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57 LABORATORIO Dieci anni sono trascorsi dal 2004, anno in cui I fratelli Dinamite (Nino Pagot, 1949), primo tra i lungometrag- gi d’animazione italiani in virtù della data in cui venne registrato alla SIAE 1 , tornò ad essere accessibile a un vasto pubblico. Da un paio di copie positive in nitrato, custodite dalla famiglia del regista Nino Pagot 2 , la Cineteca Italiana intraprese un’operazione di restauro culminata nella proiezione del film durante la giornata d’apertura della sessantunesima Mostra del Cinema di Venezia, e nella successiva diffusione dello stesso in DVD 3 . Prima di tale iniziativa, I fratelli Dinamite visse un oblio durato quasi ininterrottamen- te per cinquantacinque anni. Dopo una breve e poco redditizia programmazio- ne nelle sale attorno al Natale 1949 4 , il film nel ventesimo secolo fu visto solo un’altra volta: alle 21:15 del 1° maggio 1971, sul Secondo Canale Rai, trasmesso in bianco e nero all’interno del programma-contenitore “Mille e una sera”. Grazie al restauro, su I fra- telli Dinamite si tornò anche a scrivere; la raccolta di saggi I fratelli Dinamite. Una storia molto animata, uscita nel 2004 per Il Castoro a cura di Roberto Della Torre e Marco Pagot, è oggi l’ope- ra di riferimento sul film. Prima di tale testo, tuttavia, la pubblicistica italiana sull’animazione non ignorò certo l’esi- stenza della pellicola. Ne sono prova le liste bibliografiche del volume curato da Della Torre e Pagot, che censiscono ad esempio ben diciannove monogra- fie con riferimenti a I fratelli Dinamite: da Il cinema d’animazione 1832-1956 di Walter Alberti alla Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003 di Gian Piero Brunetta 5 . Nessuna di queste fonti, tuttavia, si sofferma significativa- mente sulla musica del film. Il fatto appare paradossale, visto che ne I fra- telli Dinamite la musica sembra essere il filo che sorregge la sparsa trama nar- rativa. Posteriormente al 2004, quan- do Roberto Della Torre sottolineò che «I fratelli Dinamite è un film profonda- mente musicale» 6 , il fatto fu notato da Chiara Tognolotti, nel libro Mondi pos- sibili 7 . A parte la presenza evidente di quattro canzoni di Ferdinando Paler- mo, che fu anche condirettore dell’ani- mazione, tre dei quattro episodi in cui si divide la storia presentano un palese argomento musicale: un Belzebù melo- mane è reso inoffensivo da un bambi- no che zufola motivetti popolareggian- ti, dal canto dei tre Dinamite e da un «Oh… Musica moderna!» Hollywood, satira e “modernismo” nella musica di Giuseppe Piazzi per I fratelli Dinamite di Marco Bellano A cab 178 lab 1-70.qxd 27/01/2015 16.26 Pagina 57

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Dieci anni sono trascorsi dal 2004,anno in cui I fratelli Dinamite (NinoPagot, 1949), primo tra i lungometrag-gi d’animazione italiani in virtù delladata in cui venne registrato alla SIAE1,tornò ad essere accessibile a un vastopubblico. Da un paio di copie positivein nitrato, custodite dalla famiglia delregista Nino Pagot2, la CinetecaItaliana intraprese un’operazione direstauro culminata nella proiezione delfilm durante la giornata d’aperturadella sessantunesima Mostra delCinema di Venezia, e nella successivadiffusione dello stesso in DVD3. Prima ditale iniziativa, I fratelli Dinamite visseun oblio durato quasi ininterrottamen-te per cinquantacinque anni. Dopo unabreve e poco redditizia programmazio-ne nelle sale attorno al Natale 19494,il film nel ventesimo secolo fu vistosolo un’altra volta: alle 21:15 del 1°maggio 1971, sul Secondo Canale Rai,trasmesso in bianco e nero all’internodel programma-contenitore “Mille euna sera”. Grazie al restauro, su I fra-telli Dinamite si tornò anche a scrivere;la raccolta di saggi I fratelli Dinamite.Una storia molto animata, uscita nel2004 per Il Castoro a cura di RobertoDella Torre e Marco Pagot, è oggi l’ope-

ra di riferimento sul film. Prima di taletesto, tuttavia, la pubblicistica italianasull’animazione non ignorò certo l’esi-stenza della pellicola. Ne sono prova leliste bibliografiche del volume curatoda Della Torre e Pagot, che censisconoad esempio ben diciannove monogra-fie con riferimenti a I fratelli Dinamite:da Il cinema d’animazione 1832-1956di Walter Alberti alla Guida alla storiadel cinema italiano 1905-2003 di GianPiero Brunetta5. Nessuna di questefonti, tuttavia, si sofferma significativa-mente sulla musica del film. Il fattoappare paradossale, visto che ne I fra-telli Dinamite la musica sembra essereil filo che sorregge la sparsa trama nar-rativa. Posteriormente al 2004, quan-do Roberto Della Torre sottolineò che «Ifratelli Dinamite è un film profonda-mente musicale»6, il fatto fu notato daChiara Tognolotti, nel libro Mondi pos-sibili7. A parte la presenza evidente diquattro canzoni di Ferdinando Paler-mo, che fu anche condirettore dell’ani-mazione, tre dei quattro episodi in cuisi divide la storia presentano un paleseargomento musicale: un Belzebù melo-mane è reso inoffensivo da un bambi-no che zufola motivetti popolareggian-ti, dal canto dei tre Dinamite e da un

«Oh… Musica moderna!»Hollywood, satira e “modernismo” nella musicadi Giuseppe Piazzi per I fratelli Dinamite

di Marco Bellano

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gatto che arranca sulla tastiera di unorgano; dunque i fratelli, ora muniti diun inseparabile contrabbasso, prendo-no d’assalto la seriosa e malinconicaesecuzione di un concerto per pia-noforte e orchestra; infine, i terribilifanciulli vincono con l’inganno la “garadelle gondole canore” durante il carne-vale di Venezia, salvo poi redimersi,sacrificando il contrabbasso nel recu-perare la bambola smarrita di unabimba. Gli studiosi che scrissero sulfilm prima del suo restauro, sostanzial-mente, ignorarono tale intessituratematica. Alberti, nel 1957, chiamò l’e-pisodio del concerto «un’orchestrazio-ne folle tipo “fantasia”»8; a parte l’usoimproprio di “orchestrazione” per indi-care un’esecuzione sinfonica, non sicapisce bene a cosa alluda il terminevirgolettato e con la “f” minuscola –forse a una libera forma strumentale,sicuramente non all’omonima produ-zione disneyana. Gec, ovvero EnricoGianeri, nel 1960 fu invece più genero-so. Rimase laconico, in verità, maalmeno consegnò al lettore il nome delcompositore: «Le musiche sono operapregevole di Giuseppe Piazzi»9. Solo inun caso su tali musiche si osò dire piùdi Gianeri. Nino Ghelli commentò il filmsubito dopo il debutto veneziano, in unarticolo della rivista «Cinema» ampia-mente citato nel volume di Della Torree Pagot, ma già di riferimento nei para-grafi dedicati a I fratelli Dinamite deL’Italia di cartone, scritto da PieroZanotto e Fiorello Zangrando nel197310. Mai, tuttavia, le citazioni sisono spinte a riportare il passo doveGhelli osservò acutamente: «Eccel-lente è anche il sonoro del tutto sgan-ciato da pedestri giuochi imitativi e

improntato a un modernismo di saporestrawinskyano che ben s’intona alcarattere del disegno»11.

Quel che Ghelli colse già nel 1949 nonè affatto di secondaria importanza. Ifratelli Dinamite è infatti un’opera che,dal punto di vista tematico, è duplice:sembra apparentemente porsi in conti-nuità con esperienze di narrazionespecifica per l’infanzia, dove il “moder-nismo” non prevale sulla riaffermazio-ne rassicurante di insegnamenti tradi-zionali; al tempo stesso, sotto le velatu-re moralistiche freme una dirompente“sovversività”, uno slancio vitale pinoc-chiesco che cerca l’avvento del nuovoattraverso la dissacrazione di regolesedimentate; come ha scritto GiovanniRicci, nel film «si respira una salubreatmosfera antipedagogica»12. E, se èvero che ne I fratelli Dinamite vi è qual-cosa di collodiano, gioverà allora ricor-dare le parole di Dieter Richter: «Ilmodernismo di Collodi […] potrà forsesorprendere l’ingenuo lettore diPinocchio. Ma anche le “avventure diun burattino” mostrano le caratteristi-che della modernità letteraria. Ilromanzo è figlio della stampa quotidia-na; la sua struttura è quella della storiaa puntate; la componenti tipiche dell’a-zione sono la mescolanza caleidosco-pica di elementi eterogenei, i rapidicambi di scena, i dialoghi e l’ironia»13.

Sono diverse le strade che condusseroa questa dialettica moderno-tradizio-nale ne I fratelli Dinamite. Innanzitutto,Nino Pagot si avvicinò al film attraversol’illustrazione di libri per bambini, anti-cipatori delle future vicende del lungo-metraggio, a partire da Le avventure diTolomeo. Tolomeo, il diavolo e i tre fra-

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telli Dinamite, del 1937. Parallela-mente a queste pubblicazioni, Pagotconfermò la sua propensione a rivol-gersi a un pubblico infantile realizzan-do (tra il 1938 e il 1942) storie afumetti e illustrazioni destinate, tra l’al-tro, al «Corriere dei piccoli», a «Il cartoc-cino dei piccoli» e a «Il giornale dellemeraviglie». Sulle pagine del «TopolinoGiornale» e di «Paperino Giornale», ilsuo stile s’incontrò con l’immaginariolegato al nome di Walt Disney: Pagotdisegnò i fumetti Biancaneve e il magoBasilisco (1939), Paperino tra i pelli-rosse (1939) e I sette nani cattivi con-tro i sette nani buoni (1939-1940)14.L’ammirazione che Nino Pagot e suofratello minore Toni nutrirono per l’e-sempio disneyano si rispecchia indiversi momenti de I fratelli Dinamite;tuttavia, essa non si dimostra mai pas-siva imitazione. Come già notato daFausto Colombo a proposito dei fumet-ti Disney di Pagot: «Queste storie sonoin primo luogo fortemente europee, inseconda istanza largamente indipen-denti dalla grafica disneyana. […] Ilproblema non era più imitare, ma crea-re uno standard italiano compatibileeditorialmente con quello disneyanooriginale»15. Ancor più che nella grafi-ca, Pagot ripensò Disney dal punto divista dei contenuti. Pur rivolgendosisempre con intento pedagogico a unpubblico di giovanissimi, Pagot sembròrender giustizia a Carlo Collodi eall’“epurazione” di Pinocchio compiutadal film animato del 1940, riportandonella matrice disneyana l’esuberanzaanarchica del burattino italiano. Comeha osservato Robin Allan, «Disney rim-piazzò tutto ciò con un eroe innocenteche cerca la sua strada in un mondo

complesso e spaventoso»16. Collodi,invece, perveniva all’insegnamentomorale solo dopo aver liberato nellesue pagine, senza censure, le piùoscure e incontrollabili pulsioni dell’in-fanzia; ancora Allan ha osservato: «Illibro è chauceriano nell’accoglieremolti aspetti della vita, il crudele e ilbuono, l’energico e il violento, il gentilee il sottomesso così come il didattico el’omiletico»17. Ecco che allora i fratelliDinamite possono trionfare su Belzebù,celebrando il Natale con i loro amici;ma i bambini non vincono pentendosi,bensì malmenando e sbeffeggiando ildiavolo in persona, dopo essere giuntiall’inferno guidati da un invito che faesplicito riferimento al libro di Collodi,recato da due demonietti in veste dipagliacci: «Vedrete il paese dei baloc-chi animati». In realtà, ancor più che daCollodi, la porta dell’inferno e la via delritorno sono guardate dalla musica. Itre fratelli vengono attratti fuori dallemura scolastiche da quel che i pagliac-ci chiamano «il suono che incanta i ser-penti»: un episodio per due ottoni in cuipaiono rievocate certe atmosfere dellaHistoire du Soldat di Igor Stravinsky (laPastorale, in particolare), dove in veritàprotagonista era proprio un diavolotentatore. I bambini, nel film, paionogradire le asprezze armoniche e la con-dotta melodica complessa ideate daPiazzi, al punto da commentare: «Oh,che musica divina». Il diavolo, da partesua, si lascia invece irretire dalle più“leggere” idee musicali di FerdinandoPalermo; nella scrittura di quella cheBelzebù definisce «canzone deliziosa»emergono sonorità simili a quelle pen-sate da Frank Churchill per Dumbo(Ben Sharpsteen et al. 1941), o meglio

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alla resa delle medesime da parte delQuartetto Cetra per il doppiaggio italia-no del film Disney. Di matrice disneya-na pare anche la canzone natalizia chesuggella l’episodio infernale.

L’opera di Piazzi e quella di Palermosembrano dare veste sonora alle due“anime” del film; Piazzi compie un’ope-razione senza precedenti, portandouno stile di composizione moderno ecompletamente inaspettato, di fruizio-ne niente affatto facile, all’interno diuna pellicola tendenzialmente indiriz-zata ai più giovani; Palermo, invece,nonostante il testo di una canzoneparli di «cambiare la faccia del mondo»,affermando poi: «vogliam che i profes-sori giochino al girotondo, saltando daibalconi, gridando coccodé», in un certosenso “riporta all’ordine” l’universosonoro del film, guidandolo verso ungiocoso e familiare disimpegno.

La scelta “stravinskiana” di Piazzi èenigmatica. Il cinema italiano, nel1949, non aveva affatto familiarità constili “moderni”; il neorealismo si eraanzi assestato su stili sinfonici piutto-sto convenzionali, definiti da SergioMiceli «generici e impressionistici»18.Proprio nel 1949, tuttavia, tracce dimodernità si trovarono in quel cheGoffredo Petrassi scrisse per Risoamaro (Guseppe De Santis, 1949),coadiuvato per i ballabili da ArmandoTrovaioli, replicando in un certo sensola suddivisione dei compiti adottata daPiazzi e Palermo. Ma il film, uscitonelle sale il 21 settembre di quell’an-no, non poté certo essere visto daPagot e collaboratori. Nell’animazioneè ancor più difficile trovare influenzestravinskiane prima de I fratelli dinami-

te, in Italia e non solo: l’unico casomacroscopico e senza eredi fuFantasia (Samuel Armstrong et al.,1940), con la sua sequenza costruitasu una riduzione della Sagra dellaPrimavera. I Pagot non fecero misterodi avere come massimo e quasi unicopunto di riferimento Disney; nel 1970Toni Pagot affermò: «Prima di noi c’erail vuoto. Il disegno animato era cono-sciuto in Italia attraverso quello che sivedeva che veniva dall’America, daDisney, ma praticamente in Italia nonesisteva esperienza di disegno anima-to»19. Dire che quanto Piazzi composeper I fratelli Dinamite derivi dal prece-dente di Fantasia appare tuttavia unaforzatura; nel film Disney la presenzadi Stravinsky è annunciata e circoscrit-ta, laddove invece nella pellicola italia-na è trattata come qualcosa di assoda-to e pervasivo. I Pagot tradisconoanche influenze dei fratelli Fleischernelle loro scelte cromatiche e talvoltagrafiche20; tuttavia, dai Fleischersarebbe dovuto giungere in dote il jazz,certo non Igor Stravinsky.

Il quadro si complica ulteriormenteconsiderando che Giuseppe Piazzi èindebitamente diventato, per la storiadella musica per film e non solo, unCarneade: negli studi di settore sonototalmente assenti pubblicazioni cheforniscano ragguagli sulla sua vita eopera. Persino le sue date di nascita emorte, per decenni, sono rimaste igno-te. Alla ricerca di indizi utili a meglioidentificare Piazzi, si sono dunqueinterpellate varie istituzioni, tra Milanoe Roma: gli archivi dello Studio Pagot,l’anagrafe e il Conservatorio di Milano,l’archivio Rizzoli RCS e la sede centra-

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le della SIAE. Le informazioni raccoltehanno permesso così di risalire all’uni-ca erede del compositore oggi vivente.Prima di tale indagine, Piazzi era pub-blicamente noto solo tramite le suedue partiture cinematografiche e unasua foto, del 1945 o 1946, in cui lo sivede accanto a Ferdinando Palermo eai Fratelli Pagot, pubblicata a p. 11 delvolume di Della Torre e Pagot. A dettadi Della Torre, Piazzi fu un amico diPalermo; dopo la collaborazione al filmuscì definitivamente dallo StudioPagot21. Presso l’archivio Pagot non èoggi rimasta alcuna ulteriore informa-zione, come confermato da MarcoPagot tramite la sua assistente; non hamemoria di lui neanche il figlio diFerdinando Palermo, Elio, che all’epo-ca dell’uscita del film aveva cinqueanni. Ferdinando Palermo morì nel1988; sembra dunque che la frequen-tazione fra questi e Piazzi fosse cessa-ta dopo il 1949. Qualche informazionein più l’ha fornita l’archivio storico dellaRizzoli RCS. È stato infatti rinvenuto untesto manoscritto anonimo, datato1952; forse è quel che in gergo si diceun “coccodrillo”, ovvero un articolocommemorativo preparato in caso dimorte di un personaggio pubblico. Inquelle poche righe non si parla delleesperienze cinematografiche di Piazzi,ma si legge che, pur vivendo e studian-do a Milano, fu di origini valtellinesi(come un suo celebre omonimo, l’a-stronomo scopritore del pianeta nanoCerere, nato nel 1746 a Ponte inValtellina); si precisa inoltre che Piazzi«si fece conoscere, nel 1947, con unacantata in forma di oratorio sopra unaleggenda ladina, che trasformò in un’o-pera lirica in un atto intitolata dappri-

ma I pastori dell’Engandina e poi defi-nitivamente Noreia, dal nome dellaprotagonista». Dallo stesso archivioRCS proviene una pagina staccata cheinforma sui primi interpreti di Noreia(non risulta in un atto, però, ma in tretempi), andata in scena il 9 e 10 otto-bre 1951 al Teatro Donizetti diBergamo22 e pubblicata dall’editoreConti nel 1952. Allegata alla pagina viè una grande foto di Piazzi, compatibi-le con quella proveniente dall’archivioPagot. Successivamente, grazie all’in-tervento dei figli di Nino Pagot, Marco eGina, presso la sede centrale SIAE aRoma sono stati riportati alla lucemateriali musicali e bollettini di dichia-razione depositati da Piazzi per leEdizioni Musicali Pagot Film. La listadelle opere registrate dimostra chePiazzi iniziò a pubblicare musica nel1936, con il brano intitolato Sul fieno,stampato da Carisch. Diversi titoli deibrani registrati alla SIAE dimostrano l’i-spirazione “montanara” e “valtelline-se” di Piazzi dichiarata dal manoscrittodella RCS: Ballo dei montagnari(1946); Suite retica per sassofono eorchestra da camera (1946), entrambiediti da Sonzogno. Curiosamente, nonrisultano essere presenti le varie opereliriche citate nel manoscritto (I monta-nari, La notte di Fassa, Jaufré Rudel enaturalmente Noreia). Dopo il 1949 e ilcorpus relativo a I fratelli Dinamite,Piazzi smise di depositare musica e l’i-scrizione SIAE decadde senza chealcun erede si fosse fatto avanti. Idocumenti trovati alla SIAE, tuttavia,custodivano anche altre informazioni.Innanzitutto, si è scoperto che tutti itesti delle canzoni presenti in I fratelliDinamite sono creazione di Piazzi

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(cosa non risultante dai titoli di testadel film); di Piazzi sono inoltre anche itre arrangiamenti di canzoni popolariveneziane (Villotta, Barcarola, La bion-dina in gondoleta) che si ascoltanodurante la “gara delle gondole cano-re”, nonché la canzone che apre ilsecondo segmento del film (Tirolese atre voci senza accompagnamento, pertre tenori). Oltre a ciò, i documentidavano notizia del luogo di domicilioalla data del 9 marzo 1949: Milano.Grazie a quest’ultimo dato è stato pos-sibile identificare i dati anagrafici diPiazzi presso gli uffici comunali delcapoluogo lombardo, trovando inoltrenotizia dell’esistenza di una nipoteancora in vita, Gabriella PiazziPatellani, figlia del fratello del musici-sta. Grazie alla signora Piazzi, e ai regi-stri storici del Conservatorio “GiuseppeVerdi”, si è infine ricostruito un quadrobiografico essenziale.

Giuseppe Piazzi nacque il 21 gennaio1903 a Milano, e morì di Alzheimernella stessa città il 4 settembre 1969.Suo padre, Giovanni, era violoncellistadilettante; l’intera famiglia Piazzi avevanobili origini valtellinesi e vantava unadiscendenza diretta dal famoso astro-nomo citato prima. Giuseppe, purvivendo a Milano, rimase profonda-mente legato ai paesaggi montani dacui proveniva la sua stirpe; accettòdunque forse di buon grado, nel 1933,un trasferimento a Campodolcino inqualità di soldato della milizia confina-ria (48a compagnia del BattaglioneAlpini Tirano). Rientrò a Milano solo nel1947, da Bormio. Prima di quest’espe-rienza, intrecciata anche con un’attivapartecipazione alla Resistenza, fre-quentò il Conservatorio. Dal 1919 al1924 fu studente di composizionenella classe di Vincenzo Ferroni, unallievo di Jules Massenet; i suoi risulta-ti, inizialmente brillanti, peggioraronocon gli anni, anche a causa di frequen-ti assenze. Infine, abbandonò gli studisenza diplomarsi. Non passò, tuttavia,del tutto inosservato: pare che nel1928 un concerto di sue musiche, alConservatorio, attirò le attenzioni delcritico Franco Abbiati, il quale lo lodòcome artista dalle doti «rare e precla-re». Piazzi cadde tuttavia in disgraziapresso Abbiati attorno al 1950, per viadi un incidente ricordato dalla nipote.Sembra che Piazzi, pur coniugato conCarla Rattellini (1919-2012), nutrisseattenzioni per una giovane cantanteamericana. Quando nel 1947 Piazziorganizzò presso il teatro dell’Ange-licum un concerto in cui si eseguì lasua cantata per soli e orchestra TerraLadina, a causa di un’improvvisa indi-

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sposizione delle interpreti designate sidovette ripiegare proprio sulla ragazzaamericana e su una sua compagna distudi (sempre statunitense) allaScuola di canto della Scala. Abbiatireagì con una recensione pungente(sorvolò sulla musica e fece salacicommenti sulle «due belle prosperoseamericanine»). Da quel momento in poiAbbiati fu molto caustico con il compo-sitore, come prova la sua successivastroncatura di Noreia23. Piazzi si ricon-ciliò poi con sua moglie, ma musical-mente non riuscì più a risollevarsi. Ineffetti, dopo il 1952 (pubblicazione diNoreia) non si hanno più notizie di ulte-riori concerti o composizioni. A detta disua nipote, la collaborazione con iPagot fu vista da Piazzi come un ripie-go, per poter guadagnare qualcosa inattesa di più degni successi provenien-ti da teatri o sale da concerto. Pur inpossesso di queste nuove informazio-ni, si presenta comunque difficile defi-nire con certezza i motivi che possonoaver portato allo “stravinskismo” diPiazzi nella pellicola di Pagot; è lecitoperò procedere a considerarne gli esitie il significato, anche in relazione allamusica per Lalla, Piccola Lalla, dove isegni di “modernismo” musicale sonopiù sfumati.Come opportunamente sottolineato daGhelli, ne I fratelli Dinamite i «giuochiimitativi», ossia il mickeymousing, lepedisseque sincronie tra azione e resasonora, sono di rilevanza secondaria.Si notano invece, sin dalla primasequenza ambientata nell’isola deser-ta, lunghi brani durchkomponiert, chesi stendono sull’azione creando atmo-sfere e legandosi con i ritmi visivi solooccasionalmente. Le sincronie sono

decisamente più frequenti ed esplicitenelle canzoni; del resto, ciò dev’esserestato facilitato dal doppio ruolo diPalermo, compositore e direttore del-l’animazione. Nella scena del primoepisodio in cui la bufala adotta i treorfani e gli animali accorrono, riportan-do alla memoria un analogo “passapa-rola” tra creature del bosco in di Bambi(James Algar et al., 1942), la musica ègià ampiamente riferibile a Stravinsky,grazie all’uso di incalzanti ostinati poli-tonali, dai quali nasce una melodia tur-bolenta e dalla semplicità “primitiva”,rivolvente attorno a note fisse.Esistono degli analoghi di tale passonella Sagra della primavera (Auguresprintaniers – Danses des adolescen-tes, da cifra 27 a cifra 30). Il mododisinvolto in cui Piazzi si serve del suostile di commento musicale sembrapresupporre una familiarità dello spet-tatore con la musica di ambito stravin-skiano, o quantomeno una fiduciaverso le facoltà del pubblico di com-prendere e accettare tale scelta; que-sto nonostante i Pagot vogliano rivol-gersi a un pubblico di giovanissimi. Ciòpare confermato dal modo i cui perso-naggi, a livello interno, reagiscono alledissonanze di Piazzi; come già osser-vato, i Dinamite chiamano «musicadivina» il brano per ottoni dei diavoli.All’interno dell’episodio “infernale”,tuttavia, intervengono dei rapporti framusica e narrazione che cominciano aconnotare in maniera non più neutraquanto Piazzi va proponendo. Belzebùè un personaggio chiaramente negati-vo all’interno della storia, anche dalpunto di vista grafico, essendo tondeg-giante e corpulento; i Pagot preferiva-no associazioni semplici (quasi mani-

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chee) tra aspetto fisico e valore mora-le del personaggio, cosicché l’esseresovrappeso è sempre segnale di mal-vagità nei loro universi narrativi (sivedano i disegni preparatori per il mairealizzato cortometraggio Florinetta,1941, a p. 27 del libro di Della Torre ePagot, o i grassi comprimari de La lam-pada di Aladino)24. Ebbene, Belzebù èun melomane; un appassionato diopera lirica, tuttavia di cultura superfi-ciale e rozzo gusto. Entra in scenamentre un fagotto fa il verso a Di quel-la pira l’orrendo foco, dal Trovatore diGiuseppe Verdi; questa scelta spostagià il registro della narrazione verso ilsatirico, con una citazione che, chiara-mente, non può essere colta da ascol-tatori bambini. Durante la lotta con iDinamite, una metamorfosi taurina deldiavolo induce la musica a citare grot-tescamente Toréador, en garde, dallaCarmen di Bizet. Per giunta, Belzebùparla anche spesso per stereotipe cita-zioni di libretti: travolto dall’ira, esplodein un belliniano «Guerra, guerra!», dallaNorma, per poi rincarare la dose conRigoletto: «Vendetta, tremenda vendet-ta». Ormai nel delirio melomaniaco, aun passo dalla sconfitta definitiva,giunge alla Traviata: «Dell’universoimmemore, io vivo quasi in ciel». Ciòche lo delizia, facendogli perdere ilcontrollo inneggiando a Orfeo e a una«musica divina» (la stessa espressioneutilizzata, con altra destinazione, daitre fratelli in precedenza) non è affattol’opera, ma un materiale musicaledecisamente meno nobile. Si parte dauna versione per clarinetto di Comeporti i capelli bella bionda, canto mili-tare di montagna intonato da Tolomeo(protagonista primigenio del film,

quand’esso era ancora pensato comecortometraggio); si passa poi all’orec-chiabile canzone di Palermo Siamo intre, un due tre, in “stile QuartettoCetra”, per finire con i cluster pestatida un gatto arrancante sulla tastiera diun organo. La sequenza si beffa dun-que dell’ignoranza del melomane che,nonostante la prosopopea operistica,non sa affatto valutare il merito esteti-co di una composizione. La contrappo-sizione fra i gusti del diavolo e le ten-denze “moderniste” del commentomusicale pare definire con chiarezzaciò che Piazzi ritiene “buona musica”.In maniera simile, ma molto più sottile,si formula un giudizio nei confrontidella “modernità” musicale nella satira

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profondamente ironica presentatadurante l’episodio del concerto per pia-noforte e orchestra. Nella sequenza, leimmagini e la musica comunicano difatto due messaggi distinti, benché ildialogo e la recitazione dei personaggitendano a indirizzare lo spettatore nonesperto di musica verso un’interpreta-zione “superficiale” dei fatti. L’anello dicongiunzione tra questi due livellicomunicativi in conflitto è una figurafemminile senza nome, eppure presen-tata da Pagot quasi fosse un nuovopersonaggio a tutti gli effetti; le sonoassegnate a più riprese battute di com-mento e inquadrature che la isolanodal resto dell’indistinto pubblico delconcerto. Inoltre, occorre considerareche per i Pagot le figure femminili avve-nenti sono generalmente segnale dipositività e affidabilità (in linea con ilgià commentato “manicheismo” grafi-co espresso nella figura di Belzebù):possono essere angeli (come si vedesulla copertina del libro Le fiabe dinonno inverno, 1940) e in genereespressione visiva del concetto diverità; ad esempio, durante l’episodiodel carnevale di Venezia ne I fratelliDinamite, un gruppo di buffe figuremaschili togate e imparruccate si sma-schera rivelando sorridenti fanciulle.Accade dunque che l’esecuzione di unconcerto per pianoforte e orchestra,dalle sonorità stavolta meno stravin-skiane e più “impressioniste”, vengapresentata da Pagot come uno spetta-colo per borghesi depressi: la sequen-za in cui si mostrano gli occupanti deipalchi del teatro è eloquente a tal pro-posito. Tuttavia, subito dopo la succes-sione di bizzarre espressioni di malin-conia, appare la ragazza che esprime

un giudizio sul pianista, caricaturadegli eccessi di trasporto emotivo esi-biti fisicamente da certi interpreti:«Artista meraviglioso». Si tratta di unprimo indizio importante per l’interpre-tazione satirica dell’episodio. Consi-derando i ridicoli atteggiamenti delpersonaggio al pianoforte, il commen-to della ragazza appare risibile. L’ironianascente dal piano visivo, tuttavia, nontrova una diretta controparte acustica;per quanto di maniera e volutamentemelliflua, la musica non è senza gustoo mal eseguita. In maniera ancor piùsignificativa la ragazza reagisce albrano che nasce dal boicottaggio deifratelli Dinamite. Il modo in cui la nar-razione per immagini costruisce l’even-to presuppone l’erompere di una cata-strofica cacofonia (i fratelli scambiano

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le parti sui leggii e, surrealmente, glistrumenti mutano timbri e registri). Laragazza commenta, deliziata: «Oh…Musica moderna!»; e, come nel prece-dente esempio, anche stavolta dice laverità. Sebbene la storia e le immaginidei Pagot invitino il pubblico a rideredell’ignoranza musicale della fanciulla,di fatto ciò che si ascolta è nuovamen-te un passaggio di chiara matrice stra-vinskiana, il cui referente pare ancorala Sagra (ancora Augures printaniers –Danses des adolescentes, da cifra 31a cifra 37). Con la sua musica, Piazzi fadunque ironia di secondo livello; chiride dell’ignoranza della ragazza mettedi fatto alla berlina se stesso, poichéquella che si ascolta è veramentemusica moderna. Certo, il film deiPagot, come già osservato, era pensa-to per un pubblico infantile; difficilmen-te, dunque, dei bambini avrebberopotuto cogliere la differenza tra unascrittura alla Stravinsky e un’accozza-glia di suoni. Ma proprio per questomotivo, se i destinatari fossero stati isoli bambini Piazzi non avrebbe fatto losforzo di comporre quelle pagine; conevidenza era presupposto un ascolta-tore adulto, il quale avrebbe potutoconoscere il lessico musicale dellamodernità, ma che con ogni probabi-lità non si sarebbe accorto della dupli-ce ironia per scarsa competenza.Piazzi, affinché l’impalcatura comicadei Pagot si mantenesse, confidavanell’ignoranza musicale dell’italianomedio. La satira risultante dunquetende a rimanere privata, quasi fosse ilparlare tra sé e sé di un musicista coltodisilluso dal suo pubblico.L’amarezza che Piazzi insinua tra leimmagini giocose de I fratelli Dinamite

pare essere inoltre giustificata dalfatto che il compositore sa di non potersfuggire al confronto con il pubblicoitaliano in quanto, per l’appunto, arti-sta italiano egli stesso. Considerandocon attenzione quanto Piazzi ha lascia-to ne I fratelli Dinamite e in Lalla, pic-cola Lalla, si nota infatti che il gergostravinskiano tende a essere assimila-to mediante la lezione della “moder-nità” italiana. Colui che passa il testi-mone da Stravinsky a Piazzi è, moltoappropriatamente, Giacomo Puccini; lacui musica è stata letta da RomanVlad, nel fondamentale articolo del1976 Attualità di Puccini, come esitoautoctono e indipendente del percorsocreativo intrapreso da Stravinsky:

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Per ardire a far succedere seconde aseconde e settime a settime senzapreparare né risolvere simili intervallidissonanti Puccini non aveva davverobisogno d’attendere l’esempio diStravinsky. Si legga con un po’ d’at-tenzione lo scintillante Quadro primodella Bohème. Vi si troveranno secon-de parallele a profusione. Intere ghir-lande e grappoli di seconde e setti-me. […] Se Puccini ha preso qualcosada Le Sacre non ha fatto che ripren-dersi qualcosa che gli appartenevada tempo25.

Piazzi inserisce dei momenti “puccinia-ni” nell’episodio del concerto. Pocoprima dell’ennesima interruzione daparte dei fratelli, che si abbandona auna sorta di assolo “jazz” al pianoforte,l’orchestra suona un arco melodicodesunto in maniera quasi perfetta dalValzer de La fanciulla del west (cheinaugura il duetto del primo atto Quelloche tacete, ad esempio). L’avvici-namento di Piazzi a Stravinsky per tra-mite di Puccini diventa però ancor piùevidente considerando la musica diLalla, piccola Lalla, dove il “moderni-smo” è molto meno esibito, benchépresente. Ecco che allora, ad esempio,nella sequenza del luna park degliinsetti si sente una scalcinata musicada giostra che mescola stridenti secon-de con una linea melodica popolare-sca; viene subito in mente il Valzer daIl Tabarro. Tornando a Vlad, si leggeproprio che:

Il ‘momento stravinskyano in Puccini’[…] si può additare nel caricaturaleValzer del Tabarro con le sue stonatu-re sapientemente stilizzate al fine dicogliere la malinconica poesia chealeggia intorno alle scordate pianolee agli sgangherati organetti diBarberia. Il termine di paragone

sarebbe costituito in questo caso daiPezzi facili per pianoforte a quattromani che Stravinsky andava compo-nendo tra il 1915 e il 1917, ma le cuiversioni orchestrali verranno appron-tate solo nel 1921 e rispettivamentenel 1925. Il Tabarro, essendo statoprogettato nel 1913 e portato a ter-mine nel 1916, non può essere statoperò influenzato in alcun modo daquei brani di Stravinsky. Il Valzer delTabarro non definisce dunque unmomento di subordinazione diPuccini rispetto a Stravinsky, masegna semplicemente un punto diconvergenza tra le traiettorie creativedei due musicisti26.

L’inserimento di Piazzi nella “moderna”scuola musicale italiana, però, in Lalla,piccola Lalla pare anche confermato inaltro senso dal brano intitolato Il lom-brico delle 11,30 (come risulta daldeposito SIAE). Lo stesso brano per-mette di comprendere bene come ilmodernismo “stravinskiano” de I fra-telli Dinamite sia sviluppo e ripensa-mento di fonti puramente italiane.Nella scena dell’arrivo in treno dei fra-telli, Piazzi infatti riutilizza, trasforman-dolo in un ostinato stravinskiano, pro-prio Il lombrico delle 11,30. Nella ver-sione di Lalla, Piccola Lalla, in essoinvece risuona una versione armoniz-zata politonalmente di Giro giro tondo;pare così plausibile un collegamentocon il Giro giro tondo sontuosamenteorchestrato ne I pini di Villa Borgheseda I pini di Roma, aggiungendo alloraOttorino Respighi e la scuola romana aipunti di riferimento di Piazzi.

L’affermazione di “modernità” e di “ita-lianità” musicale di Piazzi, tuttavia, nonpuò mai trionfare ne I fratelli Dinamite.E, come un Pinocchio purgato e redar-

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Leopold Stokowski, con tanto di langui-di interventi corali all’interno di unatessitura sonora che, dopo un esordioancora timidamente “modernista”, sifa chiaramente tonale (in la bemollemaggiore).In conclusione, tra le due “anime” de Ifratelli Dinamite, è dunque quella inno-vatrice, irriverente e “modernista” auscire sconfitta? Una sconfitta, pergiunta, annunciata: Piazzi, spalleggian-do le battute dei Pagot, si aspettavache il pubblico non comprendesse lasua musica affinché l’effetto comicopiù immediato fosse preservato.Eppure, Piazzi non va scambiato per unrancoroso perdente. Pur consapevoledella lotta impari tra un compositoreitaliano novecentesco e la lentezza delrinnovamento del gusto presso il pub-blico, Piazzi non si sottrasse al confron-to. In fin dei conti, fatto salvo il finale,tutta la pellicola è pervasa di “moderni-smo” musicale. L’ignoranza non vieneallora solo subita e satireggiata, maaffrontata; in questa coraggiosa sceltabrilla un bagliore di didattica speranza.A sorpresa, si può sospettare che ilvero pubblico di Piazzi fosse inveceproprio quello dei bambini che chissà,seguendo l’esempio dei loro coetaneiDinamite, avrebbero potuto «cambiarela faccia del mondo» e imparare ungiorno a chiamare “divina” l’incompre-sa musica moderna.

guito, è infine costretta a “tornareall’ordine”, assieme alla brillante esu-beranza degli stessi Pagot. Il finale delfilm vede i tre fratelli redenti; mentrel’alba appare su Venezia, immaginisacre e fasci di luce celeste certificanola bontà dei bambini. Se è vera la pre-senza di una matrice collodiana ne Ifratelli Dinamite, tale esito era inevita-bile; assieme ai personaggi, tuttavia, si“domano” anche gli impulsi creatividegli autori. I Pagot portano qui al cul-mine la serie di omaggi disneyani di cuila pellicola è disseminata. Il referenteprimario è Fantasia, uscito in Italia nel-l’ottobre 194627, proprio mentre inizia-va la fase finale della lavorazione de Ifratelli Dinamite. Già si era visto unodei fratelli dirigere gli elementi in tem-pesta alla maniera di Topolino appren-dista stregone, nella sequenza del con-certo; ora appare un fascio di luce che,“suonato” come corda di contrabbas-so, vibra con trame luminose simili aquelle della “colonna sonora” nell’in-tervallo di Fantasia, mentre l’alba suVenezia inonda il cielo con una raggie-ra che ricorda quella del sole al termi-ne del film Disney. Ma tutto il finalepare una parafrasi dell’Ave Maria daFantasia, con tanto di grafismi sceno-grafici allungati verticalmente alla KayNielsen; Piazzi si adegua all’atmosferagenerale, creando un omologo dell’ar-rangiamento schubertiano ideato da

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Note1. Benché anche La rosa di Bagdad di Anton Gino Domeneghini fosse proiettato alla Mostra

del Cinema di Venezia il 22 agosto 1949, I fratelli Dinamite fu registrato alla SIAE già nel1947 con il numero 672. La rosa di Bagdad fu invece registrato nel 1949 con il numero799 (si veda Giannalberto Bendazzi, Cartoons. Cento anni di cinema d’animazione,Marsilio, Venezia 1988, p. 213).

2. Gianni Comencini, Matteo Pavesi, Una storia vera, in: Roberto Della Torre, Marco Pagot (acura di), I fratelli Dinamite. Una storia molto animata, Il Castoro, Milano 2004, p. 10.

3. Medusa Video N02SF02228.4. Sarah Pesenti Campagnoni, Signore e signori, ecco a voi i fratelli Dinamite, in: R. Della

Torre, M. Pagot, Op. cit., p. 68.5. R. Della Torre, M. Pagot, Op. cit., p. 77.6. R. Della Torre, Le straordinarie avventure dei fratelli Pagot, in: idem, p. 41.7. Anna Antonini, C. Tognolotti, Mondi possibili. Un viaggio nella storia del cinema d’anima-

zione, Il principe costante, Milano 2008, p. 97.8. W. Alberti, Il cinema d’animazione 1832-1956, Edizioni Radio Italiana, Torino 1957, p. 147.9. E. Gianeri, Storia del cartone animato, Edizioni Omnia, Milano 1960, p. 199.

10. P. Zanotto, F. Zangrando, L’Italia di cartone, Liviana, Padova 1973, pp. 42-43.11. N. Ghelli, Disney, “Cadette Rousselle” e due esperimenti italiani, «Cinema», a. II, n. 22, 15

settembre 1949, pp. 129-130.12. M. Bellano, G. Ricci, Marco Vanelli, Animazione in cento film, Le Mani, Recco 2013, pp. 44-

45.13. D. Richter, Pinocchio o il romanzo d’infanzia, traduzione di Alida Fliri Piccioni, Edizioni di

Storia e Letteratura, Roma 2002, pp. 17-18.14. R. Della Torre, M. Pagot, Op. cit., p. 74.15. F. Colombo, La cultura sottile. Media e industria culturale in Italia dall’ottocento agli anni

novanta, Bompiani, Milano 1998, p. 179.16. R. Allan, Walt Disney and Europe, John Libbey, Londra 1999, p. 73 (la traduzione è mia).17. Ibidem.18. S. Miceli, Musica per film. Storia, estetica, analisi, tipologie, Ricordi LIM, Milano 2009, p.

334.19. Orsola Silvestrini, Il colore nel cinema di animazione italiano. Estetica e tecnica, in: Sandro

Bernardi (a cura di), Svolte tecnologiche nel cinema italiano. Sonoro e colore. Una felicerelazione fra tecnica ed estetica, Carocci, Roma 2006, p. 148.

20. Idem, p. 150.21. R. Della Torre, M. Pagot, Op. cit., p. 44, nota 7.22. Paola Maurizi, Quattordici interviste sul nuovo teatro musicale in Italia: con un elenco cro-

nologico delle opere (1950-1980), Morlacchi, Perugia 2004, p. 109.23. «Naufragante in un mare di episodi irragionevoli musicalmente, disuniti stilisticamente,

soltanto forti, uno per uno, d’un anelito troppo spesso soddisfatto per i clangori vocali eorchestrali di massa, d’un mascagnanesimo appena mascherato dalle dissonanze».Riccardo Malipiero su Noreia invece disse «l’opera non è certo non degna di tante altre chesi son viste su palcoscenici più illustri, anzi diremmo proprio che è più degna di molte diquelle». Le informazioni sul concerto all’Angelicum e sulle critiche provengono da alcuniritagli di giornale forniti dalla signora Piazzi; mancano tuttavia dati precisi sulla provenien-za e datazione degli articoli.

24. In Biancaneve e il mago Basilisco, tuttavia, il mago per quanto di aspetto orridamentebestiale è magro, e per rapire il figlio di Biancaneve si muta in avvenente sirenetta; ma lastoria in quel caso non fu scritta da Pagot, bensì da Federico Pedrocchi.

25. R. Vlad, Attualità di Puccini, «Critica Pucciniana», Comitato Nazionale per le Onoranze aGiacomo Puccini, Lucca 1976, pp. 173-177.

26. Idem, pp. 177-178.27. Nunziante Valoroso, Stagioni cinematografiche Walt Disney Italia 1938-2000, «Cabiria», n.

171, 2012, p. 45.

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