mu6 - n. 34

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Editore Associazione Amici dei Musei d’Abruzzo | S.S. 5 bis n. 5, 67100 L’Aquila Tribunale dell’Aquila n°553 del Registro Giornali 18.03.2006 A R T E | C U L T U R A | I M P R E S A | P A E S A G G I O | T E R R I T O R I O F I D A M VITTORIO STORARO SCRIVERE CON LA LUCE PERCHÉ LA LUCE È L’ENERGIA DELL’IMMAGINE ENZO CALABRESE IL TAVOLO COME UNA PIAZZA, IL BICCHIERE COME UN PALAZZO RE-PLACE LUCI SULLA CITTÀ. LO SPAZIO URBANO DESCRITTO COME SISTEMA DI “SEGNI” Anno XI / I Trimestre n° 34 - 2016 Periodico Trimestrale Gratuito - Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale - 70% - Pescara

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A R T E | C U L T U R A | I M P R E S A | P A E S A G G I O | T E R R I T O R I O F I D A M

VITTORIO STORARO SCRIVERE CON LA LUCE PERCHÉ LA LUCE È L’ENERGIA DELL’IMMAGINE

ENZO CALABRESEIL TAVOLO COME UNA PIAZZA, IL BICCHIERE COME UN PALAZZO

RE-PLACELUCI SULLA CITTÀ. LO SPAZIO URBANO DESCRITTO COME SISTEMA DI “SEGNI”

Anno XI / I Trimestre n° 34 - 2016Periodico Trimestrale Gratuito - Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale - 70% - Pescara

PAGINA 14

LA FONDAZIONE ZIMEI

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HXBXP. LE TRE DIMENSIONI PER INTERCETTARE LO SPAZIO

LUCI E OMBREEsattamente dieci anni fa, quando MU6 venne alla luce, l’intenzione era chiara: il giornale si proponeva come piattaforma di scambio e interazione tra le diverse realtà museali e culturali attive in quel momento storico in Abruzzo divulgandone i contenuti e i contenitori. Il nostro impegno, grazie alle numerose proposte di collabora-zioni che provenivano da tutta Italia, si è presto allargato presentando termini di confronto con differenti tema-tiche non sempre riferentesi al museo.

Dopo questi anni di attività il nostro impegno non è mutato, ma il giornale è ormai “adulto” e alcuni dei propositi adolescenziali sono venuti meno grazie anche alla “distrazione”di quegli enti che si ostinano a sostenere la cul-tura con il criterio di premiare la presunzione provinciale e l’accreditamento in ambienti che poco frequentano l’arte in generale. A questo punto in sintonia con la tendenza del giornale ad occuparsi, sempre di più, di arte contemporanea e dei suoi protagonisti, promuoviamo eventi volti a valorizzare l’incontro tra luogo, arte e pubblico: l’arte fuori dal museo. Esemplare, nella ricorrenza dell’anno della luce 2015, è stata la quinta edizione di Re-Place realizzata con il contributo di una giuria che ha selezionato alcune opere luminose site specific da installare in luoghi signi-ficativi della città.Molte sono le soddisfazioni del passato che inducono MU6 ad un adeguamento al passo delle irrompenti nuove tecniche di comunicazione.In conclusione, in questa ricorrenza dei dieci anni di attività, abbiamo avuto l’opportunità di interloquire e di coin-volgere protagonisti dell’arte, dell’impegno civile e delle istituzioni che hanno contribuito ad arricchire la nostra esperienza, patrimonio consolidato per affrontare i nostri prossimi impegni.

IL PUNTO

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Germana Galli

MU6 n.34Periodico Trimestrale ideato da Germana Galli

EditoreAssociazione Amici dei Musei d’AbruzzoS.S. 5bis n.5, 67100 L’Aquila

[email protected]

Direttore ResponsabileWalter Capezzali

Comitato scientificoMassimiliano Scuderi (Direttore)Domenico D’OrsognaRaffaella MorselliCaterina Palestini

Coordinamento editorialeGermana Galli

RedazioneNicla Cassino, Angela Ciano, Giovanni Di Bartolomeo, Paola Mulas, Antonella Muzi, Massimiliano Scuderi, Filippo Tronca.

Hanno collaborato:Ernesto Fanfani, Paola Marulli, Andrea Panarelli.

Si ringraziano inoltre:Simeone Crispino, Raffaella De Nicola, Bruna Esposito, Paul Fieldsend-Danks, Donata Paruccini, Giandomenico Piermarini, Davide Rivalta, Sergio Sarra, Italo Zuffi.

Progetto graficoAd.Venture / Compagnia di comunicazione

ImpaginazioneFranco Mancinelli, Ybrand

FotoEla Bialkowska OKNOstudio, pag 6Margherita Bianca-Fond. Benetton Studi Ricerche, pag 6Massimo Camplone, pag 14Francesco Ciavaglioli, pagg 17, 22Giovanni Di Bartolomeo, pag 9Gianfranco Fortuna, cover, pagg 18, 20, 21, 23Domenico Gualtieri, pag 16David Iliff (License: CC-BY-SA 3.0), pag 11Giorgio Serri, pag 19

StampaElcograf - Verona

DistribuzioneSpedizione postale

© MU6 / 2016 stampato in Italia

Per ricevere a casa la rivista è sufficiente un contributo annuo

di Euro 10,00 per la spedizione postale.

Per sostenere l’attività di MU6 invia Euro 30,00.

Il pagamento può essere effettuato sul sito della rivista

www.rivistamu6.it/abbonamenti.html

o con bonifico bancarioIBAN IT14R0538703601000000131713

intestato Associazione Amici dei Musei d’Abruzzo

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DOVE TROVARE MU6: WWW.RIVISTAMU6.IT | MUSEI DELLA REGIONE ABRUZZO | ALBANO LAZIALE: LIBRERIA COOP. DELLE BARUFFE (PIAZZA GIOSUÉ CARDUCCI, 20 - ALBANO LAZIALE) | MUSEO ARCHEOLOGICO DI VILLA FERRAJOLI (VIALE RISORGIMENTO, 3 - ALBANO LAZIALE) | AVEZZANO: LIBRERIA MONDADORI (VIA MONSIGNOR BAGNOLI, 86 - AVEZZANO) | BARI: LIBRERIA LATERZA (VIA DANTE ALIGHIERI, 53 - BARI) | BERGAMO: GAMEC (VIA SAN TOMASO,53 - BERGAMO) | BIELLA: BOOKSTORE CITTADELLARTE (VIA DI SERRALUNGA, 7 - BIELLA) | BOLOGNA: CORRAINI-MAMBO (VIA DON GIOVANNI MINZONI, 14 - BOLOGNA) | LIBRERIA FELTRINELLI (PIAZZA RAVEGNANA, 1 - BOLOGNA) | CAGLIARI: LIBRERIA MIELEAMARO (VIA MANNO, 88 - CAGLIARI) | CHIETI: LIBRERIA DE LUCA (VIA C. DE LOLLIS, 12/14 - CHIETI) | FIRENZE: LIBRERIA LA FELTRINELLI (VIA DE’ CERRETANI, 30/32R - FIRENZE) | L’AQUILA: LIBRERIA COLACCHI (VIA ANDREA BAFILE, 17- L’AQUILA) | LIBRERIA UNIVERSITARIA BENEDETTI (VIA STRINELLA, 2/D- L’AQUILA) | MATERA: MUSMA (VIA SAN GIACOMO, SASSO CAVEOSO - MATERA) | PALAZZO LANFRANCHI - MUSEO D’ARTE (PIAZZA GIOVANNI PASCOLI - MATERA) | MILANO: LIBRERIA FELTRINELLI (VIA ALESSANDRO MANZONI, 12 - MILANO) | MODENA: LA FELTRINELLI (VIA CESARE BATTISTI - MODENA) | LIBRERIA MURATORI (VIA EMILIA CENTRO, 289 - MODENA) | NUORO: LIBRERIA MIELEAMARO (CORSO GARIBALDI, 60 - NUORO) | PESCARA: PESCARA) | LIBRERIA FELTRINELLI (VIA MILANO, ANGOLO VIA TRENTO - PESCARA) | POLIGNANO A MARE: MUSEO PINO PASCALI (VIA PARCO DEL LAURO, 119 - POLIGNANO A MARE) | PONTINIA: MAP, MUSEO DELL’AGRO PONTINO (PIAZZA J.F. KENNEDY - PONTINIA) | POTENZA: MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DELLA BASILICATA “DINU ADAMESTEANU” (PALAZZO LOFFREDO, VIA ANDREA SERRAO - POTENZA) | ROMA: LIBRERIA ARION - PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI (VIA MILANO, 15/17 - ROMA) | DECANO VIAGGI (VIA ACQUI, 19 - ROMA) | LIBRERIA FELTRINELLI (VIA GIULIO CESARE, 88 - ROMA) | ROVERETO: MART (CORSO BETTINI,43 - ROVERETO) | SALERNO: LIBRERIA FELTRINELLI (VIA TORRETTA,1 - SALERNO) | TERAMO: LIBRERIA SAPIENZA (CORSO SAN GIORGIO, 81 - TERAMO) | LIBRERIA IL PENTAGONO (CORSO SAN GIORGIO, 39 - TERAMO) | LIBRERIA IL PENTAGONO (VIA CRISTOFORO COLOMBO, 153 - TERAMO) | LIBRERIA IL TEMPO LIBERO (CORSO CERULLI, 53 - TERAMO) | VASTO: NUOVA LIBRERIA (PIAZZA BARBACANI, 9 - VASTO) | WWW.RIVISTAMU6.IT

FARE LUCE

COVER

in copertina:RE-PLACE 5Stefano Divizia, Loading, 2015Forte Spagnolo, L’Aquila

Photo: Gianfranco Fortuna

PAGINA 11

UNA STORIA DI BEATA IRREGOLARITÀPaola Mulas

PAGINA 15

SPECIALE RE-PLACE 5LUCI SULLA CITTÀAntonella Muzi

PAGINA 6

ARTICOLANDO

PAGINA 4

IL PERSONAGGIOVITTORIO STORARO SCRIVERE CON LA LUCE, PERCHÉ LA LUCE È L’ENERGIA DELL’IMMAGINEAngela Ciano

PAGINA 8

ENZO CALABRESE. IL TAVOLO COME UNA PIAZZA, IL BICCHIERE COME UN PALAZZOIntervista a cura di Nicla Cassino e Giovanni Di Bartolomeo

PADIGLIONE EDITORIASTAND 26

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Vittorio Storaro. Questa mia espressione sulla scrittura della luce deriva dal fatto che, facendo cinema, ho voluto ben distinguere la cinematografia dalla fotografia. La fotografia è una espressione su una singola immagine, di un singolo momento, la cinematografia, invece, ha bisogno di una serie di immagini, di un susseguirsi di esse, per dare il senso del movimento; quindi avendo un movimento ha anche un tempo che è il racconto del film con un inizio, uno svolgimento e una fine. Per questo siamo più vicini a un lavoro letterario, che può essere un romanzo o un racconto breve che ha bisogno di un tempo e di un ritmo. Quindi la Cinematografia si ottiene filmando insieme: l’immagine, la musica e la lettera-tura… le varie Arti. Insomma io devo raccontare visivamente quella che è la storia del film, per questo credo che la “Scrittura con la luce” sia l’espressione più giusta per raccontare visivamente la storia del film.

Angela Ciano. Dunque la luce è una parte importante, si può dire fondamentale, per scri-vere il cinema?VS. La luce secondo me è l’Energia fondamentale dell’immagine, in quanto senza la luce l’immagine non si vedrebbe. Basta seguire le teorie dei grandi scienziati come Albert Einstein, quando scrive la formula E = m.c2. l’Energia è Materia che si muove a una certa velocità, in ogni parte di materia vi è contenuta una energia e viceversa. Isaac Newton, tra-mite la scomposizione della Luce con un semplice prisma di vetro, ha visto come l’ energia visibile, “La Luce Bianca”, che passa da un mezzo di una certa densità a uno di una densità diversa, si divide in varie frequenze che lui ha distinto a occhio come “I colori”, che ri-sommandoli insieme ri-formano la luce bianca. Come diceva Leonardo, i colori sono i figli dell’ombra e della luce. Nell’esprimerci, noi usiamo quelli che sono i rapporti tra l’oscurità e la luce, cogliendone tutti quei passaggi che, attraverso un tipo di vocabolario visivo, che va dal nero al bianco passando per i vari colori, ci permette di visualizzare una storia. Come un letterato usa le parole o un musicista usa le note, noi possiamo visualizzare un concetto attraverso la “Scrittura della Luce”, producendo un’emozione che a volte è latente e incon-scia a volte, invece, si percepisce non soltanto con gli occhi ma anche con tutto il corpo, perché usiamo energie di varie lunghezze d’onda che arrivano sul nostro corpo che le subi-sce e reagisce, variando il metabolismo, le pulsazioni, la pressione sanguigna. Quindi senza la luce, senza la sorgente luminosa non esiste né l’immagine, né la fotografia né il cinema.

AC. Maestro lei in tanti anni di esperienza straordinaria come ha utilizzato la luce?VS. Io inizialmente ho fatto una serie di studi tecnici, perché le scuole di fotografia inse-gnano l’arte del vedere tramite fondamentalmente la tecnologia, soltanto approfondendo gli studi singolarmente, con la conoscenza di tutte le arti, si entra nella filosofia, nella simbologia ecc… ecc… Chiamiamo il cinema “La decima musa” …. perché il cinema si nutre delle altre nove ispirazioni, delle altre nove muse enunciate da Platone. Il cinema è formato dalla letteratura, dalla scenografia, dalla musica, dalla filosofia, dalla pittura ecc… per cui soltanto avendo un equilibrio tra la conoscenza tecnologica e i significati della visione, si potranno ottenere dei risultati equilibrati in Cinematografia.Conoscere come si realizza l’immagine attraverso gli strumenti tecnologici e sapere il tipo di reazioni dell’animo umano di fronte a certe immagini, creative e visionarie, si può espri-mere in modo ampio e profondo un concetto scritto attraverso un concetto visivo.

AC. Non a caso dicevo l’arte si è sempre nutrita dell’elemento della luce, Caravaggio piut-tosto che molti artisti contemporanei usano la luce come elemento creatore dell’opera d’arte….

VS. Ogni periodo storico si è espresso tramite le varie arti, pensiamo quanto sia stata fondamentale la filosofia nell’antica grecia, quanto l’architettura sia stata fondamentale in epoca romana, come la pittura sia stata importante nel rinascimento, la musica nel settecento, la letteratura nell’ottocento e quanto le arti visive moderne, come la fotografia, il cinema, la televisione ecc... hanno caratterizzato tanti secoli, sino a quelli che stiamo vivendo. L’uomo ha sempre avuto bisogno di esprimersi tramite l’immagine, lo ha fatto nelle caverne, con i mosaici, con la pittura su legno o su tela, su un’emulsione fotografica e poi sulla pellicola ha cambiato tutti gli elementi e i supporti tecnici a disposizione, ma quello che è rimasto è sempre il pensiero umano, l’intuizione, la volontà di esprimere un concetto tramite un mezzo visivo. L’arte, quella di Giotto, considerato il padre dell’arte moderna, o quella di un pittore fiammingo, andando avanti nei secoli di un artista come Jan Vermeer che si è espresso con luci più soffuse, o Caravaggio che, spostandosi da Milano a Roma, ha vissuto in prima persona il cambiamento verso una visione totalmente diversa e ha intuito che tramite il rapporto tra l’Oscurità e la Luce solare, riusciva a dare dei simbolismi molto forti, a rappresentare il rapporto tra l’Umano e il Divino. L’uomo è arri-vato all’arte moderna, sempre cercando di portare avanti questo ragionamento sulla Luce. Uscendo dal figurativo e andando verso l’astratto si è sempre comunque tentato di dare un’emozione. Alcuni artisti di fronte a una tela vuota, non sono riusciti a trovare nessun tipo di espressione, qualcuno come Lucio Fontana ha fatto addirittura un taglio su di essa; tutto questo vuol dire che in quel momento una generazione di artisti si è trovata di fronte al fatto di non sapere esprimere altro che quel tipo di concetto, o il nulla, o la mancanza ispirativa; tutto ciò corrisponde a un periodo storico in cui gli artisti si sono espresse in quel tipo di modo. Mark Rothko non fa altro che dipingere quadri di un unico colore… tra-smette le sue emozioni tramite tonalità cromatiche. Io, amante del figurativo, le considero delle prove cromatiche, ma esse rappresentano l’espressione di questo tempo. Certo una cosa molto diversa dalla pittura figurativa di certi straordinari e meravigliosi personaggi … Leonardo lavorava anni su un quadro per portare avanti quello sfumato, quella penombra in cui lui esprimeva tutte le reazioni dell’epidermide o l’emozione di un viso, tanto è vero che al museo del Louvre c’è la coda davanti a un piccolo quadro che si chiama “La Gio-conda” rispetto a tante altre opere anche importanti in cui uno passa davanti e le annota come espressione di un singolo momento; il motivo è che quel piccolo capolavoro riesce a trasmettere una grande emozione. Onestamente spesso davanti all’arte moderna mi ritrovo freddo a guardarla, la stimo perché capisco che è l’espressione di una singola mente ma non sempre mi riesce a trasmettere le emozioni dell’arte figurativa …. forse la mia mente, la mia cultura non si è evoluta per apprezzare certi artisti moderni. Guardando pensando all’arte figurativa, penso spesso a come si può illuminarla in una esposizione, un museo. Rimango spesso esterrefatto girando nei musei internazionali, quando vedo che questo lavoro viene fatto da professionisti che non sempre conoscono la luce e la sua forza, l’emotività, la simbologia e la possibilità espressiva che essa può trasmettere rispetto a un elemento statico come può essere un’opera pittorica o un’opera scultorea. Per una scultura si può pensare a una giusta illuminazione, sappiamo benissimo che da Michelangelo, a Bernini, a Canova ecc… qualsiasi scultore pensava a realizzare la sua opera

rispetto al luogo dove veniva esposta e quindi a che tipo di luce poteva illuminarla. Un dipinto invece, essendo bidimensionale, non ha questa prerogativa, la cosa fondamentale è di poterlo mettere in primo piano rispetto allo sguardo dello spettatore pur rispettando la conservazione del’opera. In genere si tende a illuminarlo con sorgenti luminose che hanno un tipo di tonalità cromatica simile alla luce del giorno, come a proseguire un percorso della luce del giorno anche di sera o negli inverni, con la luce artificiale. Non amo in gene-rale questo tipo di scelta, penso che l’illuminazione di un’opera d’arte dovrebbe essere tale da esaltare tutte le sue caratteristiche espressive. Le opere andrebbero viste nel modo più vicino possibile alla loro ideazione: Goya preferiva illuminare con le candele i suoi quadri e quindi preferiva la luce notturna, Caravaggio dopo aver assistito a una decapitazione (quella di Beatrice Cenci) illuminata di notte da bracieri, ha cambiato il modo di illuminare le sue opere, per realizzare la “Giuditta e Oloferne”, io credo che abbia chiuso la luce natu-rale della finestra a cui era abituato e acceso una lanterna a olio per ritrovare il sentore, la drammaticità, quel tono cromatico simile a quell’emozione che lui aveva provato vedendo la decollazione di Beatrice Cenci. Noi estraiamo una porzione di spazio, dalla realtà, e lo poniamo in una tela, in un mirino di una macchina fotografica o cinematografica ecc... e proprio in questa porzione di spazio, attraverso la parola “composizione” esprimiamo una opera personale, una “Opera d’Arte”. Conoscenze che fanno capire come potrebbe essere illuminato un quadro a seconda di come è stato pensato; andando a vedere “La Camera degli Sposi” a Palazzo Ducale a Mantova notiamo che la luce con cui Mantegna ha illuminato i vari personaggi è la stessa luce soffusa e morbida luce laterale che viene dalla finestra di quella stanza che illumina la parete su cui è dipinto l’affresco… e dopo di lui lo ha fatto Leonardo ne “Il Cenacolo”, perché hanno fatto questo? Penso per dare una sensazione che quei personaggi appartengano a quel luogo e quindi sono illuminati con la stessa luce che illumina la parete in cui è dipinto l’affresco.

AC. Queste conoscenze si possono e si utilizzano anche per illuminare i monumenti… VS. Ci sono varie possibilità, nell’archeologia e nell’architettura, specialmente in una fac-ciata c’è la possibilità di illuminare come fa la luce del giorno, ma questo secondo me è un grande errore perché non si riuscirà mai a eguagliare la luce naturale del Sole e le varie luci che i momenti della giornata ci danno, quindi penso sia più giusto interpretarla, imma-ginandola. Prima dell’invenzione della Luce Elettrica, con il calare del giorno si illuminava gli ambienti con torce o con lanterne, quindi si può illuminare cercando di ricostruire una ipotetica luce artificiale della stessa epoca del monumento, oppure si può, ed è quello che io amo fare, cercare di dare un’ interpretazione di quei luoghi rispetto a chi li ha costruiti e per quale ragione sono stati costruiti cercando, tramite il linguaggio della luce, di dare una raffigurazione o un’interpretazione che distingua quell’opera, questo concetto ha guidato il lavoro che abbiamo fatto insieme a mia figlia Francesca per illuminare i Fori Imperiali a Roma. In questo progetto abbiamo cercato di interpretare la storia di questo monumento tramite il linguaggio della luce distinguendo attraverso la direzione o la diversità croma-tica, il tipo di emozione che esso a distanza di secoli ancora trasmette, questo è quello a cui io credo di più…

AC. Un’ultima riflessione, oggi gli “Autori della fotografia cinematografica” hanno a dispo-sizione tecnologie completamente diverse da quelle che si utilizzavano solo alcuni anni fa, questo come ha cambiato il lavoro?

V.S. La tecnologia ci aiuta a essere più snelli, rapidi e a capire meglio noi stessi. Le faccio un esempio, io ho fatto sessanta film di cui 59 girati su pellicola, in un set ero l’unico, come tutti i miei colleghi, che poteva dire …conosco come sarà questa immagine… quando ci tornerà dal laboratorio sviluppata e stampata. Un ritorno che poteva accadere con tempo variabile anche di settimane se si era in posti come la Cina, in questo tempo c’era sem-pre un po’ di ansia e mistero, se quel tipo di immagine che avevo in mente fosse stata realizzata come l’avevo pensata, tramite le tecnologia che avevo a disposizione. L’ultimo film che ho fatto è stato registrato “In digitale” insieme al regista Woody Allen. Abbiamo utilizzato una videocamera SONY F 65, che registra immagini di alta qualità su un hard disk che ci ha dato la possibilità di vederle in tempo reale, su un monitor ad alta definizione. Abbiamo così potuto lavorare vedendo esattamente quello stavamo facendo nel momento in cui lo facevamo, non il giorno dopo o due settimane dopo. Con le nuove tecnologie digitali possiamo vedere il nostro stesso pensiero e siamo in grado, nel vederlo, di poterlo modificare nel momento in cui lo stiamo realizzando, questa è la grandezza e la distinzione che c’è tra il prima e l’adesso. In realtà siamo passati da un momento di innocenza e di mistero, a un periodo di coscienza e di consapevolezza della formazione dell’immagine. Credo che oggi dobbiamo essere più colti nella conoscenza dell’immagine e su come modi-ficare quell’immagine per dare quell’emozione di cui quella sequenza e storia hanno biso-gno. La necessità è ovviamente conoscere la storia, la tecnica e i significati della visione, dobbiamo sapere se aumentiamo quella luce, quel contrasto o quella cromaticità che tipo di emozione può dare quell’immagine rispetto alla storia che stiamo raccontando. Vedere immediatamente quello che stiamo facendo aiuta il nostro lavoro, ma semper abbiamo bisogno di una IDEA centrale che ci permette di visualizzare una storia.

AC. Per concludere Maestro, 2015 anno internazionale della luce, una sua definizione della parola luce?V.S. io credo che la luce sia “La conoscenza”, che ci da la possibilità di un rapporto tra le persone e quindi è anche “Amore”; l’amore… non è altro che Energia. L’energia cosa è? …Non è altro che la luce.

VITTORIO STORARO SCRIVERE CON LA LUCE PERCHÉ LA LUCE È L’ENERGIA DELL’IMMAGINE

NON AMA, ANZI SI OFFENDE, A ESSERE CHIAMATO “DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA”. SI SENTE PIUTTOSTO UN “CINEMATOGRAFO”; NON IL LUOGO, SI BADI BENE, DERIVANTE DA UN’ERRATA TRADUZIONE DEGLI ANNI CINQUANTA DEL SECOLO SCORSO DELLA PAROLA AMERICANA CINEMATOGRAPHER, BENSÌ LA PERSONA CHE LAVORA E CONCORRE A REALIZZARE UN OPERA CINEMATOGRAFICA. PERCHÉ DICE “UN FILM È UN LAVORO CORALE CHE HA UN SOLO REGISTA E NON UN DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA E UN DIRETTORE DELLE PAROLE”. PER VITTORIO STORARO, SESSANTA FILM ALL’ATTIVO E TRE VOLTE PREMIO OSCAR PER LA MIGLIORE CINEMATOGRAFIA (APOCALYPSE NOW, REDS E L’ULTIMO IMPERATORE), UN FILM SI SCRIVE ANCHE CON LA LUCE E PER QUESTO HA SEMPRE PARLATO DEL SUO LAVORO COME DI “SCRITTURA DELLA LUCE”.

ANGELA CIANO

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Alle porte delle mura urbiche della città e alle spalle della fontana delle 99 cannelle e della facciata romanica della chiesa di San Vito alla Rivera, riapre in una sede tutta nuova il MUNDA – Museo Nazionale D’Abruzzo. In attesa che la sede storica del castello cinquecentesco venga restaurata a seguito del terremoto del 2009, oltre cento opere tra le più importanti della collezione, si susseguono in un percorso tematico nuovo che si snoda su una superficie accessibile al pubblico di oltre 2000 mq. Il padiglione principale si articola su sei sale all’interno di cinque aree espositive; si parte dall’archeologia abruzzese, passando attraverso una sala dedicata interamente alle Madonne, poi l’Età angioina, l’Età tardo gotica e il Rinascimento per concludere con le opere francescane e quelle del Barocco aquilano. Il complesso architettonico che le ospita, situato in uno dei borghi più antichi, è uno dei rari esempi di archeologia industriale della città, un ex mattatoio degli anni trenta del novecento rimasto inutilizzato sin dagli anni novanta. L’intervento di restauro architettonico e di allestimento espositivo si collocano all’interno del progetto MUMEX, il Progetto pilota strategico dei Poli museali di eccellenza nel Mezzogiorno. L’involucro edilizio ha il pregio di rispettare le geometrie della vecchia costruzione e di non alterare negativamente la percezione dello spazio circostante, sembra però non entrare in perfetta simbiosi con il progetto di allestimento che nella sua estrema chiarezza formale e nel suo essere contenitore di opere di straordinaria bellezza, non invita lo spettatore al suo interno a godere e a riflettere sull’architettura e sulla funzione che assolveva in passato. I padiglioni del mattatoio, più chiaramente leggibili dall’esterno, sembrano aver perso, cosi come alcune delle opere al suo interno, la patina, ossia quell’alterazione della superficie dovuta all’invecchiamento naturale dei materiali, rendendo difficile una lettura storica del manufatto. Talvolta, infatti, il ripristino dell’unità materica, sia nelle opere d’arte che in quelle di architettura nega il passato e al tempo stesso la modernità. Non bisogna però dimenticare che con il MUNDA la città dell’Aquila ha finalmente l’opportunità di avere a propria disposizione uno spazio culturale che la rappresenti e che rimetta in moto persone e iniziative. Saranno, infatti, le azioni che avranno luogo al suo interno a rendere questo progetto un bene della comunità.Nicla Cassino

MUNDA. IL NUOVO MUSEONAZIONALE D’ABRUZZO

Il premio Carlo Scarpa per il Giardino, edizione 2015, premia per la seconda volta uno straordi-nario luogo siciliano, Maredolce-La Favara, un luogo che nel cuore del quartiere Brancaccio di Palermo conserva la memoria e le testimonianze tangibili di ciò che è stato il paesaggio nella civiltà araba e normanna in Sicilia, nel quadro più ampio di quel territorio che nella storia pren-derà il nome di “Conca d’Oro”, e che nel corso delle trasformazioni recenti ha visto offuscarsi, se non addirittura dissolversi, il proprio carattere distintivo.Maredolce-La Favara si presenta oggi come una vasta depressione del terreno, che è stata in passato un grande bacino, con al centro un’isola di forma irregolare ancora ben riconoscibile e un magnifico palazzo posto tra il bordo di questa cavità e le schiere di case costruite nel tempo a ridosso del suo perimetro, a nord-ovest; al suo interno, in un ambito di circa venticinque ettari, si sviluppa un sistema complesso di manufatti, congegni idraulici e un vasto agrumeto. Segni che raccontano la condizione di grande spazio coltivato vissuta sin dalle sue origini. Il luogo è stato presidio della città per chi giungeva per mare o per terra dalla costa tirrenica e area di colture agricole di pregio, dopo che le acque di una sorgente, nate dal piede di una montagna, furono regolate e qui convogliate. Chiamato Favara nel X secolo, nome arabo che dice di acque che sorgono abbondanti, e Maredolce dal XIV secolo, a celebrare la straordinarietà di un “lago” talmente grande da misurarsi con il vicino mare, è stato oggetto di insediamenti romani, arabi e normanni. Ha visto il disordine di sorgenti e paludi trasformarsi nell’ordine di campagne coltivate con tecniche di irrigazione che coniugano l’antica sapienza idraulica romana con le innovazioni portate dalla rivoluzione agricola araba. Giardini di palme e di agrumi, estese colture di canna da zucchero, vigneti e oliveti, alimentati da un grande bacino, con un’isola al centro celebrata da poeti e viaggiatori, arabi e normanni. Sede di una dimora reale, chiamata “sollazzo” da Ruggero II, il sovrano che trasformò il luogo, a indicare non solo il diletto del giardino, dell’acqua o della caccia, ma anche quello che proviene dall’incontro tra culture diverse – bizantina, araba, nor-manna – nell’architettura, negli stili di vita e nel paesaggio, nel confronto di idee con i sapienti del tempo. Tutto questo a Palermo, nella grande isola al centro del Mediterraneo, luogo d’incon-tro tra le diversità biologiche e culturali di tre continenti.

MAREDOLCE-LA FAVARAPREMIO INTERNAZIONALE CARLOSCARPA PER IL GIARDINO 2015

ARTICOLANDO

Inaugurato nel 2001 presso la città di Unna nella Renania Settentrionale in Germania, il Centre for International Light Art fu il primo e unico museo al mondo dedicato esclusivamente all’arte luminosa. L’area espositiva è situata sotto il livello del suolo ed è composta da oltre 2.400 metri quadrati a disposizione delle installazioni. Attualmente il centro ospita una delle più emozionanti mostre organizzate dalla sua nascita intitolata ¡DARK!. L’esposizione, visitabile fino al 3 aprile, accoglie il visitatore in uno spazio quasi completamente buio per permettere alle proiezioni di prendere vita durante il percorso. La luce diventa percepibile agli occhi lentamente creando superfici luminose di forme e dimensioni diversissime. Le installazioni degli artisti coinvolti (Anthony McCall, Diana Ramaekers, Regine Schumann e Vera Rohm) sono state ideate per permettere ai visitatori di attraversarle, di inte-ragire con esse diventando, in un certo senso, parte della mostra stessa. Conclude la visita la sezione DARK II in cui l’oscurità viene analizzata in senso metaforico, una ricerca del buio nell’a-nima dell’uomo. La galleria tedesca m Bochum di Susanne Breidenbach ha co-curato questa seconda parte della mostra consentendo l’esposizione della serie fotografica The Omega Suites dell’artista Lucinda Devlin.Ha inoltre avuto inizio nel mese di gennaio la seconda edizione del International Light Art Award promosso proprio dal Centre for International Light Art. Lo scopo del concorso è quello di dare spazio a nuovi artisti che si esprimono attraverso questo particolare genere dell’arte contem-poranea. Info. www.lichtkunst-unna.de/en/start-page.htmlErnesto Fanfani

CENTRE FOR INTERNATIONAL LIGHT ART. UNA MOSTRA AL BUIO

Il 29 novembre scorso in Via Verdi all’Aquila si è aperto un V.AR.CO, uno spazio espositivo legato alla contemporaneità. Nel giorno dell’inaugurazione lo spazio e la storica via dell’Aquila si sono trasformati, grazie ai Portafortuna, in una bolla di felicità. L’idea di portare fortuna a V.AR.CO. ha viaggiato sull’A24 in direzione L’Aquila in quanto viene da Spazio Y di Roma, uno spazio amico che aveva già sperimentato questa formula del porta fortuna proponendo di farla muovere ver-so V.AR.CO.. Durante tutta la giornata si sono alternate centinaia di persone che hanno voluto portare fortuna a V.AR.CO., ma anche a loro stesse attraverso questa formula quasi magica e rituale di appendere la propria opera/ amuleto al muro con un chiodo. Attimi di paura e delirio in via Verdi con persone armate di martello e trapano che sceglievano in autonomia lo spazio più adatto alla loro opera in barba a tutte le logiche espositive. Il nostro appello di portarci fortuna è stato accolto in maniera trasversale dai bambini ai nomi noti del panorama contemporaneo e questo dialogo sui generis che si è instaurato tra le opere è frutto di una modalità di parteci-pazione all’evento slegata da ogni vincolo di formalità. L’artista, come il critico piuttosto che il professore o il dilettante sono stati messi sullo stesso livello e si è voluto in questo modo porta-re sui muri di V.AR.CO. uno spaccato di una realtà creativa e partecipativa che interessa diverse generazioni. Fino agli ultimi giorni del 2015 è stato possibile varcare la soglia dello spazio con una propria opera e la quota di scacciaguai raggiunta è stata 288. La partecipazione, l’entusia-smo e la volontà di condividere con lo spazio e con la città una dose di fortuna hanno fatto in modo che potessimo permetterci il lusso di fare il verso alla dea bendata che anche se è passata di qui, quelle rarissime volte, non ha avuto modo di svolgere il suo duro lavoro perché ha trovato già tutti belli sistemati. Per tutto il 2016 V.AR.CO. ospiterà una serie di mostre personali e vari interventi dedicati all’approfondimento del significato dell’arte contemporanea in un contesto come quello dell’Aquila.Paola Marulli e Andrea Panarelli

LA FORTUNA DI V.AR.CO.

TIZIANA FUSARI

Dopo Ettore Spalletti ed Achille Bonito Oliva, per l’inaugurazione 2016 l’Accademia aquilana ha avuto ospite Luigi Ontani, un artista che ha segnato con la sua opera rivoluzionaria e provocato-ria la storia dell’arte degli ultimi quaranta anni. “viva l’arte è un palese messaggio di desiderio, di volontà di essere nella vita con l’arte - ha detto Ontani -. Ogni volta che ripercorro il mio viaggio è una buona opportunità per essere, non dico autocritico, ma consapevole non solo delle mie convinzioni ma anche delle mie debolezze. Sono un autodidatta e mi illudo, ho la convinzione di esprimere l’arte con diletto; sono un dilettante e quindi la creatività non è soltanto un estem-poranea creazione ma è anche una costante di prospettive, di pensieri, di idee, di fantasie, mi nutro di mitologie e cerco di trovare un tempo ulteriore oltre quello quotidiano, quindi l’arte mi è favorevole ad un sentiero che non è soltanto quello della necessità del quotidiano ma anche di un altrove che ogni tanto riesco a ritrovare. Oggi ci sono tanti artisti molto abili in giro per il mondo, ma è la società dell’arte che non è abbastanza stimolante, se c’è un elemento che non condivido è la società dell’arte attuale nonostante io sia fortunato, un privilegiato, si è assunti dei valori che non sono quelli dei contesti ad esempio di un paese che possiede un grande tesoro che è la cultura come il nostro”. L’Accademia di Belle Arti dell’Aquila ha iniziato il nuovo anno accademico con tantissime novità a cominciare dagli importanti investimenti fatti per allestire e migliorare i laboratori di restauro dove, fra l’altro, si sta lavorando al recupero della grande tela raffigurante la finta cupola della Cattedrale di san Massimo, il Duomo dell’Aquila; opera di Venanzio Mascitelli. Convenzioni e col-laborazioni sono state attivate o sono proseguite con il Polo Museale d’Abruzzo, la Fondazione Michetti di Francavilla, con il Conservatorio dell’Aquila, con l’Istituto d’Arte di Castelli, l’Istituto Comprensivo di Avezzano il Teatro Stabile d’Abruzzo e l’Accademia di Danza di Roma, con il Comune di Pescara. Sono stati messi a norma ed adeguati tutti gli spazi che ancora attendevano questo lavoro, come per il laboratorio di incisione e grafica d’arte, tanto che ad oggi la struttura aquilana è tra le più moderne d’Italia.

ARTICOLANDO

Il quartiere Brancaccio e Maredolce-La Favara, con la borgata di Ciaculli e gli agrumeti in primo piano. Foto Margherita Bianca-Fondazione Benetton Studi Ricerche, 2015photo, Ela Bialkowska OKNOstudio Regine Schumann

A L’Aquila, a quattro anni dalla scomparsa di Tiziana Fusari, un incontro offre al pubblico l’oppor-tunità di conoscerla più da vicino. Dopo il volume REWIND pubblicato da Quodlibet - un’antologia del lavoro dell’artista cucita attraverso stralci dei suoi diari e bellissime fotografie - arriva in città un’occasione per avvicinarsi al suo lavoro multiforme. Una selezione di immagini delle sue opere, brani dei suoi scritti e testimonianze di amici e studiosi, permetteranno di scoprire il percorso di Tiziana: artista lontana dalle convenzioni sociali, distante dai modelli imposti, libera. E, forse anche per questo, poco nota nella sua città ma che molto ha esposto, invece, oltre i confini locali. Una voce dissonante, ironica, tagliente. Tutta da scoprire.

Info. Comédie Humaine di Tiziana Fusarimartedì 23 febbraio 2016, ore 17.30Palazzetto dei Nobili, Piazza Santa Margherita 2, L’Aquila

Nell’ambito di Prospettive rosee, progetto promosso e ideato dagli assessorati alla Cultura, alle Pari Opportunità e alle Politiche Sociali del Comune dell’Aquila, per valorizzare le figure femminili che hanno lasciato un segno nella storia della città. Sei gli appuntamenti che si snodano lungo l’arco di un mese, dal 2 febbraio all’8 marzo, giornata internazionale della donna:

Le donne, la fabbrica, il territorio nell’esperienza Italtel - 2 febbraio, ore 17.30, Sala Conferenze GSSI, via Crispi

Donna e scienza: passato, presente e futuro - 9 febbraio, ore 10.30, Edificio Alan Touring, Polo di Coppito, Università dell’Aquila

Donatella Tellini: una donna che ha fatto la differenza - 19 febbraio, ore 17.30, Casa delle Donne, via Colagrande

Comédie Humaine di Tiziana Fusari - 23 febbraio, ore 17.30, Palazzetto dei Nobili

Le religiose e la città: una storia che continua - 1 marzo, ore 17.30, Palazzetto dei Nobili

Una vita a l’Aquila, (stra)ordinarie storie di donne - 8 marzo, ore 17.30, Auditorium del Parco) e a seguire il concerto Le ninfe d’Aterno, omaggi e trattenimenti musicali alla corte aquilana di Margherita d’Austria

LUIGI ONTANI INCONTRA I GIOVANI

IL TAVOLO COME UNA PIAZZA, IL BICCHIERE COME UN PALAZZO

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Nicla Cassino & Giovanni Di Bartolomeo. Innanzitutto con chi stiamo parlando? Con un architetto o con un industrial designer? La città o il cucchiaio?Enzo Calabrese. Con un signore il cui nome è Enzo Calabrese! Mi imbarazza dire archi-tetto o forse no. Mi definisco architetto perché un architetto fa tante cose. Il modo in cui guardo e penso a un oggetto è lo stesso che ho quando mi commissionano il progetto di un albergo. Il design è iniziato come un’esperienza parallela a quella dell’architettura. Nasco facendo o meglio provando a fare l’architetto e ci provo ancora. Non lo dico per falsa modestia, è che davvero vivo tutti i giorni con l’angoscia di non riuscire a fare al meglio questo mestiere. Per fuggire, di notte, ai problemi dell’architettura, ho iniziato a pensare a oggetti di design. Penso che il design sia una piccola architettura, che non è un’architet-tura ridotta, è solo una piccola architettura che inventa lo spazio se sta nello spazio, che sia essa una luce o più in generale un oggetto. Anche una forchetta o un bicchiere devono allestire un paesaggio quasi urbano se si considera il tavolo come una piazza. In definitiva mi piacerebbe diventare un architetto.

NC-GDB. In che momento ci si rende conto che un progetto funziona? Mi riferisco alla lam-pada Sampei, progettata con Davide Groppi, ma non solo.EC. Quando con Davide abbiamo visto l’immagine finale del progetto abbiamo pensato che fosse davvero bella, era solo una linea, ma era bella. E poi la vera conferma è arrivata, non tanto dai premi, ma dal mercato. Il mercato non è obbligato ad acquistare un prodotto. Quando è nata, il materiale è venuto per caso, io ero a decathlon e mio figlio ha rovinato una canna da pesca, così l’ho comprata e portata a casa. Ho tolto la carta colorata che la avvol-geva, l’ho vista ed ho pensato “accidenti questa fa paura, è lei”. Stavamo lavorando da due anni a Sampei, ma allora non si chiamava ancora cosi, avevamo provato diverse soluzioni che sembravano non funzionare. Era sempre troppo goffa o troppo rigida o troppo sottile. E invece la canna da pesca era sottile, ma funzionava. La puoi piegare in due e non succede nulla. Poi abbiamo lavorato un altro anno e mezzo alla base e al corpo illuminante. Alcuni oggetti sono come film indipendenti. Sampei è stato fin da subito un oggetto indipendente, catturava le riviste e la folla.

NC-GDB. La luce è un aspetto importante nella sua ricerca. In che modo la luce e la sua percezione influenzano il modo in cui viviamo uno spazio?EC. Io abito davanti al mare e dico sempre a tutti che non lavoro perché la luce riflessa della mia abitazione esposta a nord mi mette di buon umore. Vedo il sole che illumina le cose e creando ombra gli conferisce un’anima. È bello vedere la luce e riceverne il beneficio senza provare fastidio. Sono cresciuto a Brindisi abitando a piano terra e di fronte alla mia

abitazione, a due metri di distanza, avevo un palazzo di otto piani. Sono cresciuto senza alcun tipo di luce, neanche quella riflessa. Ho inseguito la luce sempre ed ho capito che è un desiderio e uno stato mentale. Questo desiderio è diventato una ricerca. La luce è bellezza, conferisce senso alle cose e qualità allo spazio. La luce stacca completamente il senso di un oggetto dalla sua fisicità e lo porta a essere dimensione, sensazione e stato dell’anima.

NC-GDB. Lei è anche docente e ogni anno alleva giovani architetti coinvolgendoli nel suo studio. Quale qualità secondo lei dovrebbero avere i ragazzi per diventare architetti oggi? È sufficiente avere buone idee? EC. No, anzi, ritengo che sia il contrario. Lo vedo direttamente perché ho la fortuna, come docente, di frequentare ragazzi molto giovani. Ogni anno vivo un cambio generazionale e culturale che solo facendo questo mestiere puoi davvero interpretare, non c’è altro modo per farlo. È come avere uno specchio ampio di diverse culture. Gli unici ragazzi verso i quali sento che sta accadendo qualcosa sono quelli curiosi, ma sono pochissimi. Ci sono studenti di architettura che non hanno mai aperto un giornale. Internet mi permette di mandare un link con pagine e progetti che seleziono appositamente per loro sperando che si incuriosi-scano e che ne guardino altri partendo da quello da me segnalato, questo purtroppo non accade quasi mai. Forse due studenti su ottanta, all’interno dei miei corsi, lo fanno. A volte fingendo di dover scrivere un libro chiedo quanti di loro hanno letto un articolo digitale o cartaceo nell’ultimo anno, pochi lo hanno letto, comprato una rivista quasi nessuno. Allora ti chiedi di chi sia la colpa. Qualcuno cambia, ma pochissimi su un numero molto elevato. Posso innescare in loro un meccanismo di curiosità, ma cambiare il loro carattere no.

NC-GDB. “Sustain what’s – L’equivoco dell’architettura sostenibile” è il titolo di un suo libro pubblicato nel 2012. Ma l’architetto è un abitante sostenibile della Terra?EC. Il titolo è chiaramente una provocazione, una licenza poetica. Sustain what’s nasce da una serie di esperienze professionali, come il progetto di una città completamente soste-nibile per il governo di Abu Dhabi. Il progetto venne poi utilizzato per la città di Masdar, la prima città al mondo da costruire totalmente ad emissioni zero, era un progetto talmente costoso che dopo aver realizzato la prima parte si è fermato. In quel caso si trattava di una sostenibilità insostenibile. Alcune operazioni sono molto affascinanti, ma deliranti da que-sto punto di vista. Io ovviamente sono a favore della sostenibilità, ma bisogna capire di cosa stiamo parlando. Penso che anche la bellezza debba essere sostenibile, che il paesaggio debba esserlo, ma non dal punto di vista del verde, che chiaramente piace a tutti. Paesaggio sostenibile significa anche la capacità di non avere alberi lì dove non servono. A Malmö in Svezia è stato fatto un esperimento: una zona industriale è stata trasformata in una città. Ha funzionato perché sono stati in grado di pensare a una serie di cose riconoscibili, che si fanno alla velocità dell’uomo. La macchina non la prendi perché non ti serve, non perché è vietato e la prendi solo la domenica per fare una passeggiata in campagna.

NC-GDB. Ha mai progettato qualcosa di inutile?EC. Parli di oggetti o di edifici? Di oggetti si, c’è la collezione The Pebbles che all’interno ha un oggetto che si chiama addirittura Boh, mi chiesero a cosa servisse e risposi: “Boh, non lo so”! Eppure si tratta di un progetto esposto al Moma di New York.

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INTERVISTA A ENZO CALABRESE, ARCHITETTO, DOCENTE E COMPASSO D’ORO 2014 CON LA LAMPADA SAMPEI. DALLE ARCHITETTURE IN-SOSTENIBILI DEL DESERTO, ALLA LUCE COME STATO EMOTIVO. LO INTERVISTIAMO NEL SUO STUDIO E TRA UN PROGETTO INTERNAZIONALE, UN MOBILE E UNA LAMPADA CI RACCONTA IL LEGAME CON LA QUOTIDIANITÀ, LA NECESSITÀ DI CONOSCERE LE PERSONE E IL RUOLO DELLA CURIOSITÀ NEL PROGETTO.

NICLA CASSINO E GIOVANNI DI BARTOLOMEO

Sampei, Davide Groppi - Enzo Calabrese, 2011 (Compasso d’Oro ADI 2014)

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LA VISITA AD UN MUSEO PUÒ OFFRIRE DEGLI STRUMENTI DI RIFLESSIONE UTILI A SOSTENERE LA COMPLESSITÀ DEL PRESENTE. RACCONTO DI UN’ESPERIENZA AI MUSEI VATICANI.

Al numero 100 dell’omonimo largo viale della Capitale, il portone dei Musei Vaticani acco-glie i visitatori dentro uno Stato in cui, concretamente, non sono mai entrati: staccato l’ultimo passo sulla soglia romana ci si trova a tutti gli effetti dentro la Città del Vaticano, Stato indipendente e sovrano dalla firma dei Patti Lateranensi nel 1929. L’ingresso si apre su di un vasto atrio atto a smistare comitive e visitatori dall’identità transitoria di fruitori d’arte; è la porta d’accesso ad un’esperienza unica, vissuta da clan-destini inconsapevoli. I controlli di sicurezza che si varcano riguardano la fisicità, non l’identità né la provenienza. Pochi passi più in là, l’accesso al Vaticano presuppone la citta-dinanza o un lavoro; qui, l’ispezione riguarda unicamente la materia di cui siamo fatti e un eventuale bagaglio, generalmente ridotto: una borsa, una mappa, memorie digitali ancora da colmare. Il silenzio dei metal detectors diventa il viatico per intraprendere un’esperienza di visita speciale, che in bilico tra due Paesi volge verso l’unica conformità che oggi sarebbe opportuna: quella di esseri umani liberi ed eguali in dignità e diritti (…) senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione1.I passi così autorizzati si rincorrono per sale e corridoi, scanditi da indicazioni concise e perentorie che indicano i percorsi, brevi o più articolati, per i quali giungere ad un cospicuo numero di epifanie estetiche o, più prosaicamente, tappe obbligate. Le Stanze di Raffaello, la Cappella Sistina … al cospetto di un patrimonio che appartiene all’Umanità e alla Storia, serpeggia tra gli astanti un tacito accordo di reverente curiosità e reciproco rispetto; e mentre i tracciati provano ad uniformare in una soluzione collettiva la durata altrimenti incerta dell’elaborazione individuale di questa esperienza, ognuno dei presenti sa di com-piere, solenne, un rito culturale che sancisce l’appartenenza alla comunità trasversale di chi “ha visto”. Ci si deve quasi costringere alla meraviglia, nei Musei Vaticani: è troppo il bagaglio iconico che grava sulla scoperta, troppa la confusione, il brusio, le lingue. Precario l’equilibrio intellettuale e fisico da raggiungere generalmente col naso per aria, mentre un numero imprecisato di persone che godono dello stesso diritto a vedere costringe al movimento, e a trovare nuovi angoli d’osservazione. La visita a questo museo ha quasi il sapore della metafora: persi nei consistenti flussi di visita, sappiamo solo in parte cosa cerchiamo e cosa troveremo, ci muoviamo fra tanti in un luogo che non è adatto ma è stato adattato

a riceverci, siamo istintivamente portati a cogliere in questa condizione quasi alienante un’occasione, offertaci da quel concetto impreciso che ha nome di arte.All’indomani della Seconda Guerra mondiale, Lucien Febvre constatava negli Annales che una civiltà può morire, ma la civiltà non muore. Questo istinto degli uomini, questa carat-teristica che gli è propria: superarsi, usare la propria volontà come un trampolino, per arrivare sempre più in alto ora si compie non più entro gruppi ristretti ma a livello globale, in un mondo instabile. Entro un pianeta rimpicciolito nelle sue distanze, divenuto quasi una Casa degli Uomini in cui ogni appartamento è vicino, per Febvre occorre situare sé stessi in relazione agli altri cercando di comprendere in che modo le storie, le credenze, i modi vetu-sti di pensare e di sentire che ereditiamo alla nascita sono pronti a ritornare sotto i colpi di un’emozione violenta, spesso collettiva. Per lo storico la sua materia è una condizione permanente dell’esistenza, strumento necessario per rispondere alle domande dell’uomo contemporaneo e offrirgli strumenti contro un mal sopito istinto ferino2.Vedere cambia, sapere ancora di più. Ma non esattamente nella forma del bagaglio di nozioni fornito da guide, reali o virtuali; il fatto di sapere ci cambia nella forma degli stru-menti di analisi che questa attività del nostro pensiero riesce a formare, e che costitui-scono l’uomo come essere interrogante3. Come nel caso della Storia per Febvre, questa è ancora l’opportunità da cogliere, il regalo che i luoghi di cultura possono farci nella con-fusione delle sollecitazioni attuali: richiamare un sano, sanissimo senso di incompiutezza. Accendere la luce su ciò che manca, sottolineare quanto in noi e nel mondo resti ancora da capire. Mantenersi un luogo di civiltà aperto a quelle che potrebbero sembrare, e magari non sono, irregolarità.Dai Musei Vaticani si esce percorrendo la scalinata di Momo, divenuta uno dei segni distintivi del museo. Si attraversa così la soglia che un tempo era l’ingresso dei musei, un portone monumentale che quasi sancisce il rinnovato status di chi lo attraversa dopo la visita. Se il percorso sarà stato efficace, niente sarà più come prima. Torneremo alla realtà cambiati, e pronti a riveder le stelle4.

1. Dichiarazione universale dei Diritti umani, approvata e proclamata il 10 dicembre 1948 dall’As-semblea Generale delle Nazioni Unite. Disponibile all’indirizzo http://www.ohchr.org/EN/UDHR/Do-cuments/UDHR_Translations/itn.pdf

2. Febvre L., Face au vent: manifeste des Annales nouvelles [À nos lecteurs, à nos amis]. In: Annales. Économies, Sociétés, Civilisations, 1e année, N. 1, 1946

3. Cfr. Arendt H., Socrate, Cortina Editore, Milano, 20154. Dal verso conclusivo dell’Inferno (Inferno XXXIV, 139) della Divina Commedia di Dante Alighieri.

UNA STORIADI BEATAIRREGOLARITÀ

PAOLA MULAS

L’accademia di Belle Arti dell’Aquila ha aderito e sostenuto l’iniziativa dell’associazione PrimaVera che vede coinvolti gli studenti delle accademie di Bologna, Brera Milano, Uni-versity of the Arts di Norwich (UK) e l’Albertina di Torino.Il luogo di incontro di questi lavori avviene nel centro di L’Aquila in un grande spazio recuperato.La luce, in tutti i suoi significati, è stato il tema comune per le opere realizzate.Le presenze dei giovani si segnalano per le provenienze da diversi paesi contribuendo a

creare un clima di internazionalità e di sensibilità diverse: dal Portogallo alla Gran Bre-tagna, dalla Turchia all’Ucraina, dal Giappone all’Italia.Gli allievi sono stati coordinati dagli artisti/docenti: Sergio Sarra, Bruna Esposito, Italo Zuffi, Davide Rivalta, Simeone Crispino (Vedova Mazzei), Donata Paruccini, Paul Fieldsend-Danks.

Un ringraziamento speciale al Conservatorio statale di Musica “Alfredo Casella”, L’Aquila

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1. Jessica Baia, Valentina Marando, Sara Deva, Carmen Cavallo, D&N - DaY-ellow & NighT-urquoise.

2. Elena De Panfilis, Interrogando lo schermo del suo peso.

3. Ilaria Boccia, Farid Amin, Get L’Aqui.

4. Melissa Idil Beyazit, Untitled.

5. Francesca Racano, S-comparse.

6. Riccardo D’Avola, Yonghiriping #2 #4.

7. Samuele Pigliapochi, To Be.

8. Ana Battaglia Abreu, Specchio d’Ombra.

9. Iro Nikolaou, Flashing Lights.

10. Manuele Ianni, Tatiana Stropkaiova, Ruins of a desert day.

11. Rosario Caponetti, Senza Titolo.

12. David Queen, Wave slip2.

13. Setzuko, Lucciole.

14. Giulia Poppi, Senza Titolo.

15. Edoardo Piermattei, Impalcatura per la ricostruzione di un monumento.

16. Gianluca Ragni, Cinepresa.

HxBxP LE TRE DIMENSIONIPER INTERCETTARE LO SPAZIO

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Lo spazio urbano può essere descritto come un sistema di “segni” la cui presenza o assenza, e la relazione tra loro, servono a qualificare l’identità di una comunità. In un luogo che porta ancora vive le tracce della sua vita più recente, abbiamo scelto di lavorare con un “segno” dall’elevato potere simbolico qual è la luce. Re-Place ha cambiato forma negli anni, ponendosi come contenitore di esperienze artistiche varie ma, sin dalla sua nascita nel 2010, ha deciso di utilizzare la luce come elemento che offre occasioni per tentare di afferrare la complessità del presente attraverso l’arte contemporanea. Re-Place, la città si illumina “di nuovo” è nato come una sfida: animato dalla una forte necessità di com-prendere l’oggi, il progetto è partito e ha continuato a vivere tra molte difficoltà. Alcune di queste previste e comprensibili, altre molto meno, ma tant’è. Ora siamo a raccontarne la V edizione. Non mi sento di dire che quel percorso sia stato concluso, ma di certo Re-Place ha portato bellezza, ha costruito percorsi di senso, ha permesso la riappropriazione dello spazio cittadino, ha cercato di proporre orizzonti e visioni. E ha portato la grande arte con-temporanea in una città che, dopo una straordinaria stagione conclusasi ormai troppi anni fa, non ha più dedicato spazio al contemporaneo. Non sono io a dirlo, no. Lo testimoniano l’operosità e la generosità di tutti coloro che hanno lavorato al progetto. Lo testimonia la fittissima e autorevole rassegna stampa. Lo testimoniano i cittadini, coloro che hanno osservato le opere, partecipato alle performance, letto le didascalie, navigato sul sito, fatto domande agli artisti. E in quest’ultima edizione lo testimonia l’UNESCO, che ha concesso il suo patrocinio riconoscendo il senso profondo di Re-Place e condividendone intenti e valori.

La V edizione ha assunto la veste di un concorso internazionale di idee per artisti. Il bando invitava a proporre opere d’arte luminose site-specific, quindi pensate appositamente per L’Aquila e per un luogo preciso della città. Massima la scelta dei linguaggi espressivi: il bando prevedeva l’ammissione di qualunque tipologia di opera purché avesse un carattere installativo e manifestasse il suo legame con la luce, anche sotto il profilo metaforico. Quando noi membri della giuria - composta anche da Gabi Scardi e Marco Brandizzi -, con il coordinamento di Germana Galli, abbiamo iniziato a esaminare le proposte non abbiamo non potuto notare l’elevata qualità progettuale complessiva. La forza, la delicatezza, il

sarcasmo, la poesia, la sperimentazione insite in ciascun lavoro ci hanno permesso di affrontare la selezione con grande coinvolgimento. I parametri di giudizio sono stati quelli relativi alla capacità dell’opera di integrarsi nel tessuto urbano, alla originalità della pro-posta, al carattere innovativo della soluzione, anche in relazione ai contenuti tecnologici, e alla possibilità effettiva di realizzazione. Le pagine successive di questo numero di MU6 offrono una lente d’ingrandimento sui singoli lavori ma qui, tra queste righe, mi corre l’obbligo di rimarcare ancora la qualità straordinaria di questa V edizione. Il fil rouge che ha legato ciascun lavoro sta nell’ascolto. Ogni artista ha avuto la capacità di ascoltare la città e le sue dinamiche sociali, la vita passata, presente e futura di una comunità, i suoi desideri, le speranze, le frustrazioni. Eppure non c’è solo l’ascolto. Le opere scelte guar-dano oltre e pongono interrogativi, sollevano dubbi, misurano distanze, marcano traguardi, costruiscono alleanze, smantellano certezze, prefigurano scenari.

L’Aquila deve fare i conti con l’impossibilità pressoché totale, al momento, di fruire del patrimonio culturale nelle sue più svariate accezioni. Un segnale di futuro è costituito dal recentissimo MUNDA, Museo Nazionale D’Abruzzo presso l’ex mattatoio comunale. In questa edizione di Re-Place abbiamo quindi voluto far diventare la città un museo sotto le stelle, in cui luoghi urbani inaspettati hanno dialogato con opere d’arte contemporanee. Quello di Re-Place è anche, e soprattutto, un processo educativo, che vuole permettere ai cittadini di prendere coscienza del “nuovo” patrimonio culturale, di sviluppare e tenere vivo il rapporto di affezione con la città, di rinforzare lo spirito di cittadinanza e di appartenenza. Ma la creazione di connessioni tra l’arte contemporanea e lo spazio urbano ci auguriamo faccia sì che quest’ultima diventi sempre più pervasiva e presente nelle nostre città, cariche di storia ma spesso poco sensibili all’arte di oggi. E magari, così facendo, anche a L’Aquila si avrà il coraggio di installare un’opera d’arte contemporanea in una delle nostre chiese restaurate, come è appena avvenuto nella Cattedrale di Nostra Signora di Anversa dove The man who bears the cross, una scultura in bronzo e cera del “terribile” Jean Fabre, dialoga con uno dei capolavori dell’architettura gotica europea e con i dipinti di Rubens. Senza scandali e senza paura di contaminazioni. Sì, toccherà anche a noi.

FONDAZIONE ZIMEI

Sabrina Zimei, PresidenteKatia Zimei, Pasquale Zimei, Co-fondatori e membri del Comitato direttivoMassimiliano Scuderi, Direttore Artistico

Sede Legale: C.so V. Emanuele II, 10 – Pescara (Italy)Residenze: Via Aspromonte – Montesilvano colle – Pescara (Italy) www.fondazionezimei.it - [email protected]

La mostra the Fountainhead a cura di Massimiliano Scuderi, direttore artistico della Fondazione Zimei, è stato l’evento inaugurale dell’ente abruzzese. In mostra sono state esposte opere site-specific di artisti internazionali quali Jordi Mitjà, Peter Fend, Petra Feriancova, Julius Koller, Kveta Fulierova, Hans Schabus. La mostra, ispirata ad un famoso romanzo della scrittrice Ayn Rand, ha inteso essere una riflessione sullo stretto rapporto tra arte e flussi vitali, tra etica ed estetica, tra racconto autobiografico ed utopia, inclu-dendo anche le luci e le ombre della creazione.The Fountainhead ha inaugurato il programma di attività della Fondazione Zimei, un’or-ganizzazione no-profit nata a Pescara nel 2014 per volontà della Famiglia Zimei col fine di dare continuità ai valori e all’azione di Antonio Zimei, in un luogo pensato per l’arte e la cultura contemporanea. L’intento principale della Fondazione è quello di promuovere l’arte contemporanea e di offrire uno spazio per il dialogo e la sperimentazione dedicato alla valorizzazione e al sostegno di giovani artisti e curatori, nell’ambito di un articolato programma di attività ed in stretto rapporto con il territorio in cui le aspirazioni individuali e locali incontrino quelle provenienti da altri contesti internazionali per avviare proficue sinergie, collaborazioni e per incoraggiare gli scambi culturali in un ambiente inclusivo, dinamico, stimolante e aperto al confronto.La Fondazione è per questo motivo impegnata sul territorio locale, nazionale ed interna-zionale attraverso molteplici attività tra le quali quelle espositive, editoriali, laboratoriali, didattiche e quelle legate all’organizzazione di eventi e di progetti culturali di cooperazione in collaborazione con istituti pubblici e privati, organizzazioni internazionali quali musei, altre fondazioni, università, dipartimenti, accademie, associazioni no-profit, gallerie. Tra i progetti bisogna ricordare quello intrapreso da Peter Fend, artista americano nato nel 1950 a Columbus (Ohio). Il suo lavoro affronta tematiche che vanno dalla geopolitica alla questioni inerenti alla sostenibilità e ad un’idea innovativa di progesso umano legato a nuovi strumenti, direttamente deducibili dall’esperienza dell’arte. Per la Fondazione Zimei l’artista ha voluto intraprendere un progetto intitolato “Da Fare Domani” prendendo spunto da una frana in prossimità della sede espositiva della Fondazione. La frana rap-presenta una criticità dovuta ai cattivi comportamenti dell’uomo rispetto alla natura, ma anche un’opportunità che Fend ha inteso sviluppare proprio in quel punto, come luogo per una potenziale rinascita, dando l’avvio ad un progetto in cui convertano tutte le discipline, tra neoumanesimo e innovazione tecnologica.“Da fare domani” sarà un progetto aperto al contributo di tutti e finalizzato allo sviluppo di un’idea innovativa di policy nell’uso delle acque e della terra. La Fondazione Zimei ha già inaugurato la sua stagione di residenze con l’artista catalano Jordi Mitjà, programma che continuerà nel 2016 oltre che con altre residenze di artisti internazonali, anche come piattaforma di dialogo tra le varie discipline e tra gli artisti, ponendo al centro dell’impegno la questione della responsabilità come punto di partenza per lo sviluppo del programma e dei suoi progetti futuri. Per l’arte e oltre l’arte.

LA FONDAZIONE ZIMEI

RE-PLACE V È STATO RESO POSSIBILE ANCHE GRAZIE ALLA PREZIOSA COLLABORAZIONE DI: Marcozzi Costruzioni Srl, Gavioli Restauri Srl e Edilizia Polisini Fiorenzo SpA (Iolanda Di Bonaventura); Soprintendenza Unica Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città dell’Aquila e i Comuni del Cratere, Ing. Armido Frezza Srl con Cielle Pubblicità (Stefano Divizia); A.S.D. Rari Nantes Nuoto c/o Piscina Comunale L’Aquila (Piotr Hanzelewicz); Dipartimento di Musica e Nuove Tecnologie del Conservatorio “Alfredo Casella” dell’Aquila, Fondazione Mondo Digitale, Associazione Musicale Sirentina di Ripa di Fagnano Alto (Simone Pappalardo); Italiana Costruzioni Spa (Sara Ric-ciardi); Andrea Panarelli.

L’AQUILA | www.re-place.it

INSTALLAZIONI LUMINOSENEL CENTRO STORICO

LUCI SULLA CITTÀANTONELLA MUZI

Hans Schabus, Das Letzte Hemd, 2012/ 2015, dimensioni variabili

In primo piano: Peter Fend, Da fare domani, 2015. A destra: Július Koller, opere dal 1968 al 2007

Jordi Mitjà, Dispersione della prima pietra, 2015

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SPECIALE RE-PLACE 5

IOLANDA DI BONAVENTURACOLLETTIVO ILLUMIN-AZIONE

IOLANDA DI BONAVENTURA (1993, L’Aquila)Beating Heart, Installazione audiovisiva, videoproiet-tore, casse audio

L’animazione - pensata sotto forma di projection mapping sulla facciata di un palazzo in ricostruzione - trasforma la mappa dell’Aquila in un cuore pulsante. In corrispondenza di ciascuna pulsazione i confini si rompono e liberano energia, rivelando un modulo triangolare ricorrente. Il triangolo, per la sua proprietà geometrica di indeformabilità, è l’elemento fondante del rilievo architettonico - l’operazione di rappresen-tazione dello spazio in scala che permette non solo di conoscere la realtà, ma che è anche imprescindibile per programmare un restauro. L’opera è metafora della tensione vitale che dovrebbe animare gli abitanti di ogni città facendoli diventare comunità, organismo vivente.

COLLETTIVO ILLUMIN-AZIONEStefania Cupillari (1986, L’Aquila); Federico Cecchi (1985, Pistoia); Alice Orlando (1981, Asolo); Silvia Salvatore (1972, L’Aquila); Santo Sipione (1990, Noto)Re-Azione, Sensori di movimento a infrarossi, moduli led da 7W/m 3000 K IP64, moduli led da 14W/m RGB, centralina KNX

L’installazione crea un dialogo tra il singolo, la comu-nità e la città, visibile attraverso re-azioni di luce. La scalinata del Gran Sasso Science Intitute si illumina quando la si percorre: se i sensori posti sulla scalinata rilevano movimenti nel loro campo visivo inviano un input al sistema, attivando scenari di luce sulle fine-stre della facciata e manifestando, quindi, la re-azione della luce alla vita, all’interazione della persone con lo spazio e l’architettura. L’illuminazione, attivata dalla presenza umana, rende visibile la necessità dell’impe-gno civico comune per ricostruire e rinascere.

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SPECIALE RE-PLACE 5

PIOTR HANZELEWICZ

STEFANO DIVIZIAPIOTR HANZELEWICZ (1978, Lodz - Polonia)Lunaria Annua, siliqua di “lunaria annua”, lente d’ingrandimento, ventola per raffreddamento pc, luce led

La “lunaria annua” è una pianta spontanea i cui frutti sono piccole foglie piatte che, seccandosi, diventano argentate e riflettono la luce. L’artista è intervenuto sul lato esterno della cinta muraria dell’Aquila con la proiezione di un esemplare di “lunaria”. Le mura storiche dell’Aquila appaiono così sotto una luce nuova: la proiezione da un lato richiama l’immaginario fantastico - come se fosse una richiesta d’aiuto per attirare l’attenzione di un supereroe affinché accorra in difesa della città - dall’altro è presenza silenziosa, fragile, in balìa di un leggero soffio d’aria.

STEFANO DIVIZIA (1981, L’Aquila)Loading, Installazione, lightbox

L’installazione è una scritta che richiama visivamente la “barra del loading”, la grafica che mostra lo stato di avanzamento nel cari-camento di un programma. Anche il luogo scelto concorre a caricare di senso l’opera: l’alto del bastione del Forte Spagnolo - monu-mento simbolo della città - offre un punto di vista privilegiato da cui osservare tensioni, aspettative, speranze. Astraendo la scritta “loading” dal suo contesto, l’artista collega il mondo virtuale a quello reale, materializzando un senso di sospensione. L’opera è un invito a riflettere sulle attese e sui desideri di ciascuno, e mostra il faticoso percorso che coinvolge tutti verso il “caricamento” del grande programma di ricostruzione e di rinnovamento sociale e civile dell’Aquila e del mondo intero.

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SPECIALE RE-PLACE 5

SARA RICCIARDI

SIMONE PAPPALARDOSARA RICCIARDI (1989, Benevento)Life behind the window, Retroproiezione, schermo, proiettore, pc

L’installazione nasce da un progetto di digital art: su una piattaforma online persone da tutto il mondo hanno potuto caricare brevi video di situazioni domestiche, focolari casalinghi, spezzoni di vita dell’interno delle proprie case. I video sono stati quindi proiettati su una delle finestre del restaurato Palazzo Ciavola Cortelli Porcinari. La finestra, elemento architettonico che rivela ma allo stesso tempo nasconde, viene così caricata di senso e la luce dei video materializza il desiderio di normalità. L’intero processo artistico ha avuto un valore collettivo perché in costante crescita grazie all’apporto del pubblico.

SIMONE PAPPALARDO (1976, Reggio Emilia) con Gianni Trovalusci - Rizoma/Alcina, PVC, legna di fiume, ottone, elettroniche autocostruite, membrane in lattice, com-puter, cellule fotoresistive, motori stepper, gonfiatori meccanici, suoni ambientali

L’installazione è una piccola foresta in cui le sculture/piante emettono suoni vocalici e richiedono la partecipazione del pubblico. Il materiale acustico di partenza è costitu-ito da interviste - realizzate dal performer Gianni Trovalusci - sul tema della luce, ad abitanti del territorio aquilano. Le carat-teristiche acustiche delle voci sono state modificate attraverso processi di fusione con altri timbri provenienti dal contesto in cui si trovano le sculture, da dati presi da internet attraverso un algoritmo che cerca fra le pagine dei social network la parola “luce”in diverse lingue, e dalle fonti lumi-nose dell’ambiente in cui é inserita l’opera.

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SPECIALE RE-PLACE 5

ENZO UMBACAMERI TANCREDI

ENZO UMBACA (1960, Caulonia)Goditi il panorama, performance

Un gruppo di persone con in mano un piccolo laser verde che si accende e si spegne, come lucciole, si incontra e illumina il buio. Il lam-peggio a intermittenza dei laser è anche un segnale di pericolo, che evidenzia gli ostacoli creati dagli edifici puntellati e dai cantieri della ricostruzione. Le persone, come piccoli sciami, hanno attraversato le strade semibuie del centro sto-rico dell’Aquila, fino ad arrivare sul prato della Basilica di Santa Maria di Collemaggio dove hanno osser-vato le stelle e disegnato, sulla fac-ciata della chiesa, la volta celeste, restituendo una relazione tra terra, cielo e città, vivendo un tempo di condivisione e partecipazione.

MERI TANCREDI (1976, L’Aquila)Leukòs, Installazione audiovisiva, videoproiettore, casse audio

L’installazione è una videoproie-zione di ombre, senza volto, che evoca un contrasto visivo perché sebbene non sia visibile l’imma-gine reale, se ne può percepire la corporeità e la presenza. L’artista ha inseguito e catturato le ombre di persone, registrato voci, rumori e suoni delle città che ha visi-tato negli ultimi cinque mesi; li ha tagliati, sovrapposti e alterati, fino a comporre un rumore generale che dà voce alla realtà che ascoltiamo quotidianamente negli ambienti urbani. Il suono e le voci di persone che camminano, lavorano, s’incon-trano vuol dire, per l’artista, ricreare la presenza sonora dell’abitare: che sia d’invito e di speranza.

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