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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale www.novitafiscali.supsi.ch N° 7 – luglio 2020 Politica fiscale L’Accordo sui frontalieri del 1974 sotto esame 402 Marco Bernasconi, Donatella Negrini e Francesca Amaddeo Diritto tributario svizzero Cambio di proprietà delle piccole e medie imprese 421 Graziella Kähr Dividendo o salario? 433 Marzio Zappa Diritto tributario italiano Il regime fiscale dei “neo-residenti” come agevolazione selettiva in conflitto con principi costituzionali e regole europee 435 Dario Stevanato Le modifiche normative e regolamentari in tema di procuratori sportivi e le conseguenze sotto il profilo impositivo 443 Mario Tenore ACE: evoluzione normativa e campi d’applicazione 448 Valentino Guarini e Guglielmo Verrone IVA e imposte indirette MWST und Krypto-Token 455 Thomas Linder e Fredrik Dekker Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero Quando scadono le prestazioni in capitale provenienti dalla previdenza individuale vincolata? 461 Samuele Vorpe Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano Obbligo del contraddittorio e il diritto alla difesa: un principio che fatica ad affermarsi in Italia 466 Andrea Zanetti Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE La portata normativa della Sentenza San Domenico Vetraria 471 Andrea Rottoli

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Page 1: Novità fiscali · 2020. 7. 29. · di un memorandum d’intesa (la cd. Roadmap), priva, però, di valore giuridico e rimasta carta straccia per-ché l’Italia, non solo non ha firmato

Scuola universitaria professionale della Svizzera italianaDipartimento economia aziendale, sanità e socialeCentro competenze tributarie

Novità fiscaliL’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale

www.novitafiscali.supsi.ch

N° 7 – luglio 2020

Politica fiscaleL’Accordo sui frontalieri del 1974 sotto esame 402Marco Bernasconi, Donatella Negrini e Francesca Amaddeo

Diritto tributario svizzero Cambio di proprietà delle piccole e medie imprese 421Graziella Kähr

Dividendo o salario? 433Marzio Zappa

Diritto tributario italianoIl regime fiscale dei “neo-residenti” come agevolazione selettiva in conflitto con principi costituzionali e regole europee 435Dario Stevanato

Le modifiche normative e regolamentari in tema di procuratori sportivi e le conseguenze sotto il profilo impositivo 443Mario Tenore

ACE: evoluzione normativa e campi d’applicazione 448Valentino Guarini e Guglielmo Verrone

IVA e imposte indiretteMWST und Krypto-Token 455Thomas Linder e Fredrik Dekker

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzeroQuando scadono le prestazioni in capitale provenienti dalla previdenza individuale vincolata? 461 Samuele Vorpe

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italianoObbligo del contraddittorio e il diritto alla difesa: un principioche fatica ad affermarsi in Italia 466Andrea Zanetti

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UELa portata normativa della Sentenza San Domenico Vetraria 471Andrea Rottoli

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401 luglio 2020

Negli anni l’Accordo sui frontalieri tra Svizzera e Italia è stato fonte innumerevoli discussioni per giungere ad una sua revisione. Ad oltre quarant’anni dalla sua entrata in vigore, è ritenuto superato dagli eventi intercorsi sino ad oggi, tra cui, ad es., l’accordo sulla libera circolazione delle persone che, nei fatti, ha modificato l’Accordo con l’Austria, riducendo l’am-montare dei ristorni e abolendo le zone di frontiera. Ancora, si pensi all’introduzione nel 2003 di una norma italiana per tassare i redditi del lavoro prodotti all’estero dai frontalieri oppure alla caduta del segreto bancario con la modifica nel 2015 della CDI CH-ITA, avvenuta senza particolari contropartite per la Sviz-zera. L’unica vittoria di Pirro è stata la sottoscrizione di un memorandum d’intesa (la cd. Roadmap), priva, però, di valore giuridico e rimasta carta straccia per-ché l’Italia, non solo non ha firmato il nuovo Accordo sui frontalieri, parafato nel 2015, ma nemmeno si è mostrata disponibile ad aprire il suo mercato finan-ziario agli istituti svizzeri. A distanza di cinque anni e mezzo da questa intesa politica, mestamente fallita, i due Stati discutono nuovamente di fiscalità, avendo sottoscritto un accordo amichevole per regolare la situazione durante il Covid-19, augurandoci che l’Ac-cordo sui frontalieri possa rientrare in queste discussioni. Questo tema è oggetto di un esame approfondito da parte di Marco Bernasconi, Donatella Negrini e Fran-cesca Amaddeo, i quali non si limitano a descrivere le criticità legate all’Accordo sui frontalieri, ma vanno oltre e propongono soluzioni (innovative) concrete per uscire dallo stallo politico. Che sia un nuovo accordo amichevole, come quello raggiunto nel lontano 1985, a risolvere la contesa? Il numero di luglio prevede anche altri autorevoli e preziosi contributi. Mi permetto di ringraziare Graziella Kähr, Marzio Zappa, il professore Dario Stevanato, Mario Tenore, Valentino Guarini, Guglielmo Verrone, Thomas Linder, Fredrik Dekker, Andrea Zanetti e Andrea Rottoli.

Samuele Vorpe

RedazioneSUPSI

Centro di competenzetributarieStabile SuglioVia Cantonale 186928 MannoT +41 58 666 61 75F +41 58 666 61 [email protected]

ISSN 2235-4565 (Print)ISSN 2235-4573 (Online)

Direttore scientificoSamuele Vorpe

Comitato scientifico dei revisoriFrancesca AmaddeoFlavio AmadòPaolo ArginelliSacha CattelanThierry De MitriRocco FilippiniSimona GeniniMarco GreggiPatrizia LangGiordano MacchiGiovanni MoloAndrea PedroliPaolo PiantavignaAndrea PurpuraNicola SartoriCurzio ToffoliSamuele Vorpe

Impaginazione e layoutLaboratorio cultura visiva

IntroduzioneNovità fiscali07/2020

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402 luglio 2020

Politica fiscale

Francesca AmaddeoAvvocato, PhD in Diritto dell’Unione Europea e Ordinamenti NazionaliRicercatrice del Centro competenze tributarie della SUPSI

Stallo politico, criticità e possibili scenari

L’Accordo sui frontalieri del 1974 sotto esame

È ancora qui l’Accordo sui frontalieri del 1974 pattuito tra Svizzera ed Italia, fermo e saldo quale fosse un masso erratico inamovibile. Quando è stato abolito il segreto bancario si è tentato di trovare nuove basi. Nel 2015, è stata sottoscritta una lettera di intenti, secondo la quale l’intervento di modifica doveva essere imminente. Tuttavia, a distanza di cinque anni, la Roadmap resta ancora lettera morta. Davanti a questo stallo, si è ritenuto di condurre una disamina dell'Accordo sui frontalieri e della CDI CH-ITA, delle discussioni e dibat-titi parlamentari dei due Paesi, analizzando il trattamento fiscale previsto per i frontalieri nell’Accordo con l’Austria. Alla conclusione di questo lavoro, si prospettano diversi scenari, i quali, tuttavia, necessitano di un consenso politico per con-cretizzarsi. Il Ticino non ha alcun ruolo negoziale: può solo stare a guardare e a pagare, dal 1974, più di un miliardo e mezzo di franchi.

I. PrefazioneDopo il recente colloquio, avvenuto lo scorso 16 giugno, tra il Ministro degli Esteri di Italia, Luigi Di Maio, e Svizzera, Ignazio Cassis, è stato rilasciato un comunicato stampa[1] dal quale risulta che, per lo meno in tempi brevi, non sembrerebbe ipotizzabile dare concretezza giuridica alla Roadmap sotto-scritta nel febbraio dell’ormai lontano 2015. Alcuni giorni dopo questo incontro, è stato comunque siglato, sulla base dell’art. 26 della Convenzione tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica Italiana per evitare le doppie imposizioni e per

[1] Il comunicato stampa ufficiale relativo all’incontro è reperibile al link https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/documentazione/comunicati-stampa.msg-id-79463.html (consultato il 10.07.2020).

Marco BernasconiPhD, Professore SUPSI

Donatella NegriniDocente SUPSI, Dott.ssa in Scienze giuridiche

I. Prefazione ..........................................................................402II. Introduzione ....................................................................403III. Le disposizioni dell’Accordo sui frontalieri ................404A. In generale .....................................................................................404B. Entrata in vigore e pregiudizio finanziario per il Ticino ..................................................................................................404IV. La definizione di lavoratore frontaliero .....................405V. L’inscindibilità dell’Accordo sui frontalieri dalla CDI CH-ITA ............................................................................406VI. La compensazione finanziaria dovuta dal Cantone Ticino all’Italia: la questione dei ristorni ........407A. Il blocco dei ristorni del 2011.................................................. 407VII. L’Accordo sui frontalieri e lo scambio di informazioni: equilibrio labile ...........................................409A. Le connessioni tra lo scambio di informazioni tra Svizzera e Italia e l’Accordo sui frontalieri ..............................409B. La Roadmap: contenuto e novità ..........................................410C. I possibili motivi che hanno ostacolato (e ostacolano) l’entrata in vigore dei principi della Roadmap ...............................................................................................410

1. L’analisi dal fronte italiano .........................................................4102. L’analisi dal fronte svizzero....................................................... 412VIII. Prime riflessioni ........................................................... 414IX. Gli accordi pattuiti dalla Svizzera con i Paesi confinanti riferiti all’imposizione dei frontalieri ........... 414A. L’Accordo fiscale tra Svizzera e Austria ...............................4151. Breve cronistoria e ripartizione della potestà impositiva ..............................................................................................4152. Gli accordi sui frontalieri a confronto: qualche riflessione ..............................................................................................415X. Gli accordi amichevoli e il Covid-19 ............................. 416XI. Proposte e conclusioni .................................................. 417A. Possibili scenari .............................................................................4171. L’attuazione dei principi indicati nella Roadmap .............4172. La riduzione della platea dei lavoratori frontalieri e dei ristorni .........................................................................................4173. L’intervento finanziario complementare della Confederazione .......................................................................4184. L’Accordo sui frontalieri è parte integrante della CDI CH-ITA ...........................................................................................4195. Lo status quo ................................................................................. 4206. Altri scenari .................................................................................... 420B. Conclusioni ..................................................................................... 420

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Politica fiscale

sottoscritto, per lo meno, un Accordo amichevole tra i due Stati, relativamente al regime fiscale da applicare ai lavoratori frontalieri durante il periodo di Coronavirus[3]. All’emergenza Covid-19, che ha portato con sé molteplici cambiamenti nella vita di tutti i giorni e che ha visto la chiusura delle frontiere, dev’essere riconosciuto il merito di aver mosso i due Paesi al dialogo, da sempre, difficile e frastagliato, anche se limitata-mente a questo aspetto marginale.

Si tratta di un primo segnale positivo per riprendere il dialogo lasciato in sospeso dal 2015. In quell’anno, infatti, dopo lunghe trattative, l’Italia e la Svizzera hanno ratificato un Protocollo di modifica alla CDI CH-ITA[4] e, unitamente a quest’ultima, un Memorandum d’intesa, meglio noto come Roadmap[5], il quale si propone di modificare alcuni aspetti fondamentali dell’Accordo sui frontalieri. A tale documento, tuttavia, non è ancora stato dato alcun seguito concreto. Infatti, ormai ad oltre cinque anni di distanza, i due Stati non hanno formu-lato, nemmeno da parte dei rispettivi esecutivi (Consiglio dei Ministri e Consiglio federale), un disegno di legge riferito ai nuovi principi pattuiti in sede di Roadmap.

Questa situazione di stallo ha posto un problema politico connesso all’esigenza di versare ancora una volta i ristorni riguardanti le imposte percepite nel 2019. Se da una parte, l’applicazione del diritto comporta l’obbligo di versare i ristorni, da un profilo politico è necessaria una riflessione quanto al mancato seguito sia da parte dell’Italia sia da parte della Svizzera della Roadmap del 2015. Infatti, da un profilo politico, il mancato ossequio alla Roadmap costituisce perlomeno un motivo di riflessione quanto all’opportunità di trovare una soluzione alternativa al versamento dei ristorni.

Il Consiglio di Stato ticinese ha, comunque, deciso il 20 giugno scorso di versare i ristorni riferiti all’anno d’imposta 2019, dichiarando, nel proprio comunicato stampa che[6]: “[m]al- grado l’ingiustificato perdurare della situazione di stallo venutasi a creare dopo la parafatura del nuovo Accordo sull’imposizione dei frontalieri del 22 dicembre 2015, il Consiglio di Stato ha deciso di versare l’intero montante dei ristorni relativi al 2019 per favorire una pronta risoluzione dell’annosa questione. Lo ha fatto tenendo

[3] Accordo amichevole ai sensi del paragrafo 3 dell’art. 26 CDI CH-ITA concer-nente le disposizioni applicabili al reddito, di cui ai paragrafi 1 e 4 dell’art. 15 CDI CH-ITA e dell’art. 1 Accordo sui frontalieri a seguito delle misure adottate nel contesto della lotta alla diffusione del Covid-19, del 20 giugno 2020, in: https://www.estv.admin.ch/dam/estv/fr/dokumente/intsteuerrecht/themen/laen-der/italien/it-dba_kv_covid-19.pdf.download.pdf/it-dba_kv_covid-19.pdf (consultato il 10.07.2020).[4] Protocollo che modifica la CDI CH-ITA, con Protocollo aggiuntivo concluso a Roma il 9 marzo 1976, così come modificata dal Protocollo del 28 aprile 1978, in: https://www.newsd.admin.ch/newsd/message/attachments/38399.pdf (con-sultato il 10.07.2020).[5] Roadmap on the Way Forward in Fiscal and Financial issues between Italy and Switzerland, in: https://www.newsd.admin.ch/newsd/message/attach ments/38401.pdf (consultato il 10.07.2020).[6] Consiglio di Stato ticinese, Imposta alla fonte dei frontalieri, Comunicato stampa del 24 giugno 2020, in: https://www4.ti.ch/area-media/comunicati/dettaglio-comunicato/?NEWS_ID=188075&tx_tichareamedia_comunicazioni%5Baction%5D=show&tx_tichareamedia_comunicazioni%5Bcontroller%5D=Comunicazioni&cHash=694e5cf2853fce08ca670fe9d4c4560c (consultato il 10.07.2020).

regolare talune altre questioni in materia di imposte sul red-dito e sul patrimonio (CDI CH-ITA; RS 0.672.945.41), attuando la procedura amichevole, un accordo che consenta di appli-care l’Accordo tra la Svizzera e l’Italia relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine (Accordo sui frontalieri; RS 0.642.045.43) senza tener conto delle conseguenze lavo-rative imposte dal Covid-19.

Non basta certo questo marginale accordo, che segue da ultimo quelli più circostanziati adottati per lo stesso problema dalla Svizzera con Francia e Germania, per consentire di guar-dare con fiducia ad una prossima revisione dell’Accordo sui frontalieri, così come prospettato dalla Roadmap 2015.

Non da ultimo, la crisi sanitaria derivante dal Covid-19 ha indotto i datori di lavoro a sdoganare il cd. telelavoro (o home office). Infatti, grazie alle moderne tecnologie, ci si è resi conto che molte attività lavorative possono essere svolte anche al di fuori del proprio ufficio. Con ogni probabilità, questa nuova modalità di lavoro si presenterà per i lavoratori frontalieri in maniera sempre più importante in un prossimo futuro. A tal proposito, si segnala come il Consiglio di Stato ticinese abbia deciso l’8 luglio di quest’anno di consentire per i propri dipen-denti il telelavoro per due giorni alla settimana.

Per questa serie di ragioni abbiamo ritenuto opportuno riesaminare tutte le problematiche giuridiche, economiche e politiche riferite all’Accordo sui frontalieri, per il periodo dalla sua adozione ad oggi nell’intento di prospettare alcuni possibili scenari.

II. IntroduzioneL’Accordo sui frontalieri è stato approvato dall’Assemblea federale il 24 ottobre 1978 ed è entrato in vigore con scam-bio di note il 27 marzo 1979. Da sempre è al centro di ampi dibattiti. Infatti, sulla scorta del medesimo, il Cantone Ticino, unitamente a Grigioni e Vallese, deve sopportare annual-mente un onere finanziario estremamente elevato costituito dai ristorni, che entro il 30 giugno di ogni anno, devono essere versati all’Italia (rectius, ai Comuni di frontiera[2]) sulle imposte (federali, cantonali e comunali) (art. 3 Accordo sui frontalieri) prelevate nel corso dell’anno precedente (art. 2 Accordo sui frontalieri). Per l’anno 2018, sono stati versati 84 mio. di fr., mentre per il 2019 circa 90 mio. di fr. L’importo in franchi versati dal 1974 ad oggi in qualità di ristorni è assai ingente ed ammonta a circa 1,5 mia di fr.

La problematica pare tutt’altro che sopita.

L’incontro tenutosi il 16 giugno scorso tra Ignazio Cassis e Luigi Di Maio ha portato ad un nulla di fatto per quanto riguarda l’annosa questione riguardante la tassazione dei lavoratori frontalieri. Tuttavia, sorprendentemente, il 20 giugno, è stato

[2] I Comuni di frontiera, che rientrano nel campo di applicazione dell’Accordo sui frontalieri, sono elencati nel documento redatto dall’Ufficio delle imposte alla fonte e del bollo, in: https://m4.ti.ch/fileadmin/DFE/DC/DOC-IF/Modu-li_2019/Lista_comuni_italiani_frontiera_2019.pdf (consultato il 10.07.2020).

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Politica fiscale

via principale sul Ticino, e in modo marginale sui Grigioni e Vallese[8].

Le disposizioni dell’Accordo sui frontalieri riferite ai ristorni, ad oggi, sono applicabili soltanto in via unilaterale, non vigendo il principio di reciprocità: se ne possono, infatti, avvalere soltanto i residenti italiani che lavorano in Svizzera. Diversamente, i residenti in Ticino, Grigioni e Vallese che lavorano in Italia come dipendenti, i cd. frontalieri al contrario, sono ivi imponibili senza che questo Paese debba riversare alcunché ai Cantoni di residenza.

Secondo l’art. 6 par. 3, l’Accordo sui frontalieri costituisce parte integrante della CDI CH-ITA[9]. Tale principio viene ribadito anche nell’art. 15 par. 4 CDI CH-ITA, secondo il quale “[i]l regime fiscale applicabile ai redditi ricevuti in corrispet-tivo di un’attività dipendente dei lavoratori frontalieri è regolato dall’Accordo tra la Svizzera e l’Italia relativo alla imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine, del 3 ottobre 1974, i cui articoli da 1 a 5 costituiscono parte integrante della presente Convenzione”. Ancora, e non di rilievo inferiore, è quanto previsto dall’art. 31 CDI CH-ITA laddove si disciplina la denuncia del trattato stesso: “[l]a presente Convenzione, di cui all’Accordo citato nel paragrafo 4 dell’articolo 15 costituisce parte integrante, rimarrà in vigore sino alla denuncia da parte di uno degli Stati contraenti. Ciascuno Stato contraente può denunciare la Convenzione per via diplomatica […]”.

Appare sin d’ora chiaro, almeno a nostro giudizio, come i due documenti costituiscano un’unica entità, una monade inscindibile, la cui denuncia dovrebbe, qualora occorresse, considerarsi relativa ad entrambi. Su tale tematica e sull’im-possibilità di denunciare l’Accordo sui frontalieri mantenendo in vigore la CDI CH-ITA si tornerà a breve nel corso di questo studio[10].

B. Entrata in vigore e pregiudizio finanziario per il TicinoL’entrata in vigore dell’Accordo sui frontalieri, verificatasi il 27 marzo 1979, ha decretato un pregiudizio pressoché immediato per gli interessi finanziari del Cantone Ticino. Diversamente da quanto accade di norma, dove oneri e diritti nascono con l’entrata in vigore di un ordinamento giuridico, la valenza di tale Accordo era retroattiva, sicché il Cantone Ticino si è trovato a dover versare – in un climax ascendente – dal 1974, il 20% dei ristorni, nel 1975, il 30% e dal 1976 in poi il 40%.

[8] Questa supposizione trova, inoltre, conforto nel fatto che l’Accordo sui frontalieri è entrato in vigore retroattivamente, comportando un onere ulterio-re per i Cantoni interessati.[9] Il testo della disposizione recita quanto segue: “Il presente Accordo farà parte integrante della Convenzione da stipularsi tra l’Italia e la Svizzera per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio”.[10] Sul tema si veda Stefano Dorigo, L’accordo italo-svizzero sui frontalieri del 1974 e la sua possibile denuncia, in: NF n. 5/2014, pp. 31-34. L’autore pren-dendo in considerazione la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (RS 0.111), concludendo che la denuncia dell’Accordo sui frontalieri comportereb-be anche la contestuale denuncia della CDI CH-ITA.

in considerazione la lettera congiunta firmata dal Cantone e dalla Regione Lombardia il 30 aprile 2020 all’attenzione dei Ministri delle finanze di Svizzera e Italia, nonché della lettera trasmessa dal Consigliere federale Ueli Maurer al Governo cantonale il 19 giugno scorso, nella quale evoca la volontà di ambo le parti di riattivare i contatti – interrotti a causa della pandemia – così da poter giungere finalmente alla conclusione del nuovo accordo”.

III. Le disposizioni dell’Accordo sui frontalieriA. In generaleL’Accordo sui frontalieri, che si compone di sei articoli, prevede sostanzialmente che i residenti in Italia, i quali svolgono un’attività lucrativa dipendente in Ticino (cd. lavoratori fron-talieri) siano imponibili soltanto nei Cantoni di Ticino, Grigioni e Vallese (art. 1 Accordo sui frontalieri). Esiste un obbligo di versare, entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello cui la compensazione finanziaria si riferisce, un importo pari al 38,8% dell’ammontare lordo delle imposte pagate dai fron-talieri ai Comuni nei quali costoro risiedono (artt. 2, 3 e 4 Accordo sui frontalieri)[7], quale corrispettivo per compensare tale potestà impositiva esclusiva, in capo al Cantone Ticino (al pari di Grigioni e Vallese).

In realtà il Ticino, i Grigioni e il Vallese già disponevano della potestà impositiva esclusiva senza che questo solle-vasse un problema di doppia imposizione poiché il diritto interno italiano (art. 3, comma 3, lett. c, del Testo Unico sulle Imposte sui Redditi [TUIR]) esentava sino al 2003 i redditi del lavoro dipendente conseguito all’estero da tutti i residenti in Italia. Ci si interroga, pertanto, in merito a quale titolo si sia deciso di concedere i ristorni a favore dell’Italia. Tra le diverse ipotesi assume certamente grande rilevanza il fatto che la CDI CH-ITA, all’art. 27, non consentiva sino al 23 febbraio 2015 all’Italia di poter beneficiare delle infor-mazioni finanziarie indispensabili per poter tassare i propri residenti detentori di conti non dichiarati nelle banche svizzere. Si potrebbe quindi, almeno da un profilo politico, ipotizzare che l’Accordo sui frontalieri, in realtà, sia stato istituito per compensare la mancata concessione delle informazioni bancarie all’Italia.

Al contempo fu concessa anche una compensazione formale: nel preambolo della CDI CH-ITA, infatti, si afferma testual-mente che il trattato ha lo scopo non solo di evitare la doppia imposizione, ma anche il fine di “combattere la frode fiscale”. Il Consiglio federale, tuttavia, si affrettò a chiarire, nel rela-tivo messaggio, che una tale affermazione non avesse alcun valore giuridico.

La stipula dell’Accordo sui frontalieri, pertanto, rappresenta (per lo meno una) ragione che ha consentito a tutta la piazza finanziaria svizzera di tutelare il proprio segreto ban-cario avvalendosi della CDI CH-ITA. Il costo dell’Accordo sui frontalieri, tuttavia, ha gravato – e continua a gravare – in

[7] Si ricordi che, inizialmente, l’Accordo sui frontalieri prevedeva un ristorno pari al 40% delle imposte. La riduzione dell’1,2%, con una conseguente riduzio-ne al 38,.8%, è da ricondurre ad una successiva modifica avvenuta nel 1985 di cui si dirà a breve.

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405 luglio 2020

Politica fiscale

accompagna il disegno di legge sull’Accordo riguardante la libera circolazione (ALC) tra la Svizzera e l’Unione europea (UE), affermava che “anche nel rapporto con l’Italia e nel rapporto tra Ginevra e la Francia, per i frontalieri bisogna rifarsi al criterio, di massima giornaliero, dal luogo di lavoro al luogo di residenza”[13].

La nozione di lavoratore frontaliero di cui alla relazione alla Camera dei deputati dell’on. Marchetti e l’accoglimento nei fatti della medesima nozione nel Processo verbale di Roma e Lugano citato, ha, quindi, costituito la fonte interpretativa sino al 2002 quando l’ALC (RS 0.142.112.681) ne ha modificato i principi. Infatti, oggi, secondo l’art. 7 cpv. 1 ALC “[i]l lavoratore dipendente frontaliero è un cittadino di una parte contraente che ha la sua residenza sul territorio di una parte contraente e che eser-cita un’attività retribuita sul territorio dell’altra parte contraente e ritorna al luogo del proprio domicilio di norma ogni giorno, o almeno una volta alla settimana”. Tale cambiamento è fondamentale perché consente ai cittadini europei di lavorare liberamente in Svizzera a condizione che rientrino al loro domicilio almeno una volta alla settimana (art. 7 cpv. 1, Allegato 1, ALC).

Bisogna, tuttavia, ricordare che l’art. 21 cpv. 3 ALC fa salve le disposizioni già esistenti in tema di accordi bilaterali in materia di doppia imposizione. In particolare, al capoverso 1 si ribadi-sce come “[i]n particolare, le disposizioni del presente Accordo non devono incidere sulla definizione di lavoratore frontaliero secondo gli accordi di doppia imposizione”.

Sicché, il 23 luglio 2008, l’Agenzia delle Entrate ha preso anch’essa una posizione sulla definizione di lavoratore fronta-liero ai sensi dell’Accordo sui frontalieri. Chiamata in causa da un contribuente tramite istanza di interpello presentata il 27 marzo 2008, il quale chiedeva dei chiarimenti sulla necessità di dichiarare anche in Italia il reddito di lavoro dipendente percepito in Svizzera, dopo che si era trasferito dal Comune di Lezzeno a Lecco, l’Agenzia delle Entrate sosteneva che: “[a]i sensi dell’articolo 1 di tale accordo (ndr. Accordo sui frontalieri), i salari, gli stipendi e gli altri elementi facenti parte della remune-razione che un lavoratore frontaliero riceve in corrispettivo di una attività dipendente sono imponibili solo nello Stato in cui tale attività è svolta. Tuttavia, né la Convenzione né il citato Accordo forniscono una definizione di lavoratore frontaliero. Essa, comunque, può essere ricavata dall’Accordo, in cui vengono dettata le norme in base alle quali i Cantoni svizzeri confinanti con l’Italia (del Grigioni, del Vallese e del Ticino) versano ogni anno a beneficio dei Comuni italiani di confine una parte del gettito fiscale proveniente dall’imposizione delle remunerazioni dei frontalieri italiani, come compensazione finanziaria delle spese sostenute dai Comuni italiani a causa dei frontalieri che risiedono sul loro territorio ed esercitano un’attività dipendente sul territorio di uno di detti cantoni. In attuazione di tale accordo, il Ministero dell’economia e delle finanze determina, con apposito decreto, i criteri di ripartizione e utilizzazione delle compensazioni finanziarie a favore dei Comuni italiani di confine. Con tale decreto emanato per cadenza biennale stabilisce il criterio

[13] Messaggio concernente l’approvazione degli accordi settoriali tra la Sviz-zera e la CE, n. 99.028, del 23 giugno 1999, in: FF 1999 5092, https://www.admin.ch/opc/it/federal-gazette/1999/5092.pdf (consultato il 10.07.2020), p. 5306 s.

Il costo complessivo degli oneri retroattivi ammontò, allora, a 40 mio. di fr.: importo considerevole per quel periodo storico. Vennero presentati numerosi atti parlamentari al Consiglio nazionale e al Consiglio degli Stati da parte di deputati e di con-siglieri agli Stati ticinesi di tutti i partiti, volti ad ottenere una partecipazione o una compensazione quanto meno parziale a favore del Ticino da parte della Confederazione, senza, però, ottenere alcun risultato concreto. Il Ministro delle finanze di allora, l’on. Chevallaz, interessato al voto favorevole dei depu-tati ticinesi alla CDI CH-ITA, dichiarò che la Confederazione in un secondo tempo avrebbe provveduto ad attenuare l’onere retroattivo a carico del Ticino. Successivamente disattese il proprio impegno politico, giustificandosi con l’assenza di una base legale.

IV. La definizione di lavoratore frontalieroIl ristorno delle imposte versato sin dal 1974 ai Comuni di frontiera da parte del Ticino, dei Grigioni e del Vallese è stato imponente ed è andato costantemente aumentato[11]. Il peso finanziario più rilevante è stato – e permane – evidente-mente in capo al Canton Ticino.

A fronte di un contenzioso relativo all’ammontare del ristorno versato negli anni precedenti, le delegazioni di Italia e Svizzera si riunirono due volte a Roma, rispettivamente, il 7-8 marzo e il 2-3 maggio, e successivamente a Lugano l’8 e il 9 luglio 1985, dove venne pattuito un accordo amichevole (cd. “Processo verbale”) approvato dai Ministri delle finanze Stich, per la Svizzera, e Visentini, per l’Italia, che regolava non sol-tanto alcuni aspetti dell’Accordo, ma anche della CDI CH-ITA.

Nel 1974, l’Accordo sui frontalieri non definiva la nozione di lavoratore frontaliero. Questa venne, tuttavia, messa in evi-denza e precisata nel dibattito alla Camera dei deputati nella seduta del 1° luglio 1975 da parte dell’on. Marchetti, il quale, in qualità di relatore, affermò quanto segue: “[…] l’Accordo tra l’Italia e la Svizzera, firmato a Roma il 3 ottobre 1974, risponde a due esigenze di giustizia che da anni i frontalieri italiani – cioè i lavoratori che espatriano ogni giorno per rientrare in Italia al termine dell’orario di lavoro […]”[12]. Avendo constatato che una parte dei lavoratori frontalieri non rientrava quotidianamente al proprio domicilio è stato, quindi, convenuto di ridurre la platea dei frontalieri. Nel Processo verbale dell’8 e 9 luglio 1985, le parti convennero che il 3% dei frontalieri non rientrava regolarmente al proprio domicilio per il cui l’ammontare del ristorno venne diminuito dell’1,2% (vale a dire il 3% del 40%). È per questa ragione che il ristorno delle imposte a favore dei Comuni di frontiera italiani, che nel 1974 era stato pattuito in ragione del 40%, venne diminuito dal 1984 in poi al 38,8%.

Per quanto riguarda la definizione di frontaliere anche il Consiglio federale, nel messaggio del 23 giugno 1999 che

[11] A titolo d’esempio, nel 2009, questi tre Cantoni hanno riversato un importo di poco inferiore a 60 mio. di fr. Vedasi il relativo comunicato stampa, in: http://www3.ti.ch/CAN/comunicati/20-09-2010-comunicato-stampa-69017891413.pdf (consultato il 10.07.2020).[12] Senato della Repubblica, VII° legislatura, nn. 239 e 1307-A, Relazione della IIIa Commissione Permanente, Relatore Marchetti.

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Politica fiscale

Ciò trova conferma nel più recente accordo amichevole sui frontalieri siglato nel periodo Covid-19, laddove i due Paesi sembrano condividere una nozione consolidata di lavoratore frontaliero. Questa, non viene più messa in dubbio, ma si considera assodata. Recita infatti così il paragrafo 2: “[i]n via eccezionale e provvisoria, si accetta che, ai fini dell’applicazione dell’Accordo del 3 ottobre 1974, i lavoratori che hanno passato più giorni consecutivi nell’altro Stato contraente allo scopo di svolgere la propria attività dipendente per conto di un datore di lavoro situato in detto altro Stato contraente, senza regolare rientro quotidiano nello Stato di residenza a seguito delle misure adottate per combattere la diffusione del COVID-19 (in particolare, Decreto Ministeriale italiano 120/2020 del 17 marzo 2020) sono considerati frontalieri ai sensi dell’Accordo del 3 ottobre 1974”.

Il criterio del rientro necessariamente giornaliero sembra quanto mai chiaro.

V. L’inscindibilità dell’Accordo sui frontalieri dalla CDI CH-ITACome accennato poc’anzi, l’Accordo deve intendersi quale parte integrante di quest’ultima. A favore di tale interpreta-zione si pongono, non solo, il tenore letterale dell’art. 15 par. 4 CDI CH-ITA laddove richiama espressamente l’Accordo sui frontalieri per disciplinare il regime fiscale dei lavoratori frontalieri, ma anche da un elemento quanto mai semplice ed evidente. Occorre, infatti, precisare che la competenza esclu-siva degli affari esteri (art. 54 cpv. 1 della Costituzione federale [Cost.; RS 101]) appartiene alla Confederazione svizzera ed è esercitata per il tramite dell’Assemblea federale (art. 166 cpv. 2 Cost.). Nel caso di interesse, l’Accordo sui frontalieri è stato siglato solo ed esclusivamente dagli esecutivi dei due Paesi: solo la CDI CH-ITA, nella sua interezza, è stata adottata for-malmente dalle Camere federali. Ne consegue che l’Accordo deve necessariamente considerarsi come parte integrante della CDI CH-ITA. Diversamente, si ricadrebbe nella violazione degli artt. 54 e 166 Cost.

Questa interpretazione trova conferma anche nel Protocollo pattuito tra il Governo italiano ed il Consiglio federale del 23 febbraio 2015. Affinché lo stesso sia conforme agli artt. 54 e 166 Cost., questo ha dovuto essere consegnato in un decreto federale approvato dalle Camere federali sulla base del rela-tivo messaggio del 2015.

Ancora, e più di recente, l’accordo amichevole sottoscritto tra Italia e Svizzera nell’era del Covid-19 è stato attuato nell’ambito della procedura amichevole di cui all’art. 26 par. 3 CDI CH-ITA e non richiamando l’art. 5 Accordo sui frontalieri, laddove è previsto che le autorità com-petenti dei due Paesi si incontrino per discutere anche “dei problemi inerenti all’applicazione del presente accordo”. Inoltre, sia nel preambolo sia nel contenuto delle sin-gole disposizioni il riferimento è sempre in combinato disposto delle norme della CDI CH-ITA (art. 15 par. 1 e 4) e dell’Accordo sui frontalieri.

Tale presa di posizione da parte delle autorità dei due Paesi sembrerebbe porre fine all’annoso dibattito in merito alla

di ripartizione delle somme affluite per compensazione finanziaria a favore dei Comuni, formalmente individuati come di confine, il cui territorio sia compreso, in tutto o in parte, nella fascia di 20 km dalla linea di confine con l’Italia dei tre Cantoni del Ticino, del Grigioni e del Vallese. È evidente, pertanto, che relativamente ai rapporti con la Svizzera, di regolazione tributaria dei redditi in questione, la nozione di frontaliero riguardi solo i lavoratori che quotidianamente si recano dalla propria residenza, sita in un comune prossimo al confine, nell’ambito della fascia di 20 km dallo stesso, in uno dei suddetti Cantoni confinanti con l’Italia”[14].

Più recentemente, con la Risoluzione n. 38/E del 28 marzo 2017, avente ad oggetto il “Regime fiscale del reddito di lavoro dipendente prodotto da soggetti frontalieri che svolgono la presta-zione lavorativa in Svizzera”, l’Agenzia delle Entrate specificava che “la qualificazione di «frontaliero» svizzero, delineata a livello convenzionale, è da riconoscersi ai lavoratori che siano residenti in un Comune il cui territorio sia compreso, in tutto o in parte, nella fascia di 20 km dal confine con uno dei Cantoni del Ticino, dei Grigioni e del Vallese, ove si recano per svolgere l’attività di lavoro dipendente”[15]. In tale sede si ribadisce, quindi, il criterio spaziale.

Da ultimo, in risposta ad un quesito posto dall’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Sondrio, l’Agenzia delle Entrate ha reso la propria consulenza giuridica n. 904-8/2019 laddove si richiedeva conferma in merito all’interpretazione da attribuire al frontaliere italiano. L’ufficio ribadiva in tale contesto che: “[…] solo ed esclusivamente nel pre-supposto che, a prescindere dal tipo di permesso di soggiorno/lavoro rilasciato dalle competenti autorità elvetiche (come, ad esempio, quello di tipo «G» che consente il pernottamento in Svizzera e com-porta l’obbligo di rientrare nel Paese di origine almeno una volta alla settimana), il contribuente sia considerato, ai sensi del richiamato articolo 2, comma 2, del TUIR e dell’articolo 4, paragrafo 1, della Convenzione per evitare le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e la Svizzera, fiscalmente residente in Italia in un Comune il cui territo-rio sia compreso, in tutto o in parte nella fascia di 20 km dal confine con uno dei Cantoni del Ticino, dei Grigioni e del Vallese, ove deve recarsi «quotidianamente» per svolgere la propria attività di lavoro dipendente, troverà dunque applicazione l’articolo 1 dell’Accordo 3 ottobre 1974 che prevede la tassazione esclusiva nello Stato in cui l’attività lavorativa è svolta”[16].

Da quanto sopra, pertanto, si desume che la definizione di lavoratore frontaliero si basa essenzialmente sui due criteri: (i) spaziale, relativamente alla residenza nella fascia dei 20 km dalla frontiera e attività lavorativa dipendente svolta nei Cantoni Ticino, Grigioni e Vallese e, soprattutto, (ii) del rientro giornaliero alla propria residenza in Italia.

[14] Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale della Lombardia, Ufficio Fisca-lità generale, Prot. N. 904-45720/2008, Interpello 904-276/2008-Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. Istanza presentata il 27 marzo 2008, decisione del 23 luglio 2008, pp. 2-3.[15] Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 38/E del 28 marzo 2017, in: https://def.finanze.it/DocTribFrontend/getContent.do?id=%7B470DA678-E02F-44C2-A3D4-6C947E544DD1%7D (consultato il 10.07.2020) (cit.: Risoluzione n. 38/E).[16] Agenzia delle Entrate, Consulenza giuridica n. 904-8/2019.

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Politica fiscale

lesiva ai fini della conclusione di una soluzione riguardante lo scambio di informazioni fiscali, il riconoscimento da parte della Confederazione di una compensazione finanziaria ade-guata al Canton Ticino[20].

La Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio degli Stati, riunitasi in Ticino il 24 giugno 2011, così si espresse[21]: “Dopo aver sentito una delegazione del Cantone Ticino, composta dalla Presidente del Consiglio di Stato Laura Sadis e dai membri del Gran Consiglio Saverio Lurati e Christian Vitta, la Commissione (ndr. dell’economia e dei tributi del Consiglio degli Stati) ha esaminato l’iniziativa cantonale che chiede all’Assemblea federale di rimediare all’assenza di reciprocità in materia di ristorno delle imposte alla fonte pagate dai lavoratori frontalieri e di ridurre la percentuale del gettito derivante dall’imposizione alla fonte rimborsato dalla Svizzera all’Italia, per passare dall’attuale 38,8% al 12,5% pattuito con l’Austria.

L’unico modo per soddisfare le richieste avanzate dall’iniziativa è rinegoziare la Convenzione per evitare le doppie imposizioni, tuttora bloccata dalle autorità italiane. La Commissione ha espresso con chiarezza la propria comprensione per la situazione particolare nella quale si trova attualmente il Cantone Ticino e che si iscrive in un contesto di relazioni difficili con l’Italia. Tale situazione si protrae da qualche anno e si ripercuote negativamente sulla piazza economico-finanziaria ticinese. Al posto dell’iniziativa cantonale, la Commissione ha preferito, all’unanimità, presentare la mozione commissionale seguente.

Il Consiglio federale è incaricato, nel quadro della rinegoziazione della Convenzione tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica Italiana per evitare le doppie imposizioni, di prendere in considerazione gli aspetti seguenti:

◆ rimediare alla mancanza di reciprocità nel quadro dell’imposi-zione dei lavoratori frontalieri;

◆ tenere conto della nuova definizione di frontaliere in applicazione dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC);

◆ valutare i cambiamenti recenti della realtà socioeconomica delle regioni di frontiera direttamente interessate dall’Accordo e ride-finire la natura del versamento compensativo adattandolo alle circostanze attuali”.

Prima ancora che questa iniziativa cantonale fosse esaminata dalle Camere federali, il Consiglio federale rispondendo il 18 maggio 2011 ad una mozione dell’allora consigliere nazionale, on. Norman Gobbi, affermò che non intendeva riaprire le

[20] Ad es., all’Italia si potrebbe continuare a riversare una percentuale rile-vante delle imposte (che tenga però conto delle modifiche intervenute con l’entrata in vigore dell’ALC), a condizione che si trovi una soluzione sullo scam-bio di informazioni; in tal caso la Confederazione dovrebbe versare al Cantone Ticino un importo significativo che potrebbe essere analogo, almeno in linea generale, alla differenza tra il ristorno versato all’Italia e quello riconosciuto all’Austria, vale a dire il 26,3% (il 38,8% meno il 12,5%).[21] Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio degli Stati, Più mez-zi per la promozione economica e sostegno al Ticino nell’ambito di una nuova regolamentazione dell’imposizione dei frontalieri, Comunicato stampa del 24 giugno 2011, in: http://www.parlament.ch/i/mm/2011/Pagine/mm-wak-s-2011-06-24.aspx (consultato il 10.07.2020).

facoltà di denunciare (o meno) l’Accordo senza comportare la decadenza, anche, della CDI CH-ITA.

A noi sembra chiaro che l’Accordo sui frontalieri non sia scindi-bile, in quanto non esiste senza l’approvazione parlamentare. Vive solo in costanza di convenzione.

Ci permettiamo, inoltre, di rilevare che il Consiglio federale, come si evince dai documenti prodotti nei capitoli che seguiranno, abbia sempre sostenuto l’inscindibilità di questi due atti[17].

VI. La compensazione finanziaria dovuta dal Cantone Ticino all’Italia: la questione dei ristorniL’Accordo sui frontalieri prevede il versamento da parte di quest’ultima dei cd. “ristorni”, a titolo di compensazione finanziaria, del 38,8% su quanto riscosso tramite il prelievo dell’imposta alla fonte sul salario dei lavoratori frontalieri. Tale somma viene versata dai singoli Cantoni interessati (Ticino, Grigioni e Vallese) ai Comuni italiani di frontiera, i quali devono sopperire ai costi legati alla presenza dei frontalieri sul loro territorio (ad es. infrastrutture, trasporti, servizi pubblici, scuole, ecc.).

Il pregiudizio finanziario per il Cantone Ticino risulta indubbio. Stante l’ingente carico fiscale, pertanto, si sono susseguite una serie di discussioni di natura politica relativa al versamento o meno di tali somme. Oltre a ciò, in discussione era soprattutto la concessione dello scambio di informazioni ai fini fiscali con l’Italia.

Siccome il peso finanziario dell’Accordo sui frontalieri per il Ticino è stato – ed è tuttora – molto rilevante, repu-tiamo importante non soltanto esaminare le disposizioni di quest’ordinamento, ma anche e soprattutto i mutamenti politici, economici e giuridici intervenuti dal 1974 ad oggi.

A. Il blocco dei ristorni del 2011Il malcontento del Cantone Ticino relativamente al versa-mento dei ristorni all’Italia culminò quando il Gran Consiglio decise, il 17 marzo 2011[18], all’unanimità di trasmettere un’i-niziativa cantonale alle Camere federali con la quale chiedeva, in via principale, di aprire trattative con l’Italia al fine di ridurre la misura del ristorno[19] e, in subordine, qualora la messa in discussione dell’Accordo sui frontalieri fosse stata ritenuta

[17] Per completezza, occorre ricordare che il Consiglio di Stato ha dato apposito mandato, in data 17 gennaio 2020, all’Università di Lucerna affinché vagliasse la possibilità di denunciare l’Accordo sui frontalieri senza far cadere la CDI CH-ITA. È doveroso, quindi, prima di trarre conclusioni definitive, conosce-re i risultati della perizia dell’Università di Lucerna.[18] Iniziativa cantonale n. 11.305, Rinegoziare l’Accordo sui frontalieri e rifon-dere al Ticino gran parte del ristorno dell’imposta alla fonte, depositata dal Canton Ticino il 17 marzo 2011, in: http://www.parlament.ch/i/suche/pagi-ne/geschaefte.aspx?gesch_id=20110305 (consultato il 10.07.2020). Vedasi anche il rapporto del 1° marzo 2011 della Commissione della gestione e delle finanze del Gran Consiglio, in: http://www.ti.ch/CAN/SegGC/comunicazioni/GC/rapportivari/pdf/rapportoiniziativacantonale01032011.pdf (consultato il 10.07.2020).[19] L’iniziativa è stata elaborata dal Partito Popolare Democratico ticinese il 9 dicembre 2010, in: http://www.ppd-ti.ch/ShowArticle.aspx?ParentCatID=1&CatID=65&PageID=1827 (consultato il 10.07.2020).

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Politica fiscale

Inoltre, favorire i Cantoni Ticino, dei Grigioni e del Vallese costitu-irebbe una discriminazione degli altri Cantoni. Il Consiglio federale ritiene quindi che la richiesta degli autori della mozione, secondo cui la Confederazione debba farsi carico della differenza delle aliquote di compensazione di entrambe le soluzioni, non sia realizzabile né dal punto di vista legale né da quello politico.

Si apre quindi per forza di cose la necessità di esaminare se gli inte-ressi del nostro Cantone non debbano essere tutelati seguendo altre vie”.

Forse anche in considerazione della mancata disponibilità del Consiglio federale a rimettere in discussione l’Accordo sui frontalieri pochi giorni dopo, vale a dire il 30 maggio 2011, i rappresentanti dei Partiti della Lega dei ticinesi, dell’UDC e del PLRT presentarono due mozioni che postulavano, tra l’altro, il blocco dei ristorni[23].

È opportuno anche proporre le considerazioni della Consigliera federale, on. Eveline Widmer-Schlumpf, la quale in un’intervista apparsa il 27 giugno sul Corriere del Ticino, rispondendo ad una domanda sulla quota del ristorno delle imposte all’Italia, così si esprimeva sull’eventualità di ridiscu-tere l’Accordo sui frontalieri[24]: “Le regole fissate negli accordi sulla fiscalità dei frontalieri sono dipendenti dalla situazione storica contingente dei rapporti fra i Cantoni di frontiera e i Paesi confinanti. Quelli con la Francia e l’Austria sono stati conclusi in tempi diversi rispetto a quelli con l’Italia e hanno effettivamente tassi di ristorno diversi. La libera circolazione ha cambiato la situazione dei frontalieri in modo significativo. Segnatamente in Ticino. Per questo bisogna ridiscutere l’accordo”.

Il segnale politico più rilevante giunse il 30 giugno 2011 quando il Consiglio di Stato decise[25], a maggioranza, di:

a) pagare, entro il termine espresso dall’Accordo sui fronta-lieri[26], la metà dei ristorni relativi all’anno 2010 (pari a poco più di 28 mio. di fr.);

b) versare la rimanente metà nel momento in cui la Confederazione avrebbe aperto i negoziati riguardanti:

[23] Mozione, Affinché cessino le intimidazioni del Governo italiano nei con-fronti del Ticino e a favore di nuove costruttive negoziazioni, depositata il 30 maggio 2011, presentata da Christian Vitta, in: https://www4.ti.ch/filead-min/POTERI/GC/allegati/mozioni/pdf/MO819.pdf (consultato il 10.07.2020). Mozione, Ristorni delle imposte dei frontalieri, bloccare il versamento di fine giugno, depositata il 30 maggio 2011, da Attilio Bignasca e cofirmatari, in: https://www4.ti.ch/fileadmin/POTERI/GC/allegati/mozioni/pdf/MO820.pdf (consultato il 10.07.2020).[24] La domanda posta dal giornalista Moreno Bernasconi fu del seguente tenore: “Le soluzioni adottate nei confronti di Paesi come l’Austria o la Francia sono molto più convenienti per la Svizzera. Fino a quando il Ticino sarà costretto a sobbarcar-si il peso di un ristorno verso l’Italia che oggi è quasi il 40%?”, in: Corriere del Ticino, 27 giugno 2011, p. 3.[25] Cfr. il comunicato stampa del Consiglio di Stato ticinese del 30 giugno 2011, in: http://www3.ti.ch/CAN/comunicati/30-06-2011-comunicato-stam-pa-27036167703.pdf (consultato il 10.07.2020).[26] L’art. 3 Accordo sui frontalieri stabilisce che la compensazione finanziaria è effettuata in franchi svizzeri mediante un versamento unico nel corso del pri-mo semestre dell’anno successivo a quello cui la compensazione finanziaria si riferisce.

trattative con l’Italia per rinegoziare l’Accordo sui frontalieri, sulla base delle seguenti considerazioni[22]: “Il Consiglio federale segue attivamente l’evoluzione delle relazioni con l’Italia. Secondo partner commerciale della Svizzera, l’Italia è uno Stato limitrofo con cui il nostro Paese intrattiene tradizionalmente buoni rapporti. In considerazione dell’intensità delle relazioni bilaterali, in particolare di quelle economiche, la situazione che si è venuta a creare gradualmente in materia fiscale è particolarmente complicata. Per il Consiglio federale è importante sbloccare la situazione. In quest’ottica ha studiato una strategia per migliorare le relazioni in materia fiscale e, parallelamente, per garantire il mantenimento degli interessi bilaterali comuni in ambito di commercio, trasporti, energia ed Expo 2015 di Milano.

Il Consiglio federale è del parere che il dialogo con l’Italia in materia fiscale dovrà essere rilanciato. A questo scopo intende trovare una soluzione globale per le diverse questioni aperte. La revisione della Convenzione per evitare le doppie imposizioni (CDI), in cui rientra anche l’Accordo del 1979 tra la Svizzera e l’Italia relativo all’imposi-zione dei lavoratori frontalieri (qui appresso Accordo sui frontalieri), è alla base di questo approccio.

Le relazioni economiche bilaterali sono attualmente perturbate da alcune misure italiane adottate in ambito fiscale. Al fine di risolvere questa situazione insoddisfacente, il Consiglio federale è disposto a esaminare tutte le misure compatibili con il diritto internazionale pubblico. È fiducioso e ritiene che dovrebbe essere possibile trovare una soluzione consensuale con l’Italia.

Le disposizioni concernenti i lavoratori frontalieri e le relative compensazioni finanziarie convenute dalla Svizzera con gli Stati confinanti sono il risultato di negoziati che devono essere esaminati tenendo conto di tutti gli elementi legati al contesto specifico delle soluzioni adottate con ciascun interlocutore. Una soluzione bilate-rale concordata da una determinata controparte può quindi essere molto diversa da quella convenuta con altre controparti nello stesso ambito. Gli autori della mozione fanno riferimento all’aliquota appli-cabile tra la Svizzera e l’Austria senza peraltro constatare differenze rispetto alle soluzioni tradizionali, che non siano quelle dell’aliquota applicabile. Infatti, a titolo di esempio occorre rilevare che la com-pensazione a favore dei Comuni italiani di confine riguarda soltanto i lavoratori frontalieri residenti in un perimetro di 20 chilometri dalla frontiera, mentre la compensazione a favore dell’Austria si applica a tutti i lavoratori dipendenti domiciliati in Austria che operano in Svizzera. Un confronto tra le aliquote delle due soluzioni non è pertanto appropriato.

Per quanto riguarda il pagamento della quota della Confederazione alla differenza tra l’aliquota convenuta con l’Italia e quella con l’Au-stria occorre sottolineare che, secondo l’articolo 5 capoverso 1 della Costituzione federale della Confederazione Svizzera, l’intera attività dello Stato deve poggiare su una base legale. In mancanza di una normativa che permetta di attuare la procedura richiesta dagli autori della mozione, la Confederazione non può effettuare il pagamento.

[22] Mozione n. 11.3145, Rapporti Svizzera-Italia. Sospendere i pagamenti dei ristorni fiscali dei frontalieri, depositata il 16 marzo 2011 e alla quale il Consiglio federale ha risposto il 18 maggio 2011, in: http://www.parlament.ch/i/suche/pagine/geschaefte.aspx?gesch_id=20113145 (consultato il 10.07.2020).

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Politica fiscale

La consigliera federale, on. Doris Leuthard, interpellata sulla questione dei ristorni, espresse comprensione per il Canton Ticino, mostrando, seppur a titolo personale, di comprendere la frustrazione che può derivare da una simile situazione. Costei aggiunse, inoltre, che “non è compito del Consiglio federale criticare il Ticino”, ma ha d’altro canto ribadito che “siamo uno Stato di diritto e non si possono violare le leggi”[29].

Da oltre confine, i Comuni italiani di frontiera chiesero al Ticino di revocare tale decisione, definita “ingiusta, illegale, populista”[30], mentre il capogruppo della Lega Nord alla Camera, on. Marco Reguzzoni, dichiarò di aver contattato il ministro degli esteri, on. Franco Frattini, il quale assicurava che sarebbe stato convocato un tavolo Italia-Svizzera per aprire le negoziazioni[31].

Il 9 maggio 2012, il Consiglio di Stato comunicava lo sblocco dei ristorni, in quanto “dopo un intenso scambio di informazioni e valutazioni, avvenuto nei giorni scorsi con il Dipartimento federale delle finanze (DFF) e fra quest’ultimo e il Ministero dell’economia e delle finanze italiano, è stata fissata la data di avvio del dialogo tra le due parti sui temi finanziari e fiscali aperti tra Svizzera e Italia”[32].

Negli anni seguenti i ristorni vennero regolarmente versati anche perché iniziarono le trattative con l’Italia tanto per lo scambio di informazioni, quanto per l’Accordo sui frontalieri. Tali trattative portarono, poi, alla sottoscrizione della tanto sospirata Roadmap di cui si dirà tra breve.

VII. L’Accordo sui frontalieri e lo scambio di informazioni: equilibrio labileA. Le connessioni tra lo scambio di informazioni tra Svizzera e Italia e l’Accordo sui frontalieriDa sempre, il reale e più acceso motivo di contrasto tra Italia e Svizzera è stato lo scambio di informazioni in materia fiscale. Già nel corso delle negoziazioni condotte negli anni Settanta, emerse un’assoluta divergenza di opinioni sul tema, in parti-colare, per quanto riguardava le informazioni fiscali detenute dalle banche svizzere.

L’Italia, infatti, subiva da decenni una forte emorragia del proprio substrato fiscale derivante dallo strenuo segreto ban-cario svizzero che proteggeva gli averi depositati nel territorio della Confederazione da parte di residenti italiani. La Svizzera, per contro, voleva difendere ad ogni costo il segreto bancario, principio fondamentale per la sua piazza finanziaria (in parti-colare, si pensi a Zurigo, Ginevra e al Ticino).

[29] Corriere del Ticino, 3 luglio 2011, in: http://www.cdt.ch/ticino-e-regio-ni/politica/46870/gobbi-incontrera-maroni-a-varese.html (consultato il 10.07.2020).[30] Corriere del Ticino, 2 luglio 2011, in: http://www.cdt.ch/ticino-e-regioni/cronaca/46823/ristorni-non-ci-faremo-ricattare.html (consultato il 10.07.2020).[31] Corriere del Ticino, 2 luglio 2011, p. 7.[32] Cancelleria dello Stato, Comunicato Stampa, Sblocco del ristor-no della quota all’imposta alla fonte sul reddito dei lavoratori frontalieri: conferenza stampa, Bellinzona, 9 maggio 2012, in: https://www3.ti.ch/CAN/comunicati/09-05-2012-comunicato-stampa-296866202626.pdf (consulta-to il 10.07.2020).

◆ la rinegoziazione della CDI CH-ITA al fine di includervi lo scambio di informazioni su richiesta secondo gli standard OCSE,

◆ l’accoglimento del principio di reciprocità e la riduzione dell’ammontare del ristorno delle imposte nell’ambito dell’Accordo sui frontalieri. Qualora la Confederazione non avesse ottenuto, nell’ambito delle trattative finalizzate all’esclusione dello scambio di informazioni automatico, una riduzione importante del ristorno, essa avrebbe dovuto tacitare il Canton Ticino.

c) scrivere al Consiglio federale, motivando la decisione del versamento parziale dei ristorni e sollecitandolo a rinego-ziare l’Accordo sui frontalieri; manifestando al contempo la massima disponibilità per un incontro chiarificatore e una partecipazione di una task force appositamente costituita.

Questa decisione politica, nella forma, violava sicuramente l’Accordo sui frontalieri e più precisamente gli artt. 2 e 3, che obbligano il Ticino a versare “ogni anno a beneficio dei Comuni italiani di confine una parte del gettito fiscale proveniente dalla imposizione – a livello federale, cantonale e comunale – delle rimunerazioni dei frontalieri italiani” “mediante un versamento unico nel corso del primo semestre dell’anno successivo a quello cui la compensazione finanziaria si riferisce”.

La decisione del Consiglio di Stato ticinese lese, dunque, il principio pacta sunt servanda, previsto dall’art. 26 della Convenzione di Vienna, secondo il quale anche i patti inter-nazionali vanno rispettati. D’altro canto, l’atteggiamento continuamente dilatorio della Confederazione nei confronti dell’Italia, trascurando, a più riprese, gli interessi del Canton Ticino, rappresenta una delle cause principali della situazione che si è venuta a creare[27].

Non si fecero comunque attendere le reazioni, sia dalla Confederazione che dall’Italia, riferite al blocco, seppur par-ziale, del ristorno delle imposte.

Proprio una settimana prima della decisione governativa l’allora Presidente della Confederazione svizzera, on. Micheline Calmy-Rey, scriveva al Ticino che un blocco dei riversamenti “non [era] opportuno”. La Confederazione, preso atto del blocco parziale dei ristorni per il tramite del suo portavoce degli affari esteri, affermò che[28] “[l]’Italia e la Svizzera sono partner economici impor-tanti e Stati vicini che intrattengono tradizionalmente buoni e stretti legami in ogni ambito. Le reazioni ticinesi evidenziano che la ricerca di un riassetto delle questioni fiscali pendenti è nell’interesse di tutte le parti coinvolte […]. La Confederazione prende atto della decisione del Consiglio di Stato di trattenere una parte della quota italiana delle ritenute fiscali dei lavoratori transfrontalieri, raccolte nel 2010, e di non trasferirle all’Italia. Nel contempo però ricorda che «il diritto internazionale pubblico vincola la Svizzera a onorare questi impegni. L’Accordo bilaterale del 1974 menziona gli obblighi specifici dei Cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese. Il Consiglio federale affronterà dunque questa questione con il Governo ticinese»”.

[27] Marco Bernasconi/Donatella Ferrari, Un segnale politico a Berna, in: Giornale del Popolo, 1° luglio 2011, pp. 1 e 22.[28] Corriere del Ticino, 1° luglio 2011, p. 7.

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Politica fiscale

In tal sede, purtroppo, non venne previsto alcun limite tem-porale per l’entrata in vigore di questa nuova impostazione dell’Accordo sui frontalieri. Ad oggi, sono trascorsi ormai cinque anni, senza che ci si sia mossi da questa impasse.

B. La Roadmap: contenuto e novitàUnitamente al succitato Protocollo di modifica della CDI CH-ITA, i due Paesi hanno sottoscritto una Roadmap, espres-sione di un chiaro impegno politico relativo a diversi punti, tra cui, per quel che concerne il presente studio, l’imposizione dei lavoratori frontalieri. Questi lavoratori che svolgono la propria attività in Svizzera, in base a quanto convenuto nella Roadmap, saranno assoggettati a un’imposizione illimitata nello Stato di residenza, quindi, l’Italia. Quest’ultima potrà, quindi, imporre il 100% dei salari, applicando le proprie aliquote ordinarie e concedendo ai frontalieri il relativo credito d’imposta. La Svizzera potrà imporre alla fonte al massimo il 70% dei salari, senza riversare alcun ristorno. Il carico fiscale totale dei frontalieri non sarà inferiore a quello attuale e, in un primo tempo, nemmeno superiore. Questa impostazione è il frutto di un (nuovo) Accordo sui frontalieri paragrafo dalle autorità fiscali dei due Paesi il 22 dicembre del 2015, che però non è mai stato sottoscritto dai due Governi[34].

C. I possibili motivi che hanno ostacolato (e ostacolano) l’entrata in vigore dei principi della Roadmap1. L’analisi dal fronte italianoLe possibilità per l’Italia di accogliere i principi consegnati nella Roadmap devono essere evidentemente compatibili con le disposizioni costituzionali di questo Paese, in quanto, diversamente da quanto accade oggi, l’Italia potrà esercitare la propria sovranità impositiva.

La Roadmap, tuttavia, non prevede alcuna scadenza per cui a cinque anni di distanza tutto rimane incompiuto. La ragione fondamentale di questa attesa, per quanto riguarda l’Italia, sembra dovuta alla difficoltà di natura politica nell’estendere l’imposizione ordinarie sui redditi di lavoro percepiti dai propri residenti nella zona di frontiera, ma svolgenti la propria atti-vità in Svizzera, in quanto queste risultano molto più elevate rispetto a quelle applicate in Ticino.

Nel corso delle discussioni è emerso che i rappresentanti italiani avrebbero concretizzato l’imposizione dei frontalieri sulla base dei nuovi principi, nell’ipotesi per ora molto lontana dell’entrata in vigore di un nuovo Accordo sui frontalieri, non prima di qualche anno. Questa linea di condotta avrebbe il pregio di differire un massiccio incremento delle imposte ita-liane a carico dei frontalieri, ma lascerebbe aperto il problema del dumping salariale: ad oggi, infatti, i motivi che spingono i frontalieri a cercare e mantenere un’attività dipendente in Svizzera sono principalmente le alte aspettative salariali e l’esigua aliquota d’imposta.

[34] Si veda il comunicato stampa della Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI), Svizzera e Italia parafano l’accordo sui lavora-tori frontalieri, Berna, 22 dicembre 2015, in: https://www.admin.ch/gov/it/start/dokumentation/medienmitteilungen.msg-id-60135.html (consultato il 10.07.2020).

Tale contrasto, tuttavia, non venne sostanzialmente sopito: all’Italia venne concessa una soddisfazione meramente for-male. Venne, infatti, inserito nel preambolo della CDI CH-ITA l’ampliamento dello scopo della stessa. Come detto non si limitava soltanto ad evitare la doppia imposizione dei redditi, ma era anche finalizzata alla lotta contro l’evasione fiscale. Il Consiglio federale, tuttavia, si premurò nell’immediatezza di specificare nel proprio messaggio che nessuno scambio di informazioni con l’Italia avrebbe avuto luogo. Sembra a noi, tuttavia, che a tacitazione del mancato scambio di informa-zioni bancarie all’Italia sia stato istituito contestualmente l’Accordo sui frontalieri con il relativo ristorno in favore dell’I-talia.

Successivamente si cercò inoltre di arginare questa proble-matica con la sottoscrizione dell’Accordo sulla fiscalità del risparmio[33]. Questo, entrato in vigore il 1° luglio 2015, con-sentiva all’Italia di percepire un rimborso sui redditi dei capitali a risparmio depositati in Svizzera da parte di propri residenti.

Questa esigua breccia non poteva certamente soddisfare la Penisola: anche sulla base delle nuove disposizioni dell’OCSE e delle pressioni da parte dell’UE, nel 2015 ottenne dalla Svizzera lo scambio di informazioni. Questo si sarebbe effet-tuato a partire dal 2018 (relativamente all’anno 2017) con la modifica formale dell’art. 27 CDI CH-ITA.

Nonostante il conseguimento di un simile risultato, come si diceva, da lungo tempo bramato dall’Italia, la Svizzera è rimasta in alcune liste nere che la qualificano come paradiso fiscale. L’art. 2, comma 2-bis, TUIR dispone, infatti, che ogni cittadino italiano, il quale trasferisca il proprio domicilio in un Paese a fiscalità privilegiata (come lo è la Svizzera in questo caso), continua ad essere considerato residente (e, quindi, imponibile) in Italia, salvo che non fornisca prova contraria: ossia, di essere effettivamente residente in Svizzera.

Per completezza, tuttavia, occorre rappresentare come fosse stato pattuito che la Svizzera non avrebbe più figurato nelle liste nere, ma solo ed esclusivamente su quelle basate sullo scambio di informazione. Sebbene formalmente, pertanto, tutto combaci, ci si chiede – a fronte degli effetti importanti che tale inversione dell’onere della prova comporta – se non si sarebbe potuto, in sede di negoziazione, chiedere lo stralcio dalle liste nere in toto, considerato che la Svizzera non rappre-senta più un paradiso fiscale.

Infine, giova ribadire che le negoziazioni conclusesi con lo scambio di informazioni automatico si estesero anche all’e-same dell’Accordo sui frontalieri. I due Stati trovarono un accordo quanto alla modifica di alcuni principi fondamentali di questo testo giuridico: risultato fu la parafatura da parte delle due delegazioni con una lettera di intenti denominata “Roadmap”.

[33] Accordo del 26 ottobre 2004 tra la Confederazione Svizzera e la Comu-nità europea che stabilisce misure equivalenti a quelle definite nella direttiva del Consiglio 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi (RS 0.641.926.81).

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Politica fiscale

dei lavoratori frontalieri siglato nel 1974, garantendo il ritorno fiscale per tutti i lavoratori frontalieri anche se entrano nel territorio sviz-zero attraverso il territorio austriaco”[38].

Ancora, nel febbraio 2014, un gruppo di esponenti del Partito Democratico, presentava interpellanza al Governo che, ad oggi, risulta pendente, quindi, rimasta inevasa, laddove si ribadiva l’irrinunciabilità da parte dei Comuni di frontiera all’acquisizione dei ristorni[39], la cui erogazione era stata più volte discussa da parte svizzera e, più nello specifico, dal Canton Ticino. Quest’ultimo, infatti, nel 2011 aveva deciso di sospendere la metà dei ristorni. A giudizio degli interroganti, questa decisione è da considerarsi quale mezzo di pressione esercitato per ottenere una rinegoziazione dell’Accordo sui frontalieri. Si afferma, quindi, nell’interrogazione: “Nel 2012, il Consiglio di Stato, l’organismo esecutivo del Cantone Ticino, ha versato solo metà dei ristorni previsti dall’accordo, bloccando per molti mesi il resto dell’erogazione, come mezzo di pressione verso il Consiglio federale, l’organismo esecutivo della Confederazione elvetica, al fine di ridurre in modo significativo la quota dei ristorni da versare all’Italia. Le pressioni in questo senso continuano a rima-nere costanti e sempre più forti. In data 29 gennaio 2014, il Gran Consiglio, l’organismo legislativo del Canton Ticino, ha approvato quasi all’unanimità, due voti contrari, 1 astenuto e 53 favorevoli, l’ iniziativa cantonale in materia di imposizione fiscale dei frontalieri. L’iniziativa cantonale approvata dal Gran Consiglio chiede all’As-semblea federale, il Parlamento svizzero, di imporre al Consiglio federale il non rispetto del trattato, e dunque sospendere del tutto i versamenti dei ristorni. L’iniziativa è stata lanciata proprio come forma di pressione nei confronti del governo elvetico in occasione delle trattative su un nuovo accoro fiscale tra Italia e Svizzera sulla tassazione dei capitali esportati illecitamente”.

Poco dopo la parafatura della Roadmap nel febbraio 2015, un gruppo parlamentare costituito da esponenti di Lega Nord, chiedeva l’impegno del Governo a “perfezionare nel più breve tempo possibile la trattativa per concludere quanto previsto nella Roadmap […]” e a “prevedere che nel nuovo regime fiscale vengano puntualmente disciplinati i ristorni dei frontalieri verso i Comuni di residenza, al fine di salvaguardare i Comuni di frontiera”.

Emerge, quindi, la volontà da parte di alcuni politici italiani a che il Governo prenda una posizione in merito all’Accordo sui frontalieri, attivandosi per definirne l’implementazione a livello anche domestico, tutelando gli interessi sia dei fronta-lieri sia dei Comuni di frontiera.

Il medesimo gruppo di politici poneva ancora l’attenzione del Governo sulla questione, con una mozione presentata il 19 gennaio 2016, rappresentando la nuova ripartizione della potestà impositiva tra Svizzera (non più esclusiva) e Italia (la

[38] Interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-03184, dell’8 luglio 2014, seduta di annuncio n. 259.[39] Interrogazione a risposta scritta n. 4/03412 del 3 febbraio 2014, seduta di annuncio 165: “Di conseguenza, i ristorni provenienti dai versamenti dal Cantone Tici-no, costituiscono cifra irrinunciabile, senza la quale vari sindaci hanno rimarcato di non poter più assicurare molti servizi ai cittadini; una considerazione ancora più stringente alla luce dei numerosi tagli subiti dalle amministrazioni locali in questi anni”.

Nell’implementazione della nuova impostazione, tuttavia, l’Italia dovrà necessariamente operare compatibilmente con quanto disposto, in primis, dal combinato disposto degli artt. 3 e 53 della Costituzione italiana (Cost.), dovendo assicurare la parità di trattamento in relazione alla capacità contributiva dei propri residenti e, in secondo luogo, in ottemperanza al principio della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.

La situazione attuale (in vigenza dell’Accordo sui frontalieri del 1974) presenta già, a parere di chi scrive, una violazione nel principio della parità di trattamento a livello interno. Tale problematica viene colmata tramite la supremazia della norma di diritto internazionale. Inoltre, a tale disparità di trattamento e nella valutazione della capacità contributiva, l’Italia ha cercato di sopperire con la concessione, a partire dal 2003, di una franchigia, pari ad euro 7’500, in favore di coloro che rientrano nella categoria dei cd. “nuovi frontalieri”[35]. Di tale previsione, l’Italia dovrà tenere conto nell’implementa-zione dell’eventuale nuovo Accordo sui frontalieri. Questo per quanto attiene l’analisi strettamente giuridica.

Non è possibile, però, tralasciare il contesto politico, come emerge dalle discussioni in seno al Parlamento italiano. Si tratta di preoccupazioni riconducibili a diverse tematiche: (i) in primo luogo, quella relativa al futuro sull’implementazione della Roadmap e del conseguente nuovo Accordo sui frontalieri, attualmente in fase di stallo; (ii) alla tassazione da applicare ai residenti italiani ricompresi nella categoria di lavoratori frontalieri (con conseguenti ripercussioni sui contribuenti da quest’ultima esclusi); (iii) sull’introito erariale dei Comuni di frontiera che verrebbero a trovarsi in una “nuova” condizione, diversa dallo status di cui godevano dal 1974.

Dal dibattito politico reso in seno al Parlamento italiano emerge chiaramente l’interesse verso i punti succitati. Ripercorrendo brevemente quanto esposto dai politici italiani a partire dal 2013, è possibile ravvisare un crescente sollecito nei confronti del Governo per la risoluzione della questione inerente i rapporti con la Svizzera, soprattutto, per quanto riguarda l’imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri.

Già nel 2014[36], il Deputato Candiani (LN-Aut) poneva all’attenzione del Senato le sue preoccupazioni in merito alla necessità espressa da parte della Svizzera di rinegoziare l’Accordo sui frontalieri, rappresentando l’eventualità non troppo distante di “perdere i ristorni dei frontalieri per i Comuni e che gli stessi [ndr. i frontalieri] possano subire un trattamento fiscale da parte del Governo pari o addirittura peggiore […]”[37]. Questa tematica verrà costantemente riproposta negli anni seguenti.

L’attenzione sul tema veniva posta anche dai rappresentanti alto-atesini, i quali richiedevano al Governo, in un’apposita interrogazione, di intraprendere “opportune iniziative volte a mantenere l’impianto normativo che disciplina l’imposizione fiscale

[35] Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 38/E (nota 15).[36] Senato della Repubblica Italiana, 29 gennaio 2014, seduta 177, p. 91 s.[37] Senato della Repubblica Italiana, 29 gennaio 2014, seduta 177, p. 91 s.

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Politica fiscale

garantire un’uniformità e la parità di trattamento a tutta la categoria in esame.

Nonostante anche in questa mozione emerga una riflessione sulla necessaria tutela da apprestare, a livello domestico, ai Comuni di frontiera, si propone una soluzione leggermente diversa, ma apparentemente più equa: la proposta prevede l’adozione di una normativa interna secondo la quale, a fronte dell’applicazione delle imposte in via ordinaria sui frontalieri, si disponga, nella ripartizione delle risorse a Regioni, Province e Comuni, che venga garantito “come montante minimo di partenza il valore complessivo dei ristorni fiscali generato nell’ultimo anno fiscale di vigenza dell’accordo del 1974”[43].

Ancor più di recente l’on. Enrico Borghi, presentava una interrogazione alla Commissione Affari Esteri e Comunitari, risalente al gennaio 2019[44], laddove poste le seguenti pre-messe “si è appreso dalle fonti di stampa dell’avvenuto incontro tra il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Enyo Moavero Milanesi e il Ministro degli esteri della Confederazione elve-tica Ignazio Cassis avvenuto il 14 gennaio 2019 a Lugano; a seguito di tale incontro, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano ha rilasciato alcune dichiarazioni alla stampa secondo le quali il disegno di legge di ratifica del citato negoziato tra Italia e Svizzera non sarà presentato nelle aule parlamentari a breve; ad oggi il Governo italiano non ha espresso nessuna valutazione di merito rispetto ai contenuti del richiamato accordo, né tanto meno nessuna valutazione sulla volontà di procedere per la ratifica del negoziato”[45] chiede al Governo di esprimere la propria inten-tio in merito al futuro dell’Accordo sui frontalieri. Ad oggi, non si ha ancora alcuna risposta a tale interrogazione.

Tale silenzio sembra confermare la percezione avuta dalla Deputazione ticinese alle Camere federali, la quale, il 19 dicembre 2019, tramite fonti di stampa rappresentava come vi fosse uno spirito di rassegnazione dovuto all’inattività da parte del Governo italiano sulla questione dell’Accordo dei frontalieri.

2. L’analisi dal fronte svizzeroTanto il Consiglio federale, quanto il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati, non hanno mai mostrato una particolare attenzione nei confronti del massiccio onere finanziario che il Canton Ticino dal 1974 deve sopportare annualmente, versando i ristorni in favore dei Comuni di frontiera italiani. Ricordiamo che, ad oggi, l’ammontare totale di questi ristorni è di circa 1,5 mia. di fr. e per il periodo riferito al 2019 è di circa 90 mio. di fr. Questa distanza nei confronti del Ticino non è

bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2015).[43] Atto di sindacato ispettivo n. 1-00581 del 10 febbraio 2016, seduta n. 575.[44] nterrogazione a risposta in Commissione, n. 5/01290 del 21 gennaio 2019, seduta di annuncio n. 112.[45] Ex multis, vedasi Corriere del Ticino, Cassis incontra Moavero a Lugano, del 14 gennaio 2019, in: https://www.cdt.ch/svizzera/politica/cas-sis-incontra-moavero-a-lugano-IE701497 (consultato il 10.07.2020); AISE, Il Ministro Moavero a Lugano incontra Ignazio Cassis, Agenzia internazionale stampa estero, del 14 gennaio 2019, in: https://www.aise.it/ministro/il-mini-stro-moavero-a-lugano-incontra-ignazio-cassis-/125498/124 (consultato il 10.07.2020).

cui potestà viene ad essere riestesa nei confronti dei propri residenti, a patto che venga concesso lo sgravio dalla doppia imposizione) alla stregua di quanto stabilito nella Roadmap, la quale “rappresenta una rivoluzione per gli equilibri consolidati nell’economia transfrontaliera, in quanto abolisce due meccanismi sinora inamovibili: i ristorni ai Comuni di frontiera, una partita da 60 milioni di euro annui destinati ai comuni e province di frontiera, e la tassazione alla fonte per circa 62’000 lavoratori italiani, di cui 25’000 varesini, 20’000 comaschi e i restanti sondriesi e piemontesi in generale”[40]. Tuttavia, tale nuovo accordo “nel porre fine al meccanismo del ristorno, prevedendo che sia lo stato italiano a compensare i comuni di frontiera, lascia la preoccupante incognita sulla garanzia dell’attuale gettito ai medesimi comuni, in un quadro più ampio di incertezza italiana della propria posizione fiscale”. Unitamente alla preoccupazione per la perdita erariale dei Comuni, si manifesta attenzione nei confronti dei lavoratori frontalieri, i quali verrebbero ad essere soggetti “ad una vera e propria stangata” a fronte del previsto aumento del carico fiscale post entrata in vigore del nuovo meccanismo imposi-tivo.

Nel mese di febbraio 2016, nuovamente in sede parlamen-tare, l’on. Candiani si faceva portavoce di un incontro tenutosi a Lavena Ponte Tresa alla presenza di almeno 600 persone coinvolte sul tema dei frontalieri, dal quale emergeva preoc-cupazione per l’introduzione di quanto statuito nella Roadmap. Il nuovo regime fiscale rischia di comportare l’abbandono dei territori di frontiera da parte dei frontalieri, con una conseguente perdita economica assai rilevante per le zone interessate. L’on. Candiani richiama criticandola la posizione di Vieri Ceriani, il quale si sarebbe espresso in favore delle nuove misure determinate dalla Roadmap, poiché “si tratta di un atto di giustizia in quanto si andrebbe a livellare la tassazione di questi cittadini [ndr. frontalieri] con quella di altre Regioni italiane”[41].

Una nuova mozione veniva presentata da un gruppo di parlamentari riconducibili al Partito Democratico (firmatario Del Barba), in data 10 febbraio 2016 (Atto n. 1-00518), pre-sentata in Parlamento nella seduta n. 575, nella quale, dopo aver messo il punto su alcune questioni di natura politica, ma non fiscale, relativamente alle relazioni tra cittadini italiani e Confederazione svizzera, si richiedeva l’adozione di atti nor-mativi interni, in ossequio al principio di cui all’art. 23 Cost. (riserva di legge), di cui sopra, al fine di disciplinare in maniera chiara il nuovo trattamento fiscale dei frontalieri (nella fascia dei 20 km, ma anche oltre). Al fine di proporre una normativa che rispetti anche i principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e della capacità contributiva (art. 53 Cost.), il gruppo proponente rappresenta la necessità, una volta entrata in vigore, del nuovo regime fiscale per i frontalieri di estendere a tutti i lavoratori ricompresi in questa categoria (siano essi residenti nella fascia dei 20 km o fuori da questa) la franchigia già prevista dalla Legge di stabilità per il 2015[42] pari ad euro 7’500 al fine di

[40] Atto di sindacato ispettivo n. 1-00451 (Testo 2) del 19 gennaio 2016, n. 562.[41] Senato della Repubblica Italiana, 2 febbraio 2016, seduta 569, p. 60 s.; Senato della Repubblica Italiana, 3 febbraio 2016, seduta 570, pp. 71-74.[42] Legge del 23 dicembre 2014, n. 190, Disposizioni per la formazione del

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Politica fiscale

Per quanto riguarda l’importantissimo terzo nucleo:

◆ Rapporti Svizzera-Italia. Sospendere i pagamenti dei ristorni fiscali dei frontalieri, presentata da Norman Gobbi (UDC), il 16 marzo 2011, con cui si chiedeva al Consiglio federale di bloccare il versamento dei ristorni all’Italia o, quantomeno, di risarcire il Ticino per la quota calcolata sulla differenza di quanto dovuto dalla Svizzera all’Austria. Il Consiglio rispon-deva, il 18 maggio 2011, rappresentando che i negoziati condotti con i Paesi limitrofi in materia di imposizione dei frontalieri non possono essere paragonati a fronte delle diversità che li caratterizzano e, soprattutto, che: “[p]er quanto riguarda il pagamento della quota della Confederazione alla differenza tra l’aliquota convenuta con l’Italia e quella con l’Austria occorre sottolineare che, secondo l’articolo 5 cpv. 1 della Costituzione federale della Confederazione svizzera, l’intera atti-vità dello Stato deve poggiare su una base legale. In mancanza di una normativa che permetta di attuare la procedura richiesta dall’autore della mozione, la Confederazione non può effettuare il pagamento. Inoltre, favorire i Cantoni Ticino, Grigioni e Vallese costituirebbe una discriminazione degli altri cantoni. Il Consiglio federale ritiene quindi che la richiesta dell’autore della mozione, secondo cui la Confederazione debba farsi carico della differenza delle aliquote di compensazione di entrambe le soluzioni, non sia realizzabile né dal punto di vista legale né da quello politico”;

◆ Imposte dei frontalieri. La Confederazione risarcisca il Ticino, presentata da Lorenzo Quadri (Lega dei ticinesi), il 10 marzo 2015, dove veniva messo in evidenza il rilevante carico fiscale per il Ticino derivante dai ristorni, chiedendo l’intervento della Confederazione per una attenuazione dello stesso. Il Consiglio federale, rispondendo l’8 maggio 2015, si riferisce alla Roadmap come una soluzione note-vole. Ribadisce, inoltre, che: “[…] tra Svizzera e i cinque Stati limitrofi sono state stabilite sei diverse normative riguardanti l’imposizione dei frontalieri. Paragonare queste soluzioni al fine di valutare quali cantoni ne risultano eventualmente svantaggiati sarebbe alquanto difficile. Ogni soluzione prevede che lo Stato del luogo di lavoro rinunci ad una parte delle entrate che gli spette-rebbero. Per questi motivi il Consiglio federale non ha intenzione di creare una base legale specifica a favore di uno di questi Cantoni”. Sulla presunta assenza di questa base legale, si dirà nel proseguo;

◆ Disdire l’accordo con l’Italia sulla fiscalità dei frontalieri, presen-tata da Lorenzo Quadri (Lega dei ticinesi), il 14 marzo 2018, dove si metteva in evidenza che anche il governatore della Lombardia (Fontana) avesse definito l’Accordo sui fronta-lieri in vigore insoddisfacente, ribadendo, ancora una volta, l’esigenza di rinnovarlo. Il 16 maggio 2018, il Consiglio federale rispondeva auspicando un celere progresso da parte dell’Italia nei negoziati con la Svizzera, ma ribadendo un punto essenziale, doverosamente da richiamare: “[l]’Accordo del 3 ottobre 1974 tra la Svizzera e l’Italia relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri e alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine è parte inte-grante della Convenzione per evitare la doppia imposizione conclusa con l’Italia (art. 15, par. 4 CDI-I). Ciò significa che i due accordi costituiscono formalmente un unico accordo”;

◆ Ristorni dei frontalieri e Convenzione del 1974. Così non si può andare avanti, di Lorenzo Quadri (Lega dei ticinesi),

venuta a mancare nemmeno quando la Svizzera ha pattuito un accordo analogo con l’Austria con il quale si prevede un ristorno limitato al 12,5% delle imposte sui salari, vale a dire a un terzo di quanto è posto a carico del Ticino[46]. Questa nostra affermazione è documentata dai diversi atti parlamen-tari presentati dai deputati ticinesi al Consiglio nazionale e al Consiglio degli Stati, ma soprattutto, dalle relative risposte del Consiglio federale, di cui ne citiamo alcuni.

Gli argomenti di interesse presentati in tali atti sono ricon-ducibili sostanzialmente a tre tematiche: (i) l’attenuazione dei ristorni; (ii) l’imposizione dei frontalieri con aliquote più elevate; (iii) la partecipazione della Confederazione ai ristorni pagati dal Ticino.

Relativamente alla prima questione, si segnalano:

◆ Ha ancora senso lo statuto di frontaliere?, presentata da Pierre Rusconi (UDC), il 5 giugno 2013, laddove si invitava il Consiglio federale a riflettere sulla valenza del concetto di frontaliere così come interpretato nelle relazioni con l’Italia, anche a fronte della firma dell’ALC. A tale atto parlamentare il Consiglio federale rispondeva, il 28 ago-sto 2013, rappresentando come il concetto di frontaliere non deve essere considerato come avente valenza solo in ambito fiscale, bensì in altri ambiti. Richiamando, quindi, la riserva di cui all’art. 21 dell’ALC.

Sulla seconda questione, invece:

◆ Nuova modalità fiscale per i frontalieri, presentata da Lorenzo Quadri (Lega dei ticinesi), il 4 dicembre 2012, alla quale il Consiglio federale replicava, in data 13 febbraio 2012, rispondendo che relativamente al nuovo e diverso assog-gettamento fiscale dei frontalieri, i due Paesi tratteranno in sede negoziale;

◆ Imposizione dei frontalieri, presentata Marco Romano (PPD), il 12 dicembre 2013, laddove si interrogava il Consiglio federale sull’armonizzazione dei sistemi fiscali. Quest’ultimo rispondeva il 12 febbraio 2014 rappre-sentando che il 13 dicembre 2013 aveva licenziato un rapporto sull’imposizione alla fonte applicata ai frontalieri che esercitano attività lucrativa in Svizzera[47] (allestito già in risposta al postulato Robbiani[48]), nel quale si fa la panoramica sui diversi accordi che disciplinano l’imposi-zione alla fonte dei frontalieri e ne illustra i possibili sviluppi.

[46] Cfr. infra.[47] Consiglio federale, Ristorno delle imposte alla fonte a carico dei fronta-lieri, Rapporto in adempimento del postulato Meinrado Robbiani n. 11.3607, del 16 giugno 2011, in: https://www.newsd.admin.ch/newsd/message/attachments/33180.pdf (consultato il 10.07.2020).[48] Postulato n. 11.3607, Ristorno delle imposte alla fonte a carico dei fron-talieri, depositato da Meinrado Robbiani, il 16 giugno 2011, in: https://www.parlament.ch/it/ratsbetrieb/suche-curia-vista/geschaeft?AffairId=20113607 (consultato il 10.07.2020).

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Politica fiscale

territori presentati come zone caratterizzate da un contesto di vita molto lontano rispetto ad altri. Di qui, la necessità di derogare al principio della parità di trattamento e della capa-cità contributiva.

L’altra, invece, delineata dal Partito Democratico, suggerisce di uniformare il trattamento di frontalieri entro e fuori la fascia dei 20 km, come si è visto, estendendo la franchigia ad oggi concessa solo ai residenti oltre la fascia di frontiera, pur assicurando ai Comuni che la presunta perdita di gettito verrà compensata a livello di redistribuzione delle risorse operato dallo Stato. Tutto ciò, in ossequioso rispetto del principio della riserva di legge, necessitandosi l’adozione di un’apposita normativa.

Tale seconda proposta appare maggiormente in linea con la struttura ed i principi costituzionali dello Stato italiano, i quali troveranno piena applicazione al momento in cui cesserà la vigenza dell’attuale Accordo sui frontalieri e, quindi, delle norme di diritto internazionale da esso derivanti.

Da quanto emerso, invece, dall’analisi politica svizzera, appare chiaro, come si diceva, l’interessamento da parte dei diversi parlamentari ticinesi a che si avesse non solo contezza rela-tivamente alla gestione dei negoziati, ma a che si avesse una partecipazione attiva da parte della Confederazione, confi-dando in una migliore struttura del nuovo accordo.

Infatti, più volte si è richiesto l’intervento da parte della Confederazione nella sospensione dei ristorni o, in subordine, l’assunzione da parte della Confederazione di parte degli stessi in vece del Canton Ticino.

Le risposte del Consiglio federale hanno sempre ribadito ele-menti essenziali, su cui si tornerà nella parte finale di questo lavoro:

◆ la non comparabilità tra i regimi fiscali accordati tra la Svizzera e gli altri Paesi limitrofi relativi all’imposizione dei redditi percepiti dai frontalieri, in quanto tali accordi si basano su un percorso storico diverso e si innestano in un altro contesto;

◆ l’assenza di una base legale relativamente all’intervento della Confederazione, in violazione dell’art. 5 Cost. e, di conseguenza, l’impossibilità per la stessa di intervenire;

◆ la conferma che l’onere di compensazione finanziaria spetta esclusivamente ai Cantoni interessati (Ticino, Grigioni e Vallese);

◆ l’impossibilità di aiutare questi Cantoni nel sostenere i pro-pri oneri finanziari poiché, diversamente, si incorrerebbe in una discriminazione rispetto agli altri Cantoni.

IX. Gli accordi pattuiti dalla Svizzera con i Paesi confinanti riferiti all’imposizione dei frontalieriLa Svizzera ha adottato soluzioni diverse per quanto riguarda l’imposizione dei frontalieri residenti nei diversi Paesi limitrofi. Tale diversità deriva, come più volte ribadito dal Consiglio federale, dalla storia e dalle priorità dei rapporti tra i singoli Stati confinanti. Tra gli altri, in particolare, la Confederazione

presentata il 26 novembre 2018, laddove si chiedeva al Consiglio federale se, visto lo stallo della Roadmap, si fosse intenzionati a denunciare la CDI CH-ITA, oltre che a partecipare finanziariamente al versamento dei ristorni. Il Consiglio federale rispondeva il 13 febbraio 2019 riportando l’incontro verificatosi tra Cassis e Moavero, assicurando che i due Paesi avrebbero proceduto con le negoziazioni. In particolare, così si esprimeva: “1. Il 14 gennaio 2019 il consigliere federale Ignazio Cassis ha incontrato il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Enzo Moavero Milanesi. In questa occasione, facendo eco a quanto dichiarato dal Ministro dell’economia e delle finanze italiane Giovanni Tria nel suo incontro con il consigliere federale Ueli Maurer del 5 ottobre 2018, il Ministro Moavero Milanesi ha assicurato che il Governo italiano avrebbe presto trattato la questione della firma dell’accordo relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri, parafato nel mese di dicembre del 2015. A oggi non abbiamo ricevuto alcun parere ufficiale circa la conclu-sione dell’accordo da parte del nuovo Governo italiano. […] 3. Il Consiglio federale conferma la posizione espressa in precedenza (vedi ad es. l’interrogazione 11.1043, l’interpellanza 11.3797 e la mozione 17.3639), secondo la quale un tale risarcimento a favore del Cantone Ticino costituirebbe una discriminazione nei confronti degli altri Cantoni che, in alcuni casi, si trovano confron-tati con soluzioni meno vantaggiose, anche rispetto all’accordo sui frontalieri del 1974. Il Consiglio federale ritiene dunque che la richiesta dell’autore dell’interpellanza di compensare finanziaria-mente il Cantone Ticino non sia giustificabile né sotto l’aspetto giuridico né sotto l’aspetto politico”;

◆ Accordo sui frontalieri al capolinea. Il Ticino resta con un pugno di mosche in mano? di Marco Chiesa (UDC), il 27 novembre 2018, il quale chiedeva contezza in merito allo stato dei lavori e ai (s)vantaggi ottenuti con la sottoscri-zione della Roadmap. Il Consiglio federale rispondeva il 13 febbraio 2019 rappresentando che “dal 2015 sono stati fatti passi in avanti in tutti gli ambiti oggetto della Roadmap e il dia-logo previsto a proposito di alcuni temi specifici è stato portato avanti”. Aggiungeva, inoltre, che “il Consiglio federale ritiene la proposta di compensare finanziariamente il Cantone Ticino non giustificabile né sotto l’aspetto giuridico né sotto l’aspetto politico”;

◆ Ristorni dei frontalieri, paga la Confederazione?, presentata da Marco Chiesa (UDC), il 12 marzo 2019, ancora richie-dendo l’intervento della Confederazione nel caso in cui il Ticino bloccasse definitivamente il versamento dei ristori. A tale interpellanza, non fece seguito nessuna risposta del Consiglio federale, sicché la ripropose il 20 marzo succes-sivo. In tale sede, il Consiglio federale replica che è esclusivo obbligo dei Cantoni provvedere al versamento.

VIII. Prime riflessioniDa quanto emerso dal dibattito politico italiano, in relazione ai tre punti precedentemente individuati, emerge un interesse a che il Governo italiano prenda posizione e, a tal fine, sono state proposte soluzioni diverse. L’una, quella esposta più volte da esponenti della Lega Nord (vedasi quella dell’on. Candiani), prevede un periodo transitorio (decennale) per il passaggio al nuovo sistema impositivo dei frontalieri, mantenendo un trattamento agevolato per queste persone che risiedono in

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creatasi con l’applicazione dell’Accordo sulla libera circolazione”[51].

La nozione di lavoratore frontaliere, in questo contesto, è quindi conforme all’ALC. Infatti, la cifra III del Protocollo dispone l’abrogazione del precedente art. 15 par. 4 CDI CH-A, affermando che il diritto d’imposizione degli stipendi incombe di principio allo Stato del luogo di lavoro. Resta in capo allo Stato di residenza l’onere di evitare la doppia imposizione. Specifica la cifra V del Protocollo (con riferimento all’art. 23 CDI CH-A) che l’Austria applica, in generale, agli stipendi da attività lucrativa dipendente il metodo del credito d’imposta. In seguito alla completa imposizione secondo il luogo di lavoro (prima limitata al 3% in virtù dell’art. 15 par. 4 CDI CH-A), per l’Austria si attendevano minori entrate. Per tale ragione, la Svizzera, versa al Ministero federale austriaco delle finanze, a titolo di compensazione finanziaria, un indennizzo pari al 12,5% del gettito proveniente dall’attività lucrativa dipendente secondo l’art. 15 par. 1 CDI CH-A. Questo accordo regola l’imposizione dei frontalieri residenti nel territorio austriaco che lavorano in Svizzera. Tale compensazione è a carico dei Cantoni per l’imposta cantonale e comunale. Quando il residente in Svizzera esplica un’attività lucrativa dipendente in Austria, la doppia imposizione viene evitata tramite il metodo dell’esenzione da parte della Svizzera di questo reddito sulla base dell’art. 23 par. 3 CDI CH-A[52].

Occorre specificare che tutti i Cantoni prelevano le imposte a carico dei residenti in Austria che lavorano nella loro giu-risdizione. Sull’ammontare delle imposte prelevate versano il 12,5% all’Austria per il tramite della Confederazione. Quindi anche il Ticino impone il reddito del lavoro dipendente dei residenti in Austria. Così come per i residenti nella fascia di frontiera italiana.

2. Gli accordi sui frontalieri a confronto: qualche riflessioneIl contrasto tra l’Accordo sui frontalieri con l’Italia e quello con l’Austria è evidente poiché sullo stesso reddito del lavoro all’Austria viene ristornato il 12,5%, mentre all’Italia il 38,8%. La presa di coscienza di questa disparità di trattamento sol-levò, a nostro modo di vedere, giustificate reazioni in Ticino. Vennero, infatti, presentati da quel momento in poi numerosi atti parlamentari alle Camere federali che sinora tuttavia non hanno consentito di ridurre l’ammontare dei ristorni a carico del Ticino, come si è visto nei capitoli precedenti.

Effettivamente, il confronto tra la misura dei ristorni in favore dell’Austria e quella in favore dell’Italia è evidente, per una serie di ragioni:

◆ in primis, nella CDI CH-A, ad oggi, non è più presente una nozione di lavoratore frontaliero, bensì trova applicazione l’art. 15 sui redditi derivanti da lavoro dipendente. Ciò denota l’accoglimento implicito della definizione del con-cetto di lavoratori frontalieri previsto dall’ALC, secondo la

[51] Messaggio concernente un Protocollo che modifica la Convenzione di doppia imposizione con la Repubblica d’Austria, n. 06.043, del 24 maggio 2006, in: FF 2006 4723, p. 4725 s. (cit.: Messaggio modifica CDI CH-A).[52] Messaggio modifica CDI CH-A (nota 52), p. 4723 ss.

svizzera ha pattuito specifici accordi con la Germania (1971), con la Francia (1966) in nome dei Cantoni Berna, Soletta, Basilea Città, Basilea Campagna, Vaud, Vallese, Neuchâtel e Giura, oltre che per conto del Cantone Ginevra, anch’esso con la Francia (1973). Ai fini del presente studio, si ritiene opportuno soffermarsi esclusivamente sulla Convenzione sti-pulata tra Austria e Svizzera, più volte scelta come termine di paragone, di cui si intende evidenziare alcuni aspetti cruciali.

A. L’Accordo fiscale tra Svizzera e Austria1. Breve cronistoria e ripartizione della potestà impositivaLa Convenzione per evitare le doppie imposizioni, firmata a Vienna tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica d’Austria il 30 giugno 1974 (CDI CH-A; RS 0.672.916.31) e modificata il 21 marzo 2006 con un Protocollo [49], prevede che i lavoratori frontalieri siano assoggettati all’imposta alla fonte nello Stato in cui viene svolta l’attività lucrativa. Tuttavia, la Svizzera deve restituire il 12,5% delle imposte percepite sul reddito dei frontalieri all’Austria. Dal canto suo l’Austria impone integralmente questi redditi concedendo il relativo credito di imposta.

Sino al 2006, l’art. 15 par. 4 CDI CH-A[50] conteneva una propria definizione di lavoratore frontaliero, secondo cui quest’ultimo doveva risiedere nella zona limitrofa di uno Stato e lavorare nella zona di frontiera dell’altro Paese, facendo regolarmente ritorno al proprio domicilio nei giorni feriali. Lo Stato della fonte poteva riscuotere sui redditi del lavoro un’imposta del 3% mediante trattenuta alla fonte, mentre lo Stato di residenza, che poteva imporre illimitatamente tale reddito, era tenuto a concedere il relativo credito d’imposta.

L’Austria nel 2003 ha avanzato la richiesta di rinegoziare l’imposizione dei frontalieri, poiché secondo l’ALC devono considerarsi frontalieri anche le persone che ritornano al luogo del proprio domicilio almeno una volta alla settimana, senza necessario rientro giornaliero, come precedente-mente previsto dalla CDI CH-A. A tale riguardo il Consiglio federale affermava che “[l]a controparte austriaca ha dunque fatto valere che in ragione dell’Accordo sulla libera circolazione i frontalieri austriaci possono facilmente eludere le disposizioni della Convenzione stabilendo una seconda residenza in Svizzera per non rendere credibile il ritorno quotidiano al luogo di residenza e ottenere in tal modo l’esenzione dall’imposta austriaca, di regola più elevata. In alcuni casi, i frontalieri hanno tentato di provare che avevano un domicilio secondario in Svizzera presentando attestazioni di favore di conoscenti residenti in Svizzera. Con una nuova regolamentazione dell’imposizione dei frontalieri si intende ovviare alla situazione

[49] Protocollo che modifica la CDI CH-A, concluso il 21 marzo 2006 ed entra-to in vigore il 2 febbraio 2007 (RS 0.672.916.312), in: https://www.admin.ch/opc/it/official-compilation/2007/1253.pdf (consultato il 10.07.2020).[50] Art. 15 par. 4 CDI CH-A (pre-2006), recitava: “Chiunque, in qualità di fron-taliere, risiede in uno Stato nella zona limitrofa e lavora nella zona limitrofa nell’altro Stato facendo regolarmente la spola nei giorni feriali è imposto per il suo reddito nello Stato di residenza. Lo Stato del luogo di lavoro può nondimeno riscuotere su detti redditi un’imposta del tre per cento mediante trattenuta alla fonte. Se è riscossa tale imposta, lo Stato di residenza del frontaliere la computa nell’imposta gravante il reddito di cui si tratta”.

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era il regime dei lavoratori frontalieri (cd. cross-border workers o cross-border commuting)[53].

Onde evitare un dispendio eccessivo in termini di risorse e di tempo, si suggeriva di mantenere la ripartizione della potestà impositiva così come definita in sede di trattato e/o di accordo.

Stante la natura non giuridicamente vincolante tali linee guida, occorreva che gli Stati intervenissero, caso per caso, tramite lo strumento della procedura amichevole, delineata tendenzialmente all’art. 25 del Modello OCSE di Convenzione fiscale, al fine di accordarsi sulle eventuali deroghe per gestire l’incerta situazione dei lavoratori frontalieri.

In linea con tali richieste, oltre a diversi Stati europei[54], anche la Svizzera si è mossa sottoscrivendo accordi amichevoli con i Paesi limitrofi, tra cui Francia[55] e Germania[56].

In entrambi viene confermata l’applicazione della normativa antecedentemente al Covid-19, definendo, però, tale circo-stanza come causa di forza maggiore. Ciò implica che i giorni spesi dai frontalieri nel Paese di residenza e/o di lavoro a fronte delle misure adottate dagli Stati per far fronte alla pandemia, non rientrano nelle apposite soglie di giorni previste nei predetti accordi, laddove si consente ai lavoratori frontalieri di derogare al criterio del rientro giornaliero presso il proprio domicilio per esigenze personali e/o lavorative.

Da ciò emerge che, non solo, negli accordi con altri Paesi limitrofi ci si è premurati di definire espressamente il concetto di lavoratore frontaliero[57], ma anche che si è definita una deroga al criterio del rientro giornaliero.

[53] OCSE, OECD Secretariat analysis of tax treaties and the impact of the COVID-19 crisis, Parigi, 3 aprile 2020, in: http://www.oecd.org/coronavirus/policy-responses/oecd-secretariat-analysis-of-tax-treaties-and-the-impact-of-the-covid-19-crisis-947dcb01/ (consultato il 10.07.2020).[54] Marco Bernasconi/Francesca Amaddeo, Il regime fiscale dei lavoratori frontalieri a fronte delle misure di emergenza Covid-19, in: NF, Edizione specia-le Coronavirus III, pp. 73-77.[55] Ministère de l’Economie et des Finance, Communiqué de presse, La France s’accorde avec l’Allemagne, la Belgique, la Suisse et le Luxembourg pour que le maintien à domicile des travailleurs frontaliers n’entraîne pas de conséquences sur le régime d’imposition qui leur est applicable, in: https://www.frontalier.org/photo/img/Actu/20200319_-_CP_Ministere_de_economie_et_finan-ces.pdf?time=1584972623379 (consultato il 10.07.2020).[56] Konsultationsvereinbarung zum Abkommen vom 11. August 1971 zwischen der Bundesrepublik Deutschland und der Schweizerischen Eid-genossenschaft zur Vermeidung der Doppelbesteuerung auf dem Gebiete der Steuern vom Einkommen und vom Vermögen betreffend die steuerliche Behandlung des Arbeitslohns sowie staatliche Unterstützungsleistungen an unselbständig Erwerbstätige (Arbeitskraft) während der Maßnahmen zur Bekämpfung der COVID-19 Pandemie, del 16 giugno 2020, in: https://www.estv.admin.ch/dam/estv/fr/dokumente/intsteuerrecht/themen/laender/deutschland/de-dba_kv_covid-19.pdf.download.pdf/DE-DBA_KV_Covid-19.pdf (consultato il 10.07.2020).[57] Vedasi, nello specifico con la Francia, Définition du travailleur frontallier telle que figurant à l’article 3 de l’accord entre le Gouvernement de la Républic-que francaise et le Conseil fédéral suisse du 11 avril 1983, in: https://www.estv.admin.ch/dam/estv/fr/dokumente/intsteuerrecht/themen/laender/france/Frankreich-MB-Definition-Grenzgaenger.pdf.download.pdf/Frankreich-MB-Definition-Grenzgaenger_fr.pdf (consultato il 10.07.2020).

quale è considerato lavoratore frontaliero anche chi rientra solo settimanalmente al proprio domicilio. Tra Italia e Svizzera, invece, la nozione di lavoratore frontaliero non è definita, ma, come si è visto, deve essere considerato, nei fatti, frontaliere il cittadino che fa rientro quotidiano alla propria residenza in Italia. Nel nuovo accordo tra Austria e Svizzera, il nostro Paese ha, quindi, accolto la definizione di lavoratore frontaliere che prevede il rientro settimanale, rinunciando pertanto ad invocare l’art. 21 par. 2 ALC secondo il quale gli ordinamenti tributari internazionali non vengono modificati dall’ALC medesimo. Cosa che, invece, resta impregiudicata nei rapporti con la vicina Penisola;

◆ in secondo luogo, l’ammontare dei ristorni in favore dell’Austria viene versato dalla Confederazione secondo il seguente meccanismo: tutti i Cantoni versano alla Confederazione il 12,5% sulle imposte alla fonte prelevate sui redditi del lavoro dipendente conseguiti in Svizzera dai residenti in Austria. Il contrasto con l’Italia è palese, poiché l’Accordo sui frontalieri prescrive che siano i Cantoni Ticino, Vallese e Grigioni a prelevare le imposte, i quali devono sostenere un onere finanziario pari al 38,8% relativo ai ristorni versati all’Italia. Si badi bene: per tutti i lavoratori austriaci presenti sul territorio svizzero, tutti i Cantoni interessati, non solo quelli di frontiera sono tenuti a con-tribuire alla compensazione finanziaria di cui all’Accordo svizzero-austriaco. I Cantoni interessati, quindi, prelevano sul salario del frontaliere austriaco un importo pari al 12,5%, che poi riversano alla Confederazione, la quale provvede alla compensazione finanziaria con l’Austria. Per quanto riguarda le imposte pagate dai frontalieri della fascia di frontiera italiana, il Ticino, Grigioni e Vallese river-sano il 38,8% all’Italia, mentre per quelli residenti in Austria che conseguono redditi in Ticino viene corrisposto solo il 12,5%. Sulla base di tale situazione, è ragionevole ritenere, da un profilo giuridico, che la Confederazione debba risarcire dal 2006 in poi al Ticino (nonché ai Grigioni e al Vallese) una parte dei ristorni al fine di ovviare alla dispa-rità di trattamento intercantonale esistente;

◆ le risposte del Consiglio di federale ad alcuni atti par-lamentari, citati in precedenza, laddove si negava, per questioni giuridiche e di parità di trattamento, la possibilità per la Confederazione di assumere una parte dei ristorni del Ticino sembrerebbero, quindi, ingiustificate, alla luce delle divergenze illustrate nei rapporti con l’Austria. Anzi, la partecipazione finanziaria della Confederazione verrebbe a colmare questa divergenza finanziaria perseguendo, quindi, la solidarietà confederale.

X. Gli accordi amichevoli e il Covid-19Per completezza, si segnala che durante il Covid-19, la comunità internazionale si è premurata di fornire taluni sug-gerimenti relativamente all’applicazione dei trattati stipulati, a fronte delle sopravvenute e imprevedibili circostanze.

L’OCSE, infatti, ha pubblicato ad inizio aprile una breve linea guida suggerendo, in linea di massima, di continuare ad applicare le regole sinora seguite indipendentemente dal Covid-19. Tra i diversi argomenti toccati da tale documento, vi

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della Regione Lombardia, Fontana, e dall’allora Presidente del Governo, Christian Vitta, nel mese di aprile[58]. L’ipotesi più ragionevole è quella di un nuovo incontro tra le due dele-gazioni per esaminare le possibilità di concretizzare quanto accordato nel 2015. L’adesione dell’Italia, tuttavia, come si è evidenziato, si presenta ostacolata, da un lato, dalla necessaria compatibilità costituzionale (artt. 3, 23 e 53 Cost.) e, dall’altro, dal maggiore prelievo impositivo a carico dei frontalieri, oltre che relativamente al potenziale ammanco di introiti da parte dei Comuni di frontiera.

Dopo questo stallo politico che dura ormai da cinque anni è molto difficile poter immaginare sia che le negoziazioni siano avviate in tempi brevi, come pure la scelta di una soluzione praticabile. Si presentano, quindi, diverse possibilità.

1. L’attuazione dei principi indicati nella RoadmapConformemente alla lettera dell’allora Presidente del Consiglio di Stato ticinese, Christian Vitta, e del Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e della richiesta del Consiglio di Stato, la delegazione italo-svizzera potrebbe riunirsi a breve per dar vita a quanto convenuto nella Roadmap del 2015. La situazione di stallo politico venuta a crearsi in questi cinque anni, sulla base delle molteplici perplessità evidenziate dal Parlamento italiano e la difficoltà di conformare la Roadmap alle norme della Costituzione italiana, sembra rendere diffi-cilmente realizzabile questa ipotesi, che tuttavia se vi fosse la necessaria volontà politica sarebbe quella più vicina alla soluzione del problema.

2. La riduzione della platea dei lavoratori frontalieri e dei ristorniNel caso in cui la soluzione di cui sopra non fosse realizzabile in tempi brevi, potrebbe essere oggetto di esame l’estensione della misura di una decisione di principio già fatta propria dalle due delegazioni nel 1985. Come più volte si è ribadito, la situa-zione si pone assai diversa rispetto al contesto in cui venne pattuito l’Accordo sui frontalieri nel 1974, avuto riguardo, da un lato, alla situazione economica, sociale ed internazionale e, dall’altro, all’entrata in vigore del predetto ALC[59].

A distanza di quasi cinquant’anni è, infatti, lecito presumere che il numero dei lavoratori frontalieri che non rientra al pro-prio domicilio quotidianamente sia notevolmente aumentato: l’ALC ha, infatti, consentito ai frontalieri residenti nella fascia di frontiera di rientrare al proprio domicilio anche solo una volta alla settimana, analogamente a quanto previsto dalla disposizione del diritto interno svizzero.

[58] Lettera avente ad oggetto l’Accordo tra l’Italia e la Svizzera relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri, sottoscritta il 30 aprile 2020 dal Gover-natore della Lombardia, Attilio Fontana, e dall’allora Presidente del Consiglio di Stato del Cantone Ticino, Christian Vitta, in: https://bit.ly/31WvIFW (consulta-to il 10.07.2020).[59] Si deve anche ricordare che il diritto interno italiano, a partire dal 2003, consente l’imposizione del reddito del lavoro dipendente conseguito all’estero da parte dei residenti in Italia. Precedentemente, invece, questo non era pos-sibile: l’Italia intendeva favorire con l’esenzione il pareggio della bilancia dei pagamenti attraverso le rimesse degli emigranti.

Tutto ciò è evidentemente assente nell’Accordo sui frontalieri del 1974, come anche nell’Accordo amichevole sottoscritto lo scorso 20 giugno.

XI. Proposte e conclusioniL’analisi sin qui condotta ha consentito di evidenziare una serie di problematiche, talune già note, altre meno. Questo studio, inoltre, tramite l’analisi delle discussioni politiche in seno ad entrambi gli Stati permette di avere le basi necessarie per consentire la concreta attuazione della Roadmap del 2015 o di altre soluzioni che sono indicate di seguito. In partico-lare, gli atti presentati in sede parlamentare italiana hanno evidenziato, da una parte, la preoccupazione di un aumento rilevante dell’imposizione a carico dei frontalieri e, dall’altra, la preoccupazione dei Comuni di frontiera di percepire importi inferiori finora ricevuti a titolo di ristorno.

Il Canton Ticino si trova in una condizione di disparità evi-dente che necessita una soluzione. Quest’ultima può essere letta insieme alla parola solidarietà. Una solidarietà con il Ticino, infatti, si può dimostrare sia con l’istituzione di un nuovo Accordo sui frontalieri, che preveda un minor onere finanziario a suo carico, sia con una partecipazione finanziaria da parte della Confederazione volta ad attenuare il carico del Ticino.

Gli atti parlamentari presentati a questo proposito hanno dato voce a tale esigenza: la partecipazione finanziaria della Confederazione potrebbe essere una soluzione che, in linea con le proprie esigenze politiche, lascerebbe inalterati i rap-porti tra Italia e Svizzera, contestualmente consentendo al Ticino di attenuare il proprio sforzo finanziario.

Le risposte del Consiglio federale hanno lasciato, tuttavia, emergere un rifiuto basato sull’asserita inesistenza di una base legale. Conformemente a quanto prevede l’art. 5 Cost. la base legale, sempre che vi fosse la volontà politica, potrebbe essere istituita.

A. Possibili scenariNel corso del presente studio, è stato effettuato un esame analitico riguardante l’evoluzione intervenuta dal 1974 ad oggi, tenendo in considerazione non soltanto il diritto interno italiano e quello internazionale della Svizzera, ma anche gli aspetti economici e politici che, in questa fattispecie, rive-stono un’importanza assai rilevante.

Sulla base di queste considerazioni, si aprono per gli anni a venire diversi scenari. Senza alcuna pretesa di esaustività, ne indichiamo alcuni ai quali, evidentemente, a dipendenza delle negoziazioni che seguiranno, se ne potranno aggiungere altri.

La Roadmap dal 2015 non ha avuto sinora nessun seguito concreto. Il 20 giugno 2020, il Consiglio di Stato ticinese ha versato i ristorni riferiti all’anno 2019, in base alle norme vigenti contenute nell’Accordo sui frontalieri. Contestualmente, però, ha chiesto l’intervento della Confederazione affinché vengano avviate tempestivamente negoziazioni con l’Italia, ribadendo quanto già emerso dalla lettera presentata dal Governatore

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percentuale. Ad es., nel caso in cui i “falsi frontalieri” fos-sero definiti nella misura del 20%, l’ammontare dei ristorni dovrebbe essere ridotta dell’8%, per cui il ristorno scende-rebbe dal 38,8% al 32%. Questo significa, in cifre assolute, che nel caso in cui i ristorni degli anni a venire diminuissero da 90 mio. di fr. (calcolati sulla base della situazione attuale al 38,8%) a 74 mio. di fr., si conseguirebbe un risparmio complessivo di 16 mio. di fr. Se entrasse in vigore quanto convenuto con la Roadmap, l’attenuazione per il Ticino sarebbe analoga.

Questa modifica avrebbe anche il vantaggio di non coinvol-gere né i Parlamenti né i Governi di Italia e Svizzera, potendo essere adottata, come nel 1985, direttamente dai Ministri delle Finanze dei due Paesi.

Tale situazione avrebbe, inoltre, il pregio per l’Italia di (i) non (rischiare di) contravvenire alle norme costituzionali (artt. 3, 23, 53 Cost.); (ii) non aumentare le imposte a carico dei frontalieri; (iii) assicurare ai Comuni della fascia di frontiera italiana, nonostante la riduzione prospettata, con certezza su questo introito (fatto che non sarebbe così certo nel caso in cui entrasse in vigore quanto prospettato dalla Roadmap poiché le imposte sarebbero prelevate dall’Italia e oggetto di una ripartizione interna).

La Svizzera, d’altra parte, potrebbe annoverare come van-taggi (i) la risoluzione del contenzioso con l’Italia consentendo al nostro Paese di non pregiudicare in via generale le relazioni con un Paese politicamente molto importante e, in partico-lare, di non rinegoziare né la CDI né l’Accordo sui frontalieri; (ii) consentirebbe un aumento dell’imposta federale diretta.

Vi sarebbe pure un aumento delle imposte cantonali e comunali poiché il Ticino potrebbe ridurre, anche se in modo limitato, l’ammontare dei ristorni (presumibilmente in 12 mio. di fr. riferiti all’imposta cantonale e comunale; mentre 4 mio. di fr., sempre in via presumibile, dovrebbero costituire il risparmio per l’imposta federale diretta).

Una riduzione più sostanziale dello sforzo finanziario del Ticino e anche di Grigioni e Vallese necessiterebbe di un sostegno da parte della Confederazione sulla base delle modalità che indicheremo nel prossimo scenario.

Con la soluzione di aumentare la platea dei “falsi frontalieri”, tuttavia, resterebbe irrisolto per il Ticino il problema del dum-ping salariale, poiché i lavoratori frontalieri continuerebbero ad essere sottoposti a una tassazione privilegiata in confronto ai residenti in Italia fuori dalla fascia di frontiera che lavorano in Ticino, Grigioni e Vallese.

3. L’intervento finanziario complementare della ConfederazioneL’attenuazione della misura dei ristorni prospettata sopra, consentirebbe al Ticino soltanto una parziale riduzione di questo considerevole sforzo finanziario che dal 1974 ad oggi parrebbe avvicinarsi ad un paio di miliardi. Sono stati presentati alcuni atti parlamentari fondati sul richiamo della solidarietà confederale che, sinora, sono stati respinti

Il ristorno delle imposte ai Comuni di frontiera, sulla base dell’Accordo sui frontalieri dovrebbe, però, essere versato solo per chi rientra quotidianamente al proprio domicilio in Italia, come più volte ribadito da diverse fonti sopra analiz-zate. Un tale ragionamento, peraltro, fu già accolto nel corso delle negoziazioni risultate nella sottoscrizione da parte dei Ministri delle Finanze, Stich per la Svizzera e Visentini per l’Italia, del Processo Verbale di Roma-Lugano del 1985. In quell’occasione, si procedette ad una riduzione della per-centuale dei ristorni dal 40% originario al 38,8%. Ciò proprio in ragione del fatto che si era presa coscienza del rilievo del numero di frontalieri che non rientravano quotidianamente al proprio domicilio. In questa sede, si era valutato che il 3% dei lavoratori frontalieri rappresentasse i cd. “falsi frontalieri”. Sulle imposte prelevate sul reddito prodotto dal loro lavoro dipendente non doveva essere versato il ristorno del 40%.

A parte la definizione di frontaliere con rientro giornaliero, ormai acclarata dopo l’Accordo amichevole del 20 giugno di quest’anno, non si è tenuto in considerazione un importantis-simo dettaglio. Infatti, la Legge federale sugli stranieri (LstrI; RS. 142.20) che sino all’entrata in vigore della ALC consentiva il rilascio del permesso solo nel caso di un rientro giornaliero, è stata modificata consentendo ora il rilascio del permesso anche nel caso si rientri soltanto una volta alla settimana[60].

Nonostante la soluzione temporanea prevista dall’Accordo amichevole del 20 giugno 2020, riferita alle conseguenze del Covid-19, non venga considerata in questi possibili scenari a causa della sua “provvisorietà”, ai fini della rideterminazione della platea dei lavoratori frontalieri operanti in Svizzera non è possibile esimersi dal considerare l’effetto Covid-19. Questo ha creato, infatti, delle nuove abitudini di lavoro e di vita per cui è presumibile che, in un prossimo futuro, una parte di fron-talieri per una ragione (trattenendosi in Ticino) o per l’altra (utilizzo di modalità alternative di lavoro) non farà più rientro giornalmente al proprio domicilio. Il loro statuto giuridico sarebbe, quindi, perfettamente compatibile con la modifica della Legge federale sugli stranieri (art. 35 LstrI).

È, quindi, ragionevole supporre, oltre ai motivi ricordati, che la platea dei “falsi frontalieri” abbia subito un notevole incremento percentuale. L’eventuale rimodulazione deve necessariamente essere oggetto di una negoziazione tra le due delegazioni.

I mutamenti essenziali intervenuti in questi ultimi trentacin-que anni (tra cui, la modifica del diritto interno italiano [art. 3, comma 3, lett. c, TUIR]; la modifica del diritto interno svizzero [art. 35 LstrI]; l’adozione dell’ALC) legittimano senza alcun dubbio l’estensione della misura al di là 3% di “falsi frontalieri” consegnata nel Verbale di Roma-Lugano del 1985.

Nonostante la valutazione sia difficile, sembra, comunque, possibile presentare alcune ipotesi di calcolo di una nuova

[60] Recita testualmente l’art. 35 LStrI: “2. Il titolare del permesso per frontalieri deve recarsi almeno una volta alla settimana al suo luogo di residenza all’estero […]”.

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Politica fiscale

Va detto inoltre che l’Accordo sui frontalieri tra Austria e Svizzera accoglie la nozione di frontaliere sancita dal ALC, ossia il rientro settimanale al luogo di domicilio.

Le argomentazioni del Consiglio federale che respingono gli atti parlamentari volti a chiedere l’intervento finanziario della Confederazione si fondano sulla mancanza di una base legale che, se accolta, comporterebbe una disparità di trattamento tra i Cantoni. Per quanto riguarda la base legale, se vi fosse volontà politica questa potrebbe essere istituita con un decreto federale, conformemente a quanto prevede l’art. 5 cpv. 1 Cost. Una tale disposizione non sarebbe contraria al principio della solidarietà confederale, anzi verrebbe a rime-diare una disparità di trattamento in atto da troppo tempo a danno del Cantone Ticino, oltre che di Grigioni e Vallese.

Nel caso in cui si entrasse in questo ordine di idee sarebbe necessario calcolare la misura dell’intervento federale. Sulla base di quanto indicato sopra, dove si prevede uno scenario con un’attenuazione del ristorno a carico del Canton Ticino dal 40% al 32%, la disparità con l’Austria sarebbe (ancora) pari al 20% (32%-12,5%). Se si volesse equiparare lo sforzo del Cantone Ticino nei confronti della fascia di frontiera in Italia con quello dei residenti in Austria, la Confederazione dovrebbe assumere poco meno del 20% dei ristorni.

Evidentemente tanto il principio della partecipazione finan-ziaria della Confederazione, quanto la misura della medesima, costituiscono una questione sulla quale si possono avere (con pari dignità) opinioni contrapposte che dovrebbero, però, essere per lo meno, oggetto di un confronto politico.

4. L’Accordo sui frontalieri è parte integrante della CDI CH-ITAL’art. 15 par. 4 CDI CH-ITA prescrive che l’Accordo sui fron-talieri è parte integrante della convenzione, così come l’art. 6 Accordo sui frontalieri stesso. Sulla possibilità o meno di denunciare l’Accordo, mantenendo comunque in essere la con-venzione generale, venne presentato a suo tempo un’iniziativa parlamentare del Cantone Ticino alla Confederazione [61]. In questa rivista venne a suo tempo pubblicato un parere autorevole di Stefano Dorigo, il quale al termine della propria analisi concludeva affermando l’impossibilità di denunciare l’Accordo sui frontalieri mantenendo la CDI CH-ITA[62].

Il 17 gennaio scorso, il Consiglio di Stato ticinese ha affidato all’Università di Lucerna un’ulteriore perizia sul tema della possibile disgiunzione della CDI CH-ITA e dell’Accordo sui frontalieri, il cui risultato per il momento non è noto. Nel caso in cui il parere dell’Università di Lucerna ritenesse giuridica-mente possibile disgiungere l’Accordo sui frontalieri dalla CDI CH-ITA, si aprirebbe un dibattito in seno ai due Parlamenti, svizzero e italiano. È, in ogni caso presumibile, indipendente-mente dalla decisione finale, un lungo periodo di attesa.

[61] Iniziativa cantonale, n. 14.302, Abrogazione dell’accordo sui frontalieri e rinegoziazione della convenzione generale del 03.02.2014.[62] Dorigo (nota 10), p. 31 ss.

dall’autorità federale competente con diverse considerazioni opinabili. A tale fine formuliamo alcune considerazioni.

L’Accordo sui frontalieri è parte integrante della CDI CH-ITA sulla base dell’art. 15 par. 4 della medesima e dell’art. 1 Accordo sui frontalieri. Innanzitutto, occorre un richiamo storico-politico imprescindibile. Senza l’accoglimento dell’Accordo sui frontalieri non sarebbe stato possibile l’entrata in vigore della CDI CH-ITA, elemento fondamentale per i rapporti economici e finanziari tra Svizzera e Italia, la cui salvaguardia, come più volte ribadito dal Consiglio federale, rappresenta uno degli obiettivi principali del nostro Paese. Tale era l’interesse della Svizzera a pattuire questa Convenzione che l’Accordo sui frontalieri entrò persino in vigore a titolo retroattivo, compor-tando un onere finanziario ancor più importante per il Canton Ticino.

È, quindi, possibile, per le ragioni richiamate in precedenza, affermare con certezza che una delle condizioni per con-sentire l’accoglimento della convenzione generale è legata all’approvazione dell’Accordo sui frontalieri il cui onere è, ed è sempre stato, integralmente a carico del Ticino (per la parte preponderante), del Grigioni e del Vallese.

Mentre i vantaggi della CDI CH-ITA vanno a favore di tutti i Cantoni, i costi, di fatto, incombono su di un solo Cantone. Già soltanto questa osservazione incontrovertibile potrebbe essere considerata quale indice di disparità di trattamento tra il Ticino e gli altri Cantoni.

Un’altra constatazione, anche più importante, riguardante la solitaria e pregiudizievole posizione finanziaria del Ticino riguardo agli altri Cantoni, è costituita dall’entrata in vigore nel 2006 del Protocollo di modifica della CDI CH-ITA riferito all’imposizione del reddito del lavoro svolto in uno Stato diverso da quello di residenza. Come si diceva, infatti, i resi-denti austriaci che svolgono un’attività di lavoro dipendente in Svizzera, sono imposti in Austria, la quale concede il credito d’imposta per le imposte pagate in Svizzera, mentre sono assoggettati all’imposta alla fonte in Svizzera.

La Svizzera, meglio dire tutti i Cantoni svizzeri nella cui giurisdizione lavorano persone residenti in Austria, riversa a questo Paese il 12,5% delle imposte trattenute, per il tramite della Confederazione.

La disparità di trattamento è ovvia e stridente. Infatti, il Ticino sulle imposte riferite al reddito del lavoro dipendente di residenti nella fascia di frontiera italiana riversa il 38,8% ai Comuni di frontiera italiani e, sempre il Ticino, sulle imposte pagate sui redditi del lavoro dipendente di residenti in Austria, corrisponde solo il 12,5%. La linea politica attuale della Confederazione riferita all’imposizione dei frontalieri è quella recepita dall’Accordo con l’Austria, vale a dire dopo l’entrata in vigore dell’ALC. Per questa ragione è giustificato il raffronto tra l’Accordo con l’Italia pattuito in tempi ormai lontani e quello con l’Austria che tiene conto della ALC.

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420 luglio 2020

Politica fiscale

5. Lo status quoÈ possibile immaginare, viste le difficoltà di ordine politico, economico e sociale che si frappongano ostacoli che non consentano ai negoziatori di Italia e Svizzera di trovare una soluzione consensuale riferita alla riforma dell’Accordo sui frontalieri. In tal caso l’Accordo sui frontalieri sarebbe desti-nato a rimanere vigente ancora per diversi anni. Questa situazione che è la peggiore possibile, deve essere quanto meno ipotizzabile.

6. Altri scenariSarebbe auspicabile che le autorità politiche e amministrative dei due Paesi, nel caso in cui non si verificasse nessuno degli scenari sopra indicati, potessero comunque individuare altre alternative percorribili che tengano conto in modo adeguato degli interessi di Italia, Svizzera, dei Comuni di frontiera italiani, di Ticino, Grigioni e Vallese, oltre che dei lavoratori frontalieri, ai quali va riconosciuto di aver svolto un ruolo molto importante nel settore sanitario ticinese durante la pandemia legata al Covid-19.

B. ConclusioniCon questo studio si è voluto ripercorrere l’iter giuridico dell’Accordo sui frontalieri tanto per quanto riguarda il diritto interno dei due Paesi, quanto per il diritto internazionale a loro applicabile.

L’esame degli atti parlamentari presentati in Italia testimonia la difficoltà per questo Paese di accogliere quanto stabilito dalla Roadmap del 2015. Quelli, altrettanto numerosi pre-sentati al Parlamento svizzero, fanno stato dell’esigenza del Cantone Ticino di ridurre la propria partecipazione finanziaria.

Si sono indicati alcuni possibili scenari senza alcuna pretesa di esaustività, a cui altri si potrebbero aggiungere, qualora vi fosse la necessaria volontà politica, nell’intento di superare l’inadeguatezza di un accordo pattuito quasi cinquant’anni or sono. I presupposti sui quali l’Accordo sui frontalieri è stato adottato non sono più in essere, modellati dall’evoluzione di fattori economici e giuridici, nazionali ed internazionali.

Sarà la volontà politica dei due Paesi a definire un nuovo per-corso che auspichiamo possa avvenire in tempi brevi.

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421 luglio 2020

Diritto tributario svizzero

Graziella KährFiduciaria commercialista, revisore, consulente aziendale e fiscaleBachelor of Science SUPSI in Economia AziendaleMaster of Advanced Studies SUPSI in Tax LawFidO Consult Revisioni SA

Risvolti fiscali nell’ambito della cessione di titoli non quotati in borsa in favore di collabo-ratori o cofondatori d’azienda

Cambio di proprietà delle piccole e medie imprese

Quando la continuità aziendale non può essere messa in pratica con una successione familiare è necessario mettere in atto una cessione dell’azienda a favore di terzi: spesso gli acquirenti non sono dei terzi completamente estranei, bensì collaboratori o cofondatori dell’azienda. Nei casi in cui la tran-sazione avviene al di sotto del valore venale – se sono date le premesse – il vantaggio valutabile in denaro viene imposto quale reddito da attività lucrativa dipendente. Il Tribunale federale ha, infatti, esteso l’imposizione delle partecipazioni di collaboratore in senso stretto (cfr. titoli di partecipazione, opzioni e aspettative nell’ambito dei piani di partecipazione), tassati giusta gli artt. 17b LIFD e 16b LT (“Proventi di partecipazioni vere e proprie di collaboratore”), anche alle partecipazioni in senso ampio (ad es. vendite di pacchetti azionari fra azionisti). Secondo la giurisprudenza dell’Alta Corte la nozione di reddito da attività lucrativa dipendente deve essere intesa in senso ampio. Ogni forma di contropre-stazione avente un nesso causale con l’attività lavorativa e, quindi, non solo le remunerazioni pattuite in un contratto di lavoro, dev’essere qualificata come una forma di reddito da attività lucrativa dipendente e, quindi, imposta in tal senso.

I. IntroduzioneUna cessione di un pacchetto azionario fra parti terze e com-pletamente estranee avviene secondo le leggi del mercato, pertanto il prezzo di compravendita che ne deriva corri-sponde al valore venale dell’azienda. I prezzi così negoziati non pongono nessuna problematica da un profilo fiscale: per il venditore la cessione del pacchetto azionario costituisce, di principio, un utile in capitale conseguito nella realizzazione di sostanza privata esente da imposta ai sensi degli artt. 16 cpv. 3 della Legge federale sull’imposta federale diretta (LIFD; RS 642.11) e 15 cpv. 3 della Legge tributaria del Canton Ticino

I. Introduzione ...................................................................... 421II. I casi che configurano una prestazione valutabile in denaro ............................................................ 422A. Il rapporto di lavoro (attività lucrativa dipendente) ..... 422B. L’adeguamento delle basi legali ............................................. 423C. Alcune nozioni .............................................................................. 4231. Collaboratore ................................................................................. 4232. Datore di lavoro ............................................................................ 4233. Partecipazioni di collaboratore .............................................. 4234. Vantaggi valutabili in denaro .................................................. 423D. L’applicazione delle diverse imposte ....................................4241. L’imposta sul reddito e l’esenzione degli utili in capitale della sostanza privata ....................................................4242. Le imposte di successione e di donazione ..........................4243. Considerazioni personali .......................................................... 4254. L’imposta sulla sostanza ........................................................... 425

III. I metodi di valutazione dei titoli non quotati .......... 426A. Introduzione ai metodi di valutazione delle PMI ........... 426B. Il metodo adottato dalle autorità fiscali cantonali ........ 4261. Il valore di sostanza e il metodo pratico..............................4272. Casi particolari ...............................................................................427IV. La cessione fra terzi indipendenti............................... 427A. Valore di mercato inferiore al valore intrinseco ..............427B. Valore di mercato superiore al valore intrinseco .............427C. La mutazione dei fattori determinanti ............................... 428V. La cessione facente capo al rapporto di lavoro ......... 428VI. La cessione sopravvalutata: acquisto di azioni proprie ................................................................................... 428VII. La cessione sopravvalutata: quando l’ex azionista rimane in azienda .............................................. 428VIII. Gli altri aspetti determinanti per la valutazione fiscale .............................................................. 429A. I risultati d’esercizio straordinari........................................... 429B. L’applicazione del modello 2 della Circolare CSI n. 28 .. 429C. Il tasso di capitalizzazione previsto dalla Circolare CSI n. 28 ................................................................................................ 429D. La valutazione di un’azienda difficilmente alienabile ... 429E. La riduzione forfettaria per le quote minoritarie ........... 430IX. Gli svantaggi rispetto ai piani di partecipazione ..... 430X. Conclusioni ....................................................................... 430

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422 luglio 2020

Diritto tributario svizzero

passato, presente o futuro del collaboratore al servizio del suo datore di lavoro.

Il diritto dell’armonizzazione delle leggi cantonali (cfr. in particolare l’art. 14 cpv. 1 LAID, come pure l’art. 14a LAID) non prescrive al Legislatore cantonale uno specifico metodo di valutazione dei titoli non quotati in borsa per l’imposta sulla sostanza, lasciando pertanto ai Cantoni un importante margine di apprezzamento.

Per quanto riguarda l’imposta sulla sostanza, l’art. 45 cpv. 2 LT prevede che “[l]e azioni, partecipazioni a società cooperative ed altri diritti di partecipazione non regolarmente oggetto di transazione sono valutati tenendo conto del loro valore di reddito e del loro valore intrinseco”. Allo scopo di uniformare in tutti i Cantoni della Svizzera la valutazione dei titoli non quotati e di garantire in tal modo il principio della parità di trattamento tra contribuenti, già nel lontano 1934 l’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) pubblicò una circolare sul tema che, nel tempo, è poi stata affinata ed adattata agli svi-luppi delle condizioni economico-aziendali. In data 28 agosto 2008, la Conferenza svizzera delle imposte (CSI) ha pubblicato una nuova versione di circolare[3] (denominata nel proseguo “Circolare n. 28”), sotto forma di “Istruzioni concernenti la valuta-zione dei titoli non quotati per l’imposta sulla sostanza” che viene regolarmente aggiornata mediante la pubblicazione annuale di un commentario[4].

Con il passare degli anni, giurisprudenza e dottrina, hanno dato importanza e prevalenza al cd. “metodo pratico”, il quale è diventato il modello di riferimento adottato dalle autorità fiscali cantonali per determinare il valore di mercato dei titoli non quotati per il calcolo dell’imposta sulla sostanza. In parti-colare, il Canton Ticino adotta più metodi di calcolo a seconda del tipo di azienda da valutare. Sebbene sia possibile conte-stare il risultato della valutazione aziendale calcolato dalle autorità fiscali, fornendo sufficienti prove e motivazioni, nella prassi quotidiana questa strada risulta di fatto assai difficile da percorrere.

II. I casi che configurano una prestazione valutabile in denaroA. Il rapporto di lavoro (attività lucrativa dipendente)Alla base dell’imponibilità dei vantaggi valutabili in denaro risultanti da partecipazioni di un collaboratore c’è un imprescindibile rapporto di lavoro[5] (cd. “attività lucrativa

[3] CSI, Wegleitung zur Bewertung von Wertpapieren ohne Kurswert für die Vermögenssteuer, Kreisschreiben Nr. 28 vom 28. August 2008 (in italiano: Cir-colare n. 28), in: https://www.steuerkonferenz.ch/downloads/Dokumente/Kreisschreiben/KS28_V20191213_D.pdf (consultato il 10.07.2020) (cit.: Circo-lare n. 28).[4] L’ultima versione pubblicata è il commentario del 2019 (CSI, Wegleitung zur Bewertung von Wertpapieren ohne Kurswert für die Vermögenssteuer, Kreisschreiben Nr. 28 vom 28. August 2008, Kommentar 2019, https://www.steuerkonferenz.ch/downloads/Dokumente/Kreisschreiben/KS28_Kommen-tar_2019_DE_20191213.pdf [consultato 10.07.2020]) (cit.: Commentario alla Circolare n. 28).[5] Virna Vallucci, N 8 ss. ad art. 17a LIFD, in: Martin Zweifel/Michael Beusch (a cura di), Bundesgesetz über die direkte Bundessteuer (DBG), Kommentar zum Schweizerischen Steuerrecht, IIIa ed., Basilea 2017.

(LT; RL 640.100)[1]. Quand’anche l’acquirente dichiarasse il suo pacchetto azionario nella sostanza privata, lo stesso sarebbe comunque fiscalmente valutato a valore venale ai sensi dell’art. 41 cpv. 2 LT, in base a quanto stabilito dall’art. 14 cpv. 1 LAID.

Quando la cessione dei titoli viene, invece, effettuata a favore di soci cofondatori (quando ad es. la società era stata costitu-ita da più di un imprenditore) oppure a favore di collaboratori (di solito dirigenti) possono verificarsi spiacevoli e inaspettate conseguenze fiscali in funzione del prezzo di alienazione che viene pattuito fra le parti. Nell’ambito delle piccole-medie imprese (PMI) non quotate in borsa, il prezzo di cessione dei titoli è talvolta influenzato da aspetti personali (ad es. rapporto d’amicizia, impegno professionale, mezzi finanziari limitati, ecc.). Pertanto può non riflettere il valore che deri-verebbe da una vera e propria valutazione aziendale basata su validi e riconosciuti metodi di valutazione. Nel momento in cui l’acquirente provvede ad inserire il nuovo pacchetto azionario nell’elenco titoli della propria dichiarazione fiscale, le autorità fiscali si preoccupano di verificare le condizioni della compravendita per stabilire se la cessione è avvenuta a prezzo di mercato.

Un importante scostamento fra il valore venale dei titoli e il prezzo di vendita praticato (manifesta sproporzione fra prestazione e controprestazione) evidenzia la presenza di una prestazione imponibile ai sensi degli artt. 16 cpv. 1 LIFD e 15 cpv. 1 LT. Una prestazione può essere assoggettata alle imposte sul reddito quando costituisce un incremento netto della sostanza e affluisce dall’esterno. Una volta accertata la presenza di una prestazione imponibile, le autorità provve-dono ad effettuare una correzione nella dichiarazione fiscale del contribuente acquirente, collocandola, nel caso di azioni di collaboratore, nella categoria dei redditi da attività lucrativa dipendente. Ai fini dell’imposta federale diretta la base legale per questa ripresa fiscale è stabilita dagli artt. 17a ss. LIFD. In particolare l’art. 17b cpv. 1 LIFD prevede che “[i] vantaggi valutabili in denaro risultanti da partecipazioni vere e proprie di collaboratore […] sono imponibili al momento dell’acquisto come reddito da attività lucrativa dipendente. La prestazione imponibile corrisponde al valore venale della partecipazione diminuito di un eventuale prezzo d’acquisto”. Le analoghe disposizioni ai fini dell’imposta cantonale sono, invece, stabilite dagli artt. 16a ss. LT[2].

Una tassazione a titolo di donazione non è, per contro, pos-sibile per le seguenti ragioni: una cessione a titolo gratuito fra persone terze al di fuori della cerchia familiare non rispec-chierebbe il requisito dell’animus donandi (volontà di donare senza aspettarsi alcuna controprestazione), presupposto fondamentale affinché una donazione possa essere consi-derata tale. Nell’ambito del trasferimento di quote sociali a collaboratori o cofondatori il motivo della cessione a prezzo di favore è da ricondurre prettamente al rapporto professionale

[1] Si veda anche l’art. 7 cpv. 4 della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (LAID; RS 642.14).[2] Si vedano anche gli artt. 7c ss. LAID.

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Diritto tributario svizzero

1. CollaboratoreTrattasi di un lavoratore al servizio di un datore di lavoro oppure di un membro dell’amministrazione o della direzione legato ad un datore di lavoro mediante un rapporto giuridico (passato, presente o futuro) dal quale è scaturito/scaturisce/scaturirà un reddito da attività lucrativa dipendente. Sono esclusi gli azionisti privi di un rapporto di lavoro con la società[12].

2. Datore di lavoroÈ considerato datore di lavoro la società, la società del gruppo o lo stabilimento d’impresa, in cui è impiegato il collaboratore. Sono considerati datori di lavoro anche i cd. datori di lavoro di fatto[13].

3. Partecipazioni di collaboratoreI diritti di partecipazione (i.e. partecipazioni di collaboratore vere e proprie oppure improprie) sono considerati tali se conseguiti mediante un rapporto di lavoro passato, presente o futuro[14]. Si osserva inoltre che se la partecipazione viene consegnata al collaboratore non dal datore di lavoro, bensì da una persona fisica (ad es. se proviene dal portafoglio di un azionista) non si tratta di una partecipazione di collabo-ratore in senso stretto ai sensi degli artt. 17a LIFD e 16a LT. Per calcolare il vantaggio valutabile in denaro si applicano per analogia le disposizioni concernenti le partecipazioni di collaboratore[15], le quali vengono utilizzate nella maggior parte dei casi per il cambio di proprietà delle PMI, ovvero in presenza di una successione aziendale parziale o totale.

4. Vantaggi valutabili in denaroQuando la cessione delle partecipazioni di collaboratore avviene al di sotto del valore venale, la differenza fra il prezzo di cessione e il valore venale costituisce vantaggio valutabile in denaro risultante da partecipazione di collaboratore. Essa viene imposta quale reddito da attività lucrativa dipendente (artt. 17 cpv. 1 LIFD e 16 LT), proprio per il fatto che è stretta-mente correlata all’attività lavorativa dipendente (cd. “Vorteile aus Lohnnebenleistungen”)[16].

L’imposizione del vantaggio valutabile non si applica soltanto quando è il datore di lavoro a consegnare le partecipazioni, bensì anche quando le stesse vengono cedute da una terza persona (ad .es. un azionista)[17]. Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, si devono esaminare l’insieme delle cir-costanze del singolo caso per stabilire se vi è un nesso causale ed economico fra la prestazione valutabile in denaro del terzo e la prestazione lavorativa[18].

[12] AFC (nota 9), cifra 2.1.[13] AFC (nota 9), cifra 2.2.[14] AFC (nota 9), cifra 2.3.[15] AFC (nota 9), cifra 2.3.[16] Vallucci (nota 5), N 2 ss. ad art. 17a LIFD.[17] Vallucci (nota 5), N 10. ad art. 17a LIFD.[18] Vallucci (nota 5), N 10. ad art. 17a LIFD.

dipendente”). Secondo il Tribunale federale è, infatti, impor-tante stabilire se la prestazione deriva dal rapporto di lavoro, ovvero se la prestazione va a ricompensare manifestamente il lavoro prestato dal lavoratore dipendente (nesso causale tra remunerazione e attività prestata)[6]: solo con siffatta condizione tale prestazione può essere imposta. In tutti i casi è irrilevante se tale controprestazione è stabilita contrattual-mente o meno.

Gli artt. 17 LIFD e 16 LT definiscono il principio generale dell’imposizione dell’attività dipendente. In particolare il capo-verso 1 sancisce che “[s]ono imponibili tutti i proventi di un’attività dipendente […] quali […] vantaggi valutabili in denaro risultanti da partecipazioni di collaboratore […]”. Tali vantaggi sono imponibili indipendentemente se sono riconosciuti al dipendente in forma di denaro o in forma di prestazioni in natura[7].

B. L’adeguamento delle basi legaliA partire dal 1° gennaio 2013 sono state introdotte le basi legali per ripristinare la certezza in diritto nell’ambito dell’im-ponibilità dei vari tipi di azioni e opzioni al collaboratore e alle transazioni ad esse collegate[8].

Gli artt. 17a ss. LIFD e 16a ss. LT trattano, quindi, specifica-tamente dei vantaggi valutabili in denaro in relazione alle partecipazioni di collaboratore. In particolare, il capoverso 1 degli artt. 17a LIFD e 16a LT definisce cosa sono le partecipa-zioni vere e proprie di collaboratore[9] e quali sono improprie (artt. 17a cpv. 2 LIFD e 16a LT)[10]. Tali concetti e le relative distinzioni vengono ancor meglio spiegati dall’AFC con la Circolare n. 37 che concretizza e approfondisce le disposizioni della Legge federale sull’imposizione delle partecipazioni di collaboratore (LParC), del 17 dicembre 2010[11].

C. Alcune nozioniPer poter procedere all’imposizione dei vantaggi valutabili in denaro risultanti da partecipazioni di collaboratore sono necessari quattro componenti: (i) un collaboratore, (ii) un datore di lavoro, (iii) una forma di partecipazione di collabora-tore e (iv) un vantaggio valutabile in denaro.

[6] Cfr. Sentenza TF n. 2A.382/2006 del 29 novembre 2006 consid. 2.1 e 2.3.1; vedi anche Bruno Knüsel/Claudia Suter, N 7 ad art. 17 LIFD, in: Zweifel/Beusch (nota 5).[7] Markus Reich/Markus Weidmann, N 41 ad art. 16 LIFD, in: Zweifel/Beusch (nota 5).[8] Per quanto riguarda le basi legali cfr. gli artt. 17a-17d LIFD, art. 7a-7d LAID e 16a-16d LT; cfr. gli artt. 129 cpv. 1 lett. d LIFD, 45e LAID e 203 cpv. 1 lett. d LT; cfr. anche l’Ordinanza sulle partecipazioni di collaboratore (OparC; RS 642.115.325.1) relativa agli obblighi di attestazione per i datori di lavoro che assegnano partecipazioni di collaboratore ai propri dipendenti: l’OparC defini-sce tra l’altro anche le regole di calcolo del vantaggio valutabile in denaro e la relativa attestazione validi per i gruppi che operano a livello internazionale.[9] Consistono nella partecipazione diretta o indiretta al capitale del datore di lavoro (AFC, Circolare n. 37, Imposizione delle partecipazioni di collaboratore, 22 luglio 2013, p. 4).[10] Consistono in una prestazione in denaro legata all’andamento del valore del capitale del datore di lavoro (Circolare 37 [nota 9], cifra. 2.3.1).[11] RU 2011 3259. Cfr. anche Vallucci (nota 5), N 2 ss. ad art. 17a LIFD.

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Diritto tributario svizzero

collaboratore al momento dell’imposizione vengono attribuite alla sostanza privata[28]/[29]. Di principio, quando il collabo-ratore vende tali azioni, in caso di plusvalenza consegue un utile in capitale esente (artt. 16 cpv. 3 LIFD e 15 cpv. 3 LT) e, in caso di minusvalenza, consegue una perdita in capitale non rilevante fiscalmente[30].

d) Mancanza di un periodo di attesaDi principio, siamo di fronte ad una vera e propria lacuna legi-slativa. Infatti, non esiste né base legale né prassi consolidata che stabilisca un periodo di attesa fra l’acquisto e la vendita di azioni di collaboratore da parte del lavoratore. Ne consegue che un’imposizione (i.e. riqualifica dell’utile in capitale esente in prestazione valutabile in denaro imponibile) può avvenire in qualsiasi momento. Tuttavia, a tal riguardo si osserva che tuttavia in alcuni Cantoni, come Zurigo e Argovia, si è optato per la concessione di un termine di attesa di cinque anni. Una volta trascorso questo termine, l’autorità fiscale rinuncia all’imposizione delle plusvalenze derivanti da cambiamento di metodo di valutazione[31].

2. Le imposte di successione e di donazioneL’art. 142 cpv. 1 LT stabilisce che all’imposta sulle donazioni sono soggette tutte le liberalità e assegnazioni tra vivi, devolute senza una controprestazione corrispondente. In una sentenza del 3 marzo 2018 la Camera di diritto tributario (CDT) del Tribunale d’appello del Canton Ticino ha avuto modo di chinarsi sul tema della donazione e la sua interpreta-zione[32]. Secondo la CDT, in linea di principio, l’autorità fiscale deve determinare le imposte tenendo conto della configura-zione civile scelta dalle parti, ma se viene appurata l’esistenza di un’elusione di imposta, una fattispecie può essere imposta secondo la sua configurazione economica, anziché quella civilistica[33].

Secondo l’art. 142 cpv. 2 lett. e LT, vengono tassate quali dona-zioni anche “le liberalità contenute in un contratto misto o simulato”. Questo è il tipico caso di cessione di beni al di sotto del valore di mercato, rispettivamente al di sotto del valore fiscale, dove vi è una sproporzione fra prestazione e controprestazione. La condizione necessaria per poter imporre una donazione mista è l’esistenza di un animus donandi (“Schenkungswille, rispetti-vamente Zuwendungswille”). La volontà di donare è, di regola, presunta nei casi di cessione di beni tra parenti ad un prezzo di favore. Diventa, invece, più difficile per l’autorità fiscale dimostrare l’esistenza di un animus donandi quando si tratta di cessioni fra terze persone[34].

[28] Vallucci (nota 5), N 7 ad art. 17b LIFD.[29] Cfr. il Modulo 8 della dichiarazione fiscale, dal titolo “Partecipazioni qualifi-cate nella sostanza privata”, se superano il 10% del pacchetto azionario, oppure il Modulo 2, dal titolo “Elenco titoli” con classifica “Privato”, se non si tratta di parte-cipazioni qualificate.[30] Vallucci (nota 5), N 7 ad art. 17b LIFD.[31] Vallucci (nota 5), N 34 ad art. 17b LIFD.[32] Sentenza CDT n. 80.2017.191 del 2 marzo 2018.[33] Vittorio Primi, Le imposte di successione e di donazione ticinesi, nel dirit-to cantonale, intercantonale e internazionale, Agno 1995, p. 11.[34] Primi (nota 33), p. 154.

D. L’applicazione delle diverse imposte1. L’imposta sul reddito e l’esenzione degli utili in capitale della sostanza privataa) Il trattamento fiscale delle partecipazioni vere e proprie di colla-boratore (artt. 17b LIFD e 16b LT)Qualsiasi forma di partecipazione di collaboratore che viene attribuita al lavoratore gratuitamente o a prezzo di favore fa nascere una prestazione valutabile in denaro. Gli artt. 17b LIFD e 16b LT stabiliscono il momento impositivo della prestazione valutabile in denaro delle partecipazioni vere e proprie di collaboratore. Le prestazioni valutabili in denaro vengono qualificate, da un profilo fiscale, come un reddito da attività lucrativa dipendente[19].

b) Il momento dell’imposizione delle azioni di collaboratore e il suo calcoloSecondo gli artt. 17b cpv. 1 LIFD e 16b cpv. 1 LT le prestazioni valutabili in denaro relative alle azioni di collaboratore ven-gono imposte quale reddito da attività lucrativa dipendente al momento dell’esercizio del diritto dell’azione (immedia-tamente, all’atto di attribuzione) e vengono calcolate nella differenza positiva tra il valore di mercato dell’azione[20] e il prezzo di cessione applicato al collaboratore[21].

Per le azioni di collaboratore non quotate non esiste un valore di mercato. Esso viene pertanto calcolato mediante un metodo di valutazione riconosciuto[22]. Se si dispone di un prezzo di mercato praticato fra terzi indipendenti e non troppo lontano nel tempo[23], esso può essere preso quale valore di riferimento per la cessione ad un collaboratore, anzi-ché utilizzare le regole dettate dalla Circolare CSI n. 28[24].

Va prestata molta attenzione in caso di cambiamento di metodo di valutazione. Questo perché la parte di plusvalenza realizzata grazie al cambiamento di metodo[25] viene, di regola, imposta quale prestazione valutabile in denaro[26], anziché quale utile in capitale esente[27].

c) L’alienazione di azioni di collaboratore dalla sostanza privata del collaboratoreIl momento impositivo segna la linea di confine fra i proventi imponibili (prestazioni valutabili in denaro) e gli utili in capi-tale da sostanza privata esenti, in quanto di regola le azioni di

[19] Sebbene le partecipazioni vere e proprie di collaboratore riguardino non solo le azioni di collaboratore, bensì anche le opzioni di collaboratore e le aspet-tative su azioni di collaboratore, nel presente articolo ci si focalizza unicamente sulle azioni di collaboratore.[20] “Verkehrswert” o “Formelwert” se trattasi di un valore matematico secondo una formula idonea.[21] Vallucci (nota 5), N 47 ad art. 17b LIFD; cfr. anche AFC (nota 9), cifra 3.1.[22] “Formelmethode/Formelwert” (Vallucci [nota 5], N 19 ad art. 17b LIFD).[23] “Zeitnaher Marktwert” (Vallucci [nota 5], N 19 ad art. 17b LIFD).[24] CSI, Circolare n. 28 (nota 3) e relativi commentari.[25] Eccezione legata agli artt. 16 cpv. 3 LIFD e 15 cpv. 3 LT che riguarda le azioni di collaboratore non quotate, quando non viene utilizzato il medesimo metodo di valutazione fra il momento dell’acquisizione (esercizio del diritto) da parte del collaboratore (“Rechtserwerb/Zuteilung”) e il momento della cessione (“Veräusserung”).[26] Ovvero come reddito da attività lucrativa dipendente.[27] Vallucci (nota 5), N 31 ad art. 17b LIFD; cfr. AFC (nota 9), cifra 3.4.3.

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e la presunzione dell’esistenza dell’animus donandi in presenza di un negozio giuridico tra persone vicine[37].

3. Considerazioni personaliIn base a quanto analizzato finora, le autorità fiscali hanno il diritto di assoggettare ai fini delle imposte sul reddito un van-taggio valutabile in denaro (cfr. riqualifica in reddito da attività lucrativa dipendente) solamente quando vi è un nesso causale fra la prestazione lavorativa e la cessione di titoli e quando il cedente è il datore di lavoro oppure l’azionista. In questi casi una donazione è esclusa a priori, mancando appunto l’animus donandi.

Mancando il presupposto del nesso causale fra prestazione lavorativa e la cessione di titoli, in caso di sproporzione fra prestazione e controprestazione, le autorità fiscali devono necessariamente dimostrare l’esistenza dell’animus donandi. Non basta la presenza di un prezzo di cessione al di sotto del valore di mercato o del valore fiscale per far automaticamente presumere l’esistenza della volontà di donare, come è il caso delle cessioni fra parenti o persone vicine[38].

4. L’imposta sulla sostanzaL’imposta sulla sostanza ha per oggetto la sostanza netta totale (artt. 40 cpv. 1 LT e 13 cpv. 1 LAID) perciò anche i titoli non quotati vanno collocati nel Modulo “Elenco dei titoli” (se non si tratta di partecipazioni qualificate), rispettivamente nel Modulo “Partecipazioni qualificate nella sostanza privata”.

La sostanza delle persone fisiche si determina secondo il valore venale (artt. 41 cpv. 2 LT e 14 cpv. 1 LAID). L’art. 14 cpv. 1 LAID precisa inoltre che il valore reddituale può essere preso in considerazione in modo appropriato, senza però specificare un preciso metodo di valutazione a cui attenersi. I Cantoni dispongono, quindi, di un margine di apprezzamento nella scelta del metodo di calcolo per determinare il valore venale dei titoli non quotati. Per quanto riguarda la loro valutazione, l’art. 45 cpv. 2 LT prevede che “[l]e azioni, partecipazioni a società cooperative ed altri diritti di partecipazione non regolarmente oggetto di transazione, sono valutati tenendo conto del loro valore di reddito e del loro valore intrinseco”. Gli artt. 45a LT e 14a LAID si occupano, invece, della stima delle partecipazioni di colla-boratore[39].

Per la valutazione dei titoli non quotati, tutti i Cantoni ricorrono alla Circolare CSI n. 28. Quest’ultima gode di alta considerazione dato che la giurisprudenza dell’Alta Corte l’ha sempre ritenuta conforme alla legge, ancorché non esclude una valutazione individuale in casi motivati[40].

[37] Sentenza TF n. 2C_294/2018 del 26 giugno 2018 consid. 3.1, 3.3, 4.3.[38] DTF 118 Ia 497 consid. 2 bb.[39] Del seguente tenore: "(1) Le partecipazioni di collaboratore (di cui all’art. 7d LAID rispettivamente 16b LT capoverso 1) sono stimate al valore venale. Eventuali ter-mini di attesa devono essere adeguatamente considerati. (2) Alla loro assegnazione, le partecipazioni di collaboratore (di cui agli articoli 7d cpv. 3 e 7e LAID, rispettivamente 16b cpv. 3 e 16c LT) devono essere dichiarate senza indicazione del valore imponibile."[40] Gruppo di lavoro start up, Bewertung von Jungunternehmen (Start-ups), Vertreter der Eidgenössischen Steuerverwaltung sowie Vertreter der Kantone BS, SG, VD und ZH, 22 giugno 2017, p. 6.

In una sentenza dell’11 dicembre 1992, il Tribunale federale aveva dichiarato che sarebbe arbitrario imporre un negozio giuridico tra non parenti, unicamente per il fatto che il prezzo pattuito sarebbe inferiore al valore fiscale dei beni, senza esa-minare se fosse effettivamente esistita la volontà di effettuare una donazione[35]. Secondo l’Alta Corte, un prezzo potrebbe essere fissato al di sotto del valore di mercato, rispettiva-mente del valore fiscale, per svariati motivi (ad es. problemi di stock, bisogno di liquidità, scopi speculativi, ecc.). È compito dell’autorità di prima istanza verificare i motivi che stanno alla base della sproporzione fra prestazione e controprestazione e, quindi, dimostrare l’esistenza dell’animus donandi.

La citata sentenza ha funto da base anche per una succes-siva decisione del Tribunale cantonale di Basilea Campagna, del 27 agosto 1997[36]. Nel caso specifico era stata negata l’esistenza dell’animus donandi in un caso concernente una cessione fra terze persone, giungendo alla conclusione che non era presente alcuna volontà di effettuare una donazione. Il motivo del “buon prezzo” era da ricondurre unicamente alle ottime doti di negoziazione dell’acquirente e, quindi, la fatti-specie non ha potuto essere assoggettata ad alcuna imposta di donazione.

Per quanto attiene la già citata sentenza della CDT, del 2 marzo 2018, la fattispecie riguardava la cessione di una quota sociale di una Società a garanzia limitata (Sagl) alla propria sorella e, quindi, nell’ambito di una cessione di beni tra parenti. Nel presente caso, l’Ufficio circondariale di tassazione aveva constatato un’importante sproporzione fra la prestazione e la relativa controprestazione, tant’è che il valore di cessione era di ben otto volte inferiore al valore fiscale. Questa notevole differenza era in seguito stata segnalata all’Ufficio delle impo-ste di successione e donazione, affinché lo stesso procedesse all’imposizione di tale differenza.

Secondo l’art. 157 LT per determinare la sostanza imponibile è determinante il valore al momento della liberalità e l’art. 159 cpv. 4 LT stabilisce che i titoli devono essere valutati al valore di borsa o mercato, rispettivamente al valore commerciale.

Nel caso affrontato dai giudici della CDT, la valutazione dei titoli è stata effettuata correttamente e conformemente alle disposizioni della Circolare CSI n. 28 tenendo in considerazione il fatto che la società non svolgeva più alcuna attività. Come sopra indicato, l’animus donandi nel caso di cessioni di beni fra parenti viene, di regola, considerato presunto. Nel caso specifico nessun argomento o elemento poteva escludere la volontà di effettuare una donazione e, di conseguenza, la CDT ha respinto il gravame. La parte soccombente ha impu-gnato la sentenza della CDT ricorrendo al Tribunale federale. Quest’ultimo, con decisione del 6 aprile 2018, nel respingere il ricorso causa mancanza di arbitrio o violazione di norme del diritto federale, ha del resto riconfermato la correttezza del metodo di valutazione dei titoli, il concetto dell’animus donandi

[35] DTF 118 Ia 497; cfr. anche Primi (nota 33), p. 154.[36] Sentenza VGer BL del 27 agosto 1997.

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nonché sono ammissibili metodi complementari, quali il metodo del profitto eccedente [utile residuo] ed EVA)[44]. I procedimenti basati sui multipli (cfr. utilizzo di dati di mercato) sono più idonei per società quotate sul mercato e non sono quindi adatti per la valutazione delle PMI (tutt’al più possono fungere da dato comparativo per plausibilizzare i valori calco-lati con altri metodi).

Dovendosi basare su dati certi e inconfutabili (e soprattutto oggettivi), i metodi utilizzati dalle autorità fiscali (cfr. Circolare CSI n. 28) sono chiaramente e comprensibilmente basati sul passato (cfr. metodo pratico), rispettivamente sul presente (cfr. valore di sostanza). Per la valutazione della sostanza le autorità fiscali si discostano dai metodi orientati a flussi finanziari futuri (come è il caso del DCF) e basati su valutazioni soggettive e difficilmente verificabili[45]. Il metodo pratico è ritenuto il modello più semplice e oggettivo da parte delle autorità fiscali e permette il raggiungimento dell’uniformità e uguaglianza di trattamento a livello svizzero.

B. Il metodo adottato dalle autorità fiscali cantonaliGià prima della pubblicazione della Circolare CSI n. 28 il metodo pratico è diventato il metodo di valutazione di riferimento. Tale metodo consiste nell’utilizzo congiunto del metodo patrimoniale e di quello reddituale, ponderando una volta il valore di sostanza e due volte il valore di reddito. I vantaggi di questo metodo risiedono principalmente nella semplicità d’uso e nella limitazione alla “manipolazione” o nell’interpretazione soggettiva del risultato della valutazione, dal momento che si basa su dati storici.

Da quando la Circolare n. 28 riguardante le “Istruzioni concer-nenti la valutazione dei titoli non quotati per l’imposta sulla sostanza” è stata pubblicata dalla CSI (i.e. il 28 agosto 2008), essa viene regolarmente aggiornata mediante la pubblicazione annuale di un commentario. Questo importante documento di prassi permette, quindi, di evitare disparità di trattamento sia all’in-terno dei singoli Cantoni sia a livello intercantonale essendo applicata da tutti i Cantoni.

La Circolare CSI n. 28 propone due modelli per il calcolo del valore di reddito. I singoli Cantoni possono scegliere fra[46]:

◆ modello 1: considera il risultato d’esercizio degli ultimi due anni (periodi fiscali “n” e “n-1”) dove l’anno “n” viene ponde-rato due volte;

◆ modello 2: considera il risultato d’esercizio degli ultimi tre anni (periodi fiscali “n”, “n-1” e “n-2”) ponderando i tre risul-tati una volta sola.

[44] Il metodo del profitto eccedente (utile residuo) e il metodo EVA secondo Hüttche/Meier-Mazzucato [nota 41], pp. 64 e 225) sono metodi comple-mentari (da combinare con i modelli DCF o del valore di reddito) e definiscono il valore del capitale proprio sulla base della somma algebrica fra capitale proprio contabile e un utile residuo scontato.[45] Hüttche/Meier-Mazzucato (nota 41), p. 63; cfr. anche il Commentario alla Circolare n. 28, versione 2019, p. 3 (cit.: Comm. versione 2019).[46] CSI, Circolare n. 28 (nota 3), nm. 7, p. 2.

III. I metodi di valutazione dei titoli non quotatiA. Introduzione ai metodi di valutazione delle PMIEsistono svariati metodi di valutazione dei titoli non quotati, alcuni di essi basati su risultati e valori derivanti dal passato e/o dal presente, altri invece che quantificano il valore azien-dale attuale in base ai rendimenti futuri (reddito prospettico). La scelta del metodo dipende naturalmente dal tipo e dalle dimensioni dell’impresa che deve essere valutata. Spesso si utilizza anche più di un metodo insieme, andando poi a sce-gliere un valore medio fra i vari risultati ottenuti con i diversi metodi.

Nella realtà il calcolo matematico rappresenta solo un punto di partenza. Infatti, le trattative portano generalmente a dei risultati diversi. Questo perché il venditore attribuisce spesso molto più valore in quanto si identifica con l’impresa e consi-dera, quindi, l’impegno profuso in tutti questi anni. D’altro lato, il compratore (specialmente se è un terzo esterno) è gene-ralmente interessato a “se e quanto” gli renderà l’importante investimento che sta per fare, portando i suoi validi motivi per spuntare il miglior prezzo. Le negoziazioni fra datore di lavoro e un suo valido collaboratore, candidato alla successione, avranno naturalmente caratteristiche e argomentazioni diverse rispetto a dei terzi estranei.

Si può affermare che la valutazione d’azienda mediante un metodo riconosciuto dovrebbe, di conseguenza, condurre ad un risultato oggettivo, mentre le negoziazioni fra venditore e acquirente conducono evidentemente a risultati soggettivi. È doveroso usare il condizionale in quanto la valutazione aziendale non è una scienza esatta ed è influenzata da diversi fattori (ruolo dell’esperto che procede alla valutazione, espe-rienze ed orientamenti dell’esperto, scopo della valutazione, situazioni particolari dell’azienda, ecc.)[41].

Fra i metodi di valutazione più diffusi vi rientrano il metodo patrimoniale (cfr. anche valore di sostanza), reddituale (cfr. anche valore di reddito), misto (cfr. anche metodo pratico), finanziario (composto dai metodi Discounted Cash Flow [DCF], DCF-Weighted Average Cost of Capital [WACC], Economic Value Added [EVA], multipli).

Per la valutazione delle PMI, si prediligono i seguenti metodi: DCF e DCF-WACC[42], valore di reddito (utili contabilizzati)[43],

[41] Tobias Hüttche/Giorgio Meier-Mazzucato, Unternehmensbewertung von Schweizer KMU, Kommentierung der Fachmitteilung „Unternehmensbewer-tung von kleinen und mittleren Unternehmen (KMU)“, Zurigo 2018.[42] I modelli DCF sono spesso i più privilegiati, poiché definiscono il valore attuale dell’impresa sulla base dei rendimenti futuri di cui godrà l’investitore sotto forma di flusso di cassa scontato (i.e. Discounted Cash Flow). Tali metodi sono adat-ti quasi esclusivamente ad aziende già affermate che da anni presentano una crescita costante dell’utile (Hüttche/Meier-Mazzucato [nota 41], p. 225).[43] Questo metodo funziona in maniera similare al DCF-Equity, ma esprime il valore del capitale proprio utilizzando l’utile contabile quale base di partenza anziché l’Earnings Before Interests and Taxes (EBIT) (Hüttche/Meier-Mazzuca-to [nota 41], pp. 67 e 226). Questo metodo viene utilizzato più che altro a titolo di doppio controllo (ad es. dopo aver calcolato il DCF-WACC) e ha il vantaggio di essere facilmente verificabile dato che si basa su dati certi (bilancio, conto economico, distribuzione dell’utile) (Hüttche/Meier-Mazzucato [nota 41], p. 67 s.).

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es. quando vi sono società neo-costituite, in liquidazione o società cooperative, nonché quando l’azionista ha un diritto d’uso dell’immobile della società)[50].

b) L’azienda difficilmente alienabile in quanto dipendente dalle pre-stazioni di un’unica personaQuesta casistica costituisce un’eccezione rispetto alle modalità di valutazione previste dalla Circolare CSI n. 28. Le regole che definiscono questa casistica sono state previste solamente nel Commentario della Circolare n. 28[51]. Questa eccezione prevede la ponderazione semplice (anziché dop-pia) del valore di reddito. La richiesta deve essere formulata dall’impresa. Un’azienda è considerata inalienabile o difficil-mente alienabile a condizione che il suo rendimento dipenda esclusivamente o quasi esclusivamente da un azionista unico o un azionista di maggioranza (detenzione di più del 50% dei diritti di partecipazione). L’azienda può disporre unicamente di pochi collaboratori, addetti prettamente a mansioni ammi-nistrative e della logistica.

IV. La cessione fra terzi indipendentiA. Valore di mercato inferiore al valore intrinsecoLa cessione fra terzi indipendenti, vale a dire nei casi in cui non vi sono né legami familiari né rapporti di lavoro tra le parti contraenti, è un tipo di transazione che di principio non presenta alcuna problematica fiscale. Infatti, per l’autorità fiscale tale prezzo di cessione è da considerare vincolante. Una transazione fra terzi indipendenti rispecchia il criterio della “libera formazione del prezzo”[52] (cfr. valore di mercato oggettivo), elemento cardine della valutazione dei titoli non quotati in borsa.

Qualora si fosse, invece, in presenza di un’evidente spropor-zione tra il valore di transazione e il valore intrinseco (fiscale), incombe all’autorità fiscale dimostrare l’esistenza dell’animus donandi[53].

B. Valore di mercato superiore al valore intrinsecoIl prezzo pattuito fra terzi indipendenti potrebbe rappre-sentare però un’“arma a doppio taglio”, traducendosi in un “vantaggio” per il contribuente, laddove il prezzo risultasse inferiore al valore fiscale, mentre costituirebbe uno “svan-taggio”, laddove il prezzo risultasse superiore al valore fiscale. Significativa è la sentenza della CDT del 6 dicembre 2010[54], poiché spiega, infatti, che ai fini dell’imposta sulla sostanza

[50] CSI, Circolare n. 28 (nota 3), nm. 64, p. 9.[51] CSI, Commentario alla Circolare n. 28 (nota 4), nm. 5, p. 9 s.[52] Sentenza CDT n. 80.2008.54 del 6 dicembre 2010 consid. 2.2.[53] Cfr. Primi (nota 33), p. 154. Risulta piuttosto difficile da dimostrare nelle transazioni fra terzi indipendenti, poiché possono esserci anche altri fattori che portano a negoziare un prezzo inferiore a quello di mercato.[54] Sentenza CDT n. 80.2008.54 del 6 dicembre 2010. La sentenza tratta una situazione in cui il valore fiscale calcolato secondo le disposizioni fiscali era net-tamente inferiore (fr. 540’000) rispetto al valore di cessione pattuito pochi mesi dopo (16 mio. di fr.). Ai fini dell’imposta sulla sostanza, l’Ufficio di tassazione ha dunque rettificato il valore della partecipazione esposto nell’elenco dei tito-li, applicando il valore stabilito contrattualmente tre mesi e mezzo dopo. Cfr. anche Rocco Filippini, L’imposta cantonale sulla sostanza e la valutazione di titoli non quotati, in: NF n. 12/2011, pp. 21-23.

Il Canton Ticino, come la maggioranza dei Cantoni, ha scelto di utilizzare il modello 1 quale sistema standard di valutazione. Ad ogni modo, la società oggetto di valutazione ha la facoltà di chiedere l’applicazione del modello 2, rimanendovi vinco-lata per almeno cinque anni[47].

1. Il valore di sostanza e il metodo praticoIn base alla Circolare CSI n. 28, per ogni tipo di società è appli-cabile uno specifico metodo di valutazione. La maggioranza delle società vengono valutate mediante il metodo pratico (modelli 1 o 2)[48]; altri tipi di società vengono, invece, valutati al solo valore di sostanza[49]; infine vi sono dei casi particolari che godono di condizioni speciali.

2. Casi particolaria) Quote minoritarieI detentori di quote minoritarie hanno un influsso limitato nell’amministrazione della società e nelle decisioni prese dall’assemblea generale. Di queste limitazioni, come pure in caso di limitata trasferibilità delle quote, ne viene tenuto conto concedendo una riduzione forfettaria del 30%. La ridu-zione forfettaria viene concessa per partecipazioni fino al 50% del capitale sociale. Fanno stato i rapporti di partecipazione (in particolare i diritti di voto) esistenti alla fine del periodo fiscale. Non appena il titolare della quota minoritaria dovesse esercitare un influsso dominante nell’amministrazione o nelle decisioni dell’assemblea generale (cfr. ad es. mediante il cumulo dei diritti di partecipazione fra coniugi, il diritto di veto nelle Sagl, ecc.), il diritto alla riduzione forfettaria decade. La decadenza della riduzione forfettaria avviene anche nel caso in cui il contribuente riceve un dividendo adeguato, come in altri specifici casi menzionati dalla Circolare CSI n. 28 (ad

[47] È importante notare che la scelta del metodo è un diritto riservato uni-camente alla società e non ai titolari dei diritti di partecipazione. Questo limite è dettato dal fatto che la possibilità di scelta fra i due modelli non può servire unicamente ad aumentare o diminuire il valore venale dei titoli ogget-to di valutazione, ma deve riflettere la situazione reale della società. Senza una comunicazione scritta da parte della società, la scelta del metodo standard risul-ta effettuata tacitamente. Unicamente qualora fosse possibile dimostrare che il modello utilizzato conduce ad un valore venale oggettivamente insostenibile, esiste la possibilità, riservata esclusivamente ai detentori della totalità dei dirit-ti di partecipazione, di far rivedere il metodo di stima in collaborazione con la società (cfr. CSI, Commentario alla Circolare n. 28, versione 2014, nm. 7, p. 11 [cit.: Comm. versione 2014]; Sentenza CDT n. 80.2016.147 del 20 settembre 2018, consid. 3.3 e relativi rinvii).[48] Società valutate con il metodo pratico: società operative (attive nel com-mercio, l’industria o nei servizi), società di domicilio e società miste (hanno una attività amministrativa in Svizzera, senza svolgere alcuna attività commercia-le), società neo costituite (valutate secondo il metodo pratico solo a partire dal momento in cui raggiungono risultati d’esercizio significativi), società ogget-to di ristrutturazione (cfr. trasformazione da società individuale o da società di persone in società di capitali), Sagl (le Sagl vengono valutate secondo i mede-simi criteri delle società anonime); società cooperativa (il valore delle società cooperative senza scopo di lucro non viene calcolato e si considera al massimo il valore nominale delle quote. Per contro, le società cooperativa con scopo di lucro vengono valutate secondo i medesimi criteri validi per le società anonime) e titoli e partecipazioni esteri (anch’essi valutati secondo la Circolare CSI n. 28).[49] Società valutate al valore di sostanza: società neo costituite (valutate al valore di sostanza fino al momento in cui raggiungono risultati d’esercizio significativi, dopodiché secondo il metodo pratico), holding pure, società d’am-ministrazione di patrimoni, società finanziarie (società che perseguono un’attività di detenzione di partecipazioni oppure gestiscono passivamente il loro patrimonio), società immobiliari e società in liquidazione.

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acquistata non poggiava, infatti, su solidi criteri e motivazioni. In tale fattispecie l’Ufficio di tassazione si era discostato dalla sua prassi abituale e un ricalcolo del valore venale dei titoli oggetto della transazione poteva portare a ben tre risul-tati differenti. Di fronte ad una tale incertezza, non è stato possibile per la CDT stabilire l’esistenza di una prestazione valutabile in denaro, né dunque di quantificarla.

Secondo la consolidata giurisprudenza del Tribunale federale, per stimare il valore delle partecipazioni non quotate in borsa fanno stato le direttive della CSI. Qualora il calcolo del valore venale di una partecipazione risultasse in contrasto con tali disposizioni federali, il contribuente ha comunque la facoltà di contestarlo.

VI. La cessione sopravvalutata: acquisto di azioni proprieIn linea di principio, una vendita di partecipazioni apparte-nenti alla sostanza mobiliare privata rappresenta un utile in capitale esente (artt. 16 cpv. 3 LIFD e 15 cpv. 3 LT). Tuttavia ci possono essere dei casi in cui questo tipo di utile diviene imponibile. È il tipico caso in cui l’azienda si procura azioni proprie e paga all’azionista (venditore, proprietario della società) un prezzo eccessivo che supera, quindi, il valore venale delle azioni. Questa fattispecie viene qualificata come una “distribuzione mascherata di utile” per la parte che eccede il valore venale[60].

VII. La cessione sopravvalutata: quando l’ex azionista rimane in aziendaCome poc’anzi indicato, di regola, la vendita di partecipazioni appartenenti alla sostanza mobiliare privata rappresenta un utile in capitale esente. Non è però raro che quando le aziende vengono cedute, l’ex azionista resti attivo in azienda per un tempo definito, vale a dire nella fase di accompagnamento che può variare a dipendenza dal settore. Generalmente questo lasso di tempo viene regolato nel contratto di vendita del pacchetto azionario. Bisogna tuttavia tenere ben distinto il prezzo di cessione del pacchetto azionario dalla remune-razione all’ex azionista. Questa fattispecie non può, infatti, essere qualificata quale utile in capitale esente da imposte, bensì quale reddito da attività lucrativa dipendente. Un chiaro indizio di elusione emerge nel caso in cui all’impegno profuso dall’ex azionista durante la fase di accompagnamento non corrisponde un’adeguata controprestazione[61].

Una sentenza dell’Alta Corte del 3 aprile 2015 ha destato un certo scalpore[62]. Sette soci (cd. “Poolmitglieder”) avevano deciso di spostare un settore della loro società finanziaria in una nuova società costituita per l’occasione (NewCO). Dopo appena un mese, i soci avevano poi provveduto a vendere il 51% della NewCO con un prezzo di vendita pari a

[60] Bernardoni/Bortolotto (nota 58), p. 838.[61] Wenger Plattner Rechtsanwälte, Beraten. Regeln. Umsetzen. Praxi-sratgeber zur Planung und Strukturierung der Unternehmensnachfolge, Basilea/Zurigo/Berna, p. 24, in: https://www.wenger-plattner.ch/media/filer_public/5c/0a/5c0a21d5-00b2-47e3-b6de-f6c1e715df4e/praxisratgeber.pdf (consultato il 10.07.2020).[62] Sentenza TF n. 2C_618/2014 del 3 aprile 2015.

la tassazione dei titoli non quotati in borsa si basa, di regola, sul valore intrinseco delle azioni. Nel caso in cui poco prima o poco dopo il giorno determinante per la valutazione vi sia stata una cessione di quote fra terzi indipendenti, allora ci si deve basare sul relativo valore di acquisto (i.e. di mercato)[55]. Tale valore resta determinante ai fini fiscali fintantoché nessuna circostanza modifichi la situazione economica della società in maniera rilevante[56]. Il ricorso al valore intrinseco calcolato secondo quanto previsto dalla Circolare CSI n. 28 rappresenta, pertanto, solo una soluzione sussidiaria rispetto all’applicazione del valore di mercato[57].

C. La mutazione dei fattori determinantiI prezzi di vendita dei titoli non quotati stabiliti nelle transa-zioni fra terzi non possono più essere ritenuti oggettivi nel momento in cui i seguenti fattori determinanti subiscono una modifica, rappresentando, quindi, una modifica essenziale della situazione economica della società[58]:

◆ incremento o flessione utile d’esercizio; ◆ variazione di almeno 20% della cifra d’affari; ◆ variazione del capitale di almeno 10% (aumenti di capitale,

fusioni, ecc.); ◆ cambiamento dei rapporti di partecipazione in misura di

almeno 10%.

Questi criteri costituiscono degli indizi, pertanto ogni singola casistica dev’essere valutata volta per volta.

V. La cessione facente capo al rapporto di lavoroAffinché ci sia un’imposizione, la presenza del vantaggio valu-tabile in denaro dev’essere dimostrata dall’autorità fiscale. Per stabilire l’esistenza e l’ammontare del vantaggio valutabile in denaro, deve innanzitutto essere calcolato il valore venale della partecipazione oggetto della transazione.

In una sentenza della CDT[59], avente per oggetto l’acquisto di azioni da parte di un contribuente attivo professionalmente nella società oggetto della compravendita, i giudici hanno annullato una decisione dell’Ufficio di tassazione. In tale decisione il calcolo del valore venale della partecipazione

[55] Filippini (nota 54), p. 21 s. Nel caso specifico della sentenza CDT n. 80.2008.54, la rettifica retroattiva del valore delle azioni era giustificata e rafforzata soprattutto dalla dichiarazione del contribuente che spiegava come la formulazione del prezzo era espressamente basata sui valori di bilancio chiusi poco più di tre mesi prima.[56] Sentenza CDT n. 80.2008.54 del 6 dicembre 2010 consid. 2.2. La CDT cita a sua volta la giurisprudenza esistente a riguardo di casi in cui altre autorità cantonali hanno operato, ai fini dell’imposta sulla sostanza, un aumento retro-attivo del valore dei titoli non quotati sulla base di contratti di compravendita formalizzati addirittura a distanza di sei o sette mesi dalla data determinante ai fini fiscali.[57] Sentenza CDT n. 80.2008.54 del 6 dicembre 2010 consid. 2.4; cfr. anche Filippini (nota 54), p. 22.[58] Pietro Bortolotto/Norberto Bernardoni, La fiscalità dell’azienda nel nuovo diritto federale e cantonale ticinese, Bellinzona 2010, p. 213; cfr. anche sentenza VGr GR (A 12 28) del 23 ottobre 2012; CSI, Commentario alla Circola-re n. 28, versione 2011, nm. 2, p. 3 (“Wesentliche Veränderung der wirtschaftlichen Lage”).[59] Sentenza CDT n. 80.2016.147/148 del 20 settembre 2018, consid. 3.4 ss.

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federale hanno avuto modo di prendere posizione più volte su questo punto[67].

La Divisione delle contribuzioni ha fatto proprie le istruzioni della Circolare CSI n. 28, che mirano ad una valutazione dei titoli non quotati uniforme in tutto il Paese al fine di evitare trattamenti discriminatori[68]. Il tasso di capitalizzazione stabilito dalla Circolare CSI n. 28[69] tiene conto sia dei rischi generali dell’impresa, quali la concorrenza, il settore, la qua-lità dei membri della direzione e del personale, le perdite su debitori, ecc., sia della negoziabilità limitata dei suoi titoli[70]. Contrariamente alla prassi precedentemente in vigore[71], le attuali direttive della Circolare n. 28 non tengono più conto della possibilità di discostarsi dal tasso di capitalizzazione in caso di situazioni straordinarie[72].

D. La valutazione di un’azienda difficilmente alienabileQuesta casistica rientra nei “casi particolari” ed è stata prevista solamente nel Commentario della Circolare CSI n. 28[73]. Un’impresa è considerata inalienabile o difficilmente alienabile quando dipende esclusivamente, o quasi esclusiva-mente, dalla prestazione di un’unica persona (azionista unico o azionista di maggioranza) e dispone unicamente di pochi impiegati con mansioni puramente amministrative o nella logistica[74]. Spetta al contribuente dimostrare di adempiere le condizioni[75].

La Divisione delle contribuzioni ha emanato una direttiva interna per la verifica dei presupposti per la concessione della ponderazione semplice[76]. Essa prevede tre condizioni da adempiere cumulativamente:

1) l’azionista deve detenere oltre il 50% dei diritti di voto (controllo diretto o indiretto);

2) il suo reddito (stipendio e quota di utile) deve superare i 2/3 del reddito determinante della società;

3) non deve essere pagato alcuno stipendio eccedente il

[67] Per citare alcuni esempi: Sentenze TF n. 2C_728/2016 del 6 aprile 2017; n. 2C_1173/2016 del 22 maggio 2017; Sentenze CDT n. 80.2016.167 del 16 novembre 2016; n. 80.2014.119 del 12 settembre 2014; n. 80.2008.1 del 31 ottobre 2008.[68] Sentenza CDT n. 80.2016.167 del 16 novembre 2016 consid. 1.3 e 1.4; cfr. anche CSI, Commentario alla Circolare n. 28, versione 2013, nm. 1, p. 2.[69] CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 10, pp. 18-20.[70] Sentenza CDT n. 80.2016.167 del 16.11.2016 consid. 4.2.[71] Sentenza CDT n. 80.2016.167 del 16.11.2016 consid. 4.3 s.[72] Sentenza CDT n. 80.2016.167 del 16.11.2016 consid. 4.4 s.[73] CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 5, pp. 10-11.[74] Sentenza CDT n. 80.2016.167 del 16.11.2016 consid. 3.2; CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 5, p. 10; cfr. anche relativa Sentenza TF n. 2C_1173/2016 del 22 maggio 2017 consid. 5.3.[75] CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 5, p. 11, che prevede quan-to segue: “Beweispflichtig dafür, dass die Voraussetzungen erfüllt sind, ist der Steuerpflichtige”. Nella fattispecie trattata dalla sentenza CDT n. 80.2016.167 del 16 novembre 2016, il contribuente, seppur azionista di maggioran-za, non ha saputo di dimostrare di adempiere le condizioni (indizi: numero di dipendenti, compravendita gestita anche da altri dipendenti, dipendenti remu-nerati quasi al pari dell’azionista di maggioranza, diritti di firma individuale anche dell’altro azionista, reddito dell’azionista di maggioranza rispetto all’utile lordo).[76] Sentenza CDT n. 80.2016.93 del 21 giugno 2016 consid. 2.

300% il valore nominale delle azioni, pari a oltre 3 mio. di fr. L’acquirente aveva però accettato di pagare tale prezzo sola-mente al verificarsi delle seguenti condizioni:

a) pagamento a rate annuali suddivise su quattro anni (2006-2007-2008-2009);

b) continuazione del rapporto di lavoro del socio (ricorrente) fino al termine del pagamento;

c) raggiungimento di una determinata cifra d’affari negli anni 2006-2007-2008.

Sono state proprio queste condizioni particolari a far riquali-ficare il provento conseguito dal ricorrente da utile in capitale esente in reddito da attività lucrativa dipendente. La breve durata di vita della NewCO (solo un mese) e le condizioni particolari di vendita indicano in maniera inequivocabile che il prezzo d’acquisto della NewCO è costituito da prestazioni lavorative future del ricorrente.

VIII. Gli altri aspetti determinanti per la valutazione fiscaleA. I risultati d’esercizio straordinariQuando i risultati d’esercizio oggetto di una valutazione fiscale sono caratterizzati da utili evidentemente straordinari ed irregolari, preceduti e seguiti da più di un esercizio con utili più contenuti, definibili come “normali”, l’autorità di tassa-zione può – a titolo eccezionale – scostarsi dalle indicazioni della Circolare CSI n. 28 e utilizzare gli utili del o degli anni seguenti quale base per il calcolo del valore di reddito[63] oppure ricalcolare i risultati d’esercizio degli anni oggetto della valutazione estrapolando gli utili e i costi straordinari[64].

B. L’applicazione del modello 2 della Circolare CSI n. 28È data facoltà ad una società di chiedere l’applicazione del modello 2 per stabilire il calcolo del valore di reddito quando questo metodo risulta più rappresentativo rispetto al model-lo 1[65]. Una situazione concreta per il cambio di modello è ad es. data quando una società dimostra, su un arco temporale di più anni, di conseguire risultati aziendali altalenanti. In tal caso l’Ufficio di tassazione, una volta ottenuti tutti i documenti necessari alla corretta valutazione, può negoziare l’applica-zione del modello 2 con la direzione o i membri del consiglio d’amministrazione della società che ne fanno richiesta[66]

C. Il tasso di capitalizzazione previsto dalla Circolare CSI n. 28Non è inusuale che i contribuenti ritengano il tasso di capi-talizzazione applicato dalle autorità fiscali non adeguato o non rappresentativo della realtà dell’azienda oggetto della transazione. Sia le autorità fiscali cantonali sia il Tribunale

[63] Sentenza CDT n. 80.2012.127 del 6 febbraio 2013 fatti C. Anziché utiliz-zare i risultati degli anni 2007 e 2008 (straordinari) è stato utilizzato il risultato dell’anno 2009 ai fini del calcolo del valore di reddito (gli anni 2009 e 2010 sono stati giudicati “normali”); cfr. anche sentenza CDT n. 80.2016273/274 del 23 ottobre 2017.[64] Bernardoni/Bortolotto (nota 58), p. 212.[65] CSI, Comm. versione 2014 (nota 47), nm. 7, p. 11.[66] Sentenza CDT n. 80.2016.273/274 del 23 ottobre 2017 consid. 2.5.2.

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Qualora un socio minoritario riceva un dividendo adeguato, il diritto alla riduzione forfettaria decade in quanto si ritiene che egli venga trattato al pari dell’azionista di maggioranza[86].

Infine, si segnala che la riduzione forfetaria viene negata qua-lora fosse disponibile un prezzo stabilito fra terze persone[87], come pure quando la valutazione dei titoli non viene effet-tuata in conformità delle disposizioni della Circolare CSI n. 28, bensì secondo una formula personalizzata[88].

IX. Gli svantaggi rispetto ai piani di partecipazioneLe partecipazioni di collaboratore vengono attribuite anno per anno in funzione del merito e con la stessa cadenza annuale vengono assoggettate ad imposizione. I piani di partecipazione possono essere costruiti e gestiti in modo da risultare molto attrattivi anche da un punto di vista fiscale, specialmente per il collaboratore che ne beneficia. In questo contesto i collaboratori vengono motivati a partecipare all’a-zienda ed al suo successo.

Diversamente, le partecipazioni acquistate a prezzo di favore direttamente da un ex azionista (partecipazione di collabo-ratore in senso ampio) nascondono un’insidia. L’imposizione del vantaggio valutabile in denaro avviene, infatti, in un unico momento. Un collaboratore potrebbe essersi guadagnato il merito su un lasso temporale molto lungo (ad es. dieci anni), ma l’imposizione non viene per contro spalmata sugli anni di servizio. Ciò comporta per il collaboratore notevoli difficoltà finanziare a causa del pagamento delle imposte. Di conseguenza, i potenziali successori di PMI, di fronte a que-ste ripercussioni fiscali e finanziarie, potrebbero facilmente scoraggiarsi e rinunciare al rilevamento dell’azienda in cui operano.

X. ConclusioniEssere bene informati consente di evitare errori, di organizzarsi tempestivamente e correttamente prima di intraprendere una cessione aziendale e di evitare, quindi, spiacevoli e ina-spettate conseguenze fiscali.

La Circolare CSI n. 28 ha un peso diverso a seconda se viene applicata per la determinazione del valore venale dei titoli non quotati per il calcolo delle imposte sulla sostanza oppure per le imposte sul reddito. Per quanto attiene alle imposte sulla sostanza generalmente i metodi di calcolo previsti dalla Circolare CSI n. 28 sono piuttosto vincolanti, salvo casi ecce-zionali. Ai fini delle imposte sul reddito i Cantoni dispongono di un certo margine di apprezzamento che permette loro di accettare anche altri metodi di valutazione, diversi da quelli indicati nella Circolare CSI n. 28, purché il contribuente forni-sca una valida documentazione a supporto.

[86] CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 63, p. 79.[87] CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 64, p. 80.[88] CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 64, p. 80. Si ritiene, infatti, che con l’utilizzo di una formula personalizzata venga già tenuto conto degli svan-taggi legati alla quota minoritari e che, quindi, un’ulteriore riduzione non si giustificherebbe.

50% di quello corrisposto all’azionista (con limite massimo assoluto di fr. 200’000).

E. La riduzione forfettaria per le quote minoritariePer i detentori di quote minoritarie esiste la possibilità di rice-vere una riduzione forfettaria del 30% sul valore dei titoli non quotati. Questo trattamento di favore viene accordato però soltanto a precise condizioni da adempiere cumulativamente che, nella prassi, si possono riassumere come[77]:

◆ diritto di voto fino a massimo 50%[78]; ◆ dividendo non adeguato[79]; ◆ nessuna influenza determinante[80].

Il diritto alla riduzione forfettaria avviene anche nel caso in cui l’azienda sia gestita da due azionisti/soci proprietari in ragione di 50% ciascuno[81]. Soltanto quando uno dei due azionisti/soci ha manifestamente un influsso dominante, l’altro azio-nista/socio può beneficiare dell’agevolazione per le quote minoritarie[82]. Laddove non sia possibile dimostrare che uno dei due soci abbia effettivamente un influsso dominante, la riduzione forfetaria non potrà essere concessa[83].

Per calcolare la percentuale di diritti di voto detenuta, nel calcolo vanno incluse anche le partecipazioni possedute indirettamente[84]. Anche le partecipazioni detenute unica-mente in maniera indiretta possono, quindi, beneficiare della riduzione forfetaria[85].

[77] Sentenza CDT n. 80.2015.274 del 30 maggio 2017 fatti D.[78] Attenzione al cumulo dei fattori imponibili dei coniugi (“wirtschaftliche Einheit”), quando insieme superano il 50%: nessun diritto alla riduzione forfet-taria; cfr. CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 62, pp. 77-78; cfr. anche Sentenza TF n. 2C_450/2013 del 5 dicembre 2013 consid. 3.5.[79] CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 63, p. 79, che prevede quanto segue: “Erhält der Steuerpflichtige eine angemessene Dividende, so wird der Abzug nicht gewährt”. In base alla nm. 63 par. 2 un dividendo è da considerare adeguato quando il rapporto tra il rendimento dei titoli ed il loro valore venale ammonta al minimo alla media trimestrale del tasso SWAP a cinque anni, aumentato di un punto e arrotondato al decimo superiore. Ne consegue che il rendimento minimo non può essere inferiore all’1%. A causa dei tassi SWAP negativi che stanno caratterizzando gli ultimi anni, dal 2015 al 2018 il rendimento minimo (definito come “Grenzrendite”) è stato di 1% (CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 63, p. 79: “Angemessene Rendite – Herleitung der Grenzrendite” & “Ange-messene Rendite bei negativen, durchschnittlichen Swapsätzen”).[80] CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 62, p. 77, che prevede quanto segue: “Sobald der Inhaber einer Minderheitsbeteiligung über einen beherrschenden Einfluss verfügt […] wird der Pauschalabzug nicht gewährt”.[81] Sentenza TF n. 2C_952/2010 del 29 marzo 2011. Si tratta di caso di una Sagl gestita da due ex coniugi al 50% con firma collettiva, dove un socio aveva influsso dominante sia secondo il Registro di commercio RC (= influsso nell’amministra-zione) sia secondo gli statuti (= influsso nelle decisioni dell’assemblea dei soci). Il Tribunale federale ha concesso la riduzione forfettaria del 30% alla socia priva di influsso dominante. Cfr. anche CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 61, p. 76.[82] Sentenza TF n. 2C_952/2010 del 29 marzo 2011 consid. 2.1 e 2.2; cfr. anche CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 61, p. 76.[83] Sentenza TF n. 2C_952/2010 del 29 marzo 2011 consid. 2.3 e 2.4; cfr. anche CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 61, p. 76.[84] CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 62, p. 78. In particolare biso-gna considerare anche titoli dati in detenzione fiduciaria a terzi, titoli di cui il contribuente è usufruttuario e partecipazioni detenute da una società di cui il contribuente è l’azionista di maggioranza; cfr. anche CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 62, p. 78.[85] CSI, Comm. versione 2019 (nota 45), nm. 62, p. 78.

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Diritto tributario svizzero

È, pertanto, caldamente consigliabile entrare in contatto con le autorità fiscali prima di mettere in atto una successione aziendale, dato che le autorità giudiziarie tendono a seguire quanto indicato dalla Circolare CSI n. 28. Risulta, infatti, piuttosto difficile ottenere ragione e vincere un contenzioso quando non è stata effettuata una valutazione aziendale mediante un valido metodo di valutazione e non si è in grado di presentare i necessari giustificativi che hanno portato alla formulazione del prezzo di compravendita praticato.

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Diritto tributario svizzero

Marzio ZappaDipl. fed. Esperto in finanza e investimenti,Responsabile Clienti aziendali e Partner Ticino, Swiss Life SA

Elementi da considerare nel 2° pilastro per una scelta fiscale ottimale

Dividendo o salario?

Il pagamento di un salario elevato aumenta lo spazio di manovra nella previdenza professionale. Dal punto di vista fiscale una strategia di questo tipo è spesso più interessante rispetto al pagamento del dividendo, nonostante quest’ultimo sia soggetto ad un’imposizione del 70% del suo valore se l’a-zionista detiene una partecipazione qualificata. Occorre però pianificare la strategia sul lungo termine e rispettare principi alla base della previdenza professionale.

Figura 1: Flussi in entrata e in uscita in ambito di 2° pilastro

A. I contributi del datore di lavoro all’istituto di previdenzaI contributi del datore di lavoro versati all’istituto di pre-videnza rappresentano un onere per il datore di lavoro. Di conseguenza ne riducono l’utile imponibile. Inoltre, essi non sono soggetti agli oneri sociali.

Il datore di lavoro è tenuto al versamento dei propri contributi ordinari, ovvero quelli previsti dal regolamento di previdenza. Esso può inoltre effettuare dei versamenti straordinari desti-nati alle riserve dei contributi del datore di lavoro. Queste riserve possono ammontare al massimo a cinque volte i con-tributi annui del datore di lavoro (seppur con delle differenze a livello cantonale; ad es. il Ticino ne accetta solo due volte) e possono essere utilizzati per pagare i propri contributi futuri. In questo caso si verifica un differimento d’imposta e, even-tualmente, anche un’ottimizzazione fiscale, nel caso in cui le riserve venissero sciolte in un anno fiscale con delle perdite d’esercizio.

D’attualità è l’Ordinanza sull’impiego della riserva dei contri-buti del datore di lavoro per pagare i contributi dei lavoratori alla previdenza professionale in relazione con il Covid-19 (Ordinanza COVID-19 previdenza professionale; RS 831.471), del 25 marzo. In base a questa Ordinanza il datore di lavoro può attingere alla riserva ordinaria dei suoi contributi per finanziare anche i contributi dei lavoratori alla previdenza professionale, nel caso in cui questi non siano stati ancora

I. IntroduzioneDa sempre, la previdenza è lo scopo principale di qualsiasi forma di risparmio. Oggi a maggior ragione, viste le attuali sfide che i sistemi pensionistici di tutto il mondo sono chia-mati ad affrontare con inevitabili riforme.

Lo Stato incentiva il risparmio previdenziale con delle misure di carattere fiscale, sia in ambito privato (3° pilastro) che in ambito professionale (2° pilastro). Una pianificazione pre-videnziale e finanziaria adeguata permette di ottimizzare sensibilmente la propria fiscalità.

II. Il trattamento di contributi e prestazioni nel 2° pilastroIl 2° pilastro prevede due possibili flussi in entrata, un accu-mulo presso l’istituto di previdenza e un unico flusso di denaro in uscita (cfr. Figura 1 a lato).

I. Introduzione ...................................................................... 432II. Il trattamento di contributi e prestazioni nel 2° pilastro .............................................................................. 432A. I contributi del datore di lavoro all’istituto di previdenza ............................................................................................432B. I contributi del dipendente all’istituto di previdenza .....433C. L’accumulo del capitale presso l’istituto di previdenza ....433D. Le prestazioni a favore del dipendente ...............................433III. I requisiti necessari affinché i contributi nel 2° pilastro possano essere dedotti ................................... 433IV. Conclusione .....................................................................434

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Tabella 1: Raffronto del carico fiscale (in franchi) in caso di ottenimento di

una prestazione in capitale previdenziale (calcolato per un uomo, 65 anni,

coniugato, senza confessione)

Comune 200'000 500'000 1'000'000 2'000'000

Lugano (TI) 9’592 28’012 77’212 293’177

Airolo (TI) 10’032 29’112 80’581 308’538

Bellinzona (TI) 10’232 29’612 82’112 315’521

Roveredo (GR) 8’662 25’687 76’300 152’600

Su queste basi risultano evidenti gli elementi di cui occorre tener conto per una strategia di ottimizzazione fiscale nell’ambito del 2° pilastro:

a) un salario possibilmente elevato, per aumentare lo spazio di manovra nel 2° pilastro;

b) un buon piano di previdenza in termini di prestazioni, per aumentare i contributi ordinari e la possibilità di effettuare contributi straordinari;

c) un finanziamento nel piano di previdenza maggiormente a carico del datore di lavoro, per ridurre l’assoggettamento agli oneri sociali;

d) una ripartizione sistematica dei contributi straordinari durante la fase di versamento prima del pensionamento, per ridurre la progressione fiscale;

e) una suddivisione della fase di prelievo su più anni fiscali, attuabile con dei prelievi anticipati per l’abitazione pri-maria e un pensionamento a tappe (parziale, anticipato, ordinario, posticipato), in parte con prestazioni sotto forma di rendita e di capitale (al massimo due volte) in modo da ridurre la progressione fiscale su capitale e rendita.

Considerando tutti questi elementi risulta altrettanto evi-dente la necessità di pianificare il tutto sul lungo termine.

Una pianificazione di questo tipo permette all’imprenditore di conseguire spesso un’efficienza fiscale maggiore rispetto al pagamento del dividendo, nonostante quest’ultimo in caso di partecipazione qualificata sia tassato nella misura del 70% (art. 20 cpv. 1bis LIFD; art. 19 cpv. 1bis LT). Questo a maggior ragione se si considera che l’utile aziendale è già stato tassato prima della ripartizione del dividendo.

Con una strategia di questo tipo viene inoltre conseguito l’obiettivo di una previdenza adeguata.

III. I requisiti necessari affinché i contributi nel 2° pilastro possano essere dedottiAffinché i contributi nel 2° pilastro possono essere dedotti vanno osservate le disposizioni dell’Ordinanza sulla previ-denza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità (OPP2; RS 831.441.1).

Di particolare rilievo a questo proposito sono le disposizioni relative all’adeguatezza (art. 1 OPP2) in base alle quali le pre-stazioni regolamentari, conformemente al modello di calcolo, non possono superare il 70% dell’ultimo salario o reddito assi-curabile soggetto all’AVS oppure l’importo complessivo annuo

pagati, per un periodo di sei mesi dalla data dell’entrata in vigore dell’Ordinanza.

B. I contributi del dipendente all’istituto di previdenzaI contributi del dipendente all’istituto di previdenza sono pure deducibili fiscalmente dal reddito imponibile della persona, sia quelli ordinari che quelli straordinari (art. 81 della Legge fede-rale sulla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità [LPP; RS 831.40]; art. 33 cpv. 1 lett. d della Legge federale sull’imposta federale diretta [LIFD; RS 642.11]; art. 9 cpv. 2 lett. d della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni [LAID; RS 642.14], art. 32 cpv. 1 lett. d della Legge tributaria del Canton Ticino [LT; RL 640.100]).

I contributi straordinari per il dipendente sono i versamenti facoltativi a titolo d’acquisto di anni contributivi, possibili sia per anni mancanti o non completi che per il finanziamento del pensionamento anticipato. Affinché la loro deducibilità sia confermata è necessario osservare la limitazione di tre anni per la liquidazione in capitale dopo l’ultimo versamento effettuato a titolo d’acquisto (art. 79b cpv. 3 LPP).

C. L’accumulo del capitale presso l’istituto di previdenzaDurante la fase di accumulo presso l’istituto di previdenza, il denaro non soggiace a nessun tipo d’imposta, né sul reddito né sulla sostanza (cfr. ad es. l’art. 46 cpv. 2 LT).

D. Le prestazioni a favore del dipendenteLa previdenza professionale prevede unicamente il flusso di denaro in uscita a favore del dipendente. Questo avviene quando si verifica un caso di prestazione quali il pensiona-mento, il libero passaggio, l’invalidità o il decesso. Possibile è anche il prelievo anticipato per la proprietà abitativa.

Le prestazioni percepite sotto forma di rendita sono tassate assieme agli altri redditi. In questo caso l’efficienza fiscale si limita al differimento fiscale e alla riduzione della progressione fiscale (art. 22 cpv. 1 LIFD; art. 21 cpv. 1 LT).

Le prestazioni in capitale sono tassate separatamente dagli altri redditi alla tariffa ridotta applicabile per la previdenza (art. 38 LIFD; art. 11 cpv. 3 LAID, art. 38 LT). Di seguito sono indicati alcuni calcoli del carico fiscale (effettuati nel periodo fiscale 2019) in caso di prestazione in capitale. Negli esempi indicati si nota come l’aliquota d’imposta varia dal 4,33% per un prelievo in capitale di fr. 200’000 per una persona domiciliata a Roveredo (Canton Grigioni) al 15,78% per un prelievo in capitale di 2 mio. di fr. per una persona domiciliata a Bellinzona (Canton Ticino).

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Diritto tributario svizzero

dei contributi regolamentari del datore di lavoro e dei salariati destinati al finanziamento delle prestazioni di vecchiaia non può superare il 25% della somma dei salari assicurabili sog-getti all’AVS. Inoltre, per i salari eccedenti il limite superiore fissato all’art. 8 cpv. 1 LPP (attualmente fr. 85’320), le presta-zioni di vecchiaia della previdenza professionale, aggiunte a quelle dell’AVS, non possono superare l’85% dell’ultimo salario o reddito soggetto all’AVS.

Sta all’istituto di previdenza monitorare che questo principio sia rispettato per ogni collettività (art. 1c, 1d e 1e OPP2), rispettando altresì il principio della parità di trattamento (art. 1f OPP2), della pianificazione previdenziale (art. 1e OPP2) e il principio d’assicurazione (art 1g OPP2).

IV. ConclusionePer l’imprenditore, la previdenza professionale rappresenta un’interessante alternativa ai dividendi, da prevedere in alter-nativa o in combinazione alla loro ripartizione. I principi alla base della previdenza professionale vanno però rispettati. Per evitare casi limite dal punto di vista fiscale è indispensabile una pianificazione sul lungo termine.

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Diritto tributario italiano

Dario StevanatoProfessore ordinario di diritto tributario presso l’Università di TriesteAvvocato e dottore commercialista in Venezia

L’incentivo a trasferire la residenza in Italia va indagato alla luce del principio di uguaglianza tributaria e del diritto dell’UE

Il regime fiscale dei “neo-residenti” come agevolazione selettiva in conflitto con principi costituzionali e regole europee

Il regime fiscale dei cd. “neo-residenti” si inserisce nel quadro della concorrenza fiscale internazionale tra gli Stati, i quali competono, concedendo incentivi fiscali e regimi di favore, per attrarre persone fisiche, imprese e investimenti sul loro ter-ritorio e così accaparrarsi nuovi cespiti di gettito. Normative agevolative come quella prevista dall’art. 24-bis del TUIR pongono seri interrogativi, implicando una mutazione genetica del rapporto Stato-cittadino, il quale finisce per essere quasi “contrattualizzato”. Le ricadute sul gettito di regimi di tale natura potrebbero essere positive, almeno nel breve periodo e in assenza di altre misure uguali e contrarie approntate da altri Stati, ma ciò non pare sufficiente ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali e delle regole europee. Se sul primo versante vengono in gioco i principi di capacità contributiva e uguaglianza tributaria, sul piano comunitario i trattamenti di favore basati, sia pure in modo “indiretto”, sulla nazionalità, potrebbero dar luogo ad una violazione del principio di non discriminazione e rilevare sotto gli ulteriori profili che saranno esaminati nel presente articolo.

I. Introduzione: il regime di tassazione forfettaria e sosti-tutiva per i soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in ItaliaLa legislazione tributaria italiana, negli ultimi anni, si è arricchita di previsioni volte ad incentivare il trasferimento della residenza fiscale in Italia di persone residenti all’estero, mediante misure agevolative di abbattimento del carico impositivo su redditi di fonte estera.

Trattasi, segnatamente, degli artt. 24-bis e 24-ter del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), che possiamo brevemente riepilogare in questa premessa. Nel resto del contributo ci interrogheremo, quindi, sulla compatibilità di tali agevolazioni fiscali – concentrando peraltro l’attenzione sulla prima di tali norme, che ha introdotto un’imposta sostitutiva e forfettaria per i soggetti “neo residenti” – con i principi costituzionali italiani e con il diritto comunitario.

Orbene, in base al citato art. 24-bis TUIR (“Opzione per l’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero realizzati da persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia”), introdotto dall’art. 1, comma 152, della Legge (L.) dell’11 dicembre 2016, n. 232, le persone fisiche che trasferiscono la propria resi-denza fiscale in Italia possono optare per l’applicazione di una “imposta sostitutiva”, in relazione ai redditi prodotti all’estero, determinata in via forfettaria nella misura di euro 100’000 per ciascun periodo d’imposta e a prescindere dall’importo dei redditi percepiti, a condizione di non essere state fiscalmente residenti in Italia per un periodo pari ad almeno nove periodi di imposta nel corso dei dieci precedenti. L’opzione, revoca-bile dal contribuente, produce effetti per quindici anni, ed è esercitabile anche per i familiari, a condizione che anch’essi trasferiscano la residenza in Italia dopo averla avuta all’estero per almeno nove dei dieci anni precedenti l’inizio del periodo di validità dell’opzione: in tal caso, l’importo dell’imposta sostitutiva forfettaria è ridotto a euro 25’000 per ciascun familiare per cui è stata esercitata l’opzione. A completamento di questo riepilogo sugli aspetti sostanziali della misura, vale infine la pena di ricordare che l’opzione è scindibile, potendo essere esercitata selettivamente, escludendone l’applicazione

I. Introduzione: il regime di tassazione forfettaria e sostitutiva per i soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia .................................................... 435II. Sulla natura del regime fiscale approntato per i cd. “neo residenti”: norma agevolativa o misura “strutturale”? ........................................................................ 437III. I profili di incostituzionalità del regime fiscale dei “neo-residenti” e di un tributo calcolato “non” in ragione della capacità contributiva e in violazione dell’uguaglianza tributaria ................................................ 438IV. I potenziali profili di illegittimità comunitaria dell’art. 24-bis TUIR ............................................................441

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Ciò detto, dobbiamo ora interrogarci sulla compatibilità delle norme in commento – in particolare, come anticipato, dell’art. 24-bis TUIR – rispetto ai principi ordinamentali, interni ed europei, il che impone anzitutto di stabilire se si è in presenza di misure strutturali o, piuttosto, di carattere agevolativo.

Anticipando quanto verrà argomentato nel prosieguo, credo che sia difficile dubitare della natura agevolativa delle cen-nate disposizioni, rivolte a soggetti neo-residenti, come pure giustificare il tendenziale vulnus al principio di uguaglianza tributaria che le stesse vengono a determinare rispetto ad altre categorie di contribuenti residenti possessori di redditi di fonte estera. Quel che si può sin d’ora escludere, in ogni caso, è che la finalità di politica tributaria che viene comunemente riconosciuta a tali disposizioni, ovvero l’obiettivo di attrarre individui non residenti nel territorio dello Stato incrementando il gettito fiscale, sia un argomento sufficiente per escludere possibili profili di incostituzionalità delle norme richiamate[3].

Ancor meno fondato sul piano fattuale, se possibile, è d’al-tra parte l’argomento secondo cui la finalità della norma sarebbe quella di attrarre investimenti in Italia[4] e rafforzare l’apparato produttivo italiano. L’agevolazione si riferisce, infatti, a redditi di fonte estera, dunque il ricollocamento del capitale o delle attività produttive in Italia non solo non è richiesto dalla norma, ma determinerebbe – ove attuato – il venir meno del trattamento agevolato dei relativi redditi: la norma crea, dunque, un incentivo a mantenere o creare nuovi investimenti all’estero, differenziandosi così da altre misure agevolative che mirano ad attrarre investimenti produttivi in Italia. Non sembra dunque possibile attribuire alla norma una non irragionevole finalità extra-fiscale, ovvero ritenere che la stessa sia volta “a favorire il rientro e/o il radicamento nel nostro Paese di capitali nomadi con conseguente, auspicabile rafforzamento del nostro apparato produttivo”[5]. Questa finalità, per quanto faccia capolino nella Relazione illustrativa al provvedimento, laddove si afferma che il regime speciale sarebbe stato intro-dotto “al fine di favorire gli investimenti in Italia da parte di soggetti non residenti”, non ha in realtà concretamente influenzato la progettazione del regime qui in esame[6]: per tale ragione

ry requirements on their subjects; they are instead increasingly operating as recruiters of mobile investments and residents form other states while striving to retain their own residents and investors. Tax rules and rates have become, to a large extent, the currency of tax competition, pushing states to lower their taxes and curtail redistribution”.[3] Così, invece, Antonio Tomassini/Alessandro Martinelli, Il regime italia-no dei “neo domiciliati”, in: Corr. Trib., n. 46/2016, p. 3538, secondo cui “la deroga e più in generale la compatibilità del regime rispetto al principio di capacità contributiva […] ci sembra possa essere «superata» dalla considerazione che l’imposizione sostituti-va prevista è significativa (pochi contribuenti in Italia corrispondono 100’000 euro di imposte l’anno […]) e riguarda una ricchezza che diversamente mai sarebbe stata inter-cettata dal Fisco italiano”.[4] Tomassini/Martinelli (nota 3), p. 3538, il quali ritengono che “come per altri regimi agevolativi l’eccezione trova la sua giustificazione nel fatto che la ratio legis della misura, come emerge anche dalla stessa rubrica del nuovo art. 24-bis Tuir, è quella di attrarre investimenti in Italia”. Sarebbe questa la finalità della norma anche per Pietro Mastellone, L’appeal della flat tax per attrarre gli HNWIs in Italia e la sua compatibilità con le regole dell’UE, in: NF n. 5/2019, p. 234.[5] Così Eugenio Della Valle/Marco Strafile, La nuova imposta sostitutiva sui redditi di fonte estera, in: il fisco, n. 45/2016, p. 4346 ss.[6] Lo rileva anche Andrea Buccisano, Il ruolo della residenza fiscale delle per-sone fisiche nell’imposizione sui redditi, e la introduzione di un nuovo discutibile

per i redditi prodotti in uno o più Stati o territori esteri (cd. “cherry picking”).

Successivamente, con l’art. 1, comma 273, della L. del 30 dicembre 2018, n. 145, è stata introdotta un’ulteriore misura agevolativa (l’art. 24-ter, rubricato “Opzione per l’imposta sostitutiva sui redditi delle persone fisiche titolari di redditi da pensione di fonte estera che trasferiscono la propria residenza fiscale nel Mezzogiorno”), questa volta indirizzata alle persone fisiche titolari di redditi da pensione erogati da soggetti esteri, che, avendo avuto la residenza all’estero nei cinque periodi di imposta precedenti, trasferiscono in Italia la propria residenza fiscale in uno dei comuni appartenenti alle regioni del Mezzogiorno, con popolazione non superiore a 20’000 abitanti. Tali soggetti possono optare per l’assoggettamento dei redditi di qualunque categoria, percepiti da fonte estera o prodotti all’estero, a un’imposta sostitutiva (“calcolata in via forfettaria”, ma l’espressione appare impropria) con aliquota del 7% per ciascuno dei periodi di imposta di validità dell’op-zione. L’opzione, anche in tal caso revocabile ed esercitabile selettivamente anche soltanto in relazione ai redditi prodotti in alcuni Stati esteri, è valida per cinque periodi di imposta.

Così sinteticamente tratteggiato il quadro normativo di rife-rimento, le due misure sembrano accomunate da un comune obiettivo di politica tributaria: incentivare il trasferimento in Italia di persone fino a quel momento residenti all’estero, al fine di attrarre “nuovi” cespiti impositivi alla giurisdizione fiscale italiana, mediante un trattamento agevolato dei red-diti prodotti dai “neo-residenti”. Si tratta, infatti, di imposte che, ancorché ridotte rispetto a quelle che sarebbero ordina-riamente applicabili, insistono su presupposti che sarebbero altrimenti rimasti estranei alla sfera impositiva italiana, in quanto privi di collegamento con il territorio dello Stato (redditi di fonte estera conseguiti da persone fiscalmente non residenti in Italia). Inoltre, il trasferimento in Italia della residenza di questi soggetti è verosimilmente in grado di generare effetti di “spill-over” e aumentare il gettito di altre imposte, in primis di quelle sui consumi (come l’imposta sul valore aggiunto), dato che tali consumi saranno almeno in parte effettuati in Italia, cioè nel nuovo luogo di residenza del soggetto. L’imposta sostitutiva prevista dall’art. 24-ter TUIR ha, inoltre, l’ulteriore obiettivo di ripopolare alcuni territori del Sud Italia, incentivando i pensionati esteri a trasferirvisi[1].

Si tratta, insomma, di misure che si inquadrano nell’ambito della competizione fiscale internazionale finalizzata ad attrarre persone fisiche all’interno di una determinata giuri-sdizione fiscale, allettandole con regimi fiscali derogatori e di favore[2].

[1] Cfr. anche Giovanni Arcuri, La nuova imposta sostitutiva sui redditi di fonte estera per coloro che si trasferiscono nel Mezzogiorno, in: NF n. 2/2019, p. 64.[2] Su questa tendenza generale Tsilly Dagan, International Tax Policy. Between Competition and Cooperation, Cambridge, Cambridge University Press, 2018, p. 197: “Taxpayers, both individuals and businesses, are becoming incre-asingly mobile […]. States often foster such mobility by offering certain privileges and incentives to desirable potential residents. In-demand residents relocate to more appe-aling jurisdictions, lured by states seeking to benefit from their positive spillovers […]. In this competitive setting, [states] no longer strictly impose compulsory tax and regulato-

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l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 7% sui redditi percepiti da fonte estera o prodotti all’estero. Per tale ragione, rischia di risultare fuorviante l’accostamento della particolare imposta forfettaria a una “flat tax”[9], nella misura in cui con quest’ultima espressione si allude solitamente ad una “flat rate tax”, ovvero ad un’imposta connotata da un’unica aliquota legale proporzionale al reddito posseduto[10], in cui la pro-gressività è ottenuta “per deduzione”, grazie all’esenzione del minimo vitale o ad altre deduzioni connesse a status personali o familiari.

Si tratta piuttosto di una sorta di “ticket”, o se vogliamo di un tributo capitario, per evitare l’applicazione dell’imposta sul reddito, il che produce un’alterazione nell’ordinaria fisionomia del rapporto tributario, trasformandolo in una sorta di mec-canismo di mercato, in cui lo Stato offre i propri beni e servizi in cambio di un “prezzo”, secondo una logica corrispettiva[11]. Si potrebbe anche sostenere che un tributo come quello in esame, non essendo più collegato alla forza economica e alle ricchezze del soggetto passivo, non è probabilmente nemmeno più un’“imposta”, quanto piuttosto un tributo commutativo, una sorta di “tassa” o prezzo di abbonamento complessivo a fronte dei servizi pubblici erogati dallo Stato italiano al “neo-residente”; certamente, non si tratta più di un tributo retto dal principio della capacità contributiva, ma semmai da quello del beneficio. Un tributo forfettario in cifra fissa come quello concepito per i soggetti neo-residenti produce d’altra parte, se rapportato ai redditi posseduti, effetti regressivi, giacché all’aumentare dei redditi percepiti diminuisce l’incidenza percentuale dell’imposta[12]. Inoltre, l’esclusione dalla base imponibile IRPEF per una parte dei red-diti posseduti dal soggetto passivo genera un’amplificazione degli effetti dell’agevolazione, che si estende ai restanti red-diti, i quali possono così accedere ad aliquote inferiori[13]. Si tratta di un tema consueto, tante volte posto in evidenza con riguardo ai redditi tassati in modo forfettario-catastale o in via sostitutiva[14] che, invece, non si verificherebbe adottando il metodo dell’esenzione con progressività, con inclusione dei redditi agevolati nel reddito complessivo Irpef, ai soli fini del calcolo delle aliquote progressive sui restanti redditi.

[9] Come quello effettuato da Eugenio Della Valle/Emanuele Innocenzi, Flat tax sui redditi di fonte estera: le istruzioni dell’Agenzia delle entrate, in: il fisco, n. 15/2017, p. 1407 ss.[10] Si consenta sul punto di rinviare a Stevanato (nota 8).[11] Sul punto vedi ancora Dagan (nota 2), p. 202: “Competition between sta-tes introduces market valuation into the state-citizen relationship […]. Instead of a tax system based on principles of distributive justice, the market setting imposes a price-based taxing system”.[12] Cfr. anche, su questo profilo, Francesco Farri, Flat tax per neo-residenti: i dubbi permangono, in: Riv. dir. trib. online, 22 giugno 2017; Buccisano (nota 6), p. 77.[13] Il punto è stato colto da Eugenio Della Valle/Emanuele Innocenzi, Chiarimenti sull’imposta sostitutiva per le persone fisiche neo-residenti, ma i dubbi di costituzionalità restano, in: il fisco, n. 29/2017, p. 2822 ss., ad avviso dei quali “optando per il regime in parola si potrebbe agevolare indirettamente anche la tassazione dei redditi italiani posto che il reddito estero non concorre alla formazio-ne dell’imponibile complessivo cosicché potrebbero venire in considerazione aliquote Irpef più basse di quelle che invece sarebbero applicabili in presenza di cumulo tra redditi esteri e redditi di fonte domestica”.[14] Cfr. Cesare Cosciani, Su di alcune deformazioni della progressività dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, in: Riv. dir. fin., 1975, I, p. 6.

appare fuori luogo il tentativo di giustificare l’art. 24-bis TUIR, sul piano costituzionale, invocando i precedenti con cui la Corte Costituzionale ha reputato non irragionevole il fine di incoraggiare le imprese straniere ad operare in Italia, oppure le disposizioni di altre giurisdizioni che incentivano, mediante agevolazioni fiscali, l’ingresso di lavoratori stranieri[7], e ciò per la semplice ragione che, a differenza di tali disposizioni, l’art. 24-bis TUIR non contiene quel genere di incentivi.

II. Sulla natura del regime fiscale approntato per i cd. “neo residenti”: norma agevolativa o misura “strutturale”?Il regime di tassazione opzionale delineato dall’art. 24-bis TUIR, nonostante alcune contrarie opinioni su cui tra breve ci soffermeremo, riveste natura agevolativa. Ciò si desume da una pluralità di elementi.

L’imposta sostitutiva “forfettaria” di euro 100’000, ridotta a euro 25’000 per i familiari dei contribuenti “neo-residenti”, e dovuta in quella misura fissa a prescindere dai redditi posse-duti, non è a rigore necessariamente più conveniente delle imposte ordinariamente dovute sui redditi di fonte estera: si potrebbe dunque dubitare che la stessa rappresenti un trattamento di maggior favore. Tuttavia, non può essere tra-scurato che l’imposta in questione riveste carattere opzionale; dunque, il particolare regime verrà scelto dal contribuente soltanto nei casi in cui ciò si riveli più conveniente rispetto al pagamento dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF) ordinaria, anche eventualmente escludendo dall’op-zione i redditi prodotti in determinati Stati o territori esteri, per i quali si applicherà la tassazione ordinaria con spettanza del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero. L’opzione sarà, insomma, verosimilmente esercitata soltanto laddove l’imposta forfettaria risulti inferiore a quella applicabile inclu-dendo i redditi di fonte estera nel reddito complessivo.

Vale anche la pena di osservare che l’imposta in questione, definita dalla legge come “sostitutiva” dell’imposta sul reddito, non si atteggia più come vera e propria “imposta sul reddito”: si tratta infatti di una “lump sum”, cioè di un’imposta in cifra fissa che non ha più alcun legame con la base imponibile, costituita nel caso di specie dai redditi di fonte estera. Lo stesso art. 24-bis, comma 2, TUIR ha cura di precisare che l’imposta sostitutiva è “calcolata in via forfetaria, a prescindere dall’importo dei redditi percepiti”. Non è, insomma, un’imposta sostitutiva nel solco delle imposte cedolari e proporzionali applicabili a molteplici fattispecie reddituali[8], come quella ad es. di cui all’art. 24-ter, che come abbiamo visto prevede

criterio di tassazione per i “neo residenti”, in: Riv. dir. trib., n. 1/2018, I, p. 73 s., secondo cui “la effettuazione di investimenti in Italia da parte del «neo residente», auspicata dal legislatore, non viene in alcun modo integrata nella disciplina della nuo-va imposta sostitutiva, e ciò rende del tutto ipotetico tale effetto economico. La scelta politica non sembra coerente con l’obiettivo di incentivare nuovi investimenti in Italia. In questa prospettiva sarebbe, forse, risultato più efficace predisporre una misura fisca-le agevolativa con effetti limitati ai nuovi investimenti, e con efficacia subordinata alla concreta realizzazione di tali investimenti”.[7] Vedi invece, in tal senso, Della Valle/Strafile (nota 5), p. 4346 ss.[8] Sulla frammentarietà e perdita dei tratti di personalità e progressività dell’IRPEF che questo comporta si consenta di rinviare a Dario Stevanato, Dalla crisi dell’Irpef alla flat tax, Bologna 2016.

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perché la stessa dovrebbe rivestire carattere temporaneo. Al tempo stesso, il lunghissimo periodo di durata dell’opzione non consente di ritenere che, per un arco di 15 anni, il soggetto “neo-residente” palesi una diminuita capacità di contribuire alle spese pubbliche dello Stato italiano in ragione della sua pregressa residenza all’estero.

III. I profili di incostituzionalità del regime fiscale dei “neo-residenti” e di un tributo calcolato “non” in ragione della capacità contributiva e in violazione dell’uguaglianza tributariaGiunti a questo punto, la questione che ci si prefigge di inda-gare è se il sostanziale abbandono del principio di tassazione dei redditi prodotti all’estero nei confronti delle persone fisi-che residenti, effettuato in misura selettiva nei soli confronti dei contribuenti che spostano la propria residenza fiscale in Italia dopo averla avuta all’estero per almeno nove dei dieci periodi di imposta precedenti, possa trovare giustificazione nella peculiare posizione in cui tali soggetti vengono a tro-varsi rispetto agli obblighi contributivi posti dall’art. 53 della Costituzione italiana (Cost.).

Più precisamente, la questione da approfondire è se il regime in questione sia conforme al principio di capacità contribu-tiva ed uguaglianza tributaria, il quale come noto impone di trattare in modo uguale situazioni uguali, e in modo dif-ferenziato situazioni tra loro diverse. A tal fine, la posizione dei soggetti-neo residenti va posta a raffronto con quella di altri contribuenti che, pur trovandosi in posizione almeno apparentemente analoga, non possono accedere all’imposta forfettaria in relazione ai redditi esteri posseduti, vuoi perché si tratta di contribuenti che sono sempre stati residenti in Italia, vuoi perché si tratta di soggetti che pur avendo tra-sferito la loro residenza in Italia non soddisfano la condizione di “durata” posta dalla norma in relazione al decennio prece-dente.

È abbastanza evidente, infatti, che il regime in esame, dato il suo carattere selettivo, potrebbe sollevare seri dubbi di costituzionalità, sotto il profilo del rispetto del principio di uguaglianza tributaria, laddove non fosse possibile giustifi-carlo alla luce di una diminuita capacità contributiva palesata dai soggetti neo-residenti in relazione ai redditi di fonte estera, ovvero di altre norme e valori costituzionali[18].

[18] Come anche altri hanno osservato, “è, infatti, palese la disparità di tratta-mento, a parità di reddito, tra i soggetti che fruiscono della tassazione sostitutiva per neo-residenti e gli altri contribuenti residenti, assoggettati ad Irpef su un imponibile comprensivo dei proventi di fonte estera”: così Roberto Schiavolin, Sulla costi-tuzionalità dell’imposta sostitutiva italiana per i cd. “neo-residenti”, in: NF, n. 10/2018, p. 439. Esprimono dubbi sulla legittimità costituzionale del regime agevolativo previsto per i soggetti neo-residenti anche Guido Salanitro, Pro-fili sistematici dell’imposta sostitutiva per le persone fisiche che trasferiscono la residenza in Italia, in: Riv. dir. trib., n. 1/2018, I, p. 80 ss.; Farri (nota 12); Bucci-sano (nota 6), p. 76 s., per il quale “resta la palese disparità di trattamento tra i ‘già residenti’ che scontano la tassazione progressiva sul reddito mondiale, ed i ‘neo residen-ti’ che invece possono accedere al regime sostitutivo per tutti i redditi prodotti all’estero e subiscono il prelievo progressivo solo sui redditi prodotti nel territorio dello stato; non-ché tra più soggetti che trasferiscono la residenza, i quali pur percependo redditi esteri di diverso ammontare sono sottoposti alla medesima tassazione”.

Il regime fiscale per le persone fisiche impatriate in Italia, nell’esentare di fatto dal tributo sul reddito, grazie al paga-mento di una lump sum, i redditi derivanti da investimenti effettuati o da attività esercitate all’estero, determina una deroga al principio di neutralità all’esportazione (capital export neutrality): questo viene solitamente attuato mediante il principio della residenza e della tassazione dell’utile mondiale (worldwide taxation), applicando il quale un soggetto residente in un Paese, in questo caso l’Italia, viene ad essere tassato con la stessa aliquota d’imposta sia per gli investimenti domestici che per quelli esteri, indipendentemente dunque dal luogo in cui i redditi sono prodotti[15].

Orbene, l’art. 24-bis TUIR introduce un’eccezione al principio della capital export neutrality ed alla tassazione dell’utile mon-diale che risulta applicabile, in generale, ai soggetti residenti in Italia[16]. L’imposta forfettaria di euro 100’000 (o euro 25’000 per i familiari) non è infatti più, come accennato, un’imposta sul reddito, ancorché a carattere “sostitutivo”, bensì una sorta di “ticket” per evitarne l’applicazione, senza più alcun riferi-mento all’ammontare dei redditi esteri del soggetto passivo e, dunque, alla sua capacità economica (capacità contributiva). Nei confronti dei soggetti neo-residenti, dunque, l’art. 24-bis TUIR introduce una tassazione del reddito soltanto su base territoriale, rendendo così problematica – per inciso – l’ap-plicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia[17].

Tale eccezione riveste appunto carattere selettivo, tradu-cendosi in una misura agevolativa, ancor più evidente se si riflette sul carattere temporaneo (per quanto lunghissimo: 15 anni) del regime in questione. Se si trattasse di una misura strutturale, concepita per tener conto di una ipotetica minore capacità di contribuire dei redditi di fonte estera conseguiti da soggetti che trasferiscono la residenza in Italia, non si vede

[15] Sul tema si veda ad es., di recente, David A. Weisbach, The Use of Neutra-lities in International Tax Policy, Coase-Sandor Institute for Law and Economics Working Paper No. 697, 2014, p. 3: “capital export neutrality (CEN) requires resi-dents of any given nation to face the same tax burden no matter where they choose to invest. That way, investors choose the location of their investments based on where they can get the highest pre-tax return […]. Capital export neutrality is thought to sup-port either a purely residence-based system or worldwide source-based taxation with an unlimited foreign tax credit”.[16] Lo rilevano anche Buccisano (nota 6), e Pietro Mastellone, Il ventaglio dei regimi fiscali per attrarre soggetti ad “alta capacità” intellettuale, sporti-va e… contributiva: pianificazione successoria e compatibilità con le regole europe, in: Riv. dir. trib., n. 1/2020, I, p. 40, per il quale “siamo al cospetto di una mitigazione temporanea del worldwide tax principle, posto che il neo-residente (e tut-ti i suoi familiari che si trasferiscono con lui in Italia) può beneficiare di tale disciplina agevolativa per un periodo massimo di quindici anni”. L’affermazione secondo cui il regime in esame introduce una “deroga al principio di tassazione dell’utile mondia-le” è del resto presente nella stessa Relazione illustrativa alla Legge di stabilità 2017 (L. dell’11 dicembre 2016, n. 152), con cui è stato introdotto l’art. 24-bis TUIR.[17] In senso contrario si veda, invece, Pasquale Pistone, Diritto tributario internazionale, IIa ed., Torino 2019, p. 129, per il quale la norma prevede in ogni caso una tassazione del reddito di fonte estera, sia pure su base forfettaria. Il punto è, però, che l’imposta forfettaria, dovuta per il solo effetto dell’esercizio dell’opzione, prescinde del tutto dall’importo dei redditi percepiti. Il pagamento sarebbe dovuto sempre nella stessa misura (euro 100’000 o 25’000) anche – a rigore – in assenza di redditi esteri, come pure per ammontari di reddito pluri-milionari.

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Anzitutto, va osservato che, in linea generale, l’imposta sul reddito, in quanto imposta “di periodo”, connotata da pre-supposti che si rinnovano di anno in anno dando luogo ad autonome obbligazioni tributarie (art. 7 TUIR), non dipende da status personali o accadimenti di periodi di imposta pre-cedenti. Con precipuo riguardo alla residenza fiscale, questa si acquista o si perde in relazione ad ogni singolo periodo d’imposta, e non dipende dal fatto che il soggetto avesse in anni precedenti, o avrà nei successivi periodi, la residenza fiscale in Italia o all’estero. I requisiti da cui dipende la resi-denza fiscale (iscrizione anagrafica, domicilio o residenza ai sensi del codice civile) devono sussistere per la maggior parte del periodo di imposta, che costituisce una sorta di “universo chiuso”, insensibile agli accadimenti di altri periodi d’imposta. Per esemplificare, un soggetto potrebbe essere residente all’estero nell’anno 1, assumere la residenza fiscale in Italia nell’anno 2, e tornare ad avere la residenza fiscale all’estero nell’anno 3, con la conseguenza che i redditi prodotti all’estero nell’anno 2 sarebbero tassabili in Italia, indipendentemente dall’effettivo grado e intensità del radicamento territoriale, laddove lo si volesse desumere dal numero di anni di “perma-nenza” (residenza fiscale) nel territorio dello Stato.

L’imposta sul reddito, nell’applicarsi a flussi che si rinnovano di periodo in periodo in misura tendenzialmente sempre diversa, si applica cioè a contribuenti che possono anch’essi risultare residenti o non residenti in Italia in modo intermittente. Ciò non toglie che, limitatamente ai singoli periodi d’imposta in cui il contribuente assume la qualifica di soggetto fiscalmente residente, lo stesso è tassato su tutti i redditi posseduti, sia di fonte italiana che di fonte estera. Data questa situazione, appare controintuitivo, e contrario alle logiche dell’imposi-zione sul reddito, argomentare l’esistenza di un concetto di “residenza fiscale” dai connotati attenuati, suscettibile di inne-scare una più benevola tassazione dei redditi di fonte estera, in ragione di uno status pregresso (aver avuto la residenza all’estero per nove anni sui dieci precedenti al trasferimento in Italia).

Vi è in secondo luogo un elemento, nel modo in cui è stato progettato il regime di tassazione forfettario per i neo-residenti, difficilmente conciliabile con la tesi secondo cui l’art. 24-bis TUIR avrebbe la natura di norma strutturale con cui il legislatore tiene conto della diminuita capacità contributiva dei redditi di fonte estera conseguiti dai soggetti neo-resi-denti. Mi riferisco al fatto che tale “capacità” non è in realtà in alcun modo apprezzata dalla disposizione in esame, sia pure al fine di ritagliare una tassazione attenuata della medesima rispetto alle regole ordinarie: come visto sopra, l’imposta sostitutiva forfettaria di euro 100’000 o 25’000 non ha alcun collegamento con i redditi esteri posseduti, è cioè totalmente scollegata rispetto alla capacità economica dei contribuenti che hanno trasferito la residenza fiscale in Italia e possono accedere al particolare regime.

Se si trattasse di una norma inteso a tener conto di un più debole collegamento di tali redditi con il territorio dello Stato, il legislatore avrebbe operato una riduzione delle aliquote altrimenti applicabili, ad es. sancendo l’ennesima tassazione

Orbene, secondo una certa prospettazione l’art. 24-bis TUIR si sottrarrebbe ai prospettati dubbi di costituzionalità, posto che la tassazione in misura fissa da esso prevista rispecchie-rebbe una minore capacità di contribuire dei soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia, dovuta all’assenza di un precedente radicamento con il territorio dello Stato italiano e di una pregressa appartenenza alla collettività che in esso stabilmente risiede.

In particolare, è stato a tal proposito osservato che il sog-getto che trasferisce la residenza fiscale in Italia, pur essendo (diventato) un soggetto residente, lo è in modo diverso rispetto agli altri residenti diciamo così “di lunga data”. Si tratterebbe cioè di un soggetto “parzialmente sganciato […] da quel collegamento territoriale che è in grado di giustificare l’impo-sizione di redditi prodotti in un altro Stato”, di un soggetto cioè che, per non essere stato residente in Italia negli ultimi nove anni su dieci, “è certamente meno integrato (e lo sarà, secondo la discrezionale valutazione del legislatore, per quindici anni) degli altri residenti nella comunità”. Saremmo perciò di fronte ad una norma di carattere sistematico, idonea a ridisegnare la qualifica di soggetto “non residente”, graduandola in relazione all’intensità del collegamento con il territorio dello Stato e al diverso grado di concorso alle spese pubbliche. Secondo questa ricostruzione, insomma, l’art. 24-bis TUIR non sarebbe una norma agevolativa, bensì una disposizione con cui il legislatore ha preso atto della ridotta attitudine alla contri-buzione, rispetto a fattispecie apparentemente similari, dei soggetti neo-residenti (limitatamente ai loro redditi di fonte estera). Di talché, non vi sarebbe alcuna ragione di dubitare della legittimità costituzionale della norma: la stessa non farebbe altro che applicare un’imposizione ridotta su redditi aventi un debole collegamento con la sovranità statale in quanto appartenenti a soggetti che fino al momento del trasferimento della residenza in Italia non si trovavano inseriti nella comunità nazionale, condizione che potrà dirsi compiuta soltanto dopo quindici anni dal trasferimento[19].

La ricostruzione testé descritta costituisce un interessante banco di prova per sottoporre a verifica l’effettiva conformità a Costituzione della disposizione in esame. La tesi della natura “strutturale” e “non agevolativa” dell’art. 24-bis TUIR non pare, tuttavia, reggere all’analisi.

[19] È questa la posizione di Luca Peverini, Sulla legittimità costituziona-le dell’art. 24bis Tuir e sulla possibilità di differenziare il concorso alle spese pubbliche da parte dei residenti in funzione del grado di collegamento con il territorio, in: Riv. dir. trib., n. 6/2018, I, p. 683 ss. Sulla stessa linea Mastellone (nota 4), p. 234, e Pistone (nota 17), p. 93, per il quale “le caratteristiche alquan-to singolari della predeterminazione reddituale ai fini impositivi determinate da questo regime non devono però necessariamente integrare gli estremi di una violazione del principio di uguaglianza, ove si consideri che questo regime di fatto presuppone la parti-colare tenuità del collegamento personale di questi soggetti e che esso di fatto realizza una situazione vicina a quella che si avrebbe se l’Italia sgravasse la doppia imposizio-ne internazionale in applicazione del metodo dell’esenzione. In tal senso, la tassazione forfettaria del reddito di fonte estera determina una situazione di esenzione parziale, in base a modalità che possono ritenersi espressione di un ragionevole esercizio della potestà impositiva da parte del legislatore”, e p. 102, ove si osserva che “la presup-posizione di una maggiore tenuità del collegamento personale all’imposizione italiana e l’esposizione ad un collegamento personale anche con un altro Stato sono potenzial-mente in grado di giustificare l’applicazione di questo regime di imposta sostitutiva”.

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Quel che, dunque, emerge dall’esame della misura in con-siderazione è che la stessa, per come è stata in concreto progettata, non presenta alcuna delle caratteristiche che potrebbero far propendere per la sua natura strutturale e di sistema: il regime dei soggetti neo-residenti si palesa nei termini di un regime agevolativo dai connotati regressivi, che discrimina senza alcuna apprezzabile giustificazione, nell’am-bito della categoria dei contribuenti aventi redditi di fonte estera, quelli che non possono accedere all’agevolazione per essere sempre stati residenti in Italia o per non aver avuto la residenza all’estero in nove dei dieci anni precedenti al trasfe-rimento nel nostro Paese.

Un diverso tentativo di giustificare il regime dei neo-residenti sul piano costituzionale fa, invece, leva sulla “ragionevolezza” dell’agevolazione in quanto rivolta a destinatari che hanno costruito le proprie fortune quando erano residenti all’estero: per tale ragione, la loro capacità contributiva riferita all’or-dinamento italiano sarebbe affievolita, tanto da giustificare un prelievo minore rispetto a quello ordinariamente previsto. Secondo questa chiave di lettura, dunque, sarebbe l’origine estera del patrimonio fruttifero a giustificare il trattamento di favore: “chi si trasferisce in Italia dopo aver lungamente vissuto altrove è, obiettivamente, in una situazione diversa di quella di chi in Italia vive da tempo. Il patrimonio di un residente di lungo termine è formato, con ogni probabilità, da incrementi avvenuti durante il periodo di residenza in Italia. La loro formazione durante la residenza in Italia del proprietario costituisce segno della «economic allegiance» del capitale accumulato con l’ordinamento interno e che – ine-vitabilmente – colora anche i frutti di quella ricchezza. Il capitale formato all’estero da un non residente avrà fonte e collegamenti del tutto diversi, ed è del tutto comprensibile che anche i suoi frutti ne risentano”[23].

Anche questo tentativo di collegare alle modalità di costi-tuzione del patrimonio fruttifero una diminuita capacità contributiva dei soggetti neo-residenti non sembra, tuttavia, particolarmente convincente. Non è chiaro, anzitutto, perché nel valutare l’idoneità alla contribuzione dei redditi esteri di fonte patrimoniale dovrebbero rilevare le condizioni in cui il capitale produttivo si è formato. L’argomento potrebbe oltretutto essere rovesciato, atteso che il patrimonio estero di un soggetto residente in Italia da lungo tempo si sarà vero-similmente formato con redditi assoggettati a tassazione in Italia, dunque potrebbe essere invocata la teoria della “doppia tassazione del risparmio” per un trattamento più benevolo dei redditi di capitale promananti da quel patrimonio.

Inoltre, rispetto all’assunto di partenza, secondo cui il legi-slatore avrebbe apprezzato la formazione del capitale estero da parte di soggetti estranei alla giurisdizione italiana nel disegnare il regime di attenuata tassazione dei frutti di quel capitale, l’art. 24-bis TUIR non fornisce alcuna indicazione: i redditi prodotti all’estero oggetto dell’agevolazione potreb-bero benissimo derivare da nuovi capitali produttivi, successivi

[23] Così Andrea Manzitti, Le agevolazioni fiscali ai “neo-residenti” tra il prin-cipio di eguaglianza e quello di capacità contributiva, in: NF n. 3/2020, p. 132.

cedolare e proporzionale con aliquota di favore[20]. L’imposta forfettaria in misura fissa, al contrario, è priva di ogni collega-mento con la ricchezza posseduta, con l’effetto che più alta è la capacità economica del soggetto non-residente, cioè più alti sono i suoi redditi esteri, e minore è l’incidenza dell’im-posta. Il che dimostra, a mio avviso, che la norma in esame non ha affatto natura “strutturale” e non rappresenta una modalità per attenuare la tassazione su redditi asseritamente meno idonei alla contribuzione. Tale idoneità, seppure ridotta rispetto a quella palesata da redditi di identico ammontare spettanti ad altre categorie di contribuenti, dovrebbe pur sempre essere positivamente correlata all’ammontare dei redditi posseduti, il che invece non è.

D’altra parte, se fosse vera la tesi secondo cui l’art. 24-bis TUIR rappresenta una modalità per mitigare la tassazione sui redditi esteri dei soggetti neo-residenti aventi le caratte-ristiche indicate dal legislatore, non si spiegherebbe perché essa dovrebbe risultare concretamente eleggibile soltanto al superamento di un ammontare di redditi esteri piuttosto elevato, tale da rendere più conveniente il ticket di euro 100’000 rispetto all’IRPEF ordinaria. Le stesse presunte esi-genze “strutturali” di ridurre l’imposizione su redditi posseduti da contribuenti con uno scarso collegamento con il territorio dello Stato dovrebbero, infatti, a rigore valere a prescindere dall’entità dei redditi posseduti.

Vi è poi un ulteriore circostanza che rende poco plausibile attribuire al regime in questione la valenza di norma di sistema, ovvero il lunghissimo periodo di tempo (quindici anni) di potenziale durata del regime, che rende stravagante l’idea stessa che si sia voluto tener conto della ridotta inte-grazione del soggetto neo-residente nella comunità italiana. Certamente una persona potrebbe impiegare del tempo per integrarsi in un Paese diverso da quello in cui ha per lungo tempo risieduto, ma quindici anni sembrano davvero troppi in una valutazione ordinaria e di medietà. Non è dunque il carattere temporaneo del regime ad escluderne il carattere irrazionale ed arbitrario[21], quanto, all’opposto, la sua eccessiva durata che rende difficile considerarlo alla stregua di una misura strutturale di modulazione del collegamento del contribuente con il territorio dello Stato, atteso che, con il trascorrere del tempo dall’immigrazione in Italia, diventa sempre meno plausibile giustificare un diverso trattamento del “neo-residente” rispetto a tutti gli altri soggetti residenti in Italia[22].

[20] Il carattere sui generis dell’imposta “sostitutiva” in esame è colto anche da Schiavolin (nota 18), p. 442, secondo cui “questa imposta, colpendo in misura fissa certi tipi di reddito, segue una via del tutto nuova, della quale non si capisce la coerenza con la capacità contributiva espressa da tale indice di ricchezza, finora sempre agevola-to mediante imposte speciali proporzionali”. In termini analoghi Buccisano (nota 6), p. 58.[21] Come afferma Mastellone (nota 4), p. 234, il quale ritiene che “l’assen-za del carattere arbitrario e/o sproporzionato della disciplina sia desumibile anche dalla sua applicabilità entro un limite massimo pari a 15 anni”.[22] Cfr. anche Schiavolin (nota 18), p. 441, per il quale “appare ovvio che la forza economica espressa dai redditi di fonte estera non possa essere diversa, per chi realizzi i requisiti del regime speciale, da quella riferibile alla generalità dei contribuenti residenti. Trarre dal carattere temporaneo di quest’ultimo una giustificazione legata alle difficoltà del trasferimento non ha senso, di fronte ad un’applicabilità per quindici anni”.

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contraddittorietà, includendo nel suo raggio applicativo tutte le situazioni che denotano una stessa (diminuita) capacità contributiva o che presentano forti elementi di somiglianza con le situazioni favorite dal legislatore.

In ogni caso, non si può negare la difficoltà di ipotizzare una pronuncia di incostituzionalità “additiva”, con estensione dell’agevolazione ai “già” residenti, dato che la Corte, nell’ipo-tesi in cui fosse chiamata a pronunciarsi sull’art. 24-bis TUIR, potrebbe far prevalere considerazioni ispirate a pragmatismo e considerare sufficiente l’intento di politica economica di attrarre in Italia dei soggetti ad alto reddito[25], anche per evitare le perdite di gettito che deriverebbero da un'esten-sione del regime sostitutivo forfettario ai redditi esteri dei soggetti già residenti in Italia.

IV. I potenziali profili di illegittimità comunitaria dell’art. 24-bis TUIRLe agevolazioni fiscali previste per i soggetti neo-residenti dall’art. 24-bis TUIR vanno esaminate anche sotto l’aspetto della compatibilità con il diritto comunitario.

A tal proposito, sembrano venire in rilievo essenzialmente i seguenti aspetti.

Anzitutto, il regime fiscale in esame parrebbe dar luogo a una discriminazione a danno dei soggetti che sono tenden-zialmente sempre stati residenti in Italia, i quali non possono accedere all’agevolazione. Poiché è altamente probabile che questi ultimi siano anche cittadini italiani, al contrario dei soggetti “neo-residenti”, potrebbe addirittura parlarsi di una discriminazione (indiretta) basata della nazionalità, che peral-tro danneggerebbe i cittadini dell’Home State, non già quelli di altri Stati membri. In ogni caso, pare piuttosto evidente che vi sia una discriminazione tra soggetti residenti in Italia e sog-getti che sono stati per un lungo periodo residenti all’estero, dato che ai primi non è consentito di accedere al trattamento agevolato per i redditi di fonte estera, pur trovandosi, con riguardo ai redditi esteri conseguiti in un certo periodo di imposta, nell’identica posizione di soggetti residenti in Italia.

Ora, nella misura in cui si tratti, come a mio avviso è possibile ritenere, di situazioni del tutto comparabili dal punto di vista dei parametri rilevanti in materia di applicazione delle imposte, atteso che la capacità contributiva di residenti e neo-resi-denti, a parità di redditi di fonte estera posseduti, è la stessa, parrebbe violato l’art. 18 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), che vieta misure che si traducono in una discriminazione fondata sulla nazionalità (o sulla resi-denza, considerato che, come affermato in diverse occasioni dalla Corte di Giustizia dell’UE (CGUE), il più delle volte i non residenti sono cittadini di altri Stati membri, e per converso i

[25] Si dimostra per tale ragione scettico nel pronosticare una pronuncia di ille-gittimità costituzionale Schiavolin (nota 18), p. 442 s., il quale ricorda che la Corte Costituzionale non ritiene sindacabili le scelte del legislatore in materia di agevolazioni se non quando esso abbia esercitato la sua discrezionalità in modo palesemente irragionevole, e ritiene che l’intento di attrarre in Italia soggetti assai abbienti non sia privo di senso, almeno sul piano della politica economica.

al trasferimento della residenza in Italia, e non da capitali preesistenti; inoltre, nella situazione di asserita minore “capa-cità contributiva” legata ai tempi e modi della formazione del capitale fruttifero potrebbero trovarsi allora anche soggetti esteri che si erano già trasferiti in Italia precedentemente all’entrata in vigore dell’art. 24-bis TUIR, senza tuttavia poter accedere al regime in esame, oppure che pur essendo stati all’estero per la maggior parte della loro vita non soddisfano i requisiti relativi al decennio precedente il trasferimento. D’altra parte, il regime di cui all’art. 24-bis TUIR spetta anche per i redditi senza capitale, come quelli da lavoro, nonché per quelli da attività imprenditoriale, non necessariamente legati a un capitale produttivo, per i quali la giustificazione su ripor-tata non potrebbe trovare, per definizione, applicazione.

Non va inoltre trascurato che il reddito rileva elettivamente, ai fini dell’imposta dovuta dalle persone fisiche, per la sua idoneità in termini di capacità di spesa e consumo, come atte-stano tra l’altro l’esigenza di esentare i redditi di sussistenza (il cd. “minimo vitale”) e la teoria della progressività, che trovano appunto fondamento nella diversa e crescente attitudine alla contribuzione di redditi astrattamente utilizzabili per consumi sempre meno necessari[24]. Ciò che rileva, insomma, è l’entità del reddito posseduto nei singoli periodi di imposta, indipen-dentemente dalle condizioni in cui si è formato il capitale produttivo da cui quel reddito se del caso promana.

Mi sembrano, dunque, prevalenti le ragioni per ritenere che l’art. 24-bis TUIR si ponga in conflitto con il principio di capa-cità contributiva e con il connesso principio di uguaglianza tributaria, per la fondamentale ragione che il tributo sosti-tutivo applicabile su opzione ai “neo-residenti” è totalmente sganciato dalla loro capacità economica, giacché prescinde dall’ammontare dei redditi esteri posseduti, e introduce un trattamento differenziale nell’ambito di categorie di con-tribuenti che si trovano nella medesima posizione sia con riguardo al profilo del collegamento con il territorio dello Stato italiano (contribuenti residenti e contribuenti “neo” resi-denti), sia con riguardo al tipo e alla localizzazione dei redditi posseduti (redditi prodotti all’estero o di fonte estera).

Detto questo, è evidente che un eventuale giudizio di legit-timità costituzionale, come solitamente accade con riguardo alle norme tributarie agevolative, difficilmente potrebbe essere attivato dai contribuenti “neo” residenti che si siano avvalsi del regime; semmai, potrebbero essere gli altri sog-getti “già” residenti ad avanzare la pretesa di essere ammessi alla stessa agevolazione in relazione ai redditi di fonte estera posseduti. L’eccezione di costituzionalità potrebbe dunque essere formulata, in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., dai soggetti che, trovandosi in posizione analoga a quella dei destinatari dell’agevolazione, mirino ad ottenerne l’estensione al loro caso. Anche una norma agevolativa o di esenzione deve, infatti, rispettare i principi di coerenza, logicità, non

[24] Sul tema mi si permetta di rinviare a Dario Stevanato, La giustificazione sociale dell’imposta, Bologna 2014, p. 455 ss.

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Resterebbe, infine, da chiedersi se l’art. 24-bis TUIR possa configurare un caso di concorrenza fiscale dannosa (harmful tax competition), ipotesi che, almeno in prospettiva, non sembra possa essere esclusa in radice[29]. Anche se i casi di concorrenza fiscale dannosa previsti dal Codice di condotta hanno fin qui riguardato la tassazione delle imprese, resta il fatto che il regime dei non-residenti, come visto sopra, non ha l’obiettivo – a differenza di altri regimi interni ed esteri cui lo stesso viene da taluno affrettatamente apparentato – di attrarre investimenti produttivi, lavoratori qualificati, intangi-bles, attività di ricerca, ecc., rivolgendosi invece esclusivamente a persone fisiche non-residenti facoltose, allettandole, con uno sgravio d’imposta, a trasferirsi in Italia senza altri tipi di condizionalità o ragioni giustificatrici di tipo sostanziale, se non l’accaparramento di nuovo gettito.

[29] Al momento il rischio di incompatibilità della disciplina italiana con il Codice di condotta sembrerebbe scongiurato: si veda la risposta ad apposite interrogazioni del Parlamento europeo fornita dalla Commissione, riportata da Mastellone (nota 4), p. 237.

residenti sono cittadini dello stesso Stato[26]. Laddove invece si ritenga, anche sulla scorta di alcune pronunce della Corte di Giustizia, che la particolare “discriminazione a rovescio” non sia vietata dai Trattati europei ([27]), resterebbe il problema, tutto interno all’ordinamento italiano, della violazione del principio di uguaglianza tributaria.

Un ulteriore profilo di criticità che andrebbe indagato in relazione al regime in questione riguarda la libera circolazione dei capitali, che pare oggettivamente ostacolata nella misura in cui si rende fiscalmente più oneroso il ricollocamento in Italia dei capitali detenuti all’estero dai soggetti che, anche perché attratti dal regime agevolativo, hanno trasferito la loro residenza in Italia. Una volta trasferita la residenza in Italia, infatti, il soggetto neo-residente ha tutto l’interesse a mantenere i propri capitali produttivi, nonché i frutti civili da essi promananti, all’estero, giacché trasferendoli in Italia ver-rebbe assoggettato sui relativi redditi alle ordinarie aliquote progressive.

Potrebbe inoltre venire in rilievo il divieto di aiuti di Stato (art. 107 TFUE), posto che il soggetto non residente che trasferisce la sua residenza in Italia potrebbe esercitare all’estero un’at-tività d’impresa ivi avvalendosi di una stabile organizzazione, beneficiando così del più mite regime di tassazione fissa e sostitutiva previsto dall’art. 24-bis TUIR per i redditi di fonte estera. La norma agevolativa ha l’effetto di ritagliare, nella sostanza, una sorta di branch exemption selettiva (disponibile soltanto per i neo-residenti) per le imprese esercitate da persone fisiche. Mi sembrano peraltro ricorrere, nel caso di specie, anche gli altri requisiti che rendono gli aiuti di Stato incompatibili con il diritto dell’UE, ovvero la natura selettiva della misura, l’erogazione di risorse pubbliche (sotto forma di sgravio fiscale), la distorsione della concorrenza[28].

[26] Ritiene violato il principio di non discriminazione anche Buccisano (nota 6), p. 77, posto che “non si vede come possa giustificarsi una disparità di trattamento tra residenti e (neo) residenti”. In senso contrario vedi invece Mastellone (nota 4), p. 235, sulla scorta della convinzione secondo cui i neo-residenti non hanno un legame radicato con il territorio italiano paragonabile a quello che hanno i residenti ordinari, e del fatto che, potendosi permettere il pagamento di impo-ste annue per euro 100’000, non sarebbero paragonabili all’intera categoria dei contribuenti residenti soggetti all’Irpef progressiva, esprimendo una forte capacità contributiva. Sennonché, sul primo punto, come si è già visto in pre-cedenza, non pare proprio che il mancato radicamento pregresso nel territorio dello Stato sia rilevante in una imposta di periodo, né che il regime sia stato progettato per tener conto in modo coerente di una (asserita) minor capaci-tà contributiva per i redditi di fonte estera spettanti ai soggetti in questione. Quanto al secondo punto, è perfettamente possibile comparare i neo-residenti titolari di redditi di fonte estera con gli altri contribuenti residenti in Italia in possesso di redditi di analoga fonte e importo, laddove di ammontare superiore a quello che determina la convenienza a pagare la lump sum in luogo dell’IRPEF progressiva. L’intero ragionamento su riportato appare poi ancor più inconsi-stente e contraddittorio nel passaggio in cui si tenta di giustificare l’art. 24-bis TUIR con la “forte capacità contributiva” espressa dai soggetti cui il regime di favore si rivolge: la contraddizione consiste nel voler giustificare il particolare regime con una ridotta capacità di contribuire alle pubbliche spese in soggetti con un legame attenuato con il territorio dello Stato italiano, ma al tempo stes-so affermare che tali soggetti non sarebbero paragonabili alla generalità dei soggetti residenti in Italia, data la “forte capacità contributiva” da essi palesata.[27] In tal senso Salanitro (nota 18), p. 86.[28] Diversamente Mastellone (nota 4), p. 235, il quale liquida la questione escludendo – non si comprende però su quali basi – che una persona fisica che si trasferisce in Italia possa esercitare un’impresa.

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Diritto tributario italiano

Mario TenoreStudio Maisto e Associati, Milano-Roma-LondraDottore di ricerca in diritto tributarioLL.M. in diritto tributario internazionale, Università di Leiden

Dubbi sul nuovo regime fiscale

Le modifiche normative e regolamentari in tema di procuratori sportivi e le conseguenze sotto il profilo impositivo

L’attività dei procuratori sportivi è stata da sempre pacifi-camente considerata alla stregua di una generica attività di consulenza. Le modifiche alla disciplina di riferimento – apportate sul piano normativo dalla L. n. 205/2017 e dall’art. 1 del Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 marzo 2018 e, sul piano regolamentare, dal Regolamento CONI del 26 febbraio 2019 e dal Regolamento FIGC di cui al Comunicato Ufficiale n. 137 del 10 giugno 2019 – hanno fatto insorgere dubbi circa il corretto inquadramento civilistico dell’attività esercitata dai procuratori sportivi e, conseguen-temente, sul piano dell’inquadramento fiscale dei compensi percepiti da tali soggetti e del regime delle ritenute alle fonte applicabili agli stessi compensi nei casi di esercizio di attività individuale ovvero per il tramite di un veicolo societario.

a livello regolamentare (i) per tutti gli sport dal Regolamento CONI del 26 febbraio 2019 (d’ora in avanti “Regolamento CONI”), (ii) per il calcio dal Regolamento FIGC di cui al Comunicato Ufficiale 137 del 10 giugno 2019 (in vigore dal 13 giugno 2019, d’ora in avanti “Regolamento FIGC”).

In particolare, l’art. 1, comma 373, Legge di Bilancio 2018 ha istituito il Registro Nazionale presso il CONI, al quale l’iscrizione è obbligatoria per tutti coloro che in qualità di agenti mettono in relazione due o più soggetti ai fini: (i) della conclusione, della risoluzione o del rinnovo di un contratto di prestazione sportiva professionistica; (ii) della conclusione di un contratto di trasferimento di una prestazione sportiva professionistica; (iii) del tesseramento presso una federazione sportiva nazionale professionistica.

Le novità normative e regolamentari sono foriere di dubbi e incertezze sotto il profilo del corretto inquadramento fiscale dei compensi conseguiti dai procuratori sportivi. Prima di entrare nel merito della trattazione dei profili fiscali il pre-sento contributo si soffermerà, tuttavia, sull’inquadramento civilistico dell’attività di agente sportivo.

II. La qualificazione civilistica dell’attività di agente spor-tivoA. Le novità apportate dalla Legge di Bilancio 2018 e il loro recepimento a livello regolamentareL’attività dei procuratori sportivi è stata da sempre pacifica-mente considerata alla stregua di un’attività di consulenza e nei casi di esercizio in forma individuale i compensi percepiti da questi ultimi erano pacificamente considerati un reddito di lavoro autonomo.

A seguito delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 373, Legge di Bilancio 2018 che ha introdotto una nuova defini-zione di procuratore di sportivo, la predetta qualificazione fiscale è oggi contraddistinta da profili di incertezza. La Legge di Bilancio 2018 definisce l’agente sportivo come un soggetto che: “[…] mette in relazione due o più soggetti operanti nell’ambito di una disciplina sportiva riconosciuta dal CONI ai fini della conclusione

I. La disciplina normativa e regolamentareIn Italia l’attività di agente sportivo è regolamentata dalla Legge (L.) n. 205 del 27 dicembre 2017 (art. 1, comma 373, d’ora in avanti “Legge di Bilancio 2018”), dall’art. 1 del Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 marzo 2018[1] e

[1] Come modificato dal Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 agosto 2018 e poi dal Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 giu-gno 2019.

I. La disciplina normativa e regolamentare ....................443II. La qualificazione civilistica dell’attività di agente sportivo .................................................................................443A. Le novità apportate dalla Legge di Bilancio 2018 e il loro recepimento a livello regolamentare ....................... 443B. L’attività di procuratore quale attività di mediazione. Cenni. ...........................................................................444III. La qualificazione fiscale dei compensi alla luce della Legge di Bilancio 2018 ...............................................445IV. La tassazione dei compensi corrisposti a non residenti ................................................................................446V. Conclusioni ....................................................................... 447

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Diritto tributario italiano

Condizione necessaria per l’esercizio professionale od occa-sionale dell’attività di mediazione è l’iscrizione del mediatore in appositi ruoli tenuti presso la Camera di Commercio, ai sensi della L. n. 39/1989[3].

Ai sensi dell’art. 1755, comma 1, c.c., “[i]l mediatore ha diritto alla provvigione, da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”. Pertanto, ai fini del riconoscimento del diritto alla provvigione, si rende necessaria la coesistenza, in sintesi, di due presupposti: (i) la conclusione dell’affare e (ii) il rapporto causale intercorrente tra l’opera di intermediazione e l’affare[4]. Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, la misura del compenso o della provvigione cui il mediatore ha diritto e la ripartizione di essa tra le parti, ove non sia fissata pattiziamente, può essere desunta da tariffe professionali o dagli usi, ovvero può essere determinata secondo equità del giudice[5].

Lorenzo Delli Priscoli/Vincenzo Lopilato/Cesare Mirabelli, Libro quarto delle obbligazioni, Milano 2012, p. 4, dove viene fornita la seguente definizione: “[i]l rapporto di mediazione, inteso come interposizione neutrale tra due o più persone per agevolare la conclusione di un determinato affare, non richiede necessariamente un preventivo accordo delle parti sulla persona del mediatore, ma è configurabile pure in relazione ad una materiale attività di intermediazione che i contraenti accettano anche soltanto tacitamente, utilizzandone i risultati ai fini della stipula del contratto. Sicché, ove il rapporto di mediazione sia sorto per incarico di una delle parti, ma abbia avuto poi l’acquiescenza dell’altra, quest’ultima resta del pari vincolata verso il mediatore, ed un suo eventuale successivo rifiuto non sarebbe idoneo a rompere il nesso di causalità tra la conclusione dell’affare, successivamente effettuata direttamente tra le parti, e l’opera mediatrice precedentemente esplicata”; Ivan Libero Nocera, Mediazione unilate-rale e rapporto di mandato, inquadramento strutturale ed ipotesi esegetiche, in: I Contratti, n. 8-9/2011.[3] Si veda, in questo senso, Torrente/Schlesinger (nota 2), p. 810, dove viene precisato che “il legislatore, con la legge 3 febbraio 1989, n. 39 ha istituito un apposito ruolo, al quale dovevano iscriversi quanti intendessero svolgere attività di mediazione, anche se in modo discontinuo od occasionale; solo i soggetti iscritti ave-vano diritto di percepire la provvigione. In seguito, il D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59 ha sostituito tale formalità con l’iscrizione presso il registro delle imprese; peraltro, secon-do la Corte di Cassazione (sentenza n. 16 gennaio 2014, n. 762), in tal modo è stata soltanto modificata la modalità di espletamento dell’onere di iscrizione e pertanto vige ancora la regola per cui soltanto il mediatore iscritto ha diritto alla provvigione (cfr. Cas-sazione 28 gennaio 2016, n. 1735)”. Si veda, inoltre, quanto precisato in merito al Decreto Legislativo (D.Lgs.) n. 39/1989 dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 19161 del 2017.[4] Cfr. Torrente/Schlesinger (nota 2), p. 811, dove viene inoltre precisato che “il nesso di causalità va inteso con larghezza: può essere sufficiente avere segnalato ad un interessato il potenziale contraente o avere comunque contribuito a facilitare il raggiungimento dell’accordo, non occorrendo che l’intervento del mediatore copra tut-te le fasi della trattativa”. Cfr. anche Priscoli/Lopilato/Mirabelli (nota 2), pp. 12-22; Luminoso (nota 2), pp. 93-99; Sandro Nardi, La mediazione, Mila-no 2017, pp. 105-160.[5] Corte di Cassazione, sentenza n. 29287 del 2018: “[…] ai sensi della legge n. 39 del 1989, applicabile alla fattispecie ratione temporis, il diritto alla provvigione era subordinato alla iscrizione del mediatore nel ruolo per agenti di affari in mediazione previsto a pena nullità del contratto di intermediazione”. Stando a quanto disposto dalla Corte di Cassazione, sentenza n.25851 del 9 dicembre 2014, “[l]a giuri-sprudenza di questa Corte è del resto univoca nell’affermare che il diritto del mediatore al compenso va ricollegato all’utilità dell’opera da lui svolta nel favorire la conclusio-ne dell’affare, inteso come fatto generatore del vincolo obbligatorio; non già alle forme giuridiche mediante le quali l’affare medesimo sia stato concluso, né alla circostanza che la formalizzazione finale coincida in tutto e per tutto con le modalità di gestione del rapporto nella fase delle trattative. In altri termini, la realizzazione del risultato eco-nomico perseguito dalle parti prevale su ogni altra considerazione, qualora il suddetto risultato sia stato raggiunto per effetto dell’intervento del mediatore. Sicché il diritto al compenso spetta a quest’ultimo quali che siano le modalità formali con cui l’affare si realizzi; e finanche se le parti originarie sostituiscano altri a sé nell’intestazione giuridica del bene. […] nell’ipotesi in cui l’affare si concluda tra persone giuridiche legalmente rap-presentate, il mediatore ha diritto alla provvigione anche quando la messa in relazione

di un contratto di prestazione sportiva di natura professionistica, del trasferimento di tale prestazione o del tesseramento presso una federazione sportiva professionistica”.

In senso analogo si è espresso il successivo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 marzo 2018. Tale formulazione è stata in seguito anche ripresa anche dall’art. 2, comma 1, lett. a del Regolamento CONI, il quale definisce l’a-gente sportivo come quella figura che: “[…] in forza di un incarico redatto in forma scritta mette in relazione due o più parti ai fini dello svolgimento delle attività descritte al precedente art. 1, comma 2” e dalle Disposizioni Preliminari del Regolamento FIGC, il quale “[…] disciplina l’attività dell’Agente Sportivo abilitato in ambito cal-cistico, il quale mette in relazione due o più soggetti ai fini della: (i) conclusione, della risoluzione o del rinnovo di un contratto di presta-zione sportiva professionistica; (ii) della conclusione di un contratto di trasferimento di una prestazione sportiva professionistica; (iii) del tesseramento dei professionisti presso la F.I.G.C.”.

Da una semplice lettura della definizione prevista nel Regolamento, la figura dell’agente sportivo pare presentare i tratti tipici del mediatore, ovverosia di colui che – in forza della disciplina civilistica – mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare. È opportuno, dunque, appro-fondire la qualificazione civilistica in quanto, come si vedrà, essa è dirimente ai fini della corretta qualificazione fiscale e dell’individuazione del relativo regime tributario.

B. L’attività di procuratore quale attività di mediazione. Cenni.Il contratto di mediazione è disciplinato dagli artt. 1754 ss. del codice civile (c.c.) ai sensi del quale “è mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”.

Carattere fondamentale della mediazione è l’intervento di una persona estranea alle parti (il mediatore), la quale, senza essere legata a nessuna di esse da rapporti di collaborazione o di dipendenza le mette in relazione tra loro per provocare o agevolare la conclusione di un affare. Caratteristica conno-tante il mediatore è, pertanto, la sua indipendenza rispetto alle parti, “ciò non esclude che egli possa agire su specifico incarico di una di esse, che gli abbia richiesto di attivarsi per procacciare un certo affare, ma questo non ne diminuisce la terzietà rispetto al rapporto tra le parti, e lo pone comunque in una posizione diversa da un agente, da un procuratore o da un commesso”[2].

[2] Andrea Torrente/Piero Schlesinger, Manuale di diritto privato, XXIIIa

ed., Milano 2017, p. 810. Si veda, inoltre: Domenico Iannelli, La Mediazione, IIa ed., Milano 2007, p. 5, dove viene definita la mediazione come “un fenomeno che consiste sostanzialmente nell’attività svolta da un soggetto per mettere in rela-zione altri due soggetti tra di loro, al fine di agevolare costoro nella conclusione di un affare”; Angelo Luminoso, La mediazione, Milano 2006, pp. 19-20, dove vie-ne affermato che “[l]’elemento centrale della fattispecie regolata dall’art. 1754 c.c. consiste nella c.d. messa in relazione delle parti, ad opera del mediatore, ai fini della conclusione di un affare. L’approfondimento delle note caratterizzanti tale elemento riveste perciò un’importanza di primo piano ai fini della comprensione dell’intero feno-meno della mediazione. […] Il mediatore può agevolare la conclusione di affari in vari modi: avvicinando tra loro le persone disposte a concluderlo, riferendo a ciascuna l’in-tenzione dell’altra, rimuovendo difficoltà, fornendo consigli e notizie, e via dicendo”;

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fossero ricondotti nel novero dei redditi di lavoro autonomo. Il reddito dell’agente sportivo risultava, dunque, imponibile per cassa (ossia nel periodo di imposta dell’effettiva percezione dei compensi) e al netto dei costi inerenti allo svolgimento dell’at-tività. La società sportiva, in qualità di sostituto d’imposta, applicava all’atto del pagamento dei compensi una ritenuta a titolo di acconto IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche) del 20% (“Ritenuta sui redditi di lavoro autonomo e su altri redditi”) secondo quanto previsto dall’art. 25, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 600/1973. Diversamente nel caso in cui il procuratore operava per il tramite di un veicolo societario, i compensi corrisposti dal club non scontavano alcuna ritenuta, trattandosi di compensi qualificabili alla stregua di un reddito di impresa, come tale non soggetto ad alcun prelievo alla fonte ed imponibile per competenza in capo alla società percettrice.

La nuova definizione di agente sportivo risultante dalle modi-fiche normative e regolamentari solleva alcuni dubbi in merito all’individuazione del regime fiscale dei compensi corrisposti agli agenti sportivi.

Si è detto che sotto il profilo civilistico le modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2018 – anche alla luce della definizione ivi riprodotta e ripresa senza sostanziali modifiche prima dal Regolamento CONI e poi dal Regolamento FIGC – avvicinano l’attività del procuratore sportivo a quella del mediatore (in alcuni casi atipico).

Da tale qualificazione civilistica ne consegue che l’attività svolta dagli agenti sportivi andrebbe più correttamente ricompresa nell’alveo applicativo dell’art. 2195, comma 1, n. 2 e n. 5 c.c. – e, dunque, essere considerata un’attività di impresa in quanto “attività intermediaria nella circolazione dei beni” o “attività ausiliaria delle precedenti”. Ciò in quanto il contratto di prestazione sportiva è considerato un bene immateriale in base alla disciplina contabile di riferimento e a quella fiscale[10]. La qualificazione dell’attività svolta dall’agente sportivo alla stregua di quella di un mediatore comporterebbe che il reddito da quest’ultimo prodotto vada ricondotto nell’alveo del reddito di impresa (anche laddove l’agente operi in forma individuale), a prescindere che l’attività sia organizzata in forma di impresa. Detta qualificazione non pare essere però un automatismo.

Secondo un’altra impostazione, il requisito dell’organizzazione in forma di impresa sarebbe, invece, un elemento dirimente ai fini dell’inquadramento reddituale. Giova in proposito ricordare quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate nella risalente Nota n. 9/133-76 del 18 giugno 1976 nella quale, con riguardo al caso degli agenti teatrali per il collocamento dei complessi artistici, l’Amministrazione finanziaria concluse che tali soggetti possono essere considerati imprenditori commer-ciali a condizione che la loro attività risulti organizzata in forma di impresa, problematica che va risolta caso per caso “previo vaglio degli elementi e delle circostanze di fatto che caratterizzano

[10] Si veda la Risoluzione n. 213/E del 19 dicembre 2001.

Il mediatore è libero di adoperarsi o meno per favorire la stipulazione dell’affare. Se il mediatore accetta uno specifico incarico, è tenuto ad eseguirlo con diligenza, ed in ogni caso è obbligato a comportarsi con correttezza e buona fede nei confronti di entrambe le parti, rispetto alle quali deve con-servare autonomia e indipendenza, ed alle quali è, ai sensi dell’art. 1759 c.c., tenuto a “comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla conclusione di esso”[6].

In aggiunta a quanto precede va osservato che accanto alla mediazione ordinaria (tipica) è configurabile una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a pre-stazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (cd. “mediazione unilaterale”). In altre parole, la cd. “mediazione atipica” è quella figura fondata su un contratto sinallagmatico con riguardo unicamente ad una delle parti interessate la quale, essendo intenzionata a concludere un affare, affida l’incarico al mediatore di ricercare un soggetto interessato ad accettare le condizioni richieste[7].

Come confermato da un’ampia giurisprudenza di legittimità, “[t]ale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incarichi altri di svolgere un’attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni. Essa rientra nell’ambito di applicabilità della disposizione prevista dalla Legge n. 239 del 1989, Art. 2, comma 4, che, per l’appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione, stante la rilevanza, nell’atipicità, che assume il connotato della mediazione, alla quale si accompagna l’attività ulteriore in vista della conclusione dell’affare. In tale più ampio con-testo dell’attività di intermediazione, anche per l’esercizio di attività atipica di mediazione è richiesta l’iscrizione all’albo degli agenti di affari in mediazione, di cui al menzionato Art. 2 della citata legge n. 39 del 1989, con la conseguenza che il suo svolgimento, in difetto di tale condizione, esclude, ai sensi dell’Art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione”[8]. Sulla scorta di quanto precede, l’at-tività del procuratore sportivo sembra, dunque, inquadrabile nella mediazione atipica, come puntualmente già osservato da un’attenta dottrina[9].

III. La qualificazione fiscale dei compensi alla luce della Legge di Bilancio 2018Prima della Legge di Bilancio 2018 era pacifico che i compensi corrisposti agli agenti sportivi per le attività da questi ultimi rese individualmente (e non per il tramite di veicoli societari)

causalmente rilevante ex art. 1754 e 1755 c.c., sia inizialmente intervenuta tra espo-nenti delle medesime persone giuridiche stipulanti che, ancorché sprovvisti dei poteri rappresentativi, abbiano purtuttavia intrapreso e partecipato alle trattative per conto e nell’interesse di queste ultime”.[6] Cfr. anche Nardi (nota 4), pp. 199-216.[7] Nocera (nota 2).[8] Principio affermato in varie sentenze della Corte di Cassazione, si vedano, ad es. sentenza n. 15473 del 14 luglio 2011; sentenza n. 24950 del 6 dicembre 2016; sentenza n. 19161 del 2017; sentenza n. 482 del 10 gennaio 2019.[9] Sul punto si vedano le conclusioni di un autorevole dottrina che tuttavia sembra propendere per l’inquadramento nell’ambito della mediazione atipica, cfr. Stefano Trettel/Gianluca Zavatti, Le novità sugli agenti sportivi nel cal-cio professionistico, in: Il Fisco, n. 31/2019, p. 3071.

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di trattare i termini del trasferimento con lo Stato estero. Pur in questi casi, tuttavia, è necessario che la prova dello svol-gimento all’estero sia inconfutabile e comunque suffragata da supporti di natura documentale, ove reperibili. Nei casi in cui l’attività sia svolta in parte in Italia e in parte all’estero, non è chiarissimo se la ritenuta prevista dalla norma interna trovi applicazione solo alla quota parte del compenso riferibile all’attività svolta in Italia o se, invece, il prelievo vada operato sull’intero importo dei compensi.

Nella generalità dei casi, tuttavia, i sopra richiamati dubbi interpretativi sono superati dall’applicazione della disciplina convenzionale che ammette la tassazione in Italia solo in presenza di una base fissa di affari ovvero di una stabile organizzazione del procuratore sportivo. Al fine di ottenere l’esenzione prevista dalle disposizioni convenzionali, il procu-ratore sportivo è tenuto ad esibire alla società la modulistica di cui al Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 10 luglio 2013, n. 84404.

Nel secondo caso, ovverosia di qualificazione dei compensi come reddito di impresa, i compensi corrisposti a procuratori non residenti sono imponibili in Italia solo a condizione che il procuratore sportivo disponga di una stabile organizzazione ovvero di una base fissa di affari situata nel territorio dello Stato (incluso quello alla fonte di cui all’art. 25-bis D.P.R. n. 600/1973 che non sarà dovuto).

Anche in tal caso, l’agente sportivo non residente potrà richie-dere l’esenzione da ritenuta (sia direttamente al sostituto, sia presentando un’apposita istanza di rimborso) in applicazione della disciplina convenzionale, presentando la modulistica di cui al Provvedimento sopra richiamato.

Diversamente, in presenza di una stabile organizzazione ovvero di una base fissa di affari, il regime fiscale dei redditi corrisposti in favore del procuratore sportivo non residente sarebbe equiparabile a quello dell’agente sportivo residente che produce reddito di impresa. Sotto tale profilo, la sopra richiamata Circolare n. 24/E del 1983 offre uno spunto inte-ressante affermando che “non sono assoggettabili alla ritenuta in esame [ndr. quella di cui all’art. 25-bis, D.P.R. n. 600/1973] le provvigioni erogate a favore di soggetti non residenti che non hanno nel territorio dello Stato una stabile organizzazione”. Se, dunque, restasse confermata la qualificazione dell’agente sportivo quale mediatore, sui compensi corrisposti in favore degli agenti non residenti senza stabile organizzazione non trove-rebbe più applicazione la ritenuta alla fonte di cui all’art. 25 di quello stesso decreto, pari al trenta per cento del rispettivo ammontare lordo (fatta salva l’applicazione delle disposizioni convenzionali). Infine, lo stesso documento di prassi puntua-lizzava come ai fini del prelievo alla fonte configurassero “altre figure di mediatori”, oltre agli agenti teatrali e cinematografici (dei quali si è detto) pure i mediatori sportivi.

V. ConclusioniLe brevi considerazioni contenute nei paragrafi che precedono rivelano svariati profili di incertezza circa l’inquadramento civilistico e fiscale dell’attività di procuratore sportivo. Le

l’attività dei singoli agenti teatrali”. Il parallelo con l’agente teatrale e cinematografico offre ulteriori spunti grazie alla successiva Circolare n. 24/E del 1983 che nel declinare meglio la figura ha affermato come laddove “gli agenti in argomento ricevono le provvigioni sia dall'artista che dall'impresario, essi vanno considerati mediatori”. Il profilo qualificatorio resta comunque incerto e sul punto sarebbero auspicabile un chiarimento di prassi.

Sotto il profilo delle ritenute alla fonte, l’assimilazione del pro-curatore sportivo al mediatore comporterebbe l’applicazione dell’art. 25-bis D.P.R. n. 600/1973 rilevante per i mediatori o per coloro che intrattengono rapporti di commissione, agenzia, rappresentanza di commercio o procacciamento d’affari. Visto l’ampio perimetro di applicazione della suddetta disposizione si ritiene che essa trovi applicazione finanche ai casi della mediazione atipica.

In particolare, in ossequio a tale disposizione, il sostituto d’imposta deve operare: (i) una ritenuta a titolo di acconto IRPEF pari al 23% sul 50% dell’ammontare lordo percepito, ovvero (ii) una ritenuta pari al 23% sul 20% dell’ammontare lordo percepito se, nell’attività di intermediazione, l’agente si dovesse avvalere in via continuativa dell’opera di dipendenti (o di terzi).

Il predetto regime di tassazione alla fonte troverebbe appli-cazione anche nei casi di compensi corrisposti in favore di società residenti, posto che l’art. 25-bis D.P.R. n. 600/1973 non pone alcun requisito con riferimento alla natura del soggetto percettore. Viste le incertezze, anche su tale profilo, sarebbero auspicabili dei chiarimenti di prassi.

IV. La tassazione dei compensi corrisposti a non residentiPer quanto riguarda i compensi corrisposti agli agenti sportivi non residenti, la disciplina interna prevede i seguenti due regimi differenziati a seconda che i compensi siano qualificati come redditi di lavoro autonomo ovvero redditi di impresa.

Nel primo caso, ovverosia di qualificazione come reddito di lavoro, i compensi corrisposti a procuratori non residenti sono imponibili in Italia a condizione che esercitino la propria atti-vità sul territorio italiano, come richiesto dall’art. 23, comma 1, lett. d del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). In tal caso il compenso corrisposto dalla società sportiva sconta l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta pari al 30% dell’ammontare (al lordo dei costi direttamente o indiretta-mente relativi all’attività) ai sensi dell’art. 25, comma 2, D.P.R. n. 600/1973.

L’applicazione della ritenuta prevista dalla normativa interna trascina con sé la verifica di un elemento fattuale, vale a dire il luogo di svolgimento dell’attività. Tale verifica non può che essere svolta caso per caso. In termini generali, è difficile ipo-tizzare che l’attività di un procuratore sportivo, se esercitata in relazione ad un trasferimento in entrata o ad un rinnovo contrattuale, sia svolta interamente all’estero. Lo svolgimento dell’attività all’estero può ipotizzarsi al più nei casi in cui il procuratore sportivo funga da intermediario nelle operazioni di trasferimento in uscita e sia incaricato da un club italiano

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conseguenze di tale situazione si riverberano sui club, tenuti ad effettuare il prelievo alla fonte su compensi pagati ai procuratori, e sui procuratori stessi nei casi di esercizio indi-viduale dell’attività. Per queste ragioni sarebbe auspicabile un chiarimento di prassi da parte dell’Agenzia delle Entrate che intervenga a chiarire il confine tra attività di impresa e attività di lavoro autonomo con particolare riferimento all’attività svolta dai procuratori sportivi e alla disciplina normativa e regolamentare di riferimento.

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Valentino GuariniTax PartnerPwC – TLS Avvocati e Commercialisti

L’incidenza della componente fiscale nella scelta della capitalizzazione dell’impresa

ACE: evoluzione normativa e campi d’applicazione

L’esigenza di sostenere lo sviluppo economico del sistema produttivo e di incentivare il rafforzamento patrimoniale delle imprese, ha portato il Legislatore italiano nel tempo a porre in essere interventi finalizzati a rendere uniforme il trattamento fiscale tra imprese che si finanziano con debito ed imprese che si finanziano con capitale proprio, cercando di rendere la componente fiscale neutrale nella scelta della fonte di finanziamento idonea a soddisfare un determinato fabbi-sogno finanziario. Gli interventi legislativi sono stati molti, a volte complessi e contraddittori. Nella presente trattazione si esporrà una breve disamina dei vari provvedimenti normativi che in ultimo hanno portato al varo dell’Aiuto alla Crescita Economica (ACE).

I. Il fabbisogno finanziario e la scelta della fonte di finan-ziamentoLa copertura del fabbisogno finanziario delle imprese si realizza attraverso il ricorso a fonti di finanziamento interne (autofinanziamento) o esterne alla stessa (capitale proprio e/o capitale di debito). Dette modalità di finanziamento, com-binate, formano la cd. “struttura finanziaria” di un'impresa. In generale, la scelta di ricorrere all’una o all’altra fonte di finan-ziamento impone di considerare non solo le caratteristiche proprie delle fonti di finanziamento, ma anche le specifiche caratteristiche del fabbisogno di capitale che deve essere finanziato (i.e. valutare se conviene finanziare un investimento rischioso ricorrendo totalmente al capitale di credito, che in caso di risultati negativi potrebbero rendere difficile il rientro del finanziamento).

La decisione da parte del soggetto economico di optare per una certa composizione della struttura finanziaria dovrebbe basarsi, in prima battuta, sulla convenienza economica, in ter-mini di massimizzazione dell’indice di redditività del capitale investito. Tuttavia, anche la componente fiscale può, sovente, influenzare il processo decisionale del soggetto economico.

Un sistema fiscale che preveda una tassazione in capo all’impresa che riservi un beneficio fiscale all’indebitamento, penalizzando il ricorso al capitale di rischio, di fatto contribu-isce alla composizione di una struttura finanziaria sbilanciata verso l’indebitamento e quindi sensibile alle contingenze esterne di mercato. Infatti, nel caso di una contrazione della redditività operativa dovuta al ciclico andamento del mercato, potrebbe essere difficile per l’impresa coprire i costi della gestione finanziaria e, di conseguenza, andare incontro a una tensione finanziaria o nei casi più gravi ad un vero e proprio stato di insolvenza.

Guglielmo VerroneSenior AssociatePwC – TLS Avvocati e Commercialisti

I. Il fabbisogno finanziario e la scelta della fonte di finanziamento ......................................................................448A. Dual Income Tax e Thin Capitalization ............................... 449B. Introduzione dell’aiuto alla crescita economica ............. 449II. L’ACE per i contribuenti soggetti IRES ........................ 450A. La base di calcolo e i soggetti ammessi all’agevolazione ................................................................................. 4501. Le variazioni in aumento .......................................................... 4502. Le variazioni in diminuzione .....................................................451B. Il limite del patrimonio netto e determinazione dell’importo ammesso in deduzione .........................................451C. La trasformazione delle eccedenze ACE in crediti IRAP ........................................................................................................452D. Trasformazione delle eccedenze ACE in crediti d’imposta ..............................................................................................452E. La disciplina antielusiva ..............................................................4521. I conferimenti in denaro in favore di società del gruppo ....................................................................................................4522. L’acquisto di partecipazioni (o incremento della quota detenuta) in società controllate appartenenti al gruppo e l’acquisto di aziende o di rami di azienda da società del gruppo ......................................................................4533. I crediti da finanziamento nei confronti di società del gruppo ............................................................................................453

4. I conferimenti in denaro provenienti da soggetti residenti in Stati non collaborativi ..............................................453III. Conclusioni ...................................................................... 454

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Questa aveva tra i suoi obiettivi specifici l’inserimento un limite alla sottocapitalizzazione delle imprese, prevedendo un livello di indebitamento fisiologico non soggetto a restrizioni e un indebitamento eccedente per cui operano delle limita-zioni fiscali e l’evitare arbitraggi tra il livello di deduzione degli interessi da parte dei contribuenti in regime di impresa e il livello d’imposizione da parte dei soggetti che li percepiscono.

L’istituto non risultò, tuttavia, di facile applicazione a causa di alcuni aspetti procedurali inerenti, ad es., all’individuazione del socio qualificato e delle sue parti correlate, dei finanziamenti erogati o garantiti dai soci e dalle parti correlate e la relativa determinazione degli interessi passivi attribuibili a tali finan-ziamenti, della quota di patrimonio netto riferibile al socio e della percentuale indeducibile.

Con la Legge Finanziaria per il 2008 la disciplina degli interessi passivi subiva una trasformazione radicale in una prospettiva di semplificazione, al fine di superare questo complesso sistema. Si stabilì, infatti, che gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati fossero deducibili sino a concorrenza degli interessi attivi e dei proventi assimilati e, per l’eventuale ecce-denza, solo fino a concorrenza del 30% del risultato operativo lordo della gestione caratteristica (cd. ROL contabile; a partire dal periodo di imposta 2019 con il recepimento delle direttive ATAD si parla di ROL fiscale)[5]. Tale meccanismo disincentivò parzialmente il ricorso al capitale di debito, ma non ebbe altrettanto effetto nell’incentivare la capitalizzazione delle imprese, agendo solo parzialmente sull’obiettivo di rendere neutrale il ricorso alle due fonti di finanziamento.

B. Introduzione dell’aiuto alla crescita economicaIn esito alle pesanti conseguenze economiche registrate dalle imprese italiane connesse alla crisi finanziaria del 2008, il Legislatore ha ripreso nuovamente a concentrarsi sul contra-sto alla sottocapitalizzazione delle imprese ovvero incentivare il loro rafforzamento patrimoniale e stimolare il sistema pro-duttivo attraverso delle disposizioni che riconoscono in modo diretto una condizione favorevole dal punto di vista fiscale per i soggetti che perseguono una politica di ritenzione degli utili all’interno dell’impresa e che ricorrono a nuovi apporti di capitale proprio, riprendendo parzialmente la filosofia della Dual Income Tax.

Con il Decreto Legge (D.L.) n. 201/2011, è stato istituito l’“Aiuto alla Crescita Economica” (cd. ACE), che costituisce una misura diretta ad incentivare la capitalizzazione delle imprese al fine di rafforzarne la struttura patrimoniale e abbassare la pressione fiscale. La disposizione prevede una deduzione dal reddito d’impresa del rendimento figurativo del nuovo capi-tale proprio.

[5] Il ROL deve essere calcolato come differenza tra il valore e i costi della pro-duzione di cui all’art. 2425 codice civile (c.c.), lett. A e B, con esclusione delle voci di cui al n. 10, lett. a e b, e dei canoni di locazione finanziaria di beni strumen-tali, assunti nella misura risultante dall’applicazione delle disposizioni volte alla determinazione del reddito di impresa. Si tratta del cd. “ROL fiscale” che a par-tire dal 2019 sostituisce il “ROL contabile” che si basava esclusivamente sui dati civilistici senza dare rilievo alle riprese fiscali.

La tipica composizione della struttura finanziaria delle imprese italiane è da sempre caratterizzata da una forte sottocapita-lizzazione delle stesse. Quanto detto potrebbe imputarsi alle seguenti ragioni: in prima istanza si tratta di un approccio di tipo culturale e, in secondo luogo, di un sistema fiscale che non ha mai puntato ad una vera e propria uniformità nel trat-tamento fiscale tra le due fonti di finanziamento[1]. Il sistema fiscale italiano, infatti, ha per un lungo periodo considerato gli interessi deducibili in capo alla società e tassabili con aliquote cedolari in capo al percettore; gli utili, indeducibili in capo alla società, parzialmente tassabili in capo al percettore o soggetti a regimi di tassazione sostituiva in modo da determinare un prelievo “ripetuto” (tassazione in capo alla società e tassazione in capo al socio). Ciò ha reso il ricorso al capitale di debito preferibile per i soggetti economici. Tale situazione ha indotto il Legislatore a prevedere strumenti di volta in volta differenti per contrastare la sottocapitalizzazione delle imprese e sti-molare il sistema produttivo.

A. Dual Income Tax e Thin CapitalizationIl primo intervento rilevante in questa direzione fu quello ope-rato dal Decreto Legislativo (D.Lgs. n. 466/1997 con il quale si introdusse la Dual Income Tax[2] (DIT). Con essa, il reddito d’impresa per i soggetti sottoposti all’Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche (IRPEG) veniva diviso in due parti[3]: (i) una parte agevolata, sottoposta ad aliquota IRPEG del 19%, corrispondente alla remunerazione ordinaria dell’incremento del capitale investito[4] rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 30 settembre 1996; (ii) una parte non agevolata, per la differenza, assoggettata all’aliquota IRPEG ordinaria del 37%.

Il Legislatore, tuttavia, con la “Riforma dell’imposizione su reddito delle società” del 2003 sceglieva di proseguire sulla strada del contrasto alla sottocapitalizzazione delle imprese, sostituendo il meccanismo in parola, prevedendo un insieme di regole che innovassero la disciplina degli interessi passivi e degli oneri finanziari relativi ai finanziamenti ottenuti sia da terzi sia da soci con una nuova disciplina, la cd. Thin Capitalization Rule (art. 98 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi [TUIR]).

[1] La crisi del 2008 ha fatto registrare una contrazione del ricorso al capita-le di debito, dovuta soprattutto alla contrazione dell’erogazione del credito (cfr. Emilia Bonaccorsi Di Patti/Valentina Nigro, N. 449 – La struttura finanziaria delle nuove imprese, nel periodo pre- e post-crisi, Banca d’Italia, luglio 2018, in: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2018-0449/index.html [consul-tato il 10.07.2020]).[2] D.Lgs. n. 466/1997 (Riordino delle imposte personali sul reddito al fine di favorire la capitalizzazione delle imprese), pubblicato su Supplemento ordinario (S.O.) della Gazzetta Ufficiale (G.U.) n. 3 del 5 gennaio 1998; D.Lgs. n. 56/1998 (Provvedimento correttivo del D.Lgs. n. 466/97), pubblicato su G.U. n. 70 del 25 marzo 1998; Decreto Ministeriale (D.M.) del 25 marzo 1998, pubblicato su S.O. n. 54 della G.U. n. 73 del 28 marzo 1998 (Istruzioni per la compilazione del Modello n. 760/98); Decreto ministeriale (D.M.) del 31 marzo 1999 (Determinazione del coefficiente di remunerazione ordinaria da applicare alla variazione in aumento del capitale investito) pubblicato sulla G.U. n. 75 del 31 marzo 1999.[3] Cfr. anche Lelio Cacciapaglia, DIT – Dual Income Tax – Gli incentivi alla capitalizzazione delle imprese, in: Allegato de Il fisco n. 22/1998, p. 7417.[4] Ai sensi dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 446/1997, la remunerazione viene determinata ogni anno con D.M. (per il 1997 era pari al 7%).

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è proprio in tale esercizio che l’assemblea delibera di destinare l’utile a riserva. Gli apporti di capitale sociale, sia eseguiti in sede di aumento del capitale sociale (anche per sovrapprezzo) che eseguiti senza interessare il capitale (i.e. versamenti a fondo perduto o in conto capitale ovvero tutte le destina-zioni che non comportano in capo alla società un obbligo di restituzione)[9] rilevano purché effettuati in denaro (non rilevano appunto quelli in natura).

L’art. 5, comma 2, lett. a, D.M. del 3 agosto 2017 assimila ai conferimenti in denaro (i) le compensazioni dei crediti in sede di sottoscrizione di aumenti del capitale e (ii) la rinuncia incondizionata dei soci al diritto alla restituzione dei crediti verso la società[10]. I conferimenti devono essere effettiva-mente eseguiti con il relativo versamento; non rileva, in altre parole, la mera sottoscrizione di un aumento di capitale.

I conferimenti in denaro rilevano a partire dalla data di ver-samento, mentre gli incrementi derivanti dalla rinuncia ai crediti rilevano dalla data dell’atto di rinuncia; gli incrementi derivanti dalla compensazione dei crediti in sede di sottoscri-zione di aumenti del capitale rilevano dalla data in cui assume effetto la compensazione. I suddetti incrementi, effettuati in un periodo d’imposta valgono anche per i successivi (sempre che non si siano verificate nel frattempo riduzioni, ad es. per distribuzione ai soci). Nei successivi periodi d’imposta non occorre tuttavia ragguagliare pro rata temporis gli incrementi “pregressi”.

In merito alle variazioni in aumento rilevanti, in esito all’intro-duzione del D.Lgs. n. 139/2015 (nuovi principi contabili per gli OIC adopter), le disposizioni attuative hanno previsto alcune precisazioni circa la rilevanza ai fini dell’ACE di alcune iscrizioni contabili. In particolare, in relazione alla contabilizzazione dell’interesse figurativo per i finanziamenti infruttiferi (OIC 15) non rilevano né, in capo alla società finanziata, l’incremento di patrimonio netto derivante dalla contabilizzazione dei finanziamenti infruttiferi infragruppo con il criterio del costo ammortizzato (art. 5, comma 5, D.M. del 3 agosto 2017), né, in capo alla società finanziatrice, l’incremento del valore della partecipazione, che andrebbe altrimenti a ridurre la base ACE (art. 10, comma 2, D.M. del 3 agosto 2017). La ratio è in sostanza quella di assicurare che la totalità del finanziamento ricevuto o concesso mantenga ai fini dell’ACE la natura di prestito (non rilevante) anche se, per effetto dell’adozione dei nuovi principi contabili, una parte di esso viene iscritto tra le riserve di patrimonio netto (per la società che ne beneficia) o tra le partecipazioni (per la società che lo eroga).

Un’altra particolarità prevista dal suddetto decreto è quella per i soggetti OIC adopter che emettono obbligazioni conver-tibili (OIC 19). In conformità con quanto previsto per i soggetti IAS adopter, anche gli OIC adopter sono tenuti ad iscrivere in

[9] Art. 5, comma 2, lett. a D.M. del 3 agosto 2017; cfr. anche Agenzia delle Entrate, Circolare n. 76/E, del 6 marzo 1998.[10] In base alle disposizioni attuative rilevano solo le rinunce di crediti di natu-ra finanziaria, mentre ne sono esclusi quelli commerciali (in senso conforme Agenzia delle Entrate, Circolare n. 21/E, del 3 giugno 2015).

In ultimo, ad opera dell’art. 1, commi da 28 a 34, della Legge (L.) n. 145/2018 (cd. “Legge di Bilancio 2018”), il Legislatore ha introdotto un regime di tassazione ridotta degli utili reinvestiti per l’acquisizione di beni materiali strumentali e/o per l’incremento dell’occupazione, parzialmente modificata dall’art. 2 D.L. n. 34/2019 (cd. Mini-IRES).

Con tali misure era stata disposta l’abrogazione dell’ACE a partire dal periodo d’imposta 2019, provvedimento, tuttavia, mai entrato in vigore in seguito all’approvazione della Legge di Bilancio 2020 (art. 1, comma 287, L. n. 160/2019), che ha disposto, infine, la reintroduzione dell’ACE senza soluzione di continuità.

II. L’ACE per i contribuenti soggetti IRESA. La base di calcolo e i soggetti ammessi all’agevolazioneL’ACE è applicabile a partire dal periodo di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2011 e dunque dall’anno 2011 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare. Per i soggetti con periodo d’imposta minore o superiore all’anno, la variazione deve essere ragguagliata al maggiore o minore periodo (art. 2, comma 1, D.M. del 3 agosto 2017)[6].

Per i contribuenti soggetti ad IRES[7] (le società di capitali, gli enti commerciali e le stabili organizzazioni italiane dei soggetti non residenti) (art. 73, comma 1, lett. a, b e d, TUIR), la base di calcolo dell’agevolazione è rappresentata dai nuovi apporti di capitale proprio, ed è pari alla differenza positiva tra le variazioni in aumento e le variazioni in diminuzione, considerate rilevanti ai fini della disciplina in oggetto, rispetto al patrimonio netto esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010, come individuato dalle risultanze del relativo bilancio, con esclusione dell’utile d’esercizio 2010.

1. Le variazioni in aumentoAssumono rilevanza, come variazioni in aumento del capitale proprio, i conferimenti in denaro e gli utili accantonati a riserva, ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili[8].

Gli utili accantonati a riserva rilevano a partire dall’inizio dell’esercizio successivo a quello a cui si riferiscono, in quanto

[6] Il D.M. del 3 agosto 2017 ha sostituito il D.M. del 14 marzo 2012, quest’ulti-mo è da applicarsi fino al periodo d’imposta 2017.[7] Sono ammessi anche le persone fisiche esercenti attività d’impresa, le società in nome collettivo e in accomandita semplice, purché in contabilità ordinaria, che sono soggetti all’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (cd. IRPEF). L’ACE non si applica alle società (art. 9, comma 1, D.M. del 3 agosto 2017): assoggettate a procedura di fallimento, dall’inizio dell’esercizio in cui interviene la dichiarazione di fallimento; assoggettate alle procedure di liqui-dazione coatta, dall’inizio dell’esercizio in cui interviene il provvedimento che ordina la liquidazione; assoggettate alle procedure di amministrazione straor-dinaria delle grandi imprese in crisi, dall’inizio dell’esercizio in cui interviene il decreto motivato che dichiara l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria sulla base del programma di cessione dei complessi aziendali di cui all’art. 54 D.Lgs. n. 27010/1999; in regime di Tonnage Tax; agricole che deter-minano il reddito ai sensi dell’art. 32 TUIR. Il beneficio, inoltre, non si applica agli imprenditori (art. 9, comma 2, D.M. del 3 agosto 2017): assoggettati alle procedure di fallimento dall’inizio dell’esercizio in cui interviene la dichiarazione di fallimento; agricoli che determinano il reddito ai sensi dell’art. 32 TUIR.[8] Si veda art. 5, comma 5, D.M. del 14 marzo 2012 e art. 5, comma 8, D.M. del 3 agosto 2017.

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non può comunque essere superiore all’importo del patri-monio netto complessivo risultante alla fine di ogni esercizio di applicazione dell’agevolazione (incluso l’utile di esercizio), esclusa la riserva negativa per azioni proprie[13]. Pertanto, le perdite di esercizio che non rilevano quale decremento del capitale proprio assumono, tuttavia, rilievo ai fini del limite del patrimonio netto, perché ne riducono l’ammontare. Inoltre, a norma dell’art. 11, comma 2, D.M. del 3 agosto 2017, rilevano anche le rettifiche del patrimonio netto connesse alla prima applicazione di principi contabili ovvero al loro cambiamento.

La misura dell’agevolazione è determinata applicando all’ammontare degli incrementi netti del capitale proprio, ovvero alla base ACE, l’aliquota percentuale (cd. “rendimento figurativo”) indicata dal comma 3 dell’art. 1 D.L. n. 201/2011 e successive modifiche ad opera della Legge di Bilancio 2014 e 2017 e del D.L. n. 50/2017. Il valore così determinato viene portato in diminuzione del reddito imponibile determinato in base alle disposizioni del TUIR, dopo l’utilizzo delle eventuali perdite pregresse a norma dell’art. 84 TUIR.

Nel caso in cui il reddito imponibile sia pari a zero per via dell’azzeramento delle perdite oppure in caso di perdite fiscali, l’eccedenza dell’ACE può essere riportata in avanti ed utilizzata negli esercizi in cui si realizzi reddito imponibile. Infatti, in presenza di una perdita fiscale la stessa non viene incrementata dall’agevolazione e la quota ACE non utilizzata nel periodo d’imposta.

Inoltre, le eccedenze in parola possono essere trasferite al consolidato dalle singole società aderenti (se generate dopo l’adesione alla tassazione di gruppo) e utilizzate in abbatti-mento del reddito complessivo di gruppo[14]. Si segnala che la Circolare dell’Agenzia Entrate n. 12/E, del 23 maggio 2014, ha precisato che il trasferimento delle eccedenze al consolidato sia un obbligo e non una facoltà.

Infine, le eccedenze in parola possono essere trasferite ai singoli soci in caso di opzione al regime di tassazione per tra-sparenza ex artt. 115 e 116 TUIR ed utilizzate in abbattimento del reddito dichiarato (art. 7 D.M. del 3 agosto 2017). In caso di opzione per la “piccola trasparenza” di cui all’art. 116 TUIR vi è una differenza: la quota di eccedenza di rendimento nozio-nale attribuita al socio non può essere portata a riduzione del reddito complessivo netto dichiarato, ma esclusivamente a riduzione del reddito d’impresa del socio stesso. Resta fermo in entrambi i casi che le eccedenze di rendimento nozionale generatesi prima dell’opzione non possono essere trasferite ai soci (sono, cioè, utilizzabili dalla sola partecipata).

[13] Le istruzioni dei modelli dichiarativi precisano che essendo il patrimonio netto contabile influenzato dall’utile di esercizio, a sua volta assunto al netto delle imposte, a loro volta influenzate dall’ACE, l’utile o la perdita da conside-rare sono quelli determinati con un carico fiscale teorico che non tenga conto dell’ACE.[14] L’art. 6 D.M. del 3 agosto 2017 prevede che, in caso di opzione per il con-solidato fiscale, il rendimento nozionale che eccede il reddito complessivo dichiarato è computato in deduzione del reddito di gruppo fino a concorrenza dello stesso. La quota che non trova capienza nel reddito di gruppo è “ritrasferi-ta” alle singole società.

una riserva di patrimonio netto il valore dell’opzione di con-versione del prestito obbligazionario in strumento di capitale sin dall’atto di emissione. L’art. 5, comma 5, D.M. del 3 agosto 2017 dispone che l’incremento di patrimonio derivante dall’emissione di diritti di opzione (warrant) e di obbligazioni convertibili rilevi solo dall’esercizio in cui viene esercitata l’opzione. Viene, quindi, esteso ai soggetti OIC adopter quanto in passato già previsto per i soggetti IAS adopter.

2. Le variazioni in diminuzioneCostituiscono, invece, variazioni in diminuzione del capitale proprio i decrementi delle poste del patrimonio netto con attribuzione a qualsiasi titolo, ai soci o ai partecipanti (i.e. distribuzione delle riserve ai soci e/o acquisto di azioni proprie, art. 5, comma 4, D.M. del 3 agosto 2017) o anche in base alle riduzioni della base ACE previste dalle clausole antiabuso (i.e. gli acquisti di partecipazioni in società controllate e gli acquisti di aziende o di rami di aziende).

Inoltre, ai sensi dell’art. 1, comma 6-bis, D.L. n. 201/2011 (ad opera della Legge di Bilancio 2016) rileva anche la riduzione della base ACE per investimenti in titoli e valori mobiliari. Tale previsione ha l’intento di stimolare la capitalizzazione fina-lizzata agli investimenti produttivi o alla riduzione del debito, obiettivo che non si raggiunge se i fondi derivanti dai nuovi apporti di capitale e/o dagli accantonamenti a riserva degli utili vengono utilizzati per l’acquisto di valori mobiliari diversi dalle partecipazioni[11]. Per espressa disposizione di legge, la norma riguarda unicamente i soggetti diversi dalle banche e dalle imprese di assicurazione e holding finanziarie, in quanto per questi l’acquisto di titoli e valori mobiliari rappresenta un’attività tipica e non un mero investimento accessorio.

Le modifiche relative al calcolo della base ACE si applicano retroattivamente, ovvero dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015 (dunque dall’anno 2016, per i soggetti “solari”) (art. 1, comma 551, L. n. 232/2016). Inoltre, secondo la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 8/E, del 7 aprile 2017, non può essere presentato interpello probatorio ai fini della disapplicazione della sterilizzazione, in quanto è norma di sistema che non prevede la prova contraria.

I decrementi patrimoniali rilevano a partire dall’inizio dell’eser-cizio in cui si sono verificati (art. 1, comma 6, D.L. n. 201/2011 e art. 5, comma 4, D.M. del 14 marzo 2012). Gli incrementi e i decrementi patrimoniali di ciascun periodo d’imposta con-tinuano ad avere rilevanza, ai fini della determinazione della base ACE, anche nei periodi d’imposta successivi, con una conseguente stratificazione delle ricapitalizzazioni[12].

B. Il limite del patrimonio netto e determinazione dell’im-porto ammesso in deduzioneIn base a quanto stabilito dall’art. 11 D.M. del 14 marzo 2012 (confermato dell’art. 11 D.M. del 3 agosto 2017), la base ACE

[11] Relazione illustrativa della Legge di Bilancio 2017.[12] L’art. 2, comma 1, D.M. del 3 agosto 2017 precisa che, limitatamente ai soggetti IRES, se il periodo d’imposta è superiore o inferiore ad un anno, la variazione in aumento deve essere ragguagliata al maggiore o minore periodo.

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antielusive previste dal D.M. del 3 agosto 2017 sono in ogni caso suscettibili di essere disapplicate mediante interpello diretto a dimostrare che l’incremento di capitale proprio non è stato eseguito in violazione della normativa.

In un primo momento è stata allargata la portata applica-tiva delle operazioni elusive. Infatti, inizialmente il comma 1 dell’art. 10 D.M. del 14 marzo 2012 prevedeva un ambito applicativo della disciplina antielusiva speciale limitato a quelle operazioni, specificamente indicate nei successivi commi 2 e 8, che risultavano realizzate tra due soggetti, qualificati da un rapporto di controllo, entrambi rientranti nel campo di appli-cazione dell’ACE. Pertanto, venivano di fatto escluse tutte le operazioni con società estere (salvo alcuni casi specifici), in quanto queste non potevano beneficiare dell’ACE (salvo il caso di stabili organizzazioni in Italia).

La nuova formulazione del comma 1 dell’art. 10 D.M. del 3 agosto 2017 prevede quindi che la disciplina antielusiva si applichi ai soggetti appartenenti al medesimo gruppo nell’ambito del quale è presente almeno un soggetto bene-ficiario dell’ACE, quindi, anche operazioni che coinvolgano soggetti non residenti.

L’appartenenza al medesimo gruppo era stabilita sulla base dell’esistenza di un rapporto di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. Si trattava, quindi, di soggetti che potevano considerarsi controllanti, controllati e sottoposti al medesimo controllo di una società.

Il decreto in parola ha ampliato anche la nozione di gruppo, in quanto si considerano società del gruppo le società con-trollate, controllanti o controllate da un medesimo soggetto ai sensi dell’art. 2359 c.c., inclusi i soggetti diversi dalle società di capitali, con eccezione dello Stato e degli altri enti pubblici.

Ma vediamo nello specifico le disposizioni antielusive.

1. I conferimenti in denaro in favore di società del gruppoTra le altre disposizioni vi è quella prevista al comma 2 dell’art. 10 D.M. del 3 agosto 2017, che prevede una riduzione dell’in-cremento di capitale proprio, della società conferente, per un importo pari ai conferimenti in denaro effettuati a favore di altre società del gruppo (successivamente alla chiusura dell’e-sercizio in corso al 31 dicembre 2010). La disposizione vuole evitare le fattispecie in cui, mediante un unico conferimento in denaro, si possa ottenere un effetto moltiplicativo della base ACE su più società del medesimo gruppo. La sterilizzazione opera sulla società conferente mentre la rilevanza dell’apporto viene mantenuta sulla società conferitaria. Tale disposizione era già prevista dal comma 2 dell’art. 10 D.M. del 14 marzo 2012. Ciononostante, occorre evidenziare che rispetto alla precedente formulazione varia l’ambito d’applicazione della norma il quale, oggi, concerne i conferimenti effettuati nei confronti di tutti i soggetti rientranti nel perimetro di gruppo ovvero considerando anche i soggetti non residenti.

In ogni caso, la disposizione può essere disapplicata mediante interpello diretto a dimostrare che l’incremento di capitale

La particolarità dell’agevolazione in parola è che gli incre-menti netti di capitale rilevanti ai fini dell’agevolazione, realizzati a partire dal 2011, sono rilevanti in ogni esercizio, ossia si sommano agli incrementi che si realizzano negli altri periodi d’imposta; inoltre, come detto poc’anzi le eccedenze non utilizzate possono essere riportate in avanti senza alcun vincolo temporale.

C. La trasformazione delle eccedenze ACE in crediti IRAPAi sensi dell’art. 1, comma 4, D.L. n. 201/2011 come modifi-cato dall’art. 19, comma 1, lett. b D.L. n. 91/2014, in alternativa al riporto delle eccedenze ACE non utilizzate si può fruire di un credito d’imposta applicando alla suddetta eccedenza “le aliquote di cui agli articoli 11 e 77 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Il credito d’imposta è utilizzato in diminuzione dell’im-posta regionale sulle attività produttive, e va ripartito in cinque quote annuali di pari importo”. Per effetto della norma, quindi, le eccedenze non sfruttate possono essere trasformate in un credito d’imposta utilizzabile ai soli fini dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP), ripartito in cinque quote annuali di pari importo fino a concorrenza dell’IRAP (art. 3, comma 3, D.M. del 3 agosto 2017).

D. Trasformazione delle eccedenze ACE in crediti d’impostaCon l’art. 55 D.L. n. 18/2020 (cd. “cura Italia”) è stata prevista la possibilità di trasformare in crediti d’imposta utilizzabili in compensazione le imposte anticipate (anche non iscritte in bilancio) riferibili a perdite fiscali ed eccedenze ACE nella disponibilità dell’impresa. Il beneficio spetta alle imprese che cedono crediti deteriorati entro il 31 dicembre 2020: il credito d’imposta è, infatti, determinato applicando le aliquote d’im-posta al 20% del valore nominale del credito ceduto, e dalla stessa data le perdite e le eccedenze ACE corrispondenti non possono più essere utilizzate. È previsto che l’opzione per la trasformazione abbia effetto dal periodo d’imposta succes-sivo. Su tale ultimo punto occorreranno chiarimenti specifici, in quanto ciò significherebbe posticipare gli effetti al 2021, mentre il fabbisogno di liquidità per le imprese è immediato.

E. La disciplina antielusivaLa disciplina dell’ACE è stata completata con il D.M. del 14 marzo 2012 che ha dettato le disposizioni attuative ed antielusive. Tale disciplina si applica per i periodi d’imposta fino al 2017. Il suddetto decreto è stato sostituito dal D.M. del 3 agosto 2017, quest’ultimo in vigore dal periodo d’imposta 2018. La disciplina in parola è volta ad evitare che, a fronte di un’unica immissione di capitale, si creino variazioni in aumento del capitale proprio in più soggetti appartenenti allo stesso gruppo, con conseguenti effetti moltiplicativi dell’age-volazione[15].

È bene precisare che, essendo la disciplina antielusiva ope-rante in modo automatico, l’Amministrazione finanziaria non è tenuta a dimostrare le finalità elusive delle operazioni previste espressamente dal decreto. Tuttavia, le fattispecie

[15] Agenzia Delle Entrate, Circolare n. 12/E, del 23 maggio 2014.

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ACE in altre società del gruppo[17]. La sterilizzazione viene eseguita in capo al soggetto che effettua il finanziamento.

Anche le fattispecie antielusive previste dal comma 3 dell’art. 10 D.M. del 3 agosto 2017 sono suscettibili di essere disap-plicate mediante presentazione di istanza di interpello, con la quale si dovrà dimostrare che il soggetto “finanziato” tramite una di queste operazioni non abbia a sua volta posto in essere conferimenti in denaro che abbiano aumentato il capitale proprio di altri soggetti del gruppo o finanziato altri soggetti del gruppo che a loro volta abbiano aumentato il capitale proprio di altri soggetti del gruppo (mediante conferimenti).

4. I conferimenti in denaro provenienti da soggetti residenti in Stati non collaborativiInfine, il comma 4 dell’art. 10 D.M. del 3 agosto 2017, come pre-visto già dalla lett. d del comma 3 dell’art. 10 D.M. del 14 marzo 2012, conferma che la variazione del capitale proprio risulta diminuita dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti diversi da quelli domiciliati in Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni, anche se non appartenenti al gruppo. La relazione illustrativa al D.M. del 3 agosto 2017 individua nei Paesi collaborativi quelli indicati dall’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 239/1996 cd. “white list”. Tuttavia, i Paesi da prendere in considerazione non sono quelli attualmente inclusi in detta lista, perché non possono essere considerati quegli Stati che vi sono entrati dopo l’introduzione dell’ACE, ovvero dopo 1° gennaio 2011. Ciò in quanto, anche se detti Paesi sono succes-sivamente entrati nella white list per aver stipulato accordi per lo scambio di informazioni, non essendo possibile ricostruire, a partire dal 1° gennaio 2011 e fino alla stipula degli accordi stessi i flussi di denaro infragruppo derivati dalle operazioni ricom-prese nell’art. 10, gli stessi devono essere comunque considerati “non collaborativi” in via definitiva.

Per identificare la provenienza white listed dei conferimenti in denaro risulta inoltre confermata la necessità di ricostru-ire l’intera catena di controllo del soggetto estero che ha effettuato il conferimento, al fine di verificare la residenza dei rispettivi soci (cd. look through approach). Inoltre, la disposizione in parola è molto stringente, infatti qualora nella compagine sociale del soggetto che effettua il conferimento vi sia anche un solo socio, ancorché di minoranza, residente in Paese non white listed, per la conferitaria non residente opera la clausola di sterilizzazione.

[17] L’importo dell’incremento di crediti da finanziamento verso società del gruppo va determinato avendo riguardo ai singoli rapporti verso le società finanziate, senza dunque poter compensare l’incremento di un finanziamento verso una società con la riduzione di quello verso un’altra società (cfr. Agenzia delle Entrate, Circolare n. 12/E, del 23 maggio 2014). Non rilevano, invece, i cre-diti per finanziamenti che sono ancora in essere ma che riguardano società con riferimento alle quali è stato perso il rapporto di controllo. Inoltre, il contratto di cash pooling regolato nella forma cd. “zero balance” (con azzeramento a fine giornata dei saldi a credito e a debito con trasferimento sul conto accentrato della capogruppo) non configura un’operazione di finanziamento e non com-porta dunque sterilizzazioni della base ACE (cfr. Agenzia delle Entrate, Circolare n. 21/E, del 3 giugno 2015). La relazione illustrativa al D.M. del 3 agosto 2017 ha, infine, precisato che si considerano finanziamenti rientranti nella disciplina in esame anche quelli effettuati attraverso operazioni di pronti contro termine di titoli e prestito titoli tra due società del medesimo gruppo.

proprio non è stato preceduto da un’immissione di denaro che ha aumentato il capitale proprio ai fini ACE di un altro soggetto del gruppo.

2. L’acquisto di partecipazioni (o incremento della quota detenuta) in società controllate appartenenti al gruppo e l’acquisto di aziende o di rami di azienda da società del gruppoIl comma 3 dell’art. 10 D.M. del 3 agosto 2017 stabilisce che la variazione del capitale proprio è altresì diminuita: dei cor-rispettivi per l’acquisizione o l’incremento di partecipazioni in società controllate già appartenenti ai soggetti del gruppo; dei corrispettivi per l’acquisizione di aziende o di rami di aziende già appartenenti ai soggetti del gruppo. Si tratta delle stesse fattispecie in precedenza previste rispettivamente dalle lett. a e b del comma 3 dell’art. 10 D.M. del 14 marzo 2012, con l’unica differenza che ora si prevede che le stesse rilevino nei confronti di “soggetti del gruppo”, in relazione alle più volte citate modifiche del comma 1 del medesimo articolo.

Con l’emanazione del D.M. del 3 agosto 2017 rilevano gli acquisti di partecipazioni in società controllate appartenenti anche a soggetti del gruppo non residenti, mentre ciò non avveniva in vigenza del D.M. del 14 marzo 2012. La finalità della disposizione è evitare che i conferimenti effettuati dai soci (che hanno già concorso ad aumentare la base ACE dell’acquirente) vengano utilizzati per l’acquisizione di parteci-pazioni, dando al soggetto cedente la liquidità necessaria per far moltiplicare la base ACE all’interno del gruppo attraverso altri conferimenti[16]. La sterilizzazione viene fatta in capo all’acquirente.

La lett. b del comma 3 prevede l’ulteriore fattispecie della ste-rilizzazione della base ACE per un importo pari al corrispettivo della cessione di aziende all’interno dello stesso gruppo. Infatti, anche con tale operazione è possibile trasferire liquidità ad altre società del gruppo che a cascata potrebbero usarli per effettuare altri conferimenti in denaro, determinando così un effetto moltiplicativo dell’ACE. In questo caso, la sterilizza-zione opera sull’acquirente dell’azienda, il quale deve ridurre la propria base ACE.

3. I crediti da finanziamento nei confronti di società del gruppoLa terza fattispecie antielusiva, prevista dalla lett. c del comma 3, riguarda la sterilizzazione della base ACE fino a concorrenza dell’incremento dei finanziamenti nei confronti dei soggetti del gruppo. Ciò al fine di evitare che gli aumenti di capitale proprio mediante conferimenti in denaro possano essere utilizzati per effettuare prestiti ad altre società del gruppo le quali poi li utilizzino per effettuare conferimenti rilevanti ai fini

[16] Per tale ragione con la Circolare n. 21/E, del 3 giugno 2015, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che non rilevano gli acquisti o gli incrementi di partecipa-zioni la cui contropartita non è rappresentata da una somma di denaro ma da corrispettivi di diversa natura, come nel caso di conferimenti in natura.

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454 luglio 2020

Diritto tributario italiano

In quest’ottica, l’introduzione dell’aiuto alla crescita eco-nomica che prevede la possibilità di dedurre dal reddito imponibile il rendimento figurativo connesso ai nuovi apporti di capitale e/o agli accantonamenti degli utili a riserva ha rap-presentato un’innovazione rispetto ad altre misure emanate precedentemente e ha reso il trattamento fiscale tra le due modalità di finanziamento più uniforme.

L’ACE ha consentito, infatti, alle imprese di dedurre la remunerazione figurativa dei nuovi apporti di capitale e/o sull’accantonamento degli utili esonerandola dall’imposta e sottoponendo a tassazione solo il reddito eccedente, mentre con la Dual Income Tax detto componente usufruiva solo di un abbattimento dell’aliquota fiscale.

Inoltre, si è perseguita la strada dell’intervento diretto sull’incentivo fiscale alla capitalizzazione, al contrario di quanto previsto dalla thin capitalization, che prevedeva solo una limitazione della deducibilità degli interessi e quindi una penalizzazione del ricorso al capitale di debito, senza però pre-vedere nessun effetto premiale sul ricorso al capitale proprio.

Il percorso in questa direzione non ha trovato però pieno compimento. A conferma di ciò, all’interno dell’ordinamento giuridico italiano è, a tutt’oggi, rinvenibile un trattamento fiscale per il ricorso al capitale di debito incentrato sulla dedu-cibilità degli interessi passivi in capo alla società (anche se con le limitazioni dell’art. 96 TUIR) e una tassazione con un’impo-sta sostitutiva in capo al percettore degli interessi, mentre gli utili che vengono corrisposti ai portatori di capitale proprio vengono sottoposti ad una doppia imposizione economica; scontano infatti l’imposizione proporzionale in capo alla società (prevedendo l’indeducibilità degli utili) e l’imposizione in capo al socio. Inoltre, ad opera della Legge di Bilancio 2018 (cfr. art. 1, commi 1003 e 1006) è stata prevista l’uniformità della tassazione tra partecipazioni qualificate e non qualifi-cate per le persone fisiche non titolari di reddito d’impresa prevedendo per entrambi una tassazione sostitutiva al 26% come per gli interessi. Tale previsione, oltre a penalizzare i soggetti con un’aliquota marginale IRPEF bassa non ha risolto il problema del disallineamento tra il trattamento fiscale pre-visto per le due fonti di finanziamento, anzi ha reso il prelievo fiscale più gravoso.

Negli ultimi anni si è assistito inoltre ad una parziale perdita di entusiasmo nell’utilizzo dell’istituto da parte degli operatori economici, in conseguenza delle importanti revisioni dello stesso che hanno avuto un effetto progressivamente destrut-turante sulla portata del provvedimento, con un evidente arresto nella corsa per il raggiungimento dell’obiettivo della neutralità fiscale nella scelta della fonte di finanziamento e di ridurre la sottocapitalizzazione delle imprese italiane.

Si auspica pertanto maggiore stabilità negli interventi da parte del legislatore al fine di rafforzare e stimolare il sistema produttivo ed incentivare gli investitori nel finanziare piani di investimento di ampio respiro e a lungo termine, avendo la sicurezza del mantenimento di determinati rendimenti nozionali.

In ogni caso, la norma ha previsto due esimenti (art. 10, comma 4, D.M. del 3 agosto 2017): (i) per le società quotate si valuta solo la composizione dei soci controllanti in base ai requisiti di cui all’art. 2359 c.c. (qualora non sia identificabile alcun soggetto controllante effettivo, la predetta indagine deve concludersi al livello della società quotata stessa); (ii) in presenza di un fondo di investimento regolamentato e localizzato in Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni non occorrono le informazioni in merito ai sottoscrittori del fondo.

Il comma 5 dell’art. 10 D.M. del 3 agosto 2017 prevede che qualora dall’indagine emerga la provenienza di conferimenti in denaro da soggetti diversi da quelli domiciliati in Stati o ter-ritori che consentono un adeguato scambio di informazioni, la riduzione ACE vada ripartita proporzionalmente tra le società conferitarie del gruppo che hanno conseguito una base ACE positiva nel periodo d’imposta. Anche per questa fattispecie sarebbe possibile presentare istanza di disapplicazione[18]. In tale ipotesi, secondo l’Agenzia delle Entrate e la relazione al D.M. del 3 agosto 2017, per ottenere la disapplicazione è necessario fornire contestualmente le informazioni e la docu-mentazione necessarie a dimostrare, in modo inequivocabile, la provenienza dei conferimenti da un soggetto residente in un Paese white listed al fine di ovviare alla mancanza di scam-bio di informazioni con il Paese non white listed, le informazioni e la documentazione necessarie a dimostrare l’assenza di fenomeni di duplicazione dell’agevolazione ACE.

A seguito della riforma del D.Lgs. n. 156/2015 non è più necessario presentare interpello per disapplicare le norme “anti-abuso”, pertanto, la società contribuente che si trovi in una delle situazioni oggetto della disciplina antielusiva e che non intenda ridurre la base ACE degli importi può adottare uno dei seguenti comportamenti: (i) presentare istanza di interpello probatorio ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. b, L. 212/2000; (ii) non presentare istanza di interpello, se ritiene comunque non sussistente la duplicazione del beneficio ACE, compilando gli campi del modello reddituale. Dal punto di vista sanzionatorio, l’art. 8, comma 3-quinquies, D.Lgs. n. 471/1997 prevede una sanzione amministrativa da euro 2’000 a euro 21’000 per l’omissione o l’incompletezza delle segnalazioni previste dall’art. 1, comma 8, D.L. n. 201/2011.

III. ConclusioniLa scelta della giusta fonte di finanziamento conseguente all’analisi del fabbisogno finanziario è una delle sfide a cui il soggetto economico deve essere tempestivamente pronto a rispondere, calibrandone il peso sulla convenienza economica in modo da massimizzare l’indice di rendimento del capitale investito e minimizzando contemporaneamente l’incidenza di eventuali altri fattori esterni, quale la non uniformità dell’inci-denza del prelievo fiscale.

[18] Con la Circolare n. 21/E, del 3 giugno 2015 (cifra 3.10), l’Agenzia delle Entrate ha inoltre chiarito che è possibile presentare anche con riferimento alla fattispecie in esame istanza di disapplicazione (superando così l’orientamento della precedente Circolare n. 12/E del 23 maggio 2014).

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455 luglio 2020

IVA e imposte indirette

Thomas Linderlic. iur. HSG, eidg. dipl. Steuerexperte,MME Zürich

Praxisanpassungen vom 17. Juni 2019 zu Leistungen im Zusammenhang mit Blockchain- und Distributed Ledger-Technologie

MWST und Krypto-Token

Die ESTV hat vor einiger Zeit ihre Praxis im Zusammenhang mit Blockchain und Distributed Ledger-Technologie (DLT) ver-öffentlicht. Im Vergleich zu früheren Praxisentwürfen wurden dabei einige wichtige und richtige Änderungen vorgenommen. Leider bildet die dargestellte Praxis aber nicht vollständig alle zivilrechtlichen, ökonomischen, buchhalterischen und kybernetischen, selbstverwalteten Aspekte von dezentralen, öffentlichen Open-Source Blockchain-Systemen und darauf implementierten Token (auf der Blockchain dezentral gespei-cherte digitale Informations und Abrechnungseinheiten) ab. Diese müssten jedoch für die rechtliche und steuerliche Beurteilung von Transaktionen auf der Blockchain zwingend berücksichtigt werden. Die Mehrwertsteuerbarkeit einer Token-Transaktion hängt dabei unseres Erachtens stark davon ab, ob eine Synchronisation des Tokens mit relativen oder absoluten Rechten besteht oder nicht. Löst die Übertragung eines Tokens in einem kybernetischen System keine synchrone Übertragung eines unterliegenden Rechtsverhältnisses aus, so kann die Transaktion unseres Erachtens auch keine Leistung für die Mehrwertsteuer darstellen und müsste daher irrelevant sein. Von der reinen Token-Qualifikation abzugren-zen sind zudem Crowdfunding-Aktivitäten wie z.B. Initial Coin Offerings (ICOs), mit welchen sich Unternehmen Mittel (in gesetzlicher Währung oder in Token) für ein bestimmtes unternehmerisches oder Open-Source-Vorhaben beschaffen. Ein Crowdfunding besteht meist aus einem Strauss von vertraglichen oder faktischen Verpflichtungen, welche der Kapitalbeschaffer eingeht. Diese können mit der Funktion von in diesem Prozess geschaffenen Token zusammenhän-gen, aber auch unabhängig davon existieren. Erbringt der Kapitalbeschaffer z.B. zusätzlich eine Dienstleistung (z.B. langfristiger Fertigungsauftrag/Softwareentwicklung) oder eine Lieferung (z.B. Übertragung von Eigentum an einem phy-sischen Gegenstand), so kann es sich – unabhängig von der Token-Funktion – um einen mehrwertsteuerlich relevanten Vorgang handeln. Die publizierten Praxisanpassungen sind in diesen Bereichen aktuell noch systematisch unvollständig und weisen grössere Lücken auf. Eine Weiterentwicklung und Präzisierung drängt sich daher zwingend auf.

I. EinleitungDie korrekte mehrwertsteuerliche Einordnung von Blockchain-Transaktionen ist alles andere als einfach. Sowohl die Technologie als auch die Mehrwertsteuer werfen kom-plexere Fragen auf, als man auf den ersten Blick erwarten könnte. Um Klarheit bezüglich den Mehrwertsteuerfolgen zu schaffen, hat die Eidgenössische Steuerverwaltung (ESTV) deshalb am 17. Juni 2019 erstmals ihre Praxis im Zusammenhang mit Blockchain- und Distributed Ledger-Technologie (DLT) bekanntgegeben. Ergänzt wurde in diesem Rahmen insbesondere die MWST-Info (MI) 04 «Steuerobjekt» mit einer neuen Ziff. 2.7.3, die darüber Auskunft geben soll,

Fredrik DekkerMLaw, CAS in Swiss VAT,MME Zug

Disclaimer: dieser Artikel basiert u.a. auf verschiedenen Magazinbeiträgen auf den Seiten von MME, siehe online: https://www.mme.ch/de/magazin (letztmals geprüft am 21.05.2020), und einem Aufsatz von Thomas Linder/Christoph Rechtsteiner, ESTV-Praxis zu Token und Blockchain, EF 2019/12, S. 995 ff. Zitate wurden der Lesbarkeit halber nicht speziell hervorgehoben. Die Autoren bedanken sich zudem bei ihrem geschätzten Kollegen Roland Reding, Tax Partner bei MME in Zürich, für seine wertvollen Kommentare.

I. Einleitung ........................................................................... 455II. Praxispublikation der ESTV vom 17. Juni 2019 .......... 456A. Token-Systematik ....................................................................... 456B. Mehrwertsteuerfolgen ............................................................. 4561. Ausgabe im Rahmen eines ICO .............................................. 4562. Verwendung .................................................................................. 4573. Übertragung .................................................................................. 4574. Handel .............................................................................................. 4575. Mining/Staking ............................................................................. 457C. Steuerbemessung und Rechnungsstellung ...................... 457III. Kritische Würdigung der Praxisfestlegung............... 458A. Allgemeines ................................................................................... 458B. Token-Systematik ........................................................................ 458C. Qualifikation von ICOs ...............................................................459D. Mining/Staking ............................................................................. 460E. Rechnungsstellung...................................................................... 460IV. Schlussbemerkungen ....................................................460

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Token, die eine rechtliche oder faktische Verpflichtung zur Rückzahlung des ursprünglich einbezahlten Betrags beinhalten (d.h. finanzielle Ansprüche und Darlehen)[5]. Schliesslich fehlen aber auch Ausführungen zu «Native Token»[6], Eigentums-Token[7] und Token mit Gutschein- oder Anlagefonds-Charakter. Eine Übersicht dieser «blinden Flecken» ist in einer Abbildung weiter unten dargestellt.

B. Mehrwertsteuerfolgen1. Ausgabe im Rahmen eines ICOBei einem ICO, Token Generating Event (TGE), Initial Token Offering (ITO) oder Security Token Offering (STO) beschaffen sich Unternehmen Mittel (in gesetzlicher Währung oder Token) im Rahmen eines Crowdfundings für ein bestimm-tes unternehmerisches oder Open-Source-Vorhaben. Den Kapitalgebern werden dabei meist Blockchainbasierte Token, welche auf einer neu entwickelten Blockchain oder mittels eines digitalen, selbstausführenden Computerprogramms (sog. Smart Contract) auf einer bestehenden Blockchain gene-riert und dezentral gespeichert werden, zugeordnet. Dies kann Zug um Zug oder erst beim Start der neuen Blockchain (im sogenannten Genesis-Block) oder Applikation geschehen.

Sofern es sich nicht um Zahlungscoin/token gemäss Definition der ESTV handelt, erachtet diese die Hingabe finanzieller Mittel im Rahmen eines ICOs aufgrund der dabei eingegan-genen vertraglichen Verpflichtungen der Kapitalbeschaffer als Entgelt für eine Leistung. Es ergeben sich daher gemäss ESTV die nachfolgenden mehrwertsteuerrechtlichen Konsequenzen[8]:

◆ die Ausgabe von Zahlungscoins/token gegen Entgelt stellt einen mehrwertsteuerrechtlich nicht relevanten Austausch von Zahlungsmitteln dar;

◆ die Ausgabe von Nutzungscoins/token gegen Entgelt stellt dagegen eine Dienstleistung oder Lieferung dar und ist steuerbar, sofern keine Steuerausnahme zur Anwendung kommt[9];

◆ die Ausgabe von Anlagecoins/token gegen Entgelt ist schliesslich gemäss Art. 21 Abs. 2 Ziff. 19 Mehrwertsteuergesetz (MWSTG; SR 641.20) von der Steuer ausgenommen.

[5] Vgl. hingegen die Definition von «Fremdkapital-Token» gemäss Arbeitspa-pier der Hauptabteilung DVS; a.a.O.[6] Digitale Informations- und Abrechnungseinheiten innerhalb einer ent-sprechenden DLT-Infrastruktur ohne synchronisierten rechtlichen Inhalt; siehe dazu Kapitel III.A. f.[7] Token, welche dingliche und andere absolute Rechte widerspiegeln; siehe dazu Kapitel III.A. f.[8] MI 04, Ziff. 2.7.3.2.[9] Als Beispiel wird in der MI 04 ein Kryptocoin zur Nutzung eines dezentra-lisierten Datenspeichers aufgeführt, der anlässlich eines ICO gegen Entgelt ausgegeben wird und eine bestimmte Up- und Downloadkapazität repräsen-tiert. Der Kryptocoin wird bei der Datenübertragung nicht hingegeben/verbraucht, sondern beeinflusst die Geschwindigkeit bei der Speicherung von Daten. Die Einnahmen aus dem ICO stellen das Entgelt für die Effizienzsteige-rung der Datenübertragung dar und es handelt sich entsprechend um einen zu versteuernden Umsatz, sofern der Coin-Erwerber seinen Sitz/Wohnsitz im Inland hat.

welche «Leistungen im Zusammenhang mit Blockchain- und Distributed Ledger-Technologie» der Inlandsteuer unter-liegen. Zusätzlich wurde auch die Praxispublikation zur Steuerbemessung (MI 07) unter Ziff. 1.1.4 um ein Kapitel betreffend «Entgelt in Kryptocoins/token» erweitert, welches zusätzlich Ausführungen über die Bemessungsgrundlage für die Berechnung der Steuer enthält[1].

Bevor zu den offenen mehrwertsteuerlichen Fragen Stellung genommen wird, fassen wir die veröffentliche Praxis der ESTV nachfolgend zusammen.

II. Praxispublikation der ESTV vom 17. Juni 2019A. Token-SystematikDie verwendete Kategorisierung der Token orientiert sich grundsätzlich am Dreiklang Payment, Asset und Utility Token der FINMA-Wegleitung zu Initial Coin Offerings (ICOs)[2], sodass die ESTV in ihrer Praxispublikation die folgenden drei Haupttypen von Token unterscheidet[3]:

◆ Zahlungscoins/token (sog. Payment Coins/Token): Krypto-coins/token, die als reine Zahlungscoins/token ausgestaltet sind, dienen keinem anderen Zweck als dem der Verwendung als Zahlungsmittel für den Erwerb von Lieferungen und/oder Dienstleistungen bei einem oder mehreren Leistungserbringern. Zahlungs-Token berechti-gen daher nicht zum Bezug bestimmter beziehungsweise bestimmbarer Leistungen, sondern stellen lediglich das vereinbarte Zahlungsmittel dar;

◆ Nutzungscoins/token (sog. Utility Coins/Token): berechtigen Kryptocoins/token zum Bezug von bestimmten oder bestimmbaren Leistungen und/oder gewähren sie ein Zugangsrecht zu einer Plattform, einer Applikation oder Ähnlichem (Lizenz oder lizenzähnliches Recht), handelt es sich um Nutzungscoins/token;

◆ Anlagecoins/token (sog. Asset [Backed] Coins/Token): geben Kryptocoins/token bspw. Anspruch auf eine Beteiligung am Ertrag, Umsatz, Gewinn, auf einen bestimmten Teil des Ertrags oder Umsatzes, oder auf derivative Rechte oder Ähnliches, handelt es sich um sog. Anlagecoins/token. Diese Token basieren stets auf einem vertraglichen Rechtsverhältnis.

Zu beachten ist, dass die ESTV explizit Token ausschliesst, welche ein gesellschaftsrechtliches Beteiligungsverhältnis begründen[4]. Ebenso ausdrücklich ausgeklammert werden

[1] Anpassungen wurden ausserdem in der MI 06, Ziff. 1.10, MI 12, Ziff. 7.2 und MI 16, Ziff. 2.4.5 vorgenommen, wobei im Wesentlichen auf die MI 04 und MI 07 verwiesen wird.[2] Wegleitung der FINMA für Unterstellungsfragen betreffend Initial Coin Offerings (ICOs) vom 16. Februar 2018; siehe online: https://www.finma.ch/de/news/2018/02/20180216-mm-ico-wegleitung (letztmals geprüft am 10.07.2020).[3] MI 04, Ziff. 2.7.3.1.[4] Auch das Arbeitspapier der Hauptabteilung Direkte Bundessteuer, Verrechnungssteuer, Stempelabgaben DVS schliesst echte (digitale) gesell-schaftsrechtliche Beteiligungsrechte explizit aus; siehe online: https://www.estv.admin.ch/estv/de/home/direkte-bundessteuer/direkte-bundessteuer/fachinformationen/kryptowaehrungen.html (letztmals geprüft am 10.07.2020).

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nach Art. 21 Abs. 2 Ziff. 19 Bst. d MWSTG von der Steuer ausgenommen ist.

An- und Verkäufe von Nutzungscoins/token stellen steuerbare Leistungen dar, sofern der Ort der im Kryptocoin/token ent-haltenen Leistung im Inland liegt und keine Steuerausnahme zur Anwendung kommt[15].

Käufe und Verkäufe von Anlagecoins/token sind, gemäss der Regelung im Bereich der Wertpapiere, Wertrechte und Derivate, nach Art. 21 Abs. 2 Ziff. 19 MWSTG von der Steuer ausgenommen.

5. Mining/StakingMining[16] besteht in der Zurverfügungstellung bzw. im Einsatz von Rechenleistung zur Transaktionsverarbeitung in einer bestimmten, dezentralen Blockchain Infrastruktur, wodurch neue Einheiten eines Kryptocoins/tokens erzeugt werden. Der Miner erhält für das Errechnen eines pas-senden Wertes (Hashwert) eine Abgeltung in Form von Werteinheiten des entsprechenden Kryptocoins/tokens, dem sogenannten Block-Reward[17], sowie die mit der Speicherung und Validierung verbundenen Transaktionsgebühren[18].

Die ESTV knüpft unterschiedliche steuerliche Folgen an diese Qualifikation[19]. Während beim Block-Reward von einer nichtunternehmerischen Tätigkeit ohne Vorsteuerabzugsberechtigung ausgegangen wird, wird die Transaktionsgebühr als elektronische Dienstleistung angese-hen, welche – sofern im Inland erbracht – steuerbar wäre.

C. Steuerbemessung und RechnungsstellungDie Abrechnung der MWST mit der ESTV ist in Landeswährung vorzunehmen und Entgelte in ausländischer Währung müssen gemäss Art. 45 Abs. 1 MWSTV im Zeitpunkt der Entstehung der Steuerforderung in Schweizer Franken umgerechnet werden.

Eine Spezialität bei der Umrechnung von Entgelten in Kryptocoins/token besteht dahingehend, dass ein Ausweis des Entgelts einzelner Leistungen lediglich in Kryptocoins/token gemäss ESTV mehrwertsteuerrechtlich keine sepa-rate Fakturierung darstellt[20]. Der Leistungserbringer hat daher ein Entgelt in Kryptocoins/token im Zeitpunkt der

Gebühren sowie der aus dem Ankaufs- oder Verkaufskurs resultierende Spre-ad; vgl. dazu MWST-Branchen-Info 14, Ziff. 5.9.3.1.[15] MI 04, Ziff. 2.7.3.4.[16] Viele neuere Systeme verwenden staking (bei Tezos wird dies Baking genannt) anstelle von Mining. Dabei erfolgt die Auswahl, wessen Block als nächstes an die Blockchain angehängt wird, nicht in Abhängigkeit von der erbrachten Rechenleistung, sondern in Abhängigkeit von den zur Verfügung gestellten Token. An der Natur der erbrachten Leistung, nämlich dem Sichern der Funktionsfähigkeit des Systems, ändert sich aber wenig. Staking dürfte demnach steuerlich analog zum Mining zu behandeln sein.[17] Neue, durch das Netzwerk als Gegenleistung für die Validierung resp. Verifizierung automatisiert generierte Token.[18] Vom Auslöser einer bestimmten Transaktion für die Validierung resp. Verifizierung an das Netzwerk bezahlte Gebühr.[19] MI 04, Ziff. 2.7.3.5.[20] MI 07, Ziff. 1.1.4.

Verpflichtet sich ein Unternehmen hingegen dazu, mit den gesammelten finanziellen Mitteln beispielsweise eine Plattform oder eine Software zu entwickeln, qualifiziert die ESTV dies als auftragsrechtliche, steuerbare Leistung. Die Leistung liegt im Tätigwerden des Unternehmens, die Ortsbestimmung richtet sich nach Art. 8 Abs. 1 MWSTG (sogenanntes Empfängerortsprinzip). Ob das Unternehmen im Zeitpunkt der Mittelaufnahme die spätere Zuteilung von Token in Aussicht stellt, spielt keine Rolle.

2. VerwendungDie Verwendung eines Zahlungscoins/token für den Erwerb einer Leistung stellt die ESTV der Verwendung von gesetz-lichen Zahlungsmitteln gleich[10]. Die Hingabe eines Zahlungscoins/token als Entgelt für eine Leistung stellt somit keine zusätzliche Leistung dar, weshalb auch nicht von einem Tauschverhältnis oder tauschähnlichen Verhältnis gemäss Art. 24 Abs. 3 MWSTG auszugehen ist.

Hingegen soll die Verwendung bzw. der Einsatz eines Nutzungscoins/token im Zeitpunkt der Leistungserbringung (Realerfüllung) zu versteuern sein, sofern die Leistung nicht unter die Steuerausnahme fällt und nicht bereits bei der Ausgabe (z.B. aufgrund einer Vorauszahlung) versteuert wurde[11].

Unter der «Verwendung» eines Anlagecoins/token versteht die ESTV schliesslich Zahlungen an den Coin-/Token-Inhaber im Rahmen der schuldrechtlichen Forderung gegenüber dem Emittenten. Diese stellen beim Schuldner Aufwand und somit keinen Umsatz dar[12].

3. ÜbertragungAuch bezüglich der Übertragung von Kryptocoins/token gegen Entgelt oder andere Kryptocoins/token wird von der ESTV auf die Funktionalität der Kryptocoins/token abgestellt. Lediglich die Hingabe von Zahlungscoins/token für eine Leistung stellt demnach wiederum Entgelt (und keine zusätzliche Leistung) dar.

Werden hingegen Leistungen mit Anlage- oder Nutzungscoins/token entschädigt, liegt grundsätzlich ein Tauschverhältnis vor, bei dem der Marktwert jeder Leistung als Entgelt für die andere Leistung gilt (Art. 24 Abs. 3 MWSTG)[13]. Hier müssen die sich gegenüberstehenden Leistungen mehrwertsteu-errechtlich nach der Art der jeweiligen Leistung beurteilt werden.

4. HandelDer An- und Verkauf von Zahlungscoins/token ist wie ein Tausch von Zahlungsmitteln zu behandeln und somit mehr-wertsteuerlich nicht relevant, ausser es handelt sich um eine Geschäftstätigkeit analog dem Devisenhandel[14], welcher

[10] MI 04, Ziff. 2.7.3.3.[11] MI 04, Ziff. 2.7.3.3.[12] MI 04, Ziff. 2.7.3.3.[13] MI 04, Ziff. 2.7.3.4.[14] Entgelt und Umsatz sind in diesen Fällen die erhobenen Kommissionen,

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technischen Analyse erfolgen. Die resultatorientierte Klassifizierung der FINMA ist unseres Erachtens für eine zivil und steuerrechtliche Qualifikation von Blockchain-Infrastrukturen nicht zielführend. Dies, da der resultatorien-tierte Ansatz der FINMA keine Klassifizierung im Sinne einer Subsumption basierend auf generellabstrakten Grundsätzen zulässt und daher ebenfalls zu Rechtsunsicherheit führt.

Von uns wird demnach eine funktionale Unterscheidung in «Native Token» (digitale Informations- und Abrechnungseinheiten innerhalb einer entsprechenden DLT-Infrastruktur ohne synchronisierten rechtlichen Inhalt, d.h. ohne rechtliche Ansprüche abzubilden), Gegenpartei-Token (digitale Informations- und Abrechnungseinheiten welche mit schuldrechtlichen Ansprüchen synchronisiert sind) und Eigentums-Token (digitale Informations- und Abrechnungseinheiten, welche mit sachenrechtlichen Ansprüchen synchronisiert sind) vorgeschlagen[23], aus wel-cher man die mehrwertsteuerliche Qualifikation aufgrund der rechtlichen Attribute einfacher ableiten könnte. Die Einordnung in Zahlungs, Nutzungs und Anlagezweck kann dabei – wie in der Abbildung weiter unten dargestellt – eine praktisch hilfreiche Zusatzinformation darstellen, sollte jedoch nicht für die Grundeinteilung verwendet werden.

B. Token-SystematikDie an der FINMA-Wegleitung orientierten Token-Kategorien der ESTV sind dagegen sehr einengend definiert, lassen die Frage der zivilrechtlichen Synchronisation grösstenteils ausser Acht und weisen grössere Lücken auf.

So darf der Zahlungs-Token gemäss ESTV nur als Tauschmittel, d.h. als digitale Währung verwendet werden (d.h. «dient keinem anderen Zweck als dem der Verwendung als Zahlungsmittel»). Diese Einzelfunktionalität des mehrwert-steuerlichen Zahlungs-Tokens könnte aber nur in einem in sich geschlossenen Zahlungssystem sichergestellt werden, in dem – ähnlich zu Pre-Paid Karten – ein anderweitiger Verwendungszweck vertraglich ausgeschlossen werden kann.

Dabei wird aber ausser Acht gelassen, dass gerade bei offe-nen, dezentral betriebenen Protokollen und Applikationen die entsprechenden «Native Token» (z.B. BTC, ETH, XTZ, ADA) digitale Informations- und Abrechnungseinheiten ohne synchronisierten rechtlichen Inhalt darstellen. Mit anderen Worten: Ein Bitcoin (BTC) repräsentiert als Beispiel und vereinfacht ausgedrückt lediglich eine «Zahl» (resp. einen Betrag), welche auf der Bitcoin-Blockchain gespeichert ist, einem bestimmten Nutzer zugeordnet werden kann und von diesem durch ein vordefiniertes Verfahren auf einen anderen Nutzer übertragen werden kann. Die Bitcoin-Blockchain selbst definiert dabei aber keinen Verwendungszweck die-ser «Zahl», sondern bucht lediglich Transaktionen nach den

[23] Vgl. dazu u.a. Andreas Furrer/Andreas Glarner/Thomas Linder/Luka Müller, Die Rechtswirkung algorithmisch abgewickelter DLT-Transaktio-nen, Jusletter vom 26. November 2018; MME, Framework for Legal and Risk Assessment of Crypto Tokens, Block 2, Mai 2018 (MME Framework).

Vereinnahmung des Entgelts bzw. der Rechnungsstellung zum Tageskurs in eine gesetzliche (in- oder ausländische) Währung umzurechnen und das Entgelt für die separat ausgewiesenen Leistungen und den nach Steuersätzen auf-geteilten Mehrwertsteuerbetrag auf der Rechnung in einer gesetzlichen Währung auszuweisen.

Die Umrechnung kann dabei anhand geeigneter Umrechnungsportale erfolgen, wobei die gewählte Umrechnungsquelle stetig beizubehalten ist. Für bestimmte Kryptocoins/token kann gemäss Praxismitteilung auch auf die von der ESTV publizierten Tageskurse zurückgegriffen werden[21].

III. Kritische Würdigung der PraxisfestlegungA. AllgemeinesIm Vergleich zu früheren Praxisentwürfen wurden im Rahmen der Praxisanpassungen vom 17. Juni 2019 zu Leistungen im Zusammenhang mit Blockchain und Distributed Ledger-Technologie einige wichtige und richtige Änderungen vorgenommen. Leider bildet die dargestellte Praxis aber nicht vollständig alle zivilrechtlichen, ökonomischen, buch-halterischen und kybernetischen, selbstverwalteten Aspekte von dezentralen, öffentlichen Open-Source Blockchain-Systemen und der darauf implementierten Token (auf der Blockchain dezentral gespeicherte digitale Informations- und Abrechnungseinheiten) ab.

Diese müssten jedoch für die rechtliche und steuerliche Beurteilung von Transaktionen auf der Blockchain zwingend berücksichtigt werden. Die Mehrwertsteuerbarkeit einer Token-Transaktion hängt dabei unseres Erachtens stark davon ab, ob eine Synchronisation des Tokens mit relativen oder absoluten Rechten besteht oder nicht. Löst die Übertragung eines Tokens in einem kybernetischen System keine synchro-ne Übertragung eines unterliegenden Rechtsverhältnisses aus, so kann die Transaktion unseres Erachtens auch keine Leistung für die Mehrwertsteuer darstellen und müsste daher irrelevant sein.

Die in der Praxismitteilung verwendete Kategorisierung der Token orientiert sich grundsätzlich an der FINMA-Wegleitung zu ICOs[22]. Dabei ist aber zu beachten, dass die FINMA eine rein zweckorientierte, regulatorische Einordnung verwendet: Payment Token unterliegen als Zahlungsmittel dem Geldwäschereigesetz, Asset Token können als Anlageinstrumente unter bestimmten Voraussetzungen Effekten sein und Utility Token sind grundsätzlich unreguliert.

Eine (mehrwert-)steuerrechtliche Kategorisierung von Token sollte jedoch basierend auf objektiven Unterscheidungs riterien bzw. auf einer grundsätzlichen rechtlichen und

[21] Kurslisten der ESTV, siehe online: https://www.ictax.admin.ch/extern/de.html#/ratelist (letztmals geprüft am 10.07.2020).[22] Wegleitung der FINMA für Unterstellungsfragen betreffend Initial Coin Offerings (ICOs) vom 16. Februar 2018; siehe online: https://www.finma.ch/de/news/2018/02/20180216-mm-ico-wegleitung/ (letztmals geprüft am 10.07.2020).

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459 luglio 2020

IVA e imposte indirette

Schliesslich bleibt auch eine Kategorie, welche dingliche Rechte bzw. sachenrechtliche Ansprüche widerspiegeln wür-de (sog. Eigentums-Token), gänzlich unbeachtet[28].

Die vereinfachte Einordnung wurde von der ESTV aber bewusst sehr zweckorientiert gewählt: Zahlungs-Token sollen gleich behandelt werden wie Zahlungsmittel (d.h. es erfolgt keine zusätzliche Leistung), Nutzungs-Token stellen dagegen grundsätzlich steuerbare Leistungen dar und Anlage-Token sind schliesslich nach Art. 21 Abs. 2 Ziff. 19 MWSTG von der Steuer ausgenommen. Es fehlen aber wie besprochen Ausführungen zu «Native Token», Eigentums-Token und Token mit Gutschein, Eigenkapital, Fremdkapital oder Anlagefonds-Charakter. Zudem sind Mischformen ungenügend abgedeckt. Somit ist aus unserer Sicht die Kategorisierung gemäss ESTV zu pauschal und es bestehen einige «blinde Flecken». Eine Erfassung aller Arten von Token wäre systematisch wün-schenswert. Eine entsprechende Matrix kann der folgenden Abbildung entnommen werden.

C. Qualifikation von ICOsDie ICOs benötigen eine Detailanalyse und dürfen nicht unbesehen mit dem Verkauf von Kryptocoins/token gleich-gesetzt werden. Hilfreich kann für die (mehrwertsteuer-liche) Qualifikation auch die buchhalterische Erfassung gemäss dem Q&A der Kommission für Rechnungslegung von ExpertSuisse[29] sein, welche die entsprechenden Fallbeispiele zusammen mit der Tax & Accounting Working Group der Crypto Valley Association (Zug) erarbeitet hatte (inkl. fortlaufenden Ergänzungen). Im Allgemeinen sollten dabei unseres Erachtens die gleichen Regeln wie beim Crowdfunding Anwendung finden:

[28] In einer Ergänzung der Wegleitung für Unterstellungsanfragen betref-fend Initial Coin Offerings (ICOs) vom 11. September 2019 zu den sog. Stable Coins hat die FINMA nun ebenfalls betont, dass zusätzlich zur (wirt-schaftlichen) Funktion eine Unterscheidung zwischen schuldrechtlichen und sachenrechtlichen Ansprüchen (d.h. zwischen relativen und absoluten Rechten) notwendig ist, um die entsprechenden regulatorischen Folgen logisch herleiten zu können; siehe online: https://www.finma.ch/de/news/2019/09/20190911-mm-stable-coins (10.07.2020).[29] Siehe online: https://cryptovalley.swiss/wp-content/uploads/QA_Posi tion-Behandlung-Bitcoin-und-ICO-Rechnungslegungnach-OR-04-2019_final.pdf (10.07.2020).

algorithmisch festgehaltenen Regeln. So kann ein BTC zwar faktisch als Zahlungsmittel zwischen zwei Nutzern einge-setzt werden, eine solche Vereinbarung kommt jedoch immer nur ausserhalb der Blockchain – «peer-to-peer» – zu Stande.

Damit würde ein BTC aber gerade nicht als Zahlungs-Token gemäss Definition der ESTV qualifizieren, da er per se nicht zwingend nur als Zahlungs oder Tauschmittel eingesetzt wer-den kann. Diesem Umstand besser gerecht würde bspw. eine Definition analog zu «Native Token» gemäss Arbeitspapier der Hauptabteilung DVS, worunter digitale Werteinheiten[24] verstanden werden, die in Abhängigkeit ihrer Verbreitung und Infrastruktur zum Einsatz als Zahlungsmittel geeignet sind[25]. Faktische Einsatzmöglichkeiten (z.B. Nutzung eines dezentralen Netzwerks oder von Smart Contracts, welche ohne die entsprechenden digitalen Informations- und Abrechnungseinheiten gar nicht genutzt werden können) ohne durchsetzbare Rechtsposition sind dabei aber nicht schädlich. Eine entsprechende Kategorie sollte daher auch in der Mehrwertsteuerpraxis der ESTV geschaffen wer-den. Da die Übertragung eines «Native Token» in einem kybernetischen System keine synchrone Übertragung eines unterliegenden Rechtsverhältnisses auslöst, kann eine solche Transaktion auch keine Leistung für die Mehrwertsteuer darstellen und müsste daher irrelevant sein.

Bei Nutzungs-Token ist zu beachten, dass die pauschale Erfassung aller möglichen Nutzungsfunktionalitäten in einer einzigen steuerbaren Kategorie zu kurz greift. Eine bessere Abgrenzung zu anderen Token-Arten wäre wünschenswert. Des Weiteren ist auch ein steuerbarer Vorauszahlungscharakter z.B. für eine Dienstleistung nur dann gegeben, wenn sowohl die Leistung selbst, der Leistungsempfänger und somit auch der Ort der Leistung bestimmbar sind. Dies ist jedoch bei «Native Token» (keine Leistung) wie auch bei Token mit Gutscheinfunktion (Leistung erst bei Einlösung bzw. Realerfüllung) nicht der Fall. «Native Token» und Gutscheine können daher nicht unbesehen unter Nutzungs-Token gemäss Definition der ESTV[26] subsumiert werden und müssten somit zwingend separat dargestellt werden.

Bei den Anlage-Token fehlt sodann die wichtigste Kategorie von Anlageinstrumenten: Token, welche gesellschaftsrecht-liche Beteiligungsverhältnisse widerspiegeln (d.h. Anteile am Nominalkapital wie Aktien oder Partizipationsscheine). Die ESTV schliesst zudem auch Token aus, die eine rechtliche oder faktische Verpflichtung zur Rückzahlung des ursprünglich einbezahlten Betrags beinhalten (d.h. finanzielle Ansprüche und Darlehen)[27].

[24] Die Hauptabteilung DVS verwendet im Arbeitspapier den Begriff «Wert-rechte». Es ist aber zu beachten, dass Native Token aus zivilrechtlicher Sicht eben gerade keine Wertrechte nach Art. 973c Obligationsrecht (OR; SR 220) darstellen.[25] Arbeitspapier der Hauptabteilung DVS; a.a.O.[26] MI 04, Ziff. 2.7.3.1.[27] Vgl. hingegen die Definition von «Fremdkapital-Token» gemäss Arbeitspapier der Hauptabteilung DVS; a.a.O.

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460 luglio 2020

IVA e imposte indirette

E. RechnungsstellungMit der Anweisung, dass ein Ausweis des Entgelts einzelner Leistungen lediglich in Token mehrwertsteuerrechtlich keine separate Fakturierung darstelle, verbietet die ESTV den Steuerpflichtigen faktisch eine Rechnungsstellung in Token. Ein solches «Verbot» widerspricht aber unseres Erachtens gänz-lich der Qualifikation der Zahlungs-Token als Zahlungsmittel. Sollte einem solchen Token eine Zahlungsfunktion zukommen, muss auch eine entsprechende Rechnungsstellung möglich sein. Alles andere erscheint praxisfremd. Zudem ist z.B. BTC in mehreren Ländern bereits der gesetzlichen Landeswährung gleichgestellt, sodass ein Ausweis des Entgelts lediglich in BTC entsprechend zulässig sein müsste. Eine Gleichstellung mit ausländischen Währungen drängt sich daher auf.

IV. SchlussbemerkungenEs ist zu begrüssen, dass die ESTV ihre Gedanken bezüglich digitaler Vermögenswerte in dieser Form zusammengefasst hat. Dabei wurde versucht, das Thema möglichst systematisch darzustellen. Die Verwaltung weist aber zu Recht darauf hin, dass dies eine Momentaufnahme ist, basierend auf den der ESTV bisher unterbreiteten Sachverhalten und Transaktionen. So weisen die Praxismitteilungen grössere Lücken auf, gehen von sehr spezifischen Sachverhaltsmerkmalen aus und hin-terlassen einige Fragezeichen. Eine Weiterentwicklung und Präzisierung drängt sich daher zwingend auf.

◆ ein ICO kann nur dann steuerbar sein, wenn die Zahlung einen konkreten Anspruch gegenüber dem Emittenten auf das Erbringen einer bestimmbaren Leistung (z.B. langfris-tiger Fertigungsauftrag/Softwareentwicklung) oder einer bestimmbaren Lieferung (z.B. Eigentum an einem physischen Gegenstand) begründet und keine Steuerausnahme vorliegt. Bei späterer Leistungserbringung ist sodann ein (steuerbarer) Vorauszahlungscharakter gegeben, wenn sowohl die Leistung selbst, der Leistungsempfänger und somit auch der Ort der Leistung bereits bei Vereinnahmung des Entgelts bestimmbar sind. Wichtig ist in diesem Zusammenhang auch, ob individuelle Ansprüche auf einzelne Leistungen bestehen oder ob nur eine Leistung zugunsten einer Personengesamtheit erfolgt. Liegt der Ort der Leistung schliesslich im Ausland, ist keine Schweizer Mehrwertsteuer geschuldet;

◆ werden dagegen Token mit Gutscheinfunktion aus-gegeben, welche mit einem relativen Recht auf eine Verwendung als Zahlungsmittel oder auf spezifische Dienstleistungen oder Produkte synchronisiert sind, ist die bestehende MWST-Praxis zu Gutscheinen analog anzu-wenden. Eine allfällige Steuerpflicht ergibt sich demnach meist erst bei der Einlösung bzw. Realerfüllung, aber nicht bei der Ausgabe;

◆ die Begründung von Forderungen, Anleihen, Derivaten oder Beteiligungen, Zuteilungen von «Native Token» im Genesis-Block, Einlagen in Unternehmen (insbe-sondere zinslose Darlehen, Sanierungsleistungen oder Forderungsverzichte), Subventionen oder Spenden stellen dagegen grundsätzlich keine Leistungen im Sinne der Mehrwertsteuer und somit auch keine steuerbaren Umsätze dar;

◆ der geschäftsmässige Handel von Zahlungsmitteln, «Native Token», Forderungen, Anleihen, Derivaten oder Beteiligungen ist schliesslich als ausgenomme-ner Umsatz ohne Vorsteuerabzugsberechtigung und ohne Optionsmöglichkeiten im Bereich des Geld- und Kapitalverkehrs zu qualifizieren.

D. Mining/StakingDie ESTV unterscheidet zwar zwischen Block-Reward und Transaktionsgebühr, der dezentrale und pseudonyme Charakter von Blockchain-Protokollen bleibt aber auch bei diesem Thema unseres Erachtens nur ungenügend berück-sichtigt. Wir unterstützen daher den alternativen Vorschlag der Bitcoin Association,[30] dezentrale Netzwerke für die Zwecke der Mehrwertsteuer als eigene Subjekte (d.h. Personengesamtheiten) zu betrachten. Dann würde der Miner zum Leistungserbringer an das dezentrale System, und dieses zum Leistungserbringer an den Nutzer. Stipuliert man weiter, dass das dezentrale System aufgrund seiner internationalen Verteilung ein ausländisches Subjekt darstellt, böte sich eine einfache Lösung an: Die von Schweizer Minern erbrachten Leistungen würden wie Exporte behandelt, die Vorsteuern wären abziehbar.

[30] Bitcoin Association Switzerland, Stellungnahme zum “Entwurf Praxisan-passungen, Thema: Kryptowährungen” vom 16. September 2018, Ziff. 2.4.

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461 luglio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

Samuele VorpeResponsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI

L’interpretazione dell’art. 3 cpv. 1 OPP 3 non permette di concludere che tutte le pre-stazioni del 3° pilastro A versate dopo l’età di pensionamento devono essere imposte congiuntamente, al momento della cessazione dell’attività lucrativa o cinque anni dopo l’età ordinaria della rendita AVS

Quando scadono le prestazioni in capitale pro-venienti dalla previdenza individuale vincolata?

Sentenza n. FI.2018.0086 del 17 luglio 2019 del Tribunale cantonale del Canton Vaud (cresciuta in giudicato).Annullamento della decisione dell’Amministrazione cantonale delle imposte, la quale ha erroneamente ritenuto che le pre-stazioni del 3° pilastro A provenienti da conti separati versate in modo scaglionato dopo l’età di pensionamento in caso di prosecuzione dell’attività lucrativa debbano essere imposte congiuntamente. Le prestazioni del 3° pilastro A scadono, in un simile caso, al momento del loro versamento dato che, ai fini dell’imposizione, ogni convenzione di previdenza vincolata viene di principio trattata separatamente. Non vi è motivo di trattare differentemente la situazione di un contribuente indipendente non affiliato al 2° pilastro rispetto a quella di un contribuente che esercita un’attività lucrativa dipendente.(Traduzione a cura di Fernando Ghiringhelli)

I. La fattispecie oggetto di imposizioneA. A. dispone di tre conti del 3° pilastro AA. e B. sono sposati e vivono in comunione domestica. A., nato nel 1947, ha proseguito la propria attività lucrativa indipen-dente anche dopo aver raggiunto l’età di pensionamento. Nel corso della sua attività professionale indipendente, A. ha costi-tuito la propria previdenza vincolata (3° pilastro A) presso due istituzioni differenti: la Fondazione di previdenza e risparmio 3 della BCV, presso la quale ha aperto due conti a proprio nome, e la Fondazione di previdenza Fisca dell’UBS AG.

Dalle due istituzioni A. ha percepito le seguenti prestazioni in capitale:

◆ fr. 173’145,60 dalla Fondazione Fisca il 15 ottobre 2015; ◆ fr. 157’906,65 dal primo conto della Fondazione della BCV

il 19 ottobre 2016; ◆ fr. 323’584,65 dal secondo conto della Fondazione della

BCV il 22 maggio 2017.

B. Secondo l’Ufficio delle imposte le prestazioni del 3° pilastro A vanno imposte congiuntamente e non in modo scaglionatoIl 16 novembre 2016 l’Ufficio delle imposte dei distretti di Riviera e Lavaux (di seguito “Ufficio delle imposte”) ha tassato congiuntamente per l’anno fiscale 2016 i due versamenti percepiti da A. nel 2015 e nel 2016, determinando una pre-stazione imponibile di fr. 331’000 con un’imposta cantonale e comunale di fr. 26’063,15 ed un’imposta federale diretta di fr. 5’918,40. L’Ufficio delle imposte ha considerato che le pre-stazioni del 3° pilastro A versate dopo l’età di pensionamento non potevano venire scaglionate su diversi periodi fiscali.

I. La fattispecie oggetto di imposizione ..........................461A. A. dispone di tre conti del 3° pilastro A .............................. 461B. Secondo l’Ufficio delle imposte le prestazioni del 3° pilastro A vanno imposte congiuntamente e non in modo scaglionato ............................................................................. 461C. Anche per l’Amministrazione cantonale delle imposte la tassazione deve essere congiunta, indipendentemente da quando vengono effettuati i versamenti del 3° pilastro A .............................................................................................. 462D. A. non è d’accordo con il cumulo e vuole che i versamenti siano tassati separatamente ............................... 462II. Il ricorso al Tribunale cantonale vodese .....................462A. L’imposizione delle prestazioni in capitale del 3° pilastro A .............................................................................................. 462B. La scadenza delle prestazioni in capitale del 3° pilastro A .............................................................................................. 462C. Le diverse vedute dell’autorità fiscale e del ricorrente .... 462D. L’interpretazione dell’art. 3 cpv. 1 OPP 3 da parte dell’autorità giudiziaria cantonale ............................................. 462E. Secondo l’autorità fiscale trova applicazione il principio della parità di trattamento ........................................ 464

F. I giudici consentono invece la disparità di trattamento fondata su motivi oggettivi ............................... 464G. L’unica eccezione sarebbe quella dell’elusione fiscale, però… ...................................................................................... 465III. La decisione del Tribunale cantonale vodese ...........465

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462 luglio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

vincolata, comprese le liquidazioni in capitale e il rimborso dei versamenti, premi e contributi. Sono segnatamente conside-rati proventi della previdenza professionale le prestazioni delle casse previdenziali, delle assicurazioni di risparmio e di gruppo come anche le polizze di libero passaggio (art. 22 cpv. 2 LIFD).

L’art. 38 LIFD (ed ugualmente l’art. 49 LI-VD), che tratta in modo specifico le prestazioni in capitale provenienti dalla previdenza, precisa che le prestazioni in capitale secondo l’art. 22, come anche le somme versate in seguito a decesso, lesione corporale permanente o pregiudizio durevole della salute, sono imposte separatamente. Esse soggiacciono in tutti i casi ad un’imposta annua intera (cpv. 1). Essa è fissata per l’anno fiscale durante il quale sono stati conseguiti i pro-venti corrispondenti (cpv. 1bis, in vigore dal 1° gennaio 2014; cfr. ugualmente l’art. 83 LI-VD). L’imposta è calcolata su un quinto della tariffa di cui all’art. 36 cpvv. 1, 2 e 2bis primo periodo (cpv. 2). Le deduzioni sociali non sono ammesse (cpv. 3).

B. La scadenza delle prestazioni in capitale del 3° pilastro ADalle suddette disposizioni risulta che il trattamento fiscale delle prestazioni del 3° pilastro A segue quello delle altre prestazioni in capitale provenienti dalla previdenza. I proventi così acquisiti sono imposti alla loro scadenza in modo sepa-rato e ad un tasso ridotto[1]. Resta da determinare quale sia la scadenza delle prestazioni versate a titolo di previdenza indi-viduale vincolata. Essa è chiaramente determinata dall’art. 3 cpv. 1 dell’Ordinanza federale sulla legittimazione alle dedu-zioni fiscali per i contributi a forme di previdenza riconosciute (OPP 3; RS 831.461.3), così formulato: “[l]e prestazioni di vec-chiaia possono essere versate al più presto cinque anni prima dell’età ordinaria della rendita AVS (art. 21 cpv. 1 della LF del 20 dicembre 1946 sull’assicurazione per la vecchiaia e per i superstiti; LAVS). Esse diventano esigibili al raggiungimento dell’età ordinaria della rendita AVS. Se l’intestatario della previdenza dimostra che continua a esercitare un’attività lucrativa, la riscossione delle prestazioni può essere rinviata al massimo di cinque anni a partire dal raggiungi-mento dell’età ordinaria della rendita AVS”.

C. Le diverse vedute dell’autorità fiscale e del ricorrenteL’autorità inferiore sostiene che l’interpretazione dell’art. 3 cpv. 1 OPP 3 ha per effetto quello di riportare la scadenza delle prestazioni della previdenza versate dopo l’età di 64/65 anni nel quadro del 3° pilastro A al momento della cessazione dell’attività lucrativa, rispettivamente a 69/70 anni in caso di prosecuzione dell’attività lucrativa dopo tale età. Il ricorrente sostiene per contro che l’acquisizione dei versamenti in con-tanti ne provoca la scadenza.

D. L’interpretazione dell’art. 3 cpv. 1 OPP 3 da parte dell’au-torità giudiziaria cantonaleLa legge va interpretata, in primo luogo secondo il tenore della sua lettera (interpretazione letterale). Se il testo non è assolutamente chiaro e diverse interpretazioni sono possibili, il giudice ricercherà la vera portata della norma riferendosi,

[1] Fabien Liegeois, La disponibilité du revenu, Ginevra/Zurigo/Basilea 2018, n. 1456, p. 453.

A. ha presentato reclamo contro la suddetta decisione di tassazione, argomentando che l’autorità fiscale si era rifiutata a torto di imporre separatamente i diversi versamenti prove-nienti dal 3° pilastro A.

Dato che A. ha dichiarato di mantenere il reclamo, esso è stato trasmesso per competenza all’Amministrazione can-tonale delle imposte (ACI). Visto che A. aveva dichiarato di dovere ancora ricevere un’ulteriore prestazione in capitale dal 3° pilastro A, la procedura di reclamo è stata sospesa in attesa di tale versamento.

Il 28 luglio 2017, l’Ufficio delle imposte ha tassato congiunta-mente per l’anno fiscale 2017 i tre versamenti percepiti da A nel 2015, 2016 e 2017, determinando una prestazione impo-nibile di fr. 654’600 con un’imposta cantonale e comunale di fr. 61’606,75 ed un’imposta federale diretta di fr. 14’332.

C. Anche per l’Amministrazione cantonale delle imposte la tassazione deve essere congiunta, indipendentemente da quando vengono effettuati i versamenti del 3° pilastro AIl 21 agosto 2017, A. ha presentato reclamo contro la sud-detta decisione di tassazione all’Amministrazione cantonale delle imposte (autorità di reclamo nel cantone di Vaud) , con-testando la possibilità, per l’Ufficio delle imposte, di cumulare i versamenti del 3° pilastro A, percepiti in anni diversi dopo l’età di pensionamento. Il 12 settembre 2017, l’Ufficio delle imposte ha dichiarato di confermare la propria decisione del 28 luglio 2017. Dato che A. ha dichiarato di mantenere il reclamo, esso è stato trasmesso per competenza all’ACI.

Il 21 marzo 2018, l’ACI ha respinto il reclamo del 21 agosto 2017, confermando integralmente la decisione resa dall’Uffi-cio delle imposte il 28 luglio 2017.

D. A. non è d’accordo con il cumulo e vuole che i versamenti siano tassati separatamenteContro la suddetta decisione, A. ha interposto ricorso il 19 aprile 2018 presso la Corte di diritto amministrativo e pubblico (CDAP) del Tribunale cantonale postulandone l’annullamento. Egli sostiene che le prestazioni in capitale versate nel 2015, 2016 e 2017 non devono essere cumulate, ma devono essere imposte separatamente.

II. Il ricorso al Tribunale cantonale vodeseA. L’imposizione delle prestazioni in capitale del 3° pilastro ALa contestazione verte sulla questione a sapere quale sia la scadenza delle prestazioni in capitale provenienti dalla previ-denza individuale vincolata.

Prodromicamente, il Tribunale rileva che il trattamento fiscale da riservare alle prestazioni in capitale provenienti dalla pre-videnza individuale vincolata è regolato in modo identico nel diritto federale e in quello cantonale.

Secondo l’art. 22 cpv. 1 LIFD (ed ugualmente l’art. 26 LI-VD), sono imponibili tutti i proventi dall’assicurazione vecchiaia, superstiti e invalidità, nonché da istituzioni di previdenza pro-fessionale o da forme riconosciute di previdenza individuale

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Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

versamento dell’avere di previdenza presso un’istituzione non provoca di principio la scadenza dei contratti o delle conven-zioni stipulati con altre istituzioni[7].

L’istanza inferiore ammette inoltre uno scaglionamento dei prelievi nell’ambito del 3° pilastro prima del raggiungimento dell’età di pensionamento. Non vi è alcuna ragione oggettiva che possa giustificare di distinguere fra la soluzione valevole prima del raggiungimento dell’età di pensionamento e quella dopo di esso quando l’attività lucrativa viene mantenuta. Nessuna disposizione legale permette in effetti di ritenere che il Legislatore abbia voluto adottare una visione consolidata dell’insieme dei conti del 3° pilastro A valida sia prima che dopo il raggiungimento dell’età legale di pensionamento[8].

L’art. 33b della Legge federale sulla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità (LPP; 831.40) – la quale dispone che l’istituto di previdenza può prevedere, nel suo regolamento, la possibilità per l’assicurato di chiedere che la sua previdenza sia protratta fino alla conclusione dell’atti-vità lucrativa, ma al massimo fino al compimento dei 70 anni – non ha in particolare tale portata, contrariamente a quanto sostenuto dall’autorità inferiore.

Ci si può inoltre riferire, a titolo comparativo, all’art. 12 dell’Ordinanza federale sul libero passaggio nella previ-denza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità (Ordinanza sul libero passaggio (OLP; RS 831.425). Secondo tale disposizione, la prestazione d’uscita può essere trasferita dall’istituto di previdenza finora competente al massimo a due istituti di libero passaggio (cpv. 1). Secondo la giurispru-denza del Tribunale federale[9], delle considerazioni fiscali hanno giocato un ruolo importante nell’adozione della limi-tazione prevista dall’art. 12 OLP. In effetti, con la suddivisione del proprio avere previdenziale attraverso la moltiplicazione dei conti di libero passaggio, la persona assicurata aumenta il “rischio di fuga davanti all’imposta”. L’OPP 3 non contiene però un’analoga disposizione che limiti il numero ammissibile di contratti di previdenza.

La Circolare n. 18 dell’AFC del 17 luglio 2008 prevede d’altronde espressamente che un assicurato possa concludere una plu-ralità di contratti di previdenza vincolata con più fondazioni

[7] Gladys Laffely Maillard, Principes généraux de la prévoyance profes-sionnelle et de la prévoyance individuelle liée, in: Daniel de Vries Reilingh (a cura di), Droit fiscal et assurances sociales, Zurigo 2016, p. 35; Conférence suisse des impôts, Prévoyance et impôt, exemple B.3.1.2, p. 3; Gladys Laffely Mail-lard, in: Yves Noël/FLorence Aubry Girardin, Commentaire romand, Impôt fédéral direct, IIa ed.Basilea 2017, N 23 ad art. 22 LIFD; Hans Ulrich Meuter/Felix Richner/Walter Frei/Stefan Kaufmann, Handkommentar zum DBG, IIIa ed., 2016, N 48 ad art. 22 LIFD, con rinvio ad una decisione della Commissione di ricorso di Basilea-Città del 30 marzo 1995 trattandosi del diritto cantonale; Peter Locher, Kommentar zum DBG, I. Teil, Therwil 2001, N 46 ad art. 22 LIFD, dove questo autore sostiene, riferendosi alla suddetta decisione basilese, che la regola delle scadenze indipendenti vale nella misura in cui l’assicurato abbia concluso dei contratti con delle differenti istituzioni di previdenza.[8] Cfr. pure la Sentenza del Tribunale cantonale vodese n. FI.2018.0049 del 3 aprile 2019 consid. 3c.[9] Sentenza TF n. 9C_479/2009 del 29 marzo 2010 consid. 6 con il rinvio alla DTF 129 V 245 consid. 5.3.

in particolare, alla volontà del legislatore così come traspare dai lavori preparatori (interpretazione storica), dallo scopo della norma, dal suo spirito, dai valori sui quali si basa nonché dall’interesse giuridico protetto (interpretazione teleologica) o ancora della sua relazione con altre disposizioni di legge (interpretazione sistematica). Quando è chiamato ad inter-pretare una legge, il Tribunale federale adotta una posizione pragmatica, seguendo le diverse interpretazioni senza sotto-metterle ad un ordine di priorità (cd. Methodenpluralismus)[2].

Sia l’autorità inferiore sia il ricorrente concordano nel dire che l’art. 3 cpv. 1 OPP 3, come pure le corrispondenti disposizioni delle altre legislazioni che regolano la previdenza professio-nale, mirano a mantenere nel mercato del lavoro le persone che hanno raggiunto l’età di pensionamento. L’art. 3 cpv. 1 OPP 3 conferisce ai lavoratori che rimangono attivi dopo l’età di pensionamento una facoltà, che questi sono liberi di esercitare nel rispetto delle condizioni poste dall’istituto di previdenza. La legge non regola espressamente l’ipotesi di un prelievo scaglionato delle prestazioni di vecchiaia.

Nella pratica relativa al 2° pilastro è comunque stato ammesso che un pensionamento parziale possa condurre, a determinate condizioni, a dei prelievi scaglionati (riduzione determinante e durevole del grado di attività con relativa diminuzione del salario; prelievo delle prestazioni di vecchiaia in proporzione al tasso di occupazione; modalità del pensionamento parziale e delle sue condizioni ancorate in un regolamento)[3]. Un pen-sionamento parziale che conduce unicamente ad un prelievo scaglionato delle prestazioni in capitale è considerato abusivo sul piano fiscale, mentre due prelievi sotto forma di capitale vengono ammessi[4].

Queste considerazioni, sviluppate nell’ambito della previdenza professionale del 2° pilastro, valgono anche nell’ambito della previdenza individuale vincolata. Nella misura in cui tanto il 2° pilastro quanto il 3° pilastro A servono, nella forma collettiva o a titolo individuale, alla previdenza professionale, conviene infatti attribuire identica accezione alle nozioni di base utiliz-zate nei due regimi[5].

Il 3° pilastro vincolato si distingue tuttavia dal 2° pilastro per il fatto che nel primo è ammessa una pluralità di conti o di polizze di previdenza[6].

Prima dell’età di pensionamento, ogni contratto o con-venzione di previdenza vincolata viene di principio trattato separatamente dal punto di vista dell’imposizione, fatta salva un’eventuale elusione fiscale. Quando i contratti o le conven-zioni sono stati conclusi con diverse istituzioni, la richiesta di

[2] DTF 143 II 202 consid. 8.4; DTF 143 I 109 consid. 6.[3] Cfr. Bertrand Tille, LPP 2e pilier et 3e pilier b – actualités, in: Daniel de Vries Reilingh (a cura di), Droit fiscal et assurances sociales, Zurigo 2016, p. 71 ss.[4] Tille (nota 3), p. 71 ss.[5] Sentenza TF n. 9C_218/2015 del 15 ottobre 2015 consid. 6.2.[6] Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), Circolare n. 18, del 17 luglio 2008, Trattamento fiscale dei contributi e delle prestazioni di previdenza del pilastro 3a, p. 4, cifra. 5.2.

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464 luglio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

contribuenti salariati, che sono limitati alla “piccola deduzione” del 3° pilastro A sulla base dell’art. 7 cpv. 1 lett. a OPP 3.

In materia fiscale, il principio della parità di trattamento viene concretizzato dal principio della generalità e dell’uniformità dell’imposizione, come pure dal principio della proporzionalità dell’onere fiscale basato sulla capacità economica. Il princi-pio della generalità dell’imposizione vieta, da un lato, che determinate persone o gruppi di persone vengano esonerate senza alcun motivo oggettivo (divieto del privilegio fiscale), dal momento che gli oneri finanziari della collettività che derivano dai suoi compiti generali devono essere sopportati dall’insieme dei cittadini[14].

I diversi principi del diritto fiscale desunti dalla parità di tratta-mento sono stati codificati all’art. 127 cpv. 2 della Costituzione federale (Cost.; RS 101)[15]. In virtù di tale disposizione, e nella misura in cui la natura dell’imposta lo permette, i principi dell’universalità, della parità di trattamento e della capacità economica devono, in particolare, essere rispettati[16]. Il precetto dell’uguaglianza giuridica (art. 8 Cost.) e il divieto d’arbitrio (art. 9 Cost.) sono strettamente connessi. Una decisione è arbitraria quando non si basa su dei motivi seri ed oggettivi o quando essa non ha né senso né scopo. Essa viola il principio della parità di trattamento quando effettua delle distinzioni giuridiche che non possono essere giustificate da alcun motivo ragionevole rispetto alla situazione di fatto da regolamentare oppure quando essa omette di effettuare delle distinzioni che si impongono in considerazione delle circostanze, vale a dire quando ciò che è simile non viene trattato in modo identico e ciò che è dissimile non lo è in modo differente. È necessario che il trattamento ritenuto ingiustificato, identico o differente, sia in relazione con una situazione di fatto importante[17]. La disparità si configura, quindi, come una forma particolare di arbitrio, che consiste nel trattare in modo diverso ciò che dovrebbe essere, invece, trattato in modo identico, e viceversa[18].

F. I giudici consentono invece la disparità di trattamento fondata su motivi oggettiviLa disparità di trattamento fra salariati e altri contribuenti si basa, nel nostro caso, su di un motivo oggettivo, essendo rife-rito all’affiliazione ad un istituto di previdenza ai sensi dell’art. 80 LPP (cfr. art. 7 OPP 3). Il sistema per il quale il contribuente indipendente può scegliere se affiliarsi ad un istituto di pre-videnza è stato voluto dal Legislatore federale. Tale sistema non prevede la possibilità per il giudice o per l’autorità, che sono tenuti ad applicare le leggi federali (art. 190 cpv. 1 Cost.), di scostarsi dalle conseguenze inerenti all’applicazione della

[14] DTF 133 I 206 consid. 6.1; DTF 132 I 153 consid. 3.1 e non ammet-te, dall’altro, una sovraimposizione di piccoli gruppi di contribuenti (divieto della discriminazione fiscale; cfr. DTF 122 I 305 consid. 6a; Sentenza TF n. 2P.152/2005 del 25 ottobre 2005 consid. 3.1 = RDAF 2006 II p. 109).[15] DTF 133 I 206 consid. 6.1.[16] Cfr. pure DTF 140 II 157 consid. 7.1.[17] DTF 136 II 120 consid. 3.3.2; DTF 133 I 249 consid. 3.3; DTF 131 I 1 consid. 4.2; DTF 129 I 113 consid. 5.1 e 6.[18] DTF 129 I 1 consid. 3, DTF 346 consid. 6; DTF 127 I 185 consid. 5; DTF 125 I 1 consid. 2b/aa.

bancarie o società di assicurazione, senza limiti di numero. La versione in lingua tedesca precisa inoltre che l’assicurato può concludere non soltanto diversi contratti con delle istituzioni differenti, ma anche diverse convenzioni con la medesima isti-tuzione[10]. La citata Circolare, che prevede quanto segue alla cifra 6.1., non permette neppure di interpretare l’art. 3 cpv. 1 OPP 3 nel senso voluto dall’autorità inferiore: “[l]a previdenza individuale vincolata è destinata esclusivamente e irrevocabilmente alla previdenza e conferisce unicamente diritti d’aspettativa. Le prestazioni di vecchiaia del pilastro 3a possono pertanto essere versate al più presto cinque anni prima del raggiungimento dell’età ordinaria della rendita AVS (art. 3 cpv. 1 OPP 3). I contratti o le convenzioni di previdenza che stipulano la fine del contratto dopo che la persona assicurata abbia raggiunto il 69° anno di età (donne) rispettivamente il 70° (uomini) non sono autorizzati. Non è ammesso concordare un termine per la fine del rapporto previdenziale che sia posteriore a cinque anni dopo il raggiungimento dell’età ordinaria della rendita AVS né concludere un nuovo contratto o convenzione di previdenza dopo questo termine. Il carattere di aspettativa delle pre-stazioni cessa al più tardi cinque anni dopo il raggiungimento dell’età ordinaria della rendita AVS. Deve essere effettuato un versamento ciò che determina l’imposizione della prestazione. Se l’intestatario della previdenza termina la sua attività lucrativa dopo l’età ordinaria della rendita AVS, ma prima del 69° anno (donne) risp. del 70° anno (uomini), i conti risp. le polizze del pilastro 3a ancora esistenti sono sciolti al momento della fine dell’attività lucrativa, ciò che determina l’imponibilità delle prestazioni”.

Ritenere che un versamento acquisito possa essere imposto successivamente urterebbe inoltre contro il principio gene-rale secondo cui un provento è imponibile al momento della sua realizzazione oppure quando il contribuente acquisisce una pretesa certa sulla quale ha effettivamente il potere di disporre[11]. In linea di principio, l’acquisizione della pretesa precede in effetti la prestazione in contanti[12].

Una volta che le prestazioni provenienti dal 3° pilastro A sono state versate, il beneficiario è libero di disporne come meglio crede, per cui non vi è alcuna ragione di differire l’imposizione del capitale così acquisito al momento della cessazione effet-tiva dell’attività lucrativa.

L’interpretazione dell’art. 3 cpv. 1 OPP 3 non permette, quindi, di considerare che tutte le prestazioni del 3° pilastro A versate dopo l’età di pensionamento andrebbero imposte congiunta-mente o al momento della cessazione dell’attività lucrativa o cinque anni dopo l’età ordinaria della rendita AVS[13].

E. Secondo l’autorità fiscale trova applicazione il principio della parità di trattamentoL’autorità inferiore pretende che una simile interpretazione sarebbe contraria al principio della parità di trattamento nella misura in cui essa sfavorirebbe sistematicamente i

[10] AFC (nota 8), cifra 5.2.[11] DTF 113 Ib 23 consid. 2e; DTF 105 Ib 238 consid. 4a.[12] DTF 113 Ib 23 consid. 2e.[13] Si veda, nello stesso senso, la Sentenza del Tribunale cantonale vodese n. FI.2018.0049 del 3 aprile 2019 consid. 3.

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Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

legislazione sulla previdenza professionale ed in particolare da quelle fiscali che derivano dall’applicazione dell’art. 3 cpv. 1 OPP 3.

È, quindi, a torto che l’autorità inferiore ha considerato la pro-cedura scelta dal contribuente, consistente nel farsi versare nel corso di tre anni consecutivi il capitale accumulato a titolo di previdenza individuale vincolata, lesiva del principio della parità di trattamento.

G. L’unica eccezione sarebbe quella dell’elusione fiscale, però…A meno di dimostrare che il contribuente avrebbe concluso abusivamente i diversi contratti di previdenza del 3° pilastro A, l’autorità inferiore non poteva, quindi, considerare che le prestazioni versate nel 2015, 2016 e 2017 dovessero essere cumulate. Ma l’autorità inferiore non pretende che la pro-cedura utilizzata dal ricorrente debba essere considerata un’elusione fiscale, ciò che le spetterebbe di dimostrare, motivo per cui la sua decisione deve essere annullata.

III. La decisione del Tribunale cantonale vodeseIn ragione delle precedenti considreazioni, il ricorso di A. è stato accolto, e la decisione impugnata annullata. L’incarto è stato quindi rinviato dal Tribunale all’autorità inferiore per l’e-missione di una nuova decisone da parte dell’autorità fiscale, che proceda all’imposizione delle prestazioni in capitale per ogni singolo anno nel quale esse sono state versate, senza cumulo.

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Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano

Andrea ZanettiDottore commercialista in Verona,Cultore della materia di diritto tributario presso l’Università di Bergamo

Analisi critica della giurisprudenza che nega l’obbligo generale di contraddittorio nell’accertamento tributario

Obbligo del contraddittorio e il diritto alla difesa: un principio che fatica ad affermarsi in Italia

La Corte costituzionale nega l’illegittimità degli artt. 32, 39, e 42 D.P.R. n. 600/1973, laddove non obblighino l’Autorità fiscale ad instaurare il contraddittorio preventivo. In tal modo suffraga il più recente indirizzo della Corte di Cassazione, che dal 2015, ha invertito di 180 gradi il proprio orientamento. Le ragioni sostenute non appaiono condivisibili e contra-stano con i principi di tutela dei diritti personali sanciti dalla Costituzione, dalla Carta di Nizza, dai trattati europei e dallo Statuto del contribuente. Un breve confronto con la legisla-zione tedesca e spagnola evidenzia ancor di più la debolezza ed inadeguatezza delle disposizioni italiane in materia di accertamento e di rispetto dei diritti della persona. Con il D.L. n. 34/2019, la questione potrebbe riprendere una direzione più allineata ai principi fondamentali italiani ed europei.

determinazione delle imposte dirette.

La Commissione tributaria provinciale di Siracusa, presso cui pendeva il giudizio, aveva rimesso la questione di legit-timità costituzionale e la conseguente contestazione del contribuente circa l’illegittimità dell’atto accertativo per la mancata attivazione del contraddittorio preventivo. Inoltre, veniva chiesto se le norme censurate violassero i principi di proporzionalità, il diritto alla difesa, il diritto ad un processo “giusto”, l’obbligo di cooperazione e di contraddittorio conte-nuto nell’art 12, comma 7, Legge (L.) n. 212/2000 (cd. Statuto dei diritti del contribuente).

II. Immanenza o inesistenza di un obbligo del contraddit-torio? La Cassazione inverte il suo orientamentoLa Corte costituzionale ha accolto la valutazione della Commissione tributaria che rigettava il reclamo del con-tribuente relativamente all’obbligo del contraddittorio preventivo, basandosi su due ragioni strutturali già indicate dalla Corte di Cassazione con la sentenza a Sezioni Unite (SS.UU.) n. 24823, del 9 dicembre 2015, di seguito riportate:

1) “manca, nel sistema tributario nazionale un principio generale che, alla stessa stregua di quanto imposto per i tributi armoniz-zati dall’art. 41 della Carta di Nizza, imponga il contraddittorio preventivo per le imposizioni fiscali esclusivamente interne”;

2) “il contraddittorio preventivo dettato dall’art. 12 comma 7 dello Statuto del contribuente non può esondare dagli argini definiti dal tenore letterale della relativa disposizione, rappresentati, ai sensi dell’art. 1 del medesimo articolo, dai soli accessi, verifiche ed ispezioni rese sui luoghi di riferimento del contribuente, così da non risultare estensibile alle verifiche, come quelle di specie, rese a tavolino”. In altre parole, l’art. 12, comma 7, Statuto dei diritti del contribuente non stabilirebbe un principio generale relativamente all’obbligo del contraddittorio preventivo, ma limiterebbe tale obbligo ai soli casi previsti dalla disposizione.

Sul primo punto è doveroso ricordare che la Corte di Cassazione aveva rilevato, con le sentenze n. 19667 e n.

I. L’Ordinanza n. 8 del 31 gennaio 2020 della Corte costi-tuzionaleCon l’Ordinanza n. 8 depositata il 31 gennaio 2020, la Corte costituzionale si è espressa in merito ad un giudizio di legit-timità costituzionale degli artt. 32, 39 e 42 del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 600/73 e, di fatto, è intervenuta sulla delicata questione dell’obbligo del contrad-dittorio endo-procedimentale nell’accertamento tributario.

Il caso de quo riguardava un accertamento “a tavolino” di ricavi non dichiarati e conseguente rilevanza ai fini della

I. L’Ordinanza n. 8 del 31 gennaio 2020 della Corte costituzionale .......................................................................466II. Immanenza o inesistenza di un obbligo del contraddittorio? La Cassazione inverte il suo orientamento .......................................................................466III. Principi di derivazione europea e costituzionali nel nostro ordinamento .....................................................467IV. Principi e tutela del contribuente nell’ordinamento tedesco e spagnolo .............................468V. Riflessioni conclusive .....................................................469

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Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano

amministrazione, si realizza il rispetto del principio di ugua-glianza stabilito dall’art. 3 Cost.[5].

A ben osservare, dobbiamo evidenziare che l’art. 41 Carta di Nizza è rubricato “Diritto ad una buona amministrazione”. Appare logico ritenere che il legislatore euro-unitario con-siderasse che la finalità di tale prescrizione, non dovesse essere confinata ad uno spazio normativo dei rapporti tra i Paesi membri e le istituzioni europee, ma quello di fornire una regola generale nei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino, per garantire la tutela del diritto ad una buona amministrazione, grazie ad un giusto bilanciamento dei diritti e tutela degli interessi delle due parti. Estendendo la visuale rileviamo chiaramente come le prescrizioni dell’art. 41 siano strettamente collegate con i dettami costituzionali di buon andamento dell’amministrazione, di imparzialità (art. 97 Cost.), di trasparenza (art. 15 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea [TFUE] e L. n. 241/1990) e del giusto processo (art. 111 Cost.). L’art. 41 Carta di Nizza deve essere considerato, dunque, espressione del più generale principio di buona amministrazione e al tempo stesso fondamento di quello di buona fede e collaborazione[6].

Pubblica amministrazione e contribuente non appartengono a mondi separati, ma interagiscono, o dovrebbero farlo, pur se in un modo complesso, un misto tra collaborazione e contrapposizione, e che deve mirare ad un equilibrio tra le esigenze dell’amministrazione e gli interessi del contribuente e le sue esigenze difensive. Ciò al fine di rendere più efficace l’azione dell’amministrazione, in applicazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione previsto dall’art. 97 Cost., ed assicurando ai contribuenti sia la tutela dei loro interessi e diritto alla difesa[7].

La sfera dei diritti del cittadino, in modo particolare nei suoi rapporti con la pubblica autorità, è assai più ampia che quella degli interessi patrimoniali e riguarda i diritti personali e soggettivi, di dignità, libertà, uguaglianza e di sviluppo della persona, che, oltre al diritto positivo, appartengono al diritto naturale.

Il loro rispetto mira a tutelare le esigenze universali e perma-nenti dell’uomo. Tali principi sono espressamente riconosciuti dalla Costituzione italiana (artt. 2 e 3), oltreché dall’art. 2 del Trattato dell’UE (TUE) ed indicati come valori comuni nella Carta di Nizza, sottoscritta dall’Italia.

Il diritto di un cittadino ad essere ascoltato, risulta essere presupposto e requisito essenziale di equità e giustizia del procedimento e dovrebbe essere attivato e, in questa

[5] Sammartino (nota 2) afferma: “se infatti si negasse la titolarità generalizzata del diritto di contraddittorio, si assisterebbe ad una disparità di trattamento tra coloro che possono esercitarlo in virtù di specifica previsione normativa e coloro ai quali tale diritto verrebbe negato, sol perché la disciplina specifica non lo prevede espressamente”.[6] Maria Pierro, Il dovere di informazione dell’Amministrazione Finanziaria, Torino 2013.[7] In tal senso, Ghererdo Soricelli, Corte Costituzionale e contraddittorio endoprocedimentale tributario: è proprio un’occasione mancata?, in: Gazzetta Amministrativa, 1/2018.

19668 del 2014, un’immanenza dell’obbligo del contradditto-rio nel nostro ordinamento. Ha poi cambiato orientamento con la sentenza n. 24823, del 9 dicembre 2015, ritenendo che tale principio fosse di derivazione comunitaria ed applicabile esclusivamente ai tributi armonizzati.

La sentenza del 2015 sopra indicata è stata oggetto di critiche e riflessioni da parte della dottrina in particolare riguardo:

a) alla fragilità della distinzione tra tributi armonizzati e non armonizzati, quale barriera di contenimento del principio del contraddittorio di derivazione europea[1];

b) l’affermazione, anche in seno all’ordinamento giuridico italiano di una necessaria tutela della posizione giuridica del contribuente, di derivazione costituzionale;

c) alla sistematicità, che il principio del contraddittorio trova nell’ordinamento giuridico ed anche nel diritto ammini-strativo, ramo a cui il diritto tributario è riconducibile[2].

III. Principi di derivazione europea e costituzionali nel nostro ordinamentoCon riferimento alla prima questione, occorre chiedersi se il diritto di essere ascoltato e di accesso al fascicolo abbia valore relativo e sia applicabile limitatamente, a seconda (i) del luogo in cui viene svolta la verifica del Fisco, o (ii) della tipologia delle imposte, armonizzate o meno.

Seguendo la tesi della Cassazione del 2015 che riconosce l’obbligo di rispetto delle prescrizioni contenute nella Carta di Nizza limitatamente ai soli tributi armonizzati[3], ci trove-remmo in una situazione di disparità di trattamento, per cui l’avviso di accertamento di uno stesso fatto, rilevante sia ai fini IVA che per imposte dirette, in caso di mancato rispetto del principio di contraddittorio, darebbe origine a due effetti diversi, di annullamento per l’IVA, tributo armonizzato e legittimazione per le imposte non armonizzate. Tale interpre-tazione conduce altresì ad una disparità giuridica, che trova ostacolo non solo nei principi costituzionali di uguaglianza, legalità e imparzialità (art. 2, 3, 23 e 97 della Costituzione italiana [Cost.]), ma anche nel diritto di difesa (art. 24 Cost.)[4].

E, infatti, solo riconoscendo a tutti il diritto al contraddittorio, ovvero di partecipare ai procedimenti avviati dalla pubblica

[1] Gaetano Ragucci, Il diritto a una buona amministrazione e contraddit-torio: lacune, deviazioni e barriere all’accesso nel diritto tributario italiano, in: NEΩTERA n. 2/2018, p. 26.[2] Salvatore Sammartino, Questioni di diritto tributario sostanziale e pro-cessuale, Seminario di aggiornamento professionale per i magistrati delle Commissioni Tributarie della Regione Sicilia, 21 e 22 ottobre 2016. Osserva l’autore, che “l’ordinamento giuridico va concepito in modo unitario, con la conse-guenza che un principio, pacificamente accettato in un settore dell’ordinamento, possa trovare applicazione in altro settore, tanto più quando si tratta di ambiti rientranti nella stessa areo, pubblicistica o privatistica […]. Anche il contraddittorio caratterizza nella fase precontenziosa il procedimento in diritto amministrativo e certamente rientra tra quelli istituti che, in assenza di un esplicito divieto normativo, sono destinati a trovare applicazione anche nel diritto tributario”.[3] In tal senso gli artt. 41, comma 2, lett. a e b e 51, comma 1, Carta di Nizza.[4] Maria Pierro, La “buona amministrazione” e la collaborazione e parteci-pazione “informata” del contribuente ai procedimenti tributari, in: NEΩTERA n. 2/2018, p. 14.

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Ambedue gli ordinamenti riconoscono e tutelano i diritti dell’uomo, ma essi sono espressi con particolare enfasi nel Grundgesetz tedesco. I riflessi di ciò trovano effetto nella diversa disciplina dei rapporti tra l’autorità pubblica ed il citta-dino ed in particolare nella loro declinazione in campo fiscale.

Il legislatore tedesco ha voluto stabilire con estrema fermezza ed evidenza la rilevanza dei diritti fondamentali, primo fra tutti il valore della dignità dell’uomo, quale principio fondamentale, scolpito nell’art. 1 Grundgesetz, dandogli un’importanza quasi “sacrale” ed aggiungendovi un obbligo di rispetto e protezione, quale imperativo per tutte le autorità dello Stato. I diritti di libertà, uguaglianza, legalità, proporzionalità e giustizia sono rafforzati dall’art. 19 con la statuizione di un principio di sostanzialità, per cui i diritti fondamentali non possono essere lesi nel loro contenuto essenziale[12]. Partendo, quindi, da una piattaforma giuridica che riconosce e tutela i diritti fondamentali, la legislazione fiscale tedesca (Abgabenordnung), nel disciplinare l’attività istruttoria di controllo fiscale, sviluppa le seguenti principali condotte operative:

1) si deve tenere conto di tutti i fattori significativi per il sin-golo caso, compresi quelli favorevoli per i soggetti coinvolti (par. 88, comma 1);

2) l’amministrazione fiscale determina il tipo e la portata delle indagini conformemente alle circostanze del singolo caso e ai principi di uniformità, legalità e proporzionalità (par. 88, comma 2);

3) entrambe le parti hanno il diritto/dovere di partecipare alle indagini sui fatti (par. 90, comma 1);

4) entrambe le parti hanno l’obbligo di cooperare in modo completo al fine di accertare la verità dei fatti[13] rilevanti ai fini fiscali e fornire le prove a loro note (par. 90, comma 1);

5) l’amministrazione fiscale ha l’obbligo non solo di infor-mare il contribuente, ma anche di richiedere in primis allo stesso, le spiegazioni ed informazioni di chiarimento, ovvero di attivare sempre il contraddittorio, con limitate eccezioni[14] (par. 91, comma 1).

[12] In tal senso Giovanni Moschetti, Premesse valoriali e quadro costituzio-nale del “diritto al contraddittorio”: le soluzioni “proporzionate” dell’esperienza tedesca, in: Antonio Guidara (a cura di), Accordi e azione amministrativa nel dirit-to tributario – atti del convegno, Catania 25 e 26 ottobre 2019, Pisa 2020, p. 224.[13] Moschetti (nota 10). p. 230; Gaetano Ragucci, L’istruttoria giudiziale. Spunti per una comparazione, Corso di perfezionamento per magistrati tribu-tari e per professionisti abilitati al patrocinio avanti alle Commissioni tributarie, Università degli Studi di Milano, 17 gennaio 2020. Nel suo intervento ha sot-tolineato come il dovere di collaborazione delle parti per la ricerca della verità, non possa essere confinato solo nella legislazione tedesca. Cfr. anche Roberto Esposito, “Verità fiscale” e giusto procedimento tributario, in: Diritto e pratica tributaria n. 3/2018, p. 985. L’autore sostiene che “la nozione di «verità fiscale» in senso sostanziale, come conformità del prelievo alla capacità contributiva manifestata dal presupposto, sottende una diversa configurazione dei rapporti tra diritti di libertà e fiscalità, in una più moderna prospettiva che attribuisca una posizione collaborativa, e non meramente difensiva, al contribuente. La nozione di «verità fiscale» in senso proce-dimentale esprime di contro la necessità di coniugare la «tensione veritativa» della fase di attuazione dei tributi con le esigenze di certezza e di stabilità dei rapporti giuridici. In quest’ottica, il diritto al contraddittorio può contribuire a ridurre il divario eventuale tra le due verità”.[14] Il contraddittorio può non essere esperito nei seguenti casi: (i) per un peri-colo imminente; (ii) esso comprometta il termine per la decisione; (iii) quando i dati che una parte fornisca siano rivolti a suo svantaggio; (iv) quando l’autorità finanziaria vuole emettere un numero elevato di provvedimenti automatici; (v)

prospettiva, dovrebbe trovare naturale applicazione in una fase antecedente rispetto all’adozione di un provvedimento pregiudizievole destinato al contribuente[8]. Un pieno eserci-zio del contraddittorio dovrebbe prevedere anche la possibilità di una espressione orale, spesso più incisiva di quella scritta.

Al diritto al contraddittorio, poi, si aggiunge il diritto di ciascuno ad accedere agli atti che siano in possesso della pub-blica amministrazione. Si tratta di un diritto le cui declinazioni sono state ben definite da numerosi interventi della Corte di Giustizia dell’UE (CGUE). Esso potrebbe trovare restrizione solo ove vi fosse l’esigenza di tutelare un interesse superiore oppure qualora l’interesse fiscale possa essere pregiudicato da un accesso illimitato da parte del contribuente, sempreché il diritto alla conoscenza da parte dei contribuenti non sia ingiustamente sacrificato[9].

Per quanto riguarda la seconda motivazione, è necessario ricordare come le disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente “costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, tendenti ad attuare i principi costituzionali”[10]. La Consulta aveva dichiarato nel 2017[11] inammissibilità di tre eccezioni di incostituzionalità, con motivazioni che non affrontavano il merito della questione, ma aspetti procedurali. Anche la sentenza in oggetto si limita a rigettare l’istanza per la genericità del reclamo e ribadendo la sua costante giuri-sprudenza.

Si deve peraltro rilevare come l’art. 12, comma 7, Statuto dei diritti del contribuente non sia riferito ad alcun tipo di tributo. Si tratta di una disposizione che fa riferimento al principio strutturale e generale di cooperazione tra le parti, per un confronto bilanciato ed equo che permetta al contribuente di ottenere il rispetto dei diritti costituzionalmente tutelati, primi fra tutti quelli del giusto processo e di difesa, in modo pieno.

IV. Principi e tutela del contribuente nell’ordinamento tedesco e spagnoloVale la pena guardare al di là dei confini nazionali, esami-nando sinteticamente il rapporto tra contribuente e Fisco in due Paesi, Germania e Spagna.

Il confronto con l’ordinamento tedesco deve partire dalla rile-vanza dei principi generali definiti nei rispettivi atti normativi fondamentali, la Costituzione italiana (1948) e il Grundgesetz tedesco (1949).

[8] CGUE, C-349/07, Sopropé, punto 36: “il principio del rispetto da parte dell’am-ministrazione dei diritti della difesa e il diritto che ne discende, per ogni persona, di essere sentita prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi”.[9] Maurizio Logozzo, Il diritto ad una buona amministrazione e l’accesso agli atti nel procedimento tributario, in: NEΩTERA n. 2/2018, p. 23.[10] Alfredo Montagna, Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, Lo statuto del contribuente anche alla luce del Codice Europeo del contribuente: condivisione dei principi comunitari e nazionali, riflessi sulla validità degli atti, Seminario di aggiornamento professionale per i magistrati delle Commissioni tri-butarie della Regione Lombardia, Università Studi Milani, 23 febbraio 2018, p. 3.[11] Corte costituzionale, Ordinanze n. 187, 188, 189 del 13 luglio 2017.

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indicati e non dare il giusto riconoscimento alla sfera dei diritti personali, queste posizioni rigide ed a parere dello scrivente, arcaiche, minano il rapporto di reciproca collaborazione e fiducia tra Stato e contribuenti. Un loro superamento potrebbe contri-buire a rendere più oggettiva, responsabile, efficace ed aperta l’amministrazione pubblica, non in contrapposizione, ma al ser-vizio del cittadino. Sfiducia, sospetto e chiusura, indeboliscono il “sistema Italia” in quanto i residenti in Italia subiscono posizioni svantaggiose rispetto ai residenti negli altri Paesi dell’UE o di Paesi terzi. Nonostante vi sia una resistenza al cambiamento, è auspicabile che la cultura europea, gli indirizzi elaborati delle Istituzioni comunitarie e il confronto con altri Paesi, possano permeare ed incidere il sistema giuridico nazionale, superando così anche antichi nostri vizi.

Un richiamo al principio del perseguimento della verità dei fatti è forse rinvenibile nell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente che richiama espressamente l’art. 3 L. n. 241/1990 in merito alla motivazione dei provvedimenti amministrativi, che deve indicare “i presupposti di fatto”, ovvero a modesto parere dello scrivente, all’obbligo di procedere all’accertamento dei fatti per renderli quanto più possibile “certi” ovvero ricercando e definendo quanto “veramente” accaduto. Prendendo esempio dai sistemi tedesco e spagnolo, sarebbe opportuno introdurre una norma specifica sul diritto/dovere del contraddittorio e della collaborazione, stabilendo il principio della finalità dell’accertamento, nel perseguimento della (sostanziale) verità dei fatti.

È auspicabile che venga superata l’idea che l’avviso di accer-tamento abbia una funzione limitata alla fase processuale, ma venga ricondotta, tanto in sede giurisprudenziale quanto legislativa, a quella procedimentale, ove la pubblica ammini-strazione stia per adottare un provvedimento potenzialmente lesivo per il contribuente[17], sollevando così ogni remora all’obbligo del contraddittorio.

L’esercizio del contraddittorio dovrebbe altresì prevedere un più ampio accesso alla documentazione ed informazioni presso l’amministrazione finanziaria, limitando il diniego a specifici casi previsti per legge, senza che debba intervenire una valutazione discrezionale, garantendo così una maggior trasparenza e legalità amministrativa.

Il Decreto Legge (D.L.) n. 34/2019, art. 4-octies, ha introdotto l’obbligo di invitare i contribuenti al contraddittorio e troverà applicazione per gli avvisi di accertamento emessi a far data dal 1° luglio 2020. Sono esclusi, si badi bene, gli avvisi di retti-fica parziale, cosa che si verifica nella quasi totalità dei casi, ex art 41-bis D.P.R. n. 600/1973, terzo e quarto comma dell’art. 54 D.P.R. n. 633/2019, e per tutti i casi di particolare urgenza specificamente motivata o di sussistente e fondato pericolo per la riscossione.

zate ai fini fiscali non solo senza concedere all’indagato il contraddittorio, ma delle quali egli non viene frequentemente neppure posto a conoscenza.[17] In tal senso Andrea Purpura, Obbligo di motivazione dell’avviso di accer-tamento tra provocatio ad opponendum, diritto alla difesa e contraddittorio endoprocedimentale, in: Innovazione e Diritto, 3/2019.

Come indicato nella premessa di questo paragrafo, Germania e Italia pur condividendo lo stesso insieme di principi fon-damentali, realizzano in modo ben diverso il rapporto tra la pubblica autorità e il contribuente. Mentre in Germania le tutele previste per il contribuente sono definite ed acquisite stabilmente nell’ordinamento, nel nostro Paese il bilancia-mento dei diritti e doveri tra le parti appare ancora in buona parte da conquistare.

Anche in Spagna il contraddittorio viene riconosciuto tra i diritti dei contribuenti[15]. L’art. 34, comma 1, lett. m della Ley General Tributaria prevede il diritto ad essere sentiti nei procedi-menti accertativi. Il cittadino può presentare argomentazioni e documenti in qualunque momento del procedimento anche prima del contraddittorio, ed ogni apporto dovrà essere considerato dalla pubblica amministrazione nel redigere il provvedimento finale.

Il diritto al contraddittorio endo-procedimentale spagnolo è caratterizzato (i) dal diritto di essere sentito che permette all’interessato, a partire dal momento in cui ha conoscenza dell’avvio del procedimento, di fornire chiarimenti, argomen-tazioni e documenti; (ii) dal contraddittorio che deve essere attivato dall’organo dell’amministrazione fiscale, permet-tendo all’interessato l’esercizio del suo diritto di difesa, grazie alla conoscenza delle circostanze rilevanti del procedimento; (iii) dall’organo amministrativo che ha l’obbligo di recepire e menzionare nell’atto finale, sia pure in modo sintetico tutto quello che sia apportato da parte dell’interessato e valutarne la rilevanza nel predisporre la decisione finale; (iv) dall’atto di liquidazione che dovrà contenere un’adeguata motivazione.

V. Riflessioni conclusiveIl ritardo e le incertezze italiane in questa materia, nascono forse dalla “vischiosità” del sistema italiano, ancora legato alle procedure fiscali ante riforma del 1972-73 quando la deter-minazione del carico fiscale coincideva con l’accertamento da parte dell’ufficio tributi.

Lascia davvero perplessi rilevare come spesso la giurispru-denza italiana si soffermi a valutare le sfumature marginali e formali anziché sostenere le proprie sentenze sulla base di principi fondanti del sistema giuridico stabiliti e sottoscritti, che altro non sono che i pilastri della convivenza civile e della credibilità interna ed esterna dello Stato.

L’ondivago orientamento della Corte di Cassazione e il “passo indietro” del 2015 non sembra poter reggere con la necessità di mantenere un equilibrato rapporto tra contribuente ed Autorità fiscale[16]. Oltre a contravvenire ai principi costituzionali sopra

quando sia necessario adottare misure esecutive; (vi) se è in conflitto con un interesse pubblico prevalente.[15] Mercedes Navarro Egea, L’esperienza spagnola del contraddittorio nei procedimenti tributari, in: Accordi e azione amministrativa nel diritto tributa-rio, Atti del convegno di Catania del 25 e del 26 ottobre 2019, Guidara (nota 12), pp. 10-11.[16] Un’attenzione normativa specifica meriterebbe il problema della rilevan-za tributaria delle risultanze investigative penali, ex art. 33, comma 3, D.P.R. n. 600/1973 e art. 63, comma 1, D.P.R. n. 633/1972, le quali sono spesso utiliz-

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Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano

Pur non risultando essere davvero quella norma tanto attesa, di introdurre il principio di obbligo generalizzato al contrad-dittorio, avrà comunque la forza per smuovere ed aggiornare il sistema tributario italiano, pur con un ritardo di oltre mezzo secolo? Senza apparire risolutiva, potrebbe quindi rappresen-tare un importante passo in avanti, nella direzione di rendere pienamente applicabile il principio e dovere di collaborazione, adeguando i rapporti tra pubblica autorità e contribuente, per attivare la dialettica necessaria a garantire il diritto alla difesa e alla “parità delle armi”.

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Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

Andrea RottoliLaurea in Economia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore,Dottore commercialistaStudio Maisto e Associati, Milano

Il regime italiano IVA in tema di distacco di personale necessita di una modifica normativa

La portata normativa della Sentenza San Domenico Vetraria

La sentenza della CGUE nella causa C-94/19, San Domenico Vetraria, ha sancito l’incompatibilità dell’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988, con la disciplina europea dell’IVA. La normativa italiana dispone l’irrilevanza ai fini IVA dei contratti di prestito o distacco di personale per i quali è previsto solo il rimborso del relativo costo. Con particolare riferimento agli effetti derivanti dalla sentenza in commento si pongono rilevanti tematiche in relazione alla sua efficacia temporale ed ai comportamenti che legittimamente potranno essere posti in essere dai contribuenti.

oggetto, a più riprese, di chiarimenti da parte della Cassazione, che sembrava aver definito la quesitone con la pronuncia a Sezioni Unite del 7 novembre 2011, n. 23021[2]. In tale sen-tenza, infatti, i giudici di legittimità avevano confermato la validità del principio secondo cui il distacco di personale non costituisce un’operazione rilevante ai fini IVA solo laddove la controprestazione del distaccatario si limiti al mero rimborso di una somma pari alle retribuzioni ed agli altri oneri (previ-denziali e contrattuali) gravanti sul distaccante.

Questa consolidata interpretazione è stata però recente-mente rimessa in discussione dalla stessa Cassazione[3], la quale ha sollevato un dubbio di conformità della norma italiana rispetto alla disciplina europea. Tale dubbio è stato confer-mato dalla CGUE che ha ritenuto irrilevante l’ammontare del corrispettivo pattuito al fine di determinare se una presta-zione di servizi sia o meno da considerarsi effettuata dietro corrispettivo e, quindi, potenzialmente attratta nell’ambito di applicazione dell’IVA. Al contrario, i giudici del Lussemburgo ritengono che per configurare una prestazione rilevante ai fini IVA, sia sufficiente l’esistenza di un nesso diretto fra il paga-mento del corrispettivo, a prescindere dall’importo, ed il diritto di ricevere la prestazione di distacco. In questa prospettiva, la normativa italiana – così come sinora interpretata – non sarebbe conforme alla normativa IVA comunitaria.

II. L’interpretazione della normativa IVA nazionale sul distacco del personalePer valutare i possibili effetti della sentenza San Domenico Vetraria nell’ordinamento IVA italiano è opportuno ricostruire brevemente le motivazioni che avevano condotto il legislatore italiano ad introdurre l’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988.

[2] Per un commento a tale sentenza cfr. Paolo Centore, Il distacco del personale fra norma nazionale e comunitaria, in: Rivista di Giurisprudenza Tri-butaria n. 2/2012, p. 101 ss.; Roberto Fanelli, Le Sezioni Unite mettono fine al dibattito sull’esclusione da IVA per il distacco del personale, in: L’IVA n. 4/2012; Ennio Vial, Distacco del personale ai fini IVA, in: L’IVA n. 12/2012.[3] Ordinanza di rinvio pregiudiziale del 29 gennaio 2019, n. 2385.

I. IntroduzioneNella recente sentenza San Domenico Vetraria dell’11 marzo 2020, causa C-94/19[1], la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha dichiarato che l’art. 8, comma 35, della Legge (L.) n. 67/1988 disciplinante il regime dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) italiano del distacco del personale non è compatibile con le disposizioni della Direttiva n. 2006/112/CE.

La disposizione nazionale citata prevede la non rilevanza ai fini IVA dei prestiti o distacchi di personale per i quali è pre-visto solo il rimborso del relativo costo. Tale norma è stata

[1] Per un primissimo commento cfr. Anna Abagnale/Benedetto Santacro-ce, Sul distacco del personale coperto dal solo rimborso è dovuta anche l’IVA, in: Il Sole 24 Ore, 11 marzo 2020.

I. Introduzione ...................................................................... 471II. L’interpretazione della normativa IVA nazionale sul distacco del personale .................................................. 471III. Considerazioni sull’effetto della sentenza nell’ordinamento nazionale .............................................. 472IV. Considerazioni sui potenziali effetti della sentenza sui contratti di somministrazione di lavoro ................... 473

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Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

Per porre fine al contrasto interpretativo determinatosi tra le sue sezioni, la Cassazione è intervenuta a Sezioni Unite con la sentenza n. 23021/2011, nella quale ha specificato che la ratio dell’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988 consisteva nel fare chiarezza sull’unico aspetto in discussione all’epoca dell’entrata in vigore della norma, a seguito della mutata interpretazione dell’Amministrazione finanziaria del 1986, ossia sulla imponibilità o meno dei servizi di distacco del personale nell’ipotesi di rimborsi esattamente uguali alle retribuzioni ed altri oneri previdenziali e contrattuali percepiti dal distaccato. In tale contesto, sempre secondo i giudici delle Sezioni Unite, l’intenzione del legislatore era esclusivamente quella di confermare l’interpretazione dei principi IVA secondo la lettura delle norme consolidatasi ante pubblicazione della circolare del 31 ottobre 1986, n. 363853[8]. L’intervento nor-mativo disposto con l’introduzione dell’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988 non avrebbe, quindi, sancito l’assoluta irrilevanza ai fini IVA di tutte le fattispecie in cui il rimborso è effettuato per un ammontare pari al costo sostenuto, ma solo delle operazioni di distacco o prestito del personale caratterizzate da un corrispettivo fissato ad un ammontare pari ai costi sostenuti. Ciò a dimostrazione che oggetto della norma non è stata la modalità di determinazione della base imponibile, ma, piuttosto, la rilevanza o meno di una specifica operazione ai fini del tributo.

III. Considerazioni sull’effetto della sentenza nell’ordina-mento nazionaleL’applicazione dell’art. 8, comma 35, Legge n. 67/1988, oggi, deve considerare il potenziale effetto della pronuncia della Corte di Giustizia in relazione a contratti di distacco già in essere, eseguiti in passato o di prossima esecuzione. La que-stione è di assoluta rilevanza considerata la generale efficacia ex tunc delle sentenze della CGUE[9]. L’efficacia retroattiva della sentenza potrebbe legittimare l’accertamento dell’o-messa applicazione dell’IVA per le operazioni di distacco già effettuate in periodi di imposta ancora accertabili, seppure senza applicazione di sanzioni stante il legittimo affidamento del contribuente[10]. In tal senso, di primo acchito si potrebbe ritenere che un precedente analogo possa essere costituito dalla recente modifica del regime IVA delle scuole guida conseguente alla sentenza A&G Fahrschul-Akademie, del 14 marzo 2019, causa C-449/17, in relazione alla quale l’Agenzia delle Entrate aveva manifestato la necessità di procedere al recupero dell’IVA per le annualità pregresse[11], dato che, proprio secondo quanto stabilito dai giudici comunitari, i cor-rispettivi delle scuole guida non avrebbero potuto beneficiare del regime di esenzione, illegittimamente applicato in base all’interpretazione consolidata dettata dalla prassi dell’A-genzia delle Entrate all’art. 10, comma 1, n. 20, del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 633/1972 vigente

[8] Per un commento alla sentenza di veda Giuseppe Marini, Le Sezioni Unite mettono ordine in tema di disciplina dell’IVA nel distacco di personale, in: Ras-segna tributaria n. 2/2012.[9] Cfr. CGUE, sentenza Denkavit Italiana S.r.l., del 27 marzo 1980, causa C-61/79.[10] Cfr. la Risoluzione del 2002, n. 346/E.[11] Cfr. la Risoluzione del 2 settembre 2019, n. 79/E.

Sin dalla entrata in vigore dell’IVA nell’ordinamento nazio-nale, l’Amministrazione finanziaria ha sempre sostenuto che fossero fuori dal campo di applicazione del tributo i contratti di distacco del personale per i quali le somme pagate dalla società utilizzatrice erano esattamente coincidenti alla retri-buzione spettante al dipendente prestato ed ai relativi oneri previdenziali ed assistenziali[4].

Dopo anni in cui tale interpretazione appariva consolidata, il Ministero delle Finanze ha mutato indirizzo, affermando – con la Circolare del 31 ottobre 1986, n. 363853 – che tutte le somme percepite dal distaccante dovessero essere gravate da IVA indipendentemente dal loro ammontare e, cioè anche se corrispondenti al solo ammontare complessivo del costo del personale.

Per porre fine alle controversie derivanti dal mutato orien-tamento dell’Amministrazione finanziaria è intervenuto il legislatore con l’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988. Con la sentenza n. 1788/1996, anche la Cassazione ha chiarito che, indipendentemente dalla natura interpretativa o innovativa dell’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988, argomento sul quale la Corte non si pronuncia, il distacco o prestito di personale non costituiva operazione imponibile IVA fintanto che l’impresa beneficiaria si fosse limitata alla restituzione delle sole retri-buzioni, nonché degli oneri fiscali e previdenziali e delle altre spese sostenute per i dipendenti.

Successivamente, però, altre pronunce della stessa Cassazione[5] hanno adottato un’interpretazione parzial-mente difforme dell’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988, legittimando la non applicazione del tributo anche alle fat-tispecie di distacco con remunerazione inferiore al costo del personale, ma ravvisando un’operazione imponibile in caso di addebito di un corrispettivo superiore al costo. limitatamente alla parte eccedente il predetto costo[6]. Come osservato in dottrina tale interpretazione alternativa si fondava su un’im-plicita attrazione della fattispecie di distacco e prestito del personale alle disposizioni di cui all’art. 26-bis L. n. 196/1997, recante la disciplina IVA della somministrazione di lavoro temporaneo[7] (come dimostrato dal rinvio operato dal sud-detto art. 26-bis all’art. 86, comma 4, del Decreto Legislativo [D.lgs.] n. 276/2003 (cd. “Legge Biagi”). Il citato art. 26-bis individua la base imponibile IVA della prestazione di servizi di somministrazione di lavoro nel differenziale tra il corrispettivo praticato dall’impresa di somministrazione e gli oneri retribu-tivi e contributivi).

[4] Cfr. le Risoluzioni del Ministero delle Finanze 5 luglio 1973, n. 502712; 30 gennaio 1974 n. 500091; 6 febbraio 1974, n. 505366; 19 febbraio 1974, n. 5001601; 19 gennaio 1976 n. 500013; 20 marzo 1981, n. 411847 e 3 dicem-bre 1981, n. 333652.[5] Cfr., in particolare, le sentenze del 7 settembre 2010, nn. 19129, 19130, 19131 e 19132.[6] Per un’analisi critica delle sentenze in oggetto cfr. Giuseppe Marini, Disci-plina dell’IVA e distacchi di personale: a proposito di una recente sentenza, Diritto e Pratica Tributaria, 2011, II, p. 557 ss.[7] Cfr. Francesco Delli Falconi/Pierpaolo Maspes, La base imponibile IVA dei distacchi di personale: questione veramente chiusa?, in: Il Fisco n. 20/2014, p. 1971 ss.

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Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

nione europea (UE) qualsivoglia tentativo di attribuzione di efficacia retroattiva[16].

IV. Considerazioni sui potenziali effetti della sentenza sui contratti di somministrazione di lavoroDa ultimo, appare doverosa una riflessione aggiuntiva sul regime IVA che il legislatore riserva alle prestazioni di sommi-nistrazione di lavoro, di cui si è brevemente accennato nel cap. III che precede, i cui principi generali in ambito civilistico sono disciplinati dall’art. 30, D.Lgs. n. 83/2015. La somministrazione di lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del D.Lgs. n. 276/2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. Si è detto che la base imponibile di tali prestazioni di servizi è determinata, ai sensi dell’art. 26-bis, L. n. 196/1997, in misura pari sostanzialmente nella differenza tra il corrispettivo praticato dall’impresa fornitrice delle prestazioni di lavoro temporaneo e gli oneri retributivi e previdenziali. Sebbene la sentenza San Domenico Vetraria non intervenga sulla determi-nazione della base imponibile della prestazione del distacco, sarebbe legittimo attendersi che la trasposizione dei principi dettati dalla CGUE alla fattispecie di somministrazione di lavoro possa comportare la necessità di rivedere la coerenza della normativa nazionale. Anche per motivi di parità di trat-tamento rispetto alla fattispecie di distacco, ove il rimborso del costo del personale somministrato sia direttamente collegato prestazione dell’impresa fornitrice, la base imponibile IVA non dovrebbe essere limitata alla sola differenza tra corrispettivo praticato e costo della retribuzione del personale.

[16] In senso conforme si veda Assonime, Circolare del 19 maggio 2020, n. 8, par. 3.

sino alla modifica della norma efficace dall’1° gennaio 2020. Sul punto è poi intervenuto l’art. 32, comma 3, del Decreto fiscale 2020 (cfr. art. 32, comma 3, del Decreto Legge [D.L.] n. 124/2019, convertito dalla L. n. 157/2019) per fare salvi i comportamenti pregressi ed evitare gli effetti distorsivi (a pregiudizio della neutralità del tributo stante le oggettive dif-ficoltà di applicazione della rivalsa postuma ex art. 60, comma 7, D.P.R. n. 633/1972) che si sarebbero potuti generare dalla richiesta del tributo per annualità passate.

Per quanto riguarda il caso del distacco di personale, tutta-via, si è dell’avviso che, l’analogia con il caso pocanzi citato sia solo apparente, di talché in assenza di espliciti interventi del legislatore italiano in modifica della norma nazionale, debba escludersi qualsiasi ripresa a tassazione di prestazioni effettuate prima della data di pubblicazione della sentenza in commento, posto che è principio consolidato a livello comunitario che gli Stati membri non possano invocare il non corretto recepimento di una direttiva per imporre obblighi nei confronti dei privati[12]. Secondo la giurisprudenza costante della CGUE, infatti: “una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un privato e non può, quindi, essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti”[13]. “L’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del suo diritto nazionale trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattività, e non può ser-vire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale”[14].

Occorrerà, pertanto, che il legislatore intervenga in via espli-cita con l’abrogazione o la modifica dell’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988, il quale non potrà ritenersi implicitamente inope-rante stante l’interpretazione della disposizione come norma speciale sancita dalla Cassazione a Sezioni Unite. Non si rin-viene, infatti, nell’ordinamento nazionale un’interpretazione dell’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988 che consenta di privare la norma di efficacia a danno del contribuente in ragione delle tutele derivanti dal legittimo affidamento alla chiarezza e prevedibilità del diritto nazionale come riconosciuto anche in sede comunitaria[15].

L’interpretazione della norma nazionale dettata dalla CGUE dovrebbe, quindi, avere efficacia esclusivamente pro futuro, successivamente ad un intervento di modifica dell’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988, essendo contrario al diritto dell’U-

[12] Diverso sarebbe il caso in cui l’applicazione “diretta” della direttiva sia invocata dal contribuente, ai fini ad esempio di ridurre il proprio pro-rata di indetraibilità IVA. In tal caso, infatti, la Direttiva verrebbe in rilievo al fine di tutelare un diritto che la stessa pone a favore del contribuente (cfr. CGUE, sentenza San Domenico Vetraria, 11 marzo 2020, causa C-94/19; sull’efficacia diretta delle direttive si veda, fra le altre, CGUE, sentenza Marks & Spencer Plc, 11 luglio 2002, causa C-62/00 e Corte Costituzionale, sentenza dell’8 giugno 1984, n. 170).[13] CGUE, sentenza Dansk Industri, 19 aprile 2016, causa C-441/14.[14] CGUE, sentenza Aviva, 21 settembre 2017, causa C-605/15 e sentenza Impact, 15 aprile 2008, causa C-268/06.[15] CGUE, sentenza Radu Florin Salomie, 9 luglio 2015, causa C-183/14.

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