modello di grice

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Linguistica generale Giovanni Gobber, Moreno Morani Copyright © 2010 – The McGraw-Hill Companies srl SCHEDA . Intorno al ruolo del contenuto implicito DAL MODELLO DI GRICE AL CRITERIO DI PERTINENZA (a proposito di DAN SPERBER DEIRDRE WILSON, Relevance. Communication and Cognition, Blackwell, Oxford 1986, seconda edizione 1995) Nella comunicazione quotidiana, si proferiscono enunciati che “lasciano intendere” più di quello che le parole esprimono. È più importante il non detto; il senso dell’enunciato diventa pertinente non appena si coglie l’implicito. Consideriamo un esempio: A: Come va? B: Mah, cosa vuoi, mi è arrivato un avviso di garanzia. A recupera subito il senso implicito: B lascia intendere che va malissimo. Il motivo è manifestato nell’enunciato che egli ha proferito. Il procedimento applicato è molto frequente: si esplicita un motivo, una ragione, che porta alla conclusione implicita. Certe domande, invece, funzionano inversamente: Ah, sei qui? La frase esplicita una constatazione. La domanda – l’autentico atto comunicativo – è implicita: Come mai sei qui? Se chi risponde non è polemico, ma collaborativi, indica le ragioni, i motivi della sua presenza (per esempio: Ho finito di lavorare prima). Ripresa del modello di Grice Nel corso del capitolo ci siamo brevemente soffermati sul modello “Principi e parametri” di Herbert Paul Grice. Riconsideriamone qui alcuni aspetti. La riflessione di Grice muove da un fatto evidente: lo scambio dialogico è un tipico «lavoro in collaborazione». A ciascuno stadio della comunicazione verbale, i due locutori gestiscono la continuazione dello scambio escludendo certe mosse in quanto sono giudicate conversazionalmente improprie. Così facendo essi seguono il principio di cooperazione: MAKE YOUR CONVERSATIONAL CONTRIBUTION SUCH AS IS REQUIRED, AT THE STAGE AT WHICH IT OCCURS, BY THE ACCEPTED PURPOSE OR DIRECTION OF THE TALK EXCHANGE IN WHICH YOU ARE ENGAGED. Il testo originale è ripreso da: H.P. Grice, Logic and Conversation, in Syntax and Semantics. Speech Acts, P. Cole - J.L. Morgan ed., Academic Press, New York - London 1975, p. 45. Riportiamo la traduzione italiana: «il tuo contributo alla conversazione sia tale quale è richiesto, allo stadio in cui avviene, dallo scopo o orientamento accettato dello scambio linguistico in cui sei impegnato» (H.P. Grice, Logica e conversazione, in Gli atti linguistici, M. Sbisà ed., Feltrinelli, Milano 1983 2 , p. 204. Grice articola il principio in nove massime, che egli classifica sotto quattro categorie (cfr. Logic and Conversation, cit., pp. 45 ss.): Quantità «Make your contribution as informative as is required». «Do not make your contribution more informative than is required».

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Modello Di Grice

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Linguistica generale Giovanni Gobber, Moreno Morani

Copyright © 2010 – The McGraw-Hill Companies srl SCHEDA – . Intorno al ruolo del contenuto implicito DAL MODELLO DI GRICE AL CRITERIO DI PERTINENZA (a proposito di DAN SPERBER – DEIRDRE WILSON, Relevance. Communication and Cognition, Blackwell, Oxford 1986, seconda edizione 1995) Nella comunicazione quotidiana, si proferiscono enunciati che “lasciano intendere” più di quello che le parole esprimono. È più importante il non detto; il senso dell’enunciato diventa pertinente non appena si coglie l’implicito. Consideriamo un esempio: A: Come va?

B: Mah, cosa vuoi, mi è arrivato un avviso di garanzia.

A recupera subito il senso implicito: B lascia intendere che va malissimo. Il motivo è manifestato nell’enunciato che egli ha proferito. Il procedimento applicato è molto frequente: si esplicita un motivo, una ragione, che porta alla conclusione implicita. Certe domande, invece, funzionano inversamente: Ah, sei qui? La frase esplicita una constatazione. La domanda – l’autentico atto comunicativo – è implicita: Come mai sei qui? Se chi risponde non è polemico, ma collaborativi, indica le ragioni, i motivi della sua presenza (per esempio: Ho finito di lavorare prima). Ripresa del modello di Grice Nel corso del capitolo ci siamo brevemente soffermati sul modello “Principi e parametri” di Herbert Paul Grice. Riconsideriamone qui alcuni aspetti.

La riflessione di Grice muove da un fatto evidente: lo scambio dialogico è un tipico «lavoro in collaborazione». A ciascuno stadio della comunicazione verbale, i due locutori gestiscono la continuazione dello scambio escludendo certe mosse in quanto sono giudicate conversazionalmente improprie. Così facendo essi seguono il principio di cooperazione:

MAKE YOUR CONVERSATIONAL CONTRIBUTION SUCH AS IS REQUIRED, AT THE STAGE AT WHICH IT OCCURS, BY THE ACCEPTED PURPOSE OR DIRECTION OF THE TALK EXCHANGE IN WHICH YOU ARE ENGAGED. Il testo originale è ripreso da: H.P. Grice, Logic and Conversation, in Syntax and Semantics. Speech Acts, P. Cole - J.L. Morgan ed., Academic Press, New York - London 1975, p. 45. Riportiamo la traduzione italiana: «il tuo contributo alla conversazione sia tale quale è richiesto, allo stadio in cui avviene, dallo scopo o orientamento accettato dello scambio linguistico in cui sei impegnato» (H.P. Grice, Logica e conversazione, in Gli atti linguistici, M. Sbisà ed., Feltrinelli, Milano 19832, p. 204.

Grice articola il principio in nove massime, che egli classifica sotto quattro categorie (cfr. Logic and Conversation, cit., pp. 45 ss.):

Quantità «Make your contribution as informative as is required».

«Do not make your contribution more informative than is required».

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Qualità

«Do not say what you believe to be false».

«Do not say that for which you lack adequate evidence».

Relazione

«Be relevant».

Modo

«Avoid obscurity of expression». «Avoid ambiguity». «Be brief». «Be orderly».

Per osservare il funzionamento delle massime, è necessario tener presente che, con notevole frequenza, il contenuto autentico della comunicazione è implicito e deve essere recuperato mediante una inferenza a partire dal contenuto esplicito. Consideriamo un noto esempio, discusso da Grice, che analizziamo in modo leggermente diverso.

A è in piedi, accanto a un'automobile ferma. B si è avvicinato. Dopo i saluti, si svolge lo scambio seguente:

A: Sono rimasto senza benzina.

B: C'è un distributore, qui dietro l'angolo.

Dalla battuta di A l'interlocutore inferisce una richiesta di informazione. B replica ben sapendo che il distributore, a quell'ora, è aperto (ben diversa sarebbe stata l'inferenza se la battuta di A fosse Sono rimasto senza soldi).

B si rende conto che se la battuta di A è cooperativa, va ragionevolmente interpretata come una richiesta di informazione. Altrimenti, non sarebbe pertinente (non avrebbe senso proferire quella battuta in quella circostanza). B compie questa inferenza perché ha osservato la situazione e ha attivato uno “sfondo conversazionale” che è condiviso con A. Il contenuto esplicito della battuta di A (Sono rimasto senza benzina) è fatto interagire con le informazioni dello sfondo e lascia inferire una richiesta di informazione (Mi dica dove posso fare rifornimento di benzina, qui vicino).

Allo stesso modo, A dà per scontato che B cooperi. L'informazione C'è un distributore, qui dietro l'angolo è pertinente (corrisponde alla richiesta implicita) solo se B non ha motivi per ritenere che il distributore sia chiuso (in questo caso, B avrebbe violato anche la massima di qualità: «non dire ciò per cui non hai prove adeguate»). Dunque, A inferisce Il distributore all'angolo è aperto.

Le massime possono essere disattese. La violazione effettiva può interrompere la collaborazione e aprire una fase polemica dello scambio; oppure, può aprire una fase di rinegoziazione che ristabilisce la cooperatività.

Molte volte, la violazione è solo apparente: il parlante non esce dalla «situazione di

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Copyright © 2010 – The McGraw-Hill Companies srl cooperazione», ma ostenta la mancata soddisfazione di una massima. L'ascoltatore si accorge che se l'enunciato fosse interpretato per quello che dice, le massime – una o più – sarebbero violate. Ma egli dà fiducia all'interlocutore: ha la ragionevole certezza che quest'ultimo sta cooperando. La conclusione dell'ascoltatore è che la violazione “nasconde” un altro senso che deve essere inferito: «il parlante, dicendo P, vuole che io inferisca Q». Si dice che la violazione apparente sfrutta una o più massime per segnalare che l'ascoltatore deve compiere una inferenza.

Il modello di Sperber e Wilson Un altro modello, solo in parte accostabile a quello di Grice, è sviluppato da Dan Sperber e Deirdre Wilson. Secondo i due studiosi, nella comunicazione occorre “s’en tenir à la pertinence”. Il loro claim si basa su alcune ipotesi ragionevoli:

1) ogni enunciato ha una varietà di interpretazioni possibili; 2) non tutte queste interpretazioni sono ugualmente accessibili all'ascoltatore in qualsiasi

occasione data; 3) gli ascoltatori sono provvisti di un solo criterio, molto generico, per valutare le

interpretazioni; 4) questo criterio è potente abbastanza da escludere tutte eccetto una singola interpretazione

possibile. Così l'ascoltatore può assumere che la prima interpretazione che soddisfa il criterio è la sola interpretazione che lo soddisfi.

Il criterio si sviluppa da un’ipotesi di base sulla conoscenza umana. L'ipotesi dice che la conoscenza umana è relevance-oriented. Prestiamo attenzione solo all'informazione che ci sembra pertinente. Qualsiasi atto di comunicazione inizia come richiesta di attenzione. Come risultato esso crea un'attesa di pertinenza. Principio di pertinenza: l'informazione comunicata crea un'attesa di pertinenza. Lungo questa attesa di pertinenza si costruisce il criterio pragmatico. La pertinenza è definita in termini di effetti contestuali e di sforzo nell’elaborazione dell’informazione. Gli EFFETTI CONTESTUALI sono raggiunti quando l'informazione nuova interagisce con un contesto di ipotesi o assunzioni esistenti, e interagisce in uno di questi tre modi:

1) rafforza un'ipotesi esistente (p.es. A - Fuori piove e B, il quale immaginava che piovesse, vede confermata la sua ipotesi);

2) contraddice ed elimina un'ipotesi già data (p.es. A – Fuori piove e B, il quale pensava di uscire a fare un giro in bici, è costretto a rettificare le sue conoscenze e a cambiare i suoi piani per il pomeriggio);

3) si combina con un'ipotesi già data e dà luogo a un'implicazione contestuale: ossia un’implicazione logica che deriva non dall'informazione esplicitata nella sequenza, né dal “contesto” (insieme di conoscenze “convocate” per interpretare la sequenza proferita), ma dalla combinazione dei due (A – Ti piace la Audi di mio cugino? B – Tuo cugino ha buon gusto, e ha anche il grano. Beato lui – da qui si inferisce che la Audi piace a B: la sequenza proferita da B convoca una serie di proposizioni implicite – “Chi ha buon gusto fa buone scelte” – e combinando queste con il contenuto esplicito si inferisce una asserzione positiva “a B la Audi piace”). L'informazione esplicita è pertinente in un “contesto” se e solo se raggiunge effetti contestuali in quel contesto, e quanto maggiori sono gli effetti contestuali, tanto maggiore è la pertinenza.

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Copyright © 2010 – The McGraw-Hill Companies srl Però gli effetti contestuali non sono prodotti arbitrariamente: per essere derivati essi richiedono una ELABORAZIONE MENTALE. I procedimenti utilizzati per “calcolare” gli effetti contestuali di un enunciato dipendono da tre fattori principali:

(i) la complessità linguistica dell'enunciato; (ii) l'accessibilità del contesto; (iii) le inferenze necessarie per calcolare gli effetti contestuali dell'enunciato nel

contesto scelto. All’aumento di sforzo per elaborare l’informazione (processing effort) corrisponde la diminuzione della pertinenza.

Dunque, quanto minore è il carico di lavoro compiuto per elaborare l’informazione, tanto maggiore è la pertinenza. L'effetto e lo sforzo mirano alla pertinenza ottimale, che si può definire nel modo seguente:

Un enunciato in un’interpretazione data è pertinente in misura ottimale se e solo se:

(a) raggiunge effetti in quantità sufficiente a meritare l'attenzione dell'ascoltatore;

(b) non espone l'ascoltatore a sforzi inutili (gratuiti) per raggiungere questi effetti.

Il parlante prevede ragionevolmente che l'ascoltatore vada alla ricerca di effetti sufficienti affinché “valga la pena” di compiere lo sforzo di interpretazione dell’enunciato. In generale, questo significa che egli attende dall’enunciato in causa più effetti di quelli che otterrebbe da qualsiasi altra informazione che si sarebbe potuto ricavare in quel momento. E questo dipende da ciò che avviene nella circostanza concreta dell’enunciazione. Per esempio, poniamo che un tipo entri nell’aula consiliare durante un’importante riunione della giunta comunale e dica: Signore e signori, mi corre l’obbligo di annunciarvi che l’edificio è in fiamme

L’edificio è un sintagma che denota un unico oggetto nella realtà; a seconda dell’oggetto indicato, si avranno diversi tipi di effetto contestuale. La prima ipotesi è che l’edificio si riferisca all'edificio in cui ha luogo la seduta della giunta. Ergo l'enunciato, data questa interpretazione, avrebbe effetti sufficienti per meritare l'attenzione dell’uditorio: le menti degli ascoltatori sarebbero immediatamente occupate da pensieri su come uscire. Dato per scontato che in una seduta di giunta le menti siano interamente assorbite da quello che l'oratore – per esempio un assessore – sta dicendo, è difficile vedere quale altra interpretazione avrebbe effetti sufficienti per giustificare questa interpretazione. In queste circostanze, questa interpretazione è fondamentalmente la sola interpretazione che il parlante poteva ragionevolmente aver inteso comunicare implicitamente e che gli ascoltatori dovevano scegliere. In altre circostanze si potrebbe pensare che l'interpretazione intesa potrebbe essere più difficile da individuare. Ci potrebbero essere diverse combinazioni di contenuto esplicito (dato dall’enunciato espresso) e di contesto (ossia di contenuto implicito), e tutte queste combinazioni potrebbero dar luogo a effetti contestuali sufficienti per far sì che l'enunciato meriti l'attenzione dell’uditorio. E qui entra in gioco la clausola b) della definizione di pertinenza

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Copyright © 2010 – The McGraw-Hill Companies srl ottimale (“l'ascoltatore non deve compiere fatica eccessiva per raggiungere gli effetti che si intendono comunicare”). Infatti, in generale un parlante che voglia evitare rischi di fraintendimenti deve assicurarsi che non ci sia interpretazione che sia allo stesso tempo:

(i) più accessibile all'ascoltatore dell'interpretazione che il parlante voleva che l’ascoltatore elaborasse;

(ii) dotata di sufficienti effetti affinché meriti l'attenzione dell'ascoltatore, dato che quest'interpretazione porterebbe fuori strada l'ascoltatore.

La clausola b), che esclude sforzi gratuiti nel recupero degli effetti contestuali intesi, riguarda proprio questi casi: ossia, esclude la possibilità che ci si attenda che l'ascoltatore recuperi, elabori e accetti l'interpretazione errata prima di raggiungere quella intesa. Segue da b) che un parlante che miri alla pertinenza ottimale deve cercare di formulare l'enunciato in modo tale che la prima interpretazione possibile che si presenti all'ascoltatore sia l'interpretazione che egli intendeva veicolare. Questa clausola ha un'immediata conseguenza pratica. Dopo che egli abbia trovato un'interpretazione che soddisfi le sue attese di pertinenza, secondo un percorso che il parlante, probabilmente, aveva previsto, egli non ha bisogno di continuare la ricerca. La prima interpretazione che soddisfi l’attesa di pertinenza è la sola interpretazione pertinente che l'ascoltatore aveva il compito di raggiungere. Su questa “scommessa” si basa tutto l’impianto della teoria di Dan Sperber e Deirdre Wilson. En passant va osservato che per essere accettabile e comprensibile un enunciato non ha bisogno di essere realmente rilevante in maniera ottimale. Per esempio, X sta uscendo di casa. Y, la moglie di X, dice a X: Sta piovendo. Ma in quel momento X lo sa già. La proposizione espressa da Y non avrà effetti contestuali e non sarà pertinente per X. Tuttavia, l'enunciato di Y è comprensibile e accettabile per X nella misura in cui X è in grado di vedere come Y probabilmente si attendesse che esso fosse pertinente per X. Per spiegare questo bisogna prendere in considerazione il seguente criterio di coerenza con il principio di pertinenza:

Un enunciato, in un'interpretazione data, è coerente con il principio di pertinenza se e solo se è probabile che il parlante ragionevolmente avesse atteso che l'enunciato fosse pertinente in modo ottimale per l'ascoltatore, data quell'interpretazione.

Per quanto il criterio possa sembrare vago, esso è in grado di tener conto di un fatto che altre teorie non considerano. Questo segue dalla clausola b) del principio di pertinenza ottimale e dalla sua conseguenza per cui la prima interpretazione verificata e trovata coerente con il principio di pertinenza è la sola interpretazione coerente con il principio di pertinenza. Poniamo che, interpretando un enunciato, un ascoltatore inizi con un contesto iniziale “piccolo”, che è il lascito dell'elaborazione di un enunciato precedente. Egli calcola gli effetti dell'enunciato in questo contesto iniziale. Se questi non bastano perché esso meriti attenzione, egli espande il contesto, ottiene effetti ulteriori, e ripete il processo, finché ha effetti a sufficienza perché l'enunciato sia pertinente in modo ottimale, nel modo presumibilmente previsto dal parlante. A questo punto l'ascoltatore ha raggiunto un'interpretazione coerente con il principio di pertinenza e potrebbe fermarsi. O almeno, se va avanti lo fa per conto proprio, ma non è tenuto a ipotizzare che il parlante gli volesse comunicare altro. In altre parole, tutto quello che l'ascoltatore è tenuto a considerare per raggiungere l'interpretazione “preferita” dal parlante è il contesto minimale (ossia il minimo, il più accessibile) e l'insieme di effetti contestuali che sarebbero sufficienti perché l'enunciato meriti

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Copyright © 2010 – The McGraw-Hill Companies srl attenzione.

Peraltro, le inferenze utilizzate nell'applicazione del principio di pertinenza erano ben note alla logica medievale. La dottrina classica del sillogismo è infatti uno strumento utile per spiegare i nessi semantici fra le parti di un testo. Sperber e Wilson hanno così ribadito una certezza antica: il significato di un testo è individuato grazie ai meccanismi inferenziali che sono lo specchio dei processi logici che lo hanno costruito. Vediamo un esempio: Luigi: Vuoi una tazza di caffè?

Maria: Il caffè mi tiene sveglia.

Prima interpretazione:

si adotta la premessa seguente: Maria deve studiare la notte. Ha bisogno di stare sveglia. Questo è noto a Luigi.

Legando la premessa all'enunciato, Luigi inferisce la risposta Sì (Maria accetta il caffè).

Seconda interpretazione:

si adotta la premessa seguente: È sera, Maria è stanca, ha bisogno

e desidera dormire.

Legando la premessa all'enunciato, Luigi inferisce la risposta No.

Il significato è relativamente indipendente dalle strutture linguistiche usate per manifestarlo. La dicotomia signifiant-signifié, cara allo strutturalismo classico, non riguarda il significato del testo. Il codice può informarci sugli usi tipici o non tipici di una certa struttura linguistica: ne può indicare le possibilità d’uso. Ma la funzione concreta dipende, in ultima analisi, dalla considerazione della totalità dei fattori costitutivi del concreto avvenimento comunicativo.