musica leggera n.7

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Anteprima della rivista Musica Leggera n.6

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Schermo bianco, sottofondo ritmico appena percettibile. Rettan-golo in alto a sinistra. Scritta virgolettata: «Quanta gente esiste daqueste parti che parla tanto e non dice niente: o quasi niente».Un po’ qualunquistico, magari, ma efficace. Purché le tagliole edi-toriali lo lascino passare. Tutto dipende da chi la canta. Anche unacanzonetta ha bisogno di credibilità. Altro spazio bianco. Compareun viso da “jazzista”. Di quelli che sanno tutto sulla musica. Pri-missimo piano delle labbra. Il jazzista parla: «Sì, va bene, ma l’ini-zio è uguale all’inizio di Night and day… “Like the beat beat beat ofthe tom-tom, when the jungle shadows fall…”. Carlo Pes inter-viene: «Fa’ un po’ sentire come fa esattamente… Dove l’hai tro-vata? Gajarda!…». Forse l’aggettivo non è del tutto pertinente, marende l’idea. Fa parte di un pacchetto di motivi che comprende Laragazza di Ipanema e Menina flor. Inserto a destra. Grande scrivaniaalla quale è seduto l’editore. L’editore medita per qualche secondo.Poi, con una certa reticenza, come se temesse di offendere la sen-sibilità altrui o di passare per un editore chiuso alle proposte “dirottura”, sentenzia: «Certo. Capisco l’entusiasmo… Ma a chi vuoiche interessi questo tipo di musica?». Inserto di corde di chitarra.

Fuori campo la voce di un cantante sta cantando: «Questa è bossanova… Questo è molto naturale…». Forse, qualcuno c’è. I variframmenti d’immagini si muovono rapidamente come i quadratinidel gioco del “quindici”. L’immagine conclusiva non si forma an-cora. Coro: “Ca…te…-ri…-na. Oh oh oh oh…”. Ma come no? Biso-gnava pensarci subito! Con Caterina (Valente, e chi sennò?)abbiamo passato giorni di galaverna che faceva brillare le piantedel giardino dello studio della Teldec di Berlino, mentre lei regi-strava un album di canzoni di Luis Bonfà, quello di Orfeu Negro, conle quali contrapponevamo al gelo idee di sabbia calda e dorata chenascevano insieme alla musica in quello che è stato, credo, il suoprimo disco tutto brasiliano… E adesso arriva quest’altra proposta:Samba di una nota. Caterina, con un grande sorriso, domanda:«Davvero, vorresti che la cantassi io?». Ride e aggiunge: «PrimaBonfà, adesso Jobim. Finirò per specializzarmi. Fammela provareun momento…». Prende la chitarra e comincia: «Per un samba pic-colino, una nota basterà…». E va fino in fondo senza problemi. Na-turalmente. Se un abito ti va bene, indossalo, dice un proverbio. E nonc’è stata nessuna modifica da fare.

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Antonio Carlos Jobim, il compositoredi Samba de uma nota so.

di Guido Racca

Samba di una nota, o meglio Samba de uma nota so, è una delle can-zoni simbolo della bossa nova, insieme a Desafinado, Ragazza di Ipa-nema, Chega de saudade e poche altre. Scritta da Newton Mendonçasu musica di Antonio Carlos Jobim, è stata lanciata da Joao Gilbertosu un extended play della Odeon Brasil nel 1959 e successivamenteinserita anche nel suo secondo album O AMOR, O SORRISO E AFLOR del 1960. All’epoca del suo lancio, ebbe successo solo in Bra-sile. Esplose in tutto il mondo solo nel 1962, quando la bossa nova fupopolarizzata negli Stati Uniti prima da Stan Getz & Charlie Byrdcon l’album JAZZ SAMBA, quindi da Tom Jobim (col nome tradottoin inglese) in un famoso concerto alla Carnegie Hall di New York. Daallora è considerata un “evergreen”: nei Paesi di lingua inglese è co-nosciuta come One note samba, con parole tradotte dallo stessoJobim, ed è stata incisa fra gli altri da Frank Sinatra, Eydie Gorme,Earl Grant, Sergio Mendes, Astrud Gilberto e Quincy Jones. La ver-sione italiana porta invece la firma di Giorgio Calabrese (“Per unsamba piccolino / una nota basterà / altre note troverò / ma labase è tutta qua”) ed è stata lanciata da Caterina Valentenel 1962 (su un 45 giri Decca 45-C-16576, retro: Corco-vado). Altre interpretazioni: Carlo Pes (1962, Ri-cordi), Rocco Balsamo (1962, General Record), IvanaCosetta (1962, flexy NET), Nicola Di Bari (nell’album

UN ALTRO SUD, RCA, 1973). A dispettodella sua fama, Samba di una nota è

apparsa di rado su disco, mentre èstata spesso cantata dal vivo in

trasmissioni televisive. Tra leprime la più interessante è

senza dubbio quella di MiaMartini, pubblicata postuma

nel 1996 (nella raccolta MIMÌBERTÉ, OnSale Music, mentre

la meno nota è probabilmente quella dell’attore-cantante-cabarettista Enzo Guarini (in SORRIDETE, PREGO del 1970). È stataincisa anche da Sandie Shaw (CD: Sandie Shaw Supplement, EMI,2005). Più recente, del 2006, è la versione del duo Montefiori Cock-tail (nell’album Montefiori appetizer vol.1, EMI). Tra le esecuzioni te-levisive segnaliamo quella che ne fecero Johnny Dorelli e OrnellaVanoni in Gran Varietà (1974) e quella cantata da Raffaella Carrà inFantastico 3 (1982). Di queste ultime due versioni non esiste peròtraccia discografica. Infine, un’occhiata alla performance di classi-fica: stranamente questo brano non compare mai nelle liste di «Mu-sica & Dischi» o di altre riviste italiane del periodo. L’unicaapparizione è quella documentata dalla rivista mensile «Musica nelmondo» nel numero di maggio 1962, quando la Samba di una nota diCaterina Valente entra al 21° posto in classifica e vi rimane solo perun mese. Decisamente più fortunata la versione originale del brano:

l’album O AMOR, O SORRISO E A FLOR di JoaoGilberto (che contiene Samba de uma nota so)entrò infatti al 2° posto nella classifica deglialbum del mensile «Tuttamusica» nel di-

cembre 1962 (da notare che al primo postoc’era un altro disco di Joao Gilberto, il

leggendario CHEGA DE SAUDADE).Nel mese successivo scalerà di due po-sizioni, rimanendovi poi anche nei mesidi febbraio e marzo 1963. Nelle classifi-che americane il pezzo ha goduto di unsuccesso ancora più grande: nel 1962,infatti, l’album JAZZ SAMBA del duoamericano Stan Getz & Charlie Byrd

(contenente fra l’altro One note samba) sipiazzò addirittura al numero uno.

SAMBA DI UNA NOTA STORY

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Al momento il tuo ultimo lavoro che, per co-modità, possiamo definire non di musica leg-gera è CAMPI MAGNETICI del 2000. Comegiudichi quel disco oggi?Sette o otto anni fa, in India, presi parte a un fe-stival di musica sacra organizzato dal Dalai Lama.Ero l’unico artista occidentale ed eseguii alcunibrani tratti da CAMPI MAGNETICI, quelli più ip-notici e musicalmente meno duri. A parte il fattoche già durante le prove vidi avvicinarsi una tren-tina di monaci tibetani interessatissimi a quelloche stavano ascoltando, alla fine del concerto siformò una fila di indiani che volevano acquistarei pezzi che avevano appena sentito. Credo, in-somma, che quel disco, nato originariamentecome musica per balletto, sia un lavoro riuscito.Detto ciò, è molto difficile che un episodio comequello che ho appena raccontato possa accaderein Italia. L’aspetto positivo del pubblico italiano èche ogni tanto può spiazzarti, accogliendo unacerta canzone in una maniera che non avevi pre-visto, però gli manca quasi completamente la ca-pacità di seguire un artista anche su piani diversidal consueto. Gli italiani, tendenzialmente, nonamano le scommesse, preferiscono ascoltaresempre la stessa canzone piuttosto che avventu-rarsi su un terreno di novità.

Da questo punto di vista, però, non tipuoi lamentare. Tu sei uno dei po-chissimi che siano riusciti a man-tenere sempre un vasto seguitopur non compiacendo mai piùdi tanto i propri estimatori.Sì, hai ragione, difatti sono moltograto al mio pubblico. Negli ultimitempi, in particolare, ho riscontratodurante i miei concerti una qualitàdi ascolto davvero elevata: si stenta acredere di trovarsi in Italia.

Cambiando argomento, so che nelnuovo film che hai intenzione di diri-gere ti occuperai di alcune eccellenzemusicali del Settecento.Sì, la pellicola (che sarà piuttosto costosa eper la quale non ho ancora trovato tutti i fi-nanziamenti) tratterà della vita di FriedrichHändel e di alcuni musicisti italiani, tra cui Ales-sandro e Domenico Scarlatti. Nel Settecento leopere venivano composte dovunque in italiano el’Europa intera cantava nella nostra lingua. Mi oc-cuperò inoltre di compositori italiani oggi pococonosciuti ma di immenso talento, come AntonioCaldara e Giovanni Bononcini. E poi parlerò diCarlo Broschi detto Farinelli, il più grande can-tante del XVIII secolo.

Il famoso castrato…Negli anni Novanta gli è anche stato dedicato unpessimo film di produzione italo-francese che, sulpiano storico, non ha reso alcuna giustizia al per-sonaggio. Io mi concentrerò sul periodo inglese

di Farinelli, durante il quale, in virtù del suoenorme valore, riuscì a fare ombra anche a unfuoriclasse come Händel. Tra l’altro è una leg-genda quella che afferma che i castrati non po-tessero avere rapporti sessuali. Potevano averli,invece, anche se ovviamente erano sterili. E anzi,proprio per queste loro caratteristiche, accadevaspesso che divenissero amanti delle dame dicorte.

Ma come farai a trovare qualcuno che inter-preti in maniera credibile un castrato, specieper quello che riguarda la voce?Sono in pochi a saperlo, ma i castrati esistono an-cora oggi. Generalmente li si classifica come con-trotenori o sopranisti, io ne ho già selezionati unaventina: due o tre francesi, quattro o cinque del-l’Europa dell’Est, alcuni americani e qualche giap-ponese. Sono richiestissimi e hanno delle vociinimmaginabili: dopo che li hai sentiti cantarel’ascolto di un normale soprano ti risulta insop-portabile.

Nel tuo nuovo disco recuperi con nuovi arran-giamenti alcune canzoni, diciamo così, minoridel tuo repertorio.

È un progetto che nasce dal desiderio di daremaggiore visibilità a pezzi che, per un motivo oper l’altro, ne hanno ricevuta meno di quanta a

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MASTER TAPE: Franco Battiato

Franco Battiato nel celebre scattodi Gianni Sassi utilizzato per unacampagna pubblicitaria deidivani Busnelli del 1971.

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Hai citato Stage Door: ho notato che durantele ultime esecuzioni live di questo brano haieliminato l’invettiva, quella che inizia con iversi “Perché noi siamo liberi di fare quelloche vogliamo, di uccidere, stuprare, rapi-nare…”.Nel disco invece c’è, anche se ho tagliato l’ultimoverso.

«Parlare e dire solo sempre inutili cazzate»?Quello.

È un’autocensura che ricorda quella che prati-casti sui “peli del Papa” di Magic Shop…Esattamente, ogni tanto si taglia!

Quali altri pezzi significativi contiene il disco? Più o meno sono quelli che ho eseguito durantel’ultimo tour, come No Time No Space e Un’altravita. Poi ci sono due singoli inediti. Il primo è unpezzo molto triste, in siciliano, una sorta di litaniain rima, cantata sia da me sia da Sgalambro. Iltesto è a quattro mani, per metà mio e per metàdi Manlio. L’altro brano, invece, è molto violentoe mi è stato ispirato dall’attuale situazione poli-tica italiana: s’intitola Inneres Auge, che in tede-sco significa “occhio interiore”. Se, nel miopiccolo, posso offrire un contributo affinché mutilo stato delle cose, lo faccio volentieri, anche seciò mi obbliga a costringere la musica nella sferadel sociale, operazione che notoriamente amopoco.

mio avviso ne meritassero. Penso a brani comeStage Door o L’incantesimo, entrambi i qualisono stati appunto ripresi nel nuovo disco, braniche negli anni Novanta avevo inserito all’internodi CD singoli a limitatissima circolazione. Si tratta,per come la vedo io, di canzoni molto superioriad altre che hanno riscosso un successo di granlunga maggiore.

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milanesi, riempiendoli. È in una di queste se-rate che li vede Miki Del Prete, che punta fortesu di loro e li porta alla Kansas, etichetta sa-tellite del Clan di Celentano che gestisce in-sieme a Domenico Serengay. Anche perché (enon è leggenda) il pubblico più giovane si recanei negozi di dischi e chiede Sha La La La La ePortami tante rose, pezzi che i Camaleonti

stanno eseguendo con successodal vivo ma che di fatto non

Reduci da vari gruppi dell’area milanese(i Beatnicks, i Demoniaci di Teo Teo-coli, i Marines, Le Ombre), Livio Mac-

chia, Paolo De Ceglie e Gerardo (Gerry)Manzoli si uniscono all’amico-cantante RikyMaiocchi, che per conto suo ha già inciso due45 giri. È il 1964 e il loro intento è dar vita auna linea d’avanguardia e a un sound esplo-sivo, sull’onda della spinta inglese e ameri-

Si chiama Santa Tecla ed è il tempio milanese del jazz. Poi però le mode passano e la salasi svuota. È l’ora di cambiare e dopo un’iniziale diffidenza lo scarso pubblico rimasto silascia coinvolgere da cinque scatenati sconosciuti che hanno scelto di chiamarsiCamaleonti. Il loro successo è strepitoso e traccia una linea di confine tra il vecchio e ilnuovo. Intanto il Santa Tecla si ripopola.

cana. Quando dai Trappers arriva anche il gio-vanissimo tastierista Tonino Cripezzi (frescodiplomato di conservatorio) i Camaleontisono pronti a decollare. La band si fa le ossanei night-club, nelle balere e nei dancing e,pur di avere una strumentazione “ad hoc”,s’indebita per una cifra astronomica perl’epoca: cinque milioni di lire. Temeraria econvinta d’avere le carte in regola persfondare, scorrazza con un furgoneVolkswagen rosso e bianco e sifa conoscere nei migliori locali

I Camaleonti posano in co-stume da bagno sulla spiag-gia di Sestri Levante: dasinistra, Paolo De Ceglie,Jerry Manzoli, Tonino Cri-pezzi e Livio Macchia. RikiMaiocchi è appena uscitodal gruppo.

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Renato Marengo nasce a Napoli il 5 febbraio1943. Grazie a suo padre, prima viola nell’or-chestra del Teatro San Carlo, si avvicina pre-cocemente alla musica, elaborando unbackground classico aperto anche alle espe-rienze contemporanee di compositori comeCage e Stockhausen. Contemporaneamentecoltiva con passione il rock, il jazz, il folk el’elettronica. L’esperienza di critico musicalesi allarga dall’ambito classico a una moltitu-dine di generi e non di rado va di pari passocon quella di autore di testi di canzoni, in par-ticolare per gli Showmen e Umberto Bindi. Inambito giornalistico collabora con testatecome «TV Sorrisi e Canzoni» e «Ciao 2001».Nei primi anni 70 ha intanto inizio la sua vi-cenda di produttore, dapprima per La NuovaCompagnia di Canto Popolare, Eugenio Ben-nato e il gruppo Musicanova, più avanti perEdoardo Bennato, per il quale Marengo svolgesoprattutto un’intensa attività promozionale.Ormai sulla cresta dell’onda, Marengo lavoraanche con Lina Sastri, Concetta Barra, Ro-berto De Simone ed altri ancora. È il momentod’oro del cosiddetto “Neapolitan Power”: inquesto stesso solco si muove anche il percus-sionista Toni Esposito, di cui Marengo rea-lizza i primi cinque LP. Contemporanee sonole collaborazioni con la Cramps (RobertoCiotti, Schoenberg Kabarett, Mario Schiano)di Gianni Sassi, che poi nel 1979 lo coinvolgerànell’organizzazione del memorabile concertoper Demetrio Stratos all’Arena di Milano. Allaseconda metà del decennio risale il sodaliziocon Teresa De Sio, che Marengo dirotta dallarecitazione verso il canto con la complicità diEugenio Bennato nell’ambito dei Musicanova:risultato di quest’esperienza è il disco folkVILLANELLE POPOLARESCHE DEL ’500,edito nel 1979. A partire dagli anni Ottantal’attività di produttore cede il posto a quelladi giornalista, autore e conduttore radio-tele-visivo (Facimmo ’o jazz, Garofano d’ammore,Tandem, Sereno variabile, Big, Mio capitano).Attualmente Renato Marengo conduce suRadio Uno il programma Demo: suo partner inquest’ennesima avventura è l’amico storicoMichael Pergolani, con il quale nascono anchelibri come Song ’e Napule (1998) e Enciclopediadel pop-rock napoletano (2003).

Milanese del ’36, Alessandro Colombini sem-brerebbe destinato ad entrare nell’azienda difamiglia. Ma il ragazzo bazzica le cantine deljazz e al Santa Tecla conosce il discograficoWalter Gürtler, che resta colpito dalla sua co-municativa e gli offre un posto alla Jolly comevenditore. Le prime medagliette da produt-tore le ottiene alla Fonit Cetra, dove registraCANZONI DA CORTILE e CANTI DELLA LI-BERTÀ di Milva, poi c’è l’esperienza al Clan diCelentano. Quando nel 1967 firma per la Ri-cordi, Milva lo pretende come produttore: ini-zialmente scettica, la casa discografica devericredersi di fronte alle vendite record di LittleMan. Promosso direttore artistico, Colombiniinfila Se stasera sono qui, Non c’è più niente dafare, 29 settembre e Balla Linda. Nel 1969 segueMogol alla Numero Uno, dove registra ilprimo exploit di classifica dell’etichetta (Que-sto folle sentimento), mette sotto contratto laPFM (di cui poi produrrà SUONARE SUONAREe ULISSE) e segue Bruno Lauzi. L’armoniaperò s’incrina e Colombini sceglie la libertà.Come freelance produce i primi 3 dischi delBanco, poi assiste Edoardo Bennato da NONFARTI CADERE LE BRACCIA a SONO SOLOCANZONETTE, dando vita a una collabora-zione intensa quanto conflittuale, come di-mostrano gli ironici versi che il cantautorenapoletano gli dedicò in Rinnegato. Intantonel 1975 fonda la Spaghetti, che pubblica Ron,i Decibel di Enrico Ruggeri e Marco Ferradini(la fortunata Teorema). Nel 1977 Lucio Dalla lochiama per il suo esordio da cantautore: neviene fuori COME È PROFONDO IL MARE. MaColombini non ha perso la vocazione del ta-lent-scout e nel 1983 produce il primo di due di-schi di un atipico songwriter di Mestre, LucioQuarantotto: DI MATTINA MOLTO PRESTOe EHI LÀ finiranno nel dimenticatoio, maQuarantotto esploderà come autore per An-drea Bocelli (il “million seller” Con te partirò) –segno che ci aveva preso anche stavolta. In-tanto nel 1982 è uscita la sua prima produ-zione per Antonello Venditti, SOTTO LAPIOGGIA, che segna il ritorno del romanodopo 4 anni di silenzio discografico. Da allorai due non si sono più separati. Del resto, Ales-sandro predilige le relazioni a lungo termine:con Michele Zarrillo, ad esempio, ha fatto 8album tra il 1990 e il 2000.

Alessandro Colombinidi Maurizio Becker

Renato Marengodi Melisanda Massei Autunnali

Mariano Rapettidi Christian Calabrese

Mariano Rapetti nasce a Milano il 7 gennaiodel 1911. Si diploma al Conservatorio GiuseppeVerdi e subito s’impone come pianista e com-positore di notevole gusto e capacità. La suaproduzione come autore di canzoni camminaparallelamente alla sua carriera di dirigentediscografico ed editoriale: da funzionario dellaRicordi Radio Record, nel 1958 Rapetti passainfatti alla direzione del neonato ramo “mu-sica leggera” del Gruppo Ricordi. È l’epocadella scuola genovese/milanese e autori comeGiorgio Gaber, Enzo Jannacci, Luigi Tenco,Umberto Bindi, Gino Paoli, Giorgio Calabrese,i fratelli Reverberi, Maria Monti, Umberto Si-monetta e altri ancora trovano in lui un ap-prodo sicuro e un prezioso trampolino dilancio. Come autore, intanto, Rapetti utilizzalo pseudonimo di Calibi per firmare canzonicome Fumo negli occhi (versione italiana diSmoke Gets In Your Eyes), che avrà successograzie a Meme Bianchi, Natalino Otto e tan-tissimi altri esecutori nel corso degli anni. ASanremo si fa valere con Vecchio scarpone(Gino Latilla e Giorgio Consolini, terza classi-ficata al Festival del 1953) e Le colline sono infiore (eseguito in doppia versione da WilmaGoich e The New Christy Minstrels nell’edi-zione del 1965). Per ragioni meramente edito-riali (autori non ancora iscritti alla SIAE) il suonome figura poi nei crediti di Benzina e cerini,Le strade di notte e Quei capelli spettinati diGaber, nonché di I tuoi vent’anni, Chiedi al tuocuore e La brava gente di Endrigo. Ma la lista dicanzoni legate a lui e degne di menzione èlunghissima e comprende molte cover illustri:Magic Moments, Alone (titolo italiano Buondì,cantata da Betty Curtis), Quel treno per Yuma,I’ll Never Fall In Love Again (L’estate tornerà conte) e Scandalo al sole, lanciata tra gli altri daCarla Boni e Lia Scutari. Nel 1969 decide dimettersi in proprio e fonda la Numero Unoassieme al figlio Giulio (Mogol), AlessandroColombini, Franco Daldello e Lucio Battisti. Ilsuo posto in Ricordi passa a Federico MontiArduini (Il Guardiano Del Faro, ndr), suo col-laboratore da pochi mesi. Refrattario alle co-siddette “luci della ribalta”, Rapetti preferiscerimanere nell’ombra fino alla sua scomparsa(avvenuta all’inizio degli anni 90), così comesi addice a un professionista.

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