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Editoriale Il giogo dolce e il carico leggero di Alice Pappelli Pag. 3 L’angolo del Don Vino dei draghi e pane degli angeli di Don Roberto Bianchini Pag. 4 Parole Benedette Verso la Pasqua con papa Francesco di Fabio Fiorino Pag. 5 Cappellania Il fantastico mondo delle relazioni di Roberta Macrì Pag. 6 Dalle tenebre alla luce di Elisa Belvisi Pag. 7 Esperienze Un’esperienza di crescita di Veronica Navobi Porrello Pag. 8 Con la fiducia nel cuore di Ana Sousa Manso Pag. 9 Strasburgo 2013: più di un’esperienza di Giuseppe Vazzana Pag. 10 Ho scelto la vita di Rosaria Paciello Pag. 11 Trovare il tempo per l’altro di Rosy Belvisi Pag. 12 La concretezza della fede di Federica e Francesca Camilletti Pag. 13 Fotografando di Angelo Donzello Pagg. 14-15

Riflettendo La signora a colori di Mari Maltese Pag. 16 Figli di un Dio minore di Claudio Mullaliu Pag. 17 Giusto e utile: due facce della stessa medaglia di Fabrizio Buscemi Pag. 18 Ripartire dal cuore di Alessandra Cocco Pag. 19 Dal mondo dei libri a…pappe, poppate e pannolini di Pasquale e Angela Di Sipio Pag. 20 Racconto La piccola lucciola di Francesca Grosso Pag. 21

UniVersi La poesia mette a fuoco la vita di Angela Comelli e Caterina Dotti Pag. 22 Consigli di lettura Amor magister vitae di Marianna Di Tizio Pag. 23 Ciak si gira Fuori Orario di Eugenio Alfonso Smurra Pag. 24

Tradizioni Gli sfincioni di San Giuseppe di Roberta Pipitone Pag. 25 Passatempo Cruciverba di Filippo Bardelli Pag. 26 Bacheca di Domenico Bova Pag. 27

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In questo numero vi augurano buona lettura...

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La Quaresima ogni anno si propone come cammino personale e comunitario di conversione del cuore, tempo propizio e opportuno per riprendere in mano la propria vita. Durante que-sto periodo una grande realtà domina la scena: la croce. Forse nessuna cosa è più enigmatica della croce. Eppure essa sigilla alcune delle nostre azioni, ma non sempre è capìta. E forse l’errore sta nel fatto che nel mondo non è capito l’Amore, l’amore per eccellenza. Solo l’amore ha spinto Gesù alla croce che da molti è ritenuta pazzia. Ma solo quella follia ha sal-vato l’umanità, ha plasmato i santi, uomini e donne come noi capaci di capire la croce. Chia-

ra Luce Badano, una giovane focolarina beata, ha seguito Gesù, ha raccolto la croce di ogni giorno come la cosa più preziosa della terra; a questo proposito diceva: “Offro tutto a Gesù e cerco di abbracciare forte forte la croce di questo momento”. La croce rappresenta per ogni cristiano un messaggio di speranza e mise-ricordia, come sottolinea papa Francesco nel messaggio per la Quaresima 2014: “Il Signore ci invita ad essere annunciatori gioiosi di questo messaggio di misericordia e di speranza!”; e come direbbe ancora Chiara “I lon-tani non sono nella gioia e non sanno di essere amati da Dio”. Il nostro fine dovrebbe essere questo: essere nel mondo Sua immagine e specchio, mostrare la Sua luce ai nostri fratelli, vicini e lontani. E come? “Da que-sto tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amo-re gli uni per gli altri”. (Gv 13,35) In queste settimane di cam-mino verso la Pasqua mi è capitato di riflettere molto sul mio rapporto con Dio e con gli altri, sulla mia capaci-tà di essere annunciatrice di questo messaggio e soprat-tutto di esserlo gioiosamente! In questo la Parola che il Pa-pa ha scelto a simbolo del messaggio per la Quaresima di quest’anno è stata centra-le. “Si è fatto povero per ar-ricchirci con la sua pover-tà” (2 Cor 8,9). Lui, da ricco che era, ha dato se stesso per noi in un atto supremo di Amore; con questo si scontra la difficoltà tutta umana nell’offrire le nostre piccole sofferenze del quotidiano al Signore. Nel donarGli sentimenti di fiducia e confidenza nella Sua vo-lontà e nel Suo progetto di gioia e di eternità per ciascuno di noi. Nell’andare oltre gli sguardi, i giudizi umani sui fatti e le persone; nell’essere sorretti da un atteggiamento di abbandono in Colui che, solo, è in grado di toccare il nostro cuore, plasmarlo e trasformarlo da cuore di pietra a cuore di carne. Quale tempo migliore per fare tutto questo? In questo modo la nostra sarà sì una croce ma d’Amore e, la Quaresima un itinerario per crucem ad lucem. Enrico Petrillo, marito di Chiara Corbella, a chi gli chiede: “Amate la croce?” risponde: “No, non amo la Croce, e Chiara nemmeno. Ciò che amiamo è Chi sta sulla Croce. La perla preziosa scoperta lungo questi anni è che la Croce diventa leggera se la si porta con Cristo. E che non è così brutta come la si dipinge, se ci unisce a Lui! Se sai che Dio vuole amarti nel fuoco, ebbene, ti butti nel fuoco!” Buona preparazione alla gioia della risurrezione con l’augurio che la Quaresima doni a tutti la capacità di sin-tonizzarsi sull’onda di Gesù. ■

IL GIOGO DOLCE E

IL CARICO LEGGERO

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VINO DEI DRAGHI E

PANE DEGLI ANGELI

Uno degli elementi che più salta agli occhi osservando la società contemporanea è l’onnipresenza dell’aggressività che interessa tutti gli ambiti della vita e quasi tutte le perso-ne. Dal modo di guidare l’auto, all’impazienza stando in fila davanti ad uno sportello di que-sto o quell’ufficio siamo facilmente preda dell’intolleranza. Se poi guardiamo i talk show del-la TV ci rendiamo conto che dai politici, ai giornalisti, fino alle persone comuni interpellate magari per un’intervista, quasi nessuno riesce a comunicare in modo sereno e rispettoso dell’altro. A ben vedere non si tratta di una caratteristica esclusiva dei nostri tempi se la

Genesi riporta nei suoi primi capitoli proprio una storia di aggressività scatenata: l’uccisione di Abele da par-te del fratello Caino. Sembra infatti esserci qualcosa nel cuore dell’uomo capace di scatenare l’ira che poi si riversa sui fratelli. Contro questo demone esigente e terribile dobbiamo lottare tutta la vita senza illuderci né stancarci. Come ci ricorda un maestro spirituale dell’antichità – Evagrio Pontico - “nessuno può diventare cristiano senza combattimento”. In tal modo la vita cristiana verrebbe a coincidere col passaggio dall’ira alla mitezza in un processo di lenta e tragica trasformazione di tutto il nostro essere ad immagine di Cristo, il mi-te per eccellenza. Evagrio metaforizza tale spostamento parlando di vino dei draghi (l’ira) e pane degli angeli (la mitezza). Tutta l’ascesi cristiana, il dominio sul-le passioni, specie quella dell’irascibilità, serve pro-prio a condurre alla mitezza che permette di co-noscere Cristo, di amarlo e servirlo nei fratelli ac-colti con misericordia e pietà. L’ira è una passione che ben orientata può anche aiutarci nella lotta contro il male – per esempio facendoci indignare contro l’ingiustizia - , ma che può anche accecare il nostro intelletto e ridurci allo stato bestiale. Evagrio non esita a dire che chi si nutre del’ira diventa lui stesso demonio. Non a caso chi apre la porta del cuore all’ira e le permette di prendere possesso del suo uomo interiore è incapace di pre-gare. In tal modo l’ira è la passione che più di tut-te allontana l’uomo da Dio dato che gli impedisce il dialogo cuore a cuore col suo creatore. L’uomo invece che cerca Dio con tutto il cuore somiglia sempre di più a Gesù e porta finanche sul volto i segni della mitezza. Anzi, il procedere stesso della sua conformazione a Cristo consiste nel diventare mite di cuore. C’è tuttavia un’arrendevolezza na-turale, talvolta sconfinante nella dabbenaggine, che nulla ha a che fare con la mitezza del discepo-lo del Signore. Essa, al contrario, è scelta e perse-guita con fatica ed accolta come un dono. Nessu-na offesa, nessuna sconfitta, nessuna umiliazione può turbare il mite perché egli conosce Dio e vive nell’amore. Sa perdonare e compatire, si tiene lon-tano dal giudizio e usa misericordia a tutti. In tut-to e in tutti riconosce la somiglianza col creatore e così il suo cuore si strugge di compassione. ■

Per approfondire: G. BUNGE, Vino dei draghi e pane degli angeli. L’insegnamento di Evagrio Pontico sull’ira e la mitezza, Magnano (BI) 1999.

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5 T esti originali all’indirizzo: http://www.vatican.va/phome_it.htm

VERSO LA PASQUA CON

PAPA FRANCESCO

Nel momento della tentazione, delle nostre tentazioni, niente argomenti con Satana, ma sempre difesi dalla Parola di Dio! E questo ci salverà. Angelus, 9 marzo 2014

Noi, discepoli di Gesù, siamo chiamati ad essere persone che ascoltano la sua voce e prendono sul serio le sue parole. Per ascoltare Gesù, bisogna essere vicino a Lui, seguirlo. Seguire Gesù per ascoltarlo. Ma anche ascoltiamo Gesù nella sua Parola scritta, nel Vangelo. Vi faccio una domanda: voi leggete tutti i giorni un pas-so del Vangelo? E’ cosa buona; è una cosa buona avere un piccolo Vangelo e portarlo con noi, in tasca, nella borsa, e leggerne un piccolo passo in qualsiasi momen-to della giornata. Lì è Gesù che ci parla, nel Vangelo! Non è difficile, neppure necessario che siano i quat-tro: uno dei Vangeli, piccolino, con noi. Quando noi sentiamo la Parola di Gesù, ascoltiamo la Parola di Ge-sù e l’abbiamo nel cuore, quella Parola cresce. E sape-te come cresce? Dandola all’altro! La Parola di Cristo in noi cresce quando noi la proclamiamo, quando noi la diamo agli altri! E questa è la vita cristiana. E’ una mis-sione per tutta la Chiesa, per tutti i battezzati, per tutti noi: ascoltare Gesù e offrirlo agli altri. Angelus, 16 marzo 2014

Ogni incontro con Gesù ci cambia la vita, sempre. E’ un passo avanti, un passo più vicino a Dio. Nel vangelo della Samaritana troviamo anche noi lo stimolo a “lasciare la nostra anfora”, simbolo di tutto ciò che apparentemente è importante, ma che perde valore di fronte all’«amore di Dio». Tutti ne abbiamo una, o più di una! Io domando a voi, anche a me: “Qual è la tua anfora interiore, quella che ti pesa, quella che ti al-lontana da Dio?”. Lasciamola un po’ da parte e col cuore sentiamo la voce di Gesù che ci offre un’altra ac-qua, un’altra acqua che ci avvicina al Signore. Angelus, 23 marzo 2014 ■

Oggi, siamo invitati ad aprirci alla luce di Cristo per portare frutto nella nostra vita, per eliminare i compor-tamenti che non sono cristiani. Domandiamoci come è il nostro cuore? Ho un cuore aperto o un cuore chiuso? Aperto o chiuso verso Dio? Aperto o chiuso verso il prossimo? Sempre abbiamo in noi qualche chiusura nata dal peccato, dagli sbagli, da-gli errori. Non dobbiamo avere paura! Apriamoci alla luce del Signore, Lui ci aspetta sempre per farci vedere meglio, per darci più luce, per perdonarci. Angelus, 30 marzo 2014

Nostro Padre ci aspetta sempre, non solo ci lascia la porta aperta, ma ci aspetta. Lui è co-involto in questo aspettare i figli. Dio non solo è all’origine dell’amore, ma in Gesù Cristo ci chiama ad imitare il suo stesso modo di amare. Nella misura in cui i cristiani vivono questo amore, diventano nel mondo discepoli credibili di Cristo. L’amore non può sopportare di ri-manere rinchiuso in se stesso. Per sua stessa natura è aperto, si diffonde ed è fecondo, ge-nera sempre nuovo amore. Omelia nella celebrazione penitenziale, 28 marzo 2014

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…è necessario perdere tempo nella relazione per non perdere il tempo della relazione.

IL FANTASTICO MONDO

DELLE RELAZIONI

Tante emozioni sono trapelate e tanto coinvolgimento ha richie-sto il tema de “Le Relazioni” af-frontato quest’anno nella Cappel-la Universitaria in collaborazione con il Consultorio Giovani di Sie-na. I partecipanti hanno saputo

mettersi in gioco, guidati con attenzione dalla Dott.ssa Rosanna Marchionni, psicologa, affian-cata da Rossella, Francesco “I”, Francesco “II”: un’equipe formidabile. Non è facile stabilire una connessione con l’altro ma bisogna almeno provar-ci perché relazionarsi costituisce un bisogno al quale non ci si può sottrarre. L’esigenza di porsi nei confronti dell’altro con un atteggiamento di ascolto, di accoglienza e di sostegno ha da subito evidenzia-to la prima difficoltà cioè uscire da se stessi, riuscire a limitarsi per rispettare e andare incontro all’altro. E’ difficile e costa molto perché comporta mettere da parte il nostro io, troppo spesso in prima linea, per la-sciare spazio a una comunione di idee con l’altro che arricchisce, a un dialogo, un incontro fatto di conside-razione, premura e cortesia. Il percorso sulle relazioni ci ha visti protagonisti di prove pratiche che hanno mostrato il nostro essere, quello che siamo e le nostre debolezze. Momenti di allegria e ironia hanno lasciato spazio a momenti intensi di commozione, di fragilità e grande coraggio perché mettersi in gioco significa sve-larsi negli aspetti positivi ma soprattutto in quelli che ci piacciono meno. Abbiamo cercato di capire se quel-lo che sentiamo rispecchia ciò che vogliamo e soprattutto se tutto questo porta ad agire per ottenerlo, cioè se c’è coerenza! L’autenticità e il prendersi cura dell’altro fanno sì che all’interno di una relazione i protago-nisti assumano gli stessi atteggiamenti ed è questa alchimia che nasce a permettere di danzare la stessa dan-za. C’è un tempo per danzare e, per viverlo al meglio, per arrivare a quel “reciproco danzarsi intorno”, biso-gna essere pazienti. Nella relazione ognuno ha il proprio ritmo ma è necessario incontrarsi, “è necessario per-dere tempo nella relazione per non perdere il tempo della relazione”. Così come accade con le stagioni, an-che la relazione attraversa quattro fasi che partono da un coinvolgimento emotivo che precede la realtà,

passando dalla scoperta di aspetti positivi e negativi per arrivare ad un bivio dove o la relazione finisce o si rigenera portando i protago-nisti a scegliersi reciprocamente come compagni di viaggio. Un viag-gio non privo di difficoltà e conflitti, risultato di punti di vista e o-biettivi differenti; l’importante però è imparare a passarci dentro e a gestirli. Come si può fare? Osservando, ascoltando l’altro e se stessi, porsi all’interno di una comunicazione accogliente e mai giudicante che aiuta a capire e a non fare confusione, partecipare in maniera autentica, il che significa partire intanto da noi stessi abbandonando pregiudizi, premesse e pretese! Il copione di questa impegnativa con-nessione è il tempo: nel contesto della relazione bisogna rispettare i ruoli seppur nella diversità e nella individualità di ognuno, sapersi limi-tare per considerare l’altro facendo strada alla genuinità e all’armonia. Se tutto questo succede e si mette da parte la paura allo-ra si danzerà meravigliosamente bene. E’ un atteggiamento contagio-so, basta crederci! ■

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DALLE TENEBRE ALLA LUCE

La comunità di S. Vigilio ha avuto recentemente il piacere di assistere ad una testimonianza unica: Ange-la Calcagno è stata nostra ospite sabato 29 Marzo. La storia di una bambina a cui è stata oscurata l’infanzia, storie di

abusi, di botte. Crescendo Angela diviene una don-na di successo, uno chef rinomato a livello interna-zionale, a cui nulla manca: soldi, uomini, potere; rac-conta di aver avuto tanti uomini quante erano le stagioni lavorative in giro per il mondo; dice: “Per una bambina che non ha conosciuto l’amore è prati-camente impossibile essere capace di provarlo e di riconoscerlo una volta adulta”; è quindi una donna sola e debole. Angela nella sua storia racconta di essersi realmente innamorata solo una volta, di un ragazzo, fortemente cattoli-co, con il quale si sarebbe sposata se solo non fosse dece-duto a pochi giorni dalle nozze. Da que-sto tragico evento Angela non si rialza, la rabbia la pervade e inizia la sfida con-tro Dio, un Dio che lei non riconosce come Padre buono. Sono forti le parole che lei stessa ci raccon-ta di aver urlato sulla spiaggia al termine dei funera-li del fidanzato: “Dio se tu esisti io ti distruggo, ma se tu non esisti passerò la mia vita a dire al mondo che tu non esisti”. Intraprende un percorso terapeutico con una “psicanalista”, un rapporto morboso e di dipendenza che la catapulterà dentro una delle più potenti set-te sataniche d’Italia, all’interno della quale sarà membro attivo per ben due anni. Angela definisce questi anni il periodo della sua “discesa agli inferi”. Lei non scende nei particolari del suo “tesoro segre-

to”, così chiama quel passato pieno di terrore e fe-rite. Quella che ci racconta è più la storia di una conversione, della risalita, la testimonianza dell’incontro con il Padre Misericordioso, la rinasci-ta, davvero, dalle tenebre alla luce. Angela si sof-ferma sul tema della conversione, che va rinnovata giorno per giorno; aggiunge che quello che ci viene chiesto dal Signore non è facile ma è chiaro: vivere secondo il Vangelo, mettendo davanti la nostra stra-da sempre Dio, prima di qualsiasi cosa e per fare questo è necessaria una profonda conoscenza della Parola di Dio. Ha vissuto in prima persona l’esperienza dell’abbandono e ci confessa come ab-bia trovato nella Vergine Maria una Madre onnipre-

sente, una Madre dolce e severa allo stesso tempo, alla quale poter sempre rivolgere lo sguardo, una Mamma che non ci abbandona. Rac-conta come ha cono-sciuto la comunità di Nuovi Orizzonti con una Chiara Amirante agli esordi. Nel suo percorso ha avuto un ruolo cruciale l ’ i ncont ro anz i l’abbraccio di Chia-ra; da qui, infatti, è partito il difficile cammino di “pulizia”

spirituale, di scoperta di un mondo di amore e di gioia. Angela ancora si commuove quando ricorda le parole dell’allora cardinale Joseph Ratzinger che, nel rispondere ad una lettera inviatagli da Chiara e da un sacerdote, in cui veniva richiesto il permesso per l’assoluzione di Angela, disse: “Oggi la Chiesa è in festa perché una figlia è tornata a casa”. Adesso Angela, a circa venti anni dalla rinascita, ha fatto la scelta di ritirarsi a vita di preghiera, a Ca-scia, dove è stata accolta dalle suore agostiniane; adesso il Signore vuole da lei silenzio e preghiera. Siamo grati ad Angela per questa forte testimonian-za, che davvero incarna la parabola del Figliol Prodi-go. ■

“Oggi la Chiesa è in festa perché una figlia è tornata a casa”

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UN’ESPERIENZA DI CRESCITA

Avevo dentro una carica enorme, tanta vo-glia di fare, ma pian piano era come se andasse-ro affievolendosi. Sentivo che qualcosa dentro me stesse cam-biando o forse il cambiamento era già avvenu-

to, guardavo ciò che mi circondava con occhi diversi. Ero pressata dall’idea di voltare pagina, di andare alla ricerca di nuovi stimoli; quella città era diventata troppo piccola, è para-dossale ed anche alquanto assurdo, io non ci stavo più dentro. Ho provato la sensazione che solo dentro ad un cartone anima-to della Walt Disney si può provare: crescevo smisuratamente, la testa, le braccia, ed eccomi davanti ad un bivio, un importante e difficile bivio. Di una cosa ero ormai certa: dovevo andar via da Catania. Sono una di quelle persone particolarmente legate al nido familiare, agli affetti, alla quotidianità di ciò con cui son cresciuta: difficile fare i conti con un cordone simile. D’altro canto penso che bisogna fare diverse esperienze di vita, girare, provare e magari poi realizzare che proprio in quel posto da cui si spicca il volo, nulla mancava. Decido di trasferirmi! Determinazione, caparbietà e perseveranza, di queste mi nutro per affrontare la difficoltà che un trasferi-mento, quasi repentino, possa comportare. Arriva il 18 settembre ed io parto alla volta di Siena: splendida città toscana, stilisticamente medievale, che pullula di turisti in ogni suo angolo, anche il più nascosto. Col passare dei giorni ne resto sempre più colpita, mi piace passeggiare per le sue viuzze, scoprire scorci di paesaggi da cui mi risulta impossibile non soffermar-mi ad ammirare e riflettere su quanto diversa è ora la mia giornata. Comincio a frequentare l’universitá, ed ogni cosa qui sembra funzionare diversamente; riacquisto quella vo-glia di fare che da tempo non sentivo più in corpo e un passo alla volta il frastuono catanese diventa solo un vecchio tassello del grande puzzle che è la vita. E come per ogni inizio che si rispetti, comincio a conoscere nuove persone e nuovi posti. Ecco che una do-menica, su suggerimento di un’amica, la quale mi aveva molto parlato della cappella universitaria di Siena, decido di partecipare alla celebrazione eucaristica per gli universitari alla Chiesa di San Vigilio, ed immedia-tamente sento di essere nel posto giusto, al momento giusto.

Era proprio quello di cui avevo bisogno: una boccata di sana freschez-za ogniqualvolta la nostalgia e i brutti pensieri sembrano rapirmi in una dimensione parallela. Mi rattristava l’idea di dover rinunciare a tutto ciò che avevo coltivato nell’ultimo anno in Sicilia, al mio paese, con un gruppo parrocchiale di giovani ragazzi uniti dall’amore per Dio e la co-munità. Oggi, voltandomi indietro anche solo per un istante, vedo un percorso tanto tortuoso ma anche e soprattutto scorgo un cammino di vita che mi ha fatto crescere, e ringrazio Dio per tutte le opportunità e per le persone che mi sono state accanto ad ogni caduta, ad ogni vit-toria. La vita non ha in dotazione un libretto di istruzioni. Superere le diffi-coltà, ascoltare la voce dentro me e affidarmi a Dio: ecco la chiave di volta che mi permette di amare questo mondo, stabile e iperstabile, tanto imperfetto e tanto speciale. ■

La vita non ha in dotazione un libretto di istruzioni. Superare le difficoltà, ascoltare la voce dentro me e affidarmi a Dio.

Le difficoltà del trasferimento in una nuova città, da Catania a Siena: punto e a capo!

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CON LA FIDUCIA NEL CUORE

Cos’è il destino? Cos’è la nostra vita? Per me, è tutto come una bar-ca a vela. La barca è la nostra vita, il mare immenso sono tutte le possi-bilità che esistono, Dio è il vento. E noi chi siamo? Il navigatore. Possia-mo scegliere. Sarà sempre una no-

stra scelta: rimanere fermi e non fare niente la-sciandoci andare - a volte per caso - con il vento ma spesso con qualsiasi corrente che passi; possiamo prendere le vele in mano con determinazione e com-battere il vento con rabbia e finire per perderci, stanchi e disperati o... possiamo prendere le vele in mano, con la stessa determinazione ma con fiducia, capendo che è quel vento che ci fa andare avanti e ringraziandolo per esserci. E imparare a conoscerlo, ad amar-lo, a conoscerci in Lui e ad usare la sua forza per andare do-ve scegliamo di anda-re, accettando però che siamo guidati da Lui e che alla fine arriveremo dove Lui ci porterà. Ecco cos’è il destino! È stato esattamente con questa fiducia che ho lasciato Lisbo-na quattro anni fa per traferirmi a Siena. È stata tanta la gioia con cui sono rimasta con voi tre anni, per poi ripartire! Questa volta verso l’Inghilterra. Senza neanche averlo cercato. Cosa mi fa partire e tornare a ripartire ancora? La fiducia nel cuore. Davanti a una opportunità, mi fermo, rimango in silenzio, penso e soprattutto sento e, se sento che devo andare, anche se non capisco bene il perché, allora vado. Per quanto paradossale possa sembrare, sono precisamente la bellezza e l’amore trovati in quello che lascio che mi fanno ripartire: il motivo è perché mi sono fidata prima, che vi ho tro-vato e non riesco ad immaginare la mia vita senza

avervi conosciuto. Allora mi fido che la stessa forza che mi ha portato a voi, mi porterà ancora, e sem-pre, a tutto quello che devo ancora conoscere e a chi mi manca ancora di trovare. Perché non c’è mai perdita, perché al contrario della presenza fisica la dimensione dell’anima è infinita ed eterna e lì tutto rimane vivo e presente per sempre. Come diceva Papa Benedetto “Chi crede in Dio non è mai da solo”. Ed ecco perché la paura di cambiare e da sola non vince mai. Perché... Da sola? Io? In realtà non sono mai stata da sola in vita mia! Ma oltre alla compagnia eterna di Dio e della nostra Madre Maria, la nostra fede ci porta spesso anche a trovare i fratelli di fede. Non sempre, però, si tro-va subito l’empatia che ho sperimentato con voi e

non sempre una co-munità è spiritualmen-te stimolante come quella della nostra Cappella Univesitaria. Ma anche questo ci porta crescita, in A-more e pace. Perché se cerchiamo di se-guirLo, Lui ci viene sempre a trovare, in qualsiasi forma: ecco un altro motivo per cui non bisogna la-sciare mai che la pau-ra vinca! Una delle cose piu belle è imparare a vi-vere l’Eucaristia e la

vita in comunità nelle diverse culture. Qui in Inghil-terra ci sono persone di tante e diverse origini cul-turali. Vedere queste famiglie, unite ognuna a modo suo, nello stesso Amore, durante una celebrazione eucaristica è qualcosa di indescrivibile. Come è an-che un’esperienza molto arricchente conoscere da vicino persone di altre religioni e percepire la pre-senza di Dio nella vita di ciascuno. E sognare. So-gnare che un giorno il nostro mondo sarà veramente uno nel Suo Amore unico. Sognare sempre con la stessa fiducia... nel cuore. ■

“Sii il navigante che apre le vele al vento” (Pindaro)

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E’ un pomeriggio di ottobre, squilla il cellulare. E’ il mio amico Marco, responsabile per la Regione Toscana dei giovani del Movimento per la Vita, che mi propone di accompagnare a Strasburgo un gruppo di ragazzi della Toscana, il cui lavoro di scrittura è risultato tra quel-li vincitori di un concorso europeo indetto dal Movimento per la Vita. Il MPV è la più gran-de associazione nazionale che si propone di promuovere e difendere il diritto alla vita e la dignità di ogni uomo sin dal momento del concepimento. Lì per lì sono un po’ tentennante, in quanto ero conscio che non sarebbe stata una semplice gitarella, avrei infatti avuto la

responsabilità di ben 15 ragazzi. Lascio passare un paio di giorni, alla fine accetto. Ho ritenuto che poteva essere un’occasione di crescita personale, in cui potermi mettere alla prova. Si parte dalla stazione di Santa Maria Novella dove mi aspettano i ragazzi insieme alla professoressa Giuliana e alla signora Albertina, due persone eccezionali che mi sono state di grande aiuto nel corso di questa esperienza. La prima vera cono-scenza con i ragazzi è avvenuta quando abbiamo fatto sosta in Svizzera. Sin da subito ho capito che avrei avuto a che fare con ragazzi svegli, un po’ vivaci, ma in grado di apprezzare l’importanza di questa esperien-za. La sera arriviamo a Strasburgo, ad accoglierci c’è la pioggia, ma poco importa, in quanto sin dalla prima cena ho avuto l’onore di conoscere tantissimi ragazzi ed accompagnatori provenienti da tutta l’Italia, perso-ne di una educazione e di una simpatia fuori dal comune. Il primo giorno assistiamo alla Santa Messa, cele-brata nella bellissima cattedrale di Strasburgo, mentre nel pomeriggio facciamo visita al Consiglio d’Europa. Qui i ragazzi hanno dovuto simulare un vero e proprio dibattito parlamentare, attraverso la votazione delle mozioni sul documento “Uno di Noi”, relativo al riconoscimento dell’embrione umano, quale essere umano a tutti gli effetti. Il momento più emozionante è stato sicuramente la testimonianza di una ragazza di 16 anni che aveva deciso di tenere il suo bambino, nonostante fosse consapevole delle difficoltà che avrebbe avuto, vista la sua giovane età. Il giorno successivo facciamo visita al Parlamento europeo, qui assistiamo ad un in-contro con gli onorevoli Carlo Casini e Joseph Daul. Personalmente sono rimasto molto colpito da queste due figure, in quanto la loro umiltà e il loro impegno europeo mi hanno fatto capire che esiste anche un’Europa fatta di persone capaci di preoccuparsi e di risolvere i problemi dei cittadini, soprattutto in un momento abbastanza delicato come quello attuale. Abbiamo concluso con una cena all’Ancienne Douane, il momento più divertente di questo viaggio, in cui ho approfondito ulteriormente la conoscenza con i simpati-cissimi ragazzi toscani. L’indomani è tutto pronto per il ritorno in Italia, nel mio borsone porterò sicuramente il ricordo di un esperienza formativa che mi ha permesso di conoscere persone in grado di combattere per la tutela dell’essere umano, unica e vera fonte di speranza per tutta l’umanità. Non smetterò mai di ringraziare Marco e il Movimento per la Vita per questa bella occasione. ■

10 Per approfondire: http://www.mpv.org/uno_di_noi/ http://www.giovaniprolife.org/

STRASBURGO 2013: PIU’ DI

UN’ESPERIENZA

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HO SCELTO LA VITA

Per approfondire: https://www.facebook.com/antoniosalvatoremaria.oriente

È ormai passato qualche mese dal giorno in cui si è tenuta in Cappella Universitaria la conferenza-testimonianza “Basta aborti” con il professor Antonio Salvatore Maria Oriente, medico ginecologo dell’AIGOC di Messina. Egli dap-

prima ha fatto un quadro dei vari aspetti clinici le-gati alla terapia abortistica, alle difficoltà fisiche che la donna incontra o può incontrare nell’imminenza dell’aborto e nei mesi successivi, sen-za trascurare ovviamente l’aspetto psicologico. In-dubbiamente fino a questo momento l’argomento non aveva disatteso le mie aspettative quanto ad interesse e curiosità, sebbene la parte che più mi ha emozionata doveva ancora essere raccontata. Di-smessi i panni del professionista, Antonio Oriente ha cominciato ad aprire il suo cuore e a parlarci di quando non viveva da cattolico, di quando - soprat-tutto nel suo lavo-ro - non era l'amo-re di Dio per gli uomini a spingerlo ad agire. Per lun-ghi anni aveva aiu-tato le donne ad abortire, senza chiedersi mai se fosse giusto o sba-gliato, era sempli-cemente il suo la-voro, perché farsi tante domande? Ad un certo punto della sua vita, però, ha sentito qualcosa (o forse Qualcuno!) che gli chiedeva di cambiare: ma come? Cosa? E perché poi? Aveva tut-to: una moglie, una grande casa, molti soldi. Cos’altro poteva desiderare un uomo? In tutta one-stà, quella che stava raccontando sembrava proprio una di quelle storie che vengono narrate nei film; ma quella non era una sceneggiatura fantasiosa, era la vita di un uomo che, con commozione, stava te-stimoniando a degli sconosciuti la gioia del suo in-

contro con Dio. Per il prof. Oriente era giunto il momento di cambiare vita; il Signore stava parlando al suo cuore e lui, seppur impaurito da quella voce, aveva iniziato ad ascoltare. Agli occhi degli altri la sua vita era meravigliosa, eppure lui non era mai soddisfatto di ciò che faceva e sua moglie non riu-sciva a non pensare di non aver figli. Nel raccontare la sua storia, ad un certo punto, usò un’espressione emblematica per esprimere il sentimento che stava vivendo: “vagavo!” Disse che spesso di notte andava in giro con la sua auto senza una meta precisa, vaga-va con i pensieri, col cuore: non aveva capito per-ché quel malessere, quello star male. Poi, d’improvviso, le prime risposte: cominciò ad incon-trare le persone giuste che il Signore aveva posto sul suo cammino, ad ascoltare le donne che gli chie-devano di abortire e in qualche modo a capire la vita e il suo senso più profondo. L’incontro con Dio era ormai iniziato e la rivoluzione della sua vita era

in pieno svolgimen-to. Di lì a poco tutto cambiò: de-cise di non “uccidere più bam-bini con le sue ma-ni”, anzi di aiutare le donne in diffi-coltà che gli chie-devano aiuto, di dare loro una spe-ranza nei momenti bui. Raccontò di essere riuscito, seppur in modo un po’ rocambolesco, a incontrare Papa

Francesco donandogli gli “attrezzi del mestiere” dai quali ormai si era separato per sempre, perché la sua professione doveva essere un inno alla vita, non alle tenebre. La storia del prof. Oriente è ben più lunga di quella qui riassunta, e ne è davvero valsa la pena averla ascoltata dal vivo, perché è stata un messaggio di speranza, ha testimoniato quanto me-ravigliosamente possa cambiare la vita di un uomo quando il Signore parla al suo cuore. ■

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TROVARE IL TEMPO PER L’ALTRO

Affondare le radici nel Vangelo è la nostra forza Per saperne di più, contattaci scrivendo a: [email protected]

Siena, 28/02/2014 Non è cosa di tutti i giorni trovarsi in una redazione di un importante giornale ed essere i protagonisti di un’intervista…a noi di Volunisi è successo. Volunisi è il gruppo di volontariato della Cappella Univer-

sitaria nato nel gennaio 2013 con l’obiettivo di fare del bene all’altro, chiunque esso sia, così come è, e contagiare giovani come noi in ambiente universita-rio a fare altrettanto. Non servono particolari capa-cità per intraprendere questa esperienza, se non volontà e decidere di avere tempo da donare. Al momento Volunisi è costituito da ragazzi che si oc-cupano di animazione in casa di riposo e in casa famiglia, dopo-scuola, visita ai car-cerati e raccolte ali-mentari. Giorni fa Laura Val-desi ci ha contattati chiedendo di poterci fare qualche doman-da e noi non ci siamo lasciati di certo scap-pare questa occasio-ne per pubblicizzare il nostro gruppo. Ci siamo ritrovati ieri pomeriggio, con i rap-presentanti dei singo-li gruppi del volonta-riato, davanti la sede de La Nazione. Inizialmente eravamo un po’ emozio-nati, ma la giornalista era veramente gentile e ci ha messi a nostro agio. Il ghiaccio è stato rotto da Fa-bio, che ha fatto una presentazione generale del nostro gruppo quindi si è focalizzato sul progetto “casa di riposo” per poi introdurre le altre attività e passare la parola ai vari responsabili. Io, a dir la veri-tà, ho parlato ben poco ma ho ascoltato e osservato tanto i miei compagni di avventura. È stato commo-vente sentirli raccontare con tanto entusiasmo e passione quello che facciamo. Fabio in particolare si illumina quando parla di Volunisi e sembra quasi che

le parole non gli bastino mai o che non siano capaci di spiegare a sufficienza quello che sente… credo che a volte vorrebbe non parlare per niente e aprire direttamente il suo cuore. Giusy, con l’allegria e l’esuberanza che la contraddistinguono, ha parlato della sua esperienza in casa di riposo e del progetto “raccolte alimentari” di cui lei è referente. La no-stra dolcissima Alice ha raccontato come organizza i gruppi del doposcuola e quali sono le necessità delle strutture alle quali ci appoggiamo. Federica e Francesca, le nostre Chiche, sempre precise, diret-te e ironiche, hanno fatto un quadro molto chiaro della situazione alla casa famiglia e di quali sono le attività che settimanalmente fanno svolgere ai bam-bini. Decoroso ha fatto un racconto molto appas-

sionato della sua espe-rienza in carcere, evi-denziando come la nostra appartenenza alla Cappella Universi-taria, e quindi allo spi-rito cristiano, sia fon-damentale per affron-tare una realtà così difficile e sottolinean-do che affondare le radici nel Vangelo è la nostra forza per poter portare un messaggio di speranza a chi a volte sembra averla perduta. La giornali-sta ascoltando i nostri racconti è rimasta stu-pita affermando con

meraviglia un particolare interesse riguardo la no-stra attività. Credo che nel cuore di ognuno di noi ci fosse il desiderio di far capire che è necessario “TROVARE IL TEMPO PER L’ALTRO” in una so-cietà che non si preoccupa del prossimo e che a tratti risulta superficiale. Queste esperienze sono un’immensa ricchezza per noi, ci fanno capire che una piccola goccia in mezzo al mare può fare la dif-ferenza e che questo flusso di dare e ricevere amo-re può essere il motore di una società che a volte sembra essere spenta. ■

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13 … una delle cose che più la colpiva di lui era il suo desiderio di piacere sempre di più a Dio

LA CONCRETEZZA DELLA FEDE

Domenica 9 marzo dopo la messa si è fermata in Cappella Ida Maria, la re-sponsabile della ca-sa famiglia Papa Giovanni XXIII,

presso la quale alcuni di noi svolgono l’attività di volontariato. È stata per noi una grande gioia poter condividere la Messa e il dopo cena con Ida e le bambine ospiti della casa, mostrar loro la realtà dalla quale veniamo e grazie alle quali ci siamo incontrate, farle cono-scere agli amici di San Vigilio. Dopo una cena veloce è stato proiettato un video dal quale emerge chiaramente la vocazione della comunità a seguire Gesù povero, servo e sofferente e a condividere la vita degli ultimi. Gli ambi-ti di intervento della Giovanni XXIII sono moltissimi: le case famiglia, il carcere, le missioni, l’impegno a favore delle ragaz-ze schiavizzate e costrette alla prosti-tuzione, il sostegno alla maternità diffi-cile, la preghiera da-vanti agli ospedali nei giorni degli abor-ti, e tanti altri. Finito il video abbia-mo chiesto ad Ida di ritrarci un profilo di don Ore-ste, che lei ha conosciuto personalmente. Ci ha det-to che una delle cose che più la colpiva di lui era il suo desiderio di piacere sempre di più a Dio. Pro-prio da questo nasceva il suo non sentirsi mai arriva-to, la consapevolezza che c’era molto altro da fare, la convinzione di non potersi mai concedere il ripo-so.

Ci ha raccontato poi come è nata la prima casa fa-miglia. Don Oreste organizzando un campo estivo a Canazei decise di portare con sé, oltre ad alcuni suoi alunni, dei ragazzi disabili. Alla fine della setti-mana, durante il giro di esperienze, uno di questi disse che la vacanza era stata bella però mentre tut-ti gli altri potevano tornare nelle proprie case loro erano costretti a rientrare in Istituto. Colpito da questa osservazione il sacerdote si rese conto della necessità di ogni uomo di vivere una dimensione fa-miliare nella quale non ci si senta più assistiti ma scelti. Nasce così l’idea di creare una comunità e-ducativa residenziale che richiama in tutto e per tutto una famiglia naturale. Infine Ida ci ha parlato della sua storia: dopo diver-se esperienze attraverso le quali ha cercato di capi-re quale poteva essere il modo più conforme alla

sua persona per ri-spondere alla chia-mata universale ad amare, ha trovato nella comunità Papa Giovanni XXIII la forma migliore di vivere il Vangelo e realizzarsi. Vedere la sua timi-dezza, conoscere la sua quotidianità, il dono totale che ha fatto della sua vita ci fa tornare alla mente San Paolo quando parla della carità che non si vanta, non si gonfia

d’orgoglio…che tutto sopporta. Mentre Ida parlava, guardando le bambine sedute di fronte a noi, ci faceva sorridere pensare che non si rendano ancora conto della grazia che il Signore ha fatto loro facendole crescere accanto a una donna così. Un giorno piacerebbe anche a noi riuscire, come Ida, a parlare di Dio senza il bisogno di usare tante parole. ■

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RITIRO DI QUARESIMA

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VIA CRUCIS

DEGLI UNIVERSITARI

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16 …sta a noi combattere il dilagare della diffusione di modelli di televisione negativa

Amata, disprezzata, esaltata, irri-verente, politicizzata, per gli adul-ti, per i ragazzi, per tutta la fami-glia… arriva in Italia negli anni ’30 -al 1934 risalgono le prime trasmissio-ni sperimentali per conto dell’EIAR- ma è costretta a interrompere la

sua attività a causa della guerra per ritornare al la-voro agli inizi degli anni ’50, suggellando come nient’altro mai il nuovo clima di spensieratezza di-rompente caratteristico del boom economico. Non avete ancora capito? Parlo della regina dei mass media: la Signora Televi-sione. La Signora ha settant’anni ma è innegabile che più il tempo passa più lei ha la capacità di rinno-varsi, sebbene dicano che ultimamente si senta un po’ trascu-rata a causa di certi giovinotti conosciuti sotto il nome di “Social Networks” che tronfi e spavaldi cercano con tutte le loro armi di rubare il maggior quantitativo di tempo possibile alla gente, soffiando-le l’antico primato. Ha il cuore affranto, non si capacita ma-dama Televisione, lei no, non faceva così agli inizi della sua carriera: cercava di allettare tutti, si mostrava più bella che mai, sfavillante di luci e di colori come una ragazzina al suo primo appuntamento, voleva essere ammirata ma non si è mai permessa di insinuarsi nella libertà dei suoi fans. Si faceva incontrare a orari prestabiliti e per un margine di tempo che aveva un inizio e una fine… è vero, a volte gradiva che si stes-se a guardarla anche per intere giornate ma, salvo rari casi, quelli erano giorni dedicati al non voler far nulla da decisione deliberata. Lei non ha mai voluto violare la privacy dei suoi adulatori, lei, maliarda,

alla fine si è innamorata di chi l’amava… Però la Signora non ha perso le speranze e ha deciso di mettersi al passo con i tempi tant’è che nello sti-vale tante sono le reti che ci consentono di ripristi-nare l’antico rapporto con lei e tutte diversificate per target di utenza o per divulgazione di argomenti ben precisi. Da quando essa si presenta ormai in sola tenuta digitale, per non parlare di quando si veste dell’abito “pay”, allora sono davvero molti i mondi che si stagliano sullo schermo. Ma già lontani dai tempi in cui guardandola si pote-va addirittura imparare a leggere e a scrivere oppu-re quando, prima della diffusione di Internet, essa era il mezzo principale per restare sempre informati. Programmi quali “Studio Uno”, “Canzonissima” e “Lascia o raddoppia” grazie a figure quali Mina,

Mike Bongiorno, Al-berto Lupo e tanti altri trasmettevano un’idea di varietà foriera di un’educazione allo svago e alla raffina-tezza che difficil-mente avrebbero po-tuto apprendere tut-ti; oggi lei a cosa ser-ve? Credo che questa nobildonna qualcosa da offrire ce l’abbia ancora. Sta a noi se-lezionare i programmi e i canali adeguati, le

figure di presentatori e show-men (and women) che possano rivestire il ruolo di punti di riferimento o di garanti del fatto che questo Paese produce ancora cultura. Sta a noi anche combattere il dilagare della diffusione di modelli di televisione negativa che por-tano solo del male in quanto infondono speranze fittizie a gente che in realtà rimane vittima della sua ignoranza, perché, Signora mia, glielo devo dire: a volte anche lei frequenta posti e persone che le fanno meritare il soprannome di “Spazzatura”, non si offenda. ■

LA SIGNORA A COLORI

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17 Per approfondire: www.ens.it Filmografia: “Figli di un dio minore” (regia di Randa Haines, 1986)

Se tutto il mondo improvvisamen-te tacesse, il silenzio non sarebbe abbastanza profondo da poter ren-dere l’idea di cosa sia una vita sen-za suoni. La voce dei propri figli, del proprio fidanzato, della propria compagna di banco, del datore di

lavoro, della suocera; mai poter udire il proprio pa-dre dire: “Sono fiero di te”, la propria madre: “Figlia mia, ti voglio bene…”. La disabilità, la malattia, ci circonda in tutte le sue più variegate forme e ci impone una riflessione di carattere etico-morale che trascende l’individualità del singolo e tocca l’universalità del problema di un Dio buono e di un mondo “malato”, in amen-due i sensi. La malattia che si vede all’occhio ci appare disa-strosa, catastrofica; ma quella che non si vede? Il lato “umano” della malat-tia è quello, almeno, di sa-per mostrare se stessa: suscitare compassione, pietas, movimenti d’animo che sono misericordia e aiuto. Non così pure la “malattia invisibile”: la sordità. Il sordo ha un duplice mu-ro innanzi a sé: non è visi-bilmente malato, e perciò non suscita empatia in chi gli sta innanzi; non può comunicare il suo dolore a chi gli sta innanzi, e l’incomunicabilità lo accompa-gna spesso per molta parte della sua vita. Quanti di voi ne hanno mai sentito realmente parlare? I sordi sono invisibili e si muovono silenti: figli di una Re-pubblica che per troppo tempo li ha dimenticati, o se ne ricorda solo durante le campagne elettorali. Uno Stato che non riconosce la L.I.S. (Lingua Ita-liana dei Segni) come una vera e propria lingua, ma

ritiene ancora di doverla relegare al livello di una mimica gestuale da Commedia dell’Arte. Cittadini di serie B, indegni di essere ascoltati perché non han-no “voce”: meno degli altri portatori di handicap, meno degli immigrati clandestini (che una voce la hanno, anche quando cuciono le proprie bocche). Ti accorgi di un sordo solo quando, in strada, lo vedi segnare; quando vedi un comizio elettorale o un TG LIS di cinque minuti. E se per un attimo ti dici: “Poveretti…”, cheti così la tua coscienza e tiri a campare coi tuoi già molti problemi. Nessuno si è mai chiesto se un sordo ha da dire la propria riguar-do la politica, il meteo, la partita di calcio di ieri

sera, la moglie infuriata che segna con rabbia per-ché il marito non ha saluta-to la suocera. Nessuno si preoccupa di chi non esi-ste. E dopo 100 anni di pro-digi non siamo in grado di rilevare la “malattia”, anda-re in uno dei centri E.N.S. (Ente Nazionale Sordi) ter-ritoriali ed informarci: ab-battere il muro dell’incomunicabilità. Ac-corgersi che la malattia è solo un punto di vista. Per-ché, invero, il confronto con chi è costretto al silen-zio ci spaventa: troppo pre-occupati che le mani possa-no dire cose più vere e più essenziali di quelle di cui ciarliamo tutti i giorni. Troppo preoccupati che il silenzio ci costringa all’essenzialità dell’essere,

al dover parlare con noi stessi. E Dio, questo sconosciuto, come è possibile un dia-logo con Lui in questo caotico silenzio delle parole? L’essenzialità del Cristo stava, forse, più nei gesti che nelle parole; e dare un senso compiuto alla vo-cazione più alta del cristianesimo richiede un silen-zio ed un segno, quello della Croce, che insegna tutto: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. ■

FIGLI DI UN DIO MINORE

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18 Non siamo nati soltanto per noi stessi (Cic. Off. I, 22)

”«Tutto mi è lecito!». Ma non tutto giova” dice San Paolo (1 Cor. 6, 12); ma parafrasandolo si potreb-be anche dire “molte cose mi giova-no, ma non tutto è lecito”. Ciascu-no di noi è spesso chiamato ad in-terrogarsi proprio su ciò che sia

utile e su cosa sia veramente lecito. A tal proposito Quel che è giusto fare è il titolo italiano della re-cente traduzione Einaudi del De officiis, l’ultima opera scritta da Cicerone. È il 44 a.C., Cesare è sta-to ucciso da pochi mesi, la classe dirigente romana sembra incapace di risolvere la crisi politica aperta dalla morte del dittatore: Cicerone si sente chiama-to a dare una risposta che non sia tanto una soluzione imme-diata di tipo isti-tuzionale ma che sia capace di ri-definire, appun-to, quel che è giusto fare, ciò a cui è chiamata la nobiltà romana a lui contempora-nea. Nonostante che la sua propo-sta etica abbia più di duemila anni, essa è an-cora capace di parlarci perché riflette su due concetti che interes-sano anche il nostro agire, ovvero l’onestà e l’utilità. Quante volte ci sarà capitato di dover scegliere tra qualcosa che ritenavamo giusto fare ma che ci co-stava sacrificio e, dall’altra parte, la via più semplice ma eticamente discutibile che ci avrebbe portato velocemente al raggiungimento dei nostri obiettivi! L’esempio forse più lampante potrebbe essere quel-lo della raccomandazione: è di certo un sotterfugio ingiusto perché annulla qualsiasi valore della merito-crazia, ma altrettanto allettante, perché capace spesso di aprire porte altrimenti serrate. Cicerone

riporta un esempio ugualmente efficace: un mer-cante di Alessandria ha da vendere a Rodi le pro-prie merci, il cui prezzo è reso alto da un periodo di carestia; sapendo che nel frattempo altri mercanti con le loro navi stanno arrivando lì facendogli così concorrenza, dovrebbe dire ciò ai Rodiesi o, tacen-do, dovrebbe vendere le sue merci al prezzo più al-to? La soluzione a questo dilemma propostaci dall’oratore romano mette l’accento su una possibile doppia interpretazione del concetto di utilità, spo-stando l’accento dal piano dell’individuo a quello collettivo: utile non dovrà necessariamente inten-dersi come vantaggioso per sé, per il singolo chiama-to alla scelta etica ma piuttosto per il noi, per la

dimensione alta del vivere insie-me. Siamo sicuri che sia utile ot-tenere posti di prestigio senza alcun merito, guadagnare de-naro sulle sven-ture di un popo-lo in carestia? È autentica felici-tà, è vera ric-chezza, è reale prestigio quello costruito ai dan-ni del bene co-mune? E questo è vero perché

noi siamo la collettività, i nostri vissuti si interseca-no, le nostre scelte hanno sempre effetti sugli altri. Davanti al bivio tra onesto e utile non ci verrà chie-sto, dunque, di scegliere per l’uno o per l’altro, ma sapremo che in realtà i due termini non si escludono affatto a vicenda: sarà onesto solo ciò che sarà uti-le per il maggior numero di persone e non reca dan-no ad alcuno. Pertanto come suggerisce Cicerone: il tuo utile sia l'utile comune e per converso l'utile comune sia il tuo, che suona come la regola d’oro, non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te! ■

GIUSTO E UTILE: DUE FACCE

DELLA STESSA MEDAGLIA

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19 “Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa con-

tro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello” Mt 5,23-24

Quando finisce una sessione di esami particolarmente impegnativa sentiamo tutti l’esigenza di staccare un po’ la spina. Ed è per questo motivo che il 16 febbraio mi ritrovo a Roma con il mio fidanzato e i nostri 5 cugini che vivono lì. Finalmente abbiamo la possibilità di ascoltare “dal vivo” Papa Francesco e non ci facciamo scappare l’occasione di essere pre-senti per l’Angelus. E’ una bellissima e inaspettatamente calda domenica, piazza San Pietro è gremitissima. Siamo tutti presi dall’allegria, io in particolare sono rapita dal fascino di quella piazza magica dove si respira contemporaneamente area di festa e di raccoglimento. In quel

clima così allegro, un po’ da gita del liceo forse, ecco che spunta lì in alto quell’omino vestito di bianco e in men che non si dica con poche parole chiare e dirette mi colpisce il cuore e mi costringe a fare una severa autocritica: “Gesù ci ricorda che anche le parole possono uccidere! [..] Non solo non bisogna attentare alla vita del prossimo, ma neppure riversare su di lui il veleno dell’ira e colpirlo con la calunnia. Neppure sparlare su di lui. [] Le chiacchiere, pure, possono uccidere, perché uccidono la fama delle persone! [..] Vi dico la verità, sono convinto che se ognuno di noi facesse il proposito di evitare le chiacchiere, alla fine diventereb-be santo! È una bella strada! Vogliamo diventare santi? Sì o no?[..] Da tutto questo si capisce che Gesù non dà importanza semplicemente all’osservanza disciplinare e alla condotta esteriore. Egli va alla radice della Legge, puntando soprattut-to sull’intenzione e quindi sul cuore dell’uomo, da dove prendono origine le no-stre azioni buone o malvagie. Per ottenere comportamenti buoni e onesti non bastano le norme giuridiche, ma occorrono delle mo-tivazioni profonde, espressione di una sa-pienza nascosta, la Sapienza di Dio, che può essere accolta grazie allo Spirito Santo. E noi, attraverso la fede in Cristo, possiamo aprirci all’azione dello Spirito, che ci rende capaci di vivere l’amore divino.” Onestamen-te credo che non ci sia molto aggiungere a queste parole. Tutti ci lasciamo andare alle chiacchere e abbiamo un po’ la tendenza al “giudizio facile” verso le persone che ogni giorno incontriamo sulla nostra strada. Per un attimo mi sono vista come una bellissima mela splendente e perfetta all’esterno ma con alcune parti marce all’interno, e da quel-la piazza me ne sono andata con una doman-da rivolta a me stessa che desidero condividere con voi: che senso ha sforzarsi di osservare i precetti della nostra fede, di compiere opere buone e migliorarsi nella vita spirituale se nel profondo del nostro cuore, giorno per giorno in fondo continuiamo a fare l’opposto di ciò che è a fondamento della nostra vita, cioè l’Amore? La risposta a questa domanda è una sola. Quando sentiamo che stiamo cadendo nella “pietra di in-ciampo” fermiamoci un attimo, ascoltiamo il nostro cuore e ripartiamo da esso, ripartiamo dall’Amore ma da quello vero, quello che ti spinge ad ascoltare il prossimo e ad andargli realmente incontro, non da quello fal-so che, per esempio, a una persona “antipatica” ti fa porgere un saluto educato, un sorriso e qualche parola di circostanza: quello non è Amore per il prossimo, è sola buona educazione. ■

RIPARTIRE DAL CUORE

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20 Per mezzo della reciproca donazione personale, […] gli sposi tendono alla comunione delle loro persone, con la quale si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite (Paolo VI, Humanae Vitae, n. 8)

DAL MONDO DEI LIBRI A…

PAPPE, POPPATE E PANNOLINI

La mattina dello scorso 2 ottobre, dopo nove mesi di attesa e un lungo e doloroso travaglio, abbiamo finalmente stretto tra le brac-

cia nostro figlio Matteo, un vispissimo bimbo lungo e magrolino. Ma la nostra genitorialità siamo certi fosse insita già nella scelta di sposarci: sebbene en-trambi avessimo un lavoro precario, abbiamo sentito di non dover posporre l’apertura alla vita alla co-struzione di una stabile carriera lavorativa. Abbia-mo consapevolmente scelto di fare di questa chia-mata il nostro più importante “investimento” e Dio ci ha ricolmato della Sua benedizione. I primi tempi sono stati par-ticolarmente in salita per complicanze post partum di Angela e per un trasloco improrogabile. Tra ricoveri e pacchi da imballare, ab-biamo dovuto coordinare gli sforzi per assicurare a Matteo un’atmosfera sere-na, potendo contare sull’impagabile sostegno dei nostri cari. Anche per l’iniziale preoccupazione di far fronte alle importanti spese che l’arrivo di un bim-bo comporta, abbiamo spe-rimentato con sorpresa quanto aiuto ci sia arrivato tanto dai parenti, quanto dagli amici e addirittura da persone sconosciute. La Provvidenza ha sovrabbondato facendoci giungere non solo tanti regali, ma anche molti oggetti tenuti in ottimo stato e appartenuti ad altri bambini, che come fratelli maggiori li passavano al nuovo arriva-to: vestiti, giochi, attrezzature e addirittura mobili per la cameretta. Se il nostro stile di vita era già cambiato nel passag-gio dallo status di fidanzati universitari a quello di

coniugi lavoratori, è innegabile che la nuova “formazione a tre” abbia comportato forti riassesta-menti: in questo primo periodo abbiamo dovuto ac-cantonare anche le abitudini più scontate come an-dare in pizzeria o vedere un film al cinema. Ma ab-biamo subito intravisto in ciò la grande scommessa di cercare nuovi equilibri e rinnovare così anche il nostro rapporto. Se ad esempio il cenare a casa co-stituiva un breve momento di pausa tra un’attività e l’altra, ora è divenuto un appuntamento preparato con maggiore cura e amore, una nostra occasione per parlare e guardarci negli occhi senza fretta. E così tante attenzioni (un fiore raccolto e donato al risveglio, la nostra musica ascoltata a basso volume mentre il bimbo dorme, un dvd guardato accoccola-ti sotto il plaid) ci aiutano a riconoscerci come sposi l’uno dell’altra prima ancora che come un papà e

una mamma. Inoltre da quando c’è Matteo nella nostra casa risuonano molte più risate e ci ritroviamo a giocare anche noi come bambini! Ad amplificare la gioia della nostra avventura di genitori c’è la continua scoperta che non siamo soli! Non ci è mai mancato il sostegno nella preghiera da parte dei cari, e parenti ed amici vengono a trovarci tutte le volte che possono. Ciascuno a modo suo si offre di aiutarci in qualcosa: portarci la spesa, accompagnarci a fare il vac-cino, cucinarci qualche pie-

tanza, ecc… Anche chi vive lontano si fa spesso vivo per farsi raccontare ogni tappa della crescita di Matteo. E noi proviamo tanto stupore e gratitu-dine nel sentire quanto l’affetto e l’amicizia, che hanno sempre avvolto la nostra coppia, ora venga-no riversate su nostro figlio, generosamente inclu-so in questo amore gratuito e ricoperto di coccole da parte di tutti. ■

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C’era una volta, una piccola lucciola che amava illuminare i prati e i campi nelle notti d’estate, che gioiva nel vorticare con i suoi compagni, ma provava la grande curiosità di av-venturarsi per il mondo, guardando e custodendo tutto ciò che la sua luce, ad ogni passo, le mostrava di nuovo e di autentico. Una sera, scoprì la dolcezza di farsi cullare dal rumore del mare, che scorgeva immenso, ma languido, alla sua fievole luce. Ad un tratto, tuttavia, si accorse di non essere sola: un uo-mo le era seduto accanto, sulla riva, lasciando che il mare bagnasse i suoi piedi e che la

brezza rubasse i suoi sospiri. Timida, ma curiosa, un po’ incerta ma contenta di aver trovato qualcuno che nutrisse la sua stessa passione di girare per il mondo, si avvicinò e sprigionò il suo cerchio di chiarezza. L’uomo la notò e, rapito, si distolse dal suo dialogo col mare. Si abbassò fino a sfiorare l’umida sabbia con la punta del naso e scoprì quella calda luce che faticava a cercare nella vita e che non si sarebbe aspettato di trovare nella notte. Lei fu colpita e catturata da quegli occhi che mai si era fermata ad osservare tanto da vicino: erano un turbinio di emozioni simile a mille luci danzanti, pieni di domande, ricordi, certezze che sa-rebbero state smentite, aspettative che volevano essere cercate e un presente che era in guerra col suo stesso tempo. Travolta da tante sensazioni, non riuscì ad allontanare la sua luce da quello sguardo così significativo, ma così bisognoso di essere illumi-nato per poter parlare. L’uomo infatti, sentiva di aver trovato una voce pur restando nel si-lenzio e, a poco a poco, si sentì invadere da una quiete e da un calore che non provava più dal-la sua infanzia. Entrambi, con-quistati di aver scoperto chi la vera vita e chi dove dovrebbe risiedere, non riuscirono a ri-manere lontani e, da quel gior-no, si ritrovarono tutte le notti di fronte a quel mare, per la-sciarsi trasportare dalla vastità imprevedibile che era scaturita dall’incontro di una fragilità d’animo con una fragilità naturale. L’uomo si accorse che la lucciola sprigionava più luce quando le si avvicinava con lo sguardo e rimaneva rapi-to e estasiato dalla gioia che provava, per una volta, nel non veder morire ma rifulgere qualcosa che avesse incrociato i suoi occhi. Le chiese allora di poterla mantenere per le sue piccole ali delicate, per poter illumi-nare, finalmente, il suo volto. Col passare delle notti, però, le ali della piccola lucciola iniziarono ad indebolir-si senza che lei se ne rendesse conto, tanto era coinvolta dal vivere in quello sguardo. L’uomo, invece, si era accorto che la luce da lei emanata, di notte in notte, diminuiva visibilmente, ma non riuscì a lasciarla andare, pur dilaniato dal dolore di essere la causa del suo affievolirsi. Solo quando la lucciola intravide dilagare la tristezza in quegli occhi, realizzò che le sue ali stavano per fran-tumarsi e non provò dolore per esse, ma per il precipitoso senso di vuoto che la fiducia tradita le aveva sca-vato dentro. Le ali, una sera, cedettero sotto il peso di una lacrima dell’uomo che unì il suo sale a quello del mare… ■

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LA PICCOLA LUCCIOLA

Entrambi, conquistati di aver scoperto chi la vera vita e chi dove dovrebbe risiedere, non riuscirono a rimanere lontani…

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LA POESIA METTE A

FUOCO LA VITA

Tre sono le condizioni necessarie per la poesia: apertura, attenzione, libertà.

DAVIDE RON-DONI, nato a For-lì, si è laureato in letteratura italia-

na all’Università di Bologna con il prof. Raimondi. Ha fondato e diretto il Centro di Poesia Contempo-ranea dell’Università di Bologna. Ha scritto diverse raccolte di poesia, pubblicate in Italia, nei principali Paesi europei, nonché negli Stati Uniti. Ha tenuto e tiene corsi di poesia e di letteratura negli atenei di Bologna, Milano Cattolica, Genova, allo Iulm, e ne-gli Stati Uniti. Svolge un’intensa attività pubblicisti-ca: ha fondato e dirige la rivista clanDestino, è opi-nionista di Avvenire, è stato critico letterario nel supplemento domenicale de Il Sole 24 Ore. Saltua-riamente pubblica sul Corriere della Sera. Dal 2006 conduce per TV2000 Antivirus, un pro-gramma di poesia. Spiegando il titolo, Rondo-ni ha sottolineato come la poesia permetta di andare al fondo della realtà. Essa nasce dall’osservazione della realtà, lasciandosi provocare da essa. Rondoni s’è dedicato alla poesia perché interessato alla vita: voleva che que-sta non fosse noiosa. “Il vizio peggiore di tutto è la noia” (Baudelaire): l'unico modo per combatterlo è stare più attenti alla vita, essere “uomini vivi”. Nella vita è importante incon-trare “uomini-finestra” che aiutino ad allargare lo sguardo sul mondo. Da cosa nasce l'ispirazione? Dall’attenzione al reale, ma l’attenzione dipende dal-la libertà: lo schiavo non è attento a niente, ripete solo se stesso. La poesia è un inseguimento appas-sionato della realtà. Quando qualcosa ci colpisce

davvero (un amore, un dolore, una notizia) non usia-mo le solite parole, ne cerchiamo altre per mettere a fuoco quello che ci ha colpito, come quando dia-mo un soprannome alla persona amata. La poesia nasce per strada, ovunque ci si lasci colpi-re dalla realtà (Ungaretti, nella poesia “Veglia”, vi-vendo in trincea l’esperienza di morte e drammatici-tà scrive: “Nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’amore. Non sono mai stato tanto attaccato alla vita”). Tre sono le condizioni necessarie per la poesia: a-pertura, attenzione, libertà. Come si svolge il lavoro di un poeta? Ci vogliono di-sciplina e lavoro, non è un atto spontaneo. L’arte è come un’amante gelosa, è un’esperienza totalizzan-

te. L’umiltà (ovvero farsi terra) permette di passa-re dalla spontaneità al lavoro che porta all’opera d’arte: non è da un supe-ruomo che nasce l’arte. E’ necessario avere dei maestri a cui chiedere, a cui guardare (cita l’amicizia con Mario Luzi e l'esempio di poeti come Caproni e Loi), una per-sona nella poesia vede la sua vita, non quella del poeta. La poesia non de-ve essere definita, analiz-zata, ma com-presa (ossia presa con sé), lasciando che le parole ti sorpren-dano e ti accompagnino: se rileggi una poesia in

vari momenti della tua vita, ti dice cose diverse. Di fronte all'arte e alla poesia, ognuno ha la sua liber-tà: “Dante non può commuoverti per forza!”. Sollecitato dalle domande Rondoni ha ribadito che per fare esperienza di poesia non bisogna essere e-sperti di letteratura, ma essere vivi e disposti a sor-prendersi per il continuo avvenimento del mondo e del suo segreto. ■

Incontro con il poeta e scrittore Davide Rondoni.

Siena, Chiesa di S. Vigilio, 25/01/2014.

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23 Per approfondire: Gibran Kahil Gibran, Le ali spezzate, Bur Rizzoli, 2008

AMOR MAGISTER VITAE

La gioia e il dolore che affiorano dal sentimento d’amore colmano le pagine di una delle opere di Gibran, Le ali spezzate. In questo romanzo viene narrata la breve ma intensa relazione che coinvolge il protago-nista al limite della sua adolescen-

za, consentendogli di accedere a una comprensione di sé e del mondo che nessuna attività meditativa può permettere. Nelle parole dell’autore, l’amore è descritto come una forza che sgorga dall’incontro spirituale tra due persone. Nel momento esatto in cui i protagonisti si conoscono accade qualcosa: le loro rispettive di-mensioni spirituali scoprono di aver trovato il pro-prio perfetto interlocutore, l’alterità che rende completi. L’amore, quindi, non procede sul piano della razionalità, ma concerne un livello più profon-do della personalità umana: trova corretta collocazione nella zona più intima dell’anima, in quella sfera che Gibran definisce il “sancta sanctorum dello spirito”. La regione più re-condita dell’uomo, dunque, a cui si lascia accedere solo coloro che l’amore rende degni. Una relazione intes-suta a un simile livello non si esprime attraverso procedi-menti verbali, ma comunica grazie al silenzio: tramite lo spirito, i due innamorati si percepiscono, si sentono, si comprendono senza usare le parole. A dar vita a questo legame, quindi, è una reciproca fol-gorazione istantanea, che tuttavia non ha origine istintiva. Inevitabilmente il primo impatto tra i due giovani si stabilisce nell’ambito sensoriale, ma gli sguardi che si scambia-no generano emozioni che vanno oltre la sfera mate-riale per condurli nella dimensione divina. Infatti,

entrare in relazione con la componente più segreta della propria identità consente di allontanarsi dalla mera condizione terrena per elevarsi nella prospetti-va della trascendenza. Per tali ragioni l’amore è una guida ineguagliabile. Purtroppo, questo limpido sentimento è contrasta-to dal potere del Male: a causa della cupidigia del vescovo di Beirut, i due innamorati vengono separa-ti, finché il destino non li condurrà a nuovi ulteriori incontri. In tali occasioni, il loro rapporto resterà puro e casto come al principio, ma il Male non am-metterà neanche questa consolazione e richiederà il sacrificio di Selma, la fanciulla amata dal protago-nista. Il personaggio femminile, in effetti, è spesso dispo-sto a soffrire pur di determinare la felicità degli uomini che le stanno a cuore. Per Selma amare signi-fica accettare con consapevole silenzio le richieste che il mondo le rivolge se sa di poter garantire in

questo modo la sereni-tà ai propri cari. Il principio del suo com-portamento, quindi, è la sottomissione volon-taria vissuta come at-to umilmente eroico. Gibran riconosce in tale aspetto la diffe-renza tra lei e le altre donne orientali, incat-tivite dalla propria incapacità di ribellar-si. Certamente il compor-tamento di Selma può apparire oggi inaccet-tabile in relazione alle lotte condotte dalle donne, ma è inevitabi-le ammirare lo sguardo devoto che l’autore le

rivolge. Dalle parole del romanzo emana un conti-nuo elogio derivante da rispetto e fiducia. Un ulte-riore motivo per tentare la lettura e mettersi in di-scussione con le idee giovanili di Gibran, nonché per conoscere la forma poetica della sua narrazione. ■

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24 Fuori orario è un manifesto liberatorio di un'inconsapevole ma profonda necessità dell'esistenza: ad un perentorio "Spiacente signore, si chiude" Paul confessa con disperata semplicità: “Io voglio vivere…"

Dopo l’ennesima estenuante gior-nata di lavoro, Paul entra in un bar e qui conosce Marcy: un numero di telefono, l’invito a raggiungerla più tardi nella sua abitazione e vediamo già Paul prendere un taxi. La not-te, però, inizia subito a suscitare

inquietudine, non solo perché il tassista guida a ve-locità folle per le strade di New York, e nemmeno perché nel frattempo gli ultimi dollari rimasti al pro-tagonista sono volati via dal finestrino; piuttosto è il modo con il quale il regista filma questo prologo a insinuare preoccupazione: primi piani su oggetti ap-parentemente innocui e panoramiche verso direzio-ni immotivate lasciano presentire un’ansia crescen-te. Queste le prime scene di Fuori Orario, film con cui il grande regista Martin Scor-sese riscopre le proprie origi-ni indipendenti: una comme-dia nera a basso costo (ingiustamente poco nota al grande pubblico) dal sapore kafkiano, incentrata sui peri-coli corsi nell'arco di una notte da un giovane informa-tico in seguito a uno sfortu-nato appuntamento galante nel malfamato quartiere newyorkese di Soho. Una serie di eventi imprevisti o-stacolerà il ritorno a casa del protagonista, facendolo precipitare in un vero e pro-prio incubo e logorando la sua salute fisica e psichica. Infatti dopo l'incontro con Marcy, che si rivela ben pre-sto mentalmente instabile, Paul vorrebbe solo ritornare a casa, ma un inconveniente gli impedisce di uscire dal quartiere: non ha monete a sufficienza per co-prire l'aumento - scattato proprio quella notte - del-la tariffa per la metropolitana. Seguiranno nuovi ostacoli: scambiato per un ladro seriale, verrà inse-

guito da una folla feroce; sarà testimone di un omi-cidio; smarrirà le chiavi di casa... Insomma non appe-na il giovane, annoiato dalla routine quotidiana, de-cide di dare un calcio alla sicura monotonia per im-mergersi in un mondo a lui sconosciuto, si ritrova in un labirinto assurdo ed angosciante senza apparen-te via d’uscita. La lingua del giorno, quella parlata da Paul, in que-sta città notturna ed alternativa è assolutamente incomprensibile: tenterà di spiegare cosa gli sta ca-pitando a coloro che incontra, ma troverà solo dif-fidenza o finta compassione. Fuori orario è girato prevalentemente in notturna ed esterni: i ritmi della città immersa nel buio - effi-cacemente amplificati da un tic-tac meccanico, leit-motiv dell'intero film - accentuano le stranezze ed i

pericoli del quartiere, oltre che la scarsa familiarità del protagonista con l'ambiente che lo circonda. Fuori orario, come sostiene un personaggio del film, è quando si fanno le ore pic-cole, è zona franca: è la libe-razione dei fantasmi del cre-puscolo, è l’incubo di un uo-mo che voleva solo uscire con una ragazza e che si scontra con una realtà oscu-ra con la quale non riesce a rapportarsi (nessuno infatti presta attenzione a quello che dice): il film si fa così metafora della incomunica-bilità e della conseguente difficoltà di instaurare veri rapporti nella società con-temporanea. Con la maestria che lo con-traddistingue Scorsese rie-sce in definitiva a travolgere lo spettatore, proprio come

gli eventi travolgono Paul: umiliato, maltrattato, inseguito, sporco, lo ritroveremo all'alba, dinanzi al suo ufficio, pronto per cominciare un'altra, mono-tona, giornata. Buona Visione. ■

FUORI ORARIO

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25 San Giuseppe […] coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero

della Redenzione ed è veramente “ministero della salvezza” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Redemptoris Custos, n.8)

GLI SFINCIONI DI SAN GIUSEPPE

Un “pizzico” di storia San Giuseppe risulta ad oggi uno dei santi più amati e venerati dal popolo siciliano a giudica-re dal grande numero di festeggiamenti di cui è oggetto. Queste feste hanno il sapore di un risveglio dal torpore dell'inverno dato che il 19 marzo cade nell’imminenza dell'equinozio di

primavera. Il santo è passato alla storia e ci viene tuttora presentato nelle vesti di padre con in braccio il pic-colo Gesù. Nella tradizione religiosa lo si ricorda per l’obbedienza a Dio nell’avere accolto Maria come sposa e per la premura che riserverà per tutta la sua vita a lei e al Figlio di Dio; perciò ogni anno dal 1400, il 19 Marzo i cristiani celebrano la Festa del Papà. In particolare, in terra sicula, per l’occasione si preparano i tra-dizionali altari di San Giuseppe e si imbandiscono lunghe “tavulate” di prelibatezze tipiche sia dolci che sala-te disposte per le vie delle città; si tratta di un evento vero e proprio in Sicilia - u ‘nmito di San Juseppe - per il quale intervengono anche i cittadini dei paesini limitrofi ai quali si suole offrire quanto le donne siciliane si dilettano a preparare i giorni precedenti alla festa: i “panuzzi”, la cassata e gli immancabili “sfincioni di San Juseppe”. L’origine di questo dolce pare sia antichissima, se ne trovano tracce anche nella Bibbia e nel Co-rano, sebbene con nomi differenti, e pare che l’attuale ricetta sia un’evoluzione di alcuni pani o dolci arabi o persiani fritti nell’olio. Sono delle deliziose frittelle farcite con una delicata crema di ricotta e decorate con granella di pistacchi e frutta candita. Il nome di queste frittelle si può far derivare dal latino spongia dal mo-mento che la consistenza soffice e porosa di questo dolce può essere paragonata a quella di una spugna. La preparazione è alquanto semplice: pochi ingredienti genuini per una ricetta che ha in sé gli elementi distintivi della cucina siciliana: il fritto, le decorazioni barocche con la frutta candita, i pistacchi e la ricotta. Ingredienti: 1 Kg di farina 00, 200 gr di zucchero, 100 gr di burro, 1 litro di latte, 2 uova intere, 1 pizzico di sale, 40 gr di lievito di birra, 300 gr di patate, un pizzico di cannella. Procedimento: impastare la farina con le uova. Sciogliere il lievito con il latte e lo zucchero e aggiungere il composto così ottenuto alla farina; perciò aggiungere le patate schiacciate. Mescolare e lavorare fino a quando l'impasto non risulterà morbido ed elastico, lasciarlo infine lievitare e riprenderlo solo quando pre-senterà delle bollicine in superficie. Scaldare in una padella o in un pentolino dell'olio, tuffarci delle cuc-chiaiate di impasto e toglierle subito dall'olio appena acquisiranno il classi-co colorito dorato. Adagiarle su un foglio di carta assorbente in modo che perdano l'olio in eccesso. Il ripie-no deve essere fatto con crema di ricotta, guarnita di pezzettini di zuc-cata e gocce di cioccolato fondente. Riempire i bignè attraverso una fendi-tura operata durante la frittura e ricoprire anche la parte superiore. Guarnire con una striscia d'arancia candita e pistacchi tritati; se si desi-dera completare il tutto con una ci-liegia candita. ■

Un dolce che inaugura la stagione primaverile è lo “sfincione”

di San Giuseppe, pietanza preparata per il 19 Marzo.

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ORIZZONTALI 1 Il periodo che prepara alla Pasqua, 9 Fiera vinicola di Verona, 16 Il partito di Casini, 17 Acuta voce maschile, 19 Appa-recchio utilizzato dai sottomarini, 20 Grande uccello dal lungo collo, 22 Svincolo autostradale, 24 Dispari… tonde, 25 In mezzo all’Arno, 26 Ha per sposa la regina, 27 Comune del Mantovano, 28 Compongono il fiore, 30 La disciplina che studia Dio, 33 La costellazione del gigante cacciatore, 35 Articolo maschile, 36 La lettera greca che indica la densità, 38 Il Ra-mazzotti della canzone, 39 Prefisso…nuovo, 40 Trieste, 41 La “madre” comunista, 45 Il più piccolo componente elettroni-co, 47 La sigla del Vietnam, 48 La luna in Inghilterra, 50 Profeta ebraico del V secolo a.C., 51 Precede il quale, 53 Alessan-dria, 54 Il verbo dei lupi, 56 Il nuovo treno ad alta velocità, 59 Isernia, 60 Lingua romanza, 61 Pontificia Opera di Assisten-za, 62 Risposta affermativa, 63 La cantante delle mille bolle blu, 65 Intera, 66 Nel mezzo, 68 Accigliato, 69 Aosta, 70 Metà orrore, 71 Formano la scala, 72 Azienda Sanitaria Locale, 73 Sta alla console in discoteca, 74 Animali che ridono, 76 Si può usare per saltare, 79 Siena, 80 Un’avversativa, 82 Fiume del Senese, 85 Mangiare in Inghilterra, 86 Il vecchio partito di Fini, 87 Marito di Saffira, 88 Chimico italiano dell’800, 89 Unisce due proposizioni negative.

VERTICALI 1 Sta subito sotto al podio, 2 Capoluogo friulano, 3 Azione Cattolica dei Ragazzi, 4 Abitante di Catania, 5 Vedere in In-ghilterra, 6 Dentro, 7 La partenza dei cavalli, 8 Bagna Firenze, 10 Prefisso…uguale, 11 Negazione, 12 Il grado di forza, 13 Non sono poche, 14 Nel calcio c’è quella di rigore, 15 L’elefantino della Lancia, 18 Il re dei venti, 21 Si fa a un tessuto, 23 Il verbo del generoso, 27 Agli estremi delle Alpi, 28 Storica band italiana, 29 Di piccola entità, 31 E’ ghiotto di miele, 32 La principale vena del collo, 34 Sta in mezzo al circo, 37 La guerra di De André, 40 Scrisse Guerra e Pace, 42 Metà silice, 43 Fiction a puntate, 44 Affidato al caso, 46 La domenica che precede la Pasqua, 48 In nessun momento, 49 Lo sport della Pellegrini, 52 Il fiume dei famosi castelli francesi, 55 Misurano il volume dei liquidi, 56 Profeta dell’VIII secolo a.C., 57 A te, 58 Edizioni cattoliche, 64 La casa automobilistica della Micra, 67 Sono pari nell’orale, 68 Strumento a corde, 69 L’emissario del lago di Como, 75 Novara, 77 Il “ma” latino, 78 Ambito Territoriale Ottimale, 80 Gli estremi delle mura, 81 Ancona, 83 Curriculum Vitae, 84 Agrigento.

CRUCIVERBA

Le soluzioni sono disponibili all’indirizzo: http://www.capunisi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=137

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