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Supplemento al Bollettino della Società Paleontologica Italiana v.44 n.3 Poste Italiane S.p.A.- Sped.Abbon.Posale - D.L. 353/2003 (conv.in L.27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, DCB, Modena CPO SOCIETÀ PALEONTOLOGICA ITALIANA MODENA Newsletter della Società Paleontologica Italiana Numero 13 Novembre 2005 PaleoItalia

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SOCIETÀ PALEONTOLOGICA ITALIANA

MODENA

Newsletter della Società Paleontologica Italiana

Numero 13Novembre 2005

PaleoItalia

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Numero 13

Questo fascicolo di PaleoItalia si presenta piuttosto corposo. E’ consoddisfazione che posso affermare che, per la prima volta, diversi contributisono arrivati spontaneamente in redazione. Spero che non si sia trattato diun evento isolato, ma che segni realmente un cambio di tendenza!

Credo che l’articolo del Dott. Dal Sasso sulle tecniche di preparazionedei fossili sia particolarmente gradito ai soci paleontofili. D’accordo conl’autore abbiamo deciso di dividerlo in due parti: la seconda sarà pubblicatanel prossimo fascicolo.

Il fascicolo risulta ricco, ma l’Agenda è stranamente quasi vuota. Peresperienza so che quando si prepara qualcosa si pianifica tutto in ampioanticipo. Chiedo quindi a chi organizza congressi, mostre, corsi, o altremanifestazioni in Italia di comunicarcelo tenendo conto dei tempi di uscitadi PaleoItalia, in modo da inserire le informazioni nella rivista in tempoutile. In questo modo anche gli organizzatori avranno un’ulteriore pubblicitàper le loro iniziative.

Buona lettura!

Carlo Corradini

IN COPERTINA

GLI INDIRIZZI ELETTRONICI DELLA S.P.I.

Bollettino della Società Paleontologica Italiana [email protected] [email protected] [email protected] [email protected]

Maretia pareti Manzoni, 1878

Riprodotto da: Manzoni, A., 1878, “Gli echinodermi fossili dello Schier dellecolline di Bologna”, Besonders abgedruckt aus dem XXXIX Bande derDenkschriften der Mathematisch-naturwiessenschaftlichen Classe derKaiserlichen Akademie der Wiessenschaften, Wien.Tav. 4, fig. 33.

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GIORNATE DI PALEONTOLOGIA 2005

RODOLFO COCCIONI

RESOCONTI DI CONVEGNI Urbino, 20-22 maggio 2005

Dal 20 al 22 Maggio 2005 si sonotenute a Urbino, presso il CampusScientifico dell’Università “CarloBo”, le “V Giornate di Paleon-tologia” con escursioni nel territoriocircostante. Il Convegno è statoorganizzato dal Prof. RodolfoCoccioni, Direttore dell’Istituto diGeologia e del Centro di Geobio-logia, in collaborazione con laSocietà Paleontologica Italiana.

Sotto uno splendido soleprimaverile, hanno partecipato al

Convegno oltre 100 tra paleontologie paleontofili, provenienti da tuttaItalia e anche dall’estero.

La partecipazione dei giovaniricercatori è stata numerosa evivace, evidente dimostrazione dellavitalità culturale della Paleontologiae dell’eccezionale possibilità offertadalle Giornate di Paleontologia perscambiare esperienze ed ambiti dilavoro.

Numerosi i contributi scientifici:26 comunicazioni orali e 27 posters.

L’apertura del Convegno, con il Prof. Antonio Russo, Presidente della SocietàPaleontologica Italiana, ed i Prof. Rodolfo Coccioni, Francesca Bosellini, Renato Posenatoed Andrea Tintori.

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Le comunicazioni sono statedistribuite in cinque sessioniscientifiche e in una sessione poster.

Gli argomenti trattati hannointeressato la Paleontologiasistematica, la Biostratigrafia, laMicropaleontologia ambientale, laPaleoecologia, la Paleontologia deiVertebrati, la Paleobotanica e lavalorizzazione dei patrimoniopaleontologico.

I contributi scientifici presentatisono stati raccolti in un volume di87 pagine che insieme al CD“Leonardo, i fossili e le rocce”realizzato dal Centro di Geobiologiaè stato distribuito a tutti ipartecipanti al momento dell’iscri-zione.

Il Convegno si è aperto con ilsaluto del Prof. Coccioni a cui èseguito quello del Prof. AntonioRusso, Presidente della Società

Paleontologica Italiana. L’interagiornata è stata quindi dedicata allecomunicazioni scientifiche suddivisein quattro sessioni presiedute daiProf. Ruggero Matteucci, AntonioRusso, Tassos Kotsakis, FrancoRusso e Antonietta Cerchi.

La prima giornata ha trovato lasua conclusione nella cena socialealla Palazzina Sabatelli, tipico edaccogliente ristorante delle Marchesettentrionali. In un clima convivialei partecipanti hanno avuto lapossibilità di gustare piatti e vini dellaValle del Metauro.

La maggior parte della mattinatadella seconda giornata è statadedicata alla quinta sessionescientifica presieduta dal Prof.Piero De Castro ed alla sessioneposter. Nella tarda mattinata si ètenuta l’Adunanza Generale dellaSocietà Paleontologica Italiana. Il

Foto di gruppo al Campus Scientifico.

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Presidente, a nome di tutto ilConsiglio Direttivo, ha proposto lanomina a Socio Onorario del Prof.Piero De Castro raccogliendo ilconsenso entusiastico dell’Assem-blea.

Il pomeriggio di Sabato 21Maggio e la giornata di Domenica22 Maggio sono stati interamentededicati all’appassionante edinteressante visita ai diversi Museipaleontologici dell’area compresatra Romagna e Marche.

Per l’occasione una breve guidaè stata realizzata dai Prof. RodolfoCoccioni e Walter Monacchi edistribuita ai partecipanti. La guidasuggerisce gli itinerari paleontologicidi visita nelle vallate intorno adUrbino, concentrandosi sulle realtà

museali più interessanti e checonservano le testimonianze deifossili locali.

Sono stati visitati il Museo deiFossili di Mondaino (RN), il MuseoCivico Archeologico e Paleonto-logico di Macerata Feltria (PU), ilMuseo Geo-Territoriale di Cantiano(PU), il Museo dei Fossili e deiMinerali del Monte Nerone diApecchio (PU) ed il MuseoGeopaleontologico NaturalisticoAntropico ed Ornitologico “Branca-leoni” di Piobbico (PU). Tutti iMusei hanno spalancato le porte deiloro preziosi tesori con un’ospitalitàdavvero calorosa.

Le giornate si sono concluse conun gradevolissimo pranzo all’aperto,in un caratteristico ristorante nei

I giovani ricercatori durante l’allegra cena sociale.

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pressi di Piobbico. I partecipanti sisono salutati con un frizzante brindisie un arrivederci alle VI Giornate diPaleontologia del 2006, a Trieste.

Ancora una volta è doverosoesprimere i più calorosi ringra-ziamenti ai “Coccioni boys” che conla loro continua e solerte assistenzahanno reso possibile l’attuazione diquesta iniziativa. E’ importanteinfine ricordare che la Commissioneregionale per i beni e le attività

culturali delle Marche si è pronu-nciata unanimemente nell’esprimereapprezzamento per le attività svoltenell’ambito delle V Giornate diPaleontologia, sottolineando il valoredi coniugare l’approfondimentoscientifico dei temi del convegno conla valorizzazione dei Musei checonservano preziose testimonianzedella ricchezza paleontologica egeologica del territorio compreso traRomagna e Marche.

La visita al Museo dei Fossili di Mondaino (RN).

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IntroduzioneQuando un fossile viene alla luce,

spesso è ancora inglobato in unamatrice rocciosa. Inoltre può esserefragile e necessita di essereconsolidato, o ancora può essereestratto in frammenti separati e vaquindi ricomposto. La preparazionedei fossili è un po’ l’equivalente diciò che in campo artistico si chiamarestauro. Senza pensare ad un vero

e proprio laboratorio, abbiamobisogno di un minimo di attrezzatura:un tavolo per appoggiarvi i fossili egli strumenti, resine e collanti, unmicroscopio, un piccolo com-pressore per gli utensili pneumaticie una presa di corrente per gliattrezzi elettrici, nonché vaschettee acidi per le preparazioni chimiche.E’ bene dotarsi anche di occhiali eguanti da cantiere e mascherine

APPUNTI SULLA PREPARAZIONE ECONSERVAZIONE DEI FOSSILI

I – La preparazione meccanica

CRISTIANO DAL SASSO

Vista parziale di un laboratorio di paleontologia.

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protettive per polveri e vapori, chepermettano di lavorare in sicurezza.

La preparazione dei fossili“Preparare” significa portare alla

luce tutte le parti anatomicheconservatesi nel fossile, asportandola matrice rocciosa che lo ricopre.L’intervento deve comunquerispettare le caratteristiche dell’e-semplare così come sono stateconservate dai naturali processi difossilizzazione. Oltre ai mezzi tecniciserve anche una certa dose dimanualità ma soprattutto tantapazienza. Infatti si tratta di un lavoromolto lungo e di precisione, che puòrichiedere giorni, mesi o, peresemplari di grandi dimensioni, anniinteri.

Un fossile si può presentareintegro e compatto, e in questo casosi procede direttamente allapreparazione, oppure fratturato inpiù pezzi al momento dell’estra-zione; in tal caso deve esserericomposto con colle epossidiche,cianoacrilati o, meglio ancora, conresine acriliche reversibili. L’impor-tante è valutare se sia megliocompiere l’operazione prima, du-rante o dopo la preparazione e inquale successione: un incollaggioprecoce di alcune parti, infatti, puòimpedire che altre parti si vadano aincastrare perfettamente.

Concettualmente il risultato finaledi una preparazione paleontologicadovrebbe essere la completa libe-razione del fossile dal sedimento.Spesso ciò è possibile: fusti vegetali,gusci o modelli di molluschi e di altriinvertebrati, o ancora scheletri divertebrati i cui resti fossili non siano

stati eccessivamente compressi edeformati dai processi diagenetici,possono essere estratti a tutto tondoe, nel caso di scheletri completi,ricomposti tridimensionalmente inconnessione anatomica, tenutiassieme da uno scheletro metallicotale da non danneggiare i pezzioriginali. Preparare in questo modoun modello interno di ammonite o diun gasteropode è una delle ope-razioni che più comunementeprofessionisti e appassionati sitrovano ad affrontare e che, salvoeccezioni, presenta le minori dif-ficoltà. Di solito, infatti, la forma delfossile è chiaramente prevedibileanche nelle parti ancora nascoste

Riassemblaggio finale (post-preparazione)di lastre di scisto bituminoso contenenti loscheletro di un ittiosauro di 5,70 m(Besanosaurus leptorhynchus).

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sotto la matrice e il fossile stesso sipresenta in genere abbastanzaresistente.

In molti giacimenti, e inparticolare in quasi tutti i depositi aconservazione eccezionale (kon-servat-lagerstätten), nei quali sirinvengono anche organismi a corpomolle, artropodi e vertebrati conscheletri in connessione anatomicai cui resti fossili sono fortementecompressi su una superficie distrato, gli esemplari devono esserenecessariamente lasciati saldati allamatrice rocciosa e messi in lucecome fossero dei bassorilievi. Inalcuni casi, specie per ragioni distudio, sui fossili su lastra si puòeseguire una preparazione atta arenderli osservabili su entrambe lefacce, quella “libera” e quellasaldata alla matrice. In questo casosi procede pulendo accuratamentela faccia libera, si compie un rilievofotografico, si esegue un calcomolto preciso dell’esemplare e siricopre il tutto con uno strato diresina trasparente; quindi si preparail fossile dall’altro lato. Alla fine diquesto processo il fossile restainglobato nella resina, mentre lamatrice rocciosa viene comple-tamente rimossa.

Tecniche di preparazioneSi possono distinguere due

tecniche fondamentali di pre-parazione: quella meccanica, ese-guita a mano con l’aiuto di variutensili, e quella chimica, eseguitacon bagni in soluzioni acide. Letecniche che si possono impiegarevariano molto a seconda della naturadel fossile e della matrice che lo

ingloba. Se la matrice è incoerente(un’argilla, per esempio) il fossilepuò essere liberato mediantepreparazione meccanica o con unapparecchio a ultrasuoni; se lamatrice è coerente e il fossile ha unacomposizione mineralogica diffe-rente (per esempio, se la matrice ècalcarea e il fossile è fosfatizzato osilicizzato) e non è eccessivamentecompresso e deformato, si puòutilizzare una tecnica di pre-parazione chimica in acido; se lamatrice è coerente e di compo-sizione mista (ad esempio unamatrice marnoso-calcarea) ci sipuò avvalere di una combinazionedi tecniche chimico-meccaniche; sela matrice è coerente e marnosa,terrigena o bituminosa, oppure se ilfossile, indipendentemente dallanatura chimica della matrice, ècompresso, fragile o minuto,conviene effettuare una prepa-razione meccanica manuale.

La preparazione meccanicaPer la rimozione meccanica della

matrice si possono impiegareattrezzi a percussione qualimicroscalpelli e cesellatori pneu-matici, apparecchi abrasivi qualisabbiatrici e microsabbiatrici,martelli e scalpelli convenzionali,bulini, puntali, chiodi e spilli. L’usodi levigatrici, frese e altri utensili adalbero rotante è utile per asportarela matrice ma non è consigliato perpulire il fossile in quanto ilmovimento rotatorio, a differenza diun moto ben calibrato di per-cussione, causa una macinazione euna levigatura del reperto.

Come procedura standard, inuna preparazione meccanica si

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inizierà con le operazioni disgrossatura, asportando le porzionidi matrice più voluminose.Avvicinandosi alla superficie delfossile sarà necessario procederecon più delicatezza e maggioreprecisione, quindi si ricorrerà allapreparazione manuale con puntesempre più piccole. La preparazionemeccanica di particolari anatomicidell’ordine dei millimetri, o ancorapiù minuti, deve essere effettuatacon l’aiuto di un microscopiostereoscopico (quello con due

Punte, chiodi e spilli sono strumentifondamentali per una preparazionepaleontologica. Le punte in acciaio vengonousate per “affettare” piccole porzioni dimatrice sopra e intorno al fossile. Perarrivare a contatto con il reperto (nella foto,il baby dinosauro Scipionyx samniticus) èmeglio usare chiodini di ferro e spillientomologici: sono meno aggressividell’acciaio e, se montati su appositimandrini e affilati con carta vetrata a granafine, permettono di lavorare su piccoliparticolari con estrema precisione.

oculari, tanto per intenderci) o di unavisiera dotata di lenti con uningrandimento di almeno 10x. Tuttequeste operazioni generano unagrande quantità di microdetriti e dipolvere, quindi si rende necessarioripulire continuamente le superficicon dei pennellini.

Gli utensili pneumatici, come questomicroscalpello, necessitano di uncompressore ma garantiscono un altonumero di percussioni (fino a 36.000 alminuto) e un’escursione minima dellapunta, che riduce il rischio di danneggiarei fossili.

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Bibliografia essenzialeBorselli V., Confortini F., Dal Sasso C.,

Malzanni M., Muscio G., Paganoni A.,Simonetto L. & Teruzzi G., 1999. Lacarta del restauro dei fossili: MuseologiaScientifica, vol. 34.

Dal Sasso C., 1993. Tecniche dipreparazione paleontologica. Lapreparazione chimica con gli acidi.Paleocronache: Novità e informazionipaleontologiche. 1993, vol. I. In/Out,Milano.

Dal Sasso C., Magnoni L. & Fogliazza F.,2001. Elementi di tecniche paleon-tologiche: Natura 91 (1), Soc. It. Sci. Nat.Mus. Civ. St. Nat. Milano.

Feldman R.M., Chapman R.E. & HannibalJ.T., 1989. Paleotechniques: ThePaleontological Society, specialpublication N. 4.

Leiggi P. & May P., 1994 - Vertebratepaleontological techniques. Volume one:Cambridge University Press.

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Nonostante la loro natura sessile,gli ostreidi riferibili al genereCrassostrea Sacco, 1897 sonovissuti e vivono tuttora preva-lentemente su fondi mobili o pococonsolidati. Questa affinità tes-siturale può apparire a prima vistacontraddittoria se si considera da unlato la rarità di solide basi perl’ancoraggio tipica di questi substratie dall’altro le notevoli dimensioni, etalora anche il peso, che hannoraggiunto molte di queste forme.Tuttavia mettendo in camponumerose strategie adattative questi,così come altri, ostreidi sono riuscitia conquistare tali ambienti dove lerisorse trofiche a disposizione deisospensivori sono abbondanti(Seilacher, 1984).

Anche se l’origine e lo statustassonomico degli ostreidi (qui intesicome superfamiglia Ostreoidea)sono argomenti tuttora assai dibattutie controversi (Harry, 1985;Lawrence, 1995; Màrquez-Aliaga etal., 2005), i paleontologi sonoconcordi nel ritenere che i primirappresentanti del gruppo (tra cuiUmbrostrea crassidiformis, delTrias Medio della Germania, è laspecie più antica) vivesserocementati a substrati solidi. Già nelGiurassico, tuttavia, compaionoforme in grado di colonizzare

substrati fangosi, come dimostratoanche dal rappresentante più anticodel genere Crassostrea (C. teto-riensis, Giurassico Medio delGiappone) e successi-vamente daaltri taxa della famiglia Ostreidae,sottofamiglia Crasso-streinae(Konbostrea, Saccostrea, Strio-strea, ecc.).

Le strategie utilizzate nellaconquista di questi nuovi ambientisono molteplici e talvolta hanno

CRASSOSTREA, OVVERO COMECONQUISTARE UN NUOVO AMBIENTE

LUCA RAGAINI

Fig.1 – Esemplari di C. tetoriensis cementatitra loro a formare una piccola colonia.Lunghezza della barra = 2 cm. (daKomatsu et al., 2002; modificato).

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portato a morfologie bizzarre, manella sostanza sono riconducibili adue tipologie principali cuicorrispondono da un lato le formecosiddette “reclinate” (che riesconoa galleggiare sul sedimento) edall’altro quelle che sfruttano partedelle valve (tipicamente l’areadorsale) per ancorarsi passivamentesul fondo.

Gryphaea, rappresentante tipicodella prima categoria, ha unageometria fortemente inequivalvecon una valva sinistra moltoconvessa, spessa e caratterizzata dauna microstruttura compatta che si

è rivelata idonea a stabilizzarel’organismo sul substrato.

Anche altri ostreidi hannoadottato una postura reclinatadifferenziandosi però da Gryphaeae generi simili per la presenza diparticolari microstrutture del guscio,quali camere, elementi a nido d’ape,vescicole, ecc., che nella sostanzahanno lo scopo di alleggerire ilguscio senza comprometterne lasolidità. Per evitare l’affondamentoe contestualmente ancorare laconchiglia al substrato sono statiinoltre utilizzati vari accorgimenti,come ad esempio una forma aventaglio associata all’andamento azig-zag della commissura (Lopha),caratteristica quest’ultima che inaltri casi è invece associataall’allungamento e curvatura a ferrodi cavallo delle valve (“Arcto-strea”).

Pur nella loro variegatamorfologia, tutte le forme reclinatehanno un denominatore comunerappresentato dalla necessità dimantenere la commissura (odalmeno gran parte di essa) al di

Esemplare di Gryphaea arcuata inposizione fisiologica. Lunghezza dellabarra = 2 cm. (da Seilacher, 1984;modificato)

Lopha ed Arctostrea inposizione fisiologica.Notare l’andamento azig-zag della commis-sura di Arctostreamaggiormente accen-tuato nella parte con-vessa (anteriore) che èquella rivolta verso lacorrente per ottenere unamaggiore stabilità. Lun-ghezza della barra = 1cm (da Seilacher, 1984;modificato).

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sopra dell’interfaccia acqua-sedimento: in caso contrario, infatti,le particelle sedimentarie finirebberoper intasare le branchie provocandoil soffocamento dell’organismo.

Gli ostreidi che sfruttano inveceparte delle valve come elemento diancoraggio passivo hanno un mododi vita sostanzialmente semin-faunale e questo ha portato allosviluppo di morfologie piuttostodiverse rispetto alle precedenti, matutte caratterizzate da unamicrostruttura “leggera” del guscioper la presenza degli elementi giàdescritti in precedenza. Tipiche diquesto gruppo sono le formeallungate in senso dorso-ventrale,come quelle coniche di Saccostreae Striostrea oppure quella a “stick”di Konbostrea konbo, esempio dicrescita estrema in altezza che haportato questa specie a raggiungeredimensioni record (oltre 1 m)(Chinzei, 1986).

Profilo di Crassostrea gravistesta inposizione fisiologica. Notare lacommissura al sopra dell’interfacciaacqua-sedimento e la migrazione del centrodi gravità (G) che durante le fasi di crescitasi posiziona sempre al di sopra delcorrispondente centro di galleggiamento (B)per mantenere condizioni di equilibrio. (daChinzei, 1995; modificato)

Konbostrea e Saccostrea ,ostreidi di fondi mobili ancoratipassivamente al substratotramite la(e) valva(e) eparticolarmente sviluppati inaltezza. Lunghezza della barra= 1 cm (da Seilacher, 1984;modificato).

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Anche Crassostrea ha spessoutilizzato lo sviluppo esasperato inaltezza, con la parte dorsale delguscio sfruttata come ancora e leparti molli relegate in quella ventrale,quale strategia per poter colonizzaresedimenti mobili o scarsamenteconsolidati. E’ il caso, ad esempio,della forma miocenica Crassostreagryphoides (Jimenez et al., 1991)o della nuova specie recentementerinvenuta nel Pleistocene dell’E-cuador (Ragaini et al., 2004) cheassociano a tale caratteristica unapiù leggera struttura del guscio,ottenuta grazie alla presenza didepositi carbonatici porosi(“chalky”), ed un modo di vitagregario in cui gli individui sono inposizione verticale ed accostati gliuni agli altri per aumentare lastabilità. Talvolta tali accorgimenti

si rivelano insufficienti ed agentiidrodinamici quali, ad esempio, motoondoso e correnti possono orientarediversamente gli esemplari; in talcaso il tentativo di riconquistarel’originaria posizione verticale puòdare come risultato morfologiepiuttosto bizzarre (v. figura apag.16). L’associazione di individuiin piccoli aggregati (in questo casotramite cementazione) per megliocontrastare la tendenza allo sprofon-damento nel substrato era giàpresente in Crassostrea tetoriensis,il più antico rappre-sentante delgenere (Komatsu et al., 2002).

Gli esemplari delle specie fossilidi Crassostrea, ed in particolarequelle del Terziario e del Qua-ternario, hanno spesso raggiuntodimensioni ragguardevoli (fino a 60cm di altezza e 15 cm di spessore)

Livello a Crassostrea nel Pleistocene dell’Ecuador. Notare gli esemplari dislocati rispettoalla posizione fisiologica verticale.

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evocate anche dai loro stessi nomi:C. gigantissima, C. gravitesta, C.ingens, C. titan, ecc.. A queste sicontrappongono le specie attuali (C.angulata, C. columbiensis, C.gigas, C. rizophorae, C. virginica,ecc.) che evidenziano dimensioniassai più contenute. Per cercare dispiegare tale differenza sono stateavanzate alcune ipotesi tra cuiun’elevata velocità di crescitaassociata ad una maggiore longevitàper la mancanza di predazioneumana oppure la co-presenza diorganismi fotosimbionti. Piùrecentemente (Kirby, 2001) è stataipotizzata una relazione diretta tradimensioni del guscio e carat-teristiche ambientali. Le specie aguscio sottile, sia attuali che fossili,sarebbero ristrette ad ambientimarginali di transizione a salinitàestremamente variabile (estuarisalmastri, lagune iperaline, ecc.)oppure a zone intertidali caratte-rizzate da esposizioni più o menoprolungate; tali ambienti avrebberoagito come veri e propri rifugi

ecologici nei confronti dei predatorimarini. Sia i gasteropodi perforatori,infatti, che altri predatori comecrostacei, vermi piatti, octopodi,asteroidi, pesci, ecc., non sono ingrado di sopportare variazioniimportanti della salinità, mentreforme attuali di Crassostreapossono tollerare anche escursionida 0‰ al 42‰ (Harry, 1985;Shumway, 1996). Le specie a gusciospesso sono invece ritenute tipichedi ambienti francamente marini (ingenere di limitata profondità) doveil fenomeno della predazione èpiuttosto diffuso. In questo caso ladifesa contro i predatori è legataall’aumento di spessore delle valvee l’efficacia di questo deterrente ètestimoniata anche dalle numeroseperforazioni incomplete rinvenute sunumerosi esemplari.

In conclusione, forme sospen-sivore sessili caratterizzate danotevoli dimensioni sembrerebberoa prima vista poco adatte a viveresu fondi mobili, dove i substrati idoneiper l’ancoraggio sono rari e dove gli

Valva sinistra diCrassostrea che evidenziadistinte fasi di accre-scimento separate da tredrastici cambiamenti nelladirezione di crescita dovutia successive dislo-cazion1dell’esemplare (da Checa eJimenez-Jimenez, 2003;modificato).

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organismi si devono confrontare conil pericolo del seppellimento ocomunque del soffocamento. Ilgenere Crassostrea rappresenta unesempio di come, attraversol’adozione di efficaci strategieadattative, gli invertebrati marinisiano stati in grado di colonizzareambienti per certi versi ostili, mafonte di importanti risorse trofiche.

BibliografiaChinzei, K., 1986, Shell structure, growth,

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Quando iniziai ad occuparmi dicelacanti fossili, convinta del fattoche anche l’approfondimento delleforme di vita attuali è premessaimportante in qualsiasi studiopaleontologico, inevitabilmente miimbattei nell’affascinante storialegata alla scoperta scientifica delprimo esemplare dell’unico genereancora vivente di celacanto e michiesi incredula: “Chissà quantevolte, prima del 1938, gli indigenidelle Isole Comore (OceanoIndiano) avranno issato a bordo delleloro imbarcazioni esemplari diLatimeria, ignari di aver catturatoun pesce di un gruppo ittico credutoestinto insieme ai Dinosauri (65milioni di anni fa)?!?”. Al di là delledomande di chi, come me, rimanesempre affascinato da quantescoperte scientifiche avvengano percaso, ci sono anche quegliinterrogativi posti dal cosiddettopubblico “non addetto ai lavori”. “Chisono i celacanti?”, per esempio, è ilquesito più semplice, e nello stesso

tempo più imbarazzante, a cui ci sitrova a dover rispondere quando sipresentano i celacanti fossili,ingiustamente troppo spessosnobbati dalla paleontologia italiana(e non) e, invece, meritevoli di unamaggiore attenzione. Eh sì, parlaredi “dinosauri” ai più è cosa semplice:la parola “Dinosauro” rievoca subitoalla loro mente forme animali benprecise, il nome “celacanto” èspesso ingiustamente associato adun grosso punto di domanda!

Un identikit molto semplice deicelacanti potrebbe essere ilseguente: essi sono Crossopterigi,cioè pesci assai diversi da quelli checomunemente siamo abituati avedere in pescheria (Attinopterigi).Tanto per cominciare, a differenzadei pesci con le pinne raggiate chesiamo soliti trovarci nel piatto alristorante, i celacanti hannocaratteristiche pinne lobate, ossiadotate di un robusto lobo carnosoche protrude dal corpo, sorretto daarticolazioni ossee e muscolipropri.Con sole due specie viventi(Latimeria chalumnae e Latimeriamoenadensis), i celacanti rappre-sentano numericamente oggi solo unramo secondario nell’evoluzioneittica e, in confronto alle circaventicinquemila specie viventi diteleostei appaiono poca cosa ma, sesi pensa che i celacanti, data la loro

RISPOLVERANDO I CELACANTI!

LUCIA LOPS

Latimeria chalumnae.

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innegabile parentela con i ripidisti,potrebbero esser considerati un po’come “cugini” degli antenati deiTetrapodi… l’importanza evolutivadel gruppo non è davvero dasottovalutare!

Il confronto della morfologiascheletrica di base di Latimeria conquella degli esemplari fossili(Devoniano medio - Cretaceosuperiore) ci rivela l’incredibilecapacità di conservazione dimo-strata dall’intero gruppo per circa400 milioni di anni, dal Devonianoad oggi! Nei fossili, come nellespecie attuali, si ritrovano non solole caratteristiche pinne lobate, maanche altri caratteri propri di questipesci, come ad esempio la singolarepinna caudale a ventaglio e a tre lobi,l’organo rostrale per l’elettro-ricezione, la notocorda e il giuntointracranico per spalancare almassimo la bocca. Se i celacanti,come gli Attinopterigi, nella disperatalotta alla sopravvivenza del meglioadattato, si fossero tanto dati da farea cambiare morfologicamente perdivenire più competitivi possibile, enon fossero sopravvissuti come

“fossili viventi”, pressochéinalterati per centinaia di milionid’anni, l’anatomia comparataavrebbe perso, probabilmente, deglielementi fondamentali di studio, siaper il confronto con le forme fossiliche per la ricostruzione della storiaevolutiva che dai Pesci può averportato agli antenati dei primiTetrapodi.

Abitanti in passato di quasi tuttele acque (dolci e salate) del NostroPianeta, con la sola eccezionedell’Antartide, i celacanti, resistet-tero allo “spauracchio” dell’estin-zione, presentatosi a loro più voltedal Devoniano medio al Cretaceo

Cranio di Latimeria, unico genere attual-mente vivente di celacanto.

Esemplare del genere Holophagus del Giurassico Inferiore.

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sup. Essi, a dispetto di ogniminaccioso cambiamento ambien-tale, continuarono ad esisteremantenendo una struttura morfo-logica di base invariata e nonspecializzata... e questa è la cosadavvero incredibile e piena difascino di tutto il gruppo! Il loro“modello morfologico”, forse proprioper la sua primitiva semplicità, risultòincredibilmente adattabile, fin daquando comparvero come pescimarini nel Devoniano. Anche sel’alta conservazione del semplicepiano strutturale di base del gruppo,macroscopicamente, ha determinatouna (apparente?) generale bassadiversità tassonomica, più indettaglio, i celacanti fossili rivelanouna variabilità, nella minutaornamentazione di scaglie, di ossacraniche e di raggi delle pinne.Anche le proporzioni e la formadelle ossa del cranio, nonché lalunghezza del terzo lobo caudalecentrale degli esemplari fossilistudiati e il punto d’inserzione dellepinne sono divenuti importanticaratteri diagnostici.

I celacanti fossili entrarono didiritto nella storia della Paleontologia

nel 1836, quando Louis Agassizritrovò il primo fossile di questogruppo. Fu allora che ebbero il viastudi e descrizioni di numerosigeneri e specie di celacanti, rinvenutiun po’ in tutte le parti del mondo(Germania, Inghilterra, Stati Uniti,Madagascar, Spitzbergen, Groen-landia...).

Anche l’Italia “diede alla luce”numerosi celacanti fossili: il primoesemplare scoperto e studiato, adesempio, proveniva dalla località delTriassico Medio di Perledo (Lecco);l’ultimo celacanto ad esserenominato in un lavoro di un paleon-tologo italiano (De Alessandri) fu,invece, Undina picena del Trias-sico superiore, nell’ormai lontano1910! Mentre la bibliografia esteraesprime ancor oggi il suo interesseper i celacanti fossili, gran parte degliesemplari italiani, purtroppo, purfacenti parte anche di importanticollezioni paleontologiche di moltimusei italiani, giace ancora senzanome e studio.

Occuparsi oggi di celacantiitaliani, dopo che, per quasi unsecolo, di questi fossili non se neoccupò più nessuno, è una bella

Esemplare MPUM 9289 (Norico, Triassico Superiore), attualmente in fase di studio.

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“gatta da pelare”. Fare ricerca suquesti pesci fossili significarassegnarsi ad affrontare numeroseproblematiche come, ad esempio,consultare fonti bibliografichevecchie, corredate di un linguaggioscientifico non adeguato alleesigenze delle più modernedescrizioni anatomiche dei fossili.Questo implica dover esserecostretti a recarsi di persona pressoi vari musei che hanno in custodia icelacanti fossili, allo scopo diverificare direttamente la morfologiadegli esemplari e poterla con-frontare con quella che via via siscopre nei nuovi esemplari su cui siha la possibilità di lavoraredirettamente. Avere per le manifossili di celacanti triassici significacimentarsi con la preparazione perlo studio di pesci mediamente di 30-35 cm, con importanti eccezionicapaci di raggiungere anche ilmetro; significa misurare la propriapazienza e mettere in contocentinaia di ore destinate almicroscopio per la rimozione mec-canica della matrice che ancoraricopre la delicatissima ornamen-tazione di scaglie ed ossa. Tuttoquesto, neanche a dirlo, rallentainevitabilmente la ricerca e limita gliesemplari a disposizione per

qualsiasi ulteriore confronto a brevetermine.

Saggiare la sistematica deicelacanti poi significa impazzire fradecine e decine di nomi, spessoistituiti arbitrariamente su sparutiresti. La cattiva conservazione dimolti celacanti e la loro mancatacompletezza sono stati i principalico-fattori scatenanti tutta laconfusione che ancora regnasignora tra i celacanti. “Undinapicena”, uno dei più celebricelacanti fossili norici (Triassicosup.) italiani (Giffoni, nel sa-lernitano), è un esempio delleingarbugliate vicende tassonomicheche comunemente accompagnanoanche altri fossili del gruppoprotagonista di queste mie righe. Lasua storia inizia nel 1862 e, nell’arcodi quasi un secolo, diversi illustriAutori gli attribuiscono tre nomi digenere diversi che, in ordinecronologico, sono: Urocomus,Undina, Holophagus. Questi“magnifici tre” generi, sembre-rebbero non esser proprio tutti lastessa cosa visto che oltretuttovennero istituiti su materiale didiversa età (rispettivamenteTriassico sup., Giurassico sup. eGiurassico inf.) e di diverso possibileambiente di vita (acque basse

Particolare delle scagliedell’esemplare MPUM 9289(Norico, Triassico Superiore.

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costiere per i primi due generi eacque decisamente di mare piùaperto per l’ultimo). É per questaserie di contraddizioni che il nomedel fossile è ancora in “stand by”da oltre un secolo e, a dir la verità, ilsuo cattivo stato di conservazionenon aiuta molto a dargli un definitivo“battesimo”! Forse sarebbe il casodi ritornare a chiamarlo sempli-cemente Urocomus picenus, nomeper altro datogli da Costa, suo stessoscopritore. Come se non bastassela stessa validità del nome generico“Undina” è stata messa in discus-sione senza tuttavia che si giungessead una conclusione definitiva sullaquestione. Ciò crea non pochedifficoltà a chi, nel tentativo di

determinare un celacanto fossile,voglia dargli eventualmente il nomegenerico di “Undina”! Se a questopunto state pensando: “Che pizzaquesti celacanti, ecco perché tutti lihanno mandati al diavolo!”, avetetutta la mia comprensione ma viassicuro che anche un solo piccolocontributo come il mio allapaleontologia di un Paese comel’Italia, dalle gloriose tradizioni nellaricerca dei fossili, può riempire ilcuore di grande soddisfazione.

Dopo quasi un secolo da DeAlessandri, sotto la guida del prof.A. Tintori dell’Università degli Studidi Milano, mi avvicino allo studio dialcuni celacanti fossili provenientiprincipalmente da scavi condotti, a

Cranio dell’esemplare indeterminato MPUM 9151 (Norico, Triassico Superiore),attualmente in fase di studio.

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partire dalla seconda metà degli anni’70 dello scorso secolo, presso lePrealpi lombarde dal Dipartimentodi Scienze della Terra dell’Uni-versità degli Studi di Milano. Si trattadi esemplari del Norico, piuttostocompleti e ben conservati, benappropriati al confronto e allo studiosistematico anche se incredi-bilmente lunghi da preparare. Alcunidi essi sembrano riservarcil’inaspettata sorpresa di esseredifferenti dai celacanti triassici giànoti in Italia (compreso “Undinapicena”!) e all’estero, suggerendouna maggior diversità del gruppoproprio sul finir del Triassico.Questo non è però tutto: lasuccessione triassica italiana, giànota da tempo per i suoi sitiricchissimi di vertebrati marini chehanno permesso di ricostruire levicende evolutive dei pesci, apparemolto interessante anche per icelacanti, la cui evoluzione potrebbeessere seguita per un intervallo dialmeno 30 milioni d’anni, grazie agliesemplari provenienti dai vari pianidel Triassico. Dalle Dolomiti diBraies, per esempio, provengonocelacantidi dell’Anisico, dal MonteSan Giorgio quelli del Ladinicoinferiore, da Raibl-Cave del Predilquelli del Carnico, da Giffoni e dallePrealpi bergamasche e del Friuliquelli del Norico. Allargando poi ilnostro sguardo dalla varietà deigeneri raccolti in Italia a quellatestimoniata dal Triassico inferiore

di località straniere come Groen-landia, Svalbard, Madagascar eCanada si potrebbe iniziare adelineare meglio la reale diversitàtassonomica di questi pesci che, apartire dal Giurassico superiore, siridurrà drasticamente nel numerodei generi, fino a “Latimeria”,l’unico ancora vivente.

Mentre ci si accinge agli ulterioriapprofondimenti paleontologici sulgruppo, attendiamo con curiositàanche i risultati dei numerosissimistudi biologici condotti “in vivo” suLatimeria, certi che ancora impor-tanti informazioni potrebberoregalare anche alla paleontologia,sfatando, ancora una volta, lasciocca idea che il paleontologo siasolo uno “studioso di cadaveri”.Forse, come pochi, il paleontologostudia invece la vita e, con le suericerche e i suoi continui appro-fondimenti sul mondo viventeattuale, si adopera a far rivivere tuttoun mondo scomparso estremamentedinamico. Con il supporto delleinformazioni raccolte dal Presente,lo studioso di fossili riesce ogni voltain quell’affascinante ricostruzionedel Passato che è in grado di farciimmaginare quegli organismi, mortianche centinaia di milioni di anni fa,come vivi e, come tali, capaci dinutrirsi e muoversi in una benprecisa maniera, in un ben precisoambiente in cui si riproducevano conl’inspiegabile istinto di sfuggireall’Estinzione!

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LE ESCURSIONI DEI SOCI PALEONTOFILINEL 2005

JORDI ORSO

Dopo il successo delle escursioni paleontologiche dell’anno scorso sonofelice poter constatare che l’interesse dei soci paleontofili all’iniziativacontinua. Devo ammettere che i paleontologi professionisti interpellati aguidarci non si sono fatto pregare due volte. Così sono riuscita a creare conloro anche quest’anno un bel calendario di 5 escursioni con una cinquantinadi partecipanti:20.3. e 7.5.2005, Neogene, Torrente Stirone (Castell’Arquato), Prof. Sergio

Raffi16.7.2005, Museo di Storia Naturale di Milano, Laboratorio paleontologico e

visita alle collezioni, Dr. Cristiano Dal Sasso8.10.2005, Paleogene, Bolca, Prof. Andrea Tintori23.10. 2005, Paleogene, Colli Berici, Dr. Davide Bassi

Per far partecipare tutti i soci alle nostre esperienze e scoperte ho cercato didescrivere le prime escursioni in un breve resoconto. Così potete leggere qui diseguito quello che abbiamo imparato con i piedi bagnati nel torrente Stirone,e cosa ci ha insegnato la visita al Monte Toraro lo scorso ottobre (Per ragionidi spazio questo articolo non era stato pubblicato nell’edizione precedente).

Abbiamo fatto una visita guidata interessantissima al Museo di StoriaNaturale di Milano, ma al posto di una descrizione troverete un articolo del Dr.Dal Sasso sull’argomento che più ci toccava: la preparazione e conservazionedi fossili.

Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare i prof. Raffi e Tintori e i dott.Bassi e Dal Sasso con tutto il cuore non solo per la loro straordinariadisponibilità ed instancabile pazienza, ma anche per il loro importante aiutoredazionale.

Esplorando il torrente Stirone

guida scientifica: Prof. Sergio Raffidate: 20/3/2005, 7/5/2005età geologica: Neogene: Miocene, Pliocene, Pleistocenelocalità: Castell’Arquato, Parco Nazionale dello Stirone: 1) Ponte di Scipione, 2) San Nicomedeequipaggiamento: stivali di gomma almeno fino al ginocchiodifficoltà: nessunapartecipanti: 14 (da Torino, Milano, Genova, Ragusa, Piacenza, Parma e Firenze)

La prima escursione paleon-tologica del 2005 per i soci SPI è

stata programmata per il 20 marzo,e il 7 maggio abbiamo fatto il bis.

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Come punto d’incontro avevamoscelto il parcheggio lungo l’Arda aCastell’Arquato (PZ). L’argomento:sedimenti e fossili del Pliocene conspeciale riferimento al tema del“Lago-Mare”, i cui sedimenti nelMediterraneo costituiscono il tettodel Miocene. Il programma prevedeuno stop al ponte Scipione, distanteun paio di chilometri da Ca-stell’Arquato, e poi l’esplorazioneverso valle del torrente Stirone. Ciguida il prof. Sergio Raffi che l’annoscorso ci ha fatto conoscerel’emozione dei calanchi del MonteGiogo, sempre nei pressi diCastell’Arquato.

Partiamo per il ponte Scipione escendiamo sulla riva. Con lacoloratissima carta geologica inmano Sergio ci introduce bre-vemente all’orogenesi degli Ap-pennini e all’evoluzione del GolfoPadano. Grazie alla successionedegli strati incisi dal torrente Stironeche immerge verso Nord Est èpossibile seguire in dettaglio, stratoper strato, l’evoluzione geologica epaleoclimatica del Bacino da golfodell’Adriatico ad attuale pianuraalluvionale padana. Sotto il ponteScipione, dove inizia l’escursione,affiora la base della successionelacustre Messiniana, costituitalocalmente da banchi di conglo-merati. Al di sopra si succedonoalternanze di livelli sabbiosi e limosi.Negli appunti distribuitoci da Sergiosono raffigurate alcune specie diostracodi, i microfossili che sonostati utilizzati dagli autori perinterpretare come fluvio-lacustri talisedimenti. Chi non è familiare conla storia geologica del Mediterraneosi meraviglierà delle testimonianze

di un passato lacustre del MareNostrum. Ma Sergio ci spiega ilfenomeno della crisi di salinitàmediterranea, le sue cause ed i suoieffetti sia a livello locale che globalee ci illustra brevemente le fasiprincipali dell’evoluzione delMiocene superiore (Messiniano) delMediterraneo partendo dall’evi-denza geologica: ad una fase ancorafrancamente marina, ma con indiziprogres-sivamente più evidenti divariazioni climatico-oceanografiche,segue la precipitazione dellecosiddette evaporiti (gessi, sal-gemma, ecc) che documentano la“crisi di salinità”. Al di sopra dellasuc-cessione evaporitica, talora digrande spessore, seguono le suc-cessioni di Lago-Mare estese a tuttoil Mediterraneo, qui ben rappre-sentate dalla base della sezione neo-autoctona del torrente Stirone.

Cos’era successo 7 milioni dianni fa? Appare evidente che grazieall’interazione di fattori tettonici, cheportarono alla chiusura delle vie dicomunicazioni mioceniche conl’Atlantico (lo Stretto Subbetico equello Subrifano) e grazie al clima

Ponte Scipione, il punto di partenzadell’escursione

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decisamente arido il mare subì unlungo periodo di forte evaporazioneche lo portò quasi al prosciu-gamento. I grandi giacimenti digesso e zolfo nell’area mediterraneane sono testimoni. E’ moltoprobabile che l’instaurarsi di unasuccessiva situazione di “Lago-Mare” estesa a tutto il Paleome-diterraneo sia dovuta oltre che adun completo isolamento dall’Atlan-tico, ad un aumento delle preci-pitazioni e/o ad un flusso di acquada oriente (dalla Paratetide).

Il problema della “crisi disalinità” del Mediterraneo è ancoraoggetto di un acceso dibattito, siaper quanto riguarda le sue causeche il contesto ambientale dellaprecipitazione dei sali marini e

glacio-eustatici che controllavanociclicamente l’afflusso di acqua nelmediterraneo.

Da un punto di vista biologicoSergio ci spiega che la crisi di salinitàè la diretta responsabile dellascomparsa della fauna marina delPaleomediterraneo. Rimane però ilfatto che con il ripristino dellecondizioni marine, che definiscestoricamente la base del Pliocene(Zancleano), gran parte di questafauna ricompare nel Mediterraneo.L’ipotesi più probabile è che questafauna sia sopravvissuta nei“santuari” atlantici limitrofi alMediterraneo e non interessati allacrisi di salinità.

Seguendo per 50 m il torrenteSergio ci mostra il limite Miocene/

Panoramica del tratto Messiniano del torrente Stirone.

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Pliocene (M/P) caratterizzatolocalmente da una netta discordanzaangolare. Gli strati Pliocenici findalla loro base sono caratterizzati dafossili di ambiente marino (fora-miniferi, ostracodi, molluschi) diambiente batiale. In un intervallo dipochi cm si passa dunque da unambiente fluvio-lacustre ad unambiente marino profondo,probabilmente intorno ai 300-400 m.Ci rendiamo conto di stare di frontealla testimonianza di avvenimentistravolgenti, e tutto d’un trattol’affioramento che a prima vista nonci era sembrato tanto spettacolareassume tutt’altro carattere.Guardandolo ci sembra di sentire ilrombo delle acque marine, mentreall’inizio dello Zancleano ritornaronoa riprendere possesso della lorovecchia sede.

Torniamo alle macchine peraffrontare il torrente più a valle.Muniti di stivali di gommascendiamo nell’acqua che qui èabbastanza alta. Bisogna cam-minare strusciando, alzando i piediil meno possibile, pena un freddopediluvio in piena regola. Nelprossimo affioramento Sergio ci fanotare un’intercalazione clasticanella successione pelitica carat-terizzata dalla dominanza diLucinidae (bivalvi). Si ritiene chequesta formazione calcare siaprecipitata come sottoprodotto deiprocessi metabolici di colonie dibatteri chemiotrofici che utiliz-zavano emanazioni di acidosolfidrico e metano che pro-babilmente venivano a giornotramite un sistema di piccole faglie.I lucinidi che vivono in simbiosi conquesti batteri costituiscono “un

segnale” molto facile da cogliere diquesto particolare fenomeno. Leemanazioni gassose fredde, i “coldseeps” della letteratura, cirichiamano alla mente le sorgentiidrotermali sottomarine e le teoriesull’origine dei primi esseri viventi.

I dati micropaleontologicisuggeriscono che al di sopra diquesti livelli clastici la sezione sia giàpienamente ascrivibile ad unPiacenziano medio. Ai livelli delchemioherma a lucinidi seguonostrati di pelite omogenea a cui prestosi alternano livelli più chiari, molto“leggeri”, e fittamente stratificati,interpretabili come sapropels. Lafitta stratificazione indica che nonsono stati popolati da organismibentonici che con le loro attività liavrebbero “omogeneizzati”. I dati adisposizione, ed in particolare il fattoche questi livelli, costituitiprevalentemente da diatomee, sianomolto ricchi di sostanze organiche,suggeriscono che la mancanza dibioturbazione sia dovuta allamancanza di ossigeno. Il ritro-vamento di pesci fossili (non da noi,s’intende) nei livelli diatomiticicostituisce un ulteriore prova di

Il limite Miocene/Pliocene al torrenteStirone.

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questa interpretazione. I sapropelsci danno l’occasione di discussionesulla relazione tra clima e cicliastronomici. Le cause ed il contestodeposizionale dei sapropels nelMediterraneo durante il Pliocene èancora oggetto di dibattito. La loroformazione implica un consumo diossigeno sul fondo ed un mancatoripristino imputabile al mancato“rifornimento” di acqua dello stratofotico ricca di ossigeno. Questoscenario è evidentemente con-trollato dall’andamento ciclico delclima con particolare riferimento alleprecipitazioni ed all’apporto fluviale.

Riprendiamo a scendere versolivelli sempre più recenti. Nello stopsuccessivo Sergio ci indica alcunibuoni esempi di “debris flow”, flussi

gravitativi di detriti, in questo casoorganogeni (alghe calcaree, briozoi,coralli e molluschi). Alternati ai“debris flows” troviamo livellidominati da associazioni oligotipichea Corbula gibba, caratteristiche disituazioni ad elevata torbidità. Sergioci spiega brevemente la fisiologiadella specie adattata a ”trattare”grandi quantità di particelle insospensione senza incorrere nelpericolo di intasamento dellebranchie.

Bisogna nuovamente attraver-sare il torrente e allora la cosa sicomplica. I miei stivali di gomma miarrivano fino al ginocchio, ma quil’acqua è più alta e non basta piùstrusciare i piedi. Con invidia guardoi “pantastivaloni” da pescatore degli

Alcuni partecipanti ...con i piedi a mollo..

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altri, quando uno dei partecipanti,Stefano, senza tanti complimenti micarica sulle spalle e mi trasportasana e salva sull’altra sponda.Wow! Non lontano scopriamo unospettacolare icnofossile, probabil-mente la tana di un grande artropodeche ricalca esattamente la formadell’animale.

Nei depositi fluviali vicino allariva notiamo un grosso sasso verde.Che ci fa una pietra di serpentinotutta sola nel torrente Stirone? Edecco un’altro esempio del potereinformativo straordinario di unsemplice, si fa per dire, corsod’acqua: Sergio ci ricorda che amonte esistono affioramenti diofioliti di cui i serpentini fanno parte.Queste rocce antichissime origi-narie del mantello superiorecostituivano la crosta oceanica, eanche le lave eruttate dai vulcanisubmarini dell’antico “OceanoLigure Piemontese”. Alla fine dellaloro lunga storia geologica questerocce furono trasportate dalle forzeorogenetiche a costituire il crinaledell’Appennino dell’EmiliaOccidentale e qui furono erose etrasportate dai corsi d’acqua, dinuovo, verso il mare.

Ma ora è tempo di picnic e ciportiamo con le macchine a SanNicomede, dove nelle vicinanze delcimitero esiste in riva al torrenteun’area attrezzata a questo scopo.Mentre pranziamo vediamo dueguardie ecologiche attraversarel’area e, chiacchierando con loro, cirendiamo conto che il ParcoRegionale dello Stirone è bensorvegliato. Qui non solo i fossilistanno al sicuro, ma anche ilGruccione (Merops apiaster) dal

piumaggio cangiante, che nidificanelle sabbie Pleistoceniche dellescarpate del torrente. Proprio perproteggere questa specie dallaprimavera fino alla tarda estate, perun lungo tratto, viene vietato (eimpedito) l’accesso al Torrente.

Finito il frugale pasto ripren-diamo l’escursione. Da qui siaccede al torrente comodamente,mentre prima raggiungerlo era statopiuttosto avventurosa per via dellavegetazione fitta, fitta. Il posto delpicnic si trova proprio di fronte adun piccolo promontorio che con lasua punta alzata ricorda la prua diuna nave che solca l’oceano. Si notamolto bene la discordanza angolaretra il banco sommitale e gli stratisottostanti. Ci troviamo al limitelocale del Plio-Pleistocene che sibasa sulla prima comparsa delfamoso ospite boreale Arcticaislandica, peraltro ben visibile, ma(fortunatamente) irragiungibile, neisedimenti della sponda opposta.Colpisce, anche se è un dato ormairisaputo, che questa specie che oggidomina le associazioni del Mare delNord (!), all’inizio del Pleistoceneabbia esteso la sua distribuzione al

Le tracce fossili non sono rare nei depositilungo lo Stirone.

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Mediterraneo. La successione in cuiè localizzato il limite Plio-Pleistoceneè letteralmente costituita da fossilied in particolare da detriti di alghecalcaree, briozoi e molluschi.Affiorano qua e là bellissimiesemplari di Lutraria sp. Pectenjacobaeus, Glycymeris inflatus,Glycymeris glycymeris, ecc, talorain posizione di vita. Osserviamo chela grande maggioranza delle specieche troviamo sono ancora viventi.In effetti è ben noto che le specie diaffinità tropicale sono già scomparsedurante il Pliocene.

Per raggiungere “l’ultimaspiaggia” dobbiamo risalire ilversante divenuto sempre più alto eripido. Il suolo è bagnato e non soloci fa scivolare continuamente, magli stivali vi sprofondano e si riescesolo con fatica a liberali dal morsotenace dell’argilla. Camminandolungo la riva nel tratto pleistocenicoSergio ci illustra dall’alto lasituazione paleoecologica carat-terizzata dall’alternanza di livellifossiliferi circalitorali con quelliinfralitorali. In altre parole, durantequel periodo ci sono stati continuicambiamenti eustatici, infatti prima

si nota la tendenza verso un ritiroprogressivo del mare e i livellilacustri a Dreissenia, Melanopsise Neritina lo confermano. Ma eccoche il mare avanza di nuovo e sientra in un ambiente lagunareipoalino a cui seguono ancora livellimarini di ambiente infralitoralecaratterizzati da Chamelea gallinae Glycymeris insubrica. Il mare siritira ancora e di nuovo si ripresentaun ambiente lagunare. Scendiamonella “laguna”. Il versante anche quiè coperto da una vera giungla e civorrebbe un macete per raggiungereil torrente, ma ce la facciamo lostesso, grazie all’impeto di uno deinostri amici. La laguna rivela unalimitata biodiversità, cioè pochespecie, ma molti individui, unfenomeno tipico di ambienti instabili.Ma attenzione! Una nuova tra-sgressione ci riporta in un ambienteinfralitorale caratterizzato dallestesse specie che si ritrovanonell’Adriatico. Ed ecco, finalmente,comparire “l’ultima spiaggia”! Eraora. Stefano, eroicamente, mi da unaltro passaggio per raggiungere unisolotto di ghiaia in mezzo al torrenteper vedere meglio i depositicontinentali fluvio-lacustri al di sopradelle sabbie marine. Il mare ormaisi è ritirato definitivamente.

Questo tratto caratterizzatodall’alternanza di depositi lagunarie infralitorali non è difficile dainterpretare. Infatti è sufficienteconoscere pochissime specie perdare una spiegazione corretta degliambienti. La bassissima diversitàspecifica dei macrofossili, rappre-sentati quasi esclusivamente daCerastoderma glaucum, Ceri-thium sp. e Venerupis senescens eArctica islandica.

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nel contempo il numero enormedegli esemplari ci permette di fareun preciso riferimento ad unambiente lagunare ipoalino. Invecel’aumento seppure limitato delladiversità specifica e la presenza dispecie anche attualmente moltocomuni come Spisula subtrun-cata, Mactra corallina, Glycy-meris insubrica, Chameleagallina, Donax trunculus, ecc.consentono facilmente di ricono-

Dopo giorni di pioggia eccofinalmente tutte le nostre preghiereesaudite: una domenica di sole! Unvero dono degli dei, vista lapropensione al brutto tempo diquest’autunno 2004. L’appuntamen-to con un bel gruppetto di undicipaleontofili per l’ultima escursionedi quell’anno era stato fissato per leore 9.30 davanti alla piazzetta dellachiesa di Tonezza del Cimone(Vicenza).

Lasciando il paese alle nostrespalle ci siamo portati a circa 2.000m di altezza passando prima per laStrada dei Fiorentini e raggiungendo

poi il Monte Toraro. Ci attendevaun panorama mozzafiato. Leprecipitazioni dei giorni scorsiavevano steso una coltre bianca sututte le cime circostanti. Anchelungo il nostro sentiero, un leggerovelo bianco era rimasto sul pendioesposto a nord. Sotto, a perditad’occhio, si stendevano gli altipianidi Asiago e di Folgaria ed inlontananza le cime del Pasubioinnevate. Che spettacolo!

Dopo un breve e facile percorsoa piedi ci siamo fermati per unaprima osservazione sul campo. Trale rocce, i pini mughi indicavano un

Laboratori di campagna di Stratigrafia ePaleontologia

guida scientifica: Dr. Davide Bassi, Università di Ferraradata: 17.10.2004età geologica: Giurassico Inferiorelocalità: Tonezza del Cimone (VI), Monte Toraroequipaggiamento: da media montagnadifficoltà: nessunapartecipanti: 11 (Milano, Bergamo, Verona, Vicenza, Ancona)

scere ambienti del tutto simili allespiagge attuali dell’Adriatico.

Siamo intorno al milione di anni.Abbiamo percorso un arco di temponotevole, quasi 6 milioni di anni, dalMessiniano al Pleistocene Inferiore,e a qualcuno fanno male i piedi. E’ora di ritornare a casa. Prima disalutarci ci fermiamo ad un bar perripassare brevemente le emozionidel nostro tuffo geologico nel MareMediterraneo.

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ambiente calcareo, e c’era ancoraqualche coraggiosa genzianella dalcolore viola chiaro. Ovviamentel’attenzione di tutti era concentratasu quelle rocce promettenti, carichedi fossili. Grande fu la sorpresaquando il dott. Davide Bassi, lanostra guida, invece di spiegaresubito il loro contenuto ci chiese abruciapelo, indicando la sequenza dirocce davanti a noi, come avremmodefinito uno “strato”! Ora, losappiamo tutti che cos’è uno strato,ci mancherebbe altro! Tuttavia,definirlo nel modo corretto non erapoi così facile. Ognuno cercò didarne una definizione e quindiuscirono altri termini: orizzonte,lamina, formazione, banco,bancone. E poi tutti a cercare leparole adatte per descrivere ancheuna successione stratigrafica; c’erachi parlava di successioni di strati,chi invece di membri e qualcuno tiròfuori la formazione, e l’orizzonte?Dove mettiamo l’orizzonte? Lezionedi geologia interattiva, che spasso!

È proprio questo che mancaall’autodidatta – e la maggior partedei paleontofili sembra che lo siano– il dialogo con un esperto, con unoche ti costringe a strutturare quelloche hai appreso strada facendo, unoche esige delle risposte concrete edefinizioni esatte. Eravamoentusiasti della nostra collaborazionealla “lezione”. Ma i fossili eranosempre lì che ci aspettavano.

Il dott. Bassi ci fece osservarecome le superfici degli strati nonerano piane, ma piuttosto ondulate,con bozzi grossi come un pugno.Provenienti da questi strati si eranostaccate dei blocchi che, sparse allato del sentiero, mostravano sullaloro superficie delle grosseprotuberanze, dei tunnel fossilizzati,evidenti tracce di organismiscavatori: le icniti!

Che cosa ci raccontano questifossili? Ecco aprirsi un’altra finestradidattica. Certamente, i fossili nonhanno il dono della parola, mamettendo insieme dei dati, per

I partecipantiall’escursione.

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esempio la loro disposizione, il tipodi sedimento in cui si trovanoinglobati, la loro morfologia, lo statodi conservazione, le associazioni dicui fanno parte, si possono trarredelle conclusioni sull’ambiente in cuivivevano e anche sulle loro strategiedi vita.

In uno degli strati checostituivano l’affioramento sipotevano notare delle sottili fascepiù scure, lunghe circa 15 cm eluccicanti per il loro contenuto dicalcite. Dai caratteri geometrici diqueste “fasce” abbiamo dedotto chesi trattava di organismi e non distrutture sedimentarie. Osservandolimeglio abbiamo scoperto che moltisembravano accoppiati, una“fascia” leggermente concava el’altra convessa che si congiunge-vano alle estremità… e la nostraconclusione? Qui avevamo a chefare con dei bivalvi, grossi come unamano! Erano visibili solamente leloro sezioni trasversali, ma cen’erano tanti, strato sopra strato, unvero cimitero: un’altra indicazionesull’ambiente di deposizione, datoche le conchiglie erano ancora inconnessione fisiologica. Nelfrattempo posavamo per una fotoricordo.

Dopo l’emozionante banco agrossi bivalvi ci aspettava un’altrascoperta didattica. Avevamo giànotato in alcuni strati delle sequenzedi due o tre fascette orizzontali difossili molto abbondanti e moltoconcentrati, mentre il resto dellostesso strato ne era praticamenteprivo. Un accumulo così densodoveva avere un’origine repentina.Si trattava, infatti, di accumuliconchigliari dovuto ad una

tempesta! Il confronto fra le varielitologie presenti nell’affioramentoha permesso poi di avere un quadrogenerale della classificazione dellerocce carbonatiche. Gli argomentitrattati stimolarono poi un’ampiadiscussione sulle caratteristiche divari ambienti deposizionali e da quiabbiamo avuto l’opportunità diconoscere il principio di Walther cherisale al 1894!

Avevamo raccolto moltissimeinformazioni e si era fatto tardi. Lostomaco reclamava la nostraattenzione. Così, dopo un ultimosguardo carezzevole al panorama eai fossili lasciammo il sentiero,scendendo non solo geografi-camente, ma anche nel tempo. Ilconcetto di “spazio-tempo”, forsepiù familiare nel campo astronomico,è particolarmente presente neifossili. In loro la quarta dimensione,il tempo, diventa concreta, speciequando si trovano ancora nell’ori-ginaria successione stratigraficainvece che in una bella vetrina almuseo.

A proposito, qui ci troviamo nelGiurassico Inferiore, che corri-sponde più o meno a 200 milioni di

Gli strati bioturbati.

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anni fa. Litostratigraficamenteparlando stavamo osservando ifossili della Formazione Rotzo chefa parte del Gruppo dei CalcariGrigi… con l’occasione ci siamorinfrescati alcune nozioni distratigrafia.

Alla fine ci siamo diretti con leautomobili verso il rifugio MalgaValbona, dove ci aspettavanopolenta, funghi e canederli in brodo,tutto buono, cibo, vino, il caldo dellastufa e, come dessert, la gioia dellenostre scoperte! E qui il dott. Bassi,riassumendo le nostre informazioniraccolte sul campo, ci spiegò vita,morte e… “miracoli” dei fossilitrovati a quota 2.000 m. Cosìabbiamo saputo che i grossi bivalvisi chiamano Lithiotis problema-

tica, Cochlearites loppianus eLithoperna scutata. Si tratta dibivalvi gregari, dato che vivono astretto contatto fisico, guscio aguscio, formando così delle verecolonie alte fino ai 3-4 metri elarghe qualche centinaio di metri. Idati paleoecologici suggerisconouna vita in ambiente lagunare, dalmoto ondoso non troppomovimentato, infossati quasiinteramente nel sedimento un po’fangoso. Come dimensione iLithiotis sono davvero eccezionalicon i loro 30-40 cm di lunghezza.

Siamo rimasti talmente contentidella “lezione” che abbiamo chiestoal dott. Bassi di poter fare il bisl’ottobre prossimo, questa volta neiColli Berici.

I banchi con ab-bondanti accumuliconchigliari.

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Il Simposio Regionale dell’Associazione Internazionale di Alghe Fossili(IFAA) tenutosi a Ferrara il 30 e 31 Agosto ha ospitato numerosi ricercatorisia di università italiane che straniere (Spagna, Germania, Francia, Norvegia,Slovenia, Croazia, Romania, Israele, Cina, Stati Uniti). Alle sessioniscientifiche hanno fatto seguito tre giorni di escursioni incampagna (Colli Berici, Monti Lessini, Val d’Adige, Carso triestino esloveno). I prossimi appuntamenti dell’IFAA saranno il CongressoInternazionale a Zagabria (2007) ed il Simposio Regionale a Milano(Università di Milano Bicocca, 2009). Si ringraziano l’Università degli Studidi Ferrara, la ditta Montura/Tasci di Rovereto (TN) e l’AmministrazioneProvinciale di Ferrara per aver contribuito alla realizzazione del Simposio.

INTERNATIONAL FOSSIL ALGAE ASSOCIATION

5th REGIONAL SYMPOSIUM

DAVIDE BASSI

RESOCONTI DI CONVEGNI Ferrara, 30 agosto - 3 settembre 2005

I partecipanti al Simposio di Ferrara (Dipartimento delle Risorse Naturali e Culturali).

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Questo studio è stato intrapresoal fine di valutare il ruolo giocatodalla attività microbica chemio-sintetica (chemiosintesi=processo diossidazione chimica che fornisceenergia alla biosintesi) nella genesidi corpi carbonatici generati in areedi vent idrotermali e cold seep,ovvero in aree caratterizzate dallafuoriuscita di fluidi ricchi di solfati esolfuri, CO, CO

2 e idrocarburi. È

oramai noto che i vent idrotermali ei seep di idrocarburi si sviluppano indifferenti contesti geotettonici edeterminano la formazione diparticolari interfacce geochimiche ebiologiche (Peckmann e Thiel,2004). Le aree caratterizzate dalventing/seepage di idrocarburi,tipicamente irregolari e intermittenti,sono attualmente dominate econtraddistinte da lussureggiantichemio-ecosistemi composti dacomunità di batteri con metabolismochemiosintetico (=processo diossidazione chimica che fornisceenergia alla biosintesi) e ricchemegafaune di invertebrati zolfo(H

2S-, SO

4=)-tolleranti e chemio-

simbionti. Generalmente, questibatteri ossidano i fluidi rilasciati edeterminano un generale incrementodi alcalinità (pH), la cui conseguenzadiretta è la formazione di precipitatiautigeni, ovvero la formazione dirocce e minerali biologicamenteindotti. Si tratta principalmente didepositi silicatici ricchi in solfuri/solfati/metalli in aree di ventidrotermali e accumuli massivi dicarbonati (metano-derivati) in areedi cold seep. I processi microbiciche predominano nei sedimenti(anossici) ricchi di metano sonol’ossidazione anaerobica del metano(OAM) e la riduzione dei solfati(RS) (Orphan et al., 2002). Inoltre,il 13C derivato dall’OAM deiprocessi microbici e dall’ossidazionedel CO

2 viene fissato nei Ca-

carbonati autigeni durante la loroprecipitazione, conferendo aicarbonati prodotti il segnalegeochimico tipicamente negativo.

Il riconoscimento di talipeculiarità, ma non solo, permettel’individuazione di questemanifestazioni a carattere effimero

TESI DI DOTTORATO Dottorato di Ricerca in Paleontologia(Consorzio Modena – Bologna – Roma)

II ciclo nuova serie (XVI ciclo)

L’ATTIVITÀ MICROBICA IN ROCCECARBONATICHE PRODOTTE IN ECOSISTEMI

CHEMIOSINTETICI: DOCUMENTAZIONEFOSSILE E POTENZIALE DI PRESERVAZIONE

BARBARA CAVALAZZI

Supervisore: Prof. R. Barbieri

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nel record attuale e forniscoimportanti chiavi di lettura per quellofossile. Oggi sono noti per ilCenozoico molti depositi da paleo-seep, mentre le informazioni circaquelli del Mesozoico e delPaleozoico sono, soprattutto perquest’ultimo, estremamente fram-mentarie. E se molti studi sono staticondotti nel tentativo di valutare glielementi diagnostici utili nelriconoscimento delle aree di paleo-vent/seep (Cavagna et al., 1999;Campbell et al., 2002; Peckmann &Thiel, 2004), pochi sono gli studifinalizzati a comprendere e, quindi,documentare cosa dell’intensa

attività microbica chemiosintetica,che caratterizza queste aree, puòessere fossilizzato; infatti, sono notiin letteratura relativamente pochiesempi di fossili microbici in aree diventing/seepage. Il potenziale difossilizzazione delle comunitàmicrobiche chemiosintetiche derivadalla possibilità di costruire corpigeologici in gran parte (anche se nonesclusivamente) costituiti dacarbonati autigeni (auto-micrite).Questi depositi carbonatici, oltre apreservare i resti degli invertebrati,possono contenere molti elementitestimonianti l’intensa attivitàmicrobica che si osserva negli

Fig. 1 - Localizzazione geografica dei paleo-seep da cui provengono i campioni studiati.(1) Paleo-seep del torrente Stirone (Pliocene, Appennino emiliano). (2) Paleo-seep diPietralunga (Miocene, Appenino romagnolo). (3) Paleo-seep di Roccapalumba (Miocene,Sicilia occidentale). (4) Paleo-vent e -seep della Catena dello Hamar Laghdad, Kess kessmound (Devoniano, Anti Atlante, Marocco orientale). (5) Paleo-seep di El Borj (Siluriano,Medio Atlante, Marocco centrale).

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analoghi attuali. Proprio questetestimonianze (fossili morfologici esegnale geochimico) hannocostituito il principale oggetto dellapresente ricerca. A tale scopo èstato intrapreso uno studio multi-disciplinare che coinvolge, di fatto,settori specifici di discipline comela micropalentologia microbica, lageochimica isotopica e la geo-microbiologia.

I carbonati qui studiati sono staticampionati in successive campagnegeologico-paleontologiche condottedurante il 2002 e 2004 in differentilocalità geografiche dell’Italia e delMarocco (figura 1), e appartengonoa differenti contesti geologici di etàmolto differenti (Neogene, Pa-leozoico).

I materiali studiati hannopermesso di ottenere informazioni diattività microbica chemiosintetica

fossile per un intervallo di tempoampio (del Neogene e del Paleo-zoico) e soprattutto documentarepaleo-seep fra i più antichiattualmente conosciuti. I metodi diindagine adottati in questa ricercahanno previsto l’utilizzo di tecnichediversificate riguardo sia iltrattamento dei materiali (sezionisottili paleontologico/petrografiche,attacchi con HCl, sezioni lucide,microcarote e polveri), sia lemodalità di osservazione (stereo-microscopi, microscopi otticipolarizzatori, microscopi elettronicia scansione dotati di rivelatori dielettroni secondari, di elettroniretrodiffusi e per microanalisi;diffrattometro a raggi-X, spettro-metro di massa).

Lo studio delle caratteristichesedimentologiche, mineralogico-petrografiche, macro- e micro-

Fig.2 - Gli spettacolari Kess kess mound della Catena dello Hamar Laghdad (Devoniano,Anti Atlante, Marocco orientale).

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paleontologiche e geochimiche deicarbonati dei palei-seep investigatiha permesso di descrivere moltepotenziali testimonianze di attivitàmicrobica fossile (fig. 3, 4, 5). Leosservazioni condotte alla scalasub-microscopica del segnalegeochimico associate a quellecondotte alla scala micro- emesoscopica dei fabric bio-sedimentari e (bio-)marker morfo-logici hanno permesso di individuare(tab. I):- fabric sedimentari microbica-

mente mediati: fabric clotted (fig.3), tuft e microtuft, euendoliti, orlidi corrosione/dissoluzione deicarbonati, splay aragonitici,botroidi di calcite e aragonite;

- fabric stromatolitici microbica-mente indotti: fabric stromatoliticie microstromatoliti e laminati;(tappeti di) microfossilifilamentosi;

- resti cellulari e biofilm fossilizzati:batteri filamentosi fossili (fig. 4),filamenti organici e biofilmfossilizzati (fig. 5),

- minerali biologicamente indotti oautigeni: micrite cripto-cristallina,pirite neomorfica, barite euedrale,dolomite sferoidale e romboedrica,micro-dolomite.

La biogenicità (Schopf, 1999;Knoll, 1999) di strutture e nano-strutture descritte in questo studiocome fossili microbici è statasostenuta sulla base del confrontomorfologico con analoghi sia attualisia fossili, nonché sulla lorocomposizione chimica (carboniosa),per la loro frequenza nella roccia,in qualità di membri di unecosistema, e per mostrare un tipodi degradazione tafonomicacompatibile con i processi dipreservazione osservata. E sebbenesia difficile stabilire una relazione

Fig.3 - Fotografia al microscopio otticopolarizzatore di micro-fabric clotted (cc)osservato in sezione sottile, carbonatoautogeno del paleo-seep di Roccapalumba,Miocene inferiore, Sicilia occidentale. Scaladi riferimento = 200μm.

Fig. 4 - Fotografia al microscopio otticopolarizzatore in sezione sottile di strutturefilamentose fossilizzate immerse in micriteautogena. Scala di riferimento = 10μm.

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diretta fra caratteristichemetaboliche e morfologia di fossilimicrobici senza ricorrere aibiomarker molecolari, è statopossibile ricavare alcune infor-mazioni circa il comportamentometabolico dei microfossiliriconosciuti sulla base di alcuneinformazioni legate ai processitafonomici e di fossilizzazione,nonché al segnale geochimico(legato al frazionamento biologico)e alle informazioni geomicrobio-logiche ricavate e, ovviamente, alcontesto geologico più in generale.

Se alcune delle evidenze diattività microbica qui descritte sono

state riconosciute sulla base delconfronto morfologico con analoghisia attuali sia fossili, come adesempio i fabric clotted (fig. 3) ele micro-stromatoliti e filamentimicrobici fossili (fig. 4) dei moundDevoniani della Catena dello HamarLaghdad, altre sono state inter-pretate qui per la prima volta comeil prodotto dell’attività microbicachemiosintetica, come ad esempio ibiofilm tridimensionali del paleo-seep del torrente Stirone (figura 4)e del paleo-seep di El Borj, o icristalli di dolomite romboedrica deimound Devoniani della Catena delloHamar Laghdad.

Fig. 5 - Fotografia al microscopio elettronico a scansione di strutture alveolaritridimensionali osservate nella calcite gialla che occlude il sistema di cavità dei carbonatiautigeni del paleo-seep del torrente Stirone, Pliocene, Appennino emiliano. Si noti laregolare architettura della struttura alveolare prodotta dalla fossilizzazione di biofilm.

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Gli ambienti di fuoriuscita di fluidiricchi di metano (vent/seep)mostrano un elevato potenziale difossilizzazione legato principalmenteall’intensa attività microbica(ossidazione aerobica e anaerobicadel metano, riduzione dei solfati eossidazione dei solfuri) e allaconseguente diagenesi precoce del

(micro-)ambiente in cui proliferano,ovvero si verifica un rapportoelevato fra biomassa (non solomicrobica) e velocità di sep-pellimento (carbonati autigeni).Inoltre, la disponibilità di ioni/cationistrettamente legata alle carat-teristiche chimico-fisiche stesse deichemio-ecosistemi microbici ali-

Tab. 1 - Tabella riassuntiva delle evidenze (dirette e indirette) di attività microbicachemiosintetica fossile nei carbonati metano-derivati studiati.

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mentati da fluidi ricchi di metanoprobabilmente favorisce i processidi fossilizzazione. Infatti, lapossibilità di ritrovare fossilizzatiquesti microrganismi (“fossilimorfologici ss.”: membrane e pareticellulari, biofilm e modelli interni)potrebbe essere legata alla capacitàdei microrganismi microbici (batteri)di complessare e/o fissare ioni/cationi (a seconda dei casi),determinando una sua rapidamineralizzazione e favorendo lapreservazione delle loro complessee delicate (ultra-)strutture. Tuttavia,molte sono le evidenze di attivitàmicrobica fossile osservate edescritte in questo studio, e solo inpochi casi sono stati ritrovatipotenziali batteri fossili; la causa varicercata probabilmente nel fattoche la nucleazione dei minerali(soprattutto carbonati) potrebbeprendere il suo via proprio daimicrorganismi soprattutto inrelazione alle loro piccoledimensioni.

BibliografiaCampbell, K.A., Farmer, J.D., Des Marais,

D., 2002. Ancient hydrocarbon seepsfrom the Mesozoic convergent marginof California: carbonate geochemistry,fluids and paleoenvironments. Geofluids2, 63-94.

Cavagna, S., Clari, P., Martire, L., 1999.The role of bacteria in the formation ofcold seep carbonates: geological evidencefrom Monferrato (Tertiary, NW Italy).Sedimentary Geology 126, 253-270.

Schopf, 1999. Fossils and pseudofossils:lessons from the hunt for early life onEarth. In Size Limits of Very SmallMicroorganisms: Proceedings of aWorkshop, National Academy Press,Washington, pp. 88-93.

Knoll, A., 1999. Recognition of a biologicalsignature in rock. Discussion summary.In Size Limits of Very SmallMicroorganisms: Proceedings of aWorkshop, National Academy Press,Washington, D. C., pp. 85-87.

Orphan, V.J., House, C.H., Hinrichs, K.-U., McKeegan, K.D., DeLong, E.F.,2002. Multiple archaeal groups mediatemethane oxidation in anoxic cold seepsediments. Proc. Natl. Acad. Sci. 99,7663-7668.

Peckmann, J., Thiel, V., 2004. Carboncycling at ancient methane-seeps.Chemical Geology 205, 443-467.

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Notizie italiane

Sono riportati i principali risultati delle ricerche riguardanti

il territorio italiano, ma pubblicate in riviste straniere, quindi difficil-

mente accessibili a un pubblico esterno al mondo accademico.

a cura di Carlo Corradini

[email protected]

UNA NUOVA SPECIE DI GASTEROPODE TERRESTRE

NEL PLIOCENE MEDIO PIEMONTESE

Nell’ambito delle ricerche geo-paleontologiche condotte in collaborazionecon i ricercatori dell’Università di Torino sui depositi continentali medio

Pliocenici del bacino Piemontese, sono state rinvenute numerose associazioni

a molluschi terrestri e di acqua dolce. Alcuni dei siti investigati, Villafrancad’Asti e Ceresole (Cuneo), sono noti dall’800 in seguito agli studi dell’illustrepaleontologo e geologo Federico Sacco. A questo studioso è stata infatti

dedicata una nuova specie di prosobranco terrestre appartenente alla famigliaAciculidae:

Renea saccoi Ciangherotti & Esu rinvenuta nei depositi medio-

pliocenici affioranti nella Cava RDB (Villafranca d’Asti) e nei pressi di

Ceresole. La composizione dell’associazione malacologica in cui è stata

rinvenuta la nuova specie è indicatrice di ambiente umido boscoso e diclima temperato-caldo.C IANGHEROTTI A. & ESU D., 2005, A new Pliocene species of the genus Renea G. NEVILL,1880 (Gastropoda: Prosobranchia: Aciculidae). Archiv für Molluskenkunde, 134:121-127

[in inglese].

LE COLLEZIONI TIPO DI CORALLINACEE DI MASLOV

La tassonomia delle alghe rosse corallinacee sia fossili che viventi haavuto significativi cambiamenti durante gli ultimi decenni. Studi recenti

hanno dimostrato che i criteri tassonomici identificativi attualmente usatidai ficologi a livello di genere e di sottofamiglia possono essere riconosciutianche nel materiale fossile. Questo studio riguarda l’analisi di collezioni

tipo di generi di corallinacee descritti da V.P. Maslov. Dal 1935 al 1962Maslov pubblicò due importanti monografie e numerosi altri lavori ditassonomia sulle alghe fossili calcaree di diversa età e provenienti dalla

vasta area geografica corrispondente all’ex-Unione Sovietica. Fra varitaxa egli descrisse cinque generi che attribuì alle Corallinaceae:Solenophyllum, Palaeophyllum, Mesolithon, Bicorium

e

Tomilithon,

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Notizieitalianecome sottogenere di Parachaetetes Deninger.Descrisse inoltre un nuovo genere, Karpathia , cheincluse nelle Squamariaceae. Questo genere è l’unico, fra quelli esaminati,che può essere attribuito con certezza alla famiglia Corallinaceae,sottofamiglia Mastophoroideae. A questo genere possono essere assegnatenumerose specie fossili del Cenozoico. Tutti gli altri generi non presentanosufficienti caratteri diagnostici per un’attribuzione a livello di Famiglia. Lecollezioni tipo dei taxa esaminati sono depositate presso l’Istituto di Geologiadell’Accademia delle Scienze di Mosca.

BASSI, D., BRAGA, J.C., ZAKREVSKAYA, E. & RADIONOVA, E.P.,.2005, Re-assessment of thetype collections of corallinalean genera (Corallinales, Rhodophyta) described by V.P.Maslov. Palaeontology ,.48 (5), 929–945.[in inglese].MAMMIFERI PLEISTOCENICI DELLE ISOLE DELMEDITERRANEOL’articolo integra i dati noti sui mammiferi pleistocenici delle maggioriisole del Mediterraneo (Baleari, Sardegna, Corsica, Sicilia, Malta, Creta eCipro), in termini di biodiversità, grado di endemismo e vie di dispersione,con riferimento alla paleogeografia. Si propone una loro classificazione,

riassunta in tavole sinottiche. Risulta un quadro a volte complesso deipopolamenti faunistici nel corso del Pleistocene. In alcuni casi, le faunesono rimaste a lungo isolate e sostanzialmente indisturbate (es.: Baleari,Cipro); in altri casi si sono verificati cambiamenti faunistici nel tempo,legati a mutamenti paleogeografici, estinzioni e/o possibilità di dispersionioccasionali (Sardegna, Corsica, Sicilia, Malta, Creta).

MARRA A.C., 2005, Pleistocene mammals of Mediterranean islands. Quaternaryinternational ,.129.(2005), pp. 5-14..[in inglese].PALEOECOLOGIA DI MACROFORAMINIFERI ECORALLINACEE DEL PRIABONIANO DEL VENETODall’Eocene Inferiore al Miocene Inferiore i macroforaminiferi e lealghe rosse corallinacee sono costituenti biogeni dominanti dei carbonatid’acqua bassa delle Prealpi venete. Durante l’Eocene Medio-Superiore, i

nummulitidi, gli alveolinidi e gli ortofragminidi rappresentano importantiindicatori biostratigrafici e sono spesso associati alle alghe rosse corallinacee

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Notizieitalianecontribuendo in modo notevole alla sedimentazione

carbonatica d’acqua bassa. L’analisi di facies e lasuccessiva integrazione con dati paleoecologici hannopermesso di ricostruire in modo dettagliato il modello paleoambientale dellesuccessioni dell’Eocene Superiore dei Colli Berici orientali. Le associazionibentoniche a macroforaminiferi ed alghe corallinacee si sviluppavano inuna rampa carbonatica mediana soggetta a tempeste. Queste ultime sonostate registrate nella successione studiata da strutture sedimentariecanalizzate. Il modello paleoambientale suggerisce che i cambiamentisignificativi delle comunità bentoniche erano vincolati, almeno in parte,dalle correnti di ritorno create dalle tempeste le quali rappresentavano unruolo importante sia nel controllare la natura dei fondali che nelladistribuzione delle risorse trofiche.BASSI, D., 2005, Larger foraminiferal and coralline algal facies in an Upper Eocene storm-influenced, shallow-water carbonate platform (Colli Berici, north-eastern Italy).Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology, 226 (2005), 17–35 [in inglese].

ASSOCIAZIONI A CORALLI PROMOTORI DIBIODIVERSITÀ IN AMBIENTI BATIALI PLEISTOCENICI.

Presso Furnari, in Sicilia, affiora una paleoscarpata di faglia che, nelPleistocene inferiore, costituì in ambiente batiale (circa 400-500 m) lasuperficie primaria per la colonizzazione da parte di “Coralli Bianchi” eIsididi. Le colonie arborescenti di questi cnidari, sebbene rimanesseroisolate, raggiunsero presumibilmente altezze di diversi decimetri e forseanche del metro e contribuirono ad incrementare la superficie e a creareuna considerevole differenziazione di microhabitat e nicchie per altriorganismi promuovendo lo sviluppo di un’associazione bentonica ricca ediversificata. I frammenti dei coralli e i resti scheletrici degli organismi adessi associati, inoltre, si accumulavano ai piedi delle colonie e alla basedella scarpata contribuendo alla formazione di sedimento con l’aggiunta diclasti biodetritici anche grossolani colonizzabili a loro volta da faune assentinei fondali fangosi limitrofi situati ad analoghe profondità. Lo studio condottosulle associazioni della faglia, dei substrati biodetritici e dei fondi fangosicontigui ha permesso di ricostruire uno scenario simile a quello dellebiocostruzioni a coralli profondi dell’attuale Nord Atlantico.DI GERONIMO I., MESSINA C., ROSSO A., SANFILIPPO R., SCIUTO F. & VERTINO A., 2005,Enhanced biodiversity in the deep: Early Pleistocene coral communities from southernItaly. In: Freiwald A. & Roberts J.M. (eds.) Deep-water Coral Ecosystems. Springer,Berlin: 61-86 [in inglese].

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NotizieitalianeUN MACACO PLEISTOCENICO IN

ABRUZZO

Nel corso dei lavori di coltivazione di una cava di calcare presso Rapino(Chieti), nel Parco Nazionale della Maiella, è casualmente venuta alla luceuna piccola grotta denominata “Grotta degli Orsi Volanti” per la sua posizionesospesa in parete a circa 150 metri di altezza. All’interno e presso quelloche doveva essere l’ingresso originale, sono stati rivenuti resti di una faunatardo pleistocenica ed industrie litiche musteriane. Fra gli esemplari fossiliè stata riconosciuta la porzione dorsale di un ramo mandibolare sinistro diMacaca, con M

1eM

2, in buono stato di conservazione. Quello di “Grotta

degli Orsi Volanti” è il primo macaco ad oggi rinvenuto in Abruzzo, ed èanche uno dei reperti più recenti, il più meridionale e orientale degli esemplariitaliani. La fauna associata alla Macaca è rappresentata da Ursus arctos,U. spelaeus, Panthera leo, Bos primigenius, Cervus elaphus, Damadama, Capreolus capreolus, Sus scrofa, Meles meles, Equushydruntinus e Stephanorhinus sp. La presenza di E. hydruntinus eStephanorhinus insieme a strumenti musteriani suggerisce unacorrelazione con gli stadi isotopici 5-3.MAZZA P., RUSTIONI M., AGOSTINI S., ROSSI A., 2005, An unexpected Late Pleistocenemacaque remain from Grotta degli Orsi Volanti (Rapino, Chieti, central Italy). Geobios,38, 211–217 [in inglese].

IPPOPOTAMI PLEISTOCENICI EUROPEI

L’individuazione delle specie ancestrali della terraferma da cui hanno avutoorigine gli ippopotami pleistocenici delle isole del Mediterraneo risultadisturbata dalle incertezze tuttora esistenti circa la parentela esistente traHippopotamus antiquus, diffuso in Europa dal pleistocene Inferioreall’inizio del Pleistocene Medio e Hippopotamus amphibius, diffuso inEuropa dal Pleistocene Medio al Pleistocene Superiore. Lo studio deicaratteri morfologici e biometrici del cranio e della mandibola, tuttavia,sembra indicare H. antiquus come antenato di H. creutzburgi di Creta,mentre H. amphibius sembra essere l’antenato di H. pentlandi di Siciliae Malta, da cui a sua volta discenderebbe H. melitensis di Malta. I caratteritipo-amphibius di Phanourios minutus di Cipro non indicano chiaramentela derivazione, anche per le profonde modificazioni indotte dall’endemismo.MARRA A. C., 2005. Pleistocene Hippopotamuses of Mediterranean islands: looking forancestors – In Alcover, J. A. & Bover, P. (Eds.): Proceedings of the Internation Symposyum“Insular Vertebrate Evolution: the Palaeontological Approach”. Monographias de la Societatd’Història Natral de Ils Balears, vol. 12. [in inglese].

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NotizieitalianeFUSULINE RIMANEGGIATE DELLA

SICILIA

Diversi generi e specie di fusuline sono state identificate nella FormazioneLercara affiorante in Sicilia e attribuita con certezza al Trias,. Si tratta di:Reichelina sp., Schubertella paramelonica, Toriyamaia (?) sp.,Neofusulinella lantenoisi, Yangchienia compressa, Rauserella staffý,Darvasites contractus,Chalaroschwagerina (Taiyuanella?) aff.davalensis, Levenella aff. evoluta, Pamirina darvasica, andNeoschwagerina ex gr. craticulifera. Dell’asso-ciazione fanno ancheparte alcuni foraminiferi permiani e delle calcisfere, tra cui la specieAsterosphaera pulchra. Questi microfossili indicano che, nella FormazioneLercara sono stati rimaneggiati diversi piani del Permiano e forse anche ilMissipiano (Carbonifero inferiore). A causa di questi multiplirimaneggaimenti, la Sicilia rimane dunque una regione controversa perfare delle correlazioni biostratigrafiche e paleobiogeografiche, almeno perquello che riguarda il Permiano.CARCIONE L., D. VACHARD D., MARTINI R., ZANINETTI L., ABATE B., LO CICERO G., MONTANARI

L., 2004, Reworking of fusulinids and calcisphaerids in the Lercara Formation (Sicily,Italy); geological implications.Compte Rendu Palevol, 3, 361-368 [in inglese].

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Paleo newsa cura di Paolo [email protected]

LA “RESURREZIONE”DELL’ORSO DELLECAVERNE (?)

Grazie al lavoro congiunto delLawrence Berkeley NationalLaboratory e del Joint GenomeInstitute (Stati Uniti), dell’IstitutoMax Planck di Antropologiaevolutiva (Germania) e dell’Uni-versità di Vienna (Austria), chehanno lavorato sui resti, rinvenuti indue caverne in Austria, è stataottenuta la mappa del DNAdell’orso delle caverne. Infatti dallostudio del patrimonio geneticodell’orso, ricavato dalle analisi, sonostati isolati 21 geni che sono staticonfrontati con altrettanti geniappartenenti al cane (orso e canecondividono il 92% del loropatrimonio genetico). Giustificatol’entusiasmo dei ricercatori per ilrisultato ottenuto per la prima volta,sapendo che il DNA comincia adegradarsi immediatamente dopo lamorte dell’organismo, sottoposto

agli “attacchi” dei microrganismi edell’ambiente esterno. Secondo gliscienziati il limite massimo cui si puòrisalire con questa analisi è di100.000 anni e pertanto non èpossibile ricostruire il DNA deidinosauri. Pensano invece chepotrebbe essere realistico ottenerela mappa genetica di lontani parentidell’uomo, come Homo neander-thaliensis.La notizia è stata pubblicata il 2 giugnonell’edizione on line della rivista Science.

IL PIÙ VECCHIO CONIGLIOCONOSCIUTO

È stato trovato il “bis- bis-bisnonno” di Bugs Bunny! Loscheletro pressoché intatto di unconiglio, completo di cranio con ilunghi denti frontali, le zampeanteriori corte e quelle posteriorilunghe, è stato trovato in Mongolia.Questo fossile, chiamato Gomphoselkema, rinvenuto da GuillermoRougier, con i colleghi della Scuoladi Medicina dell’Università diLouisville, indicherebbe che ilagomorfi (il gruppo che comprendelepri etc.) apparvero dopo, e nonprima, la fine del Cretacico. Inoltregli odierni roditori e i conigliavrebbero in comune un unicopredecessore. Il nuovo scheletro hacirca 56 milioni di anni ed è 20milioni di anni più vecchio del … piùvecchio coniglio mai rinvenuto.La notizia riportata sul numero di febbraiodi Science.“Ma non potevamo clonare un topolino?!?”

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Paleo newsNUOVE SCOPERTE SUCLOUDINA

Cloudina è uno dei più antichianimali dotato di scheletromineralizzato in carbonato di calcio.Questo piccolo fossile tubolare èstato rinvenuto in rocce di circa 660Ma, quindi prima della “esplosioneCambriana”, avvenuta intorno ai 545Ma. Cloudina è un importantefossile stratigrafico, perchécaratterizza il periodo Ediacariano.Tuttavia gli scienziati non sannoancora quale tipo di animaleCloudina fosse o quale parte

rappresenti. Ora unnuovo studio condotto sufossili rinvenuti nellaFormazione di Dengyingnel sud della Cina daricercatori cinesi dellaNorthwest Universitydella città di Xi’an,conferma alcune osser-vazioni circa la forma di

Cloudina e fa delle ipotesi su comevivesse. Gli autori osservano che il“tubo” di Cloudina è una sorta dinido privo di muri trasversali, checontrad-dice la ricostruzionetradizionale dei coni inseriti unodentro l’altro. Inoltre sono statitrovati un certo numero di esemplariche si separano in due tubi distinti;ciò significherebbe, secondo iricercatori, che questo animaleavesse una riproduzione asessuataattraverso gemmazione. La mor-fologia di Cloudina è simile almoderno gruppo dei serpulidi,invertebrati appartenenti agli anellidi

(vermi, n.d.r.), ma i ricercatori nonsono ancora sicuri se queste“somiglianze” indichino una verarelazione evoluzionistica o piuttostouna convergenza evolutiva.Il lavoro è apparso nel numero di Geologydi Aprile

SCOPERTO IL SESSO DEIDINOSAURI?

Un gruppo di ricercatoriamericani, coordinati dallapaleontologa Mary Schweitzerdell’Università North CarolinaState, pare abbia svelato il misterosul sesso dei dinosauri. Grazie a unanuova tecnica che si basa sulconfronto dei tessuti ossei degliuccelli (p.e. gli struzzi) con quelli deidinosauri, gli studiosi si sono resiconto che il fossile di Tyranno-saurus rex, scoperto nel 2002 nelMontana, ha all’interno del femoreuno strato osseo “medullary bone”(osso midollare) molto simile aquello degli uccelli attuali di sessofemminile. Questa struttura ossea,ricca di calcio, contiene piccoli vasisanguigni necessari a trasportare ilcalcio alle uova in via di formazione.Partendo da queste considerazioniM. Schweitzer ha affermato che loscheletro di T. rex appartiene a unafemmina, che la scoperta è unaulteriore prova del legame evolutivotra i dinosauri e gli uccelli e che daquesto momento sarà possibileidentificare il sesso dei dinosauri.Link alla notizia: http://news.nationalgeographic.com/news/2005/06/0602_050602_dino_sex.html

Cloudina

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IL PRIMO UCCELLOIl paleontologo cinese Ji Qiang,

noto per lo studio della fauna fossiledi Liaoning, ha dichiarato di averrinvenuto lo scheletro dell’uccellopiù primitivo, addirittura più vecchiodello stesso Archaeopteryx. Il re-perto, del Giurassico superiore, èstato trovato nel luglio scorso aFengning, a 120 chilometri daPechino, nel nord della Cina. Ilnuovo fossile, lungo circa 54 cm, èstato chiamato Jinfengopteryxelegans e ha la testa triangolare conun becco provvisto di 36 denti. Lacolonna vertebrale ha 12 vertebre

Paleo newscervicali, 11 presacrali e 23 caudali.La coda è lunga circa 27 cm e sonopresenti le “immancabili” penne.Secondo Ji Qiang, Jinfengopteryxè più primitivo di Archaeopteryx siaper le zampe posteriori, chenell’animale cinese sono più lunghedi quelle anteriori, mentre inArchaeopteryx le zampe anteriorie posteriori sono quasi uguali, sia perla dentatura che nel teropode cineseè formata da un numero maggioredi denti più alti rispetto a quelli del“primo uccello” tedesco.Link alla notizia: http://engl ish .people .com.cn/200503/24/eng20050324_178035.html

65 milioni di anni fa...

LA FINE DEL

MONDO E’ VICINA!

PENTITEVI...ANZI

EVOLVETEVI!!!

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Paleo Lexa cura di Manuela Lugli

[email protected]

Il signor Giovanni Manai, socio SPI, mi sottopone il seguente quesito:

“In accoglimento all’invito fatto dalle Soprintendenze il sottoscrittoed altri amici inviammo l’elenco del materiale in nostro possesso,ritenendo così di “regolarizzare” la nostra posizione e non incorrerein violazioni di legge.L’elenco stilato comprendeva tutto il materiale posseduto, comprensivoquindi anche di pezzi acquistati su bancarelle o ricevuto in dono, diprovenienza estera. Vorrei sapere se il materiale che non è diprovenienza italiana, ma incluso nell’elenco inviato a suo tempo allaSoprintendenza debba essere trattato e custodito come il materiale diprovenienza italiana, disciplinato dalla legge sui beni culturali, oppurese il materiale di provenienza estera è libero da vincoli.”

* * *

Occorre sottolineare qualora non fosse stato chiarito a sufficienza che lecose che interessano la paleontologia (tanto per restringere il campo deibeni culturali a ciò che ci interessa) possono essere di proprietà privata opubblica. Nell’articolo apparso sullo scorso numero di Paleoitalia sono statifatti alcuni esempi di ipotesi in cui le cose che interessano la paleontologiadi provenienza italiana possono essere di proprietà privata. In effettil’elenco può essere completato dalle cose che interessano la paleontologia“acquistate da chi è stato autorizzato ad esercitarne il commercio”. E ciòvale sia per i beni culturali di provenienza italiana, sia per quelli diprovenienza estera.Ora l’inclusione nei famosi elenchi inviati alla Soprintendenza di un fossiledi proprietà privata, non ne muta certo la natura, nel senso che se il fossileè di proprietà privata lo stesso rimane tale.Le cose che interessano la paleontologia di proprietà privata (di provenienzaitaliana o estera, non ha importanza) non sono soggette a vincoli. Esse nondebbono essere tenute a disposizione, ma possono essere liberamente

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trasferite e ciò fino a quando al privato non venisse notificata la dichiarazioneche accerta la sussistenza dell’interesse culturale secondo il meccanismoprevisto dagli artt. 13 e seguenti del codice dei beni culturali.Ma tale eventualità potrebbe anche non verificarsi mai, né il privato cittadinoha interesse a provocare un pronunciamento del Ministero dato che il beneprivato non è neppure potenzialmente vincolato.Ad ogni modo va sottolineato che nel caso di beni di proprietà privatal’interesse culturale che potrebbe giustificare l’interessamento del Ministero,finalizzato all’apposizione del vincolo attraverso la notifica delladichiarazione prevista dal citato art 13, deve essere, a norma dell’art. 10,terzo comma lett. a) particolarmente importante.

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Paleolibreriaa cura di Annalisa [email protected]

Paleontologia dei vertebrati in Italia.Evoluzione biologica, significato ambientale epaleogeografia, a cura di Laura Bonfiglio;Memorie del Museo Civico di Storia Naturaledi Verona – 2.serie. Sezione Scienze dellaTerra, 6, 2005, 238 pagine.

[Laura Bonfiglio] A distanza di 25 anni dallapubblicazione de “I vertebrati fossili italiani”,catalogo della mostra allestita al Palazzo dellaGran Guardia di Verona nel 1980, questovolume presenta un panorama aggiornato dellostato delle conoscenze sui vertebrati fossiliitaliani i quali, pur essendo relativamente rarinella documentazione paleontologica rispetto

ai resti fossili di invertebrati, hanno grandissimo significatopaleobiogeografico e paleoambientale.In questi venticinque anni le ricerche sui vertebrati fossili italiani hannoavuto uno straordinario sviluppo con il riconoscimento di nuovi taxa, lasegnalazione di nuovi depositi, lo sviluppo dell’analisi tafonomica, la ricercadi correlazioni con depositi marini, la definizione di scale biocronologichedettagliate e la integrazione dei dati paleontologici con quelli isotopici epaleomagnetici, oltre che con datazioni geochimiche e numeriche. Il volumeregistra puntualmente tutte le novità che sono emerse in questi anni. Ivertebrati fossili italiani sono presentati secondo un ordine cronologico, apartire dal Paleozoico superiore fino al Quaternario e nei singoli capitoli,coordinati da diversi specialisti (A.Tintori, T. Kotsakis, L. Rook ,W. Landini,C. Petronio, L. Bonfiglio) sono esposti i risultati delle minuziose ricerchecondotte sui vertebrati fossili marini e continentali distribuiti in un intervallo

Come vedrete sotto, questo numero di Paleolibreria esce in versionemonotematica. Particolare risalto viene infatti dato al recente volume diPaleontologia dei Vertebrati, curato da Laura Bonfiglio ed edito dal MuseoCivico di Storia Naturale di Verona, che ha riunito i principali specialistiitaliani del settore nel tentativo, perfettamente riuscito, di sintetizzare le attualiconoscenze sul patrimonio paleontologico a Vertebrati presente in Italia. Comesempre, aspettiamo le vostre segnalazioni, anche per lavori a carattere “locale”che ci sarebbe difficile conoscere altrimenti. Buona lettura a tutti

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temporale di qualche centinaio di milioni di anni. Del ricco patrimonio divertebrati fossili italiani illustrati nel volume fanno parte alcuni esemplariunici al mondo per significato paleobiologico e per il contributo che possonodare alla conoscenza della evoluzione dei viventi. Le nuove segnalazioni didepositi contenenti resti di Dinosauri hanno portato contributi inaspettatialla conoscenza della paleogeografia dell’area mediterranea durante l’EraMesozoica. I depositi cenozoici risultano straordinariamente ricchi di restidi ambiente sia continentale che marino e alcuni dei nuovi siti segnalatipresentano un interesse globale sotto l’aspetto paleoambientale epaleobiologico. I depositi a vertebrati continentali pleistocenici sono ordinatiin uno schema biocronologico preciso e ben documentato. Le ricerche suivertebrati pleistocenici insulari hanno dati interessanti risultati con ilriconoscimento di successive fasi di dispersione di “Complessi faunistici”dal continente alle grandi isole italiane. La descrizione della litologia deidepositi e il richiamo ai resti di invertebrati che frequentementeaccompagnano i vertebrati marini tende a ricostruire il quadro ambientaleche ha controllato la vita, la morte e i processi di fossilizzazione dei diversitaxa. I frequenti richiami alle affinità tra i taxa presenti in Italia e quelli notiin altre aree geografiche mettono in luce il significato paleobiogeograficoglobale di alcuni dei vetebrati fossili italiani e ilustrano la successione deglieventi che hanno preceduto la formazione della penisola italiana così comeè attualmente. La maturazione di una nuova sensibilità nei confronti deidepositi fossiliferi a vertebrati come documenti della storia del territorio ecome “monumenti naturali” da conoscere e valorizzare, ha sostanzialmentecambiato l’atteggiamento dei ricercatori e ha dato luogo a iniziative voltealla tutela, alla valorizzazione e alla fruizione del ricco patrimonio dei depositia vertebrati fossili italiani, alle quali viene fatto anche riferimento nel volume.Molte segnalazioni di siti importanti provengono da appassionati raccoglitoridi fossili. Si è voluto sottolineare anche questo aspetto in un’opera per laquale si è scelto di utilizzare, nel rispetto del rigore scientifico, un linguaggiosemplice e comprensibile anche da non specialisti e che potrà avere ancheun valore educativo stimolando lo spirito di osservazione di qualcheappassionato.Il volume, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di VeronaVicenza Belluno e Ancona non è in vendita. Le copie disponibili possonoessere richieste alla Direzione del Museo Civico di Storia Naturale di Verona,e-mail: [email protected]

INDICE DEL VOLUME

INTRODUZIONE, a cura di Laura Bonfiglio.Presentazione, Laura Bonfiglio.Cenni di Storia della Paleontologia dei vertebrati in Italia, Tassos Kotsakis.Ricerca, recupero e progetti di valorizzazione, Laura Bonfiglio, Gabriella Mangano.Insularità e vertebrati terrestri endemici, Laura Bonfiglio.Bibliografia

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PALEOZOICO E MESOZOICO, a cura di Andrea Tintori.Il Permo-Triassico marino- I siti minori, Andrea Tintori, Marco Avanzini, Fabio Dalla

Vecchia, Cristina Lombardo, Silvio Renesto, Ausonio Ronchi.I Vertebrati continentali del Paleozoico e Mesozoico, Umberto Nicosia, Marco Avanzini,

Carmela Barbera, Maria Alessandra Conti, Fabio Dalla Vecchia, Cristiano Dal Sasso,Piero Gianolla, Giuseppe Leonardi, Marco Loi, Nino Mariotti, Paolo Mietto, MicheleMorsilli, Anna Paganoni, Fabio Massimo Petti, Daniele Piubelli, Pasquale Raia, SilvioRenesto, Eva Sacchi, Giuseppe Santi, Marco Signore

Il Triassico medio delle Prealpi Lombarde, Andrea Tintori, Cristiano Dal Sasso, MarkusFelber, Cristina Lombardo, Stefania Nosotti, Silvio Renesto, Giorgio Teruzzi

Il Norico marino dell’Italia Settentrionale, Andrea Tintori, Fabio Dalla Vecchia, EmanueleGozzi, Cristina Lombardo, Giuseppe Muscio, Silvio Renesto

Il Giurassico marino, Andrea Tintori, Cristiano Dal Sasso, Fabio Dalla Vecchia UmbertoNicosia, Giorgio Teruzzi

Il Cretaceo marino, Fabio Dalla Vecchia, Carmela Barbera, Fabrizio Bizzarini, Sergio Bravi,Massimo Delfino, Luca Giusberti, Guido Guidotti, Paolo Mietto, Cesare Papazzoni,Guido Roghi, Marco Signore, Oronzo Simone.

Bibliografia

IL PALEOGENE, a cura di Tassos KotsakisI vertebrati marini, Walter Landini, Chiara Sorbini, Tassos Kotsakis, Giovanni Bianucci,

Andrea TintoriI Vertebrati continentali, Tassos Kotsakis, Patrizia Argenti, Giancarlo Barisone, Massimo

Delfino, Maria Rita Palombo, Marco Pavia, Paolo Piras,Bibliografia

IL MIOCENE, a cura di Lorenzo RookI Vertebrati marini, Walter Landini, Giovanni Bianucci, Michelangelo Bisconti, Giorgio

Carnevale, Chiara Sorbini, Angelo VarolaI Vertebrati della Pietra LecceseLe terre emerse del Miocene, Lorenzo Rook, Tassos KotsakisI vertebrati continentali, Lorenzo Rook, Laura Abbazzi, Massimo Delfino, Marco Peter

Ferretti, Paul Mazza, Danilo TorreLe associazioni a vertebrati continentali del Messiniano, Lorenzo Rook, Laura Abbazzi,

Massimo DelfinoBibliografia

IL PLIO-PLEISTOCENE, a cura di Walter Landini e Carmelo PetronioI Vertebrati marini, Walter Landini, Giovanni Bianucci, Michelangelo Bisconti, Giorgio

Carnevale, Chiara SorbiniI Vertebrati Marini del Fiume MarecchiaIl Giacimento di Orciano (Pisa)

Le faune a mammiferi del Plio-Pleistocene, Carmelo Petronio, Anna Paola Anzidei, ClaudiaBedetti, Fabio Bona, Emanuele Di Canzio, Sergio Gentili, Paul Mazza, Maria RitaPalombo, Marco Pavia, Leonardo Salari, Raffaele Sardella, Andrea Tintori

L’area di Villafranca d’Asti e l’Unità Faunistica di TriversaI mammiferi fossili del ramo sud-occidentale del Bacino Tiberino, UmbriaPoggio Rosso (Valdarno superiore)I vertebrati fossili delle ligniti di Pietrafitta, Bacino di Tavernelle/PietrafittaTorre in PietraLa Polledrara di Cecanibbio (Roma)La Caverna Generosa: un tipico deposito di Grotta ad Ursus spelaeus

Bibliografia

I VERTEBRATI DELLE ISOLE, A cura di Laura BonfiglioLa Sardegna, Maria Rita Palombo, Laura Abbazzi, Chiara Angelone, Claudia Benedetti,

Massimo Delfino, Tassos Kotsakis, Federica Marcolini, Marco PaviaLa Sicilia, Laura Bonfiglio, Gianni Insacco, Gabriella Mangano, Federico Masini, Marco

Pavia, Daria PetrusoLe isole minori, Tassos Kotsakis, Laura BonfiglioBibliografia

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PALEOWEBa cura di Maurizio Gnoli

[email protected]

Dopo alcune puntate dedicate prevalentemente a siti stranieri, in questonumero ci occupiamo solo di siti italiani. Gli anglosassoni sono solitidistinguere i fossili in due categorie: 1) “bulk fossils”, o fossili veri e proprie 2) “trace fossils”, le impronte e tracce fossili. È proprio di questi che

voglio suggerire un sito preparato dalDr. Paolo Monaco del Dipartimentodi Scienze della Terra dell’Univer-sità di Perugia dove tiene un corsodi Ichnologia e da lui chiamato“MetaIchnology” http://www.unipg.it/~pmonaco/Ichnologysite/framePage.html. Nella videatainiziale compare un’illustrazione dicome la paleoichnologia abbialegami con molte discipline diScienze della Terra e biologiche ed

un testo introduttivo alla disciplina. Sulla sinistra compare un indice delcontenuto con 10 “bottoni” cliccabili: dalla storia dell’Ichnologia (1) agliesempi di tracce fossili in Italia (10).Lo stesso autore cura anche unapagina web sui crostacei decapodifossili http://www.unipg.it/~ p m o n a c o / C r u s t a c e a n s /framePage.html .

Credevate che avessi finito? NO,almeno per l’anno accademico 2004/2005 mi hanno “rifilato” (si fa perdire) il Corso di Paleontologia delQuaternario e poiché sono un curiosonavigatore ho trovato sul web un sitocurato dalla prof.ssa Maria Rita Palombo del Dipartimento di Scienze dellaTerra, Università di Roma “La Sapienza”. Una vera esperta in materiacon più di 120 pubblicazioni che vi condurrà attraverso un fantastico

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argomento che ci riguarda molto da vicino in quanto è difficile parlare diquesto periodo geologico senza prendere in considerazione anchel’evoluzione dei nostri antenati in un mondo non sempre ospitale. Andatequindi al sito di “Quando in Italia vivevano gli elefanti”, alias: http://www. leonardodav inc i roma. i t /pub l i c /A t t i v i taCul tura l i /14 /approfondimenti/approf_geologia/appfossili.htm e divertitevi! A mio

avviso il sito potrebbecostituire un vero “Bigna-mino” sulla Paleontologiadel Quaternario. Viricordate quando, allescuole superiori, per unveloce ripasso prima diuna interrogazione o uncompito in classe su unadeterminata materia siricorreva a quei volumetti,i “Bignami” per l’appunto,che pur essendo coincisinon trascuravano nulla diimportante? Nella videata

iniziale compare sulla destra dell’indice dei contenuti un’immagine diElephas anticuus. L’indice comprende Premessa, Il Paleoclima, Le Faunea Grandi Mammiferi, Villafranchiano, Galeriano, Aureliano, Aurelianosuperiore, Bibliografia e Fonti Iconografiche. Il tutto con bellissime immagini.Come potrete constatare di persona, viene trascurato ben poco.

Se qualcuno oltre alle notizie paleontologiche desidera conoscerequalcosa sull’arte rupestre vada al: http://www.culture.gouv.fr/culture/arcnat/lascaux/en/visite.htm dove potrà ammirare cosa erano capaci difare i nostri predecessori durante il Paleolitico superiore 10.000 anni fa aLascaux. Meno spettacolare maaltrettanto importante (patrimoniomondiale dell’umanità) sono i graffitidella Val Canonica raggiungibili al: http://www.arterupestre.net/territorio/valcamonica.htm.

Cos’altro devo aggiungere, o prodinostromi, se non quello di levare le ancoreed imperativamente navigare, navigare,e se non c’è vento cominciare a soffiaresulle vele o andare a motore, inquinandoil meno possibile, mi raccomando!Promettendo d’ora in poi di continuare a dedicare sempre maggior spazioa siti italiani, alla prossima …

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Società Paleontologica Italiana

Giornate di Paleontologia 2006

giugno 2006Trieste

Si prevedono due giornate di comunicazioniscientifiche e due di escursione.

Informazioni più precise saranno disponibilial più presto nel sito web della S.P.I.(www.spi.unimo.it).

AgendaAgendaAgendaAgendaAgendaCongressi e convegni Corsi

Foraminiferi PlanktoniciEocenici

20-24 febbraio 2006Perugia

Per informazioni: Roberto Rettori - Dipar-timento di Scienze della Terra, PiazzaUniversità, 1 - I-06100 Perugia; fax: 0755852603; e-mail: [email protected]

Sito web: http://www.www.unipg.it/~denz/Per ulteriori informazioni vedere la finestraqui sotto.

INTERNATIONAL SCHOOLON PLANKTONIC FORAMINIFERA

5° CORSO

FORAMINIFERI PLANKTONICI EOCENICI

TASSONOMIA, BIOSTRATIGRAFIA E RELAZIONI FILOGENETICHE

Perugia, 20-24 Febbraio 2006

Prof. Isabella PREMOLI SILVAUniversità di Milano

Con la collaborazione di: Dr. Maria Rose Petrizzo

Per informazioni:Dr. Roberto Rettori - Dipartimento di Scienze della Terra, Piazza Università, 1 - I-06100Perugia; tel.: 00390755852664; fax: 075 5852603; e-mail: [email protected] Web: http://www.unipg.it/~denz/

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LA SOCIETÀ PALEONTOLOGICA ITALIANA

La Società Paleontologica Italiana è stata fondata nel 1948 con lo scopo di promuo-vere la ricerca scientifica paleontologica. L’associazione è aperta sia alle istituzioni, sia aisingoli interessati alla paleontologia, sia a livello professionale che amatoriale. Per l’anno2004, le quote associative sono le seguenti:Socio Ordinario (paesi europei) 35 €Socio Ordinario (extra U.E.) 45 €Socio junior (under 30) 21 €Istituzioni 100 €

Fin dal 1960 la S.P.I. pubblica il Bollettino della Società Paleontologica Italiana, cheè una rivista scientifica a valore internazionale, rivolta prevalentemente al mondo accade-mico e, conseguentemente, scritta quasi interamente in lingua inglese.

Dal 2000 il Bollettino viene affiancato da un supplemento semestrale in italiano,PaleoItalia, diretto a tutti gli appassionati e cultori della paleontologia.

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Supplemento al Bollettino della Società Paleontologica Italiana, v.44, n.3, 2005

Direttore Responsabile: Enrico SerpagliSegretario di Redazione: Carlo CorradiniIndirizzo della Redazione: Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell’Orto Botanico,

Università di Modena e Reggio Emilia, via Università 4, 41100 Modena. Tel. 059-2056523.Stampa: Tipografia Moderna, via dei Lapidari 1/2, Bologna.Autorizzazione Tribunale di Modena n. 616 del 16-09-1978

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO

Davide Bassi, Dipartimento delle risorse culturali e naturali, Universtà di Ferrara,corso Ercole I d’Este 32, 44100 Ferrara; [email protected]

Laura Bonfiglio, Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Messina,salita Sperone 31, 98166 S. Agati di Messina. [email protected]

Barbara Cavalazzi, Dipartimento di Scienze della Terra e Geo-Ambientali,Università di Bologna, via Zamboni 67, 40127 Bologna;[email protected]

Rodolfo Coccioni, Dipartimento di Geologia, Università di Urbino, CampusScientifico Località Crocicchia, 61029 Urbino (PU)

Cristiano Dal Sasso, Museo Civico di Storia Naturale, Corso Venezia 55, 20121Milano; [email protected]; [email protected]

Lucia Lops, Dipartimento di Scienze della Terra, Universtà di Milano, viaMangiagalli 43, 20133 Milano; [email protected]

Jordi Orso, via Biancardi 2, 20149 Milano; [email protected] Ragaini, Dipartimento di Scienze della Terra, via S. Maria 53, 56126 Pisa;

[email protected]

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INDICE

Numero 13, Carlo Corradini p. 1

Cari Soci SPI, Antonio Russo p. 2

Giornate di Paleontologia 2005, Rodolfo Coccioni p. 3

Appunti sulla preparazione e sulla conservazione dei fossili.I - preparazione meccanica, Cristiano Dal Sasso p. 7

Crassostrea, ovvero come conquistare un nuovo ambiente,Luca Ragaini p. 12

Rispolverando i celacanti!, Lucia Lops p. 18

Le escursioni dei soci paleontofili nel 2005, Jordi Orso p. 24

IFAA 5th Regional Symposium, Davide Bassi p. 35

L’attività microbica in rocce carbonatiche prodotte in ecosistemiichemiosintetici: documentazione fossile e potenziale di preservazione,Barbara Cavalazzi p. 36

RUBRICHE

Notizie Italiane, Carlo Corradini p. 43Paleo news, Paolo Serventi p. 48PaleoLex, Manuela Lugli p. 51Paleolibreria, Annalisa Ferretti p. 53Paleoweb, Maurizio Gnoli p. 56Agenda p. 58

NOTE PER GLI AUTORIGli articoli non devono superare le tre pagine dattiloscritte. È gradito un

corredo iconografico (fotografie, disegni, grafici, …); nel caso di fotografie acolori, esse devono essere ben contrastate, in modo da avere una buona resa sepubblicate in bianco e nero.

Gli autori possono fornire, se lo ritengono utile, alcune note bibliografiche.Gli autori sono pregati di inviare i propri testi possibilmente tramite posta

elettronica, come “attached files”, oppure su dischetti da 3.5 pollici, specifican-do il programma di videoscrittura utilizzato. Le immagini digitalizzate vannosalvate come file bmp o jpg, possibilmente a 300 dpi.

Di norma gli autori non avranno la possibilità di visionare le bozze. Agliautori non saranno forniti estratti degli articoli.

Gli articoli e il materiale illustrativo devono essere inviati per posta elettronicaall’indirizzo: [email protected], in caso di impossibilità, a: PaleoItalia – Dipartimento del Museo diPaleobiologia e dell’Orto Botanico – Università di Modena e Reggio Emilia – viaUniversità 4 – 41100 Modena.