæ sint genitalia mœnia Christo; Omnia venturum spondent, quem oracula Vatum. Tunc manifestant Bethleem, quòd mœnibus illum Progigni maneat, cui sacram ducere plebem Israelitarum sancta virtute necesse est. 275 Tunc jubet Herodes Persas pertendere gressum, Inventumque sibi Puerum mostrare colendum: Ecce viæ medio stellam præcurrere cernunt Sulcantem flammis auras, quæ in culmine summo Restitit, et Pueri lustrata habitacula monstrat 280 Gaudia magna Magi gaudent, sidusque salutant: At postquam Puerum videre sub ubere Matris, Dejecti prono texere corpore terram, Submissique simul, mox mystica munera promunt, Thus, Aurum, Myrrha, Regique, Hominique, Deoque 285 Dona ferunt, totam mox horrida sommnia noctem Sollicitant, sævumque jubent vitare Tyrannum. Denique diversis Herodis callibus aulam Diffugiunt, patriamque Magi rediere latenter.

1 Lecti.

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I Pastori giungono in fretta, e vedono il Bambino 210 che giace in un Presepio, poi dopo tutti insieme spargono ovunque i semi leggeri della celere fama, lodano con ammirazione, e stupiscono pieni di gioia e ripensano ai moniti notturni, che tutti si sono avverati. 215

Dal medesimo libro. 1. L’Adorazione dei Magi. .

Matteo. 2 C’è un Popolo d’Oriente, vicino al luogo dove sorge il Sole, 259

che sa osservare la nascita e il tramonto degli astri: i Capi di questi popoli avevano il nome di Magi. Da lì Nobili scelti1 giungono dopo un lungo cammino a Solima, e vanno dal Re e chiedono di indicargli quale città della Giudea accoglie il Bambino nato per comandare, essi hanno fatto il viaggio avvertiti 265 dalla comparsa di una stella fulgente; per venerare con supplice mano il sacro Nume venuto sulla Terra. Erode impaurito, convocati con un editto gli esperti di Leggi e di Vati, e quelli che conoscono i presagi degli antichi Profeti, ordina di cercare in tutta la Legge, 270 per sapere quale città debba dare a Cristo i natali; tutti gli oracoli dei Vati dicono che egli sarebbe venuto e indicano poi Betlemme, perciò è certo in quale città sarebbe nato colui che doveva governare il popolo eletto degli Israeliti con il santo valore. 275 Erode allora comanda ai Persi di proseguire il cammino, e trovato il Bambino di mostrarglielo per venerarlo: ecco vedono durante il cammino una stella procederli che solca con la fiamma il cielo, e nel punto più alto si ferma, e indica, illuminandola, la dimora del Bambino. 280 I Magi provano grande gioia, e salutano l’astro: e quando videro al seno della Madre il Bambino, in ginocchio coprirono con il corpo riverso la terra, e poi insieme proni, presentano i mistici omaggi Incenso, Oro, Mirra, al Re, all’Uomo, al Dio, 285 portano in dono, poi per tutta la notte sogni orrendi li assillano e comandano di evitare il crudele Tiranno. Per tanto i Magi per una via diversa fuggono dalla reggia di Erode, e di nascosto tornarono in patria.

1 Vedi nota p. 215.

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Ex eod. lib. 1. Disputatio Jesu cum D(octori)bus &c. Luc. 2.

Ut jam bis senos ævi comprenderat annos, 316 Cum Paschæ ritum servando ex more Parentes

Ad Templum læti Puerum perducere festis Omnibus annorum vicibus de more solebant; Ergo aderant Paschæ pariter, cunctisque diebus 320 Festorum impletis patriam remeare parabant: Tum Puer in Populo comitis vestigia Matris Deseruit, templique libens secreta petivit. Illum per vicos urbis, per abdita tecta, Perque vias stratas, per notos, perque propinquos 325 Quærebat Genitrix; sed lux ubi tertia venit Ad templum properè remeat, vatumque choreis Invenit insertum legumque obscura senili Tractantem cætu; vix admiratio digna.

Ex eod. lib. 1. De Baptismo Christi

Matth. 3 - Marc. 1. - Luc. 3.

Hæc memorans vitreas penetrabat fluminis undas, 390 Surgenti manifesta Dei præsentia claret; Scinditur auri color septemplicis æthera Cæli Corporeamque gerens speciem descendit ab alto Spiritus, aeriam simulans ex nube Columbam, Et sancto flatu corpus perfudit Ĭēsū: 395 Tunc vox missa Dei longum per inane cucurrit, Ablutumque undis Christum, flatuque perunctum Alloquitur, Te, Nate, hodie per gaudia testor Ex me progenitum, placet hæc mihi gloria Prolis.

Ex lib. 2. Evangelicæ Historiæ

De Miraculis Christi, et præcipue de conversione

aquæ in Vinum in Nuptiis Chana &c. Joan. 2.

Interea thalamis connubia festa parabant 128 In regione Chanaan, ubi mitis Mater Ĭēsū Cum Nato pariter, convivia concelebrabant: Vina sed interea Convivis deficiebant. Tum Mater Christum per talia dicta precatur, Cernis lætitiæ jam deficisse liquorem?

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Dal medesimo libro 1. La disputa di Gesù con i Dottori. Luca. 2.

Aveva già compiuto i dodici anni d’età, quando i Genitori, 316 osservando i riti della Pasqua, secondo l’antica usanza, come erano soliti fare ogni anno, condussero felici il Fanciullo al Tempio per le Festività; erano stati dunque insieme per la Pasqua, compiuti 320 tutti i giorni delle Feste, si preparavano a tornare a casa: il Fanciullo allora abbandonò tra la Folla le orme della Madre, e raggiunse l’interno del Tempio.

La Madre lo cercava nei vicoli della città, nelle case isolate, nelle strade battutte, tra i conoscenti, 325 e tra i parenti; ma quando spunta il terzo giorno torna frettolosa al tempio e lo trova tra una schiera di Saggi, che tratta con un gruppo di anziani oscuri passi della Legge. E l’ammirazione.era grande

Dal medesimo libro. 1. Il Battisimo di Cristo. Matteo. 3 - Marco. 1. - Luca. 3.

E ciò ricordando entrò nelle limpide acque del fiume, 390 mentre avanza risplende manifesta la presenza di Dio; un raggio dorato attraversa i sette strati del Cielo e lo Spirito in forma corporea discese dall’alto, assemendo tra le nuvole la forma di un’aerea Colomba, e perfuse con un santo afflato il corpo di Gesù: 395

e poi corse per l’immenso vuoto una voce inviata da Dio, e così si rivolge al Cristo lavato nell’acqua, e consacrato

dall’afflato: “O Figlio, oggi io attesto che con gioia ti ho generato, e che questa gloria del Figlio mi piace”.

Da libro 2. I racconti Evangelici.

I miracoli di Cristo, e soprattutto la trasformazione

dell’acqua in Vino alle nozze di Cana ecc. Giovanni, 2.

Frattanto nella regione di Canaan per un matrimonio 128 c’era una festa di nozze, e al banchetto partecipavano la benigna Madre di Gesù, insieme a suo Figlio: ma ad un tratto veniva a mancare il vino per i Convitati; allora la Madre si rivolge a Cristo con tali parole: “Vedi che è mancata già la bevanda che dà la letizia?

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Adsint, Nate, bonis ex te data munera mensis. Illi respondet Terrarum gloria Christus, 135 Festinas, Genitrix, nondum me talia cogit Ad victus hominum tempus concedere dona. Mensarum tunc inde vocat lætata Ministros Mater, et imperiis Nati parere jubebat. Sex illi[c] fuerant saxis perpulchra cavatis 140 Vascula, quæ ternis aperirent Ilia metris: Hæc jubet e fontis gremio complere Ministros. Præceptis parent, Juvenes, undasque coronant Completis lapidum labiis, tum spuma per oras Commistas undis auras ad summa volutat. 145 Hinc jubet, ut summo tradant gustanda ministro. Ille ubi percipit venerandi dona saporis, Nescius in vini gratum transisse liquorem Egestas nuper puris de fontibus undas, Increpat ignarum Sponsum, quod pulchra reservans, 150 Deteriora prius per mensas vina dedisset. His signis dignè credentum Discipulorum Perpetuam stabili firmavit robore mentem.

Ex eod. lib. 2. [1] De multorum ægretorum curatione &c.

Matth. 4. - Marc. 4. - Luc. 1. - Joan. 5.

Exin* per terram Galilææ sancta serebat 471

Insinuans Populis Regni præconia Christus Donabatque citam Invalidis, Ægrisque medelam: Et mox crebra procul Syriam jam fama tenebat, Mille sonans linguis præsentia munera Christi. 475 Denique cervatim languores, tabe peresos, Diversisque malis nexos, queis longa dolore Absumpsit populans membrorum robora tabes Mostrabant Christo, facili sed munere cunctos Reddebant properè miranda ad gaudia sanos; 480 Jamque animæ ipsius morbi, sævique furores, Et Lunæ cursum comitata insania mentis Disserrere gravi sermonis pondere jussa.

Ex eod. lib. 2 [1]. De Leprosi mundatione. Matth. 8. - Marc. 2. - Luc. 5.

Denique linquentem celsi fastigia montis 770 * Exin per apocópen, idest Exindè.

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Ci siano, dati da te, o Figlio, i doni della buona mensa.” Cristo gloria della Terra così a lei risponde: 135 “Hai fretta, o Madre, il tempo non è ancora giunto per concedere tali doni per un convito di uomini.” La Madre contenta, subito chiama intanto i servitori del banchetto, e dice di ubbidire agli ordini del Figlio. C’erano lì sei bellissime anfore scavate nella pietra, 140 che aprivano seni di tre metrete: essa comanda ai servitori di riempirle dal grembo della fonte. I Giovani ubbidiscono agli ordini; e riempiono d’acqua i vasi di pietra fino agli orli, allora la schiuma alla sommità attraverso le bocche mescola l’aria all’acqua. 145 Poi dice di portare a provare al maestro di tavola. Quello appena assaggiò i doni del nobile sapore, e non sapeva che l’acqua attinta poco prima da limpida fonte si fosse trasformata nella gradita bevanda del vino, incalza lo Sposo ignaro, che, conservando il migliore, 150 aveva portato sulla tavola prima il vino peggiore. Con questi segni fortificò in modo efficace di sicuro vigore per sempre la mente dei Discepoli che già credevano in Lui.

dal medesimo libro 2. [1] La guarigione di molti malati

Matteo, 4. - Marco, 4. - Luca, 4. - Giovanni, 5.

Cristo da lì* attraverso la terra di Galilea seminava 471 sante parole, stillando nel Popolo messaggi Celesti,

donava agli Storpi e ai Malati cure immediate: e presto la fama veloce era giunta fino alla Siria, rivelando in mille lingue la presenza dei doni di Cristo. 475 Così mostravano a Cristo una quantità di malati: divorati, ed afflitti dalle sofferenze più diverse, ai quali il male, distruggendo le membra, toglieva ogni vigore, e tutti subito, come un facile dono, egli li restituiva sani alle gioie meravigliose; 480 e già le anime della malattia stessa e gli insani furori e la pazzia della mente legata al viaggio della Luna contestavano gli ordini con grande forza di parola.

Dal medesimo libro. 2. [1] La Guarigione di un Lebbroso.

Matteo 8. - Marco 1. - Luca 5.

In fine lasciando il pendio di un alto monte, la turba 770 * Exin è apocope Exindè (da lì).

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Stipabat* gaudens Populorum turba sequentum:

Ecce sed horrenda confixus viscera tabe, Quem toto obsessum fœdarat corpore lepra, Procubuit venerans Juvenis, Christumque precatur, Ut careat tandem languoris pondere tanti 775 Sufficiat voluisse tuum; tum Dextera Christi Attactu solo purgavit lurida membra, Incolumique dehinc cælare hæc gaudia jussit, Et legi parens, offerret munera Templo.

Ex eod. lib. 2 [1]. De Socru Simonis febricitante

a Christo D[omi]no sanata. Matth. 8. - Marc. 2. - Luc. 4.

Ædes inde Petri sanctus penetrabat Ĭēsūs 806 Cui[us] anhéla

* socrus, æstu, febrique jacebat, Utque illi destram tetigit Salvator Ĭēsūs,

Sana ministerium præbebat fæmina mensis.

Ex eod. lib. 2. De curatione Paralytici. Marc. 2. - Luc. 5.

Inde domum repedat Terrarum lumen Ĭēsūs 75 Ecce rever[t]enti Juvenis torpentia membra Officium quorum morbus dissoluerat acer, Ante pedes ponunt tepido recubantia lecto, Quem miserans animo verbis compellat Ĭēsūs: Adsit certa tuæ, Juvenis, constantia menti, 80 Nam tibi præteritus vitæ donabitur error. Hoc dictum Scribæ mentis per operta malignæ Carpebant, quod verba Dei virtute ferenda Protulerat Christus, sed pectora talia cernens, Hoc, inquit, Verbum Scribarum dicta retractant, 85

Quod quantum facile fuerit, dixisse sequentis Et dicti, et facti pariter, virtute probabo;

Ut mihi concessum peccata remittere cernant, Quapropter, Juvenis, firmato corporis usu, Surge vigens, stratumque tuum sub tecta referto. 90 Surrexit, lectumque humeris jam fortibus aptat, Per mediumque vigens Populi mirantis abibat. Tunc timor, et laudes Domini per pectora Plebis, Concelebrata simul miracula læta frequentant.

* Heic idem ac circundabat. * Anhéla febris est quæ anhelare seu difficulter respirare facit.

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festante delle Persone che lo seguivano, lo circondava*: quand’ecco un Giovane, con il corpo colpito da un male orrendo, dalla lebbra sparsa in tutto il corpo, che lo deturpava, si piegò riverente, e pregò Cristo: “Per essere liberato dal peso di una così grave malattia 775

è sufficiente che tu lo voglia”. Allora con il solo contatto la Mano di Cristo purificò le membra lordate, poi dopo averlo guarito ordinò di tener celata la gioia, e, rispettando la legge, di offrire doni al Tempio.

Dal medesimo libro. 2. La Suocera di Simone febbricitante

guarita da Cristo Signore. Matteo 8. - Marco 1. - Luca 4.

Poi Gesù santo entrò nella casa di Pietro, la cui suocera 806 giaceva a letto, respirando a fatica* per una calda febbre, appena Gesù Salvatore le toccò la mano destra, la donna guarita poteva tornare a servirli a tavola.

Dal medesimo libro. 2. La cura del Paralitico.. Marco 2. - Luca 5.

Poi Gesù, luce della Terra, ritorna a casa. Appena arrivato 75 gli pongono davanti ai piedi, disteso in un tiepido letto, il corpo paralitico di un Giovane, di cui le funzioni erano state distrutte da un morbo terribile, Gesù,

mosso a pietà di lui, parla al suo animo con le parole: “O Giovane ritorni un sicuro vigore nella tua mente, 80 infatti ti sono rimessi gli errori passati della vita”.

Gli Scribi nella loro mente maligna condannano queste parole, perché aveva pronunciato frasi attribuibili al potere di Dio; ma Cristo, leggendo nella loro mente, disse: “I pensieri degli Scribi condannano queste parole, 85 perciò io proverò con la forza sia delle parole, sia dei fatti quanto sia stato più facile aver detto ciò che ho detto;

e sappiano che mi è stato concesso di rimettere i peccati, perciò, o Giovane, che puoi far uso sicuro del corpo, levati su vigoroso, e riporta il tuo lettuccio a casa. 90 Si alzò e si pose, sulle spalle ora forti, il letto, e se ne andava vigoroso in mezza alla folla stupita. Allora il timore e le lodi di Dio si diffondono nei cuori della gente e insieme la gioia dei portentosi miracoli.

* Qui è lo stesso che circondava. * Anhéla febris, febbre anela è quella febbre che fa anelare ossia respirare con difficoltà.

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Ex eod. lib. 2. De Muliere a sanguinis fluxu sanata Marc. 5. - Luc. 8.

Progressi Mulier sequitur vestigia servans, 385 Quam languore gravi bis sex labentibus annis Torquebat fluxus lacerans sine fine cruoris, Viribus absumptis, et toto corpore fessa, Pectoris hæc tacitam volvebat credula mentem Arcana, secumque fide jam certa tenebat 390 Actutùm

* fesso fugeret quòd corpore tabes Extremam Christi posset si tangere Vestem. Hæc ubi per Populum summi pendentia pepli

* Fila, manu trepida, tractavit; protinus ille Et causas morbi, et credentia pectora cernens 395 Concessit celerem tali cum voce salutem: Accipe quod meruit fidei constantia munus; Et mox constricto viguerunt sanguine venæ.

Ex eod. lib. 2. Historiæ Evangelicæ

De Juvene a Spirituum malorum legione liberato

Matth. c. 8 et c. 15. - Marc. 2. - Luc. 4 et 8.

Jam Gerasenorum steterat sub littore puppis: 43 Ecce sed egresso, Juvenis (mirabile dictu) Occurrit, miseram cui mentem Spiritus ater 45 Horrenda implebat lacerans virtute furoris: Illi grata domus tetris habitura sepulchris, Nec poterat rapidum quisque retinere furorem, Fortia quin etiam rumpebat vincula ferri, Scindebatque graves, ut lanea fila, catenas, 50 Etiam compedibus levis insultare soluto Ludus erat, saxisque ferum concidere pectus. Isque ubi pergentem Christum per littora vidit, Cum clamore ruit, longeque accurit adorans: Regna[n]tis semper Domini certissima Proles, 55 Oramus ne nos solitæ regionis ab oris Excutias, valdè tormentis excruciatos;

Nam nomen legio est, nobis, multosque sub uno Nomine consociat flatus vis sola nocendi: Cernis ut immundi subigunt hæc pascua porci, 60

* Adverb. scil. confestim, sine dilatione. * Pepli, id: vestis superioris.

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Dal medesimo libro. 2. La donna guarita dal flusso di sangue. . Marco 2 - Luca 8.

Partiti da lì, una Donna li seguiva passo passo, 385 che da dodici anni era tormentata da un flusso di sangue, che la lacerava senza fine, con grave male, con le forze fiaccate, e debilitata in tutto il corpo, essa rivoltava sicura nel petto una convinzione nascosta, e ormai con salda fiducia dentro di sé la covava, 390 cioè che subito* il male sarebbe fuggito dal corpo sfinito se avesse potuto toccare l’estremità della veste di Cristo. Appena essa toccò con mano tremante tra la calca dei fili pendenti dagli orli della sopravveste*, subito egli, riconoscendo le cause del male e la fiducia del cuore, 395 concesse guarigione immediata con queste parole: “Ricevi il dono che la forza della fede ti ha meritato”; e subito cessato il flusso le vene ripresero vigore.

Dal medesimo libro. 2. I racconti Evangelici.

ll Giovane liberato da una legione di Spiriti maligni.

Matteo c. 8 e c. 15 - Marco 5 - Luca 4 e 8.

Già era giunta la barca sulla spiaggia dei Geraseni: 43 ma appena sceso, gli venne incontro, (mirabile a dirsi), un Giovane, al quale uno Spirito immondo riempiva 45 la misera mente, lacerandolo, di una forte orrenda follia: gli era gradito avere dimora tra i tetri sepolcri, e nessuno poteva controllare gli improvvisi furori poiché rompeva anche forti legacci di ferro, e spezzava, come fili di lana, pesanti catene, 50 era anche facile gioco, liberato dai ceppi, farsi male e colpirsi il fiero petto con sassi. Egli, appena vide Cristo che avanzava lungo la spiaggia, si riversò con clamore e corse da lontano pregando: “O Figlio certissimo del Signore che sempre regna, 55

noi ti preghiamo di non scacciarci dal luogo della solita nostra dimora, già tanto colpiti da persecuzioni;

il nostro nome è Legione, e la sola forza di nuocere riunisce sotto un unico nome molti spiriti: come tu vedi porci immondi corrono in questi pascoli,

* Avverbio, cioè subito, senza ritardo. * Pepli, cioè sopravveste.

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His saltem liceat rabiem satiare repulsam, Per Patris altítoni

* nomen sublime rogamus. Imperat his hominis mentem dimittere Christus, Porcorumque sinit gregibus finire furores. Jamque hominis stupidum discusso dæmone pectus, 65 Inspirata suæ veneratur dona salutis. Et jam præcipites scopulorum margine porci In mare dejecti, properant disperdere vitam. At verò e speculis miracula tanta paventes Diffugiunt, urbisque ruunt ad tecta Subulci, 70 Et famam spargunt, populosque ad littora cogunt. Insanum verò Juvenem postquam resipisse Credere cernentium Populorum turba coacta est: Orabant pavidi Regionem lingueret illam.

Ex eod. lib. 2. De Puella mortua ad vitam revocata.

Marc. 5 - Luc. 8. - Matth. 9.

Postquam perventum est, ubi funera Virginis ingens 399 Plangentis Populi fremitus, clagorque turbarum

Ultima supremæ celebrabat funera pompæ; Abscedant, inquit, vestris hæc tristitia testis, Namque Puella jacet placido dimersa sopore, Defunctam retur flentum quam nescia plebes: Talia dicentem ridentum turba reliquit, 405 Quòd morte abreptam dixit dormire Puellam. Sed Christus lethi victor, vitæque repertor, Frigentis dextram dignatus prendere

* dextra, Surgere mox jussit, miranda ad gaudia Patris. Ex eod. lib. 2. [4] De Lazaro ad vitam revocato.

Joan. 11.

Hæc ubi dicta dedit, saxumque immane revulsis 385 Objicibus patuit, virtus mox conscia Cælum Suspicit, et tali Genitorem voce precatur: Eximias grates, Genitor, tibi sancte, fatemur, Me placidus semper venerandis auribus audis, Sed Populus præsens me missum credere discat. 390 Hæc ubi dicta dedit, tumuli mox limine in ipso Restitit, adverso complens cava saxa canore:

* Idem ac altitonantis, seu excelsi. * Per syncopen, scil. prehendere.

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ci sia consentito almeno saziare su essi la rabbia repressa, Ti pregiamo per il nome sublime dell’eccelso* Padre”. Cristo ordina ad essi di liberare la mente dell’uomo, e permette che sfoghino i furori sul gregge di porci. E già l’animo stupefatto dell’uomo, scacciato il demone, 65 ringrazia per gli insperati doni della sua guarigione. E già i porci, gettatisi in mare a precipizio dal margine dei burroni, si affrettano a gettare via la vita. Ma i guardiani dei porci speventati da così grande miracolo fuggono dai burroni, corrono verso le case della città, 70 ne spargono la fama, e spingono il popolo sul lido. Ma la massa della Gente vedendo poi che il Giovane demente era tornato padrone di sé, fu costretta a credere: e i più impauriti lo pregavano di andare via da quella città. Dal medesimo libro 2. La Fanciulla morta richiamata in vita. Marco 5. - Luca 8. - Matteo 9.

Poi giunsero dove l’immenso lamento di un Popolo in lacrime, 399 e il clamore delle turbe celebravano i funerali di una Fanciulla, estremo omaggio del suntuoso rito; “Sparisca - disse - dalle vostre menti questa tristezza, infatti la Fanciulla, che la gente ignara dei piangenti crede morta, è immersa in un sonno tranquillo”. La folla, mentre diceva tali cose, lo lasciò ridendo: 405 dichiarava dormiente una fanciulla ghermita dalla morte. Ma Cristo vincitore della morte e restauratore della vita, si degnò di prendere* colla destra la destra fredda di lei, e le ordinò di levarsi subito, per la mirabile gioia del Padre. Dal medesimo libro 2. [4] Lazzaro morto richiamato in vita.

Giovanni 11.

Appena ebbe dette queste parole, rimossi gli sbarramenti, 385 la grande pietra si aprì e Cristo, che sa quello che può, guardò verso il Cielo, e pregò il Padre con queste parole: “O Padre santo, io ti ringrazio con gratitudine immensa, tu placido sempre mi ascolti con il venerando orecchio, ma che il Popolo sappia ora che tu mi hai mandato”. 390 Appena ebbe dette queste parole si fermò sullo limite stesso del sepolcro, rivolgendosi verso il sasso scavato con le parole

* Lo stesso che altitonante, o eccelso. * Per sincope cioè prehendere (prendere).

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Lazare, sopitis redeuntem suscipe membris En Animam, tuque ipse foras te prome sepulchro. Nec mora, connexis manibus, pedibusque repente 395 Procedit tumulo, vultum cui linea texit, Et totum gracilis connectit fascia corpus: Tum solvi jussit, lætumque ad tecta remittit.

Ex eod. lib. 2. Christus imperat Mari, et Ventis &c.. Marc. 4. - Luc. 8. - Matth. 14.

Conscendunt navem, ventoque inflata tumescunt 25 Vela suo, fluctuque volat, stridente carina*; Postquam altum tenuit puppis, consurgere in iras Pontus, et immensis hinc inde tumescere ventis Cœpit, et ad Cælum rapidos sustollere montes,

Et nunc mole ferit puppim, nunc turbine proram, 30 Illisosque super laterum tabulata receptant Fluctus, disjectoque aperitur terra profundo. Interea in puppi somnum carpebat Ĭēsūs, Illum Discipuli pariter, Nautæque paventes Evigilare rogant, pontique pericula monstrant: 35 Ille dehinc, quàm parva subest fiducia vobis Infídos animos timor irruit, inde procellis Imperat, ac placidam sternit super æquora pacem. Ille inter se se timidis miracula miscent Colloquiis, quæ tanta illi permissa potestas, 40 Quodve sit imperium, cui sic freta concita ventis, Evectæque nimis submittant colla procellæ.

Excerptorum ex Juvenco finis.

* Carína, quam nos Itali Carena dicimus, trabes est ima in Navi, seu infima pars Navis

concava. Poetæ verò passim pro tota navi usurpant.

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“Lazzaro, orsù, riprendi dalle membra addormentate, la tua anima che torna e esci da solo dal sepolcro”. Senza indugio, all’improvviso con le mani e i piedi legati 395 uscì dal sepolcro, le bende gli coprono il volto e una fascia sottile gli avvolge tutto il corpo: allora ordinò di liberarlo e lo rimandò lieto a casa.

Dal medesimo libro 2. Cristo comanda al Mare e ai Venti. ecc. Marco 4. - Luca 8. - Matteo 14.

Salgono su una nave e le vele riempite da vento propizio 25 si gonfiano, la nave vola sui flutti con la carena* che stride; quando la nave fu a largo il mare cominciò a levarsi rabbioso, e a gonfiarsi da quel momento a causa di venti fortissimi, e a sollevare fino al cielo rapidi monti, e ora ferisce con grandi onde la poppa e ora con il turbine la prora, 30 e il ponte riceve i flutti violenti su un lato, e la terra si apre scaranvetandola fin nel profondo. Frattanto Gesù a poppa assaporava il sonno, i Discepoli e i Marinai insieme spaventati gli chiedono di svegliarsi e mostrano i pericoli del mare: 35 Egli allora: “Quanta poca fiducia vi è dentro rimasta, la paura è entrata negli animi trepidi”, poi comanda alle tempeste, e una pace tranquilla si stende sopra le acque. Essi nei timidi loro colloqui uniscono insieme i miracoli, la grande potestà concessa a lui, e quale potere 40 egli abbia, che onde così concitate dai venti, e tempeste così forti gli ubbidiscano sottomesse.

Fine dell’Antologia da Giovenco

* Carína, che noi Italiani diciamo Carena, è la tavola più bassa in una nave, ossia la parte più

profonda della nave. Ma i Poeti qua e là la utilizano per tutta la nave.

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Corollarium.

De quadruplici Ligno Crucis Christi.

Ligna Crucis, Palma, Cedrus, Cupressus, Oliva.

Habetur hic versus apud Glossam in Textu Canonico Clementin. de Sum. Trinit., et Fid. Cathol. cap. 1., ubi Glossa ait, Fertur Crux quatuor genera

Lignorum habuisse, scilicet Cedrum in stipite, Palma in palo per longum,

Cupressum in ligno ex transverso, Olivam in tabula super Crucem loco

quarti brachii (putà anguli superioris). Et quomodo proprietates Lignorum

benè conveniant, &c. Cedrus enim figura est incorrutibilitatis, Palma fortitudinis, Cupressus funeris, Oliva pacis.

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De Asello Puerum Jesum adorante

Epigramma

a F. A. M. ab Im.a Conc.e compositum.

Quòd pius et supplex te, Christus, adorat Asellus, Hic qui inter stolidas tam speciosus erat: Non facit hoc jussus, nulloque docente Magistro; Numen Divinum sentit et ille tuum.

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Ad Deiparam Virginem.

Aliud Epigramma ejusdem Auctoris

Dona licet toties tribuas, majora datura,

Dulcis amor Superum, Numinis alma Parens: Diligeris Populo non propter præmia, Virgo,

Propter te Populus præmia fidus amat.

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Corollario

Il quadruplice Legno della Croce di Cristo

I Legni della Croce: Palma, Cedro, Cipresso, Olivo.

Questo verso si trova in una Glossa del Testo Canonico Clementino “La Somma Trinità e la Fede Cattolica”, cap. 1; dove la Glossa dice: “Si traman-

da che la Croce avesse quattro qualità di Legno, cioè il Cedro nel tronco, la

Palma nel braccio longitudinale, il Cipresso nel braccio trasversale, l’Olivo

nella tavola posta sopra la Croce, nella zona del quarto braccio (cioè

dell’angolo superiore). E in tal modo le proprietà dei diversi legni danno

bene il senso, ecc.”. Il Cedro è infatti figura dell’incorruttibilità, la Palma della forza, il Cipresso della morte, l’Olivo della pace.

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L’Asinello che adora Gesù Bambino

Epigramma

composto da F. A. M. dell’Immacolata Concezione.

Se pio e supplice, o Cristo, ti adora l’Asinello,

questo che tra gli sciocchi era tanto grande: non lo fa a comando, e non c’è Maestro dietro; sente anche lui intorno il tuo Divino Nume.

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Alla Vergine madre di Dio

Altro epigramma dello stesso autore

È vero tu spesso fai dei doni, e di più grandi ne farai, dolce amore dei Celesti e benefica Madre di Dio: Tu sarai amata dal Popolo non per i doni, o Vergine, il Popolo fiducioso ama i tuoi doni a causa tua. ...........................................................................................................................

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Horologium spirituale Passionis Christi juxta diei naturalis vigintiquatuor horas, a prima Noctis incipiens;

in qua Spiritus ad primi Mysterii contemplationem brevi saltem tempore

est elevandus; et sic in cæteris; Auctore Theophilo Philareto, seu Petro Matthæo Petruccio,

Presbytero e Congregatione Oratorii, &c. Hora I. A Matre illacrymans lacrymante abscedit Ĭēsūs.*

II. Abluit ecce pedes Hominum qui Sidera calcat. III. Cænans Discipulis Christus se præbet in escam. IV. Orans Sanguineo Sudore madescit in Horto. V. Proditur a Juda, vinclisque oneratur iniquis. VI. Insons heu sontem Dominus raptatur ad Annam. VII. Ad Caipham trahitur, linguis petiturque dolosis. VIII. Christus Romulei rapitur Prætoris ad aulam. IX. Mittitur Herodis vafras Cæli Agnus ad ædes. X. Illusus repetit prætoria sæva Pilati. XI. Cælica tartareis sulcatur Membra flagellis. XII. Quem stellis Cælum, Spinis heu Terra coronat. XIII. Præligitur latro, rejecto Rege, Barabbas. XIV. Fige Cruci, crucifige illum, plebs effera clamat. XV. Ethnicus innocuum Præses testatur Ĭēsūm. XVI. Servatorem Hominum morti vox impia damnat. XVII. Fert humero Christus Lignum ferale tremente. XVIII. Sub trabe labenti Simon succurrit Ĭēsū. XIX. Latrones inter geminos Cruce pendet ab alta. XX. Ultima septenis reserat Mysteria Verbis. XXI. Felle Deus sitiens misto potatur aceto. XXII. Inclinat Caput, et moritur pro sontibus Insons. XXIII. Sauciat ignitum exanimis Cor Lancea Christi. XXIV. Lux tegitur saxo, tumulatur Vita sepulchro

* Ĭēsūs, vox trisyllaba Græcorum more. Jota enim apud Græcos semper est vocalis. Jod verò

apud Hebræos est consonans, ex quo fit disyllaba.

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Orologio spirituale della Passione di Cristo. secondo le ventiquattro ore del giorno

solare, cominciando all’inzio della Notte; in cui lo Spirito deve essere

elevato, almeno per breve tempo, alla contemplazione dei Supremi Misteri; e così nelle altre ore.

Scritto da Teofilo Filareto, ossia da Pietro Matteo Petruccio,

Sacerdote della Congregazione dell’Oratorio, ecc. Ora

I. Gesù* senza una lacrima si allontana dalla Madre piangente. II. Ecco lava i piedi degli Uomini colui che calca le Stelle. III. Cristo cenando offre se stesso in cibo ai Discepoli. IV. Mentre prega nell’Orto è bagnato da Sudore di sangue. V. È tradito da Giuda e caricato di inique catene. VI. Oh, il Signore innocente è condotto dal colpevole Anna. VII. È trascinato da Caifa, e patisce accuse infamanti. VIII. Cristo è condotto nell’atrio del Pretorio romano. IX. L’Agnello del Cielo è mandato nell’oscura reggia di Erode. X. Schernito poi ritorna nel crudele pretorio di Pilato. XI. Le membra celesti sono solcate dagli infernali flagelli. XII. Oh, la Terra corona di Spine chi (orna) il Cielo di Stelle. XIII. Rifiutato il Re (del Cielo), gli è preferito il ladrone Barabba. XIV. Alla Croce, Crocifiggilo, grida la plebe efferata. XV. Il Governatore pagano proclama innocente Gesù. XVI. L’empia parola condanna a morte il Salvatore degli Uomini. XVII. Cristo porta sulle spalle il terribile Legno di morte. XVIII. Simone soccorre Gesù che vaccilla sotto la Croce. XIX. Pende dall’alto della Croce tra i due Ladroni. XX. Svela con le sette Parole i Misteri Supremi. XXI. Dio assetato beve aceto misto a del Fiele. XXII. Reclina il capo e muore innocente fra i colpevoli. XXIII. La lancia ferisce il Cuore ardente di Cristo morente. XXIV. La luce è chiusa nel sasso, la Vita è tumulata nel sepolcro.

* Ĭēsūs (Gesù), Parola trisillaba secondo l’uso greco. La Jota infatti nella lingua greca è

sempre vocale. La Jod invece nella lingua ebraica è consonante, per questo (la parola Ĭēsū)

è bisillaba.

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EX SEDÚLIO Sedúlius Presbyter fuit Scotus, et C. Cælii prænomen habuit. Theodosii

Junioris Imperatoris piissimi tempore floruit (vivebat enim anno ab Incarnatione Dominica quadringentesimo quinto). Ex Origéne, Hieronymo, Ambrosio, et Augustino excerpsit Explanationem in omnes Epistulas Sancti Pauli. Scripsit quoque et prosaica, et metrica oratione libros quinque de Mirabilibus Operibus Dei (excellens enim fuit Poeta, tersæ latinitatis, atque lepidus, ac Juvenco elegantior in carmine heroico, ut patet in ejus libris de Mirabilibus &c.). Hymnos nonnullos etiam composuit, inter quos adest ille A

Solis ortus cardine, carmine Jambico Dimetro, ac ordine alphabetico (nam primi versus ab A, alii a B, C, D, &c. incipiunt).

Ex lib. 1.[2.] de Mirabilibus Operibus Dei.

De Adæ peccato, et Christi reparatione, ac de Eva, et Maria. (Elegantissime)

Culpa dedit mortem, pietas daret inde salutem: 27 Et velut e spinis mollis rosa surgit acutis

Nil quod lædat habens matremque obscurat honore, Sic Evæ de stirpe sacra veniente MARIA, 30 Virginis antiquæ facinus nova virgo piaret; Ut quoniam natura prior vitiata jacebat Sub ditione necis, Christo nascente renasci Posset Homo, et veteris maculam deponere carnis.

Ex eod. lib. 1. [2] De Nativitate Christi.

Luc. 2.

Jamque novem lapsis* decimi de limine mensis 41 Fulgebat sacrata dies, cum Virgine fæta Promissum complevit opus, Verbum Caro factum est In nobis habitare volens. Tunc maximus Infans Intemerata sui conservans Viscera Templi, 45 Illæsum vocavit1 iter; pro Virgine testis

Partus adest, clausa ingrediens, et clausa relinquens. Quæ nova lux Mundo? Quae toto gratia Cælo?

* Lapsis per apheresim pro elapsis, idest, et elapsis jam novem mensibus, sacrata dies fulgebat

de limine seu principio mensis decimi, &c. 1 Vacuavit.

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DA SEDÚLIO Sedulio era un Prete Scozzese, ed aveva come prenome C. Celio. Fiorì durante

l’età del piissimo Imperatore Teodosio il giovane (infatti nell’anno 404 dopo Cristo era ancora vivente). Da Origéne, da S. Girolamo, da S. Ambrogio, e da S. Agostino derivò il Commento a tutte le lettere di San Paolo. Scrisse sia in prosa, sia in versi un componimento in cinque libri Le Meravigliose

Opere di Dio (fu infatti un eccellente Poeta, di tersa latinità, e ricercato, e più elegante di Giovenco nel componimento eroico, come si evidenzia nei libri Le Meravigliose opere di Dio). Compose anche alcuni Inni, tra i quali si ricorda Dal punto da cui sorge il Sole, componimento in Dimetro Giambico, e secondo l’ordine alfabetico (infatti il primo verso [della prima strofa] comincia con la A e [il primo verso] della altre strofe cominciano con la B, C, D, ecc.)

Dal libro 1 [2] Le Meravigliose Opere di Dio.

Il peccato di Adamo e la riparazione di Cristo, e Eva e Maria.

(Molto Elegante)

La colpa portò la morte, l’amore avrebbe ridato la salvezza: 27 e come la delicata rosa si leva dalle spine aguzze ma nulla ha che faccia male, e oscura la madre in bellezza, così MARIA, pur discendendo dall’esacrata stirpe di Eva, 30 nuova Vergine riparava la colpa della Vergine antica; poiché la precedente natura corrotta giaceva sotto il dominio del peccato, con la nascita di Cristo, l’Uomo potesse rinascere e deporre la macchia dell’antica carne.

Dal medesimo libro 1. [2] La nascita di Cristo.

Luca 2.

Trascorsi* nove mesi, il sacro giorno sorgeva al limite 41 del decimo mese, quando, la Vergine partorendo, si compì l’opera promessa, e il Verbo si fece Carne volendo abitare tra noi. Allora il grande Fanciullo conservando intatte le viscere del suo Tempio 45 abbandonò1 illeso il percorso; il Parto è una testimonianza

per la Vergine, intatta entrando, intatta uscendo la lascia. Quale luce nuova nel Mondo? Quale grazia in tutto il Cielo?

* Lapsis per aferesi sta per elapsis (trascorsi) cioè e trascorsi già nove mesi, il sacro giorno

sorgeva dal limite o dal principio del decimo mese, ecc. 1 Probabilmente vocavit (chiamò) sta” per vacuavit (abbandonò), come leggono tutti gli Editori.

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Ex eod. lib. 1. [2] De Adoratione Magorum. Matth. 2.

Talia Bethléis dum signa geruntur in oris, 73 Eói* venére Magi, saevumque Tyrannum

Grandia sollicitis perturbant nuncia dictis, 75 Judaicis nuper Populis, Orientis ab axe,* Progenitum fulsisse Ducem, hoc cælitus astra, Hoc Stellam radiare novam: ferus Arbiter aulæ Æstuat hebreæ, ratus hunc succedere posse Mox sibimet, qui primus erat: tunc fronte serena 80 Nubila mentis alens, clam mandat ubique requiri Sicut adorandum, quem tractat fraude necandum. Quid furis, Herodes? Christum sermone fateris, Et sensu jugulare cupis? Legemque legendo Neglegis? et Regi Regum tua regna minaris? 85 Ne tamen insano careant tua nomina facto, Patrandum sub honore Crucis, sed crimine gentis Herodes alius, quod tu molire, videbit. Ergo alacres summo servantes lumina Cælo Fixa Magi, sidusque micans regale secuti 90 Optatam tenuere viam, quæ lege futura, Duxit adorantes sacra ad cunabula Gentes: Thesaurisque simul pro religione solutis, Ipsæ etiam ut possent species ostendere Christum, Aurea nascenti fuderunt munera Regi, 95 Thura dedere Deo, Myrram tribuere Sepulchro. Cur tria dona tamen? quoniam spes maxima vitæ est Hunc numerum confessa Fides; et tempora summus Cernens cuncta Deus, præsentia, prisca, futura, Semper adest, semperque fuit, semperque manebit

In triplici virtute sui*. Tunc cælitus illi 100

Per somnum moniti contemnere jussa Tyranni Per loca mutati gradientes devia callis In Patriam rediere suam, &c.

Ex eod. lib. 1. [1] De Præsentatione Pueri Jesu ad Templum. Luc. 2.

Scripserat antiquæ Moses moderamina Legis, 220 * Ēōī, pes est Molossus heic. * Hic pro Polo, seu potius pro Ora seu extremitate Orientis. * Mirabile lectu. 1 De evangelica historia, ex Juvenco, I, 220 ss.

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Dal medesimo libro 1. [2] L’adorazione dei Magi. Matteo 2.

Mentre tali prodigi si compiono nel territorio di Betlemme, 73 dall’Oriente* giunsero i Magi, e fatti portentosi turbano il crudele Tiranno con parole che lo inquietano: 75 che un Capo generato da poco per la Gente di Giuda sia rifulso fino all’Estremo d’Oriente*, questo annunciava un astro del cielo, questo una nuova Stella: il fiero Tiranno dell’ebraica Regia s’infiamma, temendo che quello presto possa succedere a lui, che era il primo: poi con fronte serena 80 nascondendo le nubi dell’animo, in segreto manda a cercarlo ovunque, per adorarlo, ma di nascosto trama di ucciderlo. Perché Erode t’infurii? Con le parole Cristo confessi, con il cuore vorresti straziarlo? E leggendo la Legge tu la tradisci? Minacci il Re dei Re con il tuo regno? 85 E perché il tuo nome non sia separato dall’insano misfatto,

un altro Erode vedrà ciò che tu minacci; e consumato sotto il simbolo della Croce, sarà un crimine della tua gente.

Gli ansiosi Magi, osservando gli astri fissi alla sommità del Cielo, e seguendo la regale stella che brilla, 90 ritrovarono la sospirata via, che, come futuro presagio, guidò dei Gentili in ginocchio alla sacra culla. Insieme in segno votivo aperti i loro doni, perché anche gli stessi simboli potessero rivelare Cristo, al Re che stava nascendo, porsero oro in dono, 95 incenso diedero al Dio, per il Sepolcro offrirono Mirra. Perché poi tre doni? Perchè suprema speranza di vita è la Fede espressa in questo numero; il sommo Dio

che vede ogni tempo: presente, passato, futuro,

è sempre presente, sempre è stato, e sempre sarà

nel suo triplice valore*. Poi essi avvertiti in sonno 100

dal Cielo, non tennero conto degli ordini del Tiranno, cambiarono strada, viaggiando per luoghi impervii, ritornarono nella loro Patria.

Dal medesimo libro 1. [1] La Presentazione del Ragazzo Gesù al Tempio. Luca 2.

Mosè aveva scritto le norme dell’antica Legge, 220 * Ēōī (Orientali), qui è un Molosso. * Qui per Polo, o piuttosto per Regione, o per estremità d’Oriente. * Mirabile lettura! (Annotazione a margine di carattere estetico e contenutistico dell’A.). 1 Il testo in realtà è tratto dal Racconto Evangelico di Giovenco, I, 220 ss.

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Inter quæ primos prisco de sanguine Vatum Observare dedit fætus offerre sacrandos, Implumesque simul ferre ad delubra Columbas: Hæc ubi per Mărĭām templo servata feruntur; Ecce senex Simeon, dignus comprendere* sensu 225 Cælestes voces, cui quondam præscia rerum Virtus prodiderat quòd carcere corporis ægri

Deposito, mortem liber, requiemque videret, Cum primùm, Cæli laudem, Terræque salutem, Omnia quem Vatum spondent oracula, Christum 230 Vidisset, Templo sollemnes ferre palumbos: Isque ubi, curvato defessus corpore Templum Jam gravior penetrat, movit quod Spiritus Author, Ecce simul parvum gremio Genitricis Ĭēsūm Ad Templum sensit venisse; trementibus ulnis 235 Accepit Puerum, lætusque hæc dicta profatur: Nunc nunc me famulum Dominus nunc liberet atris Corporis e vinclis, finemque imponere verbis Dignetur cum pace suis: en splendida nostros

Lux oculos tua circunstat, radiisque refulget, 240 Quam cunctis Hominum lustratis mentibus addet Israelitarum cumulatæ gloria Plebis.

Ex eod. lib. 1. [2] De Disputa[tio]ne in Templo.

Luc. 2.

Ast ubi bis senos ætatis contigit annos, Hoc spatium de Carne trahens, ævique meatus* 135 Humana pro parte tulit, Senioribus esse Corde videbatur senior, legisque Magister.

Ex eod. lib. [2] De Christi baptismate. Matth. 3. - Marc. 1. - Luc. 2.

Tunc vada torrentum simplex ingressus aquarum, 157 In se cuncta lavat nostræ contagia vitæ, Ipse nihil quod perdat habens, sanctoque liquentes Corpore mundavit latices* lymphasque beavit 160 Gurgitis et propriis sacravit flumina Membris.

* Comprendere per syncopen pro comprehendere: alii revera sic legunt, sed tunc erit trisyllaba

vox per sinalæphen in medio. * Meatus ævi heic pro cursu, spatiove temporis ponitur. * Latex idem ac fons, humor liquor.

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e tra esse ordinò che i primogeniti dall’antica stirpe dei Sacerdoti fossero offerti per essere consacrati, e fossero portate al tempio insieme a due implumi colombe: quando Maria porta queste cose conservate per il tempio, ecco il vecchio Simeone, capace di intendere* con i sensi 225 le voci Celesti, a cui un tempo l’antico supremo Valore aveva predetto che, lasciato il carcere dell’egro corpo,

non avrebbe sperimentato, libero, la morte e la quiete, se non dopo aver visto Cristo, lode del Cielo e salvezza

della Terra, colui che promettono tutti gli oracoli dei Vati, 230 portare al Tempio le due tortorelle indicate dal rito. Egli, appena entra nel Tempio, avanti negli anni, stanco, e con il corpo curvato, poiché lo Spirito Autore lo ispira, ecco sentì che insieme era venuto al Tempio il piccolo

Gesù in grembo alla Madre; con le braccia tremanti, 235 prese il Fanciullo, e lieto proferì queste parole: “Ora, ora, il Signore liberi me, suo Servo, dai duri vincoli del corpo, e si degni di dare in pace adempimento alle sue parole: ecco la tua luce splendente avvolge i nostri occhi, e rifulge di raggi, 240 e la gloria della purificata Gente d’Israele la trasmetterà a tutte le menti degli Uomini, illuminandole.

Dal medesimo libro 1. [2] La disputa nel Tempio.

Luca 2.

Ma quando egli raggiunse i dodici anni d’età, derivando questa misura dalla Carne, trasse 135 il corso del tempo* secondo l’umana natura, d’animo sembrava più anziano degli Anziani, Maestro di Legge.

Dal medesimo libro 1. [2] Il battesimo di Cristo.

Matteo 3. - Marco 1. - Luca 2. Allora entrato puro nelle onde di un corso d’acqua 157

su di sé lava tutte le macchie della nostra vita, egli che non ha niente da purificare, con il sacro corpo mondò le acque* correnti, e santificò le linfe 160 del gorgo, e consacrò il fiume con le sue Membra.

* Comprendere (capire) forma sincopata di comprehendere, altri in verità leggono così ma

allora la parola dovrebbe essere trisillaba con una sinalefe al centro. * Meatus ævi (corso dell’età) qui sta a indicare corso o spazio di tempo. * Latex (ogni forma liquida), lo stesso che fonte, umore, liquido.

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Senserunt elementa Deum, Mare fugit, et ipse Iordanis refluens cursum convertit in undas: Namque Propheta canens: Quidnam est mare, quid fugis, inquit? Et tu, Jordanis retro quid subtrahis amnem? 165 Ergo ubi fluminei post mystica dona lavacri Egrediens siccas Dominus calcavit arenas, Confestim patuere Poli, Sanctusque Columbæ Spiritus in specie Christum vestivit honore, Mansuetumque docet, multumque incedere mitem 170 Per volucrem, quæ felle caret, Natoque vocato Voce Patris triplici Deus ex ratione probatur, Quòd Pater, et Natus, quòd Spiritus est ibi Sanctus, Quo manet indignus, qui non numeraverit unum.

Ex lib. 2 [3] de mirab. Oper. Dei

De Miraculis Christi, et præcipué de Conversione aquæ in Vinum

Joan. 2.

Prima suæ Dominus thalamis, dignatus adesse 1 Virtutis documenta dedit, convivaque præsens Pascere, non pasci veniens, (mirabile!) fusas In vinum convertit aquas, ammittere gaudent Pallorem latices, mutavit læta saporem 5 Unda suum, largita merum, mensasque per omnes Dulcia non nato rubuerunt pocula musto. Implevit sex ergo lacus* hoc nectare Christus, Quippe ferax,* qui vitis erat virtute colenda Omnia fructificans, cuius sub tegmine blando 10 Mitis in occiduas enutrit pampinus uvas.

Ex eod. lib. 2. [3] De multorum Ægrotorum curatione. Matth. 4. - Marc. 4. - Luc. 4. – Joan. 5.

Alta dehinc subiens montis iuga, plebe sequente, 251 Millia Cæcorum, Claudorum millia passim, Leprososque simul Populos, surdasque catervas Invalidasque manus, et quidquid debile Vulgi 255 Venerat, in priscum componit motibus usum, Et revocata suis attemperat organa nervis.

* Lacus, translate pro vase, ac aquæ conceptaculo ponitur. * Ferax idest fertilis, fecundus, frugifer.

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Gli elementi sentirono Dio, e il Mare fuggì, e lo stesso Giordano refluendo, mutò il corso in onda: infatti il Profeta dice cantando: “Che è mai, mare? Perché fuggi? E tu, Giordano, perché cambi il tuo corso?” 165 Poi, dopo i mistici doni del fluviale lavacro, uscendo, appena il Signore calcò la sabbia asciutta, subito i Cieli si aprirono, e lo Spirito Santo, sotto la forma di una Colomba, glorificò Cristo, e attraverso quel volatile, che è privo di fiele, c’insegna

che egli è mite e mansueto più di ogni altro, e chiamato Figlio 170 dalla triplice voce del Padre, a ragione è confermato Dio, perché egli è lì Padre, è Figlio, è Spirito Santo, ed è indegno di lui chi non li considera una sola cosa.

Dal libro 2 [3] Le Meravigliose Opere di Dio

I Miracoli di Cristo e in particolare il mutamento dell’acqua in Vino.

Giovanni 2.

Il Signore manifestò i primi segni del suo valore degnandosi 1 di partecipare ad un banchetto, presente lì come invitato andando lì per nutrire, non per nutrirsi, (o miraviglia!) mutò acqua corrente in vino; il liquido gioì di perdere l’aspetto incolore, e l’acqua lieta cambiò il suo sapore, 5 e, servita come vino puro, su tutte le mense i dolci bicchieri rosseggiarono di vino non nato mosto. Cristo dunque riempì di questo nettare sei anfore*, egli fertile*, era come una vite, che fruttifica bene, coltivata con sapienza contadina, le cui tenere uve 10 sono nutrite dalle dolci ombre del pampino mite.

Dal medesimo libro 2. [3] La cura di molti malati. Matteo 4. - Marco 4. - Luca 4. - Giovanni 5.

Salendo poi sulle alte pendici d’un monte, seguito dalla folla, 251 migliaia di Ciechi, e migliaia di Zoppi qua e là, e inoltre una quantità di lebbrosi, e caterve di sordi, schiere di invalidi, e qualunque malato che era venuto 255 egli restituisce all’antico uso nei movimenti e ritemprati gli organi rispondono ai propri nervi.

* Lacus, (serbatoio), in senso traslato sta per vaso, e indica un contenitore d’aqua. * Ferax (ferace), cioè fertile, fecondo, fruttefero.

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Ex eod. lib. 2. [3] De Muliere, quæ erat annis decem et octo inclinata. Luc. 13.

Venerat et Mulier morbo contracta vetusto, 199 Non senio tremebunda, gemens, incurva, caducis Vultibus, et solam dispectans cernua terram; Quæ, Domino miserante, iuge post octo decemque Membra levat, messes, Cælumque ac Sidera tandem Cernit, et ardentem Solis reminiscitur orbis, Totum erecta videns; quia quos malus opprimit hostis 205 Ima petunt, quos Christus alit sine labe resurgunt.

Ex eod. lib. 2. [3] De Leprosi mundatione.

Matth. 8. - Marc. 1. - Luc. 5.

Ecce autem medio clamans ex agmine turbæ 26 Leprosus poscebat opem, variosque per arctus* Plus candore* miser, Si vis, Domine, inquit, ab istis Me maculis mundare, potes, Volo Christus, ut inquit, Confestim redit una cutis, proprioque decore 30 Læta peregrinam mutarunt membra figuram, Inque suo magis est vix cognitus ille colore.

Ex eod. lib. 2. [3] De Socru Simonis febricitante.

Matth. 8. - Marc. 1. - Luc. 4.

More Petri validæ torrebat lampadis æstu 33 Febris anhela Socrum, dubioque in funere pendens Saucia sub gelidis ardebat vita periclis, 35 Immensusque calor, frigus letale coquebat. At postquam fessos Domini manus attigit artus, Ingens ardor erat, totisque extincta medullis Fontis latentis aquæ cecidit violentia flammæ.

Ex eod. lib. 2. [4] De Hydropico die Sabbati sanato. Luc. 14.

Post Pharisaeorum cuiusdam Principis intrat 172 Clarificare domum, non escam sumere tantum, Ad quam tunc facili convenerat ipse precatu. Hic homo perspicuo distentus ventre tumebat; 175 Plenus aquæ, gravidamque cutem suspenderat alvus*;

* Arctus pro artus seu membra. * Candore, ironice pro turpitudine. * Alvus olim masculini quoque generis erat

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Dal medesimo libro 2. [3] La donna che era ricurva da diciotto anni. Luca 13.

Era venuta anche una donna colpita da un male antico, 199 tremante non di vecchiaia, gemente, piegata dall’aspetto cadente, e curva a mirare solo la terra; essa, commiserata dal Signore, dopo otto anni continui leva le membra, e finalmente le messi, il Cielo, le Stelle rivede e riconosce la sfera ardente del Sole, dritta vedendo ogni cosa; perché chi è oppresso da un male nemico 205

tende al basso, chi è nutrito da Cristo senza macchia risorge.

Dal medesimo libro 2. [3] La purificazione del Lebbroso. Matteo 8. - Marco 2. - Luca 5.

Ecco poi, implorando dal mezzo della folta schiera, 26 un lebbroso chiedeva aiuto, così misero per il male*

diffuso su tutte le membra*: “Se vuoi” disse “Signore puoi mondarmi da queste macchie”. Appena Cristo disse “Lo voglio”, immediatamente la pelle tornò uniforme, e le membra 30 liete della propria bellezza perdettero l’aspetto mutevole ed egli nel proprio colore non è quasi più riconoscibile.

Dal medesimo libro 2. [3] La Suocera di Simone febbricitante.

Matteo 8. -Marco 2. - Luca 5.

Una febbre affannosa tormentava la suocera di Pietro 33 con il calore di una vampa violenta, la vita ferita, nel dubbio della morte, si dibatteva in terribili pericoli, 35 un calore immenso e un freddo letale la macerava. Ma appena la mano del Signore toccò le membra affannate la febbre era grande, e la violenza della fiamma cessò in ogni fibbra, estinta da una sorgente di acqua nascosta.

Dal medesimo libro 2. [4] L’Idropico guarito nel giorno di Sabato. Luca 14.

Poi entra nella casa di uno dei Capi dei Farisei 172 per onorare quella casa, e non per prendervi il cibo, e volentieri vi era andato, senza tanto farsi pregare.

Qui c’era un uomo gonfio, sformato da un grande ventre, 175 pieno di acqua, lo stomaco* aveva teso la pelle enfiata;

* Candore (per la carnagione bianca) in senso ironico per bruttezza, turpitudine. * Arctus sta per artus o membra * Alvus (stomaco), qualche volta era anche di genere maschile.

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Inclusam paritura necem, jam membra fluebant, Accrescente sinu, miserosque infusa per artus; Turgida per flatum macies tenuaverat ægrum, Inque uteri spatium totus convenerat hydrops. 180 Non tulit hanc speciem mundi Pater, et sua transit Sabbata non curans, hominem curare paratus Quem voluit magis esse suum; nam Sabbata propter Condita sunt hominem, non est homo Sabbata propter. Tunc pius humentem siccatâ corporis undâ 185 Jussit abire luem, fluidus mox viscera morbus Deserit, et vacuæ resident in pectore fibræ, Carnalemque lacum pestis lymphata reliquit.

Ex eod. lib. 2. [4] De Hominis muti dæmonium habentis curatione. Matth. 9.

Cumque Tyri transgressus iter Sidonia rursus 99 Arva* legens, placidas Dominus calcaret arenas, Curavit gemino miserum spiramine clausum, Qui vocem non ore dabat, non aure trahebat, Sidereæque Manus ruptis penetralibus omnes Attactu patuere fores, lætusque repente Audirique loquens, meruitque audire loquentes. 105

Ex eod. lib. 2. [3] De Cæcorum sanatione. Marc. 10.

Inde pedem referens geminos videt ecce sequentes 143 Cæcatos clamare viros, Fili inclite David, Decute nocturnas extinctis vultibus umbras, 145 Et clarum largire diem. Quàm credere tutum, Quàm sanum est cognosse Deum, iam corde videbant Qui lucis sensere viam. Tunc cæca Præcantum Lumina, defuso ceu torpens ignis olivo, Instaurata suis radiarunt ora lucernis. 150

De eodem subiecto lib. 3. [4] dicit, Praeterea geminos Dominus considere cæcos, 31

Dum quoddam transiret iter, comitante caterva Conspicit extinctæ poscentes munera formæ Flebilibusque vagas implentes vocibus auras. Nec cunctata* solens pietas inferre salutem, 35

* Arva legens, id est per regionem, agrumque Sydonicum transiens. * Cunctata scil. tarda, procrastinata.

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le membra erano già cadenti, rivelando l’imminente rovina, per il crescente gonfiore, che si diffondeva nei miseri arti; e il rovinoso turgore si manefestava nel respiro affanoso, e l’idropisia trovava il suo centro nello spazio del ventre. 180 Il Padre del Mondo non sopportò tale vista, e, senza curarsi

del Sabato, passò il suo pronto a curare l’uomo, che volle che fosse più suo; infatti fu istituito il Sabato per l’uomo, ma non l’uomo per il Sabato. Perciò pietoso, dopo aver asciugata l’acqua del corpo 185 ordinò all’umido contagio di sparire, e subito il fluido

morbo lasciò le viscere e le fibre svuotate tornano forti, e la linfatica peste abbandonò il lago del corpo.

Dal medesimo libro 2. [4] La cura di uomo muto posseduto dal demonio. Matteo 9.

Mentre il Signore, lasciata la strada di Tiro e ritornando verso 99 la regione* di Sidone, calcava le placide sabbie, curò uno sventurato, che aveva due dei sensi ostruiti: dalla bocca non emetteva voce, né con l’orecchio sentiva; le celesti Mani, rotti i recessi più intimi, con un tocco aprirono tutte le porte, e all’improvviso felice meritò che parlando fosse udito, e che udisse chi parlava. 105

Dal medesimi libro 3. [3] La guarigione dei Ciechi. Marco 10.

Poi, partendo da lì, ecco vede due uomini ciechi, 143 che lo seguono, esclamare: “Inclito Figlio di Davide cancella dai nostri volti spenti le ombre notturne, 145 e donaci il chiaro giorno”. Quanto conforto dà credere! Quanto è salutare aver conosciuto Dio! Già essi vedevano con il cuore e sentivano la via della luce. Poi i lumi spenti, dei Supplicanti, come fuoco che muore per olio versato, riaccesi illuminarono il volto delle sue luci 150

Sul medesimo argomento, libro. 3. [4] dice, Inoltre mentre il Signore passava, seguito da grande 31

folla, vide due ciechi, che se ne stavano seduti, che chiedevano il dono del loro senso estinto, e riempivano l’aria leggera con le flebile voci. La pietà che, senza attendere*, suole portare soccorso, 35

* Arva legens (andando lungo i campi), cioè attraversando la regione, e i campi di Sidone. * Cunctata (esitata), cioè lenta, rinviata.

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Quae sentit flagrare fidem, mox lumina tangens Evigilare iubet, quæ somnus presserat ingens, Atque diu clausas reserans sub fronte fenestras Ingrediente die fecit discedere noctem.

Ex lib. 2. [3] pulcherrimé

De Paralytici sanatione.

Marc. 2. - Luc. 5.

Hinc alias Dominus Pelago delatus in oras, 86 Intravit natale solum*, quo corpore nasci Se voluit, Patriamque sibi Pater ipse dicavit. Ecce aderant vivum portantes jamque cadaver Bis bina cervice Viri, lectoque cubantem 90 Vix hominem, cui vita manens sine corporis usu Mortis imago fuit, resolutaque membra jacebant Officiis deserta suis, fluxosque per artus Languida demissis pendebant vincula nervis. Hunc ubi virtutum Dominus conspexit egentem, 95 Robore peccatis primum confirmat ademptis, Quæ generant aumenta malis, miseroque jacenti Surge, ait, et proprium Scapulis attolle grabatum, Inque tuam discede domum; nil jussa moratus, Cui fuerat concessa salus, vestigia linquens 100 Tandem aliena, suis lætatur vádere plantis, Vectoremque suum grata mercede revexit.

Ex eod. lib. 2. [3] De Manus restitutione.

Luc. 6. Exin, conspicuam Synagogæ ingressus in Aulam, 182

Aspicit Invalidum demisso corpore mancum*,

Semínecem* membris, non totum vivere; cuius

Arida torpentem damnarat dextera partem; 185 Imperioque medens, gelidam recalescere palmam Præcepit, et reduci Divino more saluti, Sicut semper agit, nil tollit et omnia reddit.

* Solum fortasse error est pro suum. * Mancum hic pro debilem. * Seminecem idest Semimortuum.

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che sente flagrare la fede, subito sfiorando quegl’occhi, che un grande sonno aveva sopito, li riporta a vegliare, aprendo sotto la fronte finestre chiuse per troppo tempo, e appena entra il giorno costringe la notte a fuggire.

Dal libro 2. [3] - Bellissimo

La cura del Paralitico.

Marco 2. - Luca 5.

Da lì il Signore, portato per mare in altre contrade, 86 giunse nella terra* natale, dove volle nascere col corpo, e Padre egli stesso se l’assegnò come Patria. Ecco c’erano lì quattro Uomini che portavano sopra

la testa un uomo vivo, ma già cadavere quasi, disteso 90 in un letto, e gli restava la vita senza l’uso del corpo,

di morte era l’immagine, e le membra giacevano inerti prive delle loro funzioni, e le giunture, senza i legami dei nervi, pendevano lungo gli arti già molli. Appena il Signore delle Virtù vide questo infelice, 95 prima lo rinvigorisce rimettendogli tutti i peccati, che sono la radice del male, poi allo sventurato giacente “Alzati, - dice - e mettiti sulle spalle il tuo letto, e ritorna nella tua casa”. Senza dare ritardo agli ordini, egli, al quale era stata ridata la salute, senza più seguire 100 i passi altrui, gioisce di potersene andare con i suoi piedi, e riportò, per grato compenso, il mezzo che lo trasportava.

Dal medesimo libro 2. [3] La riabilitazione della Mano.

Luca 6.

Poi, entrato nella Sala suntuosa di una Sinagoga, 182 vide un Invalido, infermo

* nel corpo fiaccato, nelle membra quasi morente*, non del tutto vivo; la cui destra seccata aveva condannato una parte alla rigidità; 185 guarendolo con un comando, ordina alla mano gelata

di riscaldarsi e tornare in salute, secondo il costume Divino come fa Egli sempre: niente toglie,e ogni cosa ridona.

* Solum (suolo) forse è un errore per suum (suo). [L’osservazione non pare giustificata. N.d.C.]. * Mancum (storpio), qui sta per infermo. * Seminecem (morente) cioè mezzomorto.

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Ex eod. lib. 2. [3] De Mir. Oper. Dei,

De Viro a Spirituum malorum legione liberato. Matth. c. 8. et c. 15 - Marc. c. 1. - Luc. c. 4. et c. 8.

(Elegantissimè) Interea placido transvectus marmore puppim 70

Liquerat, et medios lustrabat passibus agros: Cum procul e tumulis gemino stridore ruentes Prosiliere viri, quos non mala Dæmone pauco, Sed legio vexabat atrox, nexuque cruento Sæva catenatis gestabant vincla lacertis; 75 Angebat quoque pœna duplex: heu dira furoris Conditio, qui vim patitur, magis ille ligatur. Tunc Domini præcepta tremens exire jubentis, Spiritus infelix, hominem non audet adire, Effigiem repetens, quam Christum cernit habere: 80 Sed pecus immunda gaudens lue, semper amicum Sordibus, atque olido consuetum vivere cœno Pro meritis petiere suis, tristesque Phalanges

* Porcinum tenuere gregem; niger hispidus

* horrens Talem quippe domum dignus fuit hospes habere. 85

Ex eod. lib. 2. [3]

De unici Filii a Spiritu vexati leberatione. Luc. 9.

Postquam corporeos Virtus ingressa per artus 293 Texit odoratam Carnis velamine formam, Atque palam Dominus Populis dedit: ecce repente 295 Vir humilis mæsto dejectus lumina vultu Procedit, supplexque manus, et brachia tendit, Imploratque gemens, Unus mihi Filius, unus* Est, Domine, horrenda lacerat quem spiritus ira, Nec linquit nisi mergat aquis, aut ignibus atris 300 Opprimat, atque animam dubia sub morte fatigat; Hunc precor expulso miseratus utrumque furore Redde mihi, vel redde sibi, nec cæca potestas Expellat trepidam subtracto lumine vitam. Dixerat, et genua amplectens, genibusque volutans 305

* Phalanges nomin. plur., cujus sing. haec Phalanx angis, Agmen, seu exercitus Militum. * Hispidus idest hirsutus, asper. * Nota quam pulchre describat cum Hipotiposi.

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Dal medesimo libro 2. [3] Le Opere Mirabili di Dio.

L’Uomo liberato da un legione di Spiriti malvagi. Matteo, c. 8. e c. 15 - Marco c. 1. - Luca c. 4. e c. 8.

(Molto elegante)

Frattanto, attraversata la superfice tranquilla, aveva lasciato 70 la nave, e camminava a piedi in mezzo ai campi, quando da lontano, uscendo da tombe con grida stridenti, comparvero due uomini, che il Maligno non con un Demonio da poco, ma con un’atroce falange tormentava; essi avevano terribili lacci

alle braccia incatenate da nodi cruenti; li angustiava anche 75 una duplice pena: oh, come è triste la condizione del folle, che subisce una violenza, e sempre più vi si avviluppa. Allora il triste spirito, temendo i comandi del Signore che gli ordinava di andarsene, non osa avvicinarsi all’uomo, rimirando l’immagine: lo sa bene che contiene il Cristo; 80 ma come greggia che ama l’immonda sozzura, ed è amica sempre del braco, e abituata a vivere nel nauseante letame, chiese quello che si addice ai suoi usi, la triste Falange

* si gettò su un gregge di porci; il nero, ispido

*, orrido ospite fu proprio degno di avere una tale casa. 85

Dal medesimo libro 2. [3]

La liberazione del Figlio unico posseduto dallo Spirito. Luca 9.

La Virtù dopo essere rientrata attraverso gli arti corporei, 293 ricoprì l’odorosa sua forma di un velo di Carne, il Signore si offrì alle Folle: ecco all’improvviso 295 un uomo umile, con gli occhi bassi e mesto nel volto, avanza, e tende supplichevole le mani e le braccia, e implora gemendo: “Un unico, un unico Figlio*

Signore, io ho, che uno Spirito strazia con orribile ira, manca solo che l’anneghi con l’acqua, o che lo bruci col fuoco 300 terribile, e che gli tormenti l’anima con il rischio di morte; pietà di entrambi, questo ti chiedo, allontanato il furore, restituiscilo a me, o restituiscilo a sé, e l’oscuro potere non cacci via la vita atterrita, dopo avergli sottratto la luce”. Disse, e, le ginocchia abbracciando, si strinse strisciando 305

* Phalanges (Falangi) nom. plur., di cui il sing. è Phalanx angis, Schiera, esercito di Soldati. * Hispidus cioè irsuto, irto. * Nota con che grazia descrive, usando l’Ipotiposi (Per i versi 294-298 [N.d.C.]).

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Hærebat, Dominusque pio jam pectore votis Annuerat, tunc prædo furens ac noxius hostis, Cui possessa diu est aliena fabrica juris, Pervasa

* migrare domo compulsus, in iram Tollitur accensam, correptaque carpere membra 310 Nititur, et frustra, Domino prohibente, laborans, Fugit in obscuras, Puero vivente, tenébras.

De eodem Subiecto, lib. cit. [4]

pulcherrimè dicit. Jamque Capharnææ Synagogam intraverat urbis 82

Ritè docens Populos, quem cum vidisset iniquus Humano sub corde latens clamore protervo Spiritus infremuit, Quid nobis, et tibi, dicens, 85 Perdere nos heu Christe venis? Scio denique qui sis Et Sanctum cognosco Dei; nec plura locutus, Imperio terrente tacet, hominemque reliquit,

Pulsus et in vacuas fugiens evanuit auras.

Ex lib. 3 [4] de Mir. Oper. Dei

De Unico Viduæ Filio ad vitam revocato. Luc. 7.

Talibus insignis virtutibus ibat in urbem, 125 Quæ sit dicta Naim, Populo vallatus ipimo, Et grege Discipulum

*, miserum cum comminus* ecce

Conspicit efferri Juvenem, gelidumque cadaver, Pluribus exsequiis, et inani funere passum Triste ministerium, cujus sors invida matrem 130 Jam dudum Viduam geminâ viduaverat urnâ Nec remorata diu pietas inimica doloris Auxilium vitale tulit, tactôque pheretrô, Surge, ait, o Juvenis, parensque in tempore dicto Mortuus assurgit, residensque, loquensque revixit: 135 Atque comes genetricis abit, nam funere torpens,

Et licet amissæ passus discrimine vitæ Non poterat famulus, Domino clamante, tacere, Nec vitâ præsenti mori. Mox agmine verso

* Derivat a Pervado idest penetro, ingredior. * Discipulum per Syncopem pro Discipulorum. * Cómminus per Diastolem dicerem, nisi aliquos Cómminus et Cóminus legere scirem.

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ai suoi piedi; il Signore, già pio coll’animo, aveva assentito alle preghiere; allora il furente predone e il pericoloso nemico che a lungo aveva posseduto una creatura di diritto altrui costretto ad andar via dalla casa occupata*, è trascinato in un’ira rabbiosa, cerca di strappare le membra sottratte, 310 invano provando a resistere, ma il Signore glielo impedisce, allora fugge nelle tenebre oscure, e il Giovane torna a rivivere.

Sul medesimo Soggetto, libro citato. [4]

dice in modo elegantissimo Era già entrato nella Sinagoga della città di Cafarnao, 82

insegnando come al solito al Popolo, quando uno spirito malvagio, nascosto nel corpo di un uomo, lo vide urlò con voce furente, dicendo: “Che c’è fra noi e te, 85 sei venuto per rovinarci, o Cristo? So bene chi sei, riconosco il Santo di Dio”; e senza dire nient’altro, temendo il comando divino, tace, e abbandona l’uomo, cacciato e fuggendo sparì nel vuoto dell’aria.

Dal libro 3 [4] Le Mirabili Opere di Dio.

Il Figlio unico di una vedova richiamato in vita. Luca 7.

Preceduto dalla fama di tali virtù entrava nella città 125 che è detta Naim, circondato da una grande Folla, e dalla schiera dei Discepoli*, quand’ecco subito* vede un Giovane, già freddo cadavere, che è trasportato dopo aver ricevuto molte esequie e un vano funerale, triste funzione, la cui madre già vedova, la sorte invidiosa, aveva reso vedova ancora con un’altra urna. 130 La pieta, che è del dolore nemica, senza indugio alcuno portò l’aiuto vitale, e dopo aver toccato il feretro, “Alzati, o Giovane”, disse, e subito, ubbidendo alla parola, il morto s’alzò e tornò a vivere sedendo e parlando: 135 e se ne andò insieme alla madre; infatti pur già morto, pur avendo già patito lo scacco della perdita della vita

il giovane, chiamato dal Signore, non poteva tacere, né, presente la vita, morire. Tornato subito indietro,

* Deriva da Pervado cioè penetro, entro. * Discipulum è forma contratta, Sincope, per Discipulorum (dei Discepoli). * Direi Cómminus per Diastole, se non sapessi che alcuni leggono Cómminus e Cóminus.

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Deponens trepidum recidivo tramite luctum, 140 Candida felicem revocavit pompa Parentem.

Ex eod. lib. 3. [4]

De Lazari resurrectione. (pulcherrimè) Joan. 11.

Ergo ubi clamantis Domini sonuit tuba dicens, 283 Lazare perge foras, magno concussa pavore Tartara dissiliunt

*, Érebi* patuere recessus, 285 Extimuit lethale Chaos, mortisque profundæ Lex perit, atque Anima proprias repente medullas, Cernitur ante oculos, vivens astare

* cadaver; Postquam sepulchralem tamquam recreatus honorem Ipse sibi moriens, et Posthumus extat et hæres. 290

Ex lib. 2 [3] de Mir. Op. Dei

Christus imperat Mari et Ventis, &c. Matth. 14. - Marc. 4. - Luc. 7.

Inde marina petens arentes gressibus algas 46 Pressit, et exiguæ conscendens robora cymbæ Æquoreas intravit aquas, Dominumque sequentes Discipuli placido librabant carbasa

* ponto. Jam procul a terris fuerat ratis, actaque flabris* 50 Sulcabat medium puppis secura profundum; Cum subito fera surgit hyems, pelagusque procellis Vertitur, et trepidam quatiunt vada falsa1 carinam. Perculerat formido animos, seseque putabant Naufraga litoreas jam tendere brachia saxis*: 55 Ipse autem placidum carpebat pectore somnum Majestate vigil, quia non dormitat in ævum,

* Dissiliunt idest tremunt, commoventur. * Erĕbi, sc. Sedis Inferorum, seu Loci subterranei. * Astare per euphoniam melius quam adstare. * Carbasa heic pro vela. * Flabris idest flatibus venti. 1 Salsa. * Optima Descriptio per totum.

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il bianco corteo, deposto la tristezza del lutto con cammino a ritroso, riaccompagnò la Madre felice. 140

Dal medesimo libro 3. [4]

La resurrezione di Lazzaro. (molto elegante) Giovanni. 11.

Allora appena la voce del Signore suonò forte dicendo: 283 “Lazzaro vieni fuori”, colpito da grande terrore tremò* il Tartaro e si spalancarono i recessi dell’Erebo*, 285 provò grande paura il Caos letale, perì la Legge della morte profonda, l’Anima subito vede davanti agli occhi le proprie midolla e il cadavere vivo lì in piedi* davanti; e quasi creato di nuovo dopo l’onore del sepolcro, egli, morendo, diventa Postumo e erede a se stesso. 290

Dal libro 2 [3] Le Mirabili Opere di Dio

Cristo comanda al Mare e ai Venti, ecc. Matteo. 14. - Marco. 4. - Luca. 7.

Poi dirigendosi al mare calcò con le piante la sabbia 46 infuocata, e salito sulle tavole d’una piccola barca entrò nelle acque del mare, i Discepoli, seguendo il Signore, scioglievano le vele* sul placido mare. La nave già era lontana da terra, spinta dai venti1, 50

la poppa sicura solcava il mare profondo; all’improvviso però sorge una fiera tempesta, e il mare è sconvolto dalle procelle, e i flutti fallaci2 squassano la trepida nave. La paura aveva già scosso gli animi: già si vedevano naufraghi tendere le braccia verso gli scogli* del lido. 55 Egli invece godeva con il corpo un placido sonno

* Dissiliunt (sobbalzano) cioè tremano, si agitano. * Erebi (dell’Erebo), cioè della sede degli Inferi, o del Luogo sotterraneo. * Astare (stare in piedi) per eufonia meglio di adstare. * Carbasa (tessuto orientale) qui sta per vela. 1 Flabris (dai soffi), cioè dai soffi dei venti. 2 Il Marcucci scrive falsa (fallaci). È un errore di trascrizione? Nessuno degli Editori accredita la

lezione marcucciana. Il Migne (Patrologiæ, Cursus completus, cit., tomus XIX c. 639) richiama il calco virgiliano (Eneide V, v. 158). La sostituzione ha una sua suggestione e plausibilità. Lo scambio può anche essere derivato dalla grande similitudine tra il segno della s e della f nella scrittura del ’500-’600. O Sedulio scrisse proprio falsa? Le acque del mare di Galilea non sono salate. A dispetto di tutti i filologi e commentatori (cfr. F. CORSARO, Sedulio poeta, cit., p. 90, n. 4).

* Ottima descrizione nel complesso (La nota è riferita ai versi 50-54 [N.d C]).

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con la Maestà era vigile, perché non dorme sempre Qui regit Israel, neque prorsus dormiet umquam. Ergo ubi pulsa quies, cunctis lacrimantibus, una Voce simul, Miserere citus, Miserere, perimus; 60 Auxilio succurre pio! Nil vota moratus, Exurgens Dominus validis mitescere ventis Imperat, et dicto citius tumida æquora placat. Non erat illa feri pugnax audacia ponti, In Dominum tumidas, quæ surgere cogeret undas, 65 Nec metuenda truces agitabant flamina vires: Sed lætum exiliens, Christo mare compulit imum Obsequio fervére fretum, rapidoque volatu Moverunt avidas ventorum gaudia pennas.

Ex lib. 3. [4] elegantissime, more suo

De Sermone ad Turbas in Petri navicula,

ac de Rete plena Piscium &c. Luc. 5.

Hinc majora docens populos cælestia verum 109 Se reserat sermone Deum, turbasque frequentes, 110 Quæ nimis irruerant, cupiens vitare parumper Stagna petit parva, residensque Simonis in aula1, Littore sistentem firmabat ab æquore plebem, Et dictis jam finis erat; tunc altius actam In pelagus jubet ire ratem

*, vastoque profundo 115 Retia dimitti piscantia, quæ nihil omnem Claudere per noctem vacuo potuere labore. Simo parat ovans

*, et aquosis gentibus instans Linea claustra jacit, tantumque immanis apertos Implevit captura sinus, ut præda redundans 120 Turbaret geminas cumulato pisce carinas: Nam socia istic puppis erat. Sic maxima sæpe Gaudia non ferimus, propensaque vita

2 timemus,

Quodque Deo facile est, homines optare nec audent.

1 Alno. * Ratem idest Navim, Virg. 1. Eneid. * Ovans, hic melius pro lætans, quam triumphans. 2 vota.

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chi regge Israele, anzi realmente non dormirà mai. Perciò appena la bonaccia fu rotta, tutti insieme piangenti dicevano in coro: “Pietà presto, periamo, Pietà. 60

Vieni pio in aiuto!” Senza tardare il soccorso il Signore levandosi, ordina ai venti impetuosi

di quietarsi, e con la parola placa le tumide acque. Non era la combattiva audacia di un mare rabbioso che spingeva le onde a levarsi minacciose contro il Signore, 65 né truci forze agitavano i terribili venti: ma sussultando felice, il mare spinse le acque profonde a ribollire in ossequio a Cristo, e con rapido volo la contentezza mosse le avide ali dei venti.

Dal medesimo libro. 3. [4] molto elegante, come suo costume

Il Discorso alle Folle sull nave di Pietro,

e la Rete piena di Pesci. Luca 5.

Da qui spiegando al popolo i più alti misteri celesti, 109 con la parola si rivela come vero Dio, e volendo un po’ 110 evitare le grandi folle, che si erano accalcate numerose si diresse verso uno specchio di mare, e, seduto sulla barca1 di Simone, ammaestrava dal mare la gente ammassata sul lido; e il discorso ormai era alla fine; allora comanda che la barca* lì pronta vada più a largo nel mare, e che siano gettate 115 nelle acque profonde le reti per la pesca: già per tutta la notte con vana fatica nulla avevano potuto raccogliere. Simone esultante* ubbidisce, incalzando le creature del mare, getta le reti di lino, e una grande pesca riempì tanto le pieghe aperte che lo straordinario bottino di pesce 120 ammassato metteva in pericolo due barche: infatti c’era vicino una barca compagna. Così spesso non reggiamo

alle gioie più grandi, e temiamo le preghiere2 esaudite.

Ciò che è facile a Dio, gli uomini non osano chiederlo.

1 Nel manoscritto di M. si legge aula (regia), ma potrebbe essere una svista del copista, perché la

fonte da cui il Nostro trascrive sembra essere l’edizione aldina del 1501 pubblicata a Venezia nel 1502 (cfr., Migne: (Patrologiæ, cursus completus, cit., XIX, cc. 33 479, 682). Abbiamo tradotto come se nel testo vi fosse alno.

* Ratem (zattera) cioè Nave, Virgilio Eneide, 1. * Ovans (esultante) qui meglio per lieto, che per trionfante. 2 Preghiere. Vita per vota è forse uno scambio di vocale.

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Ex eod. lib. 3. [4]

De potestate Discipulis tradita in venena,

&c. ac de eorum missione, &c. Matth. 10. - Marc. 6. - Luc. 5.

Neve redundantem cumulato germine messem 151 Exiguis Dominus sineret languere colonis, Discipulosque alios, quorum mens conscia recti, Puraque simplictas

*, numero, meritoque refulgens, Aurea libra fuit, velut agnos praecipit inter 155 Sanguineos properare lupos, Assumite, dicens Jura potestatis, nullum metuatis ut hostem, Vipereasque minas, et scorpi

* inimica venena Omnia virtutis sensu calcate fideli.

Ex lib. 4. [5] de Mir. Oper. Dei

De Solis obscuritate, Terremotu, et Corporum

Resurrectione in Christi D(omi)ni morte. Matth. 27. - Luc. 23.

Interea horrendæ subito venere tenébræ, 232 Et totum tenuere polum, mæstisque nigrantem Exsequiis texére diem; Sol nube coruscos Ascondens

* radios, tetro velatus amictu, 235 Delituit, tristemque replevit luctibus Orbem, &c.

Ergo ubi cuncta boni completa est passio Christi, 261 Ipse Animam proprio dimisit Corpore sanctam, Ipse iterum sumpturus eam, quia mortuus idem, Idem vivus erat, membris obeuntibus in se, Non obeunte Deo, cuius virtute retrorsum 265 Infernæ patuere viæ, ruptæque fatiscunt

* Divisa compage petræ, rediviva jacentem Corpora Sanctorum fractis abiére sepulcris, In cineres animata suos, subitoque fragore, Illud ovans templum, majoris culmina templi 270 Procubuisse videns, ritu plangentis alumni, Saucia discisso nudavit pectora velo; &c.

* Per Syncopem ex necessitate metrica pro Simplicitas. * Scorpi pro Scorpii per Synéresim. * Pro euphoniam pro absconditus. * Fatiscunt sc. magnopere aperiuntur.

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Dal medesimo libro. 3. [4]

Il potere sui veleni dato ai Discepoli, ecc.

e la loro missione, ecc. Matteo 10. - Marco 6. - Luca 5.

Il Signore per non lasciare languire la messe abbondante 151 per il seme crescente, per scarsità di coloni, ad altri Discepoli, la cui mente fosse conscia del giusto, e la semplicità

* pura, (la scelta fu aurea, ammirevole per numero e merito), ordinò di andare tra i lupi famelici, 155

come agnelli dicendo: “Ricevete i simboli del potere, non temete nessuno come nemico, camminate con grande fiducia sopra l’insidia delle vipere, e degli scorpioni

*e su quella di ogni nemica virtù”.

Dal libro 4 [5] Le Mirabili Opere di Dio.

L’oscuramento del Sole, il Terremoto e la resurrezione

dei Corpi alla Morte di Cristo Signore. Matteo 27. - Luca 23.

Frattanto scesero subito delle orride tenebre 232 e ricoprirono tutta la terra, e riempirono il giorno oscurato di mesti cortei; il Sole nascondendo

* con una nube i suoi raggi corruschi, velato da un tetro mantello 235 scomparve, e riempì il Mondo triste di lutti, ecc.

Dunque appena la passione di Cristo beato fu tutta compiuta, 261 egli stesso congedò dal proprio Corpo l’Anima santa egli stesso di nuovo l’avrebbe ripresa, perché, morto egli era ugualmente vivo, poiché da lui erano andate via le membra, non era andato via Dio; per il suo potere 265 le vie dell’Inferno si rispalancano, e le pietre spezzate, persa la loro compattezza, si fendono

*, e i corpi dei Santi già morti, risorti, aperti i sepolcri, se ne andarono rianimati alle loro ceneri; per l’improvviso fragore, quel sacro luogo, vedendo che era caduta 270 la cima più alta del tempio, come un fanciullo in lacrime, strappatosi il velo, si denudò il petto ferito; ecc.

* Forma sincopata per necessità metrica per semplicità. * Scorpi per Scorpii (Scorpione) per la Sineresi. * Per eufonia sta per abscondens (nascondendo). * Fatiscunt (si fendono), cioè si aprono ampiamente.

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Nec tellus sine clade fuit, quæ talia cernens 245 Funditus intremuit, dubioque in fine supremum Expavit Natura modum, ne cogeret omnem Summus Opex inferna petens succumbere molem, Auctoremque sequens per tartara Mundus abiret: Sed pietas immensa vagas properabat ad umbras, 250 Perdita restituens, nec consistentia perdens.

Ex eod. lib. 4. [5] De Crucis dignitate, ac veneratione, &c.

Protinus in patuli* suspensus culmine Ligni, 182

Relligione* piâ mutans discriminis iram,

Pax Crucis ipse fuit, violentaque robore membris Illustrans propriis, pœnam vestivit honore, 185

Suppliciumque dedit signum magis esse salutis, Ipsaque sanctificans in se tormenta beavit. Neve quis ignoret speciem Crucis esse colendam,

Quæ Dominum portavit ovans ratione potenti; &c.

Excerptorum ex Sedulio Finis ==================================================

Corollarium.

De sacrosancto Nomine JESU per Achrostíchidem Expressum.

Ex Juvencyo lib. 5. Inst. Poet. §. 1.

Ille, sacrum cujus legis hoc in carmine Nomen, E Virginis castæ sinu Servator Mundi, nostrum productus in orbem, Ut omnibus vitam daret, Se moriens totum indulsit mortalibus ægris.

Achróstichis breve est poema (quod nos Itali Verso o Componimento

Acróstico dicimus), cujus litteræ initiales (quandoque simul et mediæ, et finales, putà quando geminatur, seu triplicatur Acrostichis quolibet in versu)

* Patuli hic pro aperti. * Relligione per Diastolem.

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Né la terra fu senza rovina, vedendo tali disastri, 245 essa tremò fin dalle fondamenta, e la Natura temette di essere al punto supremo, e che il Sommo Fattore, scendendo verso l’Inferno, trascinasse con sé ogni cosa, e il Mondo seguendo il suo Creatore cadesse nel Tartaro. Ma l’immensa pietà si affrettava verso le vaghe ombre, 250 recuperendo le cose perdute, senza perdere ciò che esiste.

Dal medesimo libro 4. [5] Dignità e culto della Croce.

Dunque sospeso alla sommità* dell’ampio Legno, 182 cambiando con atto pietoso* l’ira per la punizione,

egli fu la pace della Croce, onorando il violento legno con le sue membra, rivestì d’onore il simbolo della pena 185 e fece sì che un supplizio diventasse segno di salvezza, e santificando su di sé i tormenti stessi, li beatificò. E nessuno ignori che l’immagine della Croce, che portò il Signore

deve essere venerata, gioiendone con forte ragione, ecc.

Fine di passi scelti da Sedulio

==================================================

Corollario.

Il Sacrosanto Nome di Gesù espresso con un Acrostico.

dal libro 5, § 1.di Giovencio L’Istituzione Poetica.

Il suo sacro Nome lo leggi in questo Carme, E dal seno casto della Vergine Salvatore del Mondo, su questa terra, Uscito per dare a tutti la vita, Sacrificandosi tutti salvò gli infermi mortali.

L’Acròstico è un breve poesia (che noi Italiani chiamiamo Verso o

Componimento Acròstico), le cui lettere iniziali (a volte pure le medie, e le finali, per esempio quando in un verso l’Acrostico è raddoppiato o triplicato)

* Patuli (ampio) qui sta per aperto. * Relligione (Religione, culto) per Diastole.

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nomen aliquod, sive sententiam exhibent; vel Alphabetum repræsentant, ut patet in Himno Seduliano A Solis ortus cardine, &c.

………………………………………………………………………

De sacrosancto Mariæ Nomine per Anagramma Numericum.

Duplex est Anagramma, aliud Litterale (quod jam est notum) aliud Numerale seu Numericum; cujus Regula est

A B C D E F G H I │ K L M N O P Q R S 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. │10. 20. 30. 40. 50. 60. 70. 80. 90. T V X Y Z

100. 200. 300. 400. 500.

M A R I A 30. 2. 80. 9. 1.

___________________________________________________

121. ___________________________________________________

A. D E I R E G I A, idest alma Dei Regia

1. 4. 5. 9. 80. 6. 7. 9. 1. _____________________________________________________________________________________________________

121 ____________________________________________________________________________________________________

Ingeniossimum, ac mirabile Joannis Ostulphi Anagramma Numerale de impio Luthero refert Emmanuel Thesaurus in Telescopio suo Aristotelico cap. 7, de æquivoc. fol. mihi 255. Bestiam horridam, cujus meminit S. Joannes in Apoc. 13.18., consideravit subtiliter Ostulphus; ejusque numerum cum numero Nominis impii Hæresiarchæ prædicti, juxtà patrium ejus idioma, quod est Martin Lauter, comparavit; eumque bestiam illam fuisse comperit. Prophetia Apocalypseos hæc est, Numerum Nominis ejus. Qui habet

intellectum computet numerum Bestiæ Numerus enim hominis est; et

numerus ejus sexcenti sexaginta sex (Apoc. 13.18.). Et numerus impii Hæresiarchæ est sequens,

M a r t i n L a u t e r 30. 1. 80. 100. 9. 40. 20. 1. 200. 100. 5. 80. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

6 6 6

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evidenzia un nome o una frase; o rappresenta l’Alfabeto, come si può vedere nell’Inno di Sedulio A Solis ortus cardine, &c (Dal

punto in cui sorge il Sole). ……………………………………………………………………………

Il Sacrosanto Nome di Maria attraverso un Anagramma Numerico.

Due sono le forme di Anagramma, uno Letterale (che già conosciamo), l’altro Numerale o Numerico, la Regola è

A B C D E F G H I │ K L M N O P Q R S 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. │10. 20. 30. 40. 50. 60. 70. 80. 90.

T V X Y Z 100. 200. 300. 400. 500.

M A R I A

30. 2. 80. 9. 1. ___________________________________________________

121. ___________________________________________________

A. D E I R E G I A, cioè fertile Regia di Dio

1. 4. 5. 9. 80. 6. 7. 9. 1. _____________________________________________________________________________________________________

121 ____________________________________________________________________________________________________

Emmanuele Tesauro nel suo Telescopio Aristotelico, cap. 7. “Gli equivoci”, nel mio testo fol. 255, riporta un ingegnosissimo e mirabile Angramma Numerale di Giovanni Ostulfo su l’empio Lutero. Ostulfo prese in considerazione abilmente l’orrenda Bestia, di cui fa menzione S. Giovanni nell’Apocalisse, 13, 18, e confrontò il suo numero con il numero del Nome del predetto empio Eresiarca, secondo il suo idioma patrio, cioè Martin

Lauter; scoprì che egli era stato quella bestia. La Profezia dell’Apocalisse è questa. Il Numero del suo Nome. Chi ha intelletto calcoli il numero della

Bestia. È infatti il numero dell’uomo; e il suo numero è 666 (Apocalisse, 13,18). E il numero dell’empio Eresiarca è il seguente,

M a r t i n L a u t e r 30. 1. 80. 100. 9. 40. 20. 1. 200. 100. 5. 80. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

6 6 6

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Pars altera ingeniosior ac dignior, alias Caput II.

De novo Testamento, & de Servatoris adventu.

Præfatio. Nunc ad Te, & tua, Magne Pater, consulta revertor. [Æn. 11. v. 410]

Majus opus moveo; Vatum prædicta priorum Æn. 7. 4. [vv. 45, 464] Aggredior; quamvis angusti terminus ævi Geor. 4. [v. 206] Accipiat, temptanda via est, qua me quoque possim [Geor. 4. 3, vv. 207, 8-9]

Tollere humo; et nomen fama tot ferre per annos. Geor. 3. [vv. 9, 47]

§. I. De Servatoris Adventu.

Quòd tua progenies Cælo descendit ab alto, Buc. 4. [Æn. 8. vv. 7, 423] Attulit et nobis aliquando optantibus ætas Æn. 8. [v. 200] Auxilium: adventumque Dei cum fœmina primum Æn. 8. [vv. 201, 408] Virginis os;1 habitumque gerens, (mirabile dictu), Æn. 1. [vv. 315, 439] Nec generis nostri Puerum, nec sanguinis edit. Buc. 8. [ v. 45] Sed quia terrifici cecinerunt omina Vates Æn. 5. [v. 524] Adventare Virum Populis terrisque superbum Æn. 7. 2. [vv. 69, 556] Semine ab æthereo, qui viribus occupet Orbem, Æn. 7 [vv. 281, 258]

Imperium Oceano; famam qui terminet astris. Æn. 1. [v. 287]

§. II. De Nativitate Jesu Christi.

Jamque aderat promissa dies, quo tempore primum Æn. 9. Geor. 1. [vv. 107, 61] Extulit os sacrum Divinae stirpis imago Æn. 8. 5 [vv. 591, 711] Missa sub imperio, venitque in corpore Virtus Æn. 5. [v. 344] Mixta Deo; subiitque cari Genitoris imago. Æn. 7. 2.[vv. 661, 560]

§. III. De Stella & Magis.

Haud mora, continuo Cæli regione serena Æn. 3. 8. [vv. 548, 528] Stella facem ducens multa cum luce cucurrit. Æn. 2. [v. 694] Agnovere Deum Proceres; cunctique repente Æn. 9. 5. [vv. 659, 315] Muneribus cumulant; et sanctum sidus adorant. Æn. 5. 2. [vv. 532, 700] Tunc vero manifesta fides, clarumque paternæ Æn. 2. 12. [vv. 309, 225] Nomen virtutis, et Christi agnoscere vultum Æn. 12. 3. [vv. 226, 173]

1 Auxilium, adeventumque Dei cum fœmina primum / Virginis os habitumque gerens, (mirabile dictu).

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Seconda Parte, più ingegnosa e degna di attenzione cioè Capitolo II

Il Nuovo Testamento e l’Avvento del Salvatore

Prefazione. Ora, o grande Padre, io ritorno a Te e ai tuoi disegni.

Inizio una più grande opera; affronto le predizioni degli antichi Vati; benché un breve arco della vita mi resti, devo tentare una via, con la quale anch’io mi possa levare da terra, e con la fama portare alto il nome per anni. 5

§. I.

L’Avvento del Salvatore. Poiché la tua stirpe discende dall’alto del Cielo,

il tempo portò anche a noi, che lo implorammo, l’aiuto e la venuta di Dio, quando una donna, che aveva volto e aspetto di Vergine1, (mirabile a dirsi) generò un Fanciullo diverso da noi per stirpe e sangue. 10 Ma già i terrifici Vati avevano cantato i presagi: sarebbe venuto un Uomo padrone di Popoli e terre di seme celeste, che avrebbe sottomeso il Mondo con la forza, e dato per confine al potere l’Oceano, e gli astri alla Fama.

§. II. La Natività di Gesù Cristo.

Già era giunto il giorno promesso, il tempo in cui 15 rivelò il sacro volto e l’immagine di stirpe Divina inviata sotto l’Impero, e la Virtù si unì ad un corpo insieme alla Divinità, e apparve l’immagine del caro Genitore.

§. III. La Stella e i Magi.

Senza indugio, presto in uno spazio sereno del cielo corse una stella che tracciava una scia con grande luce. 20 I Magi riconobbero Dio; subito tutti insieme lo colmano di doni; e adorano il santo astro. Allora apparve il vero volto della fede e il grande nome della paterna Virtù, e gioiscono di conoscere il volto

1 La diversa interpunzione non sembra trovare giustificazione né in Virgilio, né nel senso.

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Flagrant; et quæ dent Divini signa decoris. Æn. 1. 5. [vv. 710, 647]

§. IV. Metuisse Herodem, nato Christo.

Protinus ad Regem magno clamore furentem Æn. 4. 2. [vv. 196, 58] Fama volat; magnasque acuit rumoribus iras; Æn. 3. 9 [vv. 121, 464] Incenditque animum, matrisque allabitur aures. Æn. 4. 9 [vv. 197, 474] Illa dolos, dirumque nefas, haud inscia rerum Æn. [4. v. 563] Præsensit, metusque excepit prima futuros: Æn. [4. v. 297] Præscia venturi, furtim mandarat alendum Æn. 6. 3 [vv. 66, 50] Dum curæ ambiguæ, dum mens exæstuat irâ. Æn. 8. [9. vv. 580, 798]

§. V. Herodes, Rex jubet occidi Pueros.

At Rex sollicitus stirpem, et genus omne futurum Æn. 7. 4.[vv. 81, 622] Præcipitare jubet, subjectisque urere flammis; Æn. 2. [v. 37] Multa movens, mittitque viros qui certa reportent. Æn. 3. 9. [vv. 34, 193] Haud secus ut jussi faciunt, rapidisque feruntur Æn. 3. 7. [vv. 236, 156] Passibus, et magnis urbem terroribus implent: Æn. 11. [448] Continuo auditæ voces, vagitus et ingens, Æn. 6. [426] Infantumque animæ flentes; ante ora Parentum Æn. 6. [427, 308] Corpora Natorum sternuntur limine primo. Æn. 6. 2. [vv. 22, 485]

§. VI. Maria Mater D[omi]ni fugit cum Filio in Ægyptum.

At Mater gemitu non frustra exterrita tanto, Geor. 4. [vv. 333, 353] Ipsa sinu præ se portans; turbante tumultu Æn.11. 9. [vv. 544, 397] Infantem fugiens plena ad præsepia redit: Æn. 11. Geo. 3. [vv. 541, 495] Hìc Natum angusti subter fastigia tecti Æn. 8. [v. 366] Nutribat teneris immulgens ubera labris. Æn. 11. [v. 572] Hæc tibi prima, Puer, fundent cunabula flores; Buc. 4. [.vv. 18, 21] Mixtaque ridenti passim cum bacchare tellus: Ibid. [vv. 20, 19] Molli paulatim colocasia fundent acantho. Ibid. [vv. 28, 20]

§. VII. Christus disputat in Templo in medio seniorum.

Et jam finis erat, perfecto temporis orbe, Æn. 1. 6. [vv. 223, 745] Ut primum cessit furor, et rabida ora quierunt; Æn. 6. [v. 102] Ante annos animum gestans cælestis origo. Æn. 9. 6 [vv. 311, 730]

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di Cristo, e di colui che porta i segni della Divina bellezza. 25

§. IV. Alla nascita di Cristo Erode si spaventò.

Presto la Fama vola dal Re infuriato per il grande clamore; e con le grida rende più acuto il grande furore; e incendia l’animo, e giunge all’orecchio della madre. Essa, ben cosapevole degli eventi, presentì gli inganni e l’orrendo misfatto, e comprese subito i futuri terrori: 30 e presaga del male, di nascosto l’aveva mandato ad allevare, finché l’angoscia è incerta, e l’animo ribolle d’ira.

§. V. Il Re Erode comanda di uccidere i Fanciulli.

Ma il Re, preoccupato, comanda di gettare via e di ardere, appiccandogli il fuoco, tutta la stirpe e la discendenza futura; agitando molti pensieri, manda uomini che riportino notizie certe. 35 Subito fanno come è comandato, e muovono a rapidi passi, e riempiono la città di un grande terrore: allora furono udite voci e un alto vagire, anime di fanciulli che piangevano; davanti agli occhi dei Padri corpi di Figli sono straziati proprio davanti alla soglia. 40

§. VI. Maria Madre del Signore fugge con il Figlio in Egitto.

Ma la madre non invano atterrita da un pianto così forte, essa stessa portandolo in braccio, fuggendo dal grande tumulto, porta il fanciullo ad un presepio ricolmo: qui, al riparo del tetto di un’angusta dimora, nutriva il Figlio spremendo i capezzoli sulle tenere labbra. 45 Questa culla da sola farà germogliare per te, o Fanciullo, fiori; e la terrra qua e là insieme con il ridente baccare donerà a poco a poco colocasia con il mordido acanto.

§. VII. Cristo disputa nel Tempio in mezzo ai dottori.

E già era giunto il momento, compiutosi il ciclo del tempo, appena il furore scomparve e tacque la bocca rabbiosa; 50 mostrando anzi tempo la sua celeste origine.

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§ VIII Omnes mirantur de sapientia Christi et sequuntur eum.

Per medias urbes graditur, populosque, propinquos; Æn. 7. [v. 384] Illum omnis tectis, agrisque effusa juventus Ibid. [v. 812] Attonitis inhians animis prospectat euntem: Ibid. [v. 814, 813] Turbaque miratur matrem, quis spiritus illi, Æn. 7. 5. [vv. 813, 648] Quis vultus, vocisve sonus, vel gressus eunti est. Æn. 5. [649]

§. IX. Testimonium Joannis de Jesu Christo.

Continuo Vates (namque hic certissimus Auctor), Æn. 7. Geo. 1. [vv. 68, 432] Ut procul a gelido secretum flumine vidit, Æn. 8. [v. 610] Tempus, ait, Deus, ecce Deus; cui maxima rerum, Æn. 6. 9 [vv. 46, 279] Verborumque fides: tu muneris alter ab illo, Æn. 9. Buc. 5. [vv. 280, 49] Fortunate Puer, Cæli cui sidera parent. Buc. 5. Æn. 10. [ vv. 49, 176] Sic equidem ducebam animo, rebarque futurum, Æn. 6.[v. 690] Expectate venis spes, et solatia nostri. Æn. 2. 8. [vv. 283, 514]

§. X. Christus baptizatur a Joanne;

et Spiritus Sanctus descendit de Cælo. Hæc ubi dicta dedit fluvio versare salubri Æn. 8. Geor. 1. [vv. 541, 272]

Accepit venientem, ac mollibus extulit undis: Æn. 9. [v. 817] Exultantque vada; et subito commota Columba Æn. 3. 5. [vv. 557, 213] Devolat, atque super caput astitit; inde repente Æn. 4. 8. [vv. 702, 238] Rapit iter liquidum celeres quoque commovet alas. Æn. 5. [v. 217] . §. XI.

Multos baptizatos cum Christo. Huc omnis Turba ad ripas confusa ruebat, Æn. 6. [v. 305]

Certatim largos humeris infundere rores. Geor. 1. [v. 385]

§. XII. Vox de Cælo audita est: Hic est Filius

meus dilectus, in quo mihi bene

complacui: Ipsum audite. Tunc Genitor Natum dictis compellet amicis Æn. 10. [v. 466]

Nate meæ vires, mea magna potentia solus, Æn. 1. [v. 664] Et prædulce decus magnumque rediture Parenti; Æn. 11. 10. [vv. 155, 507] A te principium, tibi desinit accipe, testor. Buc. 8. Æn. 11 [vv. 11, 559] O mea progenies, qua sol utrumque recurrens Æn. 7. [vv. 97, 100]

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§. VIII. Tutti sono meravigliati delle sapienza di Cristo e lo seguono.

Passa in mezzo alle città, ai popoli e ai suoi parenti; lo ammirano tutti i giovani che si riversano dalle case e dai campi e contemplando con animo attonito lo guardano avanzare: e la turba delle madri lo ammira: che vigore rivela, 55 che volto, che suono di voce, che incedere mentre cammina.

§. IX. Testimonianza di Giovanni su Gesù Cristo.

Subito il Profeta (egli infatti è testimone certissimo) appena vide lontano dal gelido fiume lo sconosciuto, “È tempo”, disse, “Dio, ecco Dio, a lui massima fiducia di fatti e parole: ecco un altro dono receviamo da lui, 60 o fortunato Giovane, al quale obbediscono gli astri del Cielo. Così certo imaginavo e credevo che sarebbe avvenuto; vieni, o sospirato, o speranza e nostra consolazione”.

§. X. Cristo è battezzato da Giovanni;

e lo Spirito Santo discende dal Cielo.

Appena ebbe parlato accolse colui che veniva e lo immerse nelle acque salutari e lo sollevò sulle molli onde: 65 le aque esultano; e poi una Colomba levatasi in volo discese e si posò sopra il suo capo; e all’improvviso sfiora la liquida striscia e muove veloci anche le ali.

§. XI. Molti sono battezzato con Gesù.

Qui tutta una turba variopinta si gettava sulle rive, e a gara si versavano sulle spalle spruzzi abbondanti. 70

§. XII. Fu udita una voce dal Cielo:

“Questo è il mio Figlio diletto,

nel quale mi sono compiaciuto: Ascoltatelo”. Allora il Padre parla al Figlio con parole amichevoli:

“Figlio, tu mia sola forza e mia grande potenza, tu renderai grande dolcissimo onore al Padre; da te inizierà, in te finirà ogni cosa, accoglietelo, lo attesto. O mia progenie, per dove il Sole orbitando contempla 75

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Aspicit Oceanum perfecto lætus honore, Æn. 7. 3. [vv. 101, 178] Omnia sub pedibus verti, regique videbis Æn. 7. [vv. 100, 101] Tu regere imperio populos, matresque, virosque, Æn. 6. 2. [vv. 851, 797] Iampridem résides animos, desuetaque corda, Æn. 1. [v. 722] Ignarosque viæ mecum miseratus inertes. Geor. 1. [v. 41] Aggredere, et votis jam nunc assuesce vocari. Geor. 1. [v.. 42] Dixerat: Ille Patris magni parere parabat Æn. 4. [v. 238] Imperiis instans operi, regnisque futuris. Æn. 4. 1. [vv. 239, 504] Heu pietas, heu prisca fides, quas dicere grates Æn. 6. 11. [vv. 878, 508] Incipiam, si parva licet componere magnis: Æn. 2. Geor. 4. [vv. 13, 176] Nec mihi jam patriam antiquam spes ulla videndi, Æn. 2. [v. 137] Nec spes liberatis erat, nec cura salutis. Buc. 1 [v. 32]

§. XIII. Omnia rident de Adventu Domini.

Hic mihi responsum primus dedit ille petenti: Buc. 1. [v. 45] Concretam exemit labem, purumque reliquit Æn. 6. [v. 746] Æthereum sensum, neque in mea regna remisit; Æn. 6. 2. [v. 747, 543] Illum ego per flammas agerem si syrtibus exul, Æn. 6. 5. [vv. 110, 51] Per varios casus, per mille sequentia tela:(a) Æn. 1. 6 [vv. 204, 110] Quo res cumque cadat, unum pro munere tanto Æn. 2 . 5. [vv. 709, 815] Exsequerer, strueremque suis altaria donis. Æn. 5. [v. 54] Hujus in Adventu tantarum munere laudum Æn. 8. [v. 273] Ipsi lætitia voces ad sidera jactant Buc. 5. [v. 62] Intonsi Montes, respondent omnia Valles. Buc. 5. 10. [vv. 63, 8]

§. XIV. Tentatur Christus.

Tempore non alio, magnum et memorabile nomen Geor. 3. Æn. 4. [vv. 245, 94] Serpentum1 furiale malum meminisse necesse est. Æn. 7. 6. [vv. 375, 514] Ausus quin etiam, fama est obscurior annis, Æn. 2. 7. [vv. 767, 205] Compellare Virum, et veniendi poscere causas: Æn. 2. 1. [vv. 280, 414] Huc ubi tendentem adversum per gramina vidit, Æn. 6 [v. 684] Substitit, infremitque ferox; dictuque potentem Æn. 10. [v. 711] Saucius, at Serpens affatur voce superba: Æn. 11. 7. [vv. 753, 544] Vera ne te facies? verus mihi nuncius affers? Æn. 3. [v. 310] Qui genus? unde domo? qui ad nostra limina tendis? Æn. 8. 6. [vv. 114, 388] Fare, age, quid venias? nam te dare jura loquuntur. Æn. 6. 1. [vv. 389, 731]

(a) Virgilius lib.1 Æneid. sic ait Per varios casus, per tot discrimina rerum – Tendimus in

Latium. Usurpatur tamen in proverbium sic, Post varios casus, post tot &c. 1 Serpentis.

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l’uno e l’altro Oceano, compiuto lieto il sacrificio, il mondo vedrai volgersi e piegarsi sotto i tuoi piedi. Tu reggi i popoli con il comando, uomini e donne, gli animi da tempo inerti, e i cuori disavvezzi; e, impietosito insieme a me degli incerti, che ignorano 80 il cammino, abituati fin d’ora ad ascoltare le preghiere”. Disse: Egli si preparava ad obbedire agli ordini del grande Padre, presiedendo all’opera, e ai regni futuri. O pietà, o antica fede, quali grazie comincerò a renderti, se è lecito confrontare le piccole con le grandi cose. 85 Non avevo più alcuna speranza di rivedere l’antica patria, né desiderio di libertà, né preoccupazione di salvezza.

§. XIII. Ogni cosa si rallegra per la venuta del Signore.

Qui egli per la prima volta ha risposto alle mie richieste: ha dissolto la colpa contratta e puro ha lasciato l’etereo senso, e mi ha riportato nel luogo a me destinato; 90 anche se trascorressi la vita tra le fiamme, esule nelle Sirti fra tanti vicissitudini e inseguito dal mille dardi(a): comunque andranno le sorti, per un dono così grande ne potrei dare uno solo, e colmerei gli altari di offerte: al suo arrivo in segno di così grande gloria 95 gli stessi monti selvosi per la letizia innalzano grida alle stelle, e le Valli le riecheggianno.

§. XIV. Cristo è tentato.

In quello medesimo tempo, fatto grande e memorabile, è necessario ricordare il malefico veleno dei Serpente.1 osò anzi, (la fama con gli anni si è un po’ oscurata), 100 rivolgersi all’Uomo, e chiedergli il motivo della venuta: qui appena lo vide venire verso di lui attraverso l’erba, si fermò, fremette ferocemente; e il Serpente ferito si rivolge al potente con voce superba dicendo: “Reale è il tuo aspetto? Reale messaggero mi giungi? 105 Che stirpe? Che patria? Chi sei tu che giungi alle nostre soglie? Di’, orsù, perché vieni? Dicono che tu dia le leggi.

(a) Virgilio nel libro I, vv. 204-205, così dice: “Attraverso varie vicende, attraverso tanti pericoli

andiamo verso il Lazio”. Ma nel proverbio si dice: “Dopo varie vicende, dopo tanti, ecc.”. 1 Il plurale per il singolare non sembra giustificato né da Virgilio, né dal contesto.

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Aut quis te juvenum confidantissime nostras Geor. 4. [v. 445] Jussit adire domos? pacique imponere morem? Geor. 4. Æn. 6. [vv. 446, 852]

Non equidem invideo, miror magis; accipe porro, Buc. 1. Æn. 9. [vv. 11, 190] Quid dubitem? et quæ nunc ajo sententia surgit1: Æn. 9. [v. 191] Est domus alta, voca zéphyros, et labere pennis, Æn. 10. 4. [vv. 101, 223] Ardua tecta petens ausus te credere cælo, Æn. 7. 6. [vv. 512, 15] Si modo quæ perhibes Pater est, cui sidera parent. Geor. 4. Æn. 10 [vv. 323, 176]

§. XV. Christus diabulum alloquitur.

Olli subridens sedato pectore fatur; Æn. 9. [v. 740] Haud Vatum ignarus, venturique inscius ævi, Æn. 8. [v. 627] Dissimulare etiam sperasti, perfide Serpens; Æn. 4. [v. 305] Nec dubites, nam vera vides, optataque ardua pennis2 Æn. 3. 12. [vv. 316, 892] Astra sequi, clausumque cava te condere Terra. Æn. 12. [v. 893] Quo moriture ruis? majoraque viribus audes? Æn. 10. [v. 811] Cede Deo, toto projectus corpore terrâ Æn. 5.11. [vv. 467, 87]

§. XVI. Diabolus fugit auditô Christô.

Nec plura his: ille admirans venerabile donum, Æn. 6. [v. 408, ] Fronte premit Terram, et spumas agit ore cruento, Æn. 10. Geor. 3. [vv. 349, 203] Contentusque fugâ, cæcis condidit umbris. Æn. 11. 7. [vv. 815, 619]

§. XVII. D[omi]num elegisse Discipulos,

et statim sucutos Populos. Interea magnas volitans it fama per urbes, Æn. 4. 7. [vv. 160 e 173, 104]

Convenere viri, Mens omnibus una sequendi Æn. 5. 10. [vv. 490, 182] In quascumque velit pelago deducere terras. Æn. 2. [v. 800] Multi præterea, quos fama obscura recondit, Æn. 5. [v. 302] Concurrunt fremitu denso, stipantque frequentes, Geor. 4 [v. 216] Exultantque animis; medium nam plurima turba Æn. 11. 6. [vv. 491, 667] Hunc habet; atque humeris extantem suspicit altis. Æn. 6. [v. 668]

§. XVIII. Jesus prædicat ad Turbas de Regno Dei,

de contemptu divitiarum, et de pænis inferni. Quos ubi confertos audere in prœlia vidit, Æn. 2. [v. 347]

1 Quid dubitem, et quæ nunc ajo sententia surgit. 2 Nec dubites, nam vera vides, opta ardua pennis,

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Chi ti ha ordinato, o audacissimo giovane, di venire alle nostre case? E stabilire delle norme per la pace? Non ti invidio veramente, ti ammiro anzi, e ascolta 110 che cosa io progetti e che cosa mi sorga nell’animo1: C’è un’alta casa, chiama gli zefiri e scendi a volo; e librandoti alto sui tetti osa affidarti al cielo, se davvero, come dici, ti è Padre colui al quale obbediscono i cieli.

§. XV. Cristo si rivolge al diavolo.

A lui sorridendo con animo tranquillo così dice: 115 “Non ignaro dei Vati e consapevole dei tempi futuri, tuttavia hai sperato di trarre in inganno, o perfida Serpe; anche se il vero conosci, non dubiti di volare tra le stelle desiderate2, e di rinchiuderti nella profondità della terra.

Dove corri a morire? Osi imprese maggiori delle tue forze? 120 Inchinati a Dio, disteso a terra con tutto il corpo”.

§. XVI. Il Diavolo fugge dopo aver udito Cristo.

Né aggiunse altro: quello ammirando il grande dono, con la fronte preme la Terra, e dalla bocca sanguigna vomita schiuma, e contento della fuga, si nascose nelle ombre oscure.

§. XVII. Il Signore sceglie i Discepoli

e il Popolo subito lo segue. Frattanto la Fama volando pecorre le grandi città, 125

si radunarono uomini, convinti doverlo seguire in qualunque terra li volesse condurre per mare. Molti altri ancora, che l’oscura fama nasconde, accorrono con forte brusio e lo circondano numerosi, esultano nell’animo, infatti la grande turba lo tiene 130

in mezzo e lo ammira svettante con le alte spalle.

§. XVIII. Gesù parla alle Turbe del Regno di Dio,

del disprezzo delle ricchezza, e delle pene dell’Inferno. Appena egli li vide serrati pronti alla battaglia, comincia

1 La variante non sembra giustificata né da Virgilio, né dal senso. 2 La variante complica il senso e non ha rispondenza in Virgilio.

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Incipit, et dictis divinum inspirat amorem: Æn. 8. [v. 373] Discite justitiam moniti, et succurrite fessis, Æn. 6. 11. [vv. 620, 335] Pro se quisque viri; cuicumque est copia leti1; Æn. 12. 5. [vv. 552, 100] Communemque vocare2 Deum, meliora sequamur; Æn. 8. 3 [vv. 275, 188] Quoque vocat, vertamus iter; via prima salutis Æn. 5. 6. [vv. 23, 96] Intemerata Fides; et Mens sibi conscia recti: Æn. 2. 1 [vv. 143, 604] Vobis parta quies perfecto temporis orbe; Æn. 3. 6. [vv. 495, 745] Nam qui divitiis soli incubuere repertis, Æn. 6. [v. 610] Nec partem posuere suis, dum vita manebat, Æn. 6. [vv. 611, 608] Pulsatusve parens, et fraus innexa clienti: Æn. 6. [v. 609] Tunc cum frigida mors animam vel deserit artus, Æn. 4. [v. 385]

Inclusi pœnam expectant, quæ maxima turba est, Æn. 6. [vv. 614, 611 Infernisque ciet tenebris, veterumque malorum Æn. 7. 6. [vv. 325, 739] Supplicia expendunt; aliis sub gurgite vasto Æn. 6. [vv. 740, 741] Infectum luitur scelus, aut exuritur igni, Ibid. [v. 742] Turbidus hic cæno, vastáque voragine gurges Ibid. [v. 296] Æstuat, atque omnem cocýto eructat harenam. Ibid. [v. 297] Hinc exaudiri gemitus, et sæva sonare Ibid. [v. 557 Verbera, tum stridor ferri, tractæque cathenæ Ibid. [v. 558] Semper, et obductæ densantur nocte tenebræ. Geor. 1. [v. 248]

§. XIX. Præcipit, ne colant idóla.

Prætera quæ dicam, animis advertite vestris, Æn. 2. [v. 712] Non ego vos posthac, cæsis de more juvencis, Buc. 1. Æn. 5. [vv. 75, 329] Relligione Patrum, truncis et robore natas Æn. 8. [vv. 598, 315] Mortalive manu effigies; nec templa deorum Æn. 7. [v. 443] Audire, et repetens iterum, iterumque monebo; Æn. 3. [v. 436] Sed periisse semel satis est; natumque patremque Æn. 9. 4. [vv. 140, 605] Profuerit meminisse magis; si credere dignum est. Geor. 1. Æn. 6. [vv. 451, 173] Sed fugit interea, fugit irrevocabile tempus; Geor. 3. [v. 284] Flammarumque dies, et vis inimica propinquat. Geor. 1. Æn. 12. [vv. 473, 150] Attonitis hæsere animis; nec plura moratus Æn. 5. [vv. 529, 381] Hic aliud majus miseris mortalibus ægris. Æn. 2. [vv. 199, 268]

§. XX. Judicio venturo.

Judiciumque canit, et tristes denuntiat iras; Æn. 3. [v. 366]

1 Læti. 2 Vocate.

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a parlare, e ispira attraverso le parole un amore divino: “Imparate dall’esempio la giustizia, gioiosi1 soccorrete i deboli, ciascun uomo per quello che può, e chi ha in abbondanza; 135 invocate2 il comune Dio; seguiamo sempre la strada migliore; dove chiama volgiamo il cammino; la prima via della salvezza è una intemerata Fede e una Mente che sa riconoscre il giusto: avrete trovato la pace quando sarà compiuto il ciclo del tempo; infatti quelli che tennero solo per sé le ricchezze trovate, 140 e non ne fecero parte alcuna ai suoi, durante tutta la vita, o percossero il padre, e tramarono inganno a un protetto, quando la fredda morte avrà abbandonato l’anima o le membra, rinchiusi aspettano la pena, e questa è la massa più grande, che la invocherà dalle tenebre infernali, pagheranno i castighi 145 delle antiche colpe; ad altri la macchia del male sarà lavato nel vasto gorgo, o sarà bruciato nel fuoco, qui un torbido gorgo di fango in una vasta voragine ribolle, ed erutta tutta la sabbia nel fiume Cocito. Qui si odono gemiti e risuonare crudeli percosse, 150 e ancora uno stridore di ferro e catene trascinate di continuo, e si addensano tenebre portate dalla notte.

§. XIX. Comanda di non venerare gli idoli.

Inoltre ascoltate con le vostre anime ciò che vi io dico: non consultate più giovenchi uccisi secondo il rito e secondo la Religione dei Padri, né effigi nate da tronchi di duro rovere o fatte da mani mortali; ripeterò ancora 155 e ancora l’ammonimento di non ascoltare più i templi degli dei. Ma una volta si può cadere; è meglio che il padre e il figlio se lo ricordino sempre, se è giusto credere in qualche cosa. Ma fugge frattanto, fugge irrevocabile il tempo; si avvicina il giorno delle fiamme, e della forza nemica”. 160 Restarono con gli animi attoniti; e senza molto indugiare disse qualcosa di più grave agli sventurati e miseri mortali.

§. XX. Il Giudizio futuro.

Parla del giudizio ed annuncia le ire funeste;

1 È evidente lo scambio di leti (della morte), con læti (gioiosi). 2 L’errore è confermato da Virgilio e dall’edizione del Migne (Patrologiæ, cursus completus, cit. IX

c. 812).

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Venturum excidium, et vasta convulsa ruina; Æn. 1. 3. [vv. 22. 414] Omnia tunc pariter rutilo misceri et igni; Geor. 1. [vv. 455, 454] Pallentesque polo stellas, Cælique ruinam. Æn. 9. 1. [vv. 21, 129] Tunc vero tremefacta novus per pectora cunctis Æn. 2. [v. 228] Insinuat pavor; et taciti ventura videbant. Æn. 2. [vv. 229, 125]

§. XXI. Quidam rogavit Dominum,

Quid faciendo Vitam possideret?

Hæc super adventu cum dicta horrenda moneret, Æn. 7. 3. [vv. 344, 712] Ora Puer prima signans intonsa juventa Æn. 9. [v. 181] Dives opum, studiis florens, et nobilis otii; Æn. 1. Geor. 4. [vv. 14, 564] Quinque greges illi ballantum, et bina redibant Æn. 7. [v. 538] Armenta, et dapibus mensas onerabat opimis: Æn. 7. Geor. 4 [vv. 539, 133] Continuo palmas alacris utrasque tetendit, Æn. 6. [v. 685] Et genua amplectens, sic ore affatus Amico est: Æn. 10. 3. [vv. 523, 463] O decus, o famæ meritò pars maxima nostræ, Geor. 2. [v. 40] Ad te confugio, et supplex tua numina posco: Æn. 1. [v. 666] Omnia percepi, atque animo mecum ante peregi, Æn. 6. [v. 105] Eripe me his, invicte, malis. Quid denique restat? Æn. 6. 2. [vv. 365, 70] Quidve sequens, tantos possim sufferre labores? Æn. 3. [v. 368] Accipe, daque fidem, mihi jussa capescere fas est. Æn. 8. 1. [vv. 150, 77]

§. XXII. Respondit ei Dominus.

Atque huic responsum paucis ita reddidit Heros: Æn. 6. [v. 672] O præstans animi, Juvenis, absiste precando: Æn. 12. 8. [vv. 19, 403]

Nec te pæniteat, nihil tibi, o Amice, relictum est: Buc. 2. Æn. 6. [vv. 34, 509] Hoc etiam his addam, tua si mihi certa Voluntas; Æn. 7. [v. 548] Disce Puer contemnere opes, et te quoque dignum Æn. 12. 8. [vv. 435, 364] Finge Deo; et quæ sit, poteris cognoscere, virtus: Æn. 8. Buc. 4 [vv. 365, 27] Da dextram Misero, et fratrem ne desere frater: Æn. 6. 10. [vv. 370, 600]

Si jungi hospitio properat, conjunge volentem; Æn. 7. 5. [vv. 264, 712] Casta pudicitiam servet domus: en age segnes. Geor 2. 3. [vv. 524, 42]

Rumpe moras; rebusque veni non asper egenis. Geor. 3. Æn. 8. [vv. 43, 365] Dixerat hæc. Ille in verbo vestigia torsit Æn. 11. 6. [vv. 132, 547] Tristior; ora modis attollens pallida miris; Æn. 1. [v. 354] Multa gemens; seseque ex oculis avertit et aufert. Geor. 3. Æn. 4. [vv. 226, 389] §. XXIII.

Christus insedit asello. Tunc etiam tardi costis agitatus aselli Geor. 1. [v. 273]

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una distruzione futura e la violenza d’una vasta rovina; allora ogni cosa sarà avvolta da un fuoco splendente; 165 stelle erranti nel firmamento e la rovina del Cielo. Allora nei petti tremanti di tutti si insinua un nuovo terrore; e in silenzio guardavano agli eventi futuri.

§. XXI.

Un tale chiede al Signore

che cosa dovrebbe fare per possedere la Vita? Mentre pronunciava queste orrende parole sugli eventi futuri

un Ragazzo con il volto adorno di imberbe giovinezza 170 ricco di mezzi, famoso per gli studi e nobile di ozio, la sera gli tornavano cinque greggi di belanti e due armenti di buoi, e ricopriva la mensa di ricche vivande. All’improvviso egli protese commosso tutte e due le mani, abbracciandogli le ginocchia, e cosi parlò con voce amica: 175 “ O onore, o parte migliore a ragione della nostra gloria, io mi rifuggio in te, e supplice invoco il tuo nume: tutto prima ho provato e percorso tra me con l’animo, strappami, o invitto, da questi mali. Che cosa ormai mi resta? In che modo potrei superare travagli così dolorosi? 180 Accoglimi, dammi la fede, mio compito è ricevere ordini”.

§. XXII. Il Signore gli risponde.

A costui così brevemente rispose l’Eroe Signore: “O magnanimo Giovane, cessa di supplicare: non ti rammaricare non hai tralasciato nulla, o Amico: aggiungerò ancora questo, se mi confermi la tua Volontà; 185

impara o Giovane a disprezzare le ricchezze, e renditi anche degno di Dio; e così potrai conoscere che cos’è la virtù: porgi la mano allo sventurato, e fratello non lasciare il fratello; e se desidera unirsi a tuoi ospiti, associalo alle decisioni; la tua casa pura conservi la pudicizia: ecco orsù, va sicuro. 190 Rompi gli indugi, e affronta tranquillo le cose semplici”. Questo aveva detto. Egli però a tali parole volse i passi più triste, levando il volto pallido in modo mirabile; piangendo a lungo; e si sottrae allo sguardo e fugge via.

§. XXIII. Cristo sale su un asinello.

Poi come guidatore s’insedia sulla groppa di un pigro 195

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Insedit nimbo effulgens tum plurima circum Æn. 2. 5. [vv. 616, 250] Matres, atque Viri, Pueri velamina voto Æn. 6. [vv. 306, 221] Subjiciunt; funemque manu contingere gaudent. Æn. 2. [v. 239] Jamque propinquabat portis; Templumque vetustum Æn. 11. 2. [vv. 621, 713] Antiqua ex cedro centum sublime columnis Æn. 7. [vv. 178, 170] Ingreditur; magna medius comitante caterva. Æn. 10. 5. [vv. 767, 76]

§. XXIV. Christus expulisse flagello ementes

et vendentes de Templo. Horrendum silvis hoc illis curia, Templum, Æn. 7. [vv. 172, 174]

Hæc sacræ sedes, miro quod honore colebant. Æn. 7. 4. [vv. 175, 458] Namque sub ingenti lustrat dum singula templo, Æn. 1 [v. 453] Horrescit visu subito, insonuitque flagello, Æn. 6. 5. [vv. 710, 579] Significatque manu, et1 simul intonat ore: Æn. 12. [v. 692] Quæ scelerum facies, quæve æra micantia cerno? Æn. 6. 2. [vv. 560, 734] Cæsaris et nomen, quæ nomen insania mutat? Geor. 3. Æn. 12 [vv. 47, 37] Hæc nobis proprie2 sedes, hìc tempore certo Æn. 3. Geor. 4. [vv. 167, 100] Perpetuis soliti Patrum considere mensis. Æn. 7. [v. 176 ] Obstipuere animi, gelidusque per ima cucurrit Æn. 2. [v. 120] Ossa tremor; mensasque metu liquere priores. Æn. 2. 3. [vv. 121, 213] §. XXV. Discipuli periclitantur in Mari.

Inde ubi prima fides pelago tranquilla per alta Æn. 3. 2. [vv. 69, 203] Deducunt socii naves, atque arte magistra, Æn. 3. 8. [vv. 71, 442] Hìc alius fundâ latum jam verberat amnem Geor. 1. [v. 141 ] Alta petens; pelagoque alius trahit humida lina. Geor. 1 [v. 142 ] Postquam altum tenuere rates, nec jam amplius ullæ Æn. 3. [v. 192] Apparent Terræ; crebris micat ignibus æther, Æn. 3. 1. [vv. 194, 90] Eripiunt subito nubes, Cælumque, Diemque; Æn. 1. [v. 88] Consurgunt venti, et fluctus ad sidera tollunt. Æn. 5. 11. [v. 20, 37] At sociis subita gelidus formidine sanguis Æn. 3. [v. 259] Diriguit; cecidere animi; cunctique repente Æn. 3. 1. [vv. 260, 594] Portum aspectabant flentes, vox omnibus una. Æn. 5. [vv. 615, 616]

§. XXVI. Christum ambulasse super aquas vident &c. Spemque, metumque inter dubii, seu vivere credant, Æn. 1. [v. 218]

1 Significatque manu, et magno simul intonat ore. 2 Propriæ.

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asinello avvolto da un’aureola: e allora tutto intorno Donne, Uomini, Fanciulli, in segno di devozione gettano vesti ai piedi, e godono di toccare con la mano la briglia. Già era vicino alle porte; entra in un Tempio vetusto superbo di cento colonne di antico cedro, 200 in mezzo ad una grande folla che lo accompagna.

§. XXIV. Cristo con una frusta caccia dal Tempio

compratori e venditori. Questo luogo, irto di selve, per essi era curia,Tempio

e sede sacra, e lo colmavano di onore straordinario. Ma mentre osservava tutto nel tempio maestoso, si irritò per una improvvisa vista e fece schioccare una frusta, 205 fa segnali con la mano e comicia a urlare a gran1 voce: “Che specie di misfatti, che metalli scintillanti io vedo?

Quale follia, il nome, anche il nome di Cesare muta? Queste sono le nostre2 sedi, qui in tempi ben certi i Padri erano soliti sedere in perpetua fila di sacre mense” 210 Gli animi si sbigottirono e gelido corse fino in fondo alle ossa un tremore e atterriti lasciarono le antiche mense.

§. XXV. I Discepoli si trovano in pericolo in Mare.

Poi, affidandosi al mare, i compagni conducono le navi nella distesa tranquilla, e con grande perizia, uno già sferza con il giacchio l’ampia scia, dirigendosi 215 a largo, e un altro tira su le reti gocciolanti dal mare. Quando le navi raggiunsero il largo, né più nessuna terra appare, l’etere s’illumina di frequenti bagliori, le nubi d’improvviso strappano il Cielo e il Giorno; si levano venti che sollevano le onde fino alle stelle. 220. Ai compagni per l’improvviso terrore si rapprese gelido il sangue, caddero gli animi, e tutti improvvisamente guardavano il mare piangenti, e a tutti un’unica voce.

§. XXVI. Vedono che Cristo ha camminato sopra le acque.

Incerti tra speranza e paura, o che si credano in vita,

1 La caduta di magno non sembra giustificata. (Cfr. Patrologiæ, cursus completus, cit., XIX, c.

814). 2 Proprie per propriæ è forse un errore di trascrizione.

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Sive extrema pati; læti1 discrimine parvo, Æn. 1. 3. [vv. 219, 685] Qualia multa mari Nauti2 patiuntur in alto. Æn. 7. [v. 200]

§. XXVII. Christus ambulans super mari imperat ventis.

Ecce Deus magno misceri murmure pontum, Æn.5. 1. [vv. 854, 124] Emissamque hyemem sensit, cui summa potestas Æn. 1. 10. [vv. 125, 100] Par levibus ventis, et fulminis ocyor alis, Æn. 6. 5. [vv. 702, 319] Prona petit maria, et pelago decurrit aperto. Æn. 5. [v. 212] Nec longo distat cursu præeunte carina, Æn. 3. 5. [vv. 116, 186] Agnoscunt longe Regem, dextramque potentem Æn. 10. 7. [v. 224, 234] Nudati socii, et magno clamore salutant. Æn. 3. [vv. 282, 524] Postquam altos tetigit fluctus, et ad æquora venit Æn. 3. [v. 662] Id vero horrendum, ac visu mirabile forte, Æn. 7. [v. 78] Subsídunt Undæ, remo ut luctamen abesset, Æn. 5. 8. [vv. 820, 89] Collectasque fugat nubes; graditurque per æquor Æn. 1. 3. [vv. 143, 664] Jam medium, nec dum fluctus latera ardua tingit. Æn. 3. [v. 665] At media Socios insidens3 navi per ipsos, Æn. 5. [v. 188] Ecce gubernaclo rector subit ipse Magister. Æn. 5. [v. 176] Intremuitque malus, gemuit sub pondere cymba, Æn. 5. 6. [vv. 505, 413] Vela cadunt, puppique Deus consídit in alta, Æn. 3. 5. [vv. 207, 841] Et tandem læti Nautæ4 avertuntur harenæ. Æn. 5 [v. 34]

§. XXVIII. De Cæna Domini.

Devexo interea proprior fit vesper olympo; Æn. 8. [v. 280] Tunc victu revocant vires, fusique per herbam, Æn. 1. [v. 214] Et dapibus mensas onerant, et pocula ponunt. Æn. 1, [v. 706]

§. XXIX. Christus tradidit Corpus et Sanguinem Discipulis,

ad Sacramenti Mynisterium. Postquam prima quies epulis, Mensæque remotæ: Æn. 1. [v. 723]

Ipse inter primos Genitori instaurat honores, Æn. 2. 5. [v. 479, 94] Suspiciens Cælum, tunc facta silentia linguis, Æn. 12. 11. [vv. 196, 241] Dat manibus fruges, dulcesque a fontibus undis5, Æn. 12. Geor. 2. [vv. 173, 243

1 Leti. 2 Nautæ. 3 Incedens. 4 Notæ. 5 Undas.

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o che soffrano gli istanti supremi; sul breve crinale di morte1, 225 che molto spesso patiscono i naviganti2 sul mare profondo.

§. XXVII. Cristo camminando sopra le acque comanda ai venti.

Ecco Dio sentì il mare e la sfrenata tempesta rimescolarsi con grande fragore, egli che ha il supremo potere, anche sui venti leggeri; più veloce delle ali del fulmine, si dirige sulle acque tranquille e corre sul mare aperto. 230 La nave che avanza non è distante una lunga rotta, , i compagni denudati riconoscono il Re da lontano, e la sua destra potente, e lo salutano con grande clamore. Quando giunse sul mare e toccò i flutti profondi, e ciò fu terribile e molto meraviglioso a vedersi, 235 le onde si placano, come se avessero smesso di resistere

ai remi; mette in fuga le nubi addensate, e avanza sull’acqua: già è in mezzo e il flutto non bagna più gli alti fianchi. Poi sedendo3 in mezzo alla nave tra gli stessi compagni, ecco si mette al timone come nocchiero, egli stesso Pilota. 240 Tremò l’albero, gemette sotto il peso la barca, le vele cadono, Dio si insedia su l’alta poppa, e finalmente i Marinai4approdano lieti sulla spiaggia.

§. XXVIII. La Cena del Signore.

Intanto, declinando la luce del cielo, si fa più vicina la sera, allora col cibo ristorano le forze, e sparsi sull’erba, 245 colmano le mense di cibi e vi pongono i calici.

§. XXIX. Cristo offre il Corpo e il sangue ai Discepoli,

come Ministero del Sacramento. Subito dopo la fine del banchetto, rimosse le mense,

egli stesso tra i primi rinnova le onoranze al Genitore, guardando il Cielo, e poi imposto silenzio alle lingue, sparge biade con le mani e dolci acque5 di fonti, 250

1 Læti (lieti) per leti (della morte): sembra evidente l’errore. (Cfr. Patrologiæ, cursus

completus, cit., XIX, c. 814). 2 Nauti per nautæ è forse un lapsus calami. (Cfr. Ibid., c. 814). 3 Insidens (sedendo) per incedens. (avanzando). (Cfr. Ibid.). 4 Nautæ per notæ. Il senso non muta. (Cfr. Ibid.). 5 Undis per undas potrebbe essere un errore di trascizione (Cfr. Ibid.).

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Implevitque mero pateram; ritumque sacrorum Æn. 1. 12. [vv. 729, 836] Edocet; immiscetque preces, ac talia fatur: Æn. 10. 3. [vv. 153-154, 485]

§. XXX.

Christus prædicat Apostolis

se ab uno traditurum iri. Audite, o Proceres, ait, et spes discite vestras, Æn. 3. [v. 103]

Nemo ex hoc numero, mihi non donatus abibit, Æn. 5. [v. 305] Promissisque Patris; vestra inquit munera vobis Æn. 5. [vv. 863, 348] Certa manent, Pueri; et palmam movet ordine nemo. Æn. 5. [v. 349] §. XXXI.

Christus pronuntiat Passionem suam Apostolis. Et lux cum primùm Terris se crastina reddet Æn. 8. [v. 170]

Unus erit tantum, in meque exitiumque meorum Æn. 5. 8. [vv. 814, 386] Dum medium paci se offert de corpore nostro. Æn. 7. 3. [vv. 536, 623] Namque dies (ni fallora) adest, secludite curas, Æn. 5. 1. [vv. 49, 562] Mecum erit iste labor, nec me sententia fallit: Æn. 4. 10. [vv. 115, 608] Unum pro multis dabitur caput, hæc ita satus, Æn. 5. 6. [v. 815, 53]

Conticuit; seramque dedit per membra quietem. Æn. 6. 8. [vv.54, 30]

§. XXXII. Fugiunt Apostoli.

Diffugiunt comites, et nocte teguntur opaca, Æn. 4. [v. 123] Multaque dura suo tristi cum corde volutant, Æn. 8. [v. 522] Quid faciant, hærent infixi corpore vultus, Buc. 3. Æn. 4 [vv. 16, 4] Verbaque nec placidam membris dat cura quietem. Æn. 4. [v. 5]

§. XXXIII. Conquestio Petri ad Condiscipulos.

Tunc Senior tales referebat pectore voces, Æn. 5. [v. 409] Multa putans, ubi nunc vobis1 Deus ille Magister, Æn. 6. 5. [vv. 332, 391] Quem sequimur? quove ire jubes? ubi ponere sedem? Æn. 3. [v. 88] O dolor; atque decus tantarum gloria rerum! Æn.10. 4. [vv. 507, 232] Jamjam nulla mora est, et nos rape in omnia tecum. Æn. 2. [vv. 701, 675] Oramus: teque aspectu ne subtrahe nostro. Æn. 1. 6. [vv. 525, 465]

aNi fallor; etsi Virgilius sic dicat Jamque dies (ni fallor) adest, quem &c. attamen quum heic

non currat, legendum ideo putant aliqui Non fallor, juxta sensum quem Proba ipsa voluit. 1 Nobis.

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riempie di vino la coppa e insegna i riti delle sacre cerimonie; e inframmezza preghiere, e così parla:

§. XXX.

Cristo predice agli Apostoli

che sta per essere tradito da uno di loro.

“Udite, o Apostoli, - dice - e conoscete le vostre speranze. Nessuno da questo gruppo se ne andrà senza premio, e senza le promesse del Padre; i vostri doni – disse – 255 sono certi, o Ragazzi, e nessuno rimuove una palma dall’ordine”.

§. XXXI. Cristo preannuncia agli Apostoli la sua Passione.

“E quando la luce di domani ritornerà sulla terra uno soltanto sarà contro di me e per la rovina dei miei mentre si offre mediatore di pace sul nostro corpo. È già arrivato il giorno (e non sbaglioa), allontanate gli affanni, 260 a questo provvederò io, né la certezza mi inganna: una sola vita sarà offerta per tutti”. Dopo aver così detto, tacque; lasciando fluire per le membra una quiete tranquilla.

§. XXXII. Gli Apostoli fuggono.

I compagni si disperdono e sono avvolti dall’oscura notte e pensano con animo triste alle molte dure vicende, 265 e a che cosa potrebbero fare; restano impressi nel cuore il volto e le parole, né l’affanno concede placida quiete alle membra.

§. XXXIII. Il lamento di Pietro ai Condiscepoli.

Allora il più Anziano assorto in pensieri traeva dal petto tali parole: “Dov’è adesso per voi1 quel Dio Maestro? Chi seguiremo? Dove ci comandi di andare? Dove porre la sede? 270

O dolore e onore e gloria di eventi così importanti! Ormai non c’è da indugiare, prendi anche noi in tutto con te. Ti preghiamo, non sottrarti dal nostro sguardo”

§. XXXIV.

a Se non sbaglio; benché Virgilio così dica: È già arrivato il giorno (se non sbaglio) che &c.

ma poiché qui non corre, alcuni pensano che si debba leggere Non sbaglio, secondo il senso che voleva la stessa Proba.

1 Per il senso e per gli Editori forse nobis. (Cfr. Patrologiæ, cursus completus, cit., XIX, c. 815).

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Sacerdotes cum Populo contra Christum. Oceanum interea surgens Aurora reliquit: Æn. 4. [v. 129]

Jamque Sacerdotes late loca questibus implent, Æn. 8. Geor 4. [vv. 281, 515] Cum Populo, et Patribus serpitque per agmina murmur: [Æn. 12. vv. 239] Quod genus hoc hominum? Quæve hunc tam barbara morem Æn. 1. [v. 539 ] Permittit patria? Pœnas cum sanguine poscunt Æn. 1. 2. [vv. 540, 72] Undique collecti; et magno clamore sequuntur, Æn. 7. 10. [vv. 582, 799]

Insontem sævitque animis ignobile vulgus. Æn. 2. 1. [vv. 84, 149]

§. XXXV. Christus hora sexta illuditur,

et ductus est ut cricifigatur. Sol medium Cæli conscenderat igneus orbem, Æn. 8. [v. 97]

Tunc subito acciti omnes Populusque Patresque Æn. 9. [v. 192] Exposcunt, farique jubent, quo sanguine cretus, Æn. 9. 3. [vv.193, 608] Quidve petat, quidve ipse ferat, prædamque tuentes. Æn. 10. 5. [vv. 150, 575] Facta Viri, nimius dolor, et stupor urget inertes. [Æn. 10. Geor. 3. vv 398, 523] Nescia Mens hominum certant illudere capto. Æn. 10. 2. [vv. 501, 64] Tunc vero captis cuncurrunt undique telis: Æn. 7. [v. 520] Tollitur in Cælum clamor; cunctique repente Æn. 11. [v. 745] Corripuere sacram effigiem; manibusque cruentis Æn. 2. [v. 167] Ingentem quercum dicisis undique ramis Æn. 11. [v. 5] Constituunt; spinisque ligant ingentibus illum: Æn. 11. 2. [vv. 6, 217] Tendebantque manum pedibus per mutua nexis. Æn. 6. 7. [vv. 314, 66] Triste ministerium: sequitur quos cetera pubes Æn. 6. 7. [vv. 223, 614] Ausi omnes immane nefas, ausoque potiti. Æn. 6. [v. 624]

§. XXXVI. Christus alloquitur Judeos.

Ille autem impavidus, quo vincula nectitis, inquit? Æn. 10. Buc. 6 [vv. 717, 23] Tanta ne vos generis tenuit fiducia vestri? Æn. 1. [v. 132] Post mihi non simili pœna commissa luetis. Æn. 1. [v. 136] Talia perstabat memorans, fixusque manebat. Æn. 2. [v. 650]

§. XXXVII. Fit Terremotus, et Sol obscuratur.

Interea magno misceri murmure Cælum Æn. 4. [v. 160] Incipit; et rebus nox abstulit atra colorem: Æn. 4. 6. [vv. 161, 273] Impiaque æternam timuerunt sæcula noctem. Geor. 1. [v. 468] Terra tremit, fugére feræ, et mortalia corda Geor. 1. [v. 330]

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§. XXXIV. I Sacerdoti con il Popolo contro Cristo.

Frattanto l’Aurora sorgendo aveva lasciato l’Oceano: e già i Sacerdoti riempiono quei luoghi di alti lamenti, 275 col Popolo e i Padri, e tra le fila serpeggia un mormorio: “Che genere di uomini è questo? Che barbara patria permette questa usanza?” Richiedono una pena di sangue raccogliendosi da ogni parte; e seguono con grande clamore,

e l’ignobile volgo infuria con gli animi sull’innocente. 280

§. XXXV. Cristo all’ora sesta è schernito

ed è condotto alla crocifìssione. Il sole infuocato era salito al centro dell’orbita,

allora subito tutti, il Popolo e i Padri chiedono che egli sia convocato, ordinano che dica da quale sangue è nato, che cosa chieda, che cosa offra, guardando la preda. I casi dell’Uomo, il grande dolore, e lo stupore preme gli estranei. 285 La Mente ignara della gente gareggia a schernire il prigioniero. Ma poi raccolte delle armi arrivano da tutte le parti: Si leva al cielo un clamore; e tutti all’improvviso assalirono la sacra effigie; e con le mani insanguinate ergono una grande quercia con i rami tagliati 290 da tutte le parti; e lo legano con forti spina: tendevano le mani con i piedi intrecciati fra loro. Triste manifestazione: poi li seguono i giovani tutti osarono atroci misfatti e riuscirono nell’ardire.

§. XXXVI. Cristo parla ai Giudei.

Ma egli impavido dice: “Perché mi legate? 295 Tanta fiducia della vostra discendenza vi ha preso? Poi mi pagherete il misfatto con ben altra pena”. Insisteva a ricordare tali cose e restava immobile.

§. XXXVII. Avviene un Terremoto e il Sole si oscura.

Intanto il Cielo comincia a turbarsi con grande fragore e la nera notte tolse il colore alle cose: 300 e l’empia generazione ebbe timore di una notte eterna. La terra tremò, le fiere fuggirono, e una forte paura

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Per gentes humiles stravit pavor: indeque1 repente Geor. 1. Æn. 8. [vv. 331, 238] Dat gemitum Tellus; et Cælum tonat omne tumultu. Æn. 12. [vv. 713, 757]

§. XXXVIII. Christus descendit ad Limbum,

et extrahit Animas. Ex templo comites crebri de sedibus imis Æn. 11. Geor. 4. [v. 138, 471]

Umbræ ibant tenues; tellus quoque et æquora Ponti Geor. 4. 1. [vv. 472, 469] Signa dabant: sistunt amnes; terræque dehiscunt: [Geor. 1. vv. 471, 479] Quin ipsæ stupuere domus; atque intima leti Geor. 4. [v. 481] Tartara, et umbrosæ penitus patuere cavernæ. Geor. 4. Æn. 8. [vv. 482, 242] Sol quoque et exoriens: cuncti se scire fatentur: Geor. 1. Æn. 11. [vv. 438, 344] Tunc caput oscura nitidum ferrugine tinxit. Geor. 1. [v. 467]

§. XXXIX. Christus tertia die resurrexit.

Hosque inter motus, media inter talia verba Æn. 11. 12. [vv. 225, 318] Tertia lux gelidam Cælo dimoverat umbram; Æn. 11. [v. 210] Jamque pedem referens superas veniebat ad auras, Geor. 4. [vv. 485, 486] Cum subito ante oculos ingenti mole sepulchrum Æn. 1. 2. 6. [vv. 509, 531, 232] Corpus ubi exanimi positum, nec claustra, nec ipsi Æn. 11. 2. [vv. 30, 491] Custodes sufferre valent; avulsaque saxis Æn. 2. [vv. 493, 608] Saxa vident; laxi2 laterum compagibus arctis, Æn. 2. 1. [vv. 609, 122-293] Fit sonus, ingenti concussa est pondere tellus: Æn. 9. [v. 752] Horror ubique animum simul ipsa silentia terrent. Æn. 2. [v. 755]

§. XL. Foribus clausis apparuit Christus Apostolis.

Ecce autem primi volucrum cum3 culmine cantus Æn. 8. [v. 81, 456] Ingreditur linquens antrum, spoliisque superbus Æn. 6. 8. [vv. 157, 202] Ibat ovans, pulsuque pedum tremit4 excita tellus: Æn. 6. 12. [vv. 589, 445] Vulneraque illa gerens foribus sese ingerit arctis. Æn. 2. 11. [vv. 278, 36] Atque hic ingentem comitum affluxisse novorum Æn. 2. [v. 796] Invenit admirans numerum; cunctisque repente Æn. 2. 1. [vv. 797, 594] Improvvisus, ait, coram quem quæritis, adsum; Æn. 1. [v. 595] Vicit iter durum pietas et vivida virtus, Æn. 6. 5. [vv. 688, 754] Præcipites vigilate viri; timor omnis abesto. Æn. 4. 11. [vv. 573, 14]

1 Inde. 2 Laxis. 3 Sub. 4 Tremit.

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atterrò i cuori mortali dell’umile gente: poi1 all’improvviso la Terra diede un gemito, e tutto il cielo del tumulto rimbomba.

§. XXXVIII.

Cristo scende nel Limbo

e porta fuori le Anime. Frattanto, a gruppi numerosi dalle sedi profonde venivano 305

ombre leggere, e anche la terra e la distesa del mare mandavano presagi: si arrestano i fiumi, la terra si squarcia: rimasero stupite perfino le case della morte e i recessi del Tartaro, e si aprirono profonde e tenebrose caverne: anche il Sole sorgendo: tutti dichiarano di sapere: 310. allora il candido capo si coprì di una ruggine oscura.

§. XXXIX.

Cristo il terzo giorno risorse. Tra questi moti, nel mezzo di questi discorsi

il terzo giorno aveva allontanato dal cielo la gelida ombra; ormai ritornando sui suoi passi andava verso le aure superne, quand’ecco, davanti agli occhi, l’immenso sepolcro, 315 dove era deposto il corpo dell’esanime, né le sbarre, e né le guardie riescono a controllarlo; vedono le pietre sconnesse dalle pietre; allentate2 le strette giunture dei lati; si leva un rombo, la terra è percorsa dal peso enorme: ovunque terrore e anche i silenzi atterriscono l’animo. 320.

§. XL.

A porte chiuse Cristo appare agli Apostoli. Ed ecco ai primi canti degli uccelli sotto3 il tetto,

avanza abbandonando il sepolcro, e superbo delle spoglie, va esultante, e trema2 la terra scossa dal rombo dei passi: e mostrando quelle ferite entrò nelle porte sbarrate. Trovò che si era adunata una grande quantità di compagni 325 e fu contento del grande numero; e a tutti inatteso dice ad un tratto: “Ecco io sono qui, quello che cercate; la pietà e il grande valore hanno vinto il duro cammino, destatevi subito uomini; fugga via ogni timore.

1 Il que non entra nel verso. (Cfr. Patrologiæ, cursus completus, cit., XIX, c. 816). 2 Forse è un errore laxi per laxis. (Cfr. Ibid.). 3 Il cum non è giustificato dal senso. Cfr. Ibid.). 4 Il senso fa richiedere tremit. Cfr. Ibid.).

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§. XLI. Instituit Apostolos.

Hi nostri reditus, expectatique triumphi, Æn. 11. [v. 54] Hæc mea magna fides. O terque quaterque beati! Æn. 11. 1. [v. 55, 94] Quæ vobis, quæ digna, Viri, pro laudibus istis Æn. 9. [v. 252] Præmia posse reor solvi? quæ dona parari? Æn. 9. Buc. 6 [vv. 253, 79] Accipite ergo animis, quæ vos a stirpe parentum Æn. 10. 3. [vv. 104, 94] Prima tulit tellus, eadem vos ubere læto Æn. 3. [v. 95] Accipiet; revocate animos, mæstumque timorem Æn. 3. 1. [vv. 96, 202] Mittite, et vosmet rebus servate secundis. Æn. 1. [vv. 203, 207]

§. XLII. Christus commendat pacem,

ostendens vulnera dubitantibus deo eo. Quod superest, læti bene gestis ordine rebus, Æn. 9. [vv. 157]

Pacem optate manu, pacem laudate sedentes Æn. 10. 11. [vv. 80, 460] Magnanimi; pacis solum inviolabile pignus. Æn. 11. [v. 363] Et simul, his dictis, faciem ostendebat et ora, Æn. 5. [v. 357] Ora, Manusque ambas, populataque pectora ferro. Æn. 6. 1. [vv. 496, 355

§. XLIII. Gavisi sunt Discipuli viso Domino.

Immiscentque Manus manibus, gaudentque videntes, Æn. 5. [vv. 429, 575] Nec vidisse semel satis est; vivat1 usque morari, Æn. 6. [v. 487] Et conferre gradum, et dextræ configere2 dextram. Æn. 6. 8. [vv. 488, 164]

§. XLIV. et ult. Ascendit ad Cælos videntibus Discipulis.

His demum exactis, spirantes dimovet umbras3 Æn. 6. 9. [v. 637, 645] Aëra per tenerum, Cæloque invectus aperto, Æn. 9. 1. [vv. 699, 155] Mortales visus medio in sermone reliquit. Æn. 4. [v. 277] Infert se septus nebula (mirabile dictu!). Æn. 1. [v. 439] At illum solio stellantis gloria Cæli Æn. 7. [vv. 209, 210] Accipit, æternumque tenet per secula nomen. Æn. 7. 6. [vv. 211, 235] Ex illo celebratus honos, lætique minores Æn. 8. [v. 268] Servavere diem, tot jam labentibus annis. Æn. 8. 2. [vv. 269, 14]

1 Iuvat. 2 Coniungere. 3 Auras.

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§. XLI. Istruisce gli Apostoli.

Questo è il mio ritorno, e il tanto atteso trionfo; 330 questa la mia solenne parola. Tre e quattro volte beati! O Uomini, quali degni premi, per questa gloria io penso che vi si possa dare? Quali doni preparare? Accogliete dunque nell’animo, che proprio la terra che vi produsse per prima dal ceppo degli avi, vi accoglierà 335 nel lieto seno; rinfrancate gli animi e scacciate il mesto timore, e conservate voi stessi per i favorevoli eventi.

§. XLII. Cristo raccomanda la pace,

mostrando le ferite a chi dubita di lui.

Per ciò che resta, ora lieti della bella impresa, chiedete la pace con la mano, sedendo lodate la pace, o Magnanimi, e l’unico inviolabile pegno della pace”. 340 E insieme, con queste parole, mostrava l’aspetto e il volto, il volto e ambedue le mani e il petto squarciato dal ferro.

§. XLIII. I Discepoli alla vista del Signore sono pieni di gioia.

Intrecciano le mani alle mani e nel guardarsi gioiscono, e non basta averlo visto una volta, piace1 indugiare ancora, e camminare insieme e unire2 la destra alla destra. 345

§. XLIIII e ultimo. Ascende al Cielo sotto gli occhi dei Discepoli.

Infine, compiute queste cose, solca le ombre3 spiranti per la tenera aria, trasportato nel limpido Cielo, lasciò le sembianze mortali a metà del discorso. Avanza avvolto dalla nebbia (mirabile a dirsirsi). Ma lo accoglie in trono la gloria stellante 350 del Cielo, ed eterno ne serba nei secoli il nome. Da allora si celebra il rito, e i posteri lieti ricordano il giorno, pur trascorsi ormai molti anni.

1 Forse c’è un errore di trascrizione, Virglio e gli Editori hanno iuvat. (cfr. Patrologiæ, cursus

completus, cit., c. 816). 2 Configere e coniungere quasi si equivalgono, ma nel verso di Virgilio c’è il secondo. (Cfr.

Ibid.). 3 Virgilio e gli Editori attestano auras (Cfr. Ibid.).

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I decus, i nostrum, tantarum gloria rerum, Æn. 6. 4. [vv. 546, 232] Semper honos, nomenque tuum, laudesque manebunt: Æn. 1. [v. 609] Et nos, et tu1 dexter adi pede sacra secundo, Æn. 8. [v. 302] Annua, quæ differre nefas, celebrate faventes. Æn. 8. [v. 173] Hunc socii morem sacrorum, hunc ipse teneto Æn. 3. [v. 408] O dulcis Conjux, et si pietate merentur, Æn. 2. [vv. 777, 690] Hac casti maneant in Relligione Nepotes. Æn. 3. [v. 409]

Finis Virgilio-Centonum Probæ Falconiæ Romanæ

Mulieris Christianissimæ atque clarissimæ necnon Poëtriæ doctissimæ.

Alia edidit opera Proba de Bello, ut ipsa Centonum initio testatur; cujus Latinitatem discutiens percelebris

Jacobus Facciolatus, eam Sæculo Latinitatis æneo reposuit, ut in ejus Lexico patet.

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1 Tua.

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Va’, o gloria nostra, va’, o gloria di eventi così grandi, sempre durerà il tuo rito, e il nome e la lode: 355 visita noi e il tuo1 sacrificio con passo propizio, celebrate festanti i riti annuali, che differire è illecito. Tu e i tuoi compagni serbate questo, questo rito o dolce Sposo, e se meritano la tua pietà, in questa devozione rimangano fermi i Nipoti. 360

Fine del Centone Virgiliano di Proba Falconia Romana

Moglie Cristianissima e illustrissima e inoltre Poetessa dottissima.

Proba scrisse un’altra opera sulla Guerra, come essa stessa attesta all’inizio del Centone; il famoso Jacopo Facciolati

2, parlando della suo Latino, la collocò nel Secolo di bronzo

della Latinità, come risulta nel suo Lessico.

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1 Tua è nel verso di Virgilio ed è confermata dal Migne (cfr. Patrologiæ, cursus completus, cit.,

XIX, c. 816). 2 Sicuramente il riferimento è all’edizione del Calepinus fatta dal Facciolati Septem Linguarum

Calepinus hoc est Lexicon Latinum Variarum linguarum interpretatione adjecta, Patavii, MDCCXXXVI. È il penultimo nome nell’elenco degli scrittori indicati nelle prime pagine dell’opera. Queste pagine non hanno numerazione.

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Pagina 34 del manoscritto della seconda Antologia

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Pagina 51 del manoscritto della seconda Antologia

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Indice dei nomi notevoli di persone (I numeri in neretto rinviano alle pagine in cui si fa menzione diretta della persona)

Accio, Lucio, 43, 123. Acheronte, mitico padre delle Erinni,

143. Achille, 134, 154. Acquaviva, Giulio, generale dei Ge-

suiti, 51 n. Adamo, 82, 154, 202, 203, 236, 237. Adrasto, figura mitica, 155. Afranio, Lucio, 43, 123. Agamennone, 146. Agatocle, 117. Agostino, Aurelio santo, 18, 22 n, 26,

81, 236, 237. Alberto da Piacenza, architetto 38 n. Alceo, 103. Alesiani, Pietro, 20 n. Alessandro, VI, papa, 100. Aletto, arpia, 143. Alfonso de Liguori, santo, 29, 30 n Álvaro /Álvarez, Álvares/, Emma-

nuele, 44, 48, 50 e n, 51, 57, 116, 117, 134, 139, 141, 142, 145, 146, 147 , 154, 154, 154, 154, 155.

Ambrogio, santo, 41 e n, 66, 100, 101, 182, 183, 184, 185, 236, 237.

Anchise, 154, 155. Anna, sommo sacerdote, 234, 235. Anteo, figura mitica, 110. Apollo, divinità guida delle Muse,

140. Arato di Sicione, statega greco, 129. Aratore, poeta latino, 71 n, 72 n, 73. Arcadio, imperatore, 82. Archiloco, poeta greco, 101. Arianna, Ariadna, figura mitica, 142. Ariosto, Ludovico, 45 e n, 158, Arnauld, 49 n. Astolfo Giovanni, 262, 263. Atlante, re del Marocco, 139, 155. Atteone, figura mitica, 146. Ausonio, “antico grammatico”, 58,

121.

Avito, poeta latino, 72 n. Barabba, ladrone, 234, 235. Barezzi, editore, 47 n. Bartoli, Hieronimus, editore, 51 n. Báyle, Pierre, 28. Bellarmino, Roberto santo, cardinale,

37. Bembo, Pietro, 45 e n, 68 e n, 158,

196, 197. Benedetto XIV, papa, 30. Benedetto XVI, papa, 100 n, Bernardo di Chiaravalle, santo, 41,

52, 66, 67, 100 e n, 103, 182, 183, 188,189.

Beta, Simone, 64 n. Bianchi, Angelo, 51 n. Boezio, Anicio Manlio Severino, 100

e n, 102 e n, 106. Bonaventura da Bagnoregio, santo,

26. Bonciario, Marco Antonio, 43 e n,

48, 51, 52, 54, 55, 115, 117, 147, 150, 154.

Bonciario, Mario, nipote di M. A., 52, 116.

Borzanati, Pietro, 13 n. Buommattei /Buonmattei , Benedetto,

44 e n, 156. Caifa, sommo sacerdote, 234, 235. Calcante, indovino,139, 147. Calipso, figura mitica, 150. Callimaco, poeta greco, 66. 176 n,

177 n. Calliope, musa, 140. Calmeto, 22, 23 n. Canali, Luca, 79. Capi, figura mitica, 149. Capozi, Maria Beatrice, suora, 11. Capozi, Maria Petronilla, suora, 20,

22 e n, 23 e n, 25 e n, 61.

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Cardona Lazaro, 69 e n. 196 n, 197 n. Caro, Annibal, 45 n. Cassio Severo, personaggio oraziano,

178, 179. Castiglioni, Francesco Saverio, Pio

VIII, papa, 11. Castore, figura mitica, 134, 142, Catilina, Lucio Sergio, 168, 169, Catone, Marco Porcio, storico latino,

13. Catullo, Gaio Valerio, 43, 57, 64 e n,

65 e n, 99, 101, 102, 110, 116, 123, 147, 166, 167.

Cecilio, Stazio, commediografo lati-no, 43, 123.

Cecrope, figura mitica, 154. Cerasola, Salvatore Domenico, 45, 46

n. 158. Cerere, divinità, 174, 175. Cesare, Augusto, 170, 171, 176, 177,

216, 217, 278, 279. Cettoli Alberto, 20 e n. Ciacconio, Alfonso, 79 n. Chiabrera, Gabriello, 45 e n, 158. Chirone, figura mitica, 154. Cibele, figura mitica, 148. Cicerone, Marco Tullio, 33, 56, 94,

112 n, 131, 138, 168, 169. Cipriano, Gallo, 72 n. Clemente VII, papa, 72 n. Clemente IX, papa, 80 n. Clemente X, papa, 80 n. Clemente XII, papa, 80 n. Cleopatra, 117, 118. Clio, musa, 140, 150. Coccia, Ignazia Maria, 20 n. Cola dell’Amatrice, architetto, 38 n. Coletti, Sebastiano, 54 n. Collarino, 30. Collins, Antonio, 28. Commodo, imperatore,76. Corindone, figura virgiliana, 174,

175, 212, 213. Costantino, imperatore, 73, 76, 77,

82. Costanzo, imperatore, 86.

Cratete di Mallo/Crate Mallote, grammatico, 33.

Criniti, Pietro, umanista, 63, 65. Criscuolo, Vincenzo,13 e n. Cybo Alderano, cardinale, 80 n. Dafni, figura virgiliana, 174, 175. D’Alembert, Jean Baptiste, 26. Damone, figura mitica 134. Dante, Alighieri, 45 e n, 63,158, 159,

160. Dardano, figura mitica,. Davide, salmista, 216, 217. Delfico, Melchiorre, 51 n. Della Casa, Giovanni, 45 e n, 158, Della Cornia, Fulvio, cardinale, 51. Demetria/Demetriade, madre di Pro-

ba F., 83. Despauterio/De Spauter, Jan, 48, 53

n, 56 e n, 147. Diderot, Denis, 25. Didone, figura mitica, 150, 176n, 177

n. Diocleziano, imperatore, 72 n. Diomede, grammatico latino, 48, 57,

137. Domenco, santo, 36. Domiziano, Cesare, imperatore, 64,

166, 167. Douza, Jano, umanista, 57, 56 e n,

154, 448. Draconzio, poeta latino, 72 n. Drisino/Trissino, Gian Giacomo, 159. Duvergier de Hauranne, Jean-Am-

broise, abate di saint. Cyran, 53. Eaco, figura mitica, 154. Élia, figura mitica, 154. Elisabetta, santa, 77. 214, 215. Elpide, poetessa latina, 41, 100. Emidia, suor Maria,Tuzi, 21 n. Emidio, santo, 66, 67, 68, 192, 193,

194, 195. Enea, figura mitica, 115, 139, 154,

172, 173, 176, 177.

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Ennio, Quinto, poeta latino, 42, 112, 113, 123, 144, 145.

Enrico IV, re di Francia, 49 n. Erasmo da Rotterdam, 40 n, Erato, musa 140. Ercole, figura mitica, 110. Erinni, figure mitiche, 146, 149. Erode, re, 218, 219, 234, 235, 238,

239, 266, 267. Esiodo, poeta greco, 172, 173. Eurialo, figura mitica, 134. Euripide poeta tragico greco, 115. Euterpe, musa, 140. Eva, 204, 205, 236, 237. Facciolati, Jacopo, 22 n, 42 e n, 156. Faerno, Gabriele, 48, 56 e n, 140. Faleuco, poeta greco, 106. Federico II, imperatore, 95 n. Fedro, 140. Ferdinando IV, re delle due Sicilie,

25 n, 35. Ferecrate, poeta greco, 105. Ferrari, 23 n. Fetonte, figura mitica, 154. Filicaia, Vincenzo, 45, e n, 158. Filippo Neri, santo, 80 n. Flacco, Valerio, poeta latino, 62, Floro, Lucio Anneo, storico latino,

43, 123. Forcellini, Egidio, 42 e n. Foroneo, figura mitica, 154, Fortunato Venanzio, 41, 67 e n, 101,

186,187, 188, 189, 194, 195. Foscolo, Ugo, 20. Francesco d’Assisi, santo, 25 n, 150,

194, 195. Francesco di Sales, santo, 16 n, 19,

35, 37 n, 68, 194, 195. Fusco, personaggio oraziano, 65, 176,

177. Gabriele, arcangelo, santo, 70, 190,

191, 204, 205, 206, 207. Galatea, figura mitica, 154. Ganimede, figura mitica, 149.

Gastaldi, Francesca, zia di Marcucci, 25 n.

Gaudioso, santo, 67, 192n, 193 n. Genovesi, Antonio, 26, 29. Getulio/Getulico, poeta epigrammati-

co latino, 64 e n, 166, 167. Giacomo I, re d’Inghilterra, 49 n. Gifanio/Giffen/Giphanius, Ubert, 48,

54 e n, 55, 118, 124, 141, 143. Gigli, Giovanna Battista, madre di

Marcucci, 13, 14. Gigli, Girolamo, 44-45 n, 45, 46 n,

156, 158. Giovanni, evangelista, santo, 78 n,

220, 221, 222, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 242, 243, 254, 255.

Giovanni Battista, santo, 106, 268, 269.

Giovenale, Decimo Giunio, 43, 110, 123, 143.

Giovenco/Juvencus, Gaio Vettio Aquilino, 61, 62, 71 e n, 72 e n, 73 e n, 74, 75 e n, 76 e n, 77, 78 e n, 80, 81, 83, 84 n, 210, 211, 212, 213, 230, 231, 236, 237, 238, 239, 260, 261.

Girolamo, santo, 23 n, 58, 76 e n, 76 n. 86 n, 212, 213, 236, 237.

Giuda, apostolo, 234, 235. Giulia, figlia di Augusto 170, 171. Giulio II, papa, 38 n, 72 n. Giunone, figura mitica, 174, 175. Giustino, storico, 33. Gregorio di Tours, 76 e n. Gregorio Magno, papa, santo, 66 n. Guarnieri, Giovanni Lorenzo, 51 n. Guidiccione, Giovanni, 45 e n, 158. Guidone, abate, 66, 100, 182, 183. Hallé, Gugliemo, libraio, 84 n. Hobbes, Thomas, 28. Ilia, figura mitica, 154. Inaco, mitico padre di Io 143. Innocenzo III, papa, 66. Io, figura mitica, 143. Ippoméne, figura mitica, 148.

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Isi, Io, divinità egizia 154. Itine, figura mitica, 146, 149. Juvencyo, (?), 84 e n, 260, 261. Klopstock, Friederich M., 72 e n. Langston, Stefano, 66 e n. Lancelloto/Lancelot, Claude, 34, 48,

52, 53 e n, 54, 56 n, 70, 116, 126, 128, 144, 146, 147, 148, 150.

Latera, p. minore riformato, 25 n. Latona, figura mitica, 154. Lazzaro, personaggio del Vangelo,

77, 82, 254, 255. Lemene, Francesco, 45 e n, 158. Leone X, papa, 72 n. Leonio autore dei versi leonini, 97. Leopardi, Giacomo, 68 n, 197 n. Leopoldo ab Hài, vescovo di Kono-

gràtz, 25 n. Libero, 174, 175. Licinio, personaggio oraziano, 178,

179. Livio, Andronico, poeta latino, 144. Livio, Tito, 33, 141. Locke, John, 26, 27. Lombardi, p. minore conventuale, 25

n. Lopez, 23 n. Luca, evangelista santo, 75 n, 78 n,

214, 215, 216, 217, 220, 221, 222, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 230, 231, 236, 237, 238, 239, 238, 239, 240, 241, 244, 245, 248, 249, 250, 251, 252, 253, 254, 255, 256, 257, 258, 259.

Lucano, Anneo Marco, 43, 79, 108, 123, 126 e n.

Lucilio, Gaio, 43, 57, 69, 123, 134 e n.

Lucrezio, Caro, 43, 54 e n, 79, 108, 112, 118, 123, 126 n, 134, 141.

Lutero, Martin, 262, 263. Macedonio, 81, 82. Maceroni, Giovanni, 13 n.

Maggi, Carlo Maria, 45, 46 n, 158. Maja, figura mitica, 146. Malebranche /Malebranchius, Nicola,

26 e n. Manfredi, Eustacchio, 45 46 n, 158. Magnezio, ribelle, 86. Malebranche, Nicolas, 26 e n, 27 n. Manilio, poeta latino, 140, 142. Manto, figura mitica, 150. Manuzio, Paolo, 48, 55, 56, 76 n,134,

144. Manuzio, famiglia, 55, 56. Marco, evangelista, santo, 78 n, 220,

221, 222, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 230, 231, 240, 241, 242, 243, , 242, 243, 244, 245, 246, 247, 248, 249, 250, 251, 254, 255, 258, 259.

Marco, beato, antenato di Marcucci, 21 n.

Marcucci, Domenico, zio di Marcuc-ci, 21 n, 25 n.

Marcucci, Ferrante, antenato di Mar-cucci, 21 n.

Marcucci, Giacinto, antenato di Mar-cucci. 21 n.

Marcucci, Leopoldo, padre di Mar-cucci. 21 n.

Marcucci, Niccolò, zio di Marcucci., 21 n.

Maria, suor Emanuela di S. Gioac-chino, 21 n, 22 n, 26 n.

Marozzi, Andrea, 20 n. Marso, poeta satirico latino, 64 e n,

166, 167. Marte, divinità pagana, 174, 175,

208, 209. Marziale, Marco Valerio, 43, 58, 63,

64, 71, 80, 101, 106, 107, 123, 139, 142, 148 n, 166, 167, 209 n.

Massimo, santo, vescovo di Torino, 21-22 n.

Matteo, evangelista, santo, 75 n, 78 e n, 218, 219, 220, 221, 222, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 230, 231, 240, 241, , 242, 243, 244, 245,

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307

246, 247, 250, 251, 254, 255, 258, 259.

Mauro di Parigi, santo, 22 n. Mecenate, 23 n, 174, 175, 176, 177. Medea, figura mitica, 147. Medusa, figura mitica, 146. Megera, arpia,143. Melampo, dotto uomo greco, 150. Melibeo, figura virgiliana, 174, 175. Melpomene, musa, 140, Menelao, figura mitica, 146 Mercurio, figura mitica, 112, 146,

155. Michele, arcangelo, santo, 67, 184,

185. Miciliano/Ciciliano, 64 e n, 168, 169. Milton, John, 72 e n. Minoss/Minoide, figura mitica, 142. Mirabeau, Victor, 28. Molza, Francesco Maria, 45 e n, 158. Mosè, patriarca, 238, 239. Muratori/Lamindo/Lampridi/Valde-

sio, Ludovico Antonio, 25, 29, 30 e n, 45 n, 47 e n, 160.

Mureto/Muret), Marc-Antoine, 48, 52 e n, 55 e n, 65 n, 94, 97, 117, 150, 166, 167, 172, 173.

Najade, nifa, 147. Napoleone, don Giacomo, 17. Narduzzi, Andrea, 20 n. Nepote, Cornelio, 33. Nereo, figura mitica, 154, 155. Neri, Filippo, santo, 79 n. Nerva, imperatore, 166, 167. Nettuno, 208, 209. Nevio, poeta latino, 43, 123. Nicolai, Antonio, 50, 51 n. Niso, 134. Nonio, grammatico latino, 48, 57,

134 e n. Occhi, Simone, editore, 47 n. Omero, 43, 52, 64, 142, 147 172,

173.

Orazio, Flacco Quinto, 43, 57, 64, 65 e n, 66, 102, 103, 104, 105, 107, 108, 123, 149, 150, 176, 177.

Oreste, 134. Origene, autore cristiano, 236, 237. Orlandi, Giuseppe, 13 e n. Orsi, Giuseppe Felice, 45 46 n, 158. Ovidio, Nasone Publio, 43, 64, 95 e

n, 97, 98 e n, 107, 110, 123, 133, 134, 137, 138, 144, 146, 148 n, 170, 171.

Pacuvio, Marco, autore latino, 42-43,

123. Pala, Marco, rettore del Seminario di

Ascoli, 17 n. Pallante, 139. Panto, figura mitica, 150. Paolino, personaggio di una comme-

dia, 95 n. Paolino di Nola, 75 n. Paolo, Diacono, 66, 106. Paolo di Tarso, santo,19, 100 e n,

236, 237. Paolo V, papa, 35. Paride, 142. Pasquato, Ottorino, 13 e n, 14. Patroclo, 134. Pedone, grammatico latino 64 e n.

149, 166, 167. Peleo, figura mitica, 154. Persio, Flacco Aulo, 43, 123. Petrarca, Francesco, 45 e n, 68 n,

161, 158, 155, 154, 156, 161. Petronilla, santa, 19. Petronio, Arbitro, 57, 147. Petrucci, Pier Matteo, 80 e n. Pietro, Simone, apostolo, santo 19,

77, 80 n, 100 e n, 256, 257, 282, 283.

Pilade, 134. Pindaro, 54 n, 66. 176n, 177n. Pio IV, papa, 55. Pio VI, papa, 17, 25 n. Piritoo, 134. Pirro, re dell’Epiro, 131,

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Pitia, figura mitica, 134. Plantino, Cristoforo, editore, 54 n. Plauto, Tito Maccio, 43, 57, 109, 114,

123, 145, 148. Plinio, Gaio Cecilio Secondo, il gio-

vane, 63 e n , 131, 166, 167, 166, 167.

Polifemo, figura mitica, 110, Polimnia,musa, 140. Polla, personaggio di una commedia,

95 n. Pollione, 85. Polluce, 134, 142. Porcacchi, Thomaso, 159 e n. Porfirio, filosofo greco, 81 n. Postumio, personaggio oraziano, 178,

179. Priamo, re di Troia, 108 e n, 142,

155. Proba, Falconia/Faltonia, 43, 61, 62,

71 e n, 73 n,74 n, 84 e n, 124, 210, 211, 212, 213, 282 n, 283 n, 290, 291 e n.

Proba Faltonia, familiari di 84, 85 Probo, Valerio, grammatico latino,

48, 57-58, 138. Properzio, Sesto, 43, 57, 110, 123. Prudenzio, Aurelio Clemente. poeta

latino, 77 e n, 80, 104. Purcozio, 23 n. Puteano, Ericio, umanista, 52. Quintiliano, Marco Fabio, 94, 150, Quinziano/Quintianus) 106 e n. Quirino/Cirino, governatore, 216,

217. Rabano, Mauro, 66 n, 67. Raffaele, arcangelo,santo, 190, 191. Raimundus, Joseph, editore 50 n. Raynal, Guillaume Thomas-François,

28. Redi, Francesco, 45 e n, 158, Reichlin/Reuchlin, Johann, 40 n. Remondini, Giuseppe, stampatore, 44

n, 51 n.

Riccardo da Venosa, 95 n. Romanus/Romano, (Giulio), 23 e n. Romolo, figura mitica, 154. Rossi, Nazareno, 20 n. Rousseau, Jean-Jacques, 28, Ruscelli, Girolamo, 47 e n, 160. Saffo, poetessa greca 150 Salamoni, stampatore, 22 n, 53. Sallustio/Salustio), Crispo Gaio, 57,

141. Salvini, Anton Maria, 47 e n, 160. Sannazaro /Actius Syncerus, Iacopo,

45 e n, 66, 67, 68, 69 n, 69, 71, 158, 159, 192n, 193n, 196 e n, 197 e n, 208, 209.

Santos Sastre, Eutimio, 13 n. Sanzio, Francesco Brocense, gram-

matico, 53 e n. Saturno, figura mitica, 148. Scaligero, Giuseppe, 49 e n. Scauro, Terenzio, grammatico latino,

48, 57. Scioppio/Scoppius/Schoppe, Gaspar,

47, 48, 49 n, 50, 51 n, 53 e n, 54, 114, 115, 119, 121, 124, 126, 128, 134, 140, 141, 142, 143, 144, 145, 147, 149.

Scolari, Filippo, 70 n. Sedulio /Sedulius, Celio, 61, 62, 71 e

n, 72 e n, 73 e n, 74 e n, 75 n, 77, 78, 80 e n, 81 e n, 82, 210, 211, 210, 211, 212, 213, 236, 237, 255, 260, 261, 262, 263.

Sedulio, Scoto, 82 e n. Seneca, Lucio Anneo, 43, 102, 103,

104, 123. Senese, Francesco, editore, 70 n. Servio, Mario Onorato, grammatico

latin, 48, 58, 138, 143, Silio, Italico, 63 e n, 166, 167. Simeone, anziano sacerdote, 240,

241. Simone, il Cireneo, 234, 235. Spinoza, Baruch Benedetto, 28.

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309

Stazio, Publio Papinio, poeta latino, 43, 106, 123.

Stefano da Cesena, padre cappuccino, 31.

Sulpizia, poetessa latina, 43, 123. Svetonio, Tranquillo Caio, 33. Talia, musa 140, Tasso, Torquato, 45 e n, 72 e n, 158, Tecla, santa, 19 n. Teocrito, poeta greco; 172, 173. Teodosio, imperatore, 82, 236, 237. Terenziano, Mauro, grammatico lati-

no, 48, 57, 114. Terenzio, Afro Publio, 33, 43, 102,

109, 123, 137, 140, 141, 145. Tereo, figura mitica, 146, 149. Terpsicore, musa, 140. Terzaghi, 23 n. Tesauro, Emanuele, 84, 262, 263, Teseo, 134, 154, Tesifone, arpia, 143. Testi, Fulvio, 45 e n, 158, Teti, figura mitica, 149. Tibullo, Albio, 43, 57, 98, 123, 137. Tiraboschi, Girolamo, 56. Tirsi, figura virgiliana, 174, 175. Tolomei, Claudio, 46 e n, 159. Tommaso d’Aquino, santo, 26, 37,

41, 67, 103, 184, 185. Torquati, suor Maria Roberta, 11. Torresano, Giovanni, Francesco e

Federico, zii di P. Manuzio, 55. Traiano, imperatore, 166, 167 Trojo, figura mitica, 149. Tucca, 174, 175.

Turno, 139. Tursellino, Orazio, 51 n. Urania, musa, 140. Urbano VIII, papa, 41, 66, 69, 100,

101, 182, 183. Valentiniano, imperatore, 82, Valerio, Flacco, poeta latino, 43, 63

n, 123, 140, 166, 167. Vallesio, Antonio, 50, 51 n, Vanini, Lucilio, 28. Varo, 174, 175. Ventilj, Pasquale, 71 n. Vico, Giambattista, 25, 43. Vida, Girolamo, 72 e n. Virgilio, Marone Publio, 43, 58, 63,

64, 65, 68 n, 77 78 n, ,79, 80, 85 e n, 95, 96, 97, 98 e n, 99, 106, 107, 108, 109, 110, 111, 112, 116, 117, 123, 124, 137, 138, 139, 141, 143, 172, 173, 176, 177, 256, 257, 264 n, 265 n, 270 n, 271n, 273 n, 274 n, 282 n, 283 n, 289 n 290, 291 e n.

Vittore, poeta latino, 72 n. Voltaire, Arouet, Francois-Marie, 25e

n 26 n, 28, 29. Vossio/Vossius, Gerardo Giovanni,

50, 51 n, 53 n. Wolff /Vuolfius, Christian, 26 e n. Zaccaria, santo, 75 n, 214, 215. Zambaldi, Francesco, 59. Zappi, Giovanni Battista, 45, 46 n,

158.

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Pagina 9 del manoscritto della prima Antologia

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Indice delle parole latine del Saggio

ab, 117, 118, Ăb, 118, 144. Abas bantis, 155. Abax abăcis, 133. Ăbeo, abeo, 118, Abĕs, 148, ăbjēs, ăbĭēs, 109.

Abiēs abiĕtis, 148. Abimele̊ch, Abimelechus, 145. Abjīcis, abĭcis, 108. Ābluo, 117. Ambo̊ 142. Abs, 124, Abscīdo, 124. Abscindo, Abscı̊dit, 124, Ăbundo das, 136, Abundābo, 136. Āc, 145. Achillĕ, 140. Ad, 112, 118, ăd, 118, 144. Adamantĭnus, 127. Ádamas mantis, 127, Adămās

mantis. 147, Adámides, 154. Adeō, 143. Adĕs, 148, Adfectus, 112, adfectus, affectus,

112. Adībo, 137. Adónĭ, 142. Ador adŏris, 130. Ădoro, 118. Ādnítor, 117. Adrastus Adrasti, 155. Adrastine, 155. A-dria, 117. Adsŭmus, 138, adsīs, 149. Adversŭs, 118, adversūm, 118. Æácides, 154. Aēdēm, 109. Ægon Ægo̊nis, 130. Ænéades, Ænéadæ, 154. Æneas, 115, Ænéæ, 154.

Æquor æquŏris, 130. Āer, 115, Aer aĕris, 130. Ætās, 147. Æther thĕris, 130. Affăbre, 117. Agamennon mennŏnis, Agamen-

no nŏnis 129. Agatŏcles, 117. Agĕnŏri, 155. Agenórides, 155. Agon gōnis, 129. Agnovi, Agnĭtum, 126. Ah, 111, Āh, 145. A̅it, 109. Ājo, 116. Albīnovanus. 127. Albīnus, 127. Alcı̊åtus, 151. Alectō, 143. Alexĭ, 142. Alicubı̊, 142. Alio, 119. Alióqui, 119, Aliōquin, 121. Alĭpēs, 148. Alīus, 114. Allīdo, 120, Állobrox brŏgis, 133. Alterius, 114. Amabilis, 151. Amarillĭ, 142. Amathūs thuntis, 150. Amāzon, 116, Amázon zŏnis,

129. Amazonăs, 147, Amazonĕs, 148,

Ambæ ambārum ambābus, 135. Ambio, 118, Āmbio, 119. Ambĭtus (s), 120. Ambītus bīta bītum, 120. Ămicus, 122.

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Amilcar milcăris, 130. Ămo, ămans, 122, amāvi, 125,

amāveram, amāvisse, amāvi, 127, amas amat amamus, a-mant; amabamus, amaris, ama-verimus, amaveritis. 135, amē-mus, amavēris, amabĕris ama-bĕre,136, amabĭtis, amaveritis, amaverimus, amaverītis, 137, a-matūrus, amatūrum, amatōte, 138, amā, 139, amăt, 144, amĕr 146. Ămōr, 94, 95, 122. Amphitrion, 155. Amygdalĭnus, 127. Amýgdalus, 127. An, 142. Anas anătis, 131, 147. Anătinus, 147. Amathūs, 150. Anceps ancipĭtis, 133. Anchises sæ, o Anchisē, 140, An-

chisēs, 148, Anchises, 154, 155. Anchisiade dæ, o Anchisiadē,

140, Anchisiades, 154, 155, An-chisias, Anchisiadis vel Anchi-siados, ecc., 156.

Andreas, 115, Andreas, Andreā, 139.

Androgĕō, 143, Androgeōs, 149, Animal animālis, 129, Ănĭmosus, 122. Ănĭmus, 122. Anníbal Annibălis, 129. Anquiro, 118, ānquiro, 119. Anser, 127. Anserīnus 127. Ansidĕus, Ansidæ̊us,151. Antĕ, 118. Anteā, 139, Anteå, 140. Antĕfero, 118.

Antonii, 154, 155. Antoníades, 154. Apĭs, 149. Apollo̊, 143. Āpprime̊, 141. Aptĕ, 142. Apŭd, 118, Aquāi, Aquæ, 114. Arātrum, 117. Arātum, 122. Arbor arbŏris. 130, Arcas Arcădis, 131, Arcăs cadis,

Arcadăs, 147, Arcadŏs, 149. Archĕtypus, 121. Arctŏphy̆lax arctophylăcis, 133. Argŏs, 149. Arguo, Argūtum, 126. Ariēs, 148. Ārmă, 93, arma 139, Arrı̊go̊nı̊us, 151. Ascŭlanus, Asculánus, 127. Ascŭlum, 127. Asdrúbal Asdrubălis, 129, Asdrŭ-

băl, 145. Ăquĭlex aquilĕgis, 133. Arctŏs, 149. Ariēs ĕtis, 148. Aspidĕs, 148. Āter, ater, atrum, 117. Athamas mantis, 155. Athōs, 149. Atlas tlantis, Atlā, 139, Atlās

antis, 147. Atlas tlantis tlanti, Atlantis, 155.

Atlantíades, 155. Atlantias, 155. Átrei, 155. Atrídes, 155. Atteōn, 145. Auceps aucŭpis, 132,

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A̅udio, 120, audīvi, 125, audivi, audītum, 126, audiebamini. au-ditis, 135, audiebāmini, audivē-runt, audiēris, 136, audīre, au-diebamĭni, audivĭmus, 137, au- diĭt, audīt, audĭt. 144, audīs audītis, 149.

Augusta, 151. A̅ulæ, aulāi, 128, Aurǣ, aurái, 109, 114. Aurum, 115. A̅ut, 109. auxīs, 149, Baăl, 145. Bachar chăris, 130. Baptisma mătis, 131. Bardŏcucullus, 121. Baro̊nius, 150. Beelzebůb, 144. Benĕ, 141. Bevı̊låqua, 151. Bĭbi, 124. Bĭceps bicipĭtis, 133. Bīduum, 121. Bīgæ, 121. Bĭjugus, 116. Bīmus, 121. Bissĭnus, 127. Bissus, Byssus, 127. Bōbus, 128. Borromæ̊us, 151. Bos bŏvis, 132, Bŏvis, 128, Bōs,

149. Bou̅bus, 128. Bovibus, 128. Bovicula, 128. Briseĭ, 142. Brito tŏnis, 129. Būcula, 128. Burge̊sius, 150.

Caballīnus, 127. Caballus, 127. Cădo, 120. Cǣdo dis, 120, 124, cædo, cĕcīdi,

125. Cælebs cælĕbis, 132. Cæsar săris, 130. Cāi, 114. Calăber, Calăbro, 117. Calcar calcāris, 130. Calcā, Calchā, Calcas Calcantis,

139, Calchās o Calcās cantis, 147.

Călix lĭcis, 133. Calliopē, 140. Calypso Calypsūs, 150. Candelābrum, 117. Candor dōris, 130. Cantăber, Cantăbro, 117. Cappădox padŏcis, 134. Căpsy̆s, 149. Caput capĭtis, capĭtum capiti bus,

133, Capǔt, 144. Cārcer cĕris, 130. Cāres cārium, 130. Carmen 93, Cārmen, 116, Carmen

mĭnis, 130. Castor stŏris, 130. Causa, 143. Causĭdicus, 120, Cave̊, 141, 142. Cĕ, 142. Cecropidæ, 154. Cedrĭnus, 127. Cedrus, 127. Cĕlox lōcis, 134. Celtĭber, Celtibēri, 129, Celtibĕr,

147. Censeo ses sui, 126. Censio censis censivi censītum.

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Cercops cercōpis, Cercōpes pum, 133.

Ceres Cerĕris, 131, Cerēs rĕris, 148.

Cetē, 140. Charis Charĭtis, Chărĭtes charĭ-

tum, 132. Chălybs ly̆bis, 132. Chaŏs, 149. Chely̆, 142, Chĕly̆s, 149. Chlămys clămy̆dis, 132. Chorēa, 115. Christallĭnus, 127. Christípara, 151. Christus, 151. Cieo cies civi, 125. Cĭlix lĭcis, 134. Cio cis civi, 125. Circā, 118. Circūm, 118, Circŭmago, 118, circumago, 145. Circumdămus, circumdătum cir-

cumdăre; 136, circundătus, 125. Cĭs, 118, 149. Cito̊, 143. Citrā, 118, Citrå, 140. Citum, 125. Civeīs civīs per cives, 149. Clāmo, clāmavi, 125. Clandestīnus, 127. Classī, 142. Cleopătra, 117, Cleopātra,118, Clīmax măcis, 133. Cliō, 143, Clio Cliūs, 150. Coago, 128. Coccĭnus, 127. Coccus, Coccum, 127. Cacoēthĕs, 148. Cognovi, Cognĭtum, 126. Collīdo, 120. Cŏlo, cŏlui, 125.

Co̊lumna, 150. Comēs, 148. Comĕs mĭtis, 148, Co̊mitolus, 150. Compar păris, 130, Compār, 147. Compos pŏtis, 132, Compŏs, 149. Conago, 128. concīdo, 120. Concı̊tus, 125. Concors, 118. Condio dis divi, Condītum, 126. Condo dis didi, condĭtum, 126. Cōnduco, 119. Cōngrĕdĭōr, 94. Conjux jŭgis, 133. Connůbium, 120. Consĭtus, 125. Consul consŭlis, 129, consŭl, 145. Contentus, content, 113. Contrå, 139. Conveniut 95. Cooperuisse, 128. Cōperuisse, 128. Corām, 118. Cornĭpēs. Corydōn, 145. Cras, 127. Crastĭnus, 127. Crater tēris, 130, cratēra, crater,

cratērăs, 147. Crebrō, 143. Credidi, Cognĭtum credĭtum,126, Cūm, 118. Cupivi, Cupītum, 126. Cupressĭnus, 127. Cupressus, 127. Cūr, 147. Cūrro, 122. Cŭrūlis, 122. Cybele, Cybĕlēs, 148. Cyclops ciclopi, 133.

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Cycnus, 116. Cytherēa, 115. Cytherēĭă, 115. Dān, 145. Daphnĭ, 142, Daphnĭ. Dardánidæ, 154. Dares Darētis, 131. Darīus, 115. Davı̊d, 144. Dē, de, 118. Dĕcōrus, 132. Dĕcus dĕcŏris, decōris, 132. Deērīt, 109. Dēgĕnĕr genĕris, 130. Deípara, 151. Dejĕro, 120. Delĭus, 126. Delphin phīnis, 130, Delphinăs, 147, Delphínĕs, 148. Deōrsūm, 109. Depopulatur, depopularis, depo-

pulas, 136. Desĭtus, 125. Dĕus, 113, Deŭs, 149. Dīco, 120, dicēs, 148. Didō, 143, Dido Didūs o Didonis,

Dido Didūs o Didonis,150, Diēi, 114, Diē, 141. Difficilē, 141. Dīrŭtum, 125. Dīs dītis, 122, Dis dītis, 132. Discipula, 113. Dĭsertus, 119, 122, disertis, 139. Dispar, 118, dīspar, 119, dispar

spăris, 130, dispār, 147, Dīssero, 122. Dissoluo, dissolvo, 109. Disturbāt, disturbavĭt, 144. Dĭtio, 122. Diversus, 118, dīversus, 119.

Divĕs vĭtis, 148. Dīvĭdo, dīvīsi, 125. Do, dătum, 125, dō 143, do das,

dămus, dăbunt, dări, dătum dabāmus, dabātur, dabāmini, datis, da-bam, dĕdi, 124, dare, 136.

Docebamus, 135, docēbam, docē-rer, docuĕram, docuĕramus, 136. docē, 141, docerĕ, 140.

Doctus, doctu, 113. Dogma mătis, 131. Dŏlops dolŏpis, Dolŏpes pum,

132, Dominōs, 149. Donĕc, 145. Dos dōtis, 132. Dryas Dryantis, 155. Dūc, 145. Dŭceni, 121. Dŭcenti, 121. Dummodo̊, 143. Duo̊, 143. Dux dŭcis, 134, Dŭcēs, 93. Ē, 118. Ĕdo dis, 120, edo, ēs, 148. Ego̊, 143. Ēgi, ēgisse, Ēgeram, 124. Ēĭă, 115. Ēĭŭs, 115, ēĭŭs. Ejă, 139. Elegēĭă. 115. Elegīa, 115. Elĭgo, 120. Eliůd, 144. Ēn, 145. Eneas, Eneā, 139. Enigma mătis, 131. Eo, Ĭtum, 125, īt, iit, 128, Ībo,

137, īs ītis, 149, Itōte, 138.

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Eratō, 143. Erémus, 113. Ergo, Ergō, 143. Ĕrinny̆s 149, Erynnĭĕs, 148, Eri-

nyŏs, 149, Errores, 95. Ērŭtum, 125. Ĕryx ery̆cis, 133, Et, 142. Etymologia, 115. Europa, 115. Euterpē, 140. Ēx, ex, 118. Exēs, 148. Excīdo, 120. Excı̊tus, 125. Exemplar plāris, 130. Exeo, 118. Exlex exlēgis, 133. Exōro, 122. Exŏs exossis, 149. Expōno, 119. Exprobrāre, 136. Exquiro, 120. Extrā, 118. Exul exŭlis, 129. Exundo das, exundāre, 136. Fabŭla, 127. Fac, fåc, 145, fecĕro, fecĕrimus,

136, faxīs, 149, Facundus, facundu, 113. Fæx fǣcis, 133. Fagĭnus, 127. Fagus, 127. Fames mei, Famē, 141. Fār, 147. Fărina, 122. Farne̊sius, 150. Farris, 122. Fatidĭcus, 120.

Fax făcis, 133. Fectus, 112. Fēlix fēlīcis, 133. Femur femŏris, 131. Fĕrāx rācis, 133. Ferē, 141. Fermus, Fermē, 141. Fĕro, 120. Fĕrox ferōcis, 134. Festīnus, 127. Fidĕi, 114, Fidē, 141. Fĭlix lĭcis, 133. Findo dis, Fĭdi, 124. Fio fieri, fierem, fiebam, 114, Fie-

rī, 142, Fīs, 149. Flemus fletis, flebam flere, Fles,

136, flēvi, 125, flentes, 112. Flō, Flo flas flavi flatum, 142. Floråmontı̊us, 151. Fluctŭs, 149. Flūvĭă, 109. Flūvj, 109. Forīs, 149. Formix mĭcis, 133. Fornax nācis, 133. Fortiă, 139. Francíades, 154. Franciscus Francisci, 155, Fran-

cisci, 154. Francíscides, 154. Franciscine, 155. Frustrå, 1139. Frŭtex frutĭcis, 133. Frux frūgis, frūges, 133. Fulgĕre, 108. Fumāt, fumavĭt, 144. Funĕbre, 117. Fūr, 147. Furfur furfŭris, 131. Furiosĕ, 140.

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Găny̆mēdēs, 148. Gener genĕri, 128, Gēnŭă, 109, Geōmetra, 121, Ge̊rardus, 150. Gīgno, gĕnui, 125. Glis glīris, 132, glīs, 149. Grammaticē, 140. Gråtianus, 150. Gratīs, 149. Grūs gruis, 150. Gryps grȳphis 133, gryphĕs, 148. Guărinus, 109. Guīdo, 109. Gummis, gummĭ, 142. Habē, 141. Hæ hārum, 135. Hærēs o herēs rēdis, 148. Hāles, Hālex lēcis, 133. Haūd, hauud.144. Hector ctŏris, 130, Hectori, 155. Hectórides, 155. hei, 111, 115. Helicon cōnis, 129. Hepar hepătis, 131. Hercŭles, 127. Heros rōis, 132, Heroĕs, 148,

Herōs, 149. Heu, 111. Hı̊c, 145. Hippomănĕs, 148. Hippoménēs, 148. Hercŭlanus, Herculanus,127. Hippótades. 154. Hippotæ, 154. Hiscĕ, 142. Histrix strĭcis, 134. Hoc, hōc, 145, hi hōrum, 135. Hŏdie, 121, hodiē. Hŏmo, 122.

Hono̊ratus, 150. Honōs, 149. Hūmanus, 122. Hūmor, 122. Hŭmus, 122. Hydrómelĭ, 142. Hydrops hydrōpis, 133. Hy̆ems hyĕmis, 132. Ĭber, Ĭbēri, 129, Iber ibēris, 130. Ibēr 147. Ibı̊, 142. Ibīdem, 121, 142. Ichneumon, 116. Idea, 115. Īdem, 121. Ideo̊, 143. Idolătra, 117-118, Idolātra, 118 Idólum, 113. Igitur, 143. Ilíades, 154. Īlicet, 121, Illĕ, 140,. illius, 114, Illiăs liados o Iliăs, 147, Iliŏs,

149. Immaculata, 151. Imo̊, 143. Impar păris, 130, Impār, 147. Impos impŏtis, 132, Impŏs, 149. Ĭn, in, 118, Inclyta, 151. Incus incūdis, 132, Incūs cūdis,

150. Indignē, 141. induco, 118. Induo, Indūtum, 126. Inĕs, 148. Infernas nātis, 131. Inferne̊ 141. Infĕro, 119. Inĭtus, 125.

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Innŭba, 120. Ĭnops inŏpis, 132. Inquĭs, 149, inquĭmus, 137. Insŭbres, 117. Intĕgrum, 117. Intemerata, 151. Intĕr, 118. Intercus intercŭtis, 132. Intĕrdo, 118. Intereā, 139, interå 140. Interest, 119. Interlĭtus, 125. Interpres prĕtis, 131. Intrā, 118. Intrōduco, 121. Intŭs, 149. Ĭnundo das, Inundātis,136. Ĭnūro, 118. Invitavĭt, Invitāt, 144. Involūcrum, 117. Iō, Ius, 143. Ipsius, 114. Irrĭtus, 125. Istŭd, 144. Ĭs, 149. Isácides, 154. Ită, 139. Itálides, 154. Itys, 149. Jambus, 121. Janthĭnus, 127. Jaso sŏnis, Jason sŏnis, 129, Jaspis, 121. Jecur, 131. Jesus, 121, 151, Jesūs, 150. Joannēs, 148. Jonathas, 121. Jordan, Jordanis,112, Josēph, Josephus, 145. Jūro, 120.

Jus jūris, 132, Justı̊nı̊ånus,151. Juventūs, 150. Juxtā, 118. Låc, 145. Lacon cōnis, 129. Lacrymantes, 112, Lacus lacŭbus, 135. Lǣdo dis, 120. Laertes, 154. Laertiades. 154. Lagōpus, 121. Lame̊ch, 145. Lampas Lampădis, 131, Lampăs

pădis, 147. Laomedon, 155. Lapĭs, 149. Laquear queāris, 130. Lar lăris, Lăres rium, 130, Lār,

147. Larix rĭcis, 133. Látois tóidis o toidos, 154. Lavācrum, 117. Lāvero, lāvi, 124, lavo lavas lavi,

lōtum lōturus, 125. Lebes lebētis, 131. Lego, 119, lĕgo gis, 120, legĭs,

149, lēgi, 120, legĕrer, legĕre, legĕris legĕre legor, legĕrim, legĕritis, legērunt legēre, legēris, legerēris, legēris legētur, 136, legērunt, legĕrim, lĕgĕrĕ, 94, legĕram, legĕrunt, legĕro, legĕrem 137, legĕ, 141,

Lĕlex lelĕgis, 133. Leo̊, 142. Lepor pōris, 130. Lĕpus lepŏris, 132, Lethes thæ, Lethē, 140. Leucŏpetra, 121.

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Lex Lēgis, 133. Libys, 149. Lien liēnis, 129, Liēn, 145. Ligur Ligŭris, 131. Lĭno nis, lĭtum, 120, Lino, Lĭtum,

125. Lique̊facio, 121. Lĭqueo ques, 122. Lı̊quidus, 122. Līquor quei, 122. Lĭquor quóris, 122. Lĭquor quáris quatus sum, 122. Lis lītis, 132, līs litis. 149. Lŏcŭples plētis, 131, locuplēs ētis,

148. Longe̊, 141. Lōtio, 125. Lugŭbre, 117. Lux lūcis, 134. Lynx cis, Lyncĕs, 148. Macedo dŏnis, 129. măcer, 122. Mācero, 122. Made̊facio, 121. Mænetii, 154. Mænetíades, 154. Mæ̊oticus, 115. Magnes magnētis, 132. Magōg, Magógus, 145. Mājēstās, 94. Majus jōris, Mājor, 132. Malĕ, 141. Maledīcentior, maledĭcus. 122. Maledĭcus, 120. Malīmus, 137. Māmma, 122. Mămilla, 122. Mimallŏnĕs, 148, Mando Mandōnis,129. Manto Mantūs, 150.

Manū, 144, Manibŭs, 150. Mārcus, 116. Maria, 151. Martur Martŭris, 131. Martyr Marty̆ris, 131. Mas măris, 131. Māter, Mātris, Mātre, 117, 122,

Materquĕ, 142.. Māternus, 122. Matrīcida, 121. Matthiā, 139. Matutīnus, 127. Matūtīnus, 126. Māxentius, 116. Maximē, 141. Me, 112, mĭhĭ, mī. 128, mē, mihı̊,

142, Mediastīnus, 127. Medĭci medicōrum, 135. Mediŏcre, 117. Melampūs pŏdis, 150. Melchisede̊c, 145. Melīphyllon, 121. Melpomĕnē, 140. Mĕlius liōris, mĕlior, 132. Melŏs, 149. Memnon Memnŏnis, 129. Memor mŏris, memŏris, memŏre,

130. Memorā, 139. Mentĕ, 140. Mēntīrī, 94. Merces cēdis, 131. Merīdies, 121. Meritō, 143. Meus, 98, meŭs, 149, meos, 95. Michael Michaēlis, 129, Michēl,

145, Michŏl, 145. Midas, o Midă, 139.

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Miles milĭtis, 131, Milĕs lĭtis, 148.

Minimē, 141. Minoidĭ, 142, Minos minōis, 132. Minōtaurus, 121. Miscuĕrunt, 137. Misericordĭa, 113. Modo̊, 143. Mōles, 122. Mŏlestus, 122. Molītur, 137. Monui, monĭtum 126, monē, 141,

mōvissem, mōvi, 124, mōturus, mōtum,125.

Mōs, 149. Mōtio, 125. Mulier liĕris, 130. Multō, 143. Munus nĕris. Murīnus, 127. Murmur mŭris, 131. Mus muris, 127, mūs, 150. Musæ Musarum, 128, Musæ Mu-

sārum, 135, Musæ, 138, Musā, 139, Musās, 147, Musīs, 149.

Mustéla, 127. Mustelīnus, 127. Mutuŏ, mutuō, 143. Nabāl, 145. Najăs jadis, Najades, Najadăs,

147. Napadĕs, 148. Nar nāris, 130, Nār, 147. Natam, 112, Nātūm, 122. Natrix Natrĭcis, 134. Nātūra, 122, Natúra,126. Nātūralis, 122. Ne, 92, nĕ, 142. Nĕc, 145.

Nectar ctăris, 130, Nĕfas, 121. Nepōs, 149. Neptúnus Neptúni, 155. Neptuníne, 155. Nēquando, 121. Nēquis, 121. Nēquitia, 121. Néreus Nérei, 155. Neris rīdis, 132, Nereides, Nereis,

155. Nerínes, 154, Neríne Nerines,

ecc., 155. Nescio̊, 143. Nestor stŏris, 130. Nex nĕcis, 133. Nī, 142. Nicŏcles, 117. Nihil, 128, Nīl, Nihĭl, 145. Nix Nĭvis, 134. Nolo̊, 142, nolīs, 149, Nolīmus,

Nolīto, 137. Noon, Nōn, 145. Nosco noscis novi, nōtum, 125. Nōtio, 125. Nūbo, 120. Nubēs, 148. Nux nŭcis, 134. O, 111, ō, 142. Ob, 117, 118, ŏb, 144. Obĕdo, obĕdis, 120. Obēdio obēdis, 120. Ŏbeo, obeo, 118, Obīt, Obiĭt, 144. Obĭcis, Objīcis, 108, Ōblĭno, 117, oblĭno nis, oblĭtum

120, Oblĭtus, 125. Obliviscor, oblītum, 120, Oblivi-

scor, oblītus, 125, Obluo, 117. Obruo, 117, Ōbrŭtum, 125.

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Obtestantes. 112. Obtŭli, obtŭlerim, obtŭlisse, 127. Occĭdo, 120. Occīdo, 120. Occĭput occipĭtis, 133, Oculī, 142. Odiō, 143. Ŏfella, 122. Ōffa, 122. Ohē, 142. Olea, 127. Oleagĭnus, 127. Olíva, 127. ŏly̆, 142. Omnĭpotens, 121. Omniă, 139, omneīs o omnīs per

omnes, 149. Opto̊, 142. Opūs puntis, 150. Ōratio, 122. Ōrator, 122. Ordo dĭnis, 130. Orestī, 142. Orion Orio̊nis, 129. Ōro, ōrans, ōraturus, 122. Ōrphēus, 109. Orthographia, 115. Os ōris, 132, ōs oris, 149. Ŏs ossis, 149. Pæan Pæānis, 129, Pæas Pæantis, 155. Palæmon mŏnis, 129. Palām, 118. Pallas Pallădis, 131, Palladĭ, 142,

Pallăs lădis, 147, Palladŏs, 149. Pallas lantis, Pallā, 139, Pallās

lantis, 147. Palpĕbra, 117. Pălus pălūdis, 132, palūs lūdis

150.

Panĕ, 140. Panı̊cåro̊la, 151. Pantho Panthūs, 150, Panthū, 144. Par păris, 130, Pār, 147. Parēns, 138. Parĭdĭ, 142. Pariēs ĕtis, 148. Pārjē, pārĭēs,109. Parrĭcida, 121. Pars, 92, Partĕ, 140. Passionĕus, Passionæ̊us,151. Pate̊facio, 121. Pătĕr, 93, 122, Pătre, 117. Păternus, 122. Patronus Patroni, 128. Paulus, 115. Pax, Pacis, 128, Pax pācis, 133. Pāx, 138. Peccată, 139. Pĕcus pĕcŭdis, 132. Pedo dis, Pĕpēdi, 125. Pejor, 132. Pelídes, 154. Pellı̊cånus, 151. Penĕs 118, 148. per, Perendie, 127. Perendĭnus, 127, Perēs, 148. Pe̊rettus, 150. Perĭcles, Perīcles, 118. Pĕrimo, 118, Perlĕgo, Perlego, 119, Perlēgi,

120, Pervigĭl, 145, Pes pĕdis, 131, Pēs pĕdis, 148. Petīvi, 125, Petivi, Petītum, 126,

Petīvi, 137, Petīt, Petiĭt, 144, Petrusvĕ, 142. Pháeton, 155. Phăĕtontias, 154.

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Pharĕtra, 117. Philæmon mŏnis, 129. Philosophia, 115. Philýrides, 154. Phorcin Phorcīnis, 130, Phorcȳn

145. Phorónis, 154. Phryx phry̆gis, 133. Pictāi, 128. Pierĭdĭ, 142. Pĭĕtās, 94, Pietas tātis, 131. Piladī, 142. Pix pĭcis, 134. Platēa, 115. Plato̊, 143. Plebs plēbis, 133, Plebes bei,

plebē, 141. Plorantes, 112. Pluto̊, 143. Pœna, 115. Poetă, o poetă, a poetā, 139,

poetās, 147. Poétrĭa poetrĭæ, 128. Pollux pollici, 134. Poly̆dorus, 121. Pompēi, 114, Pompéus Pompéi,

155. Pompídes, 155. Ponĕ, 118. Pōno, 119, pōno, pŏsui, 125. Porro̊, 143. Portus portŭum portŭbus, 135. Posteă, 139, Posteå, 140. Postmodo̊, 143. Postremŏ, Postremō,143. Pōtis sum, Pōssum, Pŏtui, 125,

Potĕro potuĕro, 136, Possŭmus, 138, Potĕs, 148.

Prǣ, 118. Præcox cŏcis, 134. Præ̊eo, præ̊ire, 115.

Præfecta Præfectæ, 128. Præmium, 115. Prætĕr, 118. Prætereā, 139, prætereå 140. Præ̊ustus, 115. Prex prĕcis, 133. Príami, 154. Prīamides, 108, 154, Priámides Priamidæ, ecc., 155. Príamis, 155. Priamēĭŭs, 115, Pridiē, 141. prō, pro, 118, pro̊, 122. Prŏculus, 119. Prōduco, 119, Profectŏ, Profectō, 143. Profectūrus, Profectūrum, 138. Prŏfiteor, 119. Profuĕrunt, 137, pro̊fundo, pro̊fudi, 125, Pro̊fusus. Progeniēi, 114, Progeniē, 141. Prŏmachus, 119. Prŏmetheus, 119. prōmoveo, 119. Prŏnepos, 119. Pronŭba, 120. Prōnurus. 119, Prŏnurus, 119. Prōpago (s) 119, Pro̊pago ( v),

119. Properāmus, 136. Prŏpheta, 119. Pro̊pino, 119. Proptĕr, 118, Proptereå, 140. Prosīs, 149. Prōsocer, 119, Prŏsocer, 119. Prosodia, 115, Prosper Prospĕri, 128. prōveho, 119. Ptĕ, 142. Puer Puĕri, 128,

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Pugil pugĭlis, 129. Pugnā, 139. Pulvinar nāris, 130. Pulvis vĕris, 132. Purrhus, 131. Pută, 139. Pyrrhus, 131. Quadrīgæ, 121. Quadrĭjugus, 116. Quadrīmus, 121. Quadrŭpēs, 148. Quǣro, 120, quæro ris quæsivi,

quæsītum 126, quæsīvi, quæsi-vĭmus,137.

Quāndo, 109. Quandōcumque, 121. Quandōque, 121, Quandŏquidem, 121. Quadragintå, 140. Quamvīs, 149. Quarē, 141. Quĕrengus, Quæ̊rengus, 151, Quatrı̊duum 121. Quĕ, 142. Queo, Quĭtum, 125. Qui, 119, qui quĭbus, qui quōrum,

quæ, quārum, 135, cuı̊, 142, quĭd, 144, queīs per quibus, 149.

Quiă, 139. Quies quiētis, 131, Quīlibet, 121, Quīn, 145, Quiris Quirītis, Quirītes Quirītum,

132, Quīvi, 125, quīvis, 121, Quomodo̊, 143, Quotīdie, 121, Quotiēs, 148,

Rādix dīcis, 133, Raphaēl, 145, Rēccidere, 108. Recenseo ses recensui, recensī-

tum 126. Recimer cimēris, 130. Re-cludo, 117. Recordo, 118. Redămo, 122. Rēddūcīt, 108, Rēddūctūm, 108. Redemptor, 151. Rĕdeo, 119, rediĭt, redīt, 144,

redĭtus, 125, redīs redītis, 149. Rĕdundo das, Redundāmus,136. Rĕdux redŭcis, 134. Rĕfero, rĕfert, rēfert, rēferebat.

119, rĕfero, rēttulit, 122. Rēffugisse, 108. Re-flecto, 117. relēgi, 120. Rēllatum, 108. Rĕligio, 115. Rēlligio, 108, 115. Rēlliquia, 108. Rēmex remĭgis, 133. Rēmmota, 108. Ren rēnis, 129. Reor, Rătum,. Rēpperit, 108. Rēppulit, 108. Requiro, 120, Requirē, 141. Res rērum rēbus, 135, Rĕi, 114,

rebus, 95. Respondeo dis. Respondĕre, Re-

sponde̊, 141, 142. Retrōversus, 121. Rēttulit, 108. Rex rēgis, 133. Rhetor tŏris, 130, rhetorĕs, 148. Rinoceros rōtis, 132. Robur robŏris, 131.

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Romúlidæ, 154. Rōs, 149. Rumpus pi, 134. Ruo, Rŭĭtum, Rŭtum 125. Rustĭcus, 127. Sado̊ch. 145. Sal sălis, 129, Sāl, 145. Sálamin Salamīnis, 130, Salamīs

mīnis, 149, Salamīn, 145. Sălămis salamītis, 132. Sălix lĭcis, 134. Salūber, salūbre, 117. Sālus lūtis, 132. Samnis Samnītis, 132, Samnīs

mnitis, 149. Sancta, 151. Sanē, sane̊ 141. Sanguis guĭnis, 132, Sanguĭni,

122. Sanguĭneus, 122. Såregus, 150. Satur Satŭri, 128,. Satūrnus 126. Saūl, 145. Saunåro̊la, 151. Scĭdi, 124. Scīlicet, 121. Scio̊, 143, scīrent, 137. Sē, 142. Sēcius, 122. Secundūm, 118. Sĕcus, 122. Sedeo, 131. Sedulŏ, sedulō, 143. Segĕs gĕtis, 148. Senon nŏnis, 129. Sēparo, 119. Selĭgo, 120. Semĕl, 145. Semisŏpitus, 120.

Sepono, 118. Ser sēris, 130. Seriō, 143. Sermo sermonis, sermōni, sermō-

nem, sermōne, sermōnum, ser-mōnibus, 128, sermo sermōnis, 129, sermōnis, sermones sermo-nĭbus, 135.

Sero, 127, serŏ, serō, 143. Sero, Sătum, 125. Serotĭnus, 127. Servator, 151. Servītum, 137. Servitūs, 150. severiores, 139. Sī, 142. Sibı̊, 142. Sīc, 145. Sīcubi, 121. Sicubı̊, 142. Sicyon cyōnis, 129. Sīgnum, 122. Sĭgillum, 122. Sĭmĭlax lăcis, 133. Simon mōnis, 129, Simon mónis

móni, 155. Simónides, 155. Simoīs moentis, 149. Simŭl, 145. Sīn, 145. Sĭnāpis, Sināpe, Sĭnāpĭ, 142. Sindon dŏnis, 129. Sinĕ, 118, 140. Sino, Sĭtum, 125. Sincĭput Sincĭpĭtis, Sincĭpĭtĭbus,

133. Sion Siōnis, 129. Sĭquidem, 121. Sīquis, 121. Siren Sirēnis, 129, Sirēn, Sol Sōlis, 129, Sōl, 145. Solon lōnis, 129.

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Solvo, 126, Solūtum, 125-126. Somnō, 143. Sonĭpēs, 148. Sōpio, sōpitus, 120, Spadon dōnis, 129. Spĕi, 114, Spē, 141. Speciēi, 114. Spinter tēris, 130. Splen Splēnis, 129. Stirps, 92. Sto, 125, stō, 143, stābam, 136,

stetĕrunt, 108, 137, stĕti, 124, stāturus. stătum 125.

Storax o Styrax răcis, 133. Strix, 92. Suāvis, 109, Suavē, 141. Suādeo, 109. Sub, Sŭb, 118, 144. Sŭbeo, 118, Subitō, 143. Sūblevo, sub-levo 117. Sublimē, 141. subter, 118. Suēsco, 109. Sum ĕs; 148, sŭmus, 138, sīmus,

sītis,137, sīs sītis, sīs, 149. Summē, 141. Supĕr, 118. Supĕraddo, 118. Supernas nātis, 131. Superne̊, 141. Suppār, 147. Suprā, 118. Sūs, 150. Suus, 98, suis, 95. Sylua, Sylva, 109. Symphonia, 115. Tacui, tacĭtum, 126. Tántali, 154. Tantálides, 154.

Tantīdem, 121. Tantō, 143. Tantumnĕ, 142. Tapes tapētis, 132. Taumantías, 155. Taumantiades, 155. Tecmessa, 116. Tellus lūris, 132, Tellūs lūris, 150. Tempē, 140. Templum Templi, 128, Templum Templi. Tempŭs, 149, Tempora, 139. Tenĕbre, 117. Tenedŏs, 149. Teramnæ, 116. Tereŏs, 149. Teres terĕtis, 131. Terpsichŏrē, 140. Terrāi, Terræ, 114. Teuton tŏnis, 129. Tetyŏs, 149. Thelamon monis moni, 155. Thelamoniades, 155. Theseides, 155. Théseis, 155, Théseis Theseidis,

ecc., 156. Thesidæ síades, 154. Théseus Thése, 155. Thetĭs, 149, Thetĭdĭ, 142. Thomās, 147. Thūs. 150. Tibīcen, 121, Tibiicen, Tibīcen,

128. Tĭgillum, Tĭgillus, 122, 122. Tīgnum, Tīgnus, 122. Timor mōris, 130. Titan Titánis, 129, Tītān, 145. Totiēs, 148. Trādo, 120. Trāduco, 120. Trādux dŭcis, Tradūces, 134.

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Tragœdia, 126, Trāno nas, 120. Trāns, 118. Trapezūs zuntis, 150. Transierītis, 138. Transĭtus, 125. Tres trĭbus, 135, treīs o trīs per

tres. Trīduum, 121. Trigintå, 140. Trīmus, 121. Trīnacria, 121. Trĭpēs, 148. Tripus trĭpŏdis, 132, Trĭpūs pŏdis, 150. Trōja, 116. Tros trōis, 132, Trōs, 149, Trux trŭcis, 134, Tu, Tutĕ, Tē, Tibı̊, 142. Tubĭcen, 121. Tŭli, 124, Tulĕrunt, 137. Turtur tŭris, 131. Tuus, 98, Tuō, 143. Typhóeŏs, 149. Tyndarĭdĭ, 142. Tyrŏs, 149.

Ůbaldus, 150. Ubı̊, 142, Ubı̊cumque, 121. Ubilı̊bet, 121. Ubīque, 121, 142. Ubı̊vis, 121. Ultrā, 118, ultrā, 139, Ultrå, 140. Undo das, 136. Unius, 114. Uraniē, 140. Urbánus, 127. Ūrbēs, 93, urbeīs o urbīs per

urbes. 149. Utilĕ, 140.

Utor uteris, 136. Vāh, 145. Valdē, 141. Vale̊, 141. Validē, 141. Varicosus, 134. Varix rĭcis, 134. Vas vāsis, 131. Vasco scŏnis, 129. Vĕ, vel, 142. Vectígal vectigālis, 129. Vehemens, 128. Velīmus, 137. Vēlox lōcis, 134. Vēmens, 128. Venēfica, 121, Venēficus, 121. Vēni, vēneram 124, venīmus,

venĭmus, 137. Ventilābrum, 117. Ventō, 143. Venundăre, venundăbo, 136. Ver vēris, 130, Vēr, 147. Veridĭcus, 120. Verŏ, Verō, 143. Versus, 93. Vĕrua Verŭbus, 135. Vervex vēcis, 133. Vespertīnus,127. Vībex vībīcis, 133. Victrix trīcis, 133. Vidēlicet, 121. Vīdi, 124, vīsurus, vīsum, 125.

vide̊, 141, 142. Vigil vigĭlis, 129. vīncĭt, 94, vīcisse, vīci, 124. violaceus, 127. Vir, 92, vir vĭri, 128, virōs, 149. Virgĭneus, 122. Virgo, 151, Virgĭni, 122.

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Virtūs, tūtis, 150. Vīs, 149. Vīsio, 125. Visū, 144, visūs, visuis, visūs,

visues, visūs, visues, o visūs, o visues, visibŭs,150.

vitái, vitǣ; 109. Vītes vitĭbus, 135. vivīs, 149. Vix vĭcis, vĭces, 134. Vobīs, 149.

Vŏco, vŏcavi, 125. Volŭmus, 138, vīs, 149, velīs,

149. Volutabrum, 122. Volutātum, 122. Vox vōcis, 134. Vultēi, 114. Vultū, 144. Vultur tŭris, 131. Zeno̊, 143.

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Pagina 14 del manoscritto della prima Antologia

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Repertorio dei versi citati nel Saggio

Esametri: Mēntīrī nōlī: nūmquām mēndācĭă prōsūnt. 94 Ārmă vĭrūmquĕ cănō &c. 94 Ōmnĭă vīncĭt ămōr, ēt nōs cēdāmŭs ămōrī. 95 Sīc vīvūnt hŏmĭnēs tāmquām mōrs nūllă sĕquātūr. 96 Clāră Dĕūm sŏbŏlēs, māgnūm Jŏvĭs īncrēmēntŭm. 96 Vīr prĕcŏr Ūxōrī, frātēr sūccūrrĕ Sŏrōrī. 97 Sī quīd pēccārīs, &c. 97 Īn prīmīs vĕnĕrārĕ Dĕūm, &c. 97 Nīl cŭpĭdē spēctā, nĭsĭ quōd fecisse dĕcōrum ēst. 97 Dāt lătŭs, īnsĕquĭtūr cŭmŭlō prǣr[ū]ptŭs ăquǣ mōns. 97 Dūlcĭă sīnt quāmvīs, nūmquām tămĕn āppĕtĕ quǣ sūnt. 97 Nōn tāntum īn prǣsēns ōbsūnt pēccātă; sĕd hōc plūs. 98 Sēmpĕr, ŭt īndūcōr, blāndōs ōffērs mĭhĭ vūltūs. 98 Ārdŭă vēsānīs pūlsāntūr cūlmĭnă vēntīs 98 Āllŏquĭtūr Vĕnŭs, ō quī rēs hŏmĭnūmquĕ, dĕōrūmquĕ 99 Ītălĭām fātō prŏfŭgūs, Lāvīnăquĕ vēnīt. 108 Ātque hīc Prīămĭdēm lănĭātūm cōrpŏrĕ tōtō. 108 Rēllĭgĭōnĕ Pătrūm mūltōs sērvātă pĕr ānnōs. 108 Īllǣ autēm, părĭbūs quās fūlgĕrĕ cērnĭs ĭn ārmīs. 108 Tūrpĕ pŭtās ăbĭcī quĭă sīt mĭsĕrāndŭs Ămīcūm. 108 Cōntĭcŭēre ōmnēs, īntēntīque ōră tĕnēbānt. 109 Dārdănĭdæ ē mūrīs, &c. 109 Mūltum īlle ēt tērrīs jāctātŭs ĕt āltō. 110 Ītălĭam Ītălĭām prīmūs cōnclāmăt Ăchātēs. 110 Īlle ĕgŏ, &c. ____ Ērgo ōmnīs &c. 110 Phīllĭda ămo ānte ălĭās; &c. 110 Mōnstrum hōrrēdum, īnfōrme, īngēns, cui, &c. 110 Lōrĭpĕdēm Rēctūs dērīdĕăt, Ēthĭŏpem Ālbūs. 110 Hērcŭlĭs, Āntĕĭquē Hēspĕrĭdūmquĕ cŏmēs. 110 Quādrĭ jŭgōs cērnēs sǣpĕ rĕsīstĕre ĕquōs. 111 Dīffĭcĭle ēst lōngūm sŭbĭtō dēpōnĕre ămōrēm. 111 Ō Pătĕr, ō hŏmĭnūm &c. 111 Heu̅! ŭbĭ pāctă fĭdēs? ŭbĭ quǣ jūrārĕ sŏlēbās? 111 Jō Ărĕthūsă vŏcāvīt. 111 Sī ād vitulam spectes &c. 111 Pōst hăbĭtā cŏlŭīssĕ Sămō: hīc īllĭŭs ārmā. 111 Ō fōrtūnātām nātām, mē cōnsŭlĕ Rōmām, 112 Ōmnĭă Mērcŭrĭō sĭmĭlīs, vōcēmquĕ cŏlōrēmque

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Ēt crīnēs flāvōs, &c. 112 Cōrpŏrŭm, ātquĕ lŏcī, rēs īn quō quǽquĕ gĕrāntūr. 112 Lānĭgĕrǣ pĕcŭdēs, ĕt ĕquōrū bēllĭcă prōlēs. 112 Dōctŭ fĭdēlīs, suāvĭs hŏmō fācūndŭ sŭōquē. 112 Cōntēnt ātquĕ bĕātūs, scitus facunda loquens in. 113 Cōrrĭpĭt āltĕrĭūs sēmpēr, prōdūcĭt ălīūs. 114 Hic plantas tenero abscīdens de corpore Matrum. 124 Mātūtīnă rŭbēnt rădĭātī lūmĭnă Sōlīs 126 Sī nătĭbūs Nătrĭcēm īmprēssīt crāssam ēt căpĭtātăm. 134 Nătrĭcēm īmprēssīt mănĭbūs crāssam ēt căpĭtātăm. 134 Nāmque ūt sūprēmām fālsa īntēr gau̅dĭă nōctēm Ēgĕrĭmūs, nōsti, &c 138 Posthabita coluisse Samo; hic illius ārmă; 139 Tēctă sŭpērnĕ tĭmēnt, mĕtŭūnt īnfērnĕ căvērnās 141 Ōmnīs cūră vĭrīs ŭtĕr ēssēt Īndŭpĕrātōr 144 Cūm sŏcĭōs nōstrōs māndīssēt īmpĭŭs cȳclōps 144 Īnsīgnītă fĕrē tūm mīllĭă mīlĭtŭm ōctō. 145 Ōs ōrīs lŏquĭtūr; sĕd ŏs ōssīs rōdĭtŭr ōrē. 149 Pentametri Cōrrĭgăt ērrōrēs Vīrgŏ bĕātă mĕōs. 95 Cōnvĕnĭūnt rēbūs nōmĭnă sǣpĕ sŭīs. 95 Nōn sŏlĕt Īngĕnĭīs sūmmă nŏcērĕ dĭēs. 96 Quǣrēbānt flāvōs pēr nĕmŭs ōmnĕ flăvōs. 97 Hūnc īnflāmmăt ămōre, ēt fĕră bēllă mŏvēt. 98 Nōn ŏcŭlīs grāta ēst Ātthĭs, ŭt āntĕ, mĕīs. 98 Clāmārēm mĕŭs ēst &c. 98 Prǣmĭă sī stŭdĭō cōnsĕquăr īstă, săt ēst 98 Dōctōs Pērĭŏdūm dīscĕ lŭbēns mŏdŭlōs. 104 Ēt Mărĭs Īsŏnĭī trāsĭĕrītĭs ăquās 138 Distici: Esametro e pentametro Tantum ne pateat verbi simulator in ipsis Effice nec Vūltū destrue dicta tuo. 144 Senario (Timetro) giambico Phăsēllŭs īllĕ quēm vĭdētĭs hōspĭtē 99 Sŏrŏr Tŏnāntĭs: hōc ĕnīm sōlūm mĭhī. 100 Bĕātĕ Pāstōr Pētrĕ clēmēns āccĭpē Voces precantum &c.

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Ēgrĕgĭĕ Dōctōr Pa̅ulĕ mōrēs īnstrŭē,

Et nostra &c. 100 Ō quīd sŏlūtīs ēst bĕătĭūs cūrīs. 101 Jūnctǣquĕ Nīmphīs Grātĭǣ dĕcēntēs. 102 Dimetri giambici Vīrtūs bĕātōs ēffĭcīt. 101 Vĕnī, Crĕātōr Spīrĭtūs 101 Ăvē Vīrgō Dĕĭpără. Bĕātrīx ādmīrābĭlīs. 101 Quēm Tērră, pōntūs, sīdĕră. 101 Anapestico Quāntās rērūm flēctăt hăbēnās. 102 Alcaici 1. Mūsīs ămīcūs trīstĭtĭam, ēt mĕtŭs Trādām prŏtērvīs īn mărĕ Crētĭcŭm 2. Pōrtārĕ vēntīs: quīs sŭb Ārctŏ 3. Rēx gĕlĭdǣ mĕtŭātŭr ōrǣ? 103 Dimetri trocaici Quīdquīd ēxcēssīt mŏdūm. 103 Ăvē Mărīs Stēllă, 103 Pāngē līnguă glōrĭōsī Cōrpŏrĭs Mȳstērĭūm. 104 Tetrametro trocaico Cōrdĕ nātŭs ēx pārēntīs āntĕ mūndi ēxōrdĭūm. 104 Asclepiadei Dōctōs Pērĭŏdūm dīscĕ lŭbēns mŏdo̊s. 104 Mǣcēnās ătăvīs ēdĭtĕ Rēgĭbŭs. 104 Sācrīs sōlēmnĭīs jūctă sīnt ga̅u̅dĭă, Ēt ēx prǣcōrdĭīs sŏnēnt prǣcōnĭă: Rĕcēdānt vĕtĕră, nŏvă sīnt ōmnĭă 105 Gliconico Īllī mōrs grăvĭs īncŭbăt, Quī nōtūs nĭmĭs ōmnĭbŭs Īgnōtūs mŏrĭtūr sĭbĭ. 105

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Cōrdă, vōcēs, ĕt ōpĕră. 105 Ferecrazio Rēgēs pūrpŭră vēstīt. Sōmnūs ōccŭpăt ārtŭs. 105 Saffico Īntĕgēr vītǣ scĕlĕrīsquĕ pūrŭs. 105 Strofa saffica Saff. Sǣpĭūs vēntīs ăgĭtātŭr īngēns

Pīnŭs, ēt cēlsǣ grăvĭōrĕ cāsŭ Dēcĭdūnt tūrrēs, fĕrĭūntquĕ sūmmŏs

Adon. Fūlmĭnă mōntĕs. 105 Sáffici Āntră dēsērtī tĕnĕrīs sŭb ānnĭs

“ Cīvĭūm tūrmās fŭgĭēns, pĕtīstī, “ Nē lēvī pōssēs măcŭlārĕ vītām

Adónico Crīmĭnĕ līnguǣ. 106 Adonico Nūbĭbŭs ātrīs Cōndĭtă, nūllūm Fūndĕrĕ pōssūnt Sīdĕră lūmēn. 105 Faleucio Cōmmēndō tĭbĭ, Quīntĭānĕ, nōstrōs, Nōstrōs dīcĕrĕ sī tămēn lĭbēllōs Pōssūm, quōs rĕcĭtāt tŭūs Pŏētă. 106 Nobis non licet esse tam dĭsērtīs Qui Musas colimus severiōrēs 139 Ōhē, jām sătĭs ēst, ōhē lĭbēllĕ. 142

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Indice Presentazione di Maria Paola Giobbi 9 Introduzione di Franco Zenobi 11

IL SAGGIO DI PROSODIA LATINA 89

ANTOLOGIE 163

SELECTIO METRICA 164 SELEZIONE METRICA 165

Pars prima Metra continens profana 166 Parte prima Metri profani 167 Pars secunda Metra continens sacra 182 Parte seconda Metri sacri 183 Corollarium 208 Corollario 209

Pro Memoriæ exercitio, Octobris Mense, Quolibet in anno. 210 Per esercitazione della memoria, nel mese di ottobre di ogni anno 211

DE VITA, ET OPERIBUS JESU CHRISTI SERVATORIS NOSTRI 212 LA VITA E LE OPERE DI GESÙ CRISTO NOSTRO SALVATORE 213

Excerptio metrica Ex Juvenco 212 Antologia metrica

Da Giovenco 213 Corollarium 232 Corollario 233

Ex Sedulio 236 Da Sedulio 237 Corollarium 260 Corollario 261

[ex Proba] Pars altera ingeniosior ac dignior, alias Caput II. 264 [da Proba] Parte seconda più ingegnosa e degna di attenzione

cioè Capitolo II 265

Bibliografia 293 Indice dei nomi di persona 303 Indice delle parole latine del Saggio 213 Repertorio dei versi citati nel Saggio 229

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Si ringraziano:

Provincia di Ascoli Piceno

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Finito di stampare dalla Giservice Teramo

nel mese di novembre 2008