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IGNAZIO SANNA Lettera pastorale alla Chiesa di Dio che è in Oristano Osare il Vangelo

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IGNAZIO SANNA

Osare

il Van

gelo

I. S

an

na Lettera pastorale

alla Chiesa di Dioche è in Oristano

Osareil Vangelo

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✠ IGNAZIO SANNA

OSARE Il vANGElO

Lettera pastorale alla Chiesa di Dio

che è in Oristano

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© EDIZIONI l’ARBORENSEP.zza Duomo, 18/a - 09170 OristanoTel. 0783 769036 - Fax 0783 775669ISBN 978-88-98418-09-1

Collana “TESTI”

Foto di copertina della teologa pittrice Bernadette lopez,Envoi de Douze, (www.evangile-et-peinture.org)

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Introduzione

Il Santo Padre mi ha concesso due annidi proroga di ministero episcopale nella no-stra Arcidiocesi Arborense. l’ho ringraziatoper la fiducia che mi è stata data e gli ho as-sicurato di continuare a lavorare nella vignadel Signore con immutata passione evange-lica. Disponendo, tuttavia, di un limitato las-so di tempo, non posso fare programmi po-liennali, come del resto, non li ho mai fattisinora; ho fatto sempre e solo programmi an-nuali, perché, secondo P. Josef Kentenich,ho cercato di stare sempre “con l’orecchionel cuore di Dio e la mano nel polso del tem-po”. Siccome, però, agli inizi del mio mini-stero episcopale in Diocesi, avevo presentatotre impegni da assolvere: visita pastorale, si-nodo diocesano, missione diocesana, e i pri-mi due impegni sono stati assolti, rimane ilterzo, relativo alla missione diocesana. Per ilprossimo anno, perciò, propongo come pianopastorale missionario: un nuovo annunciodel vangelo per conseguire una conoscenzapersonale di Gesù.

Come prima ragione di questa proposta,

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ritengo sia necessario combattere ogni formadi rassegnazione e fatalismo. Papa France-sco ha scritto nell’Evangelii Gaudium che“non viviamo un’epoca di cambiamento, maun cambiamento d’epoca” e, nel discorso aivescovi Italiani, nel novembre del 2016, haaggiunto “mi piace una Chiesa italiana in-quieta, sempre più vicina agli abbandonati,ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero unaChiesa lieta con il volto di mamma, che com-prende, accompagna, accarezza. Sognateanche voi questa Chiesa, credete in essa, in-novate con libertà”. In buona sostanza,l’esortazione del Papa afferma il primato del-la missione sul semplice mantenimento dellestrutture e la cura della vocazione missiona-ria di ogni discepolo di Cristo. In effetti, conla rassegnazione e la passività non si va danessuna parte. Non è possibile vivere con lebraccia conserte e gli occhi rivolti in alto,aspettando che scenda dal cielo il Salvatore.Il Salvatore, in realtà, è già venuto. lo pro-fessiamo nel credo, quando preghiamo insie-me, dicendo: “per noi uomini e per la nostrasalvezza discese dal cielo e per opera delloSpirito Santo si è incarnato nel seno dellavergine Maria e si è fatto uomo”. Ma Gesù èanche risalito in cielo, dopo aver lasciato sul-la terra i discepoli con il compito di “andaree ammaestrare tutte le nazioni, battezzando-

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le nel nome del Padre e del Figlio e dello Spi-rito Santo, insegnando loro ad osservare tut-to ciò che ha comandato”, ed aver promessodi essere con loro tutti i giorni fino alla finedel mondo (Mt 28, 20). Dunque, come disce-poli di Gesù, dobbiamo continuare la suaopera di salvezza. Gesù non ci ha dato unsemplice consiglio, ci ha affidato una missio-ne molto chiara: annunciare il suo vangelo.Perciò, tutti ci dobbiamo sentire correspon-sabili dell’annuncio del vangelo, di fare di-scepole tutte le genti. Questo richiamo allacorresponsabilità vale soprattutto nella vitadella parrocchia. In questa, spesso ci si at-tende che il parroco faccia tutto da solo, e cisi dimentica della propria responsabilità ecorresponsabilità. Quando, per esempio, cisi lamenta che il parroco è anziano e malato,oppure, ci si oppone al trasferimento di unprete al quale si è affezionati, indirettamen-te, è come se non volessimo prenderci alcu-na responsabilità personale nella vita dellaparrocchia, e, tanto meno, della Diocesi.

Come seconda ragione della proposta, ri-tengo sia necessario prendere coscienza cheGesù ha affidato il compito di continuare lasua opera di salvezza ai discepoli, e i disce-poli non sono solo i preti e le suore, ma tuttii battezzati. Nessuno, perciò, si deve tirare

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indietro, pensando di non essere stato “in-viato”. Ognuno è responsabile se il suo fra-tello crede o non crede, se prega o non prega,se spera o non spera. Quando, un giorno, ungiornalista pose la domanda a Madre Teresa:“Madre, cosa non va in questo mondo?” leirispose: “Signore, quello che non va siamo ioe lei”. Dunque, se in una parrocchia qualco-sa non funziona, prima di chiamare in causail parroco, ognuno faccia il proprio esame dicoscienza e verifichi se, come “fedeli incor-porati a Cristo mediante il Battesimo, costi-tuiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nelmodo loro proprio della funzione sacerdota-le, profetica e regale di Cristo, si senta chia-mato ad attuare, secondo la condizione pro-pria di ciascuno, la missione che Dio ha af-fidato alla Chiesa da compiere nel mondo”(cfr. LG 31). l’apologeta cristiano Tertullianoha scritto che unus christianus nullus chri-

stianus, ossia un cristiano da solo non è uncristiano, per sottolineare che il cristiano, inquanto tale, è inserito nella comunità deibattezzati, e non vive e opera mai da solo.Nella comunità dei battezzati, il bene degliuni è il bene degli altri; si sa gioire con chigioisce e piangere con chi piange. Non è pos-sibile, perciò, gioire se il fratello che mi viveaccanto soffre, sta male, invoca il mio aiuto.Inoltre, il dono della fede non ci viene dato

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per consumarlo individualisticamente comeun bene privato ed acquisito con i propri me-riti. Ci viene dato per testimoniarlo, condivi-derlo, donarlo ai vicini e ai lontani. Quantopiù uno prende coscienza di aver ricevuto undono grandissimo, tanto più sente il bisognodi condividerlo. l’esperienza ci dice che lecose belle le comunichiamo subito agli ami-ci, ai parenti, a quanti condividono la nostragioia. Perché, allora, non condividere ancheil dono della fede? la condivisione della fedeè il primo modo di essere missionari ed evan-gelizzatori. Il cristiano è un missionario e unevangelizzatore per natura. Se non è missio-nario ed evangelizzatore non è neppure cri-stiano. Giustamente, Paolo vI scrisse chequando la Chiesa prende coscienza di sé di-venta missionaria.

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In cammino verso ...

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Cap. I

La via

1.1. La via è Gesù

1.1.1.Gli Atti degli Apostoli, per parlare deiprimi cristiani, usano l’espressione “quellidella via” (At 9, 2). In essi, si legge che “Arrivòa Efeso un Giudeo, chiamato Apollo, nativodi Alessandria, uomo colto, versato nelleScritture. Questi era stato ammaestrato nellavia del Signore e pieno di fervore parlava einsegnava esattamente ciò che si riferiva aGesù, sebbene conoscesse soltanto il batte-simo di Giovanni. Egli intanto cominciò aparlare francamente nella sinagoga. Priscillae Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sée gli esposero con maggiore accuratezza lavia di Dio. Poiché egli desiderava passare nel-l’Acaia, i fratelli lo incoraggiarono e scrisseroai discepoli di fargli buona accoglienza. Giun-to colà, fu molto utile a quelli che per operadella grazia erano divenuti credenti; confuta-va infatti vigorosamente i Giudei, dimostran-do pubblicamente attraverso le Scritture cheGesù è il Cristo” (At 18, 24-28).

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Se, ora, i cristiani sono quelli della via, laprima cosa da precisare è quale sia questa via.la risposta immediata è che questa via non èuna ideologia, un programma spirituale, uncompendio di verità da credere, ma unapersona. Benedetto XvI, nella sua prima enci-clica Deus Caritas est, n.1, ha scritto: “all’iniziodell’essere cristiano non c’è una decisione eticao una grande idea, bensì l’incontro con un av-venimento, con una Persona, che dà alla vitaun nuovo orizzonte e con ciò la direzione deci-siva”. Quindi, il cristianesimo non è una nuovaetica, ma una nuova vita, che mette l’uomo incontatto diretto con Dio, attraverso la personadi Cristo. la norma è sostituita dalla grazia, lalegge dalla libertà, il merito dal dono.

È la persona di Gesù, dunque, che dà alcristiano sia l’identità personale che l’identitàsociale e culturale. È necessario, perciò, an-zitutto, in un primo tempo, vedere come ilcristiano debba prendere coscienza della pro-pria identità, e poi, in un secondo tempo, co-me egli debba vivere e testimoniare la mede-sima identità, in fedeltà al vangelo di Gesù.

Un giorno Gesù chiese ai suoi discepoli:“voi chi dite che io sia?” e, con questa doman-da, voleva rendersi conto se i suoi discepoliavessero veramente capito la sua identità,

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condividessero il suo insegnamento, fosseropronti a seguirlo nella sua missione sempree dovunque. Ebbene, l’autenticità del nostrocristianesimo dipende dalla sincerità e tra-sparenza della risposta a questa domanda. Siè cristiani autentici, cioè, nella misura in cuisi risponde correttamente alla domanda diGesù. Ci si dovrebbe chiedere, perciò, se cisiamo mai preoccupati di rispondere interior-mente a questa domanda. Bisognerebbe ve-rificare se siamo cristiani solo perché andia-mo a messa la domenica, seguiamo le tradi-zioni popolari, partecipiamo alle novene e alleprocessioni, andiamo in chiesa per accompa-gnare gli sposi o per dare le condoglianze aiparenti del defunto, dando così ragione aMartin luther King, che scrisse che per tanticristiani il cristianesimo è un’attività dome-nicale senza rapporto con il lunedì. Oppure,se siamo cristiani, perché abbiamo incontratoGesù nella nostra vita, l’abbiamo conosciutoe non lo abbiamo abbandonato mai più.

1.1.2. la risposta alla domanda di Gesùpuò essere duplice: storica e personale. laprima risposta indica chi è Gesù per la storia,la letteratura, le fonti storiche e archeologi-che. la seconda risposta rivela chi è Gesù perme, per i miei affetti, le mie scelte, i mieiorientamenti morali. È importante non fer-

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marsi alla conoscenza storica, perché questa,da sola, può accrescere la mia erudizione e lemie conoscenze, ma non dare un senso allamia vita. È necessario, invece, arrivare allaconoscenza personale, perché questa dà si-gnificato a ciò che amo e ciò che spero, a ciòche mi dà gioia e a ciò che mi fa soffrire. Sen-za Gesù non c’è campo, ha detto un giornoPapa Francesco, usando la metafora del cel-lullare nel parlare ai ragazzi. voleva dire che,per mezzo di Gesù, si entra in contatto contutta la realtà, con tutte le persone, con tuttii problemi. Non basta, quindi, conoscere Ge-sù dal punto di vista storico. Bisogna cono-scerlo anche e soprattutto come nostro sal-vatore e nostro redentore, come il Signore del-la nostra vita e della nostra morte, del nostropresente e del nostro futuro. la prova dellaverità e sincerità della nostra risposta potreb-be essere questa. Immaginiamo che venga danoi un terrorista e ci minacci, dicendoci: “setu ti professi cristiano e segui Gesù nella tuavita, sarai condanno a morte”. Di fronte aquesta minaccia, noi saremo pronti a morirepur di non rinnegare la nostra appartenenzaa Gesù? Ricordiamoci, che quello che per noiè una semplice ipotesi, in molte parti delmondo, è una tragica realtà. Ci sono cristianiche vengono uccisi per il semplice fatto di es-sersi professati cristiani. Questi martiri nostri

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contemporanei ci testimoniano di aver vera-mente incontrato Gesù, di averlo scelto comefondamento della propria vita.

Dal punto di vista della conoscenza stori-ca, ora, noi sappiamo che Gesù di Nazaretiniziò la sua predicazione nella regione dellaGalilea, e, passando di villaggio in villaggio,giunse nella Giudea (cfr. Mt 4, 25), predican-do la venuta del Regno di Dio (cfr. Mt 4, 17.23;10, 35), “facendo del bene e guarendo” (At 10,38). A Gerusalemme venne arrestato, proces-sato, crocifisso e sepolto, ma il terzo giornorisuscitò dai morti, come aveva promesso, edapparve ai suoi discepoli, per donare loro loSpirito. Questo dono li trasformò da semplicipescatori in apostoli zelanti e martiri corag-giosi. Durante la sua vita terrena, Gesù gua-riva, curava, consolava, ridava dignità agliemarginati sociali e ai peccatori. Suscitavaanche domande e curiosità su dove fosse na-to, chi fosse la sua famiglia, dove avesse stu-diato, e così via. Per alcuni dei suoi discepoliegli era Giovanni il Battista, il suo maestro,ucciso da Erode (cfr. Mt 14, 3-12) ma ritorna-to in vita; per altri era Elia, il profeta che devevenire “prima che giunga il giorno grande etemibile del Signore” (Mt 3, 22); per altri an-cora era Geremia redivivo o uno dei profeti in-viati da Dio al suo popolo. Per uno dei Dodici,

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Simon Pietro, egli era “il Cristo, cioè il Messia,il Figlio del Dio vivente”.

1.1.3. Adesso, proviamo a chiederci: misono preoccupato di avere la vera conoscenzadi Gesù? lo sento come fondamento dellamia vita presente e futura? lo sento comeuna compagnia fedele, che dà senso e signi-ficato alle mie azioni e ai miei sentimenti?Tutti noi, cercatori di Dio per natura e voca-zione, ci mettiamo spesso il problema di co-me trovare e incontrare Dio nella nostra vita.Alessandro Manzoni ha dato dignità lettera-ria alla dimensione umana della ricerca diDio con la descrizione del famoso colloquiodel Card. Federigo con l’Innominato: “l’inno-minato protesta col dire che non sa dove sitrova questo «Dio» di cui sente parlare, maFederigo gli ricorda che nessuno può saperlomeglio di lui, che lo sente in cuore, ne è tor-mentato e stimolato e, al tempo stesso, at-tratto da lui, nella speranza di una consola-zione purché egli ammetta le sue colpe e nechieda perdono”. la sorpresa della fede cri-stiana, in queste circostanze, è scoprire cheDio ci cerca per primo, che Dio ha fatto il pri-mo passo per venirci incontro, si è manife-stato a noi nella persona del suo Figlio GesùCristo. In fondo, non siamo noi che cerchia-mo Dio, ma è Dio che cerca noi, anche quan-

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do ci nascondiamo (Gn 3, 9: “Adamo dovesei?”). Non noi lo chiamiamo per nome, ma èlui che ci chiama per nome, così come chia-ma ogni stella del cielo (Sal 146, 4: “egli contale stelle e chiama ciascuna per nome”. Egli cidisegna sulle palme delle sue mani (Is 49, 16:“Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle miemani”). Noi non comprendiamo Dio, perché,secondo S. Agostino, se lo comprendiamonon è più Dio (Sermone 52, 16: si comprehen-

dis non est Deus), ma Dio ci conosce fino infondo (Sal 139, 1-2: “Signore tu mi scruti emi conosci; tu sai quando seggo e quando mialzo; penetri da lontano i miei pensieri, miscruti quando cammino e quando riposo”).

1.2. Identità personale

1.2.1. Per quanto riguarda, ora, la rispostapersonale alla domanda di Gesù, si deve esa-minare in che misura essa determini l’identi-tà del cristiano. Prima ancora di configurarela propria identità cristiana nei confronti delmondo esterno, infatti, ogni cristiano la deveconfigurare nei confronti di se stesso, pren-dendo coscienza di chi sia e di chi voglia es-sere, in base al battesimo che ha ricevuto, eall’incontro e alla conoscenza di Gesù che hamaturato. San Paolo esortava i cristiani di Fi-

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lippi ad avere gli stessi sentimenti di Cristo(cfr. Fil 2, 5), ed affermava di vivere non perse stesso ma per Cristo: “non sono più io chevivo ma è Cristo che vive in me” (Gal 2, 20).Ogni cristiano dovrebbe dire altrettanto di sé.Il suo rapporto personale con Gesù deve imi-tare il rapporto che intercorre tra due personeche si amano. Queste usano spesso le stesseespressioni, nutrono gli stessi sentimenti,condividono le stesse aspirazioni. Sono vera-mente unite, sono un cuor solo e un’animasola. Se uno ha incontrato Gesù nella sua vi-ta, nel senso che lo conosce, lo imita, lo pren-de come suo modello, non può non lasciartrasparire dai suoi sentimenti, dalle sue scel-te, dai suoi orientamenti morali uno stile divita veramente evangelico. Quando Mosè con-versava con il Signore, la pelle del suo viso di-ventava raggiante (cfr. Es 34, 30); quando idiscepoli conversavano con Gesù lungo la via,il loro cuore ardeva (cfr. Lc 24, 32).

A prescindere dall’esperienza di S. Paolo,che, dopo l’incontro di Gesù, da persecutoreè diventato evangelizzatore, e merita una trat-tazione a parte, nel vangelo ci sono moltiepisodi che raccontano il cambiamento dellavita dopo che si è incontrato Gesù. Si pensi aZaccheo che, dopo aver incontrato Gesù edaverlo avuto come commensale, restituisce

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tutto quello che ha rubato (cfr. Lc 19, 8); al-l’esattore levi che, avendo ricevuto l’invito aseguirlo, senza chiedere spiegazioni rassicu-ranti, lascia la sua professione per seguireGesù (cfr. Mc 2, 14); alla donna adultera, cheviene perdonata e abbandona la sua vita dipeccato (Gv 8, 1-11). l’episodio dell’adultera,poi, richiama l’attenzione su una forma em-blematica di comunicazione, avvenuta in unambiente culturale ancora privo di media. Difronte a una donna peccatrice, Gesù si piega;i suoi interlocutori e provocatori, invece, si im-pettiscono. Ora, questo piegarsi di Gesù è unaforma di comunicazione e, soprattutto, di ri-spetto e di accoglienza dell’altro. Gesù scrivequalcosa per terra, ma non si sa che cosaabbia scritto e nessuno ha mai letto ciò cheegli ha scritto. Eppure, in quelle parole chenessuno ha mai decifrato, è contenuto unmessaggio chiarissimo che viene capito datutti, dai più giovani sino ai più anziani, daimeno provveduti ai più esperti. Il messaggio èche una donna peccatrice che è umiliata, mache è disposta a non peccare più, riacquistal’innocenza e la speranza di una vita migliore.

Un altro episodio evangelico ci illuminasull’effetto prodotto dall’incontro con Gesù. Sitratta dell’episodio dell’emorroissa raccontatoda S. Matteo (Mt 9, 20-22). la donna tocca il

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lembo del mantello di Gesù con la convinzio-ne di rimanere guarita. In effetti, lei vieneguarita, ma il vangelo non dice che è guarita,ma che è salvata. Ciò significa che l’incontrocon Gesù non produce solo la guarigione, cheè un fatto puramente esteriore, ma la salvez-za, che tocca non solamente il corpo fisico mala persona. Nell’episodio della guarigione deidieci lebbrosi (Lc 17, 11-19), per esempio, so-lo uno, un samaritano, ritorna indietro a rin-graziare Gesù. E Gesù osservò: “non sonostati guariti tutti e dieci? E gli altri dove sono?Non si è trovato chi tornasse a rendere gloriaa Dio, all’infuori di questo straniero?”

1.2.2. Dunque, dopo l’incontro con Gesù ilebbrosi sono stati guariti tutti. Ma sarannostati salvati tutti? Che fine hanno fatto nellaloro vita gli altri nove lebbrosi guariti? Infatti,non basta essere guariti nel corpo per esseresalvati nell’anima! In generale, la salvezza si-gnifica la liberazione da condizioni indeside-rabili. Nello specifico, ossia nel cristianesimo,essa si riferisce alla grazia di Dio che liberagli uomini dal peccato e dalle sue conseguen-ze temporali ed eterne: “Dio ci ha liberati dalpotere delle tenebre e ci ha trasportati nel re-gno del suo amato Figlio” (Col 1, 13); “Il sala-rio del peccato è la morte, ma il dono di Dio èla vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore”

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(Rm 6, 23). la Scrittura afferma a più ripreseche la salvezza è dono della grazia di Dio enon conquista delle forze umane, della capa-cità o abilità dell’uomo: “Infatti è per graziache siete stati salvati, mediante la fede; e ciònon viene da voi; è il dono di Dio” (Ef 2, 8).

Il bisogno di salvezza eccede la domandadella semplice integrità fisica dell’organismo.In realtà, tutti gli esseri umani hanno biso-gno di essere salvati non solo dalle malattie,ma da una quantità di mali: dall’ignoranza,dall’incertezza, dalla confusione; dal bisognodi pane, di affetto, di dignità, dall’errore, dalpeccato. In una parola, dal male in tutte lesue forme ed espressioni. Questa realtà met-te in evidenza che la domanda di salute si in-treccia con il bisogno di salvezza, e questo bi-sogno non è colto – purtroppo – da chi ne sof-fre nelle sue cause reali, ma si traduce in undisagio acuto che quanto più è complessivoe vago, tanto più è difficile da curare. la fedecristiana ci insegna che il fine della venutadi Gesù nel mondo non è tanto la liberazionedalla malattia fisica, per quanto operata dadiversi miracoli, quanto la salvezza dell’uma-nità dal peccato e dalla morte, come viene at-testato dalla sua stessa testimonianza: “Iosono venuto perché gli uomini abbiano la vitae l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).

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1.3. Identità sociale

1.3.1.la risposta alla domanda di Gesùdetermina anche l’identità sociale del cristia-no. Essa ha un chiaro fondamento biblico,come si può constatare dalla S. Scrittura,che, secondo S. Gregorio Magno, “è come unfiume in cui può passeggiare l’agnello comenuotare l’elefante”. S. luca, nella descrizionedella prima comunità cristiana a Gerusalem-me, informa che “erano perseveranti nel-l’ascoltare l’insegnamento degli apostoli enella comunione fraterna, nel rompere il pa-ne e nelle preghiere” (At 2, 42), e che “tuttiquelli che credevano stavano insieme...” (At

2, 44). S. Paolo afferma, scrivendo ai Corinti,che “noi tutti siamo stati battezzati in un uni-co Spirito per formare un unico corpo, Giudeie Greci, schiavi e liberi... infatti il corpo nonsi compone di un membro solo, ma di moltemembra” (1Cor 12, 13-14); scrivendo ai cri-stiani di Efeso, afferma che dobbiamo cerca-re “di conservare l’unità dello spirito per mez-zo del vincolo della pace. Un solo corpo, unsolo spirito, come una sola è la speranza allaquale siete stati chiamati, quella della vostravocazione; un solo Signore, una sola fede, unsolo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti,che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo ditutti ed è presente in tutti” (Ef 4, 3-6).

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1.3.2. Papa Francesco, nelle sue cateche-si sulla Chiesa, iniziate il 25 giugno 2014,ha dato anche un fondamento ecclesiale allastessa risposta, configurando molto benel’identità sociale del cristiano. Per prima co-sa, Egli ha richiamato il dovere del cristianoall’appartenenza. “Non siamo isolati e nonsiamo cristiani a titolo individuale, ognunoper conto proprio, ha detto; la nostra identi-tà cristiana è appartenenza! Siamo cristianiperché apparteniamo alla Chiesa. È come uncognome: se il nome è «sono cristiano», il co-gnome è «appartengo alla Chiesa». Questaappartenenza viene espressa anche nel no-me che Dio attribuisce a sé stesso. Rispon-dendo a Mosè, nell’episodio del «roveto ar-dente» (cfr. Es 3, 15), si definisce infatti comeil Dio dei padri. Non dice: Io sono l’Onnipo-tente..., Dice: Io sono il Dio di Abramo, Diodi Isacco, Dio di Giacobbe. In questo modoEgli si manifesta come il Dio che ha strettoun’alleanza con i nostri padri e rimane sem-pre fedele al suo patto, e ci chiama ad entra-re in questa relazione che ci precede. Questarelazione di Dio con il suo popolo ci precedetutti, viene da quel tempo”.

In questo senso, continua Francesco nel-la prima catechesi, si deve pensare a coloro“che ci hanno preceduto e che ci hanno ac-

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colto nella Chiesa. Nessuno diventa cristianoda sé! Non si fanno cristiani in laboratorio.Il cristiano è parte di un popolo che viene dalontano. Il cristiano appartiene a un popoloche si chiama Chiesa e questa Chiesa lo facristiano, nel giorno del Battesimo, e poi nelpercorso della catechesi, e così via. Se noicrediamo, se sappiamo pregare, se conoscia-mo il Signore e possiamo ascoltare la sua Pa-rola, se lo sentiamo vicino e lo riconosciamonei fratelli, è perché altri, prima di noi, han-no vissuto la fede e poi ce l’hanno trasmessa.la fede l’abbiamo ricevuta dai nostri padri,dai nostri antenati, e loro ce l’hanno inse-gnata. la Chiesa è una grande famiglia, nel-la quale si viene accolti e si impara a vivereda credenti e da discepoli del Signore Gesù”.

Nella Chiesa, conclude il Papa, “non esi-ste il «fai da te», non esistono «battitori libe-ri». Quante volte Papa Benedetto ha descrittola Chiesa come un «noi» ecclesiale! Talvoltacapita di sentire qualcuno dire: «Io credo inDio, credo in Gesù, ma la Chiesa non m’in-teressa...». C’è chi ritiene di poter avere unrapporto personale, diretto, immediato conGesù Cristo al di fuori della comunione edella mediazione della Chiesa. Sono tenta-zioni pericolose e dannose. Sono, come dice-va il grande Paolo vI, dicotomie assurde”.

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In una seconda catechesi, il Papa si chiedein che senso la Chiesa formi un corpo e per-ché venga definita “corpo di Cristo”. “la Chie-sa è un capolavoro dello Spirito, scrive il Pa-pa, il quale infonde in ciascuno la vita nuovadel Risorto e ci pone l’uno accanto all’altro,l’uno a servizio e a sostegno dell’altro, facendocosì di tutti noi un corpo solo, edificato nellacomunione e nell’amore. la Chiesa, però, nonè solamente un corpo edificato nello Spirito:la Chiesa è il corpo di Cristo! E non si trattasemplicemente di un modo di dire: ma lo sia-mo davvero! È il grande dono che riceviamo ilgiorno del nostro Battesimo! Nel sacramentodel Battesimo, infatti, Cristo ci fa suoi, ac -cogliendoci nel cuore del mistero della croce,il mistero supremo del suo amore per noi, perfarci poi risorgere con lui, come nuove crea-ture. Ecco: così nasce la Chiesa, e così laChiesa si riconosce corpo di Cristo! Il Bat -tesimo costituisce una vera rinascita, che ci rigenera in Cristo, ci rende parte di lui, e ciunisce intimamente tra di noi, come membradello stesso corpo, di cui lui è il capo (cfr. Rm

12, 5; 1Cor 12, 12-13)”.

Al tempo di Paolo, sottolinea il Papa, “la co-munità di Corinto viveva, come spesso anchenoi, l’esperienza delle divisioni, delle invidie,delle incomprensioni e dell’emarginazione.

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Tutte queste cose non vanno bene, perché, in-vece che edificare e far crescere la Chiesa co-me corpo di Cristo, la frantumano in tanteparti, la smembrano. E questo succede ancheai nostri giorni. Pensiamo nelle comunità cri-stiane, in alcune parrocchie, pensiamo neinostri quartieri quante divisioni, quante invi-die, come si sparla, quanta incomprensioneed emarginazione. la comunità di Corinto eracosì, erano campioni in questo! l’ApostoloPaolo ha dato ai Corinti alcuni consigli con-creti che valgono anche per noi: non esseregelosi, ma apprezzare nelle nostre comunità idoni e le qualità dei nostri fratelli”.

In una terza catechesi, il Papa evidenziache quando ci riferiamo alla Chiesa, “imme-diatamente il pensiero va alle nostre comu-nità, alle nostre parrocchie, alle nostre dio-cesi, alle strutture nelle quali siamo solitiriunirci e, ovviamente, anche alla compo-nente e alle figure più istituzionali che la reg-gono, che la governano. È questa la realtàvisibile della Chiesa. Dobbiamo chiederci, al-lora: si tratta di due cose diverse o dell’unicaChiesa? E, se è sempre l’unica Chiesa, comepossiamo intendere il rapporto tra la sua re-altà visibile e quella spirituale?”

“Innanzitutto, quando parliamo della re-

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altà visibile della Chiesa, non dobbiamo pen-sare solamente al Papa, ai vescovi, ai preti,alle suore e a tutte le persone consacrate. larealtà visibile della Chiesa è costituita daitanti fratelli e sorelle battezzati che nel mon-do credono, sperano e amano. la Chiesa sia-mo tutti, noi! Tutti i battezzati siamo la Chie-sa, la Chiesa di Gesù. Da tutti coloro che se-guono il Signore Gesù e che, nel suo nome,si fanno vicini agli ultimi e ai sofferenti, cer-cando di offrire un po’ di sollievo, di confortoe di pace. Tutti coloro che fanno ciò che il Si-gnore ci ha comandato sono la Chiesa. Com-prendiamo, allora, che anche la realtà visi-bile della Chiesa non è misurabile, non è co-noscibile in tutta la sua pienezza”.

“Per comprendere il rapporto, nella Chie-sa, il rapporto tra la sua realtà visibile e quel-la spirituale, non c’è altra via che guardare aCristo, del quale la Chiesa costituisce il corpoe dal quale essa viene generata, in un atto diinfinito amore. Anche in Cristo infatti, in for-za del mistero dell’Incarnazione, riconoscia-mo una natura umana e una natura divina,unite nella stessa persona in modo mirabilee indissolubile. Ciò vale in modo analogo an-che per la Chiesa. E come in Cristo la naturaumana asseconda pienamente quella divinae si pone al suo servizio, in funzione del com-

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pimento della salvezza, così avviene, nellaChiesa, per la sua realtà visibile, nei confron-ti di quella spirituale. Anche la Chiesa, quin-di, è un mistero, nel quale ciò che non si vedeè più importante di ciò che si vede, e può es-sere riconosciuto solo con gli occhi della fede(cfr. Lumen gentium, 8)”.

1.3.3. Una componente dell’identità so-ciale del cristiano è sicuramente la parteci-pazione alla celebrazione dell’Eucaristia do-menicale. Dal punto di vista culturale e so-ciale, infatti, il cristiano è “quello della do-menica”, come l’ebreo è “quello del sabato” eil musulmano “quello del venerdì”. l’affer-mazione molto nota “senza la domenica nonpossiamo vivere” non è uno slogan ad effetto,ma la testimonianza di fedeltà alla domenicadei 49 martiri di Abitène, una località nel-l’attuale Tunisia. Questi, nel 304, hannopreferito, contravvenendo ai divieti dell’im-peratore Diocleziano, andare incontro allamorte, piuttosto che rinunciare a celebrareil giorno del Signore. Erano consapevoli chela loro identità e la loro stessa vita cristianasi basava sul ritrovarsi in assemblea per ce-lebrare l’Eucaristia nel giorno memorialedella Risurrezione. Il martire Felice, rivolgen-dosi al proconsole Anulino, gli disse: “Non losai, Satana, che è il giorno domenicale a fare

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il cristiano e che è il cristiano a fare il giornodomenicale, sicché l’uno non può sussisteresenza l’altro, e viceversa? Quando senti dire«cristiano», sappi che vi è un’assemblea checelebra il Signore; e quando senti dire «as-semblea», sappi che lì c’è il cristiano”. In ul-tima analisi, solo con la dignitosa e convintacelebrazione dell’Eucaristia domenicale pos-siamo smentire ciò che diceva Thomas Ybar-ra: “Dicesi cristiano un tale che si pente ladomenica per quello che ha fatto il sabatoprecedente e per quello che rifarà il lunedìsuccessivo”.

È chiaro, infine, che il cuore dell’identitàpersonale e sociale del cristiano è la praticadella carità e delle opere di misericordia, eche la cartina di tornasole dell’amore di Dioè l’amore del prossimo. “Da questo tutti co-nosceranno che siete miei discepoli, se avre-te amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). Chidà un pezzo di pane e un bicchiere d’acquaal povero lo dà a Gesù stesso (cfr. Mt 25). Il cristiano è chiamato a vivere il vangelo del-la carità nella famiglia, nel lavoro, nella so-cietà. In un secondo momento, perciò, vedre-mo come il cristiano debba vivere e testimo-niare la propria identità.

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Camminare secondo lo Spirito

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Cap. II

Camminare secondo lo Spirito

2.1. Secondo Friedrich Nietzsche, è esisti-to un solo cristiano e questi morì sulla croce.Milan Kundera si chiedeva: “Dove sono in realtà i cristiani? Tutt’intorno non vedo chepseudocristiani, che vivono allo stesso mododei miscredenti. Mentre essere cristiano si-gnifica vivere in maniera diversa. Significaseguire la strada di Cristo, imitare Cristo. Si-gnifica rinunciare agli interessi personali,all’agiatezza e al potere, e volgere il viso aipoveri, ai semplici e ai sofferenti. Ma hannoforse fatto questo le Chiese?” Mahatma Gan-dhi disse: “Io amo e stimo Gesù, ma non so-no cristiano. lo diventerei se solo vedessi uncristiano comportarsi come lui”. Questi sonoalcuni degli aforismi di personaggi noti sullanecessità, da una parte, e sulla difficoltà,dall’altra, di essere e manifestarsi cristiani.A questa necessità e difficoltà può esserecollegata anche la discussione sulla possibi-lità di ammettere al ruolo di padrini e ma-drine le persone cosiddette “canonicamente”irregolari. Spesso si sente dire, a questo ri-

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guardo, che i devoti e i praticanti, in realtà,sono meno cristiani degli atei e degli irrego-lari. Nella nostra Diocesi, per dare una solu-zione del problema, rispettosa, allo stessotempo, delle persone e delle istituzioni, ab-biamo introdotto la figura del “testimone”.Tutta questa problematica, però, mette inevidenza quanto sia vera l’affermazione di S. Ignazio di Antiochia, secondo il quale “èmeglio essere cristiani e non dirlo che dirloe non esserlo”. Per un orientamento condi-viso, ora, su come vivere e operare da cristia-ni, vorrei indicarne la condizione fondamen-tale e alcuni segni particolari.

2.2. Relativamente alla condizione fonda-mentale, vorrei osservare anzitutto che aquanti lo ascoltavano e gli chiedevano “checosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6, 28) Gesù rispose: “Questa èl’opera di Dio: che crediate in colui che Egliha mandato” (Gv 6, 29). Credere in Gesù Cri-sto, dunque, è la condizione fondamentaleper vivere e testimoniare la propria identitàcristiana. I vescovi italiani, nel documentoEducare alla vita buona del Vangelo, ribadi-scono che “Gesù Cristo è la via, che conduceciascuno alla piena realizzazione di sé secon-do il disegno di Dio. È la verità, che rivelal’uomo a se stesso e ne guida il cammino di

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crescita e nella libertà. È la vita, perché inlui ogni uomo trova il senso ultimo del suoesistere e del suo operare: la piena comunio-ne di amore con Dio nell’eternità. Prima ditornare al Padre, Gesù promette ai suoi di-scepoli il dono dello Spirito Santo, attraversoil quale continuerà la sua opera educativa”(n. 19). In altri termini, si ribadisce chiaramen-te che il primo passo per dare testimonianzadella propria identità cristiana è la fede inGesù Cristo. Questa è il fondamento della vita cristiana. Se c’è la fede in Gesù, c’è cri-stianesimo. Se non c’è la fede in Gesù, cipossono essere forme di religiosità, senti-mentalismo, tradizioni popolari, ma non cri-stianesimo. Bisogna ammettere, però, chel’esistenza della fede, nel nostro tempo comenel tempo di Gesù, non è mai garantita. Ge-sù stesso, infatti, chiese provocatoriamenteai suoi discepoli se, al suo ritorno, avrebbetrovato ancora la fede sulla terra (cfr. Lc 18,8). Giustamente, Benedetto XvI osserva che“capita ormai non di rado che i cristiani sidiano maggior preoccupazione per le conse-guenze sociali, culturali e politiche del loroimpegno, continuando a pensare alla fedecome un presupposto ovvio del vivere comu-ne. In effetti, questo presupposto non solonon è più tale, ma spesso viene perfino ne-gato. Mentre nel passato era possibile rico-

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noscere un tessuto culturale unitario, larga-mente accolto nel suo richiamo ai contenutidella fede e ai valori da essa ispirati, oggi nonsembra più essere così in grandi settori dellasocietà, a motivo di una profonda crisi di fe-de che ha toccato molte persone”.

2.3. la prima condizione per dirsi ed es-sere cristiani, dunque, è vivere di fede e conla fede. In concreto, la decisione a vivere difede e con la fede comporta: “camminare se-condo lo Spirito” (Gal 5, 25); “correre con per-severanza nella corsa, tenendo fisso lo sguar-do su Gesù, autore e perfezionatore della fe-de” (Eb 12, 1-2). Il camminare e il correreesprimono la dimensione della libertà del cri-stiano, della sua dimensione di pellegrino delRegno. Il “secondo lo Spirito” e il “tenere losguardo fisso su Gesù” esprimono l’adesionedella propria vita al disegno di Dio.

Se riflettiamo bene sulle vicende della vi-ta, il camminare del cristiano non è sempreun camminare secondo lo Spirito, ancheperché non sempre le vie del Signore sono levie dell’uomo, i pensieri del Signore sono ipensieri dell’uomo. Spesso c’è conflitto inte-riore tra la volontà di Dio, che non si cono-sce, e i propri progetti, che si vogliono rea-lizzare. Talvolta si corre, ma non si sa perché

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si corre. Ora, la via del cristiano è quella cheGesù ha insegnato ai suoi discepoli nel cam-mino sulle strade della Samaria e della Giu-dea per arrivare a Gerusalemme (cfr. Lc 9,51-19, 28). I discepoli, sulla base di quegliinsegnamenti, sono chiamati a dare testimo-nianza della sequela di Gesù con atteggia-menti concreti nel vivere quotidiano, qualil’annuncio del vangelo, l’uso dei beni, il di-stacco dalla seduzione delle ricchezze, la fe-de nel Cristo, l’amore del prossimo, la pre-ghiera fiduciosa e perseverante, il coraggiodella testimonianza, la vigilanza cristiana el’attesa del Regno, la conversione, l’amoreper i poveri e i peccatori come imitazione del-l’amore di Dio, l’impegno nel mondo. l’insie-me di questi insegnamenti, di fatto, ha ca-ratterizzato la comunità dei discepoli sin dal-l’inizio della storia del cristianesimo.

Ho già scritto altre volte che ai nostri gior-ni la “via” del cristiano si allontana dagli in-segnamenti del Maestro non solo quando, nelpercorrere le strade delle preoccupazioni in-tramondane, si trasforma in una storia senzapromessa, e, conseguentemente, in una sto-ria senza trascendenza, senza salvezza, sen-za futuro. Essa si allontana dagli insegna-menti del Maestro anche quando diventa unapromessa senza storia, cioè un messaggio

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non incarnato nelle vicende della vita, un an-nuncio non recepito dalla cultura del tempo,una fede in un Dio senza mondo. È senz’altrovero che, da una parte, l’annuncio cristianoè intero e, dall’altra, che gli annunciatori cri-stiani sono limitati. Ma il linguaggio degli an-nunciatori, quando è ispirato dal vangelo, èsempre un’evocazione dell’infinito; è una pro-iezione della speranza umana sull’orizzontedell’eternità, dove non c’è più il mare, perchédomina il bene, e dove non ci sono più porte,perché vince la libertà. l’evocazione dell’infi-nito raggiunge il culmine della sua efficaciaquando unisce in un unico cammino il passodell’uomo e il passo di Dio.

Il Concilio ricorda opportunamente che:“la Chiesa, comunione degli uomini in grazia,è il nuovo Israele che cammina nel secolopresente alla ricerca della città futura e per-manente” (LG 9); che “la Chiesa pellegrinan-te, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni,che appartengono all’età presente, porta lafigura fugace di questo mondo, e vive tra lecreature, le quali sono in gemito e nel trava-glio del parto” (LG 48). Il cristiano, di conse-guenza, è colui che è in cammino, certo nellasperanza della meta, ma insicuro nella prassidel raggiungimento di questa meta. lo stessoSan Paolo teme di essere squalificato nella

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gara della vita (1Cor 9, 27) e ammonisce, per-ciò, che coloro che pensano di essere ben saldi nella loro fede e nella grazia di Dio de-vono continuamente vigilare per non caderenel peccato (1Cor 10, 12; Rm 11, 20-21). lesqualifiche della vita sono per tutti una realtàdella storia e una minaccia del futuro.

2.4. Accanto a questa condizione fonda-mentale della vita di fede, possiamo indicareanche alcuni segni particolari che connotanoesteriormente, ma, anche, e, soprattutto in-teriormente, i cristiani, tenendo conto chePapa Francesco ha detto che “quando Gesùinvia i suoi in missione, sembra che mettapiù cura nello «spogliarli» che nel “vestirli”!Ciò significa che chi ha la missione di an-nunciare il vangelo non deve disporre di bi-sacce, borse, sandali, oro o argento, in fedel-tà all’insegnamento di Gesù: “non portateborsa, né bisaccia, né sandali e non salutatenessuno lungo la strada” (Lc 10, 4). Il cristia-no è solo rivestito di Cristo, che ha incontra-to personalmente e gli ha cambiato la vita.

Un primo segno di riconoscimento è, si-curamente, il battesimo. Nelle statistichedella Chiesa che vengono riportate dall’An-nuario Pontificio, per esempio, si fa sempredistinzione tra la popolazione civile e il nu-

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mero di battezzati o cattolici. Per la nostraArcidiocesi, per l’anno 2016, sono registrati135.000 abitanti e 133.800 cattolici. In re-altà, il battesimo determina l’identificazionedei credenti con Cristo ed il suo corpo, laChiesa, e la persona battezzata ha una rela-zione personale con Gesù, suo Salvatore eSignore. Al battesimo è legato un nuovo stiledi vita e di fede, manifestazione esteriore del-la trasformazione interiore. Esso è simbolodell’unione a Cristo, morto e risorto: “O igno-rate forse che tutti noi, che siamo stati bat-tezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzatinella sua morte? Siamo dunque stati sepolticon lui mediante il battesimo nella sua mor-te, affinché, come Cristo è stato risuscitatodai morti mediante la gloria del Padre, cosìanche noi camminassimo in novità di vita.Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremoanche in una risurrezione simile alla sua”(Rm 6, 3-5). I discepoli di Gesù, quindi i vericristiani, sono una sola cosa con Gesù! Gra-zie a questa unione, la vita e la potenza diGesù scorre in loro!

2.5. Un altro segno è la fedeltà alla Paro-la. Il mandato di Gesù riportato da Mt 28, 20dice: “insegnando loro a osservare tuttequante le cose che vi ho comandate”. la te-

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stimonianza di At 2, 42 riporta che “eranoperseveranti nell’ascoltare l’insegnamentodegli apostoli e nella comunione fraterna, nelrompere il pane e nelle preghiere”. Se, quin-di, il battesimo descrive l’identificazione deldiscepolo con Gesù e la sua comunità,l’ascolto della Parola descrive il modo secon-do il quale il nuovo discepolo cresce nel di-scepolato. I nuovi convertiti sono chiamati avivere la loro nuova vita sotto l’autorità del-l’insegnamento di Gesù. Prima della loroconversione, i credenti erano schiavi della lo-ro natura peccaminosa, ora sono liberi daldominio del peccato, per legarsi volentieri evivere sotto l’autorità di Gesù, perseverarenella sua Parola. “Gesù allora disse a queiGiudei che avevano creduto in lui: Se perse-verate nella mia parola, siete veramente mieidiscepoli; conoscerete la verità e la verità vifarà liberi” (Gv 8, 31).

Perseverare nella Parola di Gesù comportala coerenza tra la fede e le opere, la fede e lavita. Non si può essere cristiani in privato epagani in pubblico. le azioni esteriori devonorispecchiare le convinzioni interiori. Possia-mo dire, invertendo un noto proverbio popo-lare, che dà buona testimonianza dell’unionecon Gesù colui che predica bene e razzola be-ne. Gesù disse ai suoi discepoli: “In questo è

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glorificato il Padre mio: che portiate moltofrutto, così sarete miei discepoli” (Gv 15, 8).Egli paragonò il suo rapporto con i discepolia quello d’una vite con i tralci: “Dimorate inme, e io dimorerò in voi. Come il tralcio nonpuò da sé dar frutto se non rimane nella vite,così neppure voi, se non dimorate in me. Iosono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimo-ra in me e nel quale io dimoro, porta moltofrutto; perché senza di me non potete far nul-la” (Gv 15, 4-5). Dio vuole che i discepoli por-tino frutto, ma il frutto è possibile se rimanenella vite, perché è la linfa vitale della vite chegenera il frutto del tralcio. Senza questa linfavitale non è possibile fare alcunché in ordinealla salvezza. Gesù è stato esplicito: “senzadi me non potete far nulla” (Gv 15, 8). Cioè,non è possibile fare neppure un solo passoverso la salvezza. la salvezza è totalmentegratuita. È Dio che viene incontro all’uomo e non l’uomo che va incontro a Dio.

2.6. Come abbiamo già detto, il segno piùdistintivo è senz’altro l’amore. In Gv 13, 34-35,Gesù dice: “Io vi do un comandamento nuo-vo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io viho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri.Da questo conosceranno tutti che siete mieidiscepoli, se avete amore gli uni per gli altri”.Il comandamento di Gesù è nuovo, perché

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indica un modo nuovo di amare Dio e ilprossimo. In Lv 19, 18, Dio aveva ordinatodi amare il prossimo come se stessi. la mi-sura dell’amore, quindi, era la propria espe-rienza e la propria capacità. Nel comanda-mento di Gesù, invece, la misura è lui stes-so, e, cioè, una misura divina, non più soloumana. Questa misura divina lo ha spinto amorire e dare la propria vita per tutti gli uo-mini. Quindi, il comandamento di Gesù ènuovo, perché richiede un diverso modo diamare, richiede un amore come il Suo, di-sposto al sacrificio, a donare se stessi in mo-do generosamente altruistico, pratico e at -tivo (Gv 15, 12-13; 1Gv 3, 16). In Gv 4, 7 èscritto: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri,perché l’amore è da Dio e chiunque ama ènato da Dio e conosce Dio”. Si specifica,quindi, la ragione per cui ci si deve amarel’un l’altro e per cui è possibile vivere in pie-na comunione con Dio.

2.7. I vescovi Italiani, nel documento suEvangelizzazione e testimonianza della cari-

tà, hanno messo in evidenza alcune caratte-ristiche della carità cristiana, che hanno unagrande forza evangelizzatrice. “Nella misurain cui sa farsi segno e trasparenza dell’amoredi Dio, scrivono i vescovi, apre mente e cuo-re all’annuncio della parola di verità. Desi-

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deroso di autenticità e di concretezza, l’uomodi oggi apprezza di più i testimoni che i mae-stri e, in genere, solo dopo esser stato rag-giunto dal segno tangibile della carità si la-scia guidare a scoprire la profondità e le esi-genze dell’amore di Dio. Del resto, ha fattocosì anche il Cristo, unendo il gesto del-l’amore concreto alla parola della verità. Cosìdev’essere per la Chiesa: «Nessuno mai havisto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Diorimane in noi e l’amore di lui è perfetto innoi» (1Gv 4, 12). Giovanni insiste sull’amorereciproco non per rinchiudere i cristiani nelcerchio della loro comunità, ma per educarlial servizio verso tutti e indicare loro la sor-gente che rende possibile e credibile l’an-nuncio del vangelo. “Se vedi la carità – scriveSant’Agostino – vedi la Trinità”.

Una caratteristica del vangelo della caritàè il suo carattere pubblico, e insieme traspa-rente, proprio come l’evento della croce diCristo. “voi siete la luce del mondo – ha dettoGesù – e non può restare nascosta una cittàcollocata sopra un monte” (Mt 5, 14). la lu-cerna non viene posta sotto il moggio, ma so-pra il candelabro, perché possa illuminaretutti quelli che sono nella casa: “Così risplen-da la vostra luce davanti agli uomini, perchévedano le vostre opere buone e rendano glo-

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ria al Padre vostro che nei cieli” (Mt 5, 15-16).“Queste opere buone sono soprattutto le ope-re della carità (cfr. Mt 25, 31-46): esse devonorisplendere “davanti agli uomini”, dunquedevono essere luminose e visibili. Ma la lorovisibilità dev’essere accompagnata da unasorta di trasparenza, che non ferma l’atten-zione su di sé, ma invita gli uomini a prolun-gare lo sguardo verso Dio, “perché rendanogloria al Padre vostro che è nei cieli”. Anzi,per assicurare questa trasparenza, chi com-pie le opere buone deve, in certo senso, te-nerle segrete persino a se stesso: “non sappiala tua sinistra ciò che fa la tua destra” (cfr.Mt 6, l-6). Nella sua vita e sulla croce, in ognisuo gesto, Gesù è stato la trasparenza del Pa-dre. Allo stesso modo la Chiesa, nelle molte-plici forme del suo servizio, deve rivelare ilvolto di Dio, non anzitutto se stessa. Questoè lo stile richiesto ad ogni credente, nella vitaecclesiale come nell’impegno nel mondo”.

Un’altra caratteristica del vangelo dellacarità è la gratuità che va oltre ogni misura.“Scrive San Paolo ai Romani (5, 7-8): «Ora, astento si trova chi sia disposto a morire perun giusto; ... ma Dio dimostra il suo amoreverso di noi perché, mentre eravamo ancorapeccatori, Cristo è morto per noi». Chi con-templa il Crocifisso scorge un amore tanto

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gratuito e sconfinato da apparire incredibile.Con il suo amore di preferenza per i pecca-tori e i lontani (cfr. Lc 15), per i poveri e gliesclusi (cfr. Lc 14, 12-14), che si estende atutti, compresi i nemici (Mt 5, 43-48), Gesùha manifestato quella gratuità e sovrabbon-danza di amore che caratterizzano tuttol’agire di Dio. la generosità di Dio non si mi-sura infatti sui bisogni degli uomini: è infi-nitamente più grande di essi. Perciò la Chie-sa e ciascun cristiano devono a loro volta im-prontare alla gratuità e sovrabbondanza tut-te le forme di servizio all’uomo, anche quellemeno facili dell’impegno professionale, so-ciale e politico, caratterizzandole con l’aper-tura universale, la predilezione per gli ultimi,la disponibilità al sacrificio di sé. E nellostesso tempo devono rimanere sempre con-sapevoli che “nessun nostro impegno bastaa manifestare l’amore di Dio, che superaogni attesa e ogni desiderio”.

Una ulteriore ed ultima caratteristica è“l’amore che si fa gesto e storia – come nellavita di Gesù e sulla croce – raggiungendol’uomo sia nella singolarità della sua personache nell’interezza delle sue relazioni con glialtri uomini e con il mondo. Già l’Antico Te-stamento ha messo in luce come la giustiziadi Dio intenda permeare tutti i rapporti uma-

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ni, persino, e si direbbe in modo quasi privi-legiato, i rapporti economici. Il regno di Diosi manifesta e prende volto in una societànella misura in cui questa assume tratti digiustizia e di solidarietà. Tutto ciò vale, amaggior ragione, anche per il Nuovo Testa-mento, come mostra, in particolare, l’espe-rienza delle primitive comunità cristiane, do-ve «nessuno tra loro era bisognoso» (At 4, 34;cfr. Dt 15, 9). la carità di Cristo spinge dun-que il cristiano ad assumere un’attiva re-sponsabilità nei confronti del mondo in tuttii suoi aspetti, dalla cultura all’economia allapolitica, senza sottovalutare le forme più na-scoste, e perché essenziali, delle relazioni im-mediate e personali. È la carità di Maria che,ricevuto l’annuncio dell’Angelo, s’incamminain fretta per visitare Elisabetta (Lc 2, 39) eche alla festa delle nozze di Cana si accorgeche «non hanno più vino» (Gv 2, 3); quella delsamaritano che si fa prossimo al ferito checasualmente incontra sulla sua strada (Lc

10, 30-37); l’accoglienza dei diseredati che il mondo trascura, ma che Gesù chiama con predilezione «i suoi fratelli più piccoli» (Mt

25, 40); e anche la carità della correzione fraterna (Mt 18, 15-17), della parola che aiu-ta gli sfiduciati a ritrovare la speranza (Is 50,4), della franchezza della verità”.

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Cap. III

Col Vangelo nel cuore

3.1. Abbiamo visto che l’incontro di Gesù,oltre al cambiamento radicale della vita delpersecutore Saulo, ha cambiato la vita di alcuni personaggi biblici come Zaccheo, levi,l’adultera, l’emorroissa. In tutti questi casi,l’incontro di Gesù è talmente determinanteche crea situazioni nuove, motiva scelte divita, trasforma affetti e sentimenti. Inoltre,l’incontro di Gesù crea anche il desiderio dicomunicarlo, di condividerlo, per cui chi incontra Gesù diventa quasi automatica-mente missionario della sua persona, an-nunciatore e testimone della sua amicizia. S.Paolo, scrivendo ai Corinti, confessò: “Non èinfatti per me un vanto predicare il vangelo;è per me un dovere. Guai a me se non pre -dicassi il vangelo” (1Cor 9, 16). In altri ter-mini, S. Paolo fa capire che, per il cristiano,la predicazione del vangelo di Gesù non èuna scelta facoltativa ma un dovere essen-ziale, e che il dono del vangelo lo dobbiamocondividere.

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3.2. Il piano pastorale missionario, quin-di, in ultima analisi, si concretizza nell’an-nuncio del vangelo di Gesù per portare i fe-deli alla sua conoscenza personale. Non unaconoscenza puramente scolastica, comequella che si impara su i testi del catechismoo su quelli dell’ora di religione a scuola. Que-sta è valida, necessaria, ma non basta. Co-me abbiamo già detto, bisogna giungere allaconoscenza personale, così come si è verifi-cato nella vita di San Paolo e continua a ve-rificarsi nella vita dei santi. Atteso il fatto,poi, che quest’anno si fa memoria dei 500anni della Riforma luterana, possiamo im-parare anche da questo evento come si deb-ba vivere il rapporto con Dio da parte del cri-stiano. “Ciò che non gli dava pace – disse Be-nedetto XvI venerdì 23 settembre 2011, in-contrando i rappresentanti del Consiglio del-la Chiesa evangelica in Germania nell’exconvento degli agostiniani di Erfurt, nel luo-go in cui lutero studiò teologia e celebrò lasua prima messa, – era la questione su Dio,che fu la passione profonda e la molla dellasua vita e dell’intero suo cammino. la do-manda «come posso avere un Dio misericor-dioso?» gli penetrava nel cuore e stava dietroogni sua ricerca teologica e ogni lotta inte-riore. Per lutero, la teologia non era unaquestione accademica, ma la lotta interiore

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con se stesso, e questo, poi, era una lotta ri-guardo a Dio e con Dio”. “Dio, l’unico Dio, ilCreatore del cielo e della terra, è qualcosa didiverso da un’ipotesi filosofica sull’originedel cosmo. Questo Dio ha un volto e ci haparlato. Nell’uomo Gesù Cristo è diventatouno di noi, insieme vero Dio e vero uomo”.

3.3. la via fondamentale per portare i fe-deli alla conoscenza di Gesù è, ovviamente,la lettura e la meditazione della Sacra Scrit-tura, e, in modo particolare, del vangelo.San Girolamo aveva affermato che “l’igno-ranza della Scrittura è l’ignoranza di GesùCristo”. Rivoltando la frase in positivo, pos-siamo dire: “la conoscenza della Scrittura èla conoscenza di Gesù Cristo”. D’altra parte,trasmettere la fede è trasmettere la Parola diDio contenuta nella Sacra Scrittura, e vice-versa. Ora, bisogna dire che il compito e lamissione di portare i fedeli alla conoscenzadi Gesù non è opera del singolo cristiano madell’intera comunità e, di conseguenza, ilsoggetto privilegiato, a questo riguardo, è laparrocchia, anche se, per iniziative più arti-colate, è necessaria la struttura diocesana.È vero che i cambiamenti in atto da partedella società e della cultura sembrano tra-volgere questa “istituzione”. Il fenomeno delnomadismo, della religiosità emotiva, del

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pluralismo etnico religioso mettono in dif -ficoltà la realtà della parrocchia. Eppure, an-cora oggi, secondo i vescovi italiani, c’è bi-sogno della parrocchia. “Il futuro della Chie-sa in Italia, e non solo, ha bisogno della par-rocchia. È una certezza basata sulla convin-zione che la parrocchia è un bene preziosoper la vitalità dell’annuncio e della trasmis-sione del vangelo, per una Chiesa radicatain un luogo, diffusa tra la gente e dal carat-tere popolare. Essa è l’immagine concretadel desiderio di Dio di prendere dimora tragli uomini. Un desiderio che si è fatto realtà:il Figlio di Dio ha posto la sua tenda fra noi(cfr. Gv 1, 14)”.

“la parrocchia, ha scritto Francesco, nonè una struttura caduca; proprio perché hauna grande plasticità, può assumere formemolto diverse che richiedono la docilità e lacreatività missionaria del pastore e della co-munità. Sebbene certamente non sia l’unicaistituzione evangelizzatrice, se è capace di ri-formarsi e adattarsi costantemente, conti-nuerà ad essere «la Chiesa stessa che vive inmezzo alle case dei suoi figli e delle sue fi-glie». Questo suppone che realmente stia incontatto con le famiglie e con la vita del po-polo e non diventi una struttura prolissa se-parata dalla gente o un gruppo di eletti che

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guardano a se stessi. la parrocchia è pre-senza ecclesiale nel territorio, ambito del-l’ascolto della Parola, della crescita della vitacristiana, del dialogo, dell’annuncio, dellacarità generosa, dell’adorazione e della cele-brazione. Attraverso tutte le sue attività, laparrocchia incoraggia e forma i suoi membriperché siano agenti dell’evangelizzazione. Ècomunità di comunità, santuario dove gli as-setati vanno a bere per continuare a cammi-nare, e centro di costante invio missionario.Però dobbiamo riconoscere che l’appello allarevisione e al rinnovamento delle parrocchienon ha ancora dato sufficienti frutti perchésiano ancora più vicine alla gente, e sianoambiti di comunione viva e di partecipazio-ne, e si orientino completamente verso lamissione” (Evangelii Gaudium, 28).

Abbiamo già visto, nelle lettere pastoralidegli anni passati, come la vita della parroc-chia nella nostra Diocesi sia condizionatadalla particolare realtà d’una progressivamancanza di clero, che costringe i sacerdotiesercitare il ministero in due o tre parroc-chie contemporaneamente. Non è facile, inquesta circostanza, convincere i nostri par-rocchiani a cambiare abitudini e rinunciarea quelle opportunità del passato, garantiteda una sufficiente presenza del clero. Ma, se

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ci troviamo in una emergenza pastorale,nessuno si deve tirare indietro e tutti, sacer-doti e laici, devono partecipare alla trasfor-mazione dei problemi contingenti in altret-tante risorse. In particolare, va promosso lostile di comunione tra sacerdoti e laici, traparrocchie, tra parrocchie e aggregazioni ecclesiali.

Con una buona intesa e collaborazionetra sacerdoti e laici, la parrocchia sarà ingrado di “ridestare la fede in coloro nei qualiè spenta, rinvigorirla in coloro che vivononell’indifferenza, farla scoprire con impegnopersonale alle nuove generazioni e continua-mente rinnovarla in quelli che la professanosenza sufficiente convinzione o la espongonoa grave pericolo. la parrocchia assolveràquesto compito, innervando di primo annun-cio tutte le azioni pastorali: la catechesi, chenon potrà non cominciare o ripartire dallaprima evangelizzazione e dovrà sempre ri-condurre al cuore vitale del messaggio cri-stiano; la celebrazione eucaristica, in cui siannuncia la morte del Signore, si proclamala sua risurrezione, nell’attesa della sua ve-nuta; la testimonianza della carità, perché atutti, soprattutto ai più bisognosi, sia an-nunciato il vangelo della carità e venga co-municata a tutti la carità del vangelo”.

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Perché la corresponsabilità venga vissutain modo corretto, anche gli stessi laici piùsensibili e più partecipi della comunità ec-clesiale hanno bisogno di un cammino diformazione all’interno della vita della parroc-chia, della forania, della diocesi. Nell’ordinedella vita della grazia battesimale, corre-sponsabili si nasce; ma nell’esercizio dellapropria professione corresponsabili lo si di-venta. Il dovere della formazione va cercatonel fatto che per vivere una vera esperienzacomunitaria, religiosi e laici, è necessaria,innanzitutto, una presa di coscienza dellapropria identità. I cristiani laici sono, quindi,stimolati a dare spessore alla propria dignitàe prendere consapevolezza del valore dellapropria partecipazione all’interno della Chie-sa. la formazione del cristiano laico non èsemplicemente una delle tante attività dellacomunità cristiana, ma è una sua priorità, è“il compito primo e più urgente per la Chie-sa”. Si tratta di far crescere e maturare unacoscienza che configuri in modo cristianol’esistenza. Per raggiungere questo obbiettivola nostra comunità diocesana dovrà pro-grammare una serie di iniziative per riflette-re insieme su come rispondere alla vocazionedall’alto, e con quali occhi di fede leggere levicende della società e della Chiesa.

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3.4. l’orientamento di base per la conver-sione missionaria della parrocchia ci vienedato dal messaggio di Francesco per la gior-nata missionaria mondiale di quest’anno2017. In esso, il Papa ha ribadito anzituttoancora una volta che “la Chiesa è missiona-ria per natura; se non lo fosse, non sarebbepiù la Chiesa di Cristo, ma un’associazionetra molte altre, che ben presto finirebbe conl’esaurire il proprio scopo e scomparire. Per-ciò, siamo invitati a porci alcune domandeche toccano la nostra stessa identità cristia-na e le nostre responsabilità di credenti, inun mondo confuso da tante illusioni, feritoda grandi frustrazioni e lacerato da numero-se guerre fratricide che ingiustamente colpi-scono specialmente gli innocenti. Qual è ilfondamento della missione? Qual è il cuoredella missione? Quali sono gli atteggiamentivitali della missione?”

Per Francesco, “la missione della Chiesa,destinata a tutti gli uomini di buona volontà,è fondata sul potere trasformante del van-gelo. Il vangelo è una Buona Notizia che por-ta in sé una gioia contagiosa perché contienee offre una vita nuova: quella di Cristo risor-to, il quale, comunicando il suo Spirito vivi-ficante, diventa via, verità e vita per noi (cfr.Gv 14, 6). È via che ci invita a seguirlo con

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fiducia e coraggio. Nel seguire Gesù comenostra via, ne sperimentiamo la verità e ri-ceviamo la sua vita, che è piena comunionecon Dio Padre nella forza dello Spirito Santo,ci rende liberi da ogni forma di egoismo ed èfonte di creatività nell’amore”.

“la missione della Chiesa, conclude il papa, non è, quindi, la diffusione di unaideologia religiosa e nemmeno la proposta diun’etica sublime. Molti movimenti nel mon-do sanno produrre ideali elevati o espres -sioni etiche notevoli. Mediante la missionedella Chiesa, è Gesù Cristo che continua adevangelizzare e agire, e perciò essa rappre-senta il kairòs, il tempo propizio della salvez-za nella storia. Mediante la proclamazionedel vangelo, Gesù diventa sempre nuova-mente nostro contemporaneo, affinché chi loaccoglie con fede e amore sperimenti la forzatrasformatrice del suo Spirito di Risorto chefeconda l’umano e il creato come fa la piog-gia con la terra. «la sua risurrezione non èuna cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sem-bra che tutto sia morto, da ogni parte torna-no ad apparire i germogli della risurrezione.È una forza senza uguali” (Evangelii gau-

dium, 276).

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3.5. le statistiche recenti diffuse a livellonazionale descrivono gli effetti della secola-rizzazione in percentuali preoccupanti. Senel 2006, per esempio, il 33,4 per cento di-chiarava di frequentare luoghi di culto al-meno una volta la settimana, oggi la percen-tuale è scesa al 29 per cento. Al contrario,le persone che dichiaravano di non frequen-tare mai luoghi di culto sono passate dal 17,2 per cento al 21, 4 per cento. E da noi? Co-sa succede nelle nostre comunità? la miaimpressione è che esse non si discostinomolto dalla situazione italiana generale. Dapiù parti mi giungono continue lamenteleche le chiese si svuotano progressivamente,la gente diserta la messa quotidiana e do-menicale, si fa vedere solo per i funerali, imatrimoni, le feste patronali. Queste perso-ne senza messa sono anche senza religione,senza fede? Secondo il sociologo della reli-gione Franco Garelli, può darsi che le per-sone che non frequentano la messa vivanocomunque una loro pratica religiosa, fre-quentino altri luoghi, compiano un percorsodi fede fai-da-te. lo stesso Garelli, però, de-finisce “freezer” le comunità che offrono unapratica religiosa formale, poco coinvolgente,e, indirettamente, causano la disaffezionedella gente. Il fondatore del Centro Studi Bi-blici di Montefano, don Alberto Maggi, so-

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stiene che parlare di comunità freezer equi-vale a parlare di sacerdoti che non riesconoa comunicare la forza del vangelo. In unsaggio dal titolo Chi non muore si rivede hascritto: “Sono i sacerdoti anzitutto che do-vrebbero chiedersi: perché la gente non vie-ne? Purtroppo la verità è che da certe messebisognerebbe uscire per legittima difesa. Avolte la lettura del messale sembra lo scor-rere di un elenco telefonico. Ma come è pos-sibile che Gesù faceva arrabbiare o entusia-smare mentre la lettura oggi delle sue parolespesso non fa altro che addormentare?Francesco fa ciò che tutti i preti dovrebberofare: non vuole portare gli uomini a Dio,bensì portare Dio agli uomini attraverso latenerezza, linguaggio universale”.

la disaffezione dalla Chiesa la si superatutti insieme, sacerdoti e fedeli laici, renden-do viva la celebrazione del Giorno del Signo-re. la maggior parte della nostra gente pren-de contatto con la Chiesa quando va a messala domenica, e non perché partecipa ai no-stri convegni e alle nostre iniziative. la cele-brazione dignitosa, ordinata, partecipata,perciò, è la via privilegiata per favorire unagenuina esperienza di Dio. Il compito prima-rio della liturgia è precisamente quello direndere presente Dio in una società senza

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Dio. la comunità cristiana riunita in pre-ghiera nel giorno del Signore, che celebra econfessa il mistero pasquale del Cristo, di-venta un segno eloquente e un simbolo effi-cace della presenza e della visibilità di Dionel mondo secolare.

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Pietà popolare ispiratrice dell’arte

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3.6. Per il nostro territorio, dove si riscon-tra ancora un cristianesimo popolare, unaconcreta via di evangelizzazione è, sicura-mente, la pietà popolare, molto viva e pre-sente nel cuore della nostra gente. Di sicuro,essa deve essere purificata da credenze su-perstiziose e manifestazioni para religiose.Papa Francesco ammette che “nel caso diculture popolari di popolazioni cattoliche,possiamo riconoscere alcune debolezze chedevono ancora essere sanate dal vangelo: ilmaschilismo, l’alcolismo, la violenza dome-stica, una scarsa partecipazione all’Eucari-stia, credenze fataliste o superstiziose chefanno ricorrere alla stregoneria, eccetera. Maè proprio la pietà popolare il miglior puntodi partenza per sanarle e liberarle”. “È anchevero, continua Francesco, che a volte l’ac-cento, più che sull’impulso della pietà cri-stiana, si pone su forme esteriori di tradizio-ni di alcuni gruppi, o in ipotetiche rivelazioniprivate che si assolutizzano. Esiste un certocristianesimo fatto di devozioni, proprio diun modo individuale e sentimentale di viverela fede, che in realtà non corrisponde adun’autentica «pietà popolare». Alcuni pro-muovono queste espressioni senza preoccu-parsi della promozione sociale e della forma-zione dei fedeli, e in certi casi lo fanno perottenere benefici economici o qualche potere

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sugli altri. Nemmeno possiamo ignorare che,negli ultimi decenni, si è prodotta una rot-tura nella trasmissione generazionale dellafede cristiana nel popolo cattolico. È innega-bile che molti si sentono delusi e cessano diidentificarsi con la tradizione cattolica, cheaumentano i genitori che non battezzano i fi-gli e non insegnano loro a pregare, e che c’èun certo esodo verso altre comunità di fede.Alcune cause di questa rottura sono: lamancanza di spazi di dialogo in famiglia, l’in-flusso dei mezzi di comunicazione, il sogget-tivismo relativista, il consumismo sfrenatoche stimola il mercato, la mancanza di ac-compagnamento pastorale dei più poveri,l’assenza di un’accoglienza cordiale nelle no-stre istituzioni e la nostra difficoltà di ricrea-re l’adesione mistica della fede in uno sce-nario religioso plurale”.

Tuttavia, nonostante questi limiti, “nellapietà popolare si può cogliere la modalità incui la fede ricevuta si è incarnata in una cul-tura e continua a trasmettersi. In alcuni mo-menti guardata con sfiducia, è stata oggettodi rivalutazione nei decenni posteriori alConcilio. È stato Paolo vI nella sua Esorta-zione apostolica Evangelii nuntiandi a dareun impulso decisivo in tal senso. Egli vi spie-ga che la pietà popolare “manifesta una sete

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di Dio che solo i semplici e i poveri possonoconoscere” e che “rende capaci di generositàe di sacrificio fino all’eroismo, quando si trat-ta di manifestare la fede”. Più vicino ai nostrigiorni, Benedetto XvI, in America latina, hasegnalato che si tratta di un “prezioso tesorodella Chiesa cattolica” e che in essa “apparel’anima dei popoli latinoamericani”.

3.7. In ultima analisi, la pietà popolare è“un modo legittimo di vivere la fede, un mo-do di sentirsi parte della Chiesa, e di esseremissionari”; porta con sé la grazia della mis-sionarietà, dell’uscire da sé stessi e dell’es-sere pellegrini: “Il camminare insieme versoi santuari e il partecipare ad altre manifesta-zioni della pietà popolare, portando con séanche i figli o invitando altre persone, è insé stesso un atto di evangelizzazione”. Noncoartiamo né pretendiamo di controllarequesta forza missionaria!

“Per capire questa realtà, precisa France-sco, c’è bisogno di avvicinarsi ad essa con losguardo del Buon Pastore, che non cerca digiudicare, ma di amare. Solamente a partiredalla connaturalità affettiva che l’amore dàpossiamo apprezzare la vita teologale pre-sente nella pietà dei popoli cristiani, special-mente nei poveri. Penso alla fede salda di

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quelle madri ai piedi del letto del figlio mala-to che si afferrano ad un rosario anche senon sanno imbastire le frasi del Credo; o atanta carica di speranza diffusa con unacandela che si accende in un’umile dimoraper chiedere aiuto a Maria, o in quegli sguar-di di amore profondo a Cristo crocifisso. Chiama il santo Popolo fedele di Dio non può ve-dere queste azioni unicamente come una ri-cerca naturale della divinità. Sono la mani-festazione di una vita teologale animatadall’azione dello Spirito Santo che è stato ri-versato nei nostri cuori (cfr. Rm 5, 5)”.

“Nella pietà popolare, poiché è frutto delvangelo inculturato, è sottesa una forza atti-vamente evangelizzatrice che non possiamosottovalutare: sarebbe come disconoscerel’opera dello Spirito Santo. Piuttosto, siamochiamati ad incoraggiarla e a rafforzarla perapprofondire il processo di inculturazioneche è una realtà mai terminata. le espres-sioni della pietà popolare hanno molto da in-segnarci e, per chi è in grado di leggerle, sonoun luogo teologico a cui dobbiamo prestareattenzione, particolarmente nel momento incui pensiamo alla nuova evangelizzazione”.

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Conclusione

In conclusione, possiamo dire che il filorosso del prossimo anno pastorale, in defini-tiva, sia la missione di osare il vangelo, diparlare di Gesù a credenti e non credenti, acristiani e non cristiani. la modalità per ren-dere efficace l’annuncio evangelico è, anzitut-to, prendere coscienza della propria identitàpersonale e comunitaria. Questa identità vie-ne data dalla persona di Gesù e deve esserevissuta e testimoniata con lo stile evangelicodella vita. Il nome “cristiano” deve indicarenon solo l’osservanza della morale e la prati-ca dei comandamenti ma, in modo particola-re, la comunione personale con Gesù Cristo.

la prima condizione per dirsi ed esserecristiani è vivere di fede e con la fede, impa-rando a “camminare secondo lo Spirito” (Gal

5, 25) e “correre con perseveranza nella cor-sa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autoree perfezionatore della fede” (Eb 12, 1-2). I se-gni particolari che connotano esteriormentema, anche, e, soprattutto, interiormente lavita dei cristiani sono la fedeltà alle promes-se battesimali, la fedeltà alla Parola di Dio,e, ovviamente, la fedeltà al comandamento

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nuovo, ossia alla pratica della carità, in tuttele sue forme e applicazioni.

la conversione missionaria della parroc-chia avviene portando i fedeli ad una cono-scenza personale di Gesù mediante il ricorsoalla lettura e alla meditazione del vangelo, ealla testimonianza del vangelo nella vita pri-ma ancora che nelle parole. Una sicura viadi evangelizzazione è la pietà popolare, puri-ficata da credenze superstiziose e tradizioniparareligiose. la missione dell’annuncio delvangelo non può essere svolta dal singolocristiano ma dall’intera comunità ecclesiale,così come essa vive e opera a livello parroc-chiale, a livello foraniale, a livello diocesano.

Come sempre, affido la comunità diocesa-na alla Madonna del Rimedio, nostra Com-patrona, perché le dia il coraggio di osare ilvangelo e ne accompagni il cammino di fede,speranza, carità.

Oristano, 8 settembre 2017.Festa della Madonna del Rimedio

✠ Ignazio Sanna Arcivescovo

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INDICE

Introduzione............................... pag. 3

Cap. I - La via ............................. pag. 9

1.1. La via è Gesù ........................ » 9

1.2. Identità personale.................. » 15

1.3. Identità sociale ...................... » 20

Cap. II - Camminare secondo lo

Spirito .......................... pag. 29

Cap. III - Col Vangelo nel cuore ... pag. 44

Conclusione................................ pag. 61

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Tipolitografia: Ist. Salesiano Pio XI, Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 067827819 - E-mail: [email protected]

stampa settembre 2017

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IGNAZIO SANNA

Osare

il Van

gelo

I. S

an

na Lettera pastorale

alla Chiesa di Dioche è in Oristano

Osareil Vangelo