modellazione conseguenze incidentali

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Descrizione dei modelli usati per rilascio di sostanze pericolose

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    Modellazione delle Conseguenze di Incidenti Industriali Prof. R. Rota 2004

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    Modellazione delle Conseguenze diIncidenti Industriali

    Prof. Renato Rota2004

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    Modellazione delle Conseguenze di Incidenti Industriali Prof. R. Rota 2004

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    Sommario

    1 I ntr oduzione __________________________________________________________ 3

    2 Modell i di sorgente _____________________________________________________ 42.1 Efflusso monofase liquido ___________________________________________ 6

    2.2 Efflusso monofase gassoso___________________________________________ 7

    2.3 Efflusso bifase_____________________________________________________ 7

    2.4 Flash ___________________________________________________________ 13

    2.5 Formazione di aerosol e rain-out ____________________________________ 14

    2.6 Evaporazione da pozza ____________________________________________ 16

    2.7 Dimensione della pozza ____________________________________________ 19

    3 Dispersione __________________________________________________________ 22

    3.1 Modelli di simulazione: generalit ___________________________________ 24

    3.2 Cenni di fisica dellatmosfera _______________________________________ 25

    3.3 Modelli gaussiani _________________________________________________ 30

    3.4 Modelli integrali __________________________________________________ 35

    3.5 Modelli tridimensionali ____________________________________________ 42

    3.6 Rilasci sottomarini ________________________________________________ 46

    4 Esplosioni ed incendi __________________________________________________ 544.1 Esplosioni di nubi inconfinate (UVCE) _______________________________ 65

    4.1.1 Metodo del TNT equivalente_____________________________________ 664.1.2 Modello TNO_________________________________________________ 704.1.3 Modello Multi Energy_________________________________________ 714.1.4 Metodo di Baker Strehlow _____________________________________ 734.1.5 Confronto tra i diversi approcci ___________________________________ 75

    4.2 Esplosioni puntuali________________________________________________ 79

    4.3 Esplosioni fisiche _________________________________________________ 80

    4.4 Incendi da pozza (pool fire)_________________________________________ 814.5 Fiamme da getti turbolenti (jet flame)________________________________ 91

    4.5.1 Confronto tra le previsioni dei diversi modelli. ______________________ 102

    4.6 Sfere di fuoco (fireball) ___________________________________________ 104

    5 Conclusioni _________________________________________________________ 109

    6 Bibli ograf ia _________________________________________________________ 110

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    1 Introduzione

    Lanalisi delle conseguenze di incidenti industriali riveste unimportanza molto rilevantenellanalisi di rischio di un insediamento industriale. Infatti, lestensione dei danni conseguenti adun evento incidentale pu essere quantificato solo sulla base di una modellazione delle conseguenze

    dellevento stesso. Purtroppo, i risultati di queste valutazioni hanno un certo grado di incertezza acausa della natura stessa dellevento incidentale. Infatti solitamente possibile effettuare solo unastima abbastanza grossolana di alcuni fattori che determinano lentit delle conseguenze. I

    principali di questi fattori si riferiscono a: caratteristiche geometriche del rilascio in ambiente (per esempio le dimensione della rottura

    di una tubazione);

    propriet del materiale rilasciato in ambiente a seguito dellincidente (per esempio,temperatura, pressione, composizione);

    incompleta rappresentazione dei fenomeni chimico fisici descritti nel modello disimulazione utilizzato.

    La breve discussione riportata in questa relazione non vuole essere unillustrazione dettagliata edesaustiva dei modelli disponibili. Si presuppone infatti una conoscenza almeno di base dei principalimodelli di simulazione delle conseguenze di eventi incidentali, che non verranno quindi discussi inquesta nota. Rassegne anche abbastanza recenti sono reperibili in Crowl e Louvar (1990), TNO(1997), Fthenakis (1993), Lees (1996), CCPS (2000).Lobiettivo piuttosto quello di richiamare lattenzione dellutilizzatore di questi modelli disimulazione sulle problematiche, a volte nascoste, che possono condizionare in modo significativo irisultati della simulazione e quindi, in ultima analisi, dellanalisi di rischio. Le incertezze insitenella stima delle conseguenze di un evento incidentale vengono infatti solitamente gestiteassegnando dei valori conservativi ad alcuni parametri presenti nei modelli di simulazioni in modo

    tale che il risultato finale del calcolo sia conservativo. Ne risulta che la scelta oculata di taliparametri fondamentale non solo per evitare una sottostima delle conseguenze, ma ancheuneccessiva sovrastima delle conseguenze stesse che porterebbe a un inutile spreco di risorse.

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    2 Modelli di sorgente

    Molti incidenti in ambito industriale iniziano con il rilascio di una certa quantit di sostanzetossiche o infiammabili in atmosfera. Il calcolo della portata scaricata a seguito di un incidente,della quantit totale rilasciata, della durata dello scarico e della fase in cui la sostanza scaricata si

    trova (cio, complessivamente, la valutazione del termine di sorgente di un incidente) una dellefasi pi critiche per la stima delle conseguenze degli eventi seguenti, quali la dispersione inatmosfera, lincendio o lesplosione della sostanza scaricata.Ai fini della modellazione, i rilasci in atmosfera possono essere suddivisi in due tipologie: istantaneie continui. Ovviamente, nessun fenomeno realmente istantaneo, ma pu essere cos approssimatoquando la durata dello scarico molto inferiore ai tempi caratteristici dei fenomeni successivi,tipicamente la dispersione in atmosfera il cui tempo caratteristico pu essere stimato come ilrapporto tra la distanza della sorgente dal ricettore e la velocit del vento. Quindi, mentre il collassodi un recipiente viene solitamente modellato come un rilascio istantaneo, il rilascio da una rotturanon catastrofica viene considerato istantaneo se tSd/uv. I rilasci continui possono a loro volta essere suddivisi in rilasci stazionari e transitori.Anche in questo caso ovviamente la distinzione deve essere intesa dal punto di vista del modelloutilizzato per la stima del termine di sorgente, in quanto tutti i rilasci sono intrinsecamente nonstazionari. Daltro canto, un rilascio attraverso una piccola apertura che non modificasignificativamente le condizioni operative nelle apparecchiature a monte pu essereragionevolmente considerato stazionario.In generale i modelli di sorgente sono utilizzati per stimare la portata e la quantit totale scaricata, lafrazione di flash e la formazione di aerosol, la portata di evaporazione da una pozza di liquido.Questi dati sono necessari per la successiva valutazione della dispersione in atmosfera, comeriassunto nella Figura 1.

    La prima valutazione da effettuare riguarda la fase che viene scaricata: liquido, gas o miscela bifase.La fase della sostanza scaricata non dipende in modo univoco dalla posizione della rottura ma anchedalle condizioni operative allinterno del recipiente. Nel caso di un recipiente pieno di gas

    pressurizzato si avr il rilascio di una fase gassosa, che pu eventualmente condensare parzialmentea seguito dellespansione, qualunque sia la posizione della rottura. Viceversa, in presenza di duefasi allinterno del recipiente (liquido e vapore) nel caso di rottura nella parte alta del recipiente acontatto con la fase gassosa si potr avere lefflusso non solo di una fase vapore ma anche di unamiscela di liquido e vapore, cio di un fluido bifase. Questo avviene quando si ha lo sviluppo di unagran quantit di bolle di gas o vapore allinterno della fase liquida con la conseguente formazione diuna schiuma. Se la schiuma che si forma raggiunge il punto di efflusso si ha lo scarico di unamiscela bifase. Analogamente, il fatto che lefflusso avvenga in corrispondenza della parete bagnata

    del liquido, cio nella parte bassa del recipiente, non garantisce che il materiale scaricato sia in faseliquida. Se la temperatura di ebollizione normale (cio a pressione ambiente) del liquido scaricato inferiore alla temperatura ambiente si ha una rapida evaporazione di parte del liquido (flash) conconseguente scarico di una miscela bifase. Testi di termodinamica dellingegneria chimica o unqualsiasi software commerciale di simulazione di processo possono fornire le informazioninecessarie sul comportamento di fase di un fluido, sia puro sia in miscela.Per valutare le condizioni del fluido scaricato necessario conoscere la trasformazionetermodinamica che il fluido compie durante il processo di scarico, partendo dalle condizioniallinterno dellunit di processo fino a uno stato finale, solitamente a pressione atmosferica.

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    Figura 1: diagramma logico relativo al rilascio e dispersione di una sostanza.

    Lo stato finale dipende dallanalisi che si vuole effettuare: se si considera come stato finale il gettodi fluido in movimento (per esempio lo scarico di un gas attraverso una valvola di sicurezza che va

    a formare un getto) la trasformazione pu solitamente essere considerata isoentropica, mentre se lostato finale viene considerato in quiete (per esempio una pozza di liquido) la trasformazione puessere approssimata come isoentalpica. In ogni caso un bilancio di energia, accoppiato con dellerelazioni di equilibrio termodinamico nel caso in cui si abbia la presenza di una miscela bifase (unfluido puro in condizioni di equilibrio alla temperatura di ebollizione normale, mentre una miscelacambia continuamente la sua composizione dalla temperatura di bolla a quella di rugiada; la

    presenza di una miscela bifase si pu avere per levaporazione di parte di un liquido o per lacondensazione di parte di un vapore durante il processo di scarico), consentono la valutazione dellostato del fluido scaricato.A parte le condizioni del fluido scaricato, la valutazione della portata scaricata richiede lassunzionedi una sezione di scarico. Se il rilascio avviene attraverso un dispositivo di scarico di emergenza lasezione nota, mentre se si ipotizza una rottura la dimensione deve essere ipotizzata sulla base dellatipologia di incidente analizzata (per esempio, rottura di un tronchetto di tubazione, perdita daflangia, collasso catastrofico di un recipiente). Non vi un consenso generale sulla sezione di

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    rottura da ipotizzare. Alcuni dei suggerimenti proposti per il caso di rottura di tubazioni (si veda peresempio World Bank, 1985) sono i seguenti:

    20% e 100% del diametro della tubazione;

    2 e 4 per la rottura di una qualsiasi tubazione;

    0.2, 1, 4 e 6 per tubazioni di diametro inferiore ai 6; a seconda del diametro della tubazione:

    o per tubazioni fino a 1.5 assumere un foro di 5 mm e 100% del diametro;

    o per tubazioni da 2 a 6 assumere un foro di 5 mm, 25 mm e 100% del diametro;

    o per tubazioni da 8 a 12 assumere un foro di 5 mm, 25 mm, 100 mm e 100% deldiametro;

    Si vede come le assunzioni possono essere anche marcatamente differenti, portando di conseguenzaa significative differenze nella stima finale delle conseguenze. Considerazioni analoghe valgono perla rottura di recipienti o perdite da flange. Purtroppo, come detto, non vi un consenso unanimesulle ipotesi migliori per definire la sezione di scarico. Lanalista deve quindi effettuare una scelta emotivarla adeguatamente sulla base delle ipotesi incidentali effettuate.Analoghi problemi nascono nella definizione della durata del rilascio. Nonostante siano moltoutilizzate delle assunzioni generali (tipo 3 o 10 minuti) per tutte le situazioni, poich le conseguenzefinali possono essere condizionate in modo significativo dalla durata del rilascio esso dovrebbeessere stimato sulla base dei tempi caratteristici dei sistemi di rilevazione della perdita e diintervento per lisolamento della sezione interessata dalla perdita realmente esistenti nellimpiantoanalizzato.Unaltra assunzione usuale quella di calcolare la portata scaricata nelle condizioni iniziali,trascurando il fatto che solitamente si ha un rilascio non stazionario la cui portata diminuisce col

    passare del tempo a causa della depressurizzazione delle unit dimpianto a monte e valle dellarottura. Il considerare solo la portata iniziale conduce a valutazioni conservative, che possono peressere eccessivamente gravose. Analoghe considerazioni valgono per la presenza sulla linea dicollegamento tra il punto di rottura e lunit dimpianto di pompe, valvole o altre restrizioni che

    possono limitare la portata scaricata

    2.1 Ef f lusso monofase l iquido

    Seguendo lo schema logico riassunto in Figura 1, consideriamo come primo caso lefflusso di unliquido sotto raffreddato, cio tale che la sua temperatura di ebollizione normale sia superiore siaalla temperatura ambiente sia alla temperatura del fluido. Il fluido scaricato rimane quindi liquido, ela sua portata definita da diverse variabili in funzione della posizione dellefflusso. Se si tratta di

    un foro in un recipiente la portata viene definita dalla pressione nel serbatoio, dal battente di liquidoe dalla dimensione del foro. Se viceversa la rottura avviene in una tubazione, la portata dipendedalla configurazione del sistema a monte.Lequazione di partenza in tutti i casi il bilancio di energia meccanica in regime stazionario:

    022

    22

    =++

    +

    uKzg

    udPf

    dove indica una differenza tra una sezione dellimpianto e la sezione a valle della perdita, P lapressione, la densit, u la velocit, z la quota e la sommatoria rappresenta le perdite di carico perattrito, cio la velocit di trasformazione irreversibile di energia meccanica in energia termica,dovuta al flusso lungo le tubazioni, gomiti, valvole, orifizi, entrata e uscita dalle tubazioni, ecc. I

    valori dei coefficienti Kf possono essere calcolati attraverso il fattore di attrito di Fanning per ilflusso nelle tubazioni e con metodi analoghi per ciascun raccordo (si veda per esempio Perry eGreen, 1998; Hooper, 1981; 1988).

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    Per il caso di liquidi incomprimibili (in cui quindi lintegrale presente nel bilancio di energiameccanica pu essere facilmente risolto essendo la densit costante), approssimando le perdite dicarico attraverso un coefficiente di efflusso CD, costante e definito come:

    +=++ zg

    dPC

    uKzg

    dPDf

    22

    2

    si giunge alla classica espressione per la portata massica scaricata, Q, attraverso un foro in unserbatoio di sezione A:

    +

    == zg

    PACAuQ D

    2

    Il coefficiente di efflusso per moto pienamente turbolento (Re > 30000) attraverso un orifizio aspigolo vivo assume valori compresi tra 0.6 e 0.64; il valore usualmente impiegato 0.61. Insituazioni in cui il valore del coefficiente di efflusso non noto o calcolabile in modo affidabile opportuno scegliere un valore unitario per massimizzare la portata scaricata e quindi ottenererisultati conservativi.

    2.2

    Eff lusso monof ase gassosoAnche nel caso di efflusso gassoso la portata scaricata definita da diverse variabili in funzionedella posizione dellefflusso. Se si tratta di un foro in un recipiente la portata viene definita dalla

    pressione nel serbatoio e dalla dimensione del foro. Se viceversa la rottura avviene in unatubazione, la portata dipende dalla configurazione del sistema a monte.In questo caso per risolvere lintegrale presente nel bilancio di energia meccanica necessariodefinire il legame tra P e nella trasformazione termodinamica che il fluido compie durante il

    processo di scarico. Assumendo che tale legame sia quello di una trasformazione isoentropica,cost/ =P , possibile ottenere semplici relazioni per lefflusso attraverso un orifizio. La portata

    scaricata attraverso un orifizio aumenta al diminuire della pressione a valle dell'apertura fino a

    raggiungere un valore massimo in corrispondenza di un valore critico di P:1

    1

    00 1

    2 +

    +

    =

    PACQ D

    dove il pedice 0 indica le condizioni all'interno del recipiente. Per un gas perfetto una pressioneinterna di circa 2 bar sufficiente per raggiungere le condizioni di scarico sonico allatmosfera,mentre per un gas reale servono circa 2.4 bar. Per un gas perfetto il coefficiente pari a 1.67 pergas monoatomici, 1.4 per biatomici e 1.32 per triatomici. Per gas reali l'esponente che mette inrelazione pressione e densit in una trasformazione isoentropica diverso da tale rapporto e variasolitamente tra 1.1 e 1.8.Come valore di prima approssimazione viene solitamente utilizzato un valore di 1.4. Linfluenza delcoefficiente di efflusso sulla portata scaricata in realt non eccessivo, come mostrato in Figura 2.Per il coefficiente di efflusso valgono le stesse considerazioni fatte per il caso di scarico di fluidiincomprimibili.Lefflusso lungo un tubazione pu essere valutato considerando due situazioni limite: efflussoisotermo e adiabatico. La scelta pi opportuna quella adiabatica, poich porta a una sovrastimadella reale portata scaricata.

    2.3 Ef f lusso bif ase

    Lefflusso di una miscela liquido vapore pu essere originato da due diversi fenomeni: unaparziale evaporazione della fase liquida che viene scaricata (flash) o un rigonfiamento del volume

    della fase liquida nel recipiente dovuta alla formazione di schiuma che raggiunge il punto diefflusso. Il primo fenomeno tipico dei gas liquefatti per compressione che, durante lo scarico,sperimentano pressioni via via decrescenti fino al valore ambiente. Il secondo fenomeno pu

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    avvenire quando si ha lo sviluppo di una gran quantit di bolle di gas o vapore allinterno della faseliquida con la conseguente formazione di una schiuma sopra linterfaccia tra il liquido e il vapore.La rapida formazione di bolle in seno al liquido pu avvenire o a causa di una reazione chimica(esotermica, con formazione quindi di vapore, o con prodotti di reazione incondensabili) o a causadi una vivace ebollizione del liquido contenuto a seguito di una rapida depressurizazione. In

    entrambi i casi, la presenza di liquidi intrinsecamente schiumosi (quali quelli contenenti tensioattivianche in tracce) o viscosi (con viscosit superiore ai 500 cP) esalta la probabilit di avere unefflusso bifase.

    1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.80.9

    0.92

    0.94

    0.96

    0.98

    1

    1.02

    1.04

    1.06

    1.08

    1.1

    Q()

    /Q(=

    1

    .4)

    Figura 2: rapporto tra la portata calcolata per un efflusso gassoso sonico al variare di e quellacalcolata per = 1.4.

    Il moto di una miscela bifase ha molti aspetti comuni al moto di un gas. In particolare, in entrambi icasi si deve tenere conto della compressibilit del fluido e la portata massica scaricata presenta unmassimo al diminuire della pressione esterna in condizioni critiche.Il calcolo della portata bifase scaricata attraverso un orifizio o una tubazione presenta per unelevato grado di complessit correlato con il grande numero di fenomeni coinvolti (trasferimento dienergia, materia e quantit di moto tra le fasi, raggiungimento o meno dellequilibriotermodinamico, presenza di fenomeni di attrito) e con la difficolt di elaborare modelli matematiciin grado di descrivere ci che accade in maniera sufficientemente precisa ed essere, al contempo,

    facilmente gestibili. In letteratura esistono diversi schemi di calcolo che forniscono la portataspecifica massima, in corrispondenza cio delle condizioni di efflusso critiche. A questo proposito importante sottolineare che il calcolo della massima portata scaricabile in determinate condizioni, equindi rappresenta una ipotesi conservativa se si vuole valutare il termine di sorgente di unincidente, ma non viceversa conservativa se si vuole calcolare la portata scaricata da una valvoladi sicurezza. In questultimo caso la situazione pi conservativa quella che implica la minima

    portata scaricata, e quindi la massima pressurizzazione del recipiente protetto dalla valvola disicurezza. Poich i modelli di efflusso bifase pi utilizzati sono stati sviluppati per ildimensionamento dei dispositivi di scarico di emergenza (si vedano per esempio quelli sviluppatiallinterno del progetto DIERS, Fisher et al., 1992; Boicurt, 1995), essi devono essere utilizzati concautela in quanto tendono a sottostimare la portata scaricata.I diversi modelli di calcolo per moto bifase possono essere classificati in funzione di diversi aspettidel fenomeno (per esempio, presenza di flash o meno; velocit relativa tra gas e liquido; ecc.), ma lasuddivisione pi significativa quella tra le seguenti due categorie: modelli di equilibrio e modelli

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    di non equilibrio. Ai modelli del primo tipo si ricorre nel caso in cui sia accettabile lipotesi che loscarico avvenga in condizioni di equilibrio termico, meccanico e di trasporto di materia tra le fasi,mentre, quando non si possa ritenere che le condizioni di equilibrio vengono raggiunte, occorretenere in conto la velocit del trasporto tra le fasi di calore, materia e quantit di moto, il checomplica di molto la struttura del modello.

    Per gli studi di sicurezza i modelli di equilibrio (quale lHEM, Homogeneous Equilibrium Model)sono generalmente utilizzati. Le equazioni che costituiscono il modello sono i bilanci di materia,energia e quantit di moto, che per il caso di una miscela bifase possono essere scritti come:

    cost/ === vuuG

    220 )(2

    1

    2

    1Gvhuhh +=+=

    02

    )(4coscos

    2

    22

    2

    =+++=++

    +

    Gv

    D

    dzfdzgvdvGvdPdFdzg

    ud

    dP

    dove si sono utilizzate le grandezze massiche medie della miscela liquido -vapore, quali il volumespecifico v=vL+x(vG-vL) e lentalpia specifica h=hL+x(hG-hL), essendo x la frazione massica di

    vapore. Il volume specifico e lentalpia del liquido e del vapore possono essere calcolate sulla basedi una equazione di stato in funzione di temperatura, pressione e composizione.Le tre equazioni sopra contengono quindi le seguenti incognite: G, T, P, x e composizione delle duefasi, in numero pari a 2NC+2 considerando le equazioni stechiometriche di normalizzazione dellefrazioni molari. Mancano perci 2NC-1 equazioni, cio una sola equazione nel casomonocomponente. Queste relazioni sono le condizioni di equilibrio tra le fasi, date dalla sempliceP=P0(T) per il caso monocomponente.Il modello HEM raccomandato per il dimensionamento dei sistemi di scarico di emergenza inquanto tende a sottostimare la portata scaricata. Nellambito della valutazione delle conseguenze diun incidente questo porta viceversa a sottostimarne lentit.La risoluzione del sistema di equazioni sopra riportato inoltre abbastanza onerosa e vengonoquindi solitamente utilizzati approcci semplificati.

    Nel caso in cui la pressione allo scarico sia superiore alla tensione di vapore del composto allatemperatura del recipiente (liquido sottoraffreddato) il flash non avviene lungo lo scarico ma nellagola, e quindi alla pressione atmosferica, producendo lunico effetto di mantenere la pressione ingola pari a PV(T0). Il fenomeno si pu quindi approssimare come uno scarico liquido tra la

    pressione interna (P0) e la tensione di vapore alla temperatura ambiente (pari a quella delrecipiente):

    ( )LVsub TPPG )(2 00=

    in cui si assunto un coefficiente di efflusso unitario.Nel caso di scarico di liquido saturo (tale cio per cui la pressione allo scarico sia pari alla tensione

    di vapore) e considerando un orifizio o un corta tubazione ragionevole assumere che non vi siaevaporazione fino alla gola in cui si raggiungono le condizioni di efflusso critico. In questo caso, leequazioni del modello HEM possono essere ricondotte alla forma (assumendo che la variazione divolume specifico nellefflusso sia principalmente dovuta alla variazione di titolo del vapore eutilizzando la relazione di Clapeyron):

    PLG

    ev

    PLGL

    evERM

    TCv

    H

    TCv

    HG

    11

    =

    Questa relazione una forma semplificata del cosiddetto modello ERM (Equilibrium Rate Model) efornisce valori di G leggermente superiori al modello HEM.Se la lunghezza della tubazione di scarico molto breve (dellordine di alcuni millimetri) il liquido

    non ha il tempo di evaporare lungo il tratto di tubazione e la portata scaricata viene calcolatautilizzando semplicemente la relazione di Bernoulli tra la pressione interna e quella esterna:( ) Lab PPG = 02

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    Queste due equazioni possono essere interpolate per fornire una relazione generale:

    N

    GG ERM

    22 =

    dove N un parametro che tiene conto della lunghezza della regione di efflusso. Come detto, se la

    lunghezza della tubazione attraverso cui il fluido viene scaricato molto breve (come nel caso diefflusso da un foro in un serbatoio) il liquido non ha tempo di evaporare nemmeno in gola ed ilflash avviene dopo lo scarico in atmosfera. In questo caso la portata di efflusso pu essere calcolatacome quella di un liquido incomprimibile e la definizione di N tale per cui la relazione sopra siriconduce, in queste condizioni, allequazione di Bernoulli.Linfluenza della distanza di scarico sulla portata scaricata schematizzata nella Figura 3. Si notacome la massima portata scaricata la si ha nel caso di efflusso di solo liquido, in condizioni cio di

    piccola distanza di scarico (inferiore a 100 mm).Le equazioni viste in precedenza possono essere combinate per fornire una relazione generale nellaforma (detta di Fauske e Epstein):

    NGGAQ ERMsub

    2

    2 +=

    Lapproccio precedente non consente di tenere conto della presenza di composti incondensabili,come avviene per esempio nel caso di reazioni chimiche con produzione di gas. In questo caso, unapproccio pi generale simile a quello per lo scarico di una fase gassosa e prende origine dallaequazione di bilancio di energia meccanica scritta a cavallo della sezione di scarico.

    Figura 3: Influenza della lunghezza del tratto di scarico sulla portata di efflusso di una miscela ingrado di dare flash. (- -) equazione di efflusso bifase; (---) equazione di Bernoulli.

    Questo, come discusso in precedenza, fornisce la portata specifica scaricata, G, pur di introdurrenellintegrale una relazione tra la pressione e la densit in grado di rappresentare la trasformazionetermodinamica nel processo di rilascio di una miscela bifase. Assumendo che tale relazione siaquella ottenibile dalle equazioni caratteristiche di unflashisoentalpico si pu ottenere una relazionegenerale approssimata del tipo:

    1111 +

    =P

    P

    basata sulle seguenti ipotesi: le propriet fisiche sono valutate alle condizioni di ristagno; il titolodel vapore non varia durante lefflusso; G>>L(che sempre ragionevole lontano dal punto critico,

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    cio per T/TC

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    cPG 00=

    Per valori di ( ) 212

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    i cui valori sono riportati in Tabella 2.Anche il metodo omega pu essere utilizzato in forma approssimata in presenza di tubazioni. Unavolta calcolata la portata specifica scaricata in assenza di tubazioni in condizioni critiche, eassumendo un valore costante del fattore di attrito (f~0.005 un valore spesso adeguato per mototurbolento; non si considera quindi il caso di fluidi particolarmente viscosi), il grafico riportato in

    Figura 6 consente la valutazione delle perdite di carico.

    L/D 0 50 100 200 400CD 1 0.85 0.75 0.65 0.55Tabella 2: valori del coefficiente di efflusso in presenza di tubazioni.

    Lo stesso grafico riporta i valori della Tabella 2 calcolati assumendo un valore di f=0.005. si notacome la riduzione della portata prevista dal modello ERM coincide praticamente con quella previstadal metodo omega per un valore di =5.Tutti questi approcci semplificati si basano sullipotesi che il fluido scaricato sia assimilabile a uncomposto puro, nel senso che la tensione di vapore sia univocamente correlata alla temperatura da

    una relazione tipo Clapeyron. La presenza di miscele richiede la soluzione del modello HEM,complicando significativamente i conti. La portata scaricata in caso di efflusso bifase sar semprecompresa tra quelle calcolate assumendo lo scarico monofase, vapore e liquido rispettivamente. Lastima effettuata considerando uno scarico liquido rappresenta quindi la situazione pi conservativadal punto di vista della stima delle conseguenze.

    Figura 6: rapporto tra la portata scaricata in presenza di una tubazione orizzontale a valledellorifizio e la portata scaricata da un orifizio secondo il metodo omega (---) e il metodo di

    Fauske e Epstein (o).

    Il calcolo della portata scaricata nel caso di efflusso monofase stazionario possibile utilizzando unsimulatore di processo. Anche pacchetti di simulazione delle conseguenze (SAFIRE, AIChE;EFFECTS4, TNO; PHAST, DNV; SUPERCHEMS, Arthur D. Little; ecc.) contengono sottocodici

    per la stima della portata di efflusso.

    2.4 Flash

    Quando un liquido surriscaldato viene rilasciato in atmosfera si trova in una condizione instabileche provoca una rapida evaporazione. Lo stato finale della trasformazione dipende dallanalisi chesi vuole effettuare: se si considera come stato finale il getto di fluido in movimento la

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    trasformazione pu solitamente essere considerata isoentropica, mentre se lo stato finale vieneconsiderato in quiete la trasformazione pu essere approssimata come isoentalpica. Solitamente,anche se non sempre, le differenze tra le due situazioni sono trascurabili. La frazione evaporata puessere calcolata sulla base dei bilanci di materia ed energia, e delle relazioni di equilibrio liquido vapore. Simulatori di processo standard (per esempio, PRO-II, HY-SYS, ASPEN PLUS, ecc.)

    possono essere utilizzati per calcolare la frazione di materiale evaporata anche nel caso si miscelecomplesse. Una prima stima, considerando composti puri con grandezze chimico fisiche costanticon la temperatura, pu essere effettuata con la relazione (TNO, 1992):

    ( )

    =

    = 0

    0

    0 exp1 TTH

    C

    m

    Lmx eb

    ev

    L

    P

    2.5 Formazione di aerosol e rain-out

    La frazione di flash rappresenta una sottostima della portata di vapori che si possono generare aseguito di un rilascio in atmosfera. Il principale motivo rappresentato dalla formazione digoccioline che, se abbastanza piccole, possono formare una nebbia ed evaporare rapidamente a

    causa dellaria richiamata nella nube o, nel caso contrario, ricadere al suolo e formare una pozza.Questultima situazione si presenta per esempio quando il getto bifase va ad impattare contro unasuperficie e/o il suolo posta in prossimit dellefflusso; si verifica una inibizione nellevaporazionedelle goccioline a causa del limitato richiamo di aria e del raffreddamento, che favoriscono laricaduta (rain-out) del liquido.Il bilancio di materia totale per il fluido rilasciato il seguente:

    Mtotale= Mflash+ Maerosol+ Mrain-out

    da cui, noti due dei termini a destra (Mflash = xvMtotale), si pu ricavare il terzo, solitamenteMaerosoloMrain-out.Le goccioline si possono formare meccanicamente o termicamente. Il primo meccanismo nascedallo sforzo di taglio tra un getto di liquido scaricato ad alta velocit e laria circostante ed quindi

    attivo anche per liquidi non surriscaldati. Il secondo meccanismo basato sulla violentaevaporazione di parte del liquido a causa del flash che causa la formazione di goccioline.Il principale problema in questo caso rappresentato dalla stima della dimensione delle gocce che siformano. Infatti la dimensione determina la possibilit per la goccia di rimanere sospesa in aria perun tempo sufficiente ad evaporare; indicativamente questo avviene per gocce di dimensioni inferioriai 100 m se la velocit del vento superiore ai 2 m/s e il rilascio avviene ad almeno 1 2 m dalsuolo. Purtroppo non vi ancora un generale consenso sulle metodologie da utilizzare per la stimadel diametro. Generalmente tali metodologie prevedono la stima del diametro medio delle gocceche si formano sulla base di un numero critico di Weber, eventualmente modificato per tener contodellenergia contenuta nel liquido, pari a 10 20 (Fthenakis, 1993), seguita dalla valutazione della

    velocit di sedimentazione di tali gocce e quindi dal calcolo del tempo che tali gocce rimangononella nube.La metodologia descritta simile a quella su cui si basa il codice RELEASE del CCPS (1999) che

    per porta a determinare una frazione di rain-out maggiore di 4-5 volte rispetto a quella osservatasperimentalmente. Per questo motivo si proposto recentemente un diverso modello (De Vaull &King, 1992) che d risultati pi vicini allevidenza sperimentale. In esso si definisce la sostanzavolatile se:

    14,0

    amb

    asamb

    T

    TT

    dove Tas la temperatura di saturazione adiabatica, stimata considerando una miscela bifaseallequilibrio e calcolando la temperatura che si raggiunge durante il miscelamento con aria finchesiste lultima goccia di liquido. La frazione di rain-out viene definita nel modo seguente: per sostanze non volatili:

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    ( ) ( )

    =

    =

    vap

    asBplP

    vap

    aslP

    ORH

    TTcx

    H

    TTc ,0,. 11

    con T0= temperatura di stoccaggio ex= frazione (massica) di flash per sostanze volatili

    ( )

    =

    8,1

    0,. 145.0

    11

    Vap

    Bp

    lPIORH

    TTc

    valida se

    145,00,

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    nubi di gas che normalmente sarebbero pi leggere dellaria si comportano viceversa come gasdensi. Da questo punto di vista, considerare una frazione di aerosol che venga inglobata nella nubeed evapori istantaneamente a contatto con laria non porta a risultati conservativi.Un approccio molto utilizzato quello di assumere che una massa pari a 1 2 volte quellaevaporata rimanga inglobata nella nube come aerosol. Questo approccio purtroppo non solo non ha

    alcuna base teorica, ma anche molto probabilmente poco accurato. Esso pu condurre anche asottostime grossolane della quantit di vapore presente nella nube, visto che si notatosperimentalmente che solo una piccola parte delle goccioline formatesi a seguito del flash ricadonoal suolo. Questo vero anche per frazioni di flash contenute, dellordine del 10%. Alcune dellecorrelazioni semiempiriche proposte per la stima della frazione di rain-out sono riassunte nellaTabella 3.

    Tabella 3: correlazioni per la stima della frazione di rain-out.

    2.6 Evaporazione da pozza

    La frazione di liquido che non evapora istantaneamente e non rimane inglobata nella nube comeaerosol forma una pozza che evapora. A seconda delle propriet chimico fisiche del compostodiversi fenomeni controllano la velocit di evaporazione. Nel complesso, i fenomeni che causano laevaporazione di un liquido sono il trasporto di materia, legato ai gradienti di concentrazione tra lasuperficie del liquido e latmosfera circostante, e il riscaldamento dovuto allo scambio termico conlatmosfera, allirraggiamento solare e allo scambio termico col terreno sottostante. Questi scambitermici sono bilanciati dal calore necessario al liquido per la sua parziale evaporazione.

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    Il trasporto di materia il fenomeno controllante nel caso di liquidi non bollenti, caratterizzati cioda una temperatura di ebollizione normale superiore alla temperatura ambiente, mentre gli scambitermici di varia natura controllano la evaporazione di gas liquefatti per raffreddamento, come ilGNL. Una terza situazione rappresentata dai gas liquefatti per compressione (per esempio, GPL)che allo scarico vaporizzano parzialmente (flash), trascinando con s una considerevole quantit di

    liquido sotto forma di aerosol. Il liquido non trascinato, giunto alla sua temperatura di ebollizione,forma una pozza che evapora.Nel caso di liquidi non bollenti, cio caratterizzati da una temperatura di ebollizione normalesuperiore alla temperatura ambiente, la portata di evaporazione determinata dal trasporto dimateria dalla superficie del liquido allatmosfera, in quanto essendo le portate in gioco piccole loscambio termico con lambiente non solitamente un fattore limitante.

    Figura 8: Errore relativo nel calcolo della portata evaporante con la formula valida per bassi

    flussi.

    La portata evaporante si calcola utilizzando un coefficiente fenomenologico di trasporto di materiae assumendo che allinterfaccia tra il liquido e latmosfera vi sia equilibrio tra il liquido e il vapore.Per basse portate evaporanti, quale solitamente il caso per liquidi non bollenti, la portata puessere calcolata come:

    ( )RT

    TMPAKQ LVC=

    dove M il peso molecolare, R la costante dei gas perfetti, TL la temperatura del liquido, PV latensione di vapore eKCil coefficiente di trasporto di materia. Lerrore commesso utilizzando questa

    formula al variare della tensione di vapore del composto riportato in

    Figura 8.In assenza di vento il coefficiente di trasporto pu essere stimato sulla base del valore noto di quellodi un composto, solitamente lacqua (KC=0.83 cm/s):

    3/118

    83.0

    M

    KC

    In presenza di vento si possono utilizzare le classiche relazioni basate sui numeri adimensionali:

    >

    700 350-700 1/2 3 ND NDTabella 6: classi di stabilit in relazione alla velocit del vento.

    possibile ottenere una espressione analitica per la variazione della velocit del vento con laquota sulla base dell'analisi dimensionale. Le evidenze da rispettare sono un aumento dellavelocit media del vento ed una diminuzione del gradiente con la quota. In altri termini ilvento cresce sempre con la distanza dal suolo e le variazioni pi sensibili sono in prossimitdella superficie, dove la velocit deve annullarsi. Inoltre, stato osservato che le variazionisono tanto pi concentrate verso il suolo quanto pi questo liscio, cio tanto pi piccolisono gli ostacoli al suolo. Per contro, in presenza di ostacoli di altezza significativa (peresempio, costruzioni), la variazione di intensit si distribuisce su uno spessore maggiore.

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    L'analisi dimensionale parte dalla equazione di bilancio di quantit di moto nella direzioneverticale, mediata nel tempo e semplificata utilizzando l'approssimazione di Boussinesq, per ilcaso monodimensionale (uy=uz=0) stazionario e in atmosfera adiabatica, assumendo che laderivata della pressione lungo x sia indipendente da z:

    0)0()0()( ==+== zzzPzz xzxzxz

    Questo un legame tra 0 e ( ) dz/Kdudz/duK xxxz += ; poich K (il tensore deicoefficienti di diffusione turbolenta) a sua volta dipende da variabili quali la rugositsuperficiale, la densit e la quota, la equazione sopra un legame tra cinque variabili checoinvolgono tre grandezze fondamentali. Con alcuni passaggi e utilizzando il teorema

    possibile riassume le evidenze sperimentali discusse in precedenza nella seguente legge divariazione logaritmica, valida nel caso di atmosfera adiabatica:

    =

    =

    000

    * lnln)()(ln)(z

    z

    z

    zzuzu

    z

    z

    k

    uzu rr

    in cui k la costante di von Krmn che vale circa 0.41, mentre u* una velocitcaratteristica, detta di attrito (friction velocity), legata allo sforzo di taglio al suolo secondo la

    relazione /u 0*= . Si tratta di una grandezza sperimentalmente misurabile sulla base

    della velocit del vento a una data quota. Il profilo logaritmico non pu, matematicamente,essere definito fino al suolo (z = 0). La quota z0di riferimento a cui il vento si annulla vieneassunta in funzione della rugosit del suolo, come riassunto per alcune situazioni tipiche nellaFigura 12.Si vede che esiste una certa incertezza sul valore da utilizzare in una data situazione, parimediamente a un fattore di circa 3 (a parte alcune situazioni limite). Unincertezza di questotipo comporta una differenza nella stima della velocit del vento con la formula precedente auna certa quota dellordine di circa il 10%.Bisogna anche sottolineare che la valutazione del profilo verticale del vento con una leggelogaritmica e un valore di rugosit superficiale si applica ovviamente per quote superiori allarugosit superficiale stessa. Questo non un problema quando le dimensioni verticali dellanube (o la sua quota) sono superiori al valore della rugosit superficiale. Viceversa, seesistono ostacoli la cui dimensione superiore a quella verticale della nube (come spessoaccade nel caso di rilascio di gas densi in aree industriali) si possono avere situazionimarcatamente differenti da quelle caratterizzate da un profilo logaritmico del vento. Il ventostesso pu essere canalizzato dagli ostacoli, e la presenza di scie a valle degli edifici pu

    portare a concentrazioni decisamente maggiori di inquinanti nella regione a valle degli edifici

    stessi.Qualora le condizioni dell'atmosfera non siano quelle adiabatiche, il profilo di velocit simodifica. L'analisi dimensionale fornisce anche per il caso generale una relazioneapprossimata, che mostra come in atmosfera stabile la velocit del vento cresce pirapidamente con l'altezza e viceversa in condizioni di instabilit. Questo corrispondeall'effetto di livellamento della velocit operato dagli scambi di quantit di moto turbolentalungo la verticale. In questo caso la relazione precedente si modifica con lintroduzione di un

    parametro caratteristico delle condizioni di stabilit dellatmosfera, la lunghezza di Monin Obukhov, L:

    +=

    L

    z

    z

    z

    k

    uzu 5.4ln)(

    0

    *

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    Il parametro L pu essere stimato sulla base dei valori riportati in Tabella 7.

    Figura 12: valori di rugosit superficiale, z0, suggeriti da diverse fonti.

    Molto utilizzata nella pratica, e in particolare con riferimento ai modelli di dispersione diinquinanti, la rappresentazione della velocit media del vento con la quota attraverso unalegge empirica (di potenza) del tipo:

    P

    r

    rz

    zzuzu

    = )()(

    basata su un valore di velocit, u(zr), a una quota di riferimento, zr. In essa il parametro Pviene determinato sulla base delle condizioni atmosferiche, nota la natura del suolo.Per una rapida valutazione si possono utilizzare i valori riportati nella Tabella 8. Questi valorisono stati stimati per emissioni da ciminiere e non dovrebbero quindi essere utilizzati perquote inferiori a quella di riferimento.Le previsioni delle diverse relazioni sono riportate per alcuni casi nella Figura 13. Si nota chele maggiori differenze si riscontrano nel caso di atmosfera instabile, mentre nel caso diatmosfera neutra non si riscontrano differenze apprezzabili. Un discorso a parte merita il casodi atmosfera instabile, dove i valori pi elevati dellesponente P portano a previsioni pococredibili del profilo di velocit del vento. Non si riscontrano infine grosse differenze legate

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    allutilizzo del parametro L, cosa che giustifica lapproccio usuale che porta ad utilizzare larelazione pi semplice che ne ignora leffetto.

    Classe di stabilit Lunghezza di Monin Obukhov, mA - 10B - 50C - 50D > 100E 50F 10Tabella 7: classificazione delle condizioni di stabilit atmosferica.

    Classe A B C D E FRiferimento TerrenoCCPS, 2000 Urbano 0.15 0.15 0.20 0.25 0.40 0.60

    Rurale 0.07 0.07 0.10 0.15 0.35 0.55EPSC, 1999 Urbano 0.10 0.15 0.20 0.25 0.30 0.30Tabella 8: esponenti per la relazione della velocit del vento in funzione della quota proposti

    da diverse fonti.

    3.3 Model li gaussiani

    I modelli gaussiani possono essere utilizzati per simulare la fase di dispersione passiva, cio

    quella prevalente quando sia gli effetti inerziali sia quelli gravitazionali si sono esauriti. Comedetto in precedenza, questa terza fase sempre presente, e pu risultare lunica nel caso diemissione di un gas neutro (cio con densit simile a quella dellaria) e senza apprezzabilicomponenti della velocit in uscita. Possono rappresentare ragionevolmente anche il caso didispersione di una piccola quantit di gas densi, in cui la fase legata alla densit del gas relativamente breve e poco importante.

    Nel caso di emissione continua da una sorgente puntiforme (le cui dimensioni siano ciotrascurabili rispetto alla scala spaziale su cui si vuole simulare il fenomeno, tipicamentedellordine della distanza tra sorgente e ricettore) linquinante viene trasportato dal ventoformando un pennacchio parallelo al suolo. La concentrazione di inquinante a una certadistanza dalla sorgente risulter quindi massima in corrispondenza dellasse del pennacchio,

    diminuendo progressivamente man mano che ci si allontana. Analogamente, incorrispondenza dellasse del pennacchio la concentrazione diminuir allaumentare delladistanza per effetto della diluizione progressiva. Per emissioni in quota la concentrazione alsuolo viceversa normalmente sar nulla in prossimit dellemissione in quanto linquinantenon ha ancora raggiunto il suolo, per poi aumentare gradualmente allaumentare della distanzafino a un valore massimo. A distanze maggiori leffetto della diluizione prevale e laconcentrazione al suolo diminuisce.Le caratteristiche fondamentali della dispersione di un gas neutro da una sorgente continua

    possono essere derivate dalla equazione di bilancio materiale dellinquinante, che pu esserescritta come:

    SCDCut

    C

    +=+ 2

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    31

    0 2 4 60

    50

    100

    150

    u, m/s

    z,m

    A, z0=1 m

    0 2 4 60

    50

    100

    150

    u, m/s

    F, z0=1 m

    0 5 10 150

    50

    100

    150

    u, m/s

    D, z0=1 m

    0 2 4 60

    50

    100

    150

    u, m/s

    z,m

    A, z0=0.1 m

    0 2 4 60

    50

    100

    150

    u, m/s

    F, z0=0.1 m

    0 5 10 150

    50

    100

    150

    u, m/s

    D, z0=0.1 m

    Figura 13: velocit del vento in funzione della quota calcolate per una velocit del vento a 10

    m pari a 2 m/s per le classi A e F, 5 m/s per la classe D. (---) relazione col parametro L; ()relazione senza il parametro L; (- -) relazione empirica coi valori di P secondo CCPS,

    (2000); (- .) relazione empirica coi valori di P secondo EPSC (1999).

    Essendo la concentrazione dellinquinante in aria solitamente molto bassa, possibileassumere che la sua presenza non influenzi il campo termico e di moto dellatmosfera. Inquesto modo, assunta nota la distribuzione di velocit e temperatura, non necessarioaccoppiare il bilancio materiale della specie inquinante alle equazioni di bilancio di energia edi quantit di moto. Il termine S rappresenta le sorgenti della specie inquinante, dovute areazioni chimiche o a immissioni dallesterno del dominio di integrazione.

    In assenza di reazioni chimiche e effettuando la usuale operazione di mediazione si ottiene laequazione mediata:

    SCDKCut

    C++=+

    2)(

    dove K il tensore dei coefficienti di diffusione turbolenta e si sono introdotti i valori medi divelocit e concentrazione. Trattandosi di un moto turbolento, non solo la velocit ma anche laconcentrazione della specie inquinante ha un andamento erratico, tipico di una variabilecasuale. In altri termini, la mediazione dellequazione di bilancio materiale e la conseguenteintroduzione di un modello di turbolenza per risolvere il problema della chiusura delleequazioni impedisce di calcolare il valore istantaneo della concentrazione, limitandosi a

    fornire un valore medio. Questo da un lato non un grosso problema in quanto anche

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    sperimentalmente siamo in grado di misurare solo valori medi di concentrazione (su intervallipi o meno lunghi a seconda dello strumento utilizzato), ma dallaltro pone il problema dellascelta dellintervallo di mediazione (averaging time). Infatti, per una assegnata distribuzionedella concentrazione, i malori massimi e minimi (misurati o calcolati) dipendono dal valore

    dellintervallo di tempo scelto per la operazione di media. Ne consegue che un valore diconcentrazione (misurato o calcolato) non ha senso se non associato alla definizione deltempo di mediazione utilizzato.Sulla base di diverse assunzioni semplificative si possono ricavare formule diverse, la piutilizzata delle quali la seguente:

    ++

    =

    2

    2

    2

    2

    2

    2

    2

    )(exp

    2

    )(exp

    2exp

    2 zzyzy

    hzhzy

    u

    qC

    dove il coefficiente di riflessione dellinquinante al suolo (pari a 1 per riflessionecompleta, come nel caso di suolo non poroso e di inquinante che non si adsorbe sullavegetazione, e pari a 0 per assorbimento completo, come nel caso di HF + acqua).

    Questo modello non applicabile in condizioni di calma di vento (cio per velocit medie delvento inferiori a un dato valore, pari a 0.5 2 m/s a seconda degli autori) in quanto non ingrado di simulare la retrodiffusione presente nelle immediate vicinanze della sorgente comeillustrato in Figura 14.

    Figura 14: fenomeni di retrodiffusione a bassa velocit del vento.

    Esistono diverse correlazioni per la stima di ye zin funzione della distanza dalla sorgente,x, e delle condizioni di stabilit atmosferica. Ciascuna di queste correlazioni differisce dallealtre per le condizioni in cui sono state effettuate le misure sperimentali utilizzate per ricavareuna particolare formula (tipo e altezza del rilascio, orografia, intervallo di tempo su cui vienemediata la misura della concentrazione, ecc.). Un confronto tra i valori di Pasquill Gifford equelli di Doury riportato in Figura 15.Si nota come nel caso di dispersione orizzontale la differenza tra le diverse classi di stabilit

    piccola e le curve di Pasquill Gifford sono essenzialmente le stesse di quelle di Doury. Nelcaso invece di dispersione verticale, le curve sono differenti per le diverse classi di stabilit. Idue approcci forniscono comunque valori simili, eccetto che per le classi A e B dove le curvedi Pasquill Gifford tendono a divergere per tempi di trasferimento dellordine dei 1000 s.Questo comportamento appare ragionevole solo in condizioni eccezionali legate alla presenzadi forti correnti convettive.

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    Sulla base di diverse assunzioni semplificative si possono ricavare formule diverse anche perrilasci istantanei, la pi utilizzata delle quali la seguente:

    ( )

    ( )

    ++

    =

    2

    2

    2

    2

    2

    2

    2

    2

    2/3 2

    )(exp

    2

    )(exp

    22exp

    2 zzyxzyx

    hzhzytuxqC

    dove sempre il coefficiente di riflessione dellinquinante al suolo e q la quantit diinquinante scaricata. I valori dei coefficienti di dispersione nel caso di rilasci istantanei sonodifferenti da quelli per il caso di rilasci continui, anche se il limitato numero di informazionisperimentali disponibili rende difficile una loro stima affidabile. Un approccio utilizzato quello di considerare yx = pari alla met del valore corrispondente per rilasci continui, e

    di considerare viceversa inalterato il valore di z .Al variare del tempo di mediazione cambiail valore di concentrazione (sia misurato, sia calcolato). I valori riportati in letteratura per icoefficienti di dispersione sono solitamente relativi a tempi di mediazione di 10 minuti.Questo pu essere adeguato per valutare le conseguenze di molti rilasci tossici, ma non lo

    per la stima dei limiti di infiammabilit, dove si interessati a valori di concentrazioneessenzialmente istantanei ed in prossimit del punto di rilascio ove sono maggiormenterilevanti altri meccanismi di diluizione legati alla densit/velocit delleffluente.

    Figura 15: confronto tra valori di y e z in funzione del tempo di trasferimento dalla

    sorgente al ricettore, definito come rapporto tra la distanza e la velocit media del vento.

    In prima approssimazione possibile stimare leffetto del tempo di mediazione utilizzando larelazione:

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    34

    ( )min10

    10/=

    =t

    z

    q

    tzt

    con t espresso in minuti. Per tempi di mediazione inferiori ai 10 minuti q = 0.2, mentre pertempi compresi tra 1 e 100 h si assume solitamente q = 0.25 - 0.3. Perch il nuovo valore non

    sia inferiore a quello caratteristico di una emissione istantanea il fattore correttivo non puessere inferiore a circa 0.5 (il che equivale ad assumere che un rilascio istantaneo avvengain circa 20 s). Questa relazione fornisce risultati sostanzialmente coincidenti con la:

    ( ) min102.010 =

    = tt CtC

    Leffetto del tempo di mediazione schematizzato in Figura 16.

    0 10 20 30 40 50 600.6

    0.8

    1

    1.2

    1.4

    1.6

    1.8

    2

    tempo di mediazione, min

    Ct

    /Ct=10min

    Figura 16: confronto tra valori di concentrazione al variare del tempo di mediazione.

    Le assunzioni necessarie per giungere alle semplici formule gaussiane sono molto stringenti, espesso sono solo parzialmente soddisfatte nella pratica. Ci nonostante, proprio grazie allaloro semplicit, i modelli gaussiani sono ampiamente utilizzati. La ragione del loro successorisiede nel fatto che tali modelli sono in grado di rappresentare correttamente i principalicomportamenti qualitativi (per esempio la distribuzione gaussiana della concentrazioneallinterno del pennacchio o della nube), e che un accordo quantitativo con la realt vieneottenuto tarando i parametri di dispersione presenti nei modelli (ye z) per confronto tra le

    previsioni dei modelli gaussiani e i risultati di misure sperimentali, anzich essere calcolatipartendo da considerazioni teoriche come sarebbe viceversa possibile. Ci nonostante vi sonodelle chiare limitazioni alluso dei modelli gaussiani, quali la presenza di orografie complesseo ostacoli di dimensioni comparabili allaltezza del pennacchio, condizioni meteorologichevariabili tra la sorgente e il ricettore, calma di vento, regione vicina allemissione (fino a 100m). In particolare, il limitare luso di questi modelli a distanze superiori a 100 m dal punto dirilascio consente al flusso scaricato di stabilizzarsi in un pennacchio (o in una nube) condistribuzione della concentrazione gaussiana. Dalla Figura 16 si nota come lassunzione diconsiderare infiammabile la nube fino a una concentrazione media su 10 minuti pari a 1/2LFL corrisponde a considerare infiammabile la nube fino a una concentrazione media su 20secondi pari al LFL.

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    3.4 Modell i integrali

    Un gran numero di incidenti industriali coinvolge la dispersione di gas pi densi dellaria. Inquesto caso leffetto della gravit pu giocare un ruolo determinante nelle prime fasi delladispersione e lutilizzo di modelli gaussiani non corretto. In questo caso necessario tenere

    espressamente in conto gli scambi di energia e quantit di moto della nube o del pennacchiocon lambiente, oltre che di materia. Ci pu essere fatto utilizzando le equazioni diconservazione di queste grandezze scritte per un certo volume di controllo (a cui vieneassimilata la nube nel caso di rilasci istantaneii) o per un tubo di flusso (a cui viene assimilatoil pennacchio nel caso di rilasci continui).I modelli integrali vengono solitamente utilizzati accoppiati ai modelli gaussiani. Questiultimi descrivono la fase di dispersione passiva della nube o del pennacchio, quando ciolinquinante si e diluito abbastanza da rendere trascurabili gli effetti gravitazionali. Neconsegue che tutte le limitazioni e i problemi discussi in precedenza per i modelli gaussianisono presenti anche nei modelli integrali.

    Nel caso di emissioni di gas pesanti si possono identificare quattro fasi successive:1. creazione della nube o del pennacchio;

    2. collasso;

    3. spargimento al suolo;

    4. dispersione passiva.

    La prima fase, come sempre nel caso di emissioni istantanee, richiede unassunzione sullaforma e dimensione della nube. La seconda e terza sono quelle descritta dai modelli integrali,mentre la quarta viene simulata coi modelli gaussiani. Le diverse fasi sono rappresentate nellaFigura 17.

    Nella forma pi semplice, i modelli integrali per emissioni istantanee simulano la caduta dellanube utilizzando le equazioni di Navier Stokes nella forma semplificata di Bernoulli.Introducendo alcune ipotesi semplificative (velocit di caduta della parte superiore delcilindro forma a cui solitamente si approssima la nube trascurabile; velocit dispargimento laterale della nube uniforme; equilibrio tra la sovrapressione media nella nube eresistenza dellaria allavanzamento del fronte della nube) si ottiene una relazione del tipo:

    5.0

    = HgK

    dt

    dR

    a

    a

    dove R ed H sono il raggio e laltezza della nube, e K un parametro.La diluizione della nube a seguito dellingresso dellaria viene rappresentata attraverso delle

    velocit di ingresso dai bordi e dalla parte superiore della nube:( )221 2 R

    Ri

    U

    dt

    dRRH

    dt

    dM taa

    a +

    =

    dove Ma la massa di aria trascinata nella nube e 1e 2 sono due parametri. Alcuni modellitengono anche conto degli scambi termici con lambiente attraverso relazioni del tipo:

    ( ) ( ) ( )dt

    dMTTCTT

    dt

    dTCMCM aaPasuologagaPaa +=+ 3

    dove 3 un altro parametro. Complessivamente, i fenomeni tenuti in conto da un modellointegrale di questo tipo sono riassunti in Figura 18. Altri fenomeni, come per esempio la

    presenza di umidit, possono essere inclusi in questo approccio, ma il principale problema

    risulta evidente anche dalle equazioni riportate: per poter ricondurre le equazioni di

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    conservazione a una forma matematicamente semplice necessario introdurre numerosesemplificazioni che vengono recuperate nel modello introducendo dei parametri adattivi. Ilvalore di tali parametri deve essere stimato per confronto con dati sperimentali. Questorappresenta il principale limite dei modelli integrali: essendo disponibile solo un numero

    limitato di dati sperimentali in scala reale, laffidabilit dei parametri stimati utilizzando talidati non garantita, specie in condizioni diverse da quelle indagate sperimentalmente.

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    Figura 17: Diverse fasi della simulazione di una dispersione di un gas pesante.

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    Figura 18: meccanismi considerati durante la simulazione della fase di caduta di una nube

    con un modello integrale.

    Vi poi il problema di legare i risultati del modello integrale a quelli del modello gaussianonel momento in cui la densit della nube approssima quella dellaria. A parte la discontinuitche si pu avere nel profilo di concentrazione passando da un profilo top-hat a uno gaussiano(come mostrato in Figura 17), il principale problema la definizione di un criterio per latransizione dalla fase rappresentata dal modello integrale a quella rappresentata dal modellogaussiano. Si utilizzano solitamente criteri basati su diverse verifiche, quali la differenza didensit tra la nube e laria, la velocit del fronte della nube, la penetrazione della turbolenza

    atmosferica nella nube, ecc. Nessuno di questi approcci migliore degli altri, nel senso chetutti basano la loro validit sulla capacit di riprodurre ragionevolmente le evidenzesperimentali.

    Nel caso di rilasci continui a bassa velocit (in cui quindi la componente inerziale siatrascurabile) la modellazione analoga, come mostrato nella Figura 19. Anche le equazionirisultanti sono simili, originandosi sempre dalle equazioni di Navier Stokes fortementesemplificate per ricondurre il modello alla forma a parametri concentrati, e quindi leequazioni a un sistema di equazioni differenziali ordinarie.

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    Figura 19: modellazione di un rilascio continuo con un modello integrale.

    Il discorso risulta analogo anche per il caso di rilasci continui in cui la componente inerzialenon sia trascurabile. In questo caso possibile modellare separatamente la fase di gettoturbolento iniziale (in cui lo scarico si diluisce molto pi rapidamente che durante la fase didispersione passiva a causa dellelevata differenza di velocit del getto rispetto allariaambiente). I modelli integrali applicati al tubo di flusso sono in grado, sempre sulla base di

    parametri stimati sulla base del confronto coi dati sperimentali disponibili, di rappresentareanche la fase iniziale di getto (almeno oltre la zona di stabilizzazione del flusso, mostrata inFigura 20 che si estende per alcuni diametri e richiede di essere caratterizzata in mododifferente per fornire le condizioni iniziali al modello integrale), oltre che la fase in cui

    prevalgono gli effetti inerziale quelli di dispersione passiva. Contrariamente ai modellidiscussi in precedenza, in questo caso di solito i modelli integrali non si collegano ad unmodello gaussiano per simulare lultima fase della dispersione, ma il modello integraleingloba anche una parte di dispersione legata alla turbolenza atmosferica. Questi modelliriproducono correttamente la fase dominata dalla quantit di moto iniziale o dagli effettigravitazionali, ma rappresentano il pennacchio con una sezione circolare anche nella regionedi dispersione passiva, in contrasto con le evidenze sperimentali che mostrano una maggiordispersione laterale rispetto a quella verticale. Questo produce un pennacchio a sezioneellittica, come correttamente riprodotto dai modelli gaussiani.

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    Figura 20: Modellazione di un rilascio continuo a getto con un modello integrale.

    Poich tutti i modelli integrali sono stati tarati sugli stessi (pochi) dati sperimentalidisponibili, essi sono sostanzialmente in grado di riprodurli correttamente. In altri termini,non agevole discriminare tra tali modelli quale sia il migliore, ma soprattutto quale sia il piaffidabile in condizioni diverse da quelle utilizzate per la sua taratura (per esempio, rilasci dicomposti tossici che raggiungono valori di concentrazione pericolosi anche a grandi distanzedalla sorgente). Elenchi di codici disponibili per la simulazione della dispersione in atmosfera,cos come confronti dettagliati tra i risultati di diversi codici sono discussi in dettaglio innumerose rassegne di letteratura (si veda per esempio CCPS, 1996; EPSC, 1999).I modelli integrali e quelli gaussiani condividono lincapacit di rappresentare linfluenza diostacoli presenti nelle vicinanze del punto di rilascio. La Figura 21 mostra alcune di queste

    situazioni.Un confronto con dati sperimentali in larga scala riportato in Figura 22 mostra con chiarezzaleffetto di quanto schematizzato nella Figura 21.La soluzione pi ragionevole a questi problemi data dallutilizzo di modelli tridimensionalidiscussi nella sezione seguente.

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    Figura 21: esempi di situazioni non correttamente modellate dai modelli integrali e

    gaussiani.

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    Figura 22: confronto tra dati sperimentali in larga scala e previsione di differenti modelli:

    gaussiani, integrali e tridimensionali. La figura a sinistra si riferisce ad una situazione con

    ostacoli, quella a destra senza.

    3.5 Modell i tridimensionali

    I modelli tridimensionali (o CFD) implementano le equazione cardinali del moto dei fluidi edi conservazione della materia e dellenergia, accoppiate a opportuni modelli di turbolenza e a

    condizioni al contorno per rappresentare la topografia della zona e le caratteristiche dellasorgente. Essi matematicamente originano un sistema di equazioni differenziali alle derivateparziali che possono essere complessivamente rappresentate con la relazione generale:

    ( ) SU

    =+

    t

    Nella relazione precedente U rappresenta il vettore velocit, una generica variabileassociata al moto del fluido (quantit di moto, energia, concentrazione di una specieinquinante), il coefficiente di diffusione della variabile , e t indicano rispettivamentela densit del fluido e la variabile temporale, S il termine di generazione o di scomparsa

    relativo al bilancio che stiamo considerando.Tali equazioni descrivono completamente il moto di un fluido e la dispersione di uninquinante in esso, ma la possibilit di risolvere numericamente il problema dipendefortemente dalle condizioni di moto in cui il fluido si trova. Infatti, come ripetutamente detto,nel caso di moti in atmosfera si in presenza di condizioni di moto turbolente. Volendorisolvere le equazioni come scritte in precedenza, in questo caso le scale di tempo e dilunghezza sarebbero fortemente ridotte, rappresentando un problema insolubile per le capacitdi calcolo attuali. Come detto in precedenza, un modo per superare questo problema quellodi considerare una media temporale delle grandezze che descrivono il moto del fluido, e nonla loro quantit istantanea. In questo modo per le equazioni di conservazione generano due

    nuove quantit: lo sforzo di Reynolds uu= e il flusso di Reynolds u= . Queste duequantit, a priori sconosciute, possono essere calcolate attraverso lipotesi di lavoro nota come

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    ipotesi di viscosit turbolenta. Lidea alla base di questo modello che gli sforzi di Reynoldssiano correlati linearmente ai gradienti medi di velocit, in modo analogo a quanto succede

    per la relazione sforzi - deformazioni nel caso di fluido newtoniano in moto laminare:

    ( )( )T

    TTUUUkuu

    ++=

    3

    2

    3

    2

    dove T la viscosit turbolenta e k lenergia cinetica turbolenta. Analogamente si pudefinire una relazione tra i flussi di Reynolds e il gradiente medio della variabile :

    = Tu

    dove Trappresenta il coefficiente di diffusivit turbolenta calcolato comeT

    TT

    = , con T

    pari al numero di Prandtl turbolento.I diversi modelli basati sullipotesi di viscosit turbolenta si distinguono nel modo in cuicalcolano la viscosit turbolenta e la diffusivit turbolenta. Il modello pi conosciuto, grazie

    alla sua ampia applicabilit, il modello k-.Come detto, i modelli tridimensionali sono stati sviluppati allinterno della fluidodinamicacomputazionale e sono in grado di rappresentare in modo realistico leffetto della turbolenzaatmosferica sulla dispersione dellinquinante. Possono inoltre rappresentare in manieraconcettualmente semplice condizioni meteorologiche estreme e qualsiasi tipo di ostacolo o diorografia. Analogamente, sono in grado di tenere in conto la reale densit dei compostiscaricati cos come le reali condizioni di scarico. Daltro canto, questi modelli richiedono unelevato tempo di calcolo, sono complicati da utilizzare richiedendo lintervento di personaleesperto nellutilizzo di codici fluidodinamici.

    Figura 23: confronto tra misure sperimentali e predizioni di modelli CFD e gaussiani per un

    rilascio di ammoniaca allinterno di un complesso industriale.

    A titolo di esempio la Figura 23 riporta i risultati di una simulazione della dispersione di unrilascio accidentale di ammoniaca allinterno di un complesso industriale caratterizzato dalla

    presenza di numerosi edifici. Si pu notare come il modello di tipo CFD sia in grado di ben

    rappresentare la reale dispersione, al contrario di un pi semplice modello gaussiano.

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    Il principale vantaggio di questo tipo di modelli che non contenendo, almeno in linea diprincipio, dei parametri tarati su dati sperimentali di dispersione, la loro validit non condizionata dallintervallo delle variabili considerati nella procedura di convalida. Alcuniesempi di confronto tra i dati sperimentali e le previsioni di un modello tridimensionale sono

    riportate in Figura 23 e in Figura 24. In queste figure, oltre che nella Figura 22, si nota come imodelli tridimensionali siano in grado di rappresentare correttamente anche leffetto dellapresenza di ostacoli. Questa propriet anche dovuta alla capacit di questi modelli diriprodurre il campo di moto in situazioni complesse, come mostrato a titolo di esempio inFigura 25.I due principali limiti allutilizzo di questi modelli sono da un lato il costo (in termini ditempo macchina e di tempo uomo) necessario a ottenere i risultati di una simulazione, edallaltro la mancanza di una estesa convalida per confronto coi dati sperimentali disponibili.Daltro canto, le loro potenzialit sono indubbie, e il loro uso ottimale quindi mirato a unnumero limitato e selezionato di situazioni.

    Figura 24: esempi di confronto tra dati sperimentali e previsioni di un modello

    tridimensionale.

    Un esempio di questo tipo rappresentato dalla dispersione di un gas freddo (metano)rilasciato da un vent in condizioni di calma di vento (velocit del vento pari a 0.1 m/s). Questasituazione potrebbe verificarsi durante lo scarico di emergenza da una cosiddetta candelafredda di un impianto che tratta GNL. Considerando una temperatura del metanoallemissione in atmosfera pari a 144 K, la Figura 26 mostra le curve di isoconcentrazioneverticale ottenute dalla simulazione numerica col codice CFD KFX-99; queste riproduconofedelmente alcune risultanze sperimentali che evidenziano una ricaduta al suolo della nubeinfiammabile (involucro con concentrazione pari al 5% vol.) nelle vicinanze della base delcamino.Questa situazione chiaramente pericolosa e non prevedibile con codici di calcolo gaussiani ointegrali a causa della caratteristica di gas freddo (avente quindi densit maggiore di quella

    dellaria) e la contemporanea condizione di assenza di vento. I modelli gaussiani, come detto,

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    non sono validi per rilasci di gas pesanti e basse velocit del vento, mentre le relazioni dientrainment utilizzate nei modelli integrali non sono accurate vicino allemissione, dove siregistrano condizioni estreme di bassa temperatura ed elevata densit che inibiscono ladiluizione.

    Figura 25: campo di moto previsto da un modello tridimensionale per la situazione

    rappresentata in Figura 23.

    Figura 26: valori di concentrazione in un piano verticale contenente il camino.

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    3.6 Rilasci sottomarini

    Tutti i modelli proposti in letteratura, pur nella diversit degli approcci e delle metodologie dirisoluzione, si inseriscono in uno schema comunemente accettato che approssima il comportamentodi un rilascio in profondit suddividendo in tre regioni il percorso compiuto, dalla sorgente fino alla

    superficie. La prima zona si situa in prossimit dellorifizio, dove si attua la stabilizzazione delflusso (ZOFE, Zone Of Flow Establishment) e in cui controllante la velocit di rilascio: si tratta diuna regione interessata da forti turbolenze, che non viene simulata da nessun modello, in quantoviene ritenuta relativamente poco influente sui risultati finali della simulazione. La ZOFE si estende

    per un breve tratto dalla sorgente, fintanto che si possa trascurare leffetto della spinta digalleggiamento sul movimento del flusso, e il sistema abbia dunque il carattere di getto, cio siacontrollato solo dalla velocit di efflusso. Nella ZOFE il rilascio perde la sua energia iniziale erallenta, per passare quindi nella zona di flusso stabilizzato (ZOEF, Zone Of Established Flow),dove la quantit di moto non dipende solo dalla velocit dello scarico, ma anche dalla spinta digalleggiamento, generata dalla minore densit del gas e dellolio rispetto allacqua di mare. Questaregione caratterizza quasi completamente il fenomeno, arrivando a pochi metri dalla superficie:

    lungo tutto questo tratto lo scarico viene considerato un plume, cio un pennacchio guidato econtrollato nel suo movimento pi dalla spinta di Archimede che dalla quantit di moto del rilascio,che si sta esaurendo. La terza zona interessa larea di incontro con la superficie, dove comincia ladispersione in atmosfera del gas e la generazione di una corrente superficiale, legata al liquidotrascinato. Questa regione viene definita zona di flusso superficiale (ZOSF, Zone Of Surface Flow)e non tutti i modelli elencati in precedenza la trattano.Lo schema descritto fin qui ritenuto valido limitatamente a un rilascio in condizione stazionarie,

    per cui la portata allefflusso costante nel tempo, cos come i risultati ottenuti dalla simulazione.Inoltre si pu puntualizzare che gli scarichi di idrocarburi in mare vengono trattati come buoyant

    jet, ovvero getto galleggiante, in quanto assumono globalmente sia un carattere di jet che lepropriet tipiche di un plume.I modelli elaborati sinora simulano quasi esclusivamente solo la ZOEF in cui spicca il carattere di

    pennacchio, e possono essere raggruppati in tre categorie in base alla loro affidabilit eapplicabilit. I pi semplici e meno dispendiosi in termini di utilizzo sono quelli empirici, che persono meno precisi, seguono i metodi integrali (semi-empirici) che risultano pi affidabili dei

    precedenti, e infine si hanno i codici fluido-dinamici (CFD), pi rigorosi ma anche pi onerosi, per itempi lunghi di risoluzione di cui hanno bisogno.I modelli empirici si riferiscono a una trattazione della realt semplificata, che permette di stimaregrossolanamente la sezione di uscita (boil area) del gas in superficie: si assume che lo scaricogassoso formi un pennacchio conico (cone model), il cui raggio dipenda solo dalla profondit e nondalla portata volumetrica rilasciata, fissando langolo conico normalmente tra i 10-12. Si ottengono

    risultati in prima approssimazione accettabili se questi modelli vengono utilizzati allinterno di certiintervalli di applicabilit, ma al di fuori hanno una bassa attendibilit, mancando di considerazionilegate ai processi fisici in atto.I modelli integrali seguono lo sviluppo del rilascio dalla sorgente fino alla superficie, integrandolequazione di conservazione della materia e della quantit di moto nella coordinata della profondit(modelli Euleriani), o nella variabile temporale (modelli Lagrangiani), supponendo la sorgente incondizioni stazionarie. Rispetto a quelli empirici sono pi fedeli alla realt e permettono diconoscere informazioni pi dettagliate, relative a velocit, concentrazione e posizione del rilascio infunzione dello spazio (Euleriani) o del tempo (Lagrangiani). Per hanno limiti intrinseci, essendosensibili a coefficienti di natura empirica che variano con la velocit di scarico, con la profondit econ parametri fluidodinamici locali.

    I codici fluido-dinamici (CFD) si basano sulla risoluzione delle equazioni di conservazione dellamateria (equazione di continuit) e di conservazione della quantit di moto (equazione di NavierStokes) espresse in condizioni non stazionarie. In questo modo si risolve il problema dei modelli

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    integrali relativo alla stima di coefficienti empirici, poich nei modelli CFD sono modellatidirettamente. Quindi i modelli CFD sono pi affidabili, ma allo stesso tempo richiedono consistentiinformazioni relative allinizializzazione della sorgente e alla caratterizzazione dello scenario, la cuideterminazione spesso troppo dispendiosa.I modelli integrali si basano sullapprossimare il fenomeno del pennacchio con una serie di volumi

    di controllo che si susseguono dalla sorgente fino alla superficie (ZOEF), imponendo che perciascuno siano rispettate lequazione di continuit e lequazione di conservazione della quantit dimoto. Di fatto il pennacchio influenzato dallacqua che viene richiamata nel pennacchio pereffetto dellazione di taglio, tra il fluido rilasciato e lambiente circostante in quiete: si determinainfatti un continuo richiamo di acqua (entrainment) che rallenta progressivamente il pennacchio. Dici se ne tiene conto applicando lequazione di continuit alla massa liquida, e considerando lacquarichiamata da ciascun volume di controllo come una vera e propria portata entrante ( 2b),dipendente dalle dimensioni (b) e dalla velocit () del volume di controllo considerato, oltre cheda un opportuno coefficiente empirico ():

    b

    dz

    bd2

    )( 2=

    Col procedere del pennacchio, lacqua continuamente risucchiata ha unazione frenante sul sistemache viene controbilanciata dalla spinta di galleggiamento, di cui si tiene conto mediante laconservazione della quantit di moto:

    ( ) gbdz

    bda

    222 )(

    =

    Le equazioni scritte in questo modo appartengono a quei modelli integrali definiti Euleriani, cheintegrano il sistema nella coordinata verticale (z), considerando che i volumi di controllo simantengano fissi nello spazio: tutte le variabili caratterizzanti il modello dipendono da questa

    coordinata, quindi anche i risultati ottenuti saranno in funzione della posizione lungo lo sviluppo delpennacchio.Uno di questi modelli quello sviluppato da Fannelop e Sjoen (1980). Questo modello classifica ilfenomeno come un buoyant jet, cio un efflusso che porta con s il carattere di jet e di plume,in quanto, accanto alla velocit di rilascio, anche la spinta di galleggiamento controllante sullaquantit di moto del sistema. Per simulare ci, si considera un tratto prossimo alla sorgente (ZOFE)come un getto, trascurando lazione della spinta di Archimede, e il percorso successivo (ZOEF) finoalla superficie come un pennacchio, in cui si ritiene che la quantit di moto sia principalmenteindotta dalla differenza di densit tra il gas e lambiente esterno. In realt la regione iniziale nonviene considerata nel modello, in quanto caratteristica di un breve tratto di simulazione che, suuna profondit dellordine di decine di metri, trascurabile. Un calcolo approssimativo dellecondizioni iniziali del pennacchio determina qualche anomalia nei primi metri della simulazione,ma nel successivo sviluppo i risultati seguono in modo soddisfacente i dati sperimentali,indipendentemente dai valori iniziali utilizzati.Quindi il modello segue lo schema di risoluzione di un pennacchio, costituito dalle equazioni diconservazione della materia, sia per la fase liquida sia per quella gassosa e dallequazione diconservazione della quantit di moto:

    abdz

    bd

    2

    )( 2=

    ( )

    0=

    +

    dz

    Ad sgg

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    ( )

    = agbdz

    bd 22 )(

    In queste equazioni gioca un ruolo fondamentale il valore della portata di acqua risucchiata dalpennacchio nel suo movimento verso la superficie, che viene calcolata mediante il coefficiente

    empirico . Le equazioni tengono conto dellazione della spinta di galleggiamento sulla quantit dimoto del sistema e impongono che la massa gassosa rilasciata si conservi, durante tutto il percorsodel pennacchio, considerando nullo il gas risucchiato dallesterno, e trascurabile la diffusione diquesto nellambiente. Inoltre la fase gassosa non occupa tutta la sezione del pennacchio (b2) mauna frazione di questa (b22) nella quale si trova a una percentuale volumetrica pari alla frazione divuoto (Ag/b

    22):Ag la sezione attraversata solo dal gas, un fattore che riduce il diametro totaledel pennacchio all80%, corrispondente alla dimensione del cuore gassoso.Si assume che la densit dellambiente (a) sia costante e che sia valida lapprossimazione diBoussinesq: questa trascura, nel calcolo della densit del pennacchio (), la densit della fase gas(g) rispetto alla densit del liquido (l=a), tranne nel caso della spinta (a-0). Unaltra

    assunzione cruciale relativa al comportamento del gas: viene trattato come un gas ideale e siapprossima il fenomeno di espansione a una trasformazione isoterma, poich lecito ritenere che ilgas, a stretto contatto con un ambiente a temperatura costante, abbia tale temperatura lungo tutto il

    pennacchio. Quindi la densit gassosa espressa in funzione della coordinata verticale (z) e in basealla profondit della sorgente (H):

    H

    zHz

    g

    g =)0(

    )(

    Infine in profondit maggiori di 20 m, il contributo di velocit di scorrimento (s) tra la fase liquidae gassosa viene trascurato.

    Dal modello di partenza si ottiene, con opportune sostituzioni, un sistema di due equazioni cherisolte danno un valore del raggio (b) e della velocit () del pennacchio per ogni intervallo dellacoordinata verticale (z), nonch la possibilit di calcolare la frazione di vuoto () mediante laconservazione della materia gassosa:

    ( ) bbdz

    d22 =

    ( )22

    0 1

    )(

    0

    bz

    V

    g

    g

    =

    ( ) )()0(

    022z

    Vgbdzd

    g

    g

    =

    Il problema pu essere adimensionalizzato utilizzando le seguenti definizioni:

    H

    zZ=

    H

    bB

    2=

    MW=

    con

    3

    1

    2

    20

    2

    1

    )(

    )0(

    +=

    Hz

    VgM

    g

    g

    Dalle equazioni precedenti possibile ricavare due soluzioni analitiche per B e W, in funzione di Z:

    =2

    137

    131

    5

    3 ZZZB

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    ++

    =2

    3

    1

    392

    511

    39111

    12

    25 ZZ

    ZW

    Quindi a partire da una serie di valori di Zsi calcolano We B: da queste soluzioni, che non sono

    vincolate a uno scenario particolare, essendo espresse in forma adimensionale, possibile ottenerela simulazione di un rilascio qualsiasi, introducendo i valori iniziali di profondit (z), velocit () edimensione del pennacchio (b).I risultati cos ottenuti si riferiscono alle grandezze che le variabili assumono sullasse del

    pennacchio, cio rappresentano il valore centrale di una distribuzione gaussiana sulla sezione delpennacchio. Cos la velocit () e la frazione di vuoto () per un determinato valore dizseguirannolungo la coordinata radiale (r), il seguente andamento:

    2

    2

    )(),( br

    ezzr

    =

    22

    2

    )(),( b

    r

    ezzr

    = Esiste anche unaltra categoria di modelli integrali, in alternativa a quelli Euleriani, introdottaoriginariamente per simulare rilasci liquidi in mare: si tratta di modelli integrali di tipoLagrangiano, che seguono lo sviluppo dellefflusso nel tempo, approssimandolo al moto di unaserie di volumi di controllo che si muovono nello spazio lungo il percorso del pennacchio senzainterferire tra loro. Ognuno di questi volumi di controllo considerato una realt a s stante, a cuisono applicate le leggi fisiche necessarie per descrivere il rilascio: principalmente si trattadellequazione di continuit e della conservazione della quantit di moto. Un approccio di questotipo permette di descrivere la traiettoria del pennacchio nelle tre dimensioni dello spazio,consentendo di considerare in maniera pi realistica lazione delle correnti diretta lungo le trecoordinate spaziali. In questo caso la variabile di integrazione il tempo, e i risultati che siottengono dalla simulazione sono espressi in funzione del tempo trascorso dallistante in cui cominciato il rilascio.Uno dei primi modelli Lagrangiani proposti quello di Lee e Cheung (1990). Il fenomeno vieneanalizzato scomponendolo in una serie di volumi di controllo, ciascuno dei quali viene consideratouna parte del pennacchio, caratterizzata dalla sua posizione individuata dalle tre coordinate x,yez,

    dalla propria velocit media (

    V ), dalla concentrazione di inquinante (C), dalla temperatura (T),dalla salinit (S), e dalla sua geometria. Il volume di controllo approssimato a un cilindro, definitoda un raggio (b) e da uno spessore (h), la cui area di base rappresenta la sezione del pennacchio

    perpendicolare al proprio asse, in quella posizione (x, y, z): la direzione dellasse del pennacchioviene definita mediante due angoli, quello che misura linclinazione rispetto al piano orizzontale ()

    e un altro che si forma tra la proiezione dellasse su detto piano e la direzione della coordinatax().Il modello studia come ques