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News 10/SA/2017 Lunedì, 06 Marzo 2017 Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi Nella settimana n.09 del 2017 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff ) sono state 70 (12 quelle inviate dal Ministero della salute italiano). Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano: notificati dal Portogallo per aflatossine in arachidi provenienti dalla Cina e per Salmonella in pasto a base di pesce proveniente da Capo Verde; notificato dalla Grecia per Salmonella enterica ser. Telelkebir in semi di sesamo provenienti dal Sudan; notificato dalla Spagna per sostanza non autorizzata flusilazolo in cavolo refrigerato (Brassica oleracea) proveniente dalla Cina e per deterioramento dovuto a imballaggio difettoso di semi di paprika provenienti dalla Cina; notificato dal Regno Unito per scarso controllo della temperatura (- 12.7; -10.8; -11.7; -15.9; -16.5; -17.3; -16.4 °C) di filetti di pollo marinati, cotti e congelati provenienti dal Brasile e per aflatossine in arachidi provenienti dall’ India; notificato dalla Norvegia per certificato sanitario improprio per nocciole kernels provenienti dalla Turchia; notificato dall’Italia per Salmonella in foglie di moringa in polvere e semi di moringa provenienti dall’India e per clorpirifos, propiconazolo e sostanza non autorizzata clorfenapir in peperoni proveniente dall’Egitto, per aflatossine in pistacchi provenienti dalla Turchia e per Salmonella in semi di sesamo scafo provenienti dall’ India; notificato dalla Bulgaria per aflatossine in arachidi in guscio provenienti dall’ Egitto. Allerta notificati dall’ Italia: per istamina in filetti di sgombro congelati (Scomber scombrus) provenienti dall’Olanda; per mercurio

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News 10/SA/2017 Lunedì, 06 Marzo 2017

Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi

Nella settimana n.09 del 2017 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 70 (12 quelle inviate dal Ministero della salute italiano).

Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano: notificati dal Portogallo per aflatossine in arachidi provenienti dalla Cina e per Salmonella in pasto a base di pesce proveniente da Capo Verde; notificato dalla Grecia per Salmonella enterica ser. Telelkebir in semi di sesamo provenienti dal Sudan; notificato dalla Spagna per sostanza non autorizzata flusilazolo in cavolo refrigerato (Brassica oleracea) proveniente dalla Cina e per deterioramento dovuto a imballaggio difettoso di semi di paprika provenienti dalla Cina; notificato dal Regno Unito per scarso controllo della temperatura (-12.7; -10.8; -11.7; -15.9; -16.5; -17.3; -16.4 °C) di filetti di pollo marinati, cotti e congelati provenienti dal Brasile e per aflatossine in arachidi provenienti dall’ India; notificato dalla Norvegia per certificato sanitario improprio per nocciole kernels provenienti dalla Turchia; notificato dall’Italia per Salmonella in foglie di moringa in polvere e semi di moringa provenienti dall’India e per clorpirifos, propiconazolo e sostanza non autorizzata clorfenapir in peperoni proveniente dall’Egitto, per aflatossine in pistacchi provenienti dalla Turchia e per Salmonella in semi di sesamo scafo provenienti dall’ India; notificato dalla Bulgaria per aflatossine in arachidi in guscio provenienti dall’ Egitto.

Allerta notificati dall’ Italia: per istamina in filetti di sgombro congelati (Scomber scombrus) provenienti dall’Olanda; per mercurio in fette di verdesca congelata (Prionace glauca) con la pelle provenienti dal Portogallo; per epidemia di origine alimentare causata da istamina in lombi di tonno pilla gialla congelato (Thunnus albacares) provenienti dalla Spagna; per livello di residui sopra MRL per cloxacillina in formaggio fresco di capra proveniente dall’ Italia.

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Allerta notificati: dalla Germania per Salmonella in aringhe congelate in olio provenienti dall’Olanda; dall’ Ungheria per Listeria monocytogenes in ricotta congelata e torte alle pere provenienti dall’ Italia; dalla Francia per frammento di vetro in stevia dolcificante in vaso di vetro proveniente dalla Germania e per aflatossine in fichi secchi provenienti dalla Spagna; dal Regno Unito per non dichiarato latte come ingrediente e senape in filetti impanati congelati di eglefino provenienti dal Regno Unito e per frammenti di metallo e pezzi di legno in pasta per pizza a palle provenienti dal Regno Unito; dall’Olanda per senape non dichiarato in integratore alimentare proveniente dall’Olanda, per frammenti di metallo in vasetti di vetro contenenti biscotti caramellati diffusi dal Belgio e per olio minerale in biscotti al formaggio provenienti dall’Olanda, con materia prima proveniente dall’Irlanda; dall’Irlanda per Listeria monocytogenes in formaggio blu proveniente dall’Irlanda.

Nella lista delle informative troviamo notificate: dall’Italia per cadmio in calamari volanti refrigerati (Todarodes sagittatus) provenienti dalla Spagna, per mercurio in pesce spada fresco (Xiphias gladius) proveniente dalla Spagna, per migrazione of cromo da coltelli da bistecca provenienti dalla Cina e per cadmio in intero blocco pulito di calamari congelati (Loligo spp) provenienti dall’ India; dalla Polonia per Salmonella enterica ser. Enteritidis in pasto a base di pesce proveniente da Latvia; dall’Olanda per trattamento al monossido di carbonio di prodotti congelati di sashimi congelato di tonno a pinne gialle proveniente dalla Danimarca, con materia prima proveniente dal Vietnam; dall’Estonia per Salmonella enterica ser. Derby in spalla di maiale proveniente dalla Germania; dalla Spagna per contenuto troppo alto di solfiti in gamberetti interi congelati (Penaeus vannamei) provenienti dal Venezuela; dal Belgio per mercurio in lombi di pesce spada refrigerati (Xiphias gladius) provenienti dalla Spagna, per scorpione morto in scatola contenente gamberetti, noodles, citronella e verdura con istruzioni di cottura provenienti dall’ Olanda e per Salmonella in proteine animali trasformate provenienti dalla Germania; dalla Slovacchia per Salmonella enterica ser. Derby in miscela macinata refrigerata di maiale e manzo proveniente dalla Germania.

Fonte: rasff.eu

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L’ennesima bufala sulla riabilitazione da parte della scienza dell’olio di palma invade la rete. Gli organizzatori del convegno dell’Università di Napoli però smentiscono qualsiasi assoluzione.

Nelle ultime settimane si moltiplicano gli interventi per riabilitare l’olio di palma

Nelle ultime settimane si sono moltiplicati sui giornali e nelle trasmissioni televisive gli interventi per riabilitare l’olio di palma, considerato un alimento ingiustamente demonizzato. In tutto ciò c’è lo zampino della lobby di alcuni produttori, che continuano a insistere sulla bontà dell’olio tropicale. In questi  discorsi  si sorvola su due elementi  fondamentali: la questione ambientale correlata alla distruzione delle foreste pluviali e l’eccessiva presenza del l’olio palma nella dieta egli italiani.  Quando abbiamo avviato la nostra campagna nel 2014, il 95% dei prodotti  alimentari di seconda trasformazione conteneva l’olio tropicale. Adesso è ragionevole pensare che la percentuale sia scesa sino al 20-30%, anche se non esistono dati ufficiali.  I consumatori possono quindi scegliere se acquistare prodotti preparati con un olio tropicale di mediocre qualità ricco di acidi grassi saturi, oppure  biscotti, cracker e quant’altro ottenuti con olio di mais e girasole. L’esempio di Barilla che ha eliminato il palma da tutto l’assortimento Mulino Bianco e dichiara in etichetta  “– 70% di acidi grassi saturi” è l’esempio evidente del cambiamento del valore nutrizionale dei prodotti.

L’ultimo tentativo di stravolgere le evidenze scientifiche e di assolvere

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il grasso tropicale, si è registrato a Napoli in un convegno dal titolo “Olio di Palma sì, olio di Palma no” tenutosi il 10  febbraio presso il Dipartimento di Farmacia dell’Università Federico II.  In rete e sui giornali abbiamo letto moltissimi articoli che, travisando in modo palese le parole dei relatori, annunciavano  la riabilitazione del palma a parte della scienza. Per arginare questa falsa notizia, gli organizzatori del convegno hanno diffuso un comunicato stampa per far sapere cosa è stato detto realmente.

L’incontro, organizzato dal professor Alberto Ritieni, ha coinvolto il professor Gabriele Riccardi, ordinario di Malattie del Metabolismo presso l’Università Federico II e il dottor Marco Silano, Direttore del Reparto Alimentazione, nutrizione e salute dell’Istituto Superiore di Sanità, per trattare le potenziali ricadute nutrizionali, di sicurezza e l’impatto sulla salute dei consumatori del consumo di olio di palma.

Entrambi i relatori hanno sottolineato come, pur senza voler lanciare anatemi e liste di proscrizione, sia necessaria una certa cautela nell’uso dell’olio tropicale e degli alimenti che lo contengono. Tra questi sono presenti in prevalenza prodotti da forno, creme spalmabili e merendine preparati a livello industriale. L’industria alimentare preferisce l’olio di palma ad altri grassi perché costa poco ed è in grado di dare consistenza cremosa o croccante agli alimenti. Tuttavia si tratta di un ingrediente con un contenuto di acidi grassi saturi- responsabili dell’innalzamento dei livelli di colesterolo nel sangue – superiore alla maggior parte degli altri oli quali: olio d’oliva, olio di semi di girasole, olio di soia e olio di mais. Questi oli hanno il vantaggio di  avere un  contenuto di acidi grassi mono/polinsaturi che contribuiscono a mantenere il colesterolo sotto controllo. Solamente il burro ha un contenuto percentuale di acidi grassi saturi simile a quello dell’olio di palma, ma c’è una differenza importante. L’acido palmitico dell’olio tropicale (componente posta sotto accusa dai nutrizionisti)  è presente in quantità doppia rispetto al burro. Questo va debitamente considerato giacché ricerche recenti hanno dimostrato che non tutti i grassi saturi hanno gli stessi effetti negativi per la salute  e per il sistema cardiovascolare.  Mentre alcuni di essi – in particolare l’acido palmitico – contribuiscono ad aumentare significativamente i livelli di colesterolo, altri, come l’acido stearico (contenuto, ad esempio, nella sugna) sono relativamente meno dannosi. L’acido palmitico è presente anche in altri alimenti come la carne e i prodotti caseari (formaggi, latticini, burro, creme), ma è particolarmente abbondante nell’olio di palma.

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Alla luce di queste considerazioni – ricorda il comunicato – appare logico raccomandare all’industria di sostituire, quando possibile, l’olio di palma con altri grassi che, anche se più costosi, sono certamente più salutari in quanto in grado di contribuire a mantenere sotto controllo i livelli di colesterolo riducendo, così, il rischio cardiovascolare. Occorre, però, considerare che gli alimenti contenenti olio tropicale forniscono, in media, soltanto circa il 10 % del totale di acidi grassi assunti dalla popolazione adulta in Italia (nei bambini e negli adolescenti il suo contributo è significativamente più elevato). Tuttavia, essendo principalmente presenti nei  prodotti industriali in gran parte utilizzati a fini voluttuari, sono anche quelli che si possono limitare. Infatti, altre fonti di grassi saturi – come i derivati del latte o la carne – contengono proteine nobili e altri nutrienti che giustificano ampiamente la loro presenza, sebbene in quantità moderate, nella dieta abituale.

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Nel convegno sono stati ribaditi i potenziali problemi legati alla presenza di sostanze cancerogene derivate dal processo di raffinazione

I potenziali problemi per la salute dovuti a un eccessivo consumo di olio di palma sono legati anche alla presenza di tre sostanze tossiche (una delle quali classificata come genotossica e cancerogena) appartenenti al gruppo dei glicidil esteri. Per questo motivo il consumo abituale di prodotti alimentari contenenti quantità rilevanti di olio di palma viene indicato come potenzialmente rischioso, soprattutto per bambini e adolescenti da parte dell’Autorità per la sicurezza alimentare europea (Efsa) in un documento che richiama l’attenzione sulla presenza nell’olio tropicale di questi  contaminanti che si formano nel processo di raffinazione ad alte temperature (200°C) di oli vegetali. L’Efsa ha focalizzato l’attenzione sull’olio di palma perché le quantità in esso presenti sono di gran lunga superiori rispetto agli altri grassi vegetali: 6/7 volte superiore rispetto all’olio di mais, alle miscele di olio per friggere e almeno 70 volte rispetto all’olio di oliva.

Insomma, olio di palma sì o olio di palma no? Il convegno ha lasciato la risposta, come ovvio, ai singoli consumatori. Tuttavia le informazioni condivise con i partecipanti consentono a ciascuno di fare la scelta giusta che, come sempre in ambito nutrizionale, non può che basarsi sul senso dell’equilibrio e la razionalità.

Fonte: www.ilfattoalimentare.it

Dichiarazione nutrizionale e tolleranze, il caso della pasta. Commento dell’avvocato Dario Dongo.

La dichiarazione nutrizionale, come si è visto, può venire basata su analisi di

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laboratorio, ovvero su calcolo “effettuato a partire da valori medi (noti o effettivi) relativi agli ingredienti utilizzati”, o ancora su calcolo effettuato a partire da dati “generalmente stabiliti e accettati”.

L’operatore che intenda mettere in luce le caratteristiche peculiari e distintive del proprio alimento rispetto ad altri che appartengano alla stessa categoria – anche a prescindere dall’utilizzo di ‘claim’ nutrizionali – deve tuttavia basare la propria dichiarazione sull’esito di analisi, da registrare e ripetere con appropriata frequenza anche in vista di periodiche revisioni dell’informazione in etichetta.

Nel caso della pasta ad esempio, un’accurata selezione delle semole può consentire di ottenere un tenore proteico superiore alla norma, la cui citazione in tabella contribuisce a esprimerne il valore intrinseco (insieme ad altri elementi, come l’origine della materia prima, i tempi e le temperature di essiccazione, la trafilatura).

A tal uopo giova sottolineare come il regolamento UE 1169/11 riferisca l’obbligo di dichiarazione nutrizionale a un valore medio, che deve effettivamente intendersi e venire dimostrato in quanto tale. Le variazioni (tanto in negativo, quanto in positivo) rispetto al valore dichiarato possono quindi venire tollerate a condizione della coerenza del valore dichiarato con la media che si riscontri su una pluralità di lotti rappresentativi della produzione nella sua continuità.

Qualora il valore effettivo – a seguito di analisi su un singolo lotto da parte delle autorità di controllo, o di associazioni di consumatori o riviste specializzate – risulti inferiore (o superiore) rispetto a quello dichiarato, l’azienda dev’essere perciò in grado di dimostrare l’irrilevanza statistica della difformità, mediante opportune prove. Esponendosi, altrimenti, al rischio di contestazioni che rilevano sotto vari profili, a partire da quello reputazionale.Dario Dongo

Fonte: http://www.foodagriculturerequirements.com

Pesce povero: una ricchezza sprecata.

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Il variopinto mondo dei dietisti, nutrizionisti, cuochi ed affini ci invita a consumare i prodotti ittici sia per il loro valore nutrizionale, sia perché costituenti fondamentali della dieta mediterranea. Queste raccomandazioni sono state ben recepite da chi produce e mette in commercio gli alimenti ittici mettendo a disposizione dei consumatori prodotti di ottima qualità, facili da consumare e prezzi alle volte al limite della decenza commerciale.Sul mercato troviamo infatti pesci, molluschi, crostacei sia freschi che trasformati di gran pregio, ma anche, seppure in misura minore, prodotti che costano meno e che spesso per questo motivo sono ritenuti di scarso pregio anche nutrizionale.Siamo abbagliati da alcuni pesci di mare (spigole, tranci di merluzzo, ecc.) dal salmone affumicato dei mari del Nord, dalle aragoste, dal tonno in scatola in filetti, i filetti di pesce persico; spesso “snobbiamo” le alici, le sarde, i cefali, le trote e anche altri pesci di allevamento senza renderci conto che le differenze da un punto di vista nutrizionale sono quasi inesistenti.Ai commercianti è sicuramente più vantaggioso vendere pesci di pregio in quanto a parità di peso c’è meno lavoro da fare ed i guadagni sono superiori.Anche ai sempre più rari consumatori (o meglio consumatrici) che cucinano in casa fare una una spigola al forno è molto più semplice che “spinare” un kg di alici da friggere.Anche ai ristoratori conviene vendere un bel pesce arrosto con patate di relativa facile preparazione e di costo elevato, che una frittura di paranza da cuocere espressamente con impegno di personale, ma che costa spesso meno della metà.Come è facile comprendere questo stato di cose ha spostato in modo significativo i gusti alimentari degli italiani ed ha anche condizionato le attività della pesca. I nostri pescatori sono stati costretti a catturare prevalentemente pesci di pregio ed hanno dovuto anche subire la concorrenza selvaggia dei pescatori giapponesi che hanno depredato il tonno rosso del Mediterraneo.La nostra acquacoltura non riesce ancora a decollare, ma deve difendersi da legacci burocratici e concorrenze più o meno lecite di produttori di altri Paesi. Le conseguenze sono state drammatiche in quanto c’è stato un forte depauperamento delle nostre risorse ittiche e siamo stati costretti a massicce importazioni di pesci, molluschi e crostacei stimando che al momento attuale ammontano a circa il 70 % dei nostri consumi.La situazione è resa ancor più drammatica ove si consideri che molto pesce pescato nei nostri mari (probabilmente intorno al 15 %) viene buttato perché non trova sbocchi nei mercati nazionali.

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Si tratta prevalentemente di pesce azzurro (alici, sardine, cefali, ecc.) che pur avendo delle ottime caratteristiche nutrizionali, di fatto non viene consumato. Le ragioni di questo disastro vero e proprio sono diverse.Molto spesso si tratta di pesci che sono presenti in abbondanza soltanto in determinati periodi dell’anno e non sono adatti per la grande distribuzione che invece vuole la presenza dello stesso prodotto per tutto l’anno.Quando arrivano sui mercati spuntano dei prezzi molto bassi e per i pescatori può risultare più conveniente sbarazzarsene.Sono conosciuti prevalentemente dalle popolazioni costiere di alcune regioni che li sanno cucinare e/o conservare. Peraltro cucinarli, come accennato, sia a livello domestico che nei ristoranti, richiede abilità e, soprattutto, molto tempo.Insomma può risultare paradossalmente più conveniente “sprecare” una importante risorsa alimentare piuttosto che mangiarla.Il problema è ben presente al Ministero delle Risorse Agricole che ha deciso di finanziare un progetto che ha preso il nome di “pappa fish”. L’idea è molto semplice e consiste nell’inserire nei menu delle mense di alcune collettività (scuole, ospedali) il “pesce povero”; alcune aziende si sono organizzate nel lavorare questo pesce trasformandolo in filetti, polpette ecc. che vengono poi serviti nelle mense.I vantaggi sono molteplici. Si serve infatti un prodotto fresco di ottime qualità nutrizionali e con costi piuttosto ridotti. I pescatori riescono a “piazzare” il loro pescato “povero” a prezzi accettabili e infine si educano  i consumatori a mangiare bene e sano.Il progetto ha avuto un buon successo e l’intenzione è quella di ripetere l’iniziativa in una scala più ampia.Sostituendo i filetti di pangasio e i bastoncini surgelati con dell’ottimo pesce azzurro si insegna a mangiare meglio, si da un consistente aiuto alla nostra asfittica pesca e anche ad evitare degli sprechi. Per dirla come un messaggio pubblicitario: “ma cosa vuoi di più dalla vita?”. Forse soltanto una maggiore sensibilizzazione da tutti i cittadini a consumare l’ottimo pesce di “scarto” dei nostri mari. (Dal blog di Agostino Macrì)

Fonte: sicurezzalimentare.it