"mosca-petuski"moscow to the end of the line of venedikt erofeev венедикта...

30
1

Upload: tatiana-polomochnykh

Post on 02-Dec-2015

515 views

Category:

Documents


6 download

DESCRIPTION

Il romanzo di Venedikt Erofeev "Mosca-Petuski", la storia della sua pubblicazione in Italia e il confronto delle sue tre traduzioni in Italiano.

TRANSCRIPT

1

2

3

1.

Un brindisi a Venedikt Erofeev

Bicchieri in alto per il vecchio Erofeev(*1), amici! Col suo immortale poema in prosa Mosca – Petuškì (*2), che racconta la storia di un vagabondo alcolizzato, lo scrittore contribuì a fermentare la cultura del secondo Novecento russo fino al grado massimo consentito, da farci venire un singhiozzo moderno, postmoderno e post-postmoderno.

Hurrà! – un urlo vichingo in risposta a questo brindisi si sprigionerà da ogni angolo della regione della Bassa Russia. Si acclamerà Venja o Venička(*3), un geniale poeta ubriaco, rincretinito e incompreso, che vomita davanti al pubblico la sua tragica vicenda condita di comici turpiloqui. E che strazio per lo stesso pubblico, che vede codesta sua tragica vicenda coagularsi in un rigurgito di un Santo sulla croce, che l’autore raccoglie nel suo Santo Graal della cultura, ispirazione poetica e stravagante fede. Per poi sorseggiare da questa reliquia, strada facendo.

Non sperate, oh illustrissimi bevitori, di fare cin-cin con quello stregato calice, ve lo dico subito. Con codesti vostri bicchieri riempiti d’acquetta facciamo solo una figuraccia. Tanto più vi scongiuro di fare una degustazione della perfida pozione venediktiana. Oggi chi stappa? Andate da quel disgraziato. Al limite, chi proprio insiste, può fare un piccolo assaggino. Ma attenzione, Erofeev può essere letale per i lettori allergici a tutto come le Signorie Vostre. Tanti sono affogati nei ragionamenti sulle proprietà organolettiche della bevanda in questione. Forse perché non è stato ancora inventato lo strumento adatto a rilevare la sua profondità, non si riesce a spiegare la sua essenza, concezione, messaggio principale. Che cosa voleva dire l’autore? Di che si tratta? Ognuno decide per conto suo e trova ciò che vuole. Una confusione totale. Per evitare di creare un’atmosfera di mistero, affrontiamo quel chimerico argomento, ma molto sinteticamente, galleggiando sulla superficie e procedendo con grande cautela.

La trama sembra innocua. Si narra in prima persona di un pendolare che dalla capitale dove lavora si dirige nel week-end in Petuškì, una piccola città della regione di Vladimir. Va a trovare il suo figlioletto e la giovane donna che ama. Durante tutto il tragitto beve alcolici forti, da solo e poi in compagnia di alcuni passeggeri, finché non cade in delirio e riprende i sensi solo quando il treno ormai sta tornando indietro a Mosca. Scende lì da dove è partito, alla stazione Kurskij, esce in città e nel buio notturno finisce nelle mani dei banditi che lo uccidono.

4

Direste, la storia è povera e priva di stile. Ha un gustaccio. Sarà, ma la trama non è mai commestibile di per sé, è solo un mosto. Masticatela, amici, sfregatela con la lingua al palato. Vi accorgerete della sua complessità e nobiltà degli ingredienti. Prima di tutto, ricorda il classico motivo della fuga, di sapore femminile, da vittime e perseguitati. La fuga del popolo d’Israele dall’Egitto, la fuga di Dafne da Apollo, la fuga dei romantici dalla noia e banalità quotidiana. Venička Erofeev fugge dalla vita stessa, trovando rimedio contro tutte le seccature del mondo nell’eterna ebbrezza.

A questa concettuale sostanza di base se ne mescolano molte altre. Per esempio, vi è familiare quel gusto caratteristico del tema di ubriachezza, brava gente? Quello frizzante. Come disse il poeta, “Colma il mio nappo, giovinetta bruna, la luna vi infilza il raggio e viva l’incubo e il miraggio!”. Venička preferisce una bionda, che però non può raggiungere e per giunta non ha miraggi, - solo incubi. Altro che gioia e sollievo, al nostro poveraccio l’ebbrezza porta solo dolore, vomito, angoscia, paura, inquietudine e con questi sentimenti egli modella la sua esistenza parallela alla vita normale.

L’altro sapore forte da distinguere è quello dell’eterno ritorno. Venička si mette in viaggio e come Ulisse che tornava a Itaca, sogna la sua Patria e la sua famiglia. Nel mitico luogo di Petuškì lo aspettano la sua Penelope e il suo Telemaco. Solo che dalla penna di quel cinico di Erofeev salta fuori una caricatura dell’eroe greco, diventato un guitto peggio di Omero.

Molto spazio dedicano i critici al viaggio di ricerca nel poema di Erofeev(*4). Nella classifica di Borges di temi eterni e unici della letteratura, - l’assedio del castello, il ritorno, la ricerca e il suicidio di Dio, - il tema della ricerca è strettamente legato al tema di ritorno. Ma in Mosca- Petuškì che cosa cerca Venička se non fuggire? La sua ricerca è il rovescio della medaglia della sua fuga. In ogni caso, quel viaggio, come molti subito notarono, è paragonabile al viaggio nell’aldilà, come quello di Dante nella Divina Commedia. Nella brillante indagine del sobrio critico V.Kuritzin (*5) viene dimostrata una curiosa somiglianza strutturale dell’universo di Venička con quello di Dante, vengono fuori i paralleli tra i personaggi. Ma ancor di più, a nostro avviso, il tesoro cercato dall’eroe di Erofeev riflette le preziose Anime Morte di Gogol’. Entrambi i viaggi sono costruiti sull’aspirazione ad un certo stato d’animo, tanto che l’opera di Erofeev si presenta come il seguito del poema di Gogol’, il suo moderno secondo tomo. Solo che in Mosca- Petuškì l’appassionata e ambiziosa ricerca gogoliana è drogata e lo stato d’animo desiderato assomiglia sempre di più al trance.

5

L’altro acino nel grappolo dei significati del poema di Erofeev riguarda il tema di non-viaggio, la sfumatura in più degli stessi temi di fuga, di ritorno o di ricerca, che proviene però da altre piste. Può darsi, che Venička non si è mai mosso dall’androne di una casa sconosciuta e aveva sognato il suo viaggio dall’inizio alla fine. Il bizzarro “viaggio mancato” fu inventato da Laurence Sterne nel suo Viaggio sentimentale di Yorick, dove dello spostamento dell’eroe parlano solo i nomi delle località di sosta, riportati nei titoli dei rispettivi capitoli. Le nostre aspettative di arrivare all’ “arrosto” di un qualche avvenimento o di interessante descrizione sono affogate nelle brillanti chiacchiere del narratore, che si diverte a prendere in giro noi lettori, re francesi, governi, istituzioni burocratiche, dissolutezza delle dame, vizi della società, stoltezza degli uomini ecc. Sterne insegna che la letteratura non ha bisogno di maestose facciate e suggestivi paesaggi, opere d’arte, rarità, carattere locale degli abitanti. Tutto ciò che sia degno di essere osservato sono l’elasticità della propria mente, i palpiti del proprio cuore e il corretto funzionamento dei propri organi del corpo. Il libro di Sterne, ristampato poco prima della stesura del poema del Nostro, non poteva sfuggire a un bibliomane com’era Venedikt Vassilievič. Imparando la lezione, Erofeev va oltre: non lo interessa la vita come tale, ne nell’aspetto ritenuto “importante”, ne in quello “insignificante”. La materia è solo un gravoso fardello. Tutto ciò che rimane è un nudo testo, un ready-made letterario, un gioco linguistico con degli archetipi della cultura russa ed europea. Siamo invitati a fare un divertente viaggio nello specifico spazio linguistico appositamente creato, in piena conformità con le leggi sintetizzate da R. Barte nel suo saggio Divertimento dal testo. Questo spazio è organizzato come carnevalesca funerale della letteratura russa, morta perché lacerata in mille frasi delle citazioni, svuotata da ogni contenuto, inquinata dagli slogan ideologici totalitari, macinata nel tritacarne della volgarità e ignoranza popolari.

Infine, il tema del suicidio di Dio, incluso da Borges nell’elenco di quei quattro che sono destinati a perdurare eternamente nella letteratura (*6). L’immagine di Venička è costruita sul modello di Gesù Cristo e tutto il testo si trasforma in una specie dello stilizzato Vangelo. Una moltitudine di dettagli compreso i numeri, presenti quasi su ogni pagina, o il tipo dell’esecuzione dell’eroe alla fine del libro, che ricorda la crocifissione, rivelano la sua aspirazione di somigliare Gesù. Ma più che Gesù Venička sembra Dioniso, dio dell’ebbrezza, ucciso e fatto a pezzi dai Titani per poi essere ricomposto da Apollo. Il suo corpo, fatto di pura letteratura, attraversa tutte le fasi di “lavorazione” per trasformarsi in nuovo vino.

6

Così il cantaro di Dioniso e la croce di Cristo, il chitone di Omero e il drappo di Dante, la marsina di Sterne e il cilindro di Gogol’ confluiscono nel collo della diva Bottiglia Bacbuc di Mosca – Petuškì, conficcata nella tasca della giubba ovattata degli operai sovietici. L’improbabile, sconcertante, pantagruelico eclettismo del tessuto narrativo tradisce l’autore: altro che un barbone o lo stupido Pierino, egli è un bicchiere pieno per quanto riguarda la conoscenza della cultura mondiale. Facciamo un “annusatina” sui campioni del materiale lessicale con il quale quel farabutto realizza il suo progetto. Assaporate, assaporateli bene, amici! Le citazioni s’accalcano con il loro odore di naftalina, gli stili cozzano uno contro l’altro, emettendo dallo sforzo parecchio zolfo, le parole emergono dalla candeggina purificante emanando nubi di cloro, gli slogan ideologici e i termini burocratici si decompongono con un tanfo di fogna, il fumo acre del gergo e delle parolacce irrita gli occhi e le narici, - e tutto degnamente ricoperto dalla muffa nobile di ironia, polemica e scherno rabelaisiano. Perbacco! Siamo condannati a ridere. Mica si può ai funerali come questo (attenti al momento di berci su!)…

Ma altro che si può, - si deve ridere ed esultare. Questi dionisiaci funerali sono anche la nascita della nuova vita, della nuova purificata lingua, dei nuovi archetipi culturali e della nostra rinnovata coscienza. Un evento che merita di essere festeggiato.

I Russi lo festeggiano così: il 24 ottobre, giorno del compleanno di Erofeev, una folla di appassionati si raduna alla stazione Kurskij con la scorta di alcolici che bevve Venička, sale sul treno per Petuškì e fa un animato giro. Ma Erofeev merita una performance collettiva di memoria anche in Italia. Si potrebbe benissimo organizzarla durante la Sagra dell’uva in qualche città, per esempio a Marino. Quando le fontane danno gratis il vino. L’appuntamento è alla stazione Termini di Roma, sul treno in perfetto stile “erofeeski”, un rottame non molto diverso dall’električka russa e di giusta stagionatura: circolava ancora nel momento della stesura del poema. Tutto il mondo è paese. Quel treno per Marino spesso parte dal binario che non c’è: numero 18, che non riuscirete a vedere anche se non avete ancora bevuto. Lo troverete correndo mezzo chilometro tra i binari 17 e 19 e anche se sarete in ritardo, state tranquilli: lo piglierete, visto che non parte mai in orario. Niente biglietti, mi raccomando. Il controllore Semёnyč è rimasto da qualche parte tra Mosca e Petuškì, qui nessuno lo sostituisce. Il vestito d’obbligo è da operai e non dimenticate la valigetta con i cocktail che preparate voi stessi. Che ne dite, per esempio, di “Il bacio del Cavaliere” o di “La Bella Addormentata del Fisco”?

7

Note:

(*1) Il “vecchio” in contrapposizione a Viktor Erofeev, un altro noto scrittore russo contemporaneo.

(*2) Scritto nel 1969, pubblicato ufficialmente in Russia solo nel 1989

(*3) Diminutivo e vezzeggiativo del nome Venedikt. Così il nome dell’eroe corrisponde, ma non coincide con il nome dell’autore stesso.

(*4) Vedi, per esempio, il racconto di Viktor Pelevin Ixtlan-Petuškì, versione elettronica

(*5) V’jačeslav Kuritzin Мы поедем с тобою на «А» и на «Ю»// Новое литературное обозрение, М., 1992 с.296-304

(*6) vedi Jorge Luis Borges Quattro cicli. Ancor più sintetico Rolan Barte, il quale ritiene che ogni testo può essere ricondotto alla sola storia di Edipo.

2.

Tre traduttori contro trighe

Mettersi a tradurre un’opera come Mosca – Petuškì è un po’ come cacciare disarmati una tigre. Ci vuole un certo coraggio. Eppure, il periodo durante il quale il poema circolò solo in Russo fu abbastanza breve. La “caccia” prese l’aire quando i Francesi nel 1976 la pubblicarono come “romanzo” Moscou–sur-Vodka. L’anno successivo il grande Pietro Zveteremich(*1), tenace e instancabile macchina da scovo, riuscì a condurre quel selvatico di Erofeev in Italia. Appare così tradotta da lui per i tipi di Feltrinelli Mosca sulla vodka. I pensosi Tedeschi reagirono nel 78’, ma non si accontentarono della riduttiva dimensione satirica e alcolica del titolo e preferirono chiamare l’opera in loro perfetto spirito del Bildungsroman: Die Reise nach Petuškì. Gli Americani si adeguarono nell’80’ con la loro versione Moscow to the end of the line e gli Inglesi nell’81’con Moscow Circles, alludendo ai Cerchi nella Commedia di Dante. Questa era la prima ondata. Verso la fine degli anni 90’ ci si rese conto delle straordinarie sfaccettature di ogni paragrafo dell’originale e il gioco di traduzione del poema si ricominciò da capo un po’ ovunque. Da noi uscirono nel 2003 Tra Mosca e Petuškì di Mario Caramitti e nel 2004 Mosca – Petuškì di Gario Zappi. (*1)

E come se la sono cavati i Nostri?

Si sono accorti subito, che lo stile di Erofeev è un “…impasto grottesco di gergo ufficiale, “sovietico sacrale”, e della parlata della strada, dei beoni, del turpiloquio e dell’affronto, nonché nel frequente impiego del lessico solenne o addirittura filosofico per oggetti e temi

8

futili o generalmente ritenuti spregevoli”(Zveteremich nella Nota del curatore). Ma mentre il bestione passava accanto allo specchio italiano, vi si notò il muso di un brutto maiale randagio e si percepì un grugnito: Oh, p……...o! Come interpretare ciò che aveva pronunciato? Naturalmente voi direste, che era: “Oh, perbacco!”. A me sembrerebbe piuttosto: “Oh, peccato!”, anche perché l’esclamazione pare fosse stata accompagnata da un profondo sospiro. Altri insisteranno sul: “Oh, principe azzurro!”, visto che nel poema egli si paragona al Piccolo principe. C’è chi vorrebbe addirittura che si tratti di un arcano spergiuro dei sciamani, una specie di “Oh, phagagarrro!”. Ma ecco il Traduttore che stabilisce: - Finalmente la bestemmia nazionale P O R C O D I O, mancante in Russo, trova la propria incarnazione letteraria, mancante nella letteratura italiana! Venička, tutto contento che il gioco stesse funzionando, avrebbe vissuto un paio d’anni in più. Maniaco delle trappole, egli le disseminò nel suo testo da non lasciar quasi spazio ad altro. Due su tre dei Nostri cascano, mettendo nei puntini di sospensione tutti questi, scusate, cazzo e coglioni, che Venička non ha mica detto. Egli usa le parolacce in modo “soft” e solo nei casi di stretta necessità. Di questo parla A. Pluzer-Sarno: “… il lessico osceno nel poema non supera quello degli altri testi degli scrittori russi, che hanno la reputazione di scrittori “decenti”(*3). Il recensore conta 22 vocaboli osceni in tutto il poema e commenta: “E questo è tutto. Mentre, per esempio, nella decorosissima “Saga Moscovita” di Vassilij Aksёnov ce ne sono 72, nel romanzo ”Ožog”(“Ustione”) 117. Inoltre, i romanzi di Aksёnov abbondano di scene sessuali al limite del “ruvido porno”. Erofeev invece è uno scrittore elegante. Il suo stile ha a che fare con quello di Sterne, da cui il nostro poeta era palesemente influenzato. L’idioma francese ha tre esclamazioni di disappunto, ci informa l’eccentrico Inglese. Le Diable!, – la prima, a guisa del grado positivo; Peste!, - la seconda, corrispondente al grado comparativo; E la terza è… Che tutti i traduttori fossero come U. Foscolo e seguendo la volontà dell’autore lasciassero capire a noi qual è il grado superlativo della forte commozione d’animo in Francese. Ma Foscolo non era provocato, a differenza dei traduttori di Erofeev. Invece, intorno alle imprecazioni di Venička il suo creatore costruisce una gigantesca bufala e riesce a truffare addirittura i suoi commentatori russi, oltre che una massa di lettori. Nell’introduzione di Mosca – Petuškì l’autore ci avverte di aver scritto un intero capitolo di turpiloquio, che poi decise di togliere. Che truffa! Questo capitolo non è mai esistito. Ma nel nostro giudizio sul libro abbiamo già schedato il poema come piena di chissà quali oscenità. Ed ecco ad arrivare nel testo tutti questi puntini di sospensione. Per quanto lo strato espressivo popolare sia utile al Nostro per effettuare i suoi giochi di prestigio linguistico, questi puntini di sospensione gli

9

servono ad altro: rendere il testo ludico e concettualmente stratificato. In questo modo negli spazi tabuati vengono codificati non solo chissà quali terribili parolacce, che ognuno sceglie o inventa a suo piacimento, ma anche il pudore di pronunciarle.

I puntini di sospensione li troviamo anche nell’umoristico ragionamento sulle donne: una di loro, ricorda Venička, aveva sparato a I… Chi è questo I… ogni Russo lo capisce al volo: è Lenin, “mezz’ammazzato” (“НЕДОБИТЫЙ”), come si direbbe in Russo, da Fanni Caplan e spesso chiamato nel contesto propagandistico con il solo patronimico Il’ič, in modo confidenziale. Teoricamente Erofeev poteva mettere questo Il’ič per intero senza offendere la presunta censura: dal contesto risulta che attentare alla vita di Lenin è uno smacco per tutto il genere femminile. Ma lo scrittore fa artisticamente “oscillare” l’impulso dell’intelletto come nel jazz lo swing sposta leggermente la rete ritmica fissata nella stesura. Né Zveteremich né Zappi captano queste particolarità musicali: uno mette direttamente Lenin, l’altro Il’ič. Un colpo di grazia a tutto il passaggio arriva da entrambi i traduttori quando loro, confondendo i registri d’espressione, traducono il verbo orinare, di assonanza neutra e termine medico, con il volgare pisciare. Peccato.

G.Zappi generalmente riesce a migliorare la versione di Zveteremich, che a volte sembra troppo amatoriale. Per esempio, non confonde ubriaco e brillo. Ma non possiamo perdonargli il disastroso risultato nel penultimo passo del capitolo “Elettrougli – Kilomentro 43”, nel quale Venička, dopo aver elargito le sue ripugnanti “ricette”, che contengono la lacca, lo shampoo ecc., si lamenta sui consigli di alcuni lettori di anziché bere questi “cocktail” buttarli via, facendoli scolare direttamente nel lavandino. Questo significato sfugge completamente ai traduttori. Ecco le tre versioni a confronto:

Zveteremich: “A proposito, mi sono giunte lettere in cui oziosi lettori mi consigliano inoltre di filtrare l’infuso così ottenuto con un passino. Ossia, di filtrarlo con un passino e poi di andare a letto…”

Zappi: “A proposito, ho ricevuto delle lettere in cui lettori oziosi mi consigliavano di procedere anche così: filtrare l’infuso attraverso un colabrodo. Cioè filtrare attraverso un colabrodo e andarsene a dormire…”

Caramitti, l’unico ad afferrare il senso, traduce in modo giusto:

“Ho ricevuto lettere nelle quali lettori che hanno tempo da perdere raccomandavano di versare il tutto sullo scolapasta e lasciarlo scolare per una notte intera… Che accidenti significhi proprio non lo so, tutte queste integrazioni e aggiunte nascono solo dalla povertà

10

d’immaginazione, da un pensiero con le ali tarpate; ecco da dove escono fuori queste assurde correzioni…”

Abbiamo piacevolmente allungato la citazione oltre il dovuto per far ascoltare al lettore lo scherzoso bofonchiare prettamente gogoliano, che ricorda la parte conclusiva de “Il naso”. Ma torniamo all’argomento.

Filtrare attraverso un passino o un colabrodo non significa buttare via, significa eliminare le impurità. Diverso sarà l’effetto del buttare il liquido sullo scolapasta.

La traduzione di Mario Caramitti riesce ad evitare una parte delle gaffe e in alcuni casi rimane ugualmente inesatta. Prendiamo, per esempio, l’inizio e la fine del poema. È assolutamente necessario lasciare il suo titolo così com’è. Tra Mosca e Petuškì è fuorviante e distrugge l’ossimoro, togliendo all’orecchio l’acutezza della sostituzione di Pietroburgo con Petuškì. Il titolo di Erofeev, lo strappo dall’annuncio del riproduttore della stazione, è un insieme come Le anime Morte o La neve calda e non come i “panini” Delitto e castigo, Guerra e pace, Il rosso e il nero, che forse non perderebbero così tanto dall’aggiunta di un altro vocabolo. (Forse, è il caso di lasciare Mosca in Russo: Moskva-Petuškì, come lo fa M.Colucci?)

Le ultime righe del poema rivelano che nessuno dei tre traduttori le capisce. Zappi addirittura riesce a sbagliare la data della stesura dell’opera, burlato dall’autore stesso, gran maestro di depistaggio, che inventava di tutto e di più sulle sue creazioni. Ma tutti e tre gli intrepidi traduttori spezzano la frase finale: Sui lavori di cablaggio a Šeremet’evo, trasformando Šeremet’evo (e Lobn’a) in una specie di Peredelkino, cioè in un luogo della stesura dell’opera. Qual è invece il senso della frase? È un nome dell’aldilà, del buio e muto Inferno, dove Venička viene spedito dopo il suo assassinio. Come si fa a spezzare il nome?

Non possiamo mettere sul conto dei traduttori la mancata trasmissione dei termini che veramente non si può tradurre, come, per esempio, la parola “zakuska”, il boccone che viene consumato dopo aver bevuto un alcolico. Così non si può tradurre dall’Italiano la parola “strozzapreti”, insieme con una moltitudine di altre. Ma comunque nell’interesse del lettore italiano dobbiamo essere molto esigenti verso la qualità delle traduzioni. Per il momento quella di Mario Caramitti si potrebbe definire l’unica accettabile. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ Note:

11

(*1) Pietro Antonio Zweteremich (1922-1992) era un traduttore davvero coraggioso: a lui dobbiamo la traduzione del romanzo Dottor Živago di L.Pasternak, la cui pubblicazione nel 1957 nella casa Feltrinelli scatenò il conflitto diplomatico con le autorità sovietiche.

(*2) Ecco le tre edizioni:

Venedikt Erofeev Mosca sulla vodka (a cura di Pietro Zveteremich) Feltrinelli, 1977, 1990 Venedikt Erofeev Tra Mosca e Petuški (a cura di Mario Caramitti) Fanucci, 2003 Venedikt Erofeev Mosca-Petuški e altre opere (a cura di Gario Zappi) Feltrinelli, 2004

Tutte le citazioni del presente articolo sono prese dall’edizione di M.Caramitti

(*3) Aleksij Plutzer-Sarno Venja Erofeev… http://magazines.russ.ru/novyi_mi/2000/10/rec.html

3. La passione italiana di Venedikt

Neanche alla fine a Erofeev, ormai famoso, malato di cancro e bisognoso di cure, fu concesso dalle autorità sovietiche il viaggio in Europa, da lui tanto agognato e scherzosamente descritto nel poema.

In compenso le sue opere vi ci mettono le radici sempre più in profondità. In Italia, come ovunque, ci volle tempo per stimare la colossale ampiezza del suo lascito. A determinare la velocità con la quale si raggiungeva la consapevolezza del fenomeno di Erofeev fu la qualità delle traduzioni delle sue opere e il pensiero critico, per lo più degli stessi traduttori.

Zweteremich nell’entusiastica Nota del curatore del volumetto di Mosca sulla vodka per primo in Italia fornisce la sua propria interpretazione del testo. Il suo innamoramento per l’opera fa pienamente espiare a questa recensione ogni peccato. Ma le conclusioni del critico sul concetto generale del poema oggi sembrano ormai obsolete. Zweteremich prende un abbaglio, ritenendo che l’operazione linguistica del testo è volta “a smascherare e mettere in ridicolo l’edificio dell’ideologia ufficiale”. Nel “tragico urlo” che “esce dalla gola dello scrittore” il critico vede “la chiave di tutto il poema” e cita il seguente passaggio: “Oh, infami! Hanno ridotto la mia terra nel peggiore inferno di merda e obbligano a nascondere le lacrime davanti alla gente e a esibire il riso! Oh, infime canaglie! Non hanno lasciato alla gente nient’altro che il “dolore” e, dopo di questo, dopo di questo, il riso da loro è pubblico e la lacrima è sotto divieto!..”.

Nel lettore si crea l’illusione, che Erofeev sia un espressione artistica del dissenso politico-letterario, un ribelle peggiore di A.Radiščev.

12

Questa opinione è abbastanza diffusa, come è diventata abitudine tra i critici di nominare Radiščev fra le dirette fonti spirituali di Erofeev. Ma non beviamo a garganella tutto ciò che troviamo in giro.

Restituita al suo contesto, la frase citata acquista tutt’altro significato. Ecco la sua premessa: “Oh, poter dire qualcosa adesso, qualcosa che una volta detta faccia sgorgare le lacrime dagli occhi di tutte le madri, faccia addobbare a lutto i palazzi e le capanne, i kišlak e gli aul” È con questi insani propositi che Venička si esercita in retorica da rivoluzionario bolševico “Oh, infami!...” con il segno esclamativo dopo ogni frase. Abbiamo un’autentica parodia al filone della letteratura russa politicamente impegnata da Radiščev fino a Solženicyn. Erofeev non solo veste la giubba, ma anche la faccia infarina: far sgorgare le lacrime dagli occhi di tutte le madri significa non distinguere vinti dai vincitori, amici dai nemici, giusti dai peccatori. Non ha senso. Addobbare a lutto sia i palazzi sia le capanne suona altrettanto ridicolo quanto di per sé sono comici in Russo i termini kišlak e aul. L’enfasi moralistica, didattica, d’opposizione ideologica entrano a far parte, secondo il credo del nostro poeta, del complesso della rivoluzione, tanto vilipesa e irrisa nella sua opera. La sfumatura della satira politica può essere solo presa in considerazione, nulla di più.

Ma se non da Radiščev, da dove viene questo particolare atteggiamento verso il sociale in Erofeev? Le parole infuocate del loquace Venička ricordano troppo bene le dichiarazioni babbee di Sterne, - scusate, di Yorick, suo alter-ego e pseudonimo: “Tu poi condirti a tua posta, o indolente SERVAGGIO! io dicevo – tu sei pur sempre un calice amaro; e sebbene i mortali nascano di generazione in generazione a migliaia per tracannarti, tu non per tanto non sei men amaro”(*1). Questi pensieri ispira a Yorick lo stornello in gabbia. Oppure, un'altra invettiva, rivolta direttamente al re francese: “Vedi scortesia! – e questo manomettere i naufragi di un passeggiere disavveduto che i vostri sudditi allettano a’ loro lidi – per Dio! Sire, non è ben fatto: e sì che mi rincresce d’avere che dire col monarca di un popolo tutto cuore e sì incivilito e cortese…”(*2).

In occasione dell’edizione di Mosca sulla vodka appare ne La Stampa questa testimonianza di Serena Vitale, oggi una curiosità storica:

" Il racconto di Erofeev ha un retrogusto torbido e disperante, proprio come una gigantesca sbornia di vodka: se il suo ilare e grottesco cinismo può essere gustato come un piccante antidoto a tanto ottimismo programmatico, la testimonianza indiretta che esso offre sulla crisi, la politicizzazione, la radicale delusione di almeno uno strato della società russa è ben più amara degli esiti diretti della satira."(*3)

13

Gli stessi toni usa Vittorio Strada nella Repubblica del 19 agosto del 1977, nell’articolo intitolato Viaggiando in un limbo di vodka che nel sottotitolo reca: L’alcolismo, grave piaga sovietica. L’articolo, che oggi si presenta come una flash sull’infanzia della critica letteraria mondiale su “Moska- Petuškì”, s’impernia su due domande che ricordano quelle fatte della Sfinge nel poema di Erofeev: “Perché definire “specialmente sovietico” un fenomeno antico e universale come l’alcolismo? E perché ridurre un testo narrativo quasi a illustrazione di un fenomeno sociologicamente studiato?”. Ma per quanto comiche possano oggi sembrare tali domande e per quanto goffi appaiono i ragionamenti nelle rispettive risposte, nel suo piccolo saggio giornalistico Strada si distingue comunque dal fiuto incredibile di un vero critico letterario, quasi inconsapevolmente collocando Erofeev nel Limbo. Nella Divina Commedia di Dante il Limbo è il primo cerchio dell’Inferno, popolato dalle anime di quanti vissero da uomini giusti. Tra loro ci sono grandi poeti dell’antichità come Omero e Virgilio. Nel Limbo immagina Bulgakov l’aldilà dei suoi personaggi Maestro e Margherita.

Tra l’altro, i critici avevano una scusante: nella traduzione approssimativa di Zweteremich andava completamente annacquata l’enfasi anti-alcolica del poema. Sì - sì, per quanto possa sembrare strano, nel poema si tratta proprio di propaganda anti-alcolica. Vi ricordate che cosa consigliarono i lettori oziosi a Venička (vedi la tripla citazione nel capitolo precedente)? Di non bere queste schifezze. Ma queste schifezze sostituiscono i vini di bassa qualità, schifezze anche quelli, indegni di essere bevuti in onore del Signore: “Non ho nulla che possa essere degno di Te. La vodka del Kuban’ è una tale schifezza! E della Rossijskaja è addirittura comico parlarne al Tuo cospetto. E il rosato liquoroso da un rublo e trentasette! Dio mio!..” Quindi, si può dedurre, non bisogna bere né vini economici né “cocktail”. Forse ogni tanto un po’ di nobile xeres. Anche negli altri numerosi passaggi del testo l’enfasi anti-alcolica è concentrata tra le righe. “Perché hai bevuto tutto, Venička? Era troppo…”, - dicono gli angeli nel capitolo Saltykovskaja-Kucino e il lettore solidarizza, quasi si immedesima in loro. L’effetto psicologico finale del poema è paragonabile a quello della storia dell’assassinio delle due vecchiette per mano di Rascol’nikov: di catarsi, della nostra “ricarica” morale.

Per quanto riguarda invece l’interrogativo di V. Strada circa la definizione di “specialmente sovietico” del fenomeno dell’alcolismo, si tratta di un mito che Erofeev abilmente sfrutta per fuorviare il lettore e per cancellare le tracce del proprio metodo. È vero, i Russi amano attribuirsi il primato nell’inesistente campionato internazionale dei beoni. Proprio perché credono di ottenere in questo modo un’immagine

14

particolare, diversa dagli altri popoli agli occhi di tutto il mondo. E tuttavia la Russia è un lago di vodka tanto quanto nell’urina di Gargantua sono annegati migliaia di parigini. Rappresentando il problema del bere come prettamente nazionale russo, il poema di Erofeev intrappola parecchi critici, soprattutto quelli stranieri. Come abbiamo detto all’inizio, con lui bisogna essere molto, molto attenti.

La ristampa di Mosca sulla vodka nel 1990 viene accolta con altri due importanti testi critici: la postfazione del volume ristampato, Il diavolo e l’acquavite: quel viaggio Moskva- Petuškì di Michele Colucci e l’articolo su Repubblica del 13 aprile Il bacio della zia Klava di Cesare De Michelis. Assistiamo a tutt’altro livello di professionalità, ai giudizi più circospetti e ponderati. M. Colucci(*3) rimane colpito da “la qualità raffinata e singolare della scrittura” di Erofeev, C. De Michelis(*4) lo nomina “il più irregolare da tutti gli irregolari” e avverte, che l’eroe “… forse, non s’è mai mosso da Mosca, forse s’è addormentato e il treno elettrico ha fatto in tempo per ritornare, forse è stato solo un sogno”. Ma la concezione generale dell’opera in entrambi i critici è ancora lontana dalla sua diabolica complessità. M. Colucci conclude il suo saggio con l’affermazione: “Per Erofeev una vera legge morale da restaurare sembra non poter essere che quella cristiana”.

In questa affermazione fa capolino la morbosa inclinazione di una parte della platea critica russa a riconoscere in Erofeev il nuovo Cristo sulla terra e comunque ad attribuirgli una fervida fede. A sostenere la tesi è Ju.Vlassov col suo cosiddetto “Commento”. Successivamente Venička - Cristo concedette la grazia della sua divina apparizione ad una seguace di Vlassov S. Steblovskaja, che nell’ardore della polemica con chi vede nel messaggio dell’opera solo un inno all’alcolismo, scrive: “Il poema è dedicato alle sofferenze e al cammino con la croce di Venička. Venja è il Cristo travestito, Cristo Sofferente dell’epoca sovietica ( …) egli si è assunto tutte le disgrazie e si è addossato tutte le colpe del suo tempo e del suo popolo, come Cristo fu incompreso e brutalmente ucciso dai suoi contemporanei, incapaci di capirlo” (*5).

La questione non è semplice. Il fatto che Erofeev non si separasse dalla Bibbia e che da adulto si facesse battezzare con rito cattolico, stranamente non vuol dire ancora che lo scrittore fosse un profondo e sincero credente. Noi lo conosciamo come un bugiardo innato, come un personaggio letterario incarnato nell’autore. Dietro ogni suo “si” c’è da sospettare un “no” e viceversa. Se lui dice “sono Cristo”, non vuol dire che lo sia né che crede davvero di esserlo, quanto invece che non è un cristiano credente. Soprattutto se prega ubriaco o brillo. E lasciamo perdere tutte queste cifre “simboliche”, che fanno impensierire M. Colucci e altri critici: tutti questi 40 gradini, 4 apostoli, tredici settimane,

15

ecc. Erofeev butta un paio di cifre su ogni pagina come si butta l’osso al cucciolo: su, Fufi, prendi! “La vita si farà beffe della vostra matematica, tanto elementare che superiore. - tredici – quindici – quattro – dodici – quattro – cinque – ventotto.”

Certo, qualche strana forma di confessione è diagnosticabile a Erofeev,visto che nei classici della letteratura russa è un vizio di famiglia professare una fede non conforme ai dogmi del cristianesimo.

Diversamente da M. Colucci, C. De Michelis si concentra sull’appartenenza del libro al dissenso politico e culturale sovietico e scrive: “Il “viaggio” più o meno immaginario è solo il pretesto per una raffigurazione “dal basso” della società sovietica, e soprattutto dalla sua condizione più simbolica, l’alcolismo cronico e disperato”. Perché, invece, non considerare la ruvidità del verbo di Erofeev, le “bassezze” degli argomenti toccati compreso il motivo del bere nella prospettiva della tradizione culturale mondiale, cominciando da Rabelais? M. Bakhtin, parlando dei romanzi Gargatua e Pantagruele, enuclea una serie di blocchi tematici, una parte dei quali riguarda il “basso”, l’”osceno”, le esigenze del corpo. Così accanto al blocco della morte, degli animali o degli oggetti troviamo quello dell’assunzione smisurata di alcool, dell’abbuffarsi, del defecare e orinare, del sesso. Il tessuto narrativo contiene lo strato lessicale popolare con tanto di turpiloquio, e d’altra parte, è arricchito con il lessico aulico e le citazioni dagli autori dell’antichità. Il metodo creativo dello scrittore rinascimentale consiste nella “distruzione di tutte le connessioni abituali, nella demolizione delle vicinanze abituali tra le cose e le idee e nella combinazione delle vicinanze paradossali, delle connessioni inaspettate compreso quelle logiche e linguistiche (l’etimologia, la morfologia e la sintassi specifici di Rabelais)”(*6). Erofeev, che non poteva non conoscere Rabelais, popolarissimo e presente in ogni biblioteca provinciale dell’URSS, segue sia lui direttamente, sia, più sovente, i suoi due “discepoli”: Sterne e Gogol’. Fu Sterne a insegnargli come si tocca il tema rabelaisiano del “basso” e dell’“impuro” senza sporcarsi le dita. Obbedendo alla bacchetta dello schizzinoso maestro, Erofeev spesso è costretto a mettere i guanti e manovrare i rifiuti ecologici con le pinze. Da Gogol’ invece egli prende in prestito quella lanterna del tardo romanticismo, che getta sull’argomento “basso” una luce incerta, ingannante, paurosa. Facciamo i rispettivi esempi.

“- Non saprei dove trovar donna più costumata di madame de Rambouillet, né bramerei di trovarne veruna che avesse animo più illibato e più virtuoso del suo”, - dice ad un certo punto Yorick. Dopo di che racconta come ella compie il suo bisognino. “Non ti dia noia, o viaggiatore delicato, che madame de Rambouillet stia p…do” – esclama

16

l’autore per finire il paragrafo con l’entusiastica quanto velenosa affermazione: “e s’io fossi stato sacerdote della pudica CASTALIA, non avrei di certo assistito alla sua fontana con decoro più riverente”(*7). Erofeev echeggia allegramente, quando Venička esprime il suo parere sulle donne: “Da un lato, come Karl Marx, amavo in loro la debolezza, mi piaceva il fatto che sono costrette a orinare accovacciate, ciò mi riempiva… di che mi riempiva?.. di voluttà, forse? Beh, sì, mi riempiva di voluttà.”.

Ed ecco l’inconfondibile inchiostro di Gogol’, da Il mantello, nell’episodio quando i tre vigili acchiappano Akakij Akakievič morto: “…lo spettro starnutì con tale violenza, da accecar quasi collo spolverio tutti e tre. Mentre poi essi si fregavan gli occhi coi pugni, lo spettro si dileguò senza lasciar traccia, tanto che in seguito non erano neppur sicuri d’averlo avuto fra mano.”(*8).

Ed ecco la conversazione di Venička con lo spettro del re del Ponto Mitridate, “sporco di moccio”:

“- Mi capita sempre così: quando c’è la luna piena, il moccio si mette a colare …

- E gli altri giorni non cola?

- A volte cola. Ma non così forte come al pienilunio.

- E tu che fai? Non te lo pulisci neanche un po’? […]

- Ma come dirti. Mi capita di pulirmelo, solo che al pienilunio chi mai sarebbe capace di pulirlo? Più che pulirlo lo spalmi di più. Come sai, ognuno ha i suoi gusti: c’è a chi piace buttar fuori il moccio, a chi piace asciugarlo, a chi piace spalmarlo. Ma al pienilunio...”

Oggi, quando ogni settimana da qualche parte nel mondo esce un articolo su Erofeev, il suo testo comunque non vuole trasformarsi nel parco di Peterhof, pieno di scherzose sorprese, ma rimane sempre una taiga con pochi sentieri. Anzi, appare evidente, che il poema Mosca – Petuškì è come la regione siciliana: più si approfondiscono le cose e più si complicano.

Il saggio del traduttore e filologo Gario Zappi nel volume da lui curato reca un tentativo di orientarvisi e contiene della stoffa sicuramente da prendere in considerazione. Ma la diritta via era smarrita nel momento in cui egli crede che Erofeev continua ad essere ignorato dalla critica e cita abbondantemente e seriamente il parere di V. Strada, oggi non condiviso neanche nell’ambito dell’insegnamento scolastico russo. Nell’eccellente saggio di M. Epštejn Posle karnavala… G. Zappi individua una frase, che cita: “Erofeev è l’ultimo mito letterario dell’epoca sovietica”. Da qui

17

segue un incredibile conclusione, posta nel finale del saggio, come riassunto generale di tutto il pensiero esposto in questa sede: “Erofeev è un retaggio di un mondo ormai scomparso, di un epoca storica ormai trascorsa, di un’opposizione a un’ideologia ormai definitivamente fattasi Storia”.

Dov’è quel tenace lettore, che dopo queste righe della prefazione del poema vorrà proseguire con la lettura? E poi, egregio critico, in Russia i cambiamenti sono lenti, troppo lenti. Sembra che la gente apposta non voglia cambiar niente nella vita perché la grande letteratura russa conservi in eterno la sua attualità. Ci sembra ancora nuovo e fresco Deržavin, figuriamoci se mettiamo Erofeev sullo scaffale dell’antiquariato!

Nella sorta di post-scriptum al suo testo G. Zappi parla di un “episodio di carattere personale”, raccontando della sua visita alla vedova dello scrittore (che chiama senza cerimonie con il diminutivo Galja), come appellandosi alla prassi italiana di essere sempre ed ovunque raccomandati, di sfoggiare le conoscenze in alto loco, di essere a tu per tu con dei personaggi famosi. Erofeev, per esempio, cercherebbe di nascondere i propri canali di informazione.

E ora passiamo a M. Caramitti, che immaginiamo seduto sulla sua scrivania ridente e per niente spaventato dalle nostre troppo severe e ingiuste critiche. Egli sì che ha diritto di ridere: il suo lavoro è stato avallato dagli elogi dei tre recensori della rivista elettronica sulla slavistica ESamizdat del 2004: S.Guagnelli, M.Cikada e S.Bartoni, tutte e tre riflessioni intelligenti e quindi da non perdere. Possiamo condividere il loro entusiasmo per il libro di Erofeev e il rispetto per il suo corredo critico. Indubbiamente il saggio di M.Caramitti si presenta ottimo per gli studenti universitari di letteratura russa, che lo devono leggere così come gli studenti di medicina devono assistere alle operazioni chirurgiche in sala operatoria. Indubbiamente, il testo di M. Caramitti su Erofeev è il più serio di tutta la critica italiana, ma una volta presa la posizione di scherma, calata la maschera ed impugnata l’arma, siamo obbligati ad attaccare. Prima di tutto, si potrebbe discutere sulla salubrità di prodotti digeriti come il “Commento” di Vlassov, da dove Caramitti “attinge preziose informazioni”. Si può discutere anche su alcuni pareri come questo: “Emerge a questo punto un intertesto davvero ineludibile, il romanzo odeporico di denuncia sociale Viaggio da Pietroburgo a Mosca di Aleksandr Radiščev”. Questa frase è troppo leggera. Si crea l’impressione che M.Caramitti ripete ciò che ruota nei testi degli altri, creando nella critica l’effetto contro il quale nella letteratura insorse Erofeev, - la creazione dei cliché. Ma vediamo da vicino.

18

Nel suo romanzo, reputato da Puškin un testo mediocre(9*), Radiščev inventa un particolare genere di viaggio in nome della futura rivoluzione, ripreso poi da Nekrassov e Blok. Vedendo che il suo talento letterario non è tale da permettergli di emergere come scrittore, Radiščev ricorre al frasario della Grande rivoluzione francese, imparato dall’autore russo in Germania durante gli studi, a contatto con la corrente rivoluzionaria locale dello Sturm und Drang. L’esperimento del Viaggio a Mosca… ebbe l’effetto di una provocazione politica, l’autore finì nell’esilio siberiano e il titolo del libro è diventato famoso. Il titolo. Il libro stesso i lettori lo vanno a leggere solo per verificare l’esattezza del giudizio di Puškin. Supponiamo che Erofeev questo esame di coscienza lo abbia fatto e lo invitiamo a fare anche i critici.

Altrettanto infondate sembrano le affermazioni del critico, che “il posto d’onore” tra gli intertesti di Erofeev spetta a Dostojevskij e Turgenev. E a Gogol’ no? Nella sfilza dei poeti importanti per Erofeev stranamente non figura Igor’ Severjanin. Forse, a questi allude M.Caramitti nella frase “inclusi alcuni tra i più banali e lacrimevoli dei simbolisti minori”? Ma Severjanin non era simbolista, tanto meno banale e lacrimevole, allora non è lui. Insomma, si crea una certa cortina di fumo sulle radici di Erofeev. Qui qualsiasi scelta di nomi è legittima, ma deve essere spiegata al lettore. Non si può argomentare un parere di tale peso con delle parole generiche di una sola frase. Nel caso se non si ha tempo o spazio a disposizione per l’analisi comparativa, la responsabilità del giudizio può essere scaricata su qualche predecessore di indiscutibile reputazione scientifica, del rango di M. Bakhtin, Ju. Lotman e B. Uspenskij. Ma l’analisi più esauriente dei paralleli tra Erofeev e Dostojevskij, per esempio, appartiene a Vladislav Bacinin(10*), ancora non ascrivibile a questa categoria, quindi è meglio andare a sincerarsi di persona su ciò che costui deduce.

Per ragioni di spazio solo un ultimo cavillo, a dimostrazione che i consulenti russofoni di M. Caramitti possono fare errori non meno disastrosi di quelli che fanno i consulenti della casa Feltrinelli. “Il toponimo Petuški del titolo… vuol dire né più ne meno “Galletti”. Questa città dei galli è certamente imparentata con quella dove san Pietro tradisce Cristo...”. Nossignore, il vocabolo Petuški ha anche altri significati(*11). Prima di tutto, appartiene al primo vocabolario infantile e quindi è carico di amore, tenerezza, luce, colori, suoni. Nello stesso tempo, comprende la radice del verbo pet’, cantare e allude alla caratteristica del luogo, dove gli uccelli non smettono mai di cantare, ovvero il paradiso. Inoltre qui è intrecciata la radice del verbo pit’, bere. Come è noto, “e” atone in Russo si pronuncia come “i” e perciò si tratta anche di “Pituški”, luogo delle bevute. Qual è il luogo del canto e delle

19

bevute che l’eroe riesce a visitare realmente nel poema, a differenza del mitico Petuški? Il ristorante della stazione Kurskij. Qui non si beve niente (“Vedrai adesso che bel xeres!”) e si canta male. Il canto del odiato da Venička famoso cantante Kozlovskij (cognome traducibile come Del capro) è un autentico belare. Questo belare traspare nella grafica del testo in Russo, osservabile anche da chi non conosce la lingua russa: «О-о-о, чаша моих прэ-э-эдков... О-о-о, дай мне наглядеться на тебя при свете зве-о-о-озд ночных. О-о-о, для чего тобой я околдо-о-о-ван». Quindi, nel ristorante si canta in modo tragico, se ricordiamo anche che tragedia proviene da tragos “capro”! Il ristorante della stazione diventa un’altra ipostasi del mancato Petuški, il suo rovescio, in contrapposizione alla solenne città di Pietro, Pietroburgo e Roma, di cui giustamente parla M. Caramitti. In questo modo, la parola Petuški per la ricchezza delle sue sfaccettature diventa un diamante lessicale pari all’italiano Amarcord.

Ottime invece sono le aforistiche e piene di ironia alcune affermazioni come questa: “Molti hanno cercato una chiave di lettura unitaria al poema, e naturalmente l’hanno trovata: visto che Erofeev ne offre cento, basta ignorare le altre novantanove…”.

***

Così si conclude il primo atto della travagliata ricerca italiana su Mosca-Petuški. I suoi protagonisti sono stati dei pionieri della critica su Erofeev in Italia e nonostante gli inevitabili smacchi meritano tutto il nostro rispetto e gratitudine. Lentamente essi si sono mossi a tastoni nel buio per cercare di interpretare la geniale opera. Hanno preparato il terreno e indicato la strada alla nuova generazione di russisti, il cui obiettivo sarà inglobare questo stupendo libro nel bagaglio culturale italiano. NOTE: (*1) Laurence Sterne – Ugo Foscolo Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l’Italia Garzanti, 1983 p.193 (*2) Laurence Sterne – Ugo Foscolo opera cit. p.11 (*3) Serena Vitale, "Tuttolibri – La Stampa", 9 aprile 1977 www.feltrinellieditore.it (*4) Michele Colucci (1938-2002), il noto slavista, allievo di E. Lo Gatto, professore Ordinario di lingua e letteratura russa (*5) Cesare Giuseppe De Michelis (nato nel 1944), il noto russista, allievo di A.M.Ripellino e T.De Mauro, professore Ordinario di lingua e letteratura russa (*6) Steblovskaja Son’ja Venička e Khristos Literaturnaja Rossija N.31, 03.08.2001 (*7) M.Bakhtin (*8) Laurence Sterne – Ugo Foscolo opera cit. p.173 (*9) N.Gogol’ trad. T.Landolfi, I racconti di Pietroburgo. Il mantello Giunti Marzocco 1983, p.173 (*10) A.Puškin Aleksandr Radiščev A. Puškin Zolotoj tom, p 760 – 763 “Radiščev nel campo letterario ha rivelato la completa impotenza e disgraziata mediocrità ”, “Non abbiamo mai reputato

20

Radiščev un grand’uomo e il suo Viaggio a Mosca ci sembrava sempre un libro mediocre”. “Egli sempre imitava qualcuno” ecc. (*11) Vladislav Bačinin Pietroburgo –Mosca – Petuški, o “Memorie dal sottosuolo”come genere filosofico russo, versione elettronica nel http://lib.ru/ (*12) Sulla simbologia del titolo del poema di Erofeev vedi: E. Egorov Poetica zaglavija poemy Ven.Erofeeva “Moskva-Petuški” e A. Soročan, M. Stroganov O roli omofonii v interpretazii nazvanija poemy Ven.Erofeeva , sul sito www.moskva-petushki.ru (*13) Questo belare M.Caramitti non lo percepisce e toglie tutti i trattini tranne nell’esclamazione “O-o-oh”, mentre G.Zappi nella sua traduzione rivela un’incredibile assenza dell’orecchio musicale, quando sposta l’accento dalla sillaba accentata di tutta la strofa su quella atone: no-o-otturne stelle anziché notturne ste-e-e-elle, son stre-e-egato anziché son strega-a-ato e Non mi re-e-espinger anziché Non mi respi-i-inger.

4. Venička, prigioniero di un mondo nel mondo

Al processo penale contro Venedikt Erofeev, accusato di alcolismo, rozzezza, impegno politico e provincialismo che lo ridurrebbero a mera importanza locale all’interno della Russia, lo scrittore non deve essere né assolto né condannato: deve rimanere estraneo. La russistica mondiale che si occupa di Erofeev deve riuscire a trasferirlo dalla panchina degli imputati al centro del vortice delle tendenze interculturali del suo tempo. In questa missione vanno coinvolti anche i critici italiani.

Il tema della consonanza del fenomeno Erofeev con il contesto culturale mondiale moderno è stato già affrontato, ma timidamente e sporadicamente. Abbiamo accennato all’incantevole racconto di V. Pelevin, dove l’autore rivela imprevedibili paralleli tra il poema di Erofeev e Viaggio a Ixstlan di Carlos Castaneda. Le sostanze allucinogene degli sciamani messicani aiutano il protagonista, lo stregone Don Juan, a scoprire nuovi mondi e stati alterati di coscienza, di trovare la libertà assoluta e capire il senso della vita.

Non meno sbalorditivo è ciò che ci spiega A. Vass’uškin nel suo saggio Petuški come seconda Roma (*). Secondo il critico, il lettore francese dovrebbe immediatamente riconoscere nell’opera di Erofeev un nesso con il popolare romanzo francese La Modification di Michel Butor. Lo stesso viaggio in treno a vuoto del protagonista, la stessa delusione, gli stessi particolari: l’eroe parte il venerdì santo, alle ore 8 e qualche minuto, al lavoro ha problemi nel gestire i propri dipendenti, si interessa di letteratura, non riesce a unire la propria vita con quella della donna amata. Ma a parte queste coincidenze, sottolinea l’autore del saggio, colpisce la somiglianza dei piani concettuali, la problematica esistenziale comune.

21

E nella cultura italiana contemporanea non si possono trovare paralleli con il fenomeno Erofeev? A cominciare dai botti natalizi di tutta Napoli uniti alle bombe dei brigatisti di tutta l’Italia. Erofeev - piromane installa a guisa di molla della composizione una scatola a forma di vagone, la quale come una lattina di conserva andata male esplode nel big-bang della cultura mondiale, contaminando il cosmo con i fertili brandelli che vanno dai classici al post-modernismo alla stupida canzoncina “Un, due, metti le scarpe” ai virtuosismi Liszt e Dvořàk, a un’ignota zia Claudina (Klava) e alle immagini dei leader politici del mondo.

Ma la componente intellettuale “sovversiva” nel mito di Erofeev è consustanziale alla sua insicurezza e alla vergogna di essere un comune mortale.

Il carretto passava e quell'uomo gridava gelati al 21 del mese i nostri soldi erano già finiti…

La fuga dalla prosaica esistenza, la voglia di sognare, solo sognare, l’impacciata timidezza e la paura di morire e di vivere. Come anche la scelta di ritirarsi dalla vita pubblica.

Fiumi azzurri e colline e praterie dove corrono dolcissime le mie malinconie l'universo trova spazio dentro me, ma il coraggio di vivere quello ancora non c'è.

La percezione del tempo è statica:

Che anno è? che giorno è?

La domanda “Che ore sono?” faceva impazzire anche Venička.

Lucio Battisti lanciò il suo primo disco proprio nel 1969. Se fosse nato sulla penisola di Cola, forse sarebbe diventato Venedikt Erofeev e viceversa. Sembrano anime gemelle. Vi pare ridicola questa affermazione? Si potrebbe trovare un accostamento più appropriato? Forse, nel movimento hippy? Forse nel neorealismo del cinema italiano? Forse. A voi la parola.

Nota: * Aleksej Vass’u škin Petuški kak vtoroj Rim Zvezda. 1995 N°12

Erofeev, Venedikt Vasil´evic

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

22

di Damiano Rebecchini

Erofeev, Venedikt Vasil´evič Scrittore russo, nato a Zapoljarnyj, nell'oblast´ di Murmansk, il 26 ottobre 1938, morto a Mosca l'11 maggio 1990. All'età di 17 anni si trasferì a Mosca dove si iscrisse alla facoltà di Lettere dell'università statale. Espulso dopo breve tempo per inadempienza agli obblighi militari, E. svolse lavori saltuari in diverse città della Russia e delle repubbliche sovietiche, come muratore, fuochista, guardiano, e altre modeste mansioni, fino a trovare un'occupazione più duratura nella compagnia telefonica nazionale come addetto alla posa dei cavi. Dedito all'alcool, perse l'impiego e visse a lungo a Mosca, del tutto emarginato, privo di documenti e senza fissa dimora.

Iniziò l'attività letteraria nel 1956 con alcuni scritti: Zametki psichopata (1956-58, Appunti di uno psicopatico), Blagovestvovanie (1962, La buona novella) e articoli - mai pubblicati - su letterati e personaggi storici norvegesi. Nel 1970 scrisse la sua opera maggiore, il romanzo Moskva-Petuški (trad. it. Mosca sulla Vodka, 1977) che circolò in dattiloscritto nei circuiti non ufficiali della cultura moscovita, raggiungendo ben presto una grande popolarità. Pubblicato per la prima volta in Israele nel 1973, in Russia il romanzo uscì, anche se in forma non integrale, solo nel 1988-89 nella rivista Trezvost´ i kul´tura (Sobrietà e cultura).

Moskva-Petuški è l'incerto viaggio di un ubriacone, Venedikt, attraverso la periferia e i sobborghi di Mosca verso la sua meta - Petuški - un piccolo centro non lontano dalla metropoli. Scandito da solenni ubriacature e incontri con occasionali compagni di bevuta, il viaggio di Venedikt si trasforma gradualmente da irridente dissacrazione della realtà sovietica in intensa esperienza esistenziale, quasi un cammino di espiazione, segnato da cadute e sussulti dell'anima del protagonista. È un romanzo dall'intima vena autobiografica, carico di intenso lirismo, in cui emergono a tratti aperti riferimenti ai Vangeli, a tratti consonanze e punti di contatto con i romanzi di Dostoevskij e di Bulgakov.

Negli anni successivi, dopo la stesura di Vasilij Rozanov glazami eksc´entrika (1973, Vasilij Rozanov visto da un eccentrico), appassionata e libera riflessione sull'opera dello scrittore V. Rozanov, e altri brevi scritti letterari, E. compose la tragedia in cinque atti Val´purgieva noč´ (1985, La notte di Valpurga), ambientata in un ospedale psichiatrico, in cui si accentuano i toni di cupo pessimismo e il senso tragico dell'esistenza umana. La tragedia è pubblicata, insieme al romanzo, agli scritti letterari e a parte dei taccuini d'appunti, nella

23

raccolta Ostav´te moju dušu v pokoe (1995, Lasciate in pace la mia anima).bibliografia

I.A. Paperno, B.M. Gasparov, Vstan´ i idi (Alzati e cammina), in Slavica Hierosolymitana, 1981, pp. 387-400.

M. Colucci, Il diavolo e l'acqua santa, in Belfagor, 1983, 3, pp. 265-80.

M. Epštein, Posle Karnavala, ili večnyj Venička (Dopo il carnevale, ovvero l'eterno Venedikt), in Zolotoj vek (Il secolo d'oro), 1993, 4, pp. 84-92.

I. Avdiev, Biografija v citatach (Biografia in citazioni), in Novoe literaturnoe obozrenie (Nuova rivista letteraria), 1996, 18, pp. 150-60.

Venedikt Erofeev. Bibliografičeskij spisok proizvedenija pisatelja i rabot o nem (Venedikt Erofeev. Indice bibliografico delle opere dello scrittore e degli studi a lui dedicati), in Novoe literaturnoe obozrenie (Nuova rivista letteraria), 1996, 18, pp. 199-209.

24

Ерофеев, Венедикт Васильевич

Материал из Википедии — свободной энциклопедии

Венедикт Ерофеев

Имя при

рождении: Венедикт Васильевич Ерофеев

Дата рождения: 24 октября 1938

Место рождения: пос. Нива-3 Кандалакшского горсовета Мурманской области, РСФСР, СССР

Дата смерти: 11 мая 1990 (51 год)

Место смерти: Москва, РСФСР, СССР

Гражданство: СССР

Род

деятельности: прозаик

Направление: постмодернизм

Язык русский

25

произведений:

В Википедии есть статьи о других людях с такой фамилией, см. Ерофеев. Венеди́кт Васи́льевич Ерофе́ев (24 октября 1938, Нива-3, Мурманская область — 11 мая 1990, Москва) — русский писатель, автор поэмы «Москва — Петушки». Биография

Венедикт Ерофеев родился в пригороде Кандалакши в посёлке гидростроителей Нива-3, однако в официальных документах местом рождения была записана станция Чупа Лоухского района Карельской АССР, где в то время жила семья[1]. Был шестым ребёнком в семье. Отец — Василий Васильевич Ерофеев (ум. 1956), начальник железнодорожной станции, репрессированный и отбывавший лагерный срок в 1945—1951 за антисоветскую пропаганду[1]. Мать — домохозяйка Анна Андреевна Ерофеева (ум. 1972), урождённая Гущина[1]. Детство Веничка провел по большей части в детском доме в Кировске на Кольском полуострове. Окончил школу с золотой медалью. Учился на филологическом факультете МГУ (1955—1957), в Орехово-Зуевском (1959—1960), Владимирском (1961—1962) и Коломенском (1962—1963) педагогических институтах, но отовсюду был отчислен. Долгое время жил без прописки, был разнорабочим (Москва, 1957), грузчиком (Славянск, 1958—1959), бурильщиком в геологической партии (Украина, 1959), сторожем в вытрезвителе (1960, Орехово-Зуево), снова грузчиком (Владимир, 1961), рабочим ЖКХ стройтреста (Владимир, 1962), монтажником кабельных линий связи в различных городах СССР (1963—1973), лаборантом паразитологической экспедиции ВНИИДиС по борьбе с окрылённым кровососущим гнусом (Средняя Азия, 1974), редактором и корректором студенческих рефератов в МГУ (1975), сезонным рабочим в аэрологической экспедиции (Кольский полуостров, 1976), стрелком ВОХР (Москва, 1977)[1]. В 1976-м женитьба дала ему возможность прописаться в столице. Смолоду Венедикт отличался незаурядной эрудицией и любовью к литературному слову. Ещё в 17-летнем возрасте он начал писать «Записки психопата» (долгое время считались утерянными, впервые опубликованы в 1995 году). В 1970 году Ерофеев закончил поэму в прозе «Москва — Петушки». Она была опубликована в иерусалимском журнале «АМИ» в 1973 году тиражом триста экземпляров[1]. В СССР поэма впервые напечатана в журнале «Трезвость и культура» (№ 12 за 1988 г., № 1—3 за 1989 г., все матерные слова в публикации заменены отточиями); в нецензурированном виде впервые вышла в альманахе «Весть» в 1989 году. В этом и других своих произведениях Ерофеев тяготеет к традициям сюрреализма и литературной буффонады. Помимо «Записок психопата» и «Москвы — Петушков», Ерофеев написал пьесу «Вальпургиева ночь, или Шаги командора», эссе «Василий Розанов глазами эксцентрика», неподдающуюся жанровой классификации «Благую Весть», а также подборку цитат из Ленина «Моя маленькая лениниана». Пьеса «Диссиденты, или Фанни Каплан» осталась неоконченной. После смерти писателя частично изданы его записные книжки. В 1992 году журнал «Театр» опубликовал письма Ерофеева к сестре Тамаре Гущиной. По словам Ерофеева, в 1972 году он написал роман «Шостакович», который у него украли в электричке, вместе с авоськой, где лежали две бутылки бормотухи. В 1994 году Слава Лён объявил, что рукопись всё это время лежала у него и он вскоре её опубликует. Однако опубликован был лишь небольшой фрагмент,

26

который большинство литературоведов считает фальшивкой. (По мнению друга Ерофеева, филолога Владимира Муравьёва, сама история с романом была вымышлена Ерофеевым, большим любителем мистификаций. Эту точку зрения разделяет сын писателя[2].) В 1987 году Венедикт Ерофеев принял крещение в Католической церкви в единственном в то время действующем в Москве католическом храме св. Людовика Французского[1]. Его крёстным отцом стал Владимир Муравьёв. С 1985 года Ерофеев страдал неизлечимой болезнью — раком горла. После операции мог говорить лишь при помощи голосообразующего аппарата. Скончался в 7.45 11 мая 1990 года в Москве в отдельной палате на 23-м этаже Всесоюзного онкологического центра[1]. Похоронен на Кунцевском кладбище. Личная жизнь

Был дважды женат. В 1966 году у Ерофеева родился сын Венедикт Венедиктович, после чего он зарегистрировал брак с его матерью Валентиной Васильевной Зимаковой (1942—2000). Вторая жена Галина Павловна Носова (1941—1993) покончила с собой через три года после смерти мужа, выбросившись с 13 этажа, с балкона их квартиры на Флотской улице[1]. Адреса

Москва

• 1973 — Пятая Радиальная, д. 3 (Дача Муромцева) • 1974—1977 — Пушкинская, д. 5/6, стр. 3 • 1977—1990 — Флотская, д. 17, корп. 1

Память

Книги Ерофеева переведены более чем на 30 языков. О нём снят документальный фильм Павла Павликовского «Москва — Петушки» (1989—1991)[3]. В Москве на площади Борьбы Ерофееву поставлен памятник. Во Владимире на здании пединститута в его честь установлена мемориальная доска. В Кировске в центральной городской библиотеке создан музей Ерофеева. Ерофееву посвящена «История статира» (2007) композитора Виктора Копытько (сцена для ансамбля солистов и женского хора. Тексты из Священного Писания и белорусского фольклора. Посвящение: «В честь Венедикта Ерофеева»). Игорь Куприянов исполнил песню «Москва — Петушки» (альбом «Дым над Москвой»). Изучение творчества

Первое исследование, посвященное поэме «Москва — Петушки», появилось задолго до того, как она была опубликована в СССР. В 1981 году в сборнике научных статей Slavica Hierosolymitana появилась статья Бориса Гаспарова и Ирины Паперно под названием «Встань и иди». Исследование посвящено соотношению текста поэмы с Библией и творчеством Ф. М. Достоевского. Самой крупной работой, посвященной Ерофееву и написанной за рубежом, является диссертация Светланы Гайсер-Шнитман «Венедикт Ерофеев. „Москва — Петушки“, или The Rest is Silence». В России основные исследования творчества Ерофеева были также связаны с изучением его центрального произведения — поэмы «Москва — Петушки». Среди первых критических работ стоит отметить небольшую статью Андрея Зорина «Пригородный поезд дальнего следования» («Новый мир», 1989, № 5), где говорится о том, что появление «Москвы — Петушков» свидетельствует о «творческой свободе и непрерывности литературного процесса», несмотря ни на какие трудности. «Москва — Петушки» традиционно вписывается исследователями в несколько контекстов, с помощью которых и анализируется. В частности, «Москва —

27

Петушки» воспринимается как пратекст русского постмодернизма и в контексте идеи М. М. Бахтина о карнавальности культуры. Активно изучаются связи лексического строя поэмы с Библией, советскими штампами, классической русской и мировой литературой. Самый пространный комментарий к поэме принадлежит Эдуарду Власову. Он был опубликован в приложении к «Москве — Петушкам» в 2000 году издательством «Вагриус»[4]. В фэнтезийном романе Олега Кудрина «Код от Венички» (2009, «Олимп-АСТрель»), написанном в постмодернистском духе, в «сакральных текстах» Венедикта Васильевича находится объяснение едва ли не всем тайнам мироздания. В 2005 году в альманахе «Живая Арктика» (№ 1, «Хибины — Москва — Петушки») опубликована «Летопись жизни и творчества Венедикта Ерофеева» (составитель Валерий Берлин)[1]. Основные произведения

• «Записки психопата» (1956—1958, опубликованы в 1995) • «Москва — Петушки» (поэма в прозе, 1970; опубликована в Израиле в

1973, в СССР — в 1988—1989) • «Вальпургиева ночь, или Шаги Командора» (трагедия, опубликована в

Париже в 1985, на родине — в 1989) • «Василий Розанов глазами эксцентрика» (эссе, 1973, опубликовано в

СССР в 1989) • «Моя маленькая лениниана» (коллаж, издан в Париже в 1988, в России в

1991) • «Бесполезное ископаемое» (книга составлена на основе записных книжек

прозаика) В 2005 году в издательстве «Захаров» начата публикация записных книжек писателя под редакцией Владимира Муравьёва и Венедикта Ерофеева-младшего. Издания

• Ерофеев В. В. Москва — Петушки. Поэма. — М.: Изд-во СП «Интербук», 1990. — 128 с. Тираж 200 000 экз.

• Ерофеев В. В. Записки психопата. — М.: Вагриус, 1956—1958 гг. 2000. — 444 с.

• Ерофеев В. В. Москва — Петушки. С комментариями Э. Власова. — М.: Вагриус, 2002. — 575 с. Тираж 3000 экз. ISBN 5-264-00198-7

• Ерофеев В. В. Мой очень жизненный путь / Подгот. авторских текстов В. Муравьева. — М.: Вагриус, 2008. — 624 с. Тираж 5000 экз. ISBN 978-5-9697-0512-8

Библиография

1. Муравьёв В. «Высоких зрелищ зритель» // Ерофеев В. В. Записки психопата. — М.: Вагриус, 2000. — С. 5—12.

2. Безелянский Ю. Н. Страсти по Луне: Книга эссе, зарисовок и фантазий. — М.: Радуга, 1999. — 368 с.

3. Венедикт Ерофеев, 26 октября 1938 года — 11 мая 1990 года // Театр. — 1991. — № 9. — С. 74—122.

4. Шмелькова Н. А. Последние дни Венедикта Ерофеева: Дневники. — М.: Вагриус, 2002. — 320 с.: фот.

5. Домашняя беседа. — 1864. 6. Зорин А. Пригородный поезд дальнего следования // Новый мир. —

1989. — № 5. — С. 256—258.

28

7. Гаспаров Б., Паперно И. «Встань и иди» // Slavica Hierosolymitana. — 1981. — Vol. V—VI — С. 387—400.

8. Бавин С. «Самовозрастающий Логос» (Венедикт Ерофеев): Библиогр. очерк. — М., 1995. — 45 с.

9. Седакова О. Венедикт Ерофеев // Ерофеев В. В. Мой очень жизненный путь. — М.: Вагриус, 2008. — С. 590—601.

10. Фрейдкин М. О Венедикте Ерофееве// Фрейдкин М. Каша из топора. М.: Время, 2009. — С. 294—318.

11. Tumanov, Vladimir. The End in V. Erofeev’s Moskva-Petuski. Russian Literature 39 (1996): 95—114.

12. Шмелькова Н. Во чреве мачехи, или Жизнь — диктатура красного. — СПб.: Лимбус Пресс, 1999. — 304 с.

13. Благовещенский Н. По ту сторону Москвы — к Петушкам: Исследование поэмы В. Ерофеева «Москва — Петушки», её героя и автора с точки зрения различных глубинно-психологических подходов // Russian Imago 2001: Исследования по психоанализу культуры. — СПб.: Алетейя, 2002. — С. 428—454.

14. Благовещенский Н. А. Случай Вени Е.: Психоаналитическое исследование поэмы «Москва — Петушки». — СПб.: Гуманитарная академия, 2006. — 256 с. (рец.: Карелин В. Книги о психоанализе культуры, её психоаналитиках и пациентах // Новое литературное обозрение. — 2007. — № 85)

Примечания

1. ↑ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Хибины — Москва — Петушки // «Живая Арктика» : историко-краеведческий альманах. — 2005. — № 1.

2. ↑ Илья Карпов. Веничка последний писатель. Re:Акция (26 февраля 2007). Архивировано из первоисточника 1 декабря 2012. Проверено 29 ноября 2012.

3. ↑ Павел Павликовский. Документальный фильм «Москва — Петушки». YouTube.com. Проверено 3 ноября 2012.

4. ↑ Ерофеев В. Москва — Петушки. — М.: Вагриус, 2002. — 575 с. 3000 экз. Поэма — стр. 13—119, комментарии Э. Власова — стр. 121—574.

Ссылки

• moskva-petushki.ru — сайт, посвящённый Венедикту Ерофееву • Хибинский литературный музей Венедикта Ерофеева • Грицанов А. А. Ерофеев Венедикт Васильевич (1938—1990).

Биографическая статья • Владимир Лазарис. «Москва — Петушки» на иврите. Критическая статья

29

Venedikt Yerofeyev

From Wikipedia, the free encyclopedia

Born

Venedict Vasilyevich Yerofeyev October 24, 1938 Niva-2 settlement, suburb of Kandalaksha, Murmansk Oblast, Russian SFSR

Died May 11, 1990 (aged 51) Moscow, Russian SFSR

Occupation Author

Subjects nonconformism

Literary

movement Postmodernism

Notable work(s) Moscow-Petushki

Venedict Vasilyevich Yerofeyev or Erofeev or Erofeyev (Russian: Венеди́кт Васи́льевич Ерофе́ев) (24 October 1938 – 11 May 1990) was a Russian writer. Biography

Yerofeyev was born in the small settlement Niva-2, a suburb of Kandalaksha, Murmansk Oblast. His father was imprisoned during Stalin's purges but survived 16 years in the gulags. Most of Yerofeyev's childhood was spent in Kirovsk, Murmansk Oblast. He managed to enter the philology department of the Moscow State University but was expelled from the University after a year and a half because he did not attend compulsory military training. Later he studied in several more institutes in different towns, including Kolomna and Vladimir, but he never managed to graduate from any, usually being expelled due to his "amoral behaviour" (freethinking). Between 1958 and 1975, Yerofeyev lived without propiska in various towns in Russia, Ukraine, Belarus, and Lithuania, also spending some time in Uzbekistan and Tadjikistan, doing different low-level and underpaid jobs; for a time he lived and worked in the Muromtsev Dacha in Moscow. He started writing at the age of 17; in the 1960s he unsuccessfully submitted several articles on Ibsen and Hamsun to literary magazines. Literary legacy

30

Yerofeyev is best known for his 1969 poem in prose Moscow-Petushki (several English translations exist, including Moscow to the End of the Line and Moscow Stations). It is an account of a journey from Moscow to Petushki (Vladimir Oblast) by train, a journey soaked in alcohol. During the trip, the hero recounts some of the fantastic escapades he participated in, including declaring war on Norway, charting the drinking habits of his colleagues when leader of a cable-laying crew, and obsessing about the woman he loves. Referred to by David Remnick as "the comic high-water mark of the Brezhnev era",[1] the poem was published for the first time in 1973 in Jerusalem immediately making Yerofeyev famous throughout the world. It was not published in the Soviet Union until 1989. Of note is his smaller 1988 work, My Little Leniniana (Моя маленькая лениниана, Moya malenkaya Leniniana), which is a collection of quotations from Lenin's works and letters, which shows the unpleasant parts of the character of the "leader of the proletariat". Yerofeyev also claimed to have written in 1972 a novel Shostakovich about the famous Russian composer Dmitri Shostakovich, but the manuscript was allegedly stolen in a train. The novel has never been found. Before his death of throat cancer Yerofeyev finished a play called Walpurgisnacht, or the Steps of the Commander ("Вальпургиева ночь или Шаги командора") and was working on another play about Fanny Kaplan. References

1. ^ "Susan Orlean, David Remnick, Ethan Hawke, and Others Pick Their Favorite Obscure Books". Village Voice. 2008-12-02. http://www.villagevoice.com/2008-12-03/books/susan-orlean-david-remnick-ethan-hawke-and-others-pick-their-favorite-obscure-books/.