moda e fuorimoda primo capitolo

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MODA E FUORIMODA Sistema moda e subculture giovanili

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Questo testo è la trascrizione di una parte del ciclo di programmi radiofonici da me condotti su Radio Città del Capo di Bologna sul tema del rapporto fashion system-subculture giovanili.

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MODA E FUORIMODA

Sistema moda e subculture giovanili

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Premessa I testi di questo breve saggio sul rapporto moda-fuorimoda sono la trascrizione di un ciclo di programmi radio da me condotti su Radio Città del Capo di Bologna diversi anni fa. Cambiando il “contenitore” è cambiato anche il format del testo: per questo ho pensato di aggiungere delle immagini che potessero commentare il testo scritto. La comprensione del rapporto tra fashion system e subculture giovanili è il tema centrale di questo scritto. Come vedremo questo rapporto è complesso e si configura in modi differenti: opposizione, imitazione, inglobamento… La riflessione parte da alcuni cenni storici che fanno comprendere come la moda sia un fenomeno il cui significato centrale è la celebrazione del nuovo, mediante riti stagionali che hanno portato alla frattura tra significante e significato dell’abito. Laddove l’abito tradizionalmente era parte costitutiva dell’identità della persona e la rappresentava sul piano sociale, nel fashion system l’abito è significante puro: il look “country” non ha più alcun rapporto con l’essere contadino. D’altra parte, l’abito delle subculture giovanili sembra voler recuperare la dimensione originaria dell’abito, quella cioè di esprimere la propria identità e il proprio mondo di valori, in una logica di opposizione al sistema moda. L’abito del punk quindi non si rinnova stagionalmente, è un abito per sempre. A questa prima opposizione, però, seguono fasi di contaminazione, imitazione e nuove opposizioni. Da un lato il fashion system si appropria delle forme delle subculture, lanciando ad esempio il look hippy o punk, e le svuota di significato; dall’altro le subculture rispondono con strategie di decostruzione-ricostruzione, in cui gli stili si mescolano nel tentativo di sottrarsi all’imitazione.

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Moda e fuorimoda Per mettere a fuoco il tema del rapporto moda-fuorimoda, fashion system e subculture giovanili, partiamo da qualche cenno storico relativo alla nascita della moda. E' opinione diffusa tra gli studiosi che l'affermazione della moda sia da collocare in età rinascimentale. L'apparizione di un tipo d'abito radicalmente nuovo, intorno alla seconda metà del XIV secolo, è generalmente riconosciuta come l’evento che segna la nascita del fenomeno moda. Lipovetsky, così, descrive, nel suo saggio L'impero dell'effimero, la genesi della moda :

Al camicione portato per secoli, quasi uguale per i due sessi, lungo e svolazzante, si sostituisce un abito maschile formato da un farsetto, specie di giubbino stretto e corto, e da calze-brache aderenti che mostrano i contorni delle gambe, e un abito femminile lungo come quello tradizionale ma più attillato e scollato...E' incerto dove per la prima volta sia apparso il nuovo abbigliamento, ma si sa che molto in fretta , fra il 1340 e il 1350, si è diffuso in tutta l'Europa occidentale. Da allora in poi le variazioni nel modo di vestire si sono fatte più frequenti, più stravaganti, più capricciose, e con ritmo prima ignoto sono apparse fogge ostentatamente estrose, bizzarre, decorative,

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determinando il meccanismo della moda; il mutamento non è più stato fenomeno casuale, raro, inatteso, ma abituale: uno dei piaceri dell'alta società. L'effimero ha cominciato a essere uno degli

ordinamenti essenziali della vita mondana. Evitiamo in questa sede di ripercorrere in modo puntuale la lunghissima storia della moda, limitandoci a sottolineare come in età rinascimentale nasca un nuovo rapporto tra abito e tempo, un rapporto che privilegia il cambiamento, la novità. Questa passione per il cambiamento rispecchia un accresciuto dinamismo sociale e la ricerca di nuovi equilibri di classe. E', infatti, l'aumento della mobilità sociale, derivante dalle pressioni dell'emergente classe borghese, a stravolgere il modello di tempo. Ted Polhemus nel saggio "Sampling and mixing" (reperibile all'interno del volume Moda: regole e rappresentazioni , di autori vari, a cura di R. Grandi e G.Ceriani), afferma a questo proposito che: "...anticamente, il

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cambiamento veniva vissuto invariabilmente come problematico; improvvisamente - alla luce della mobilità sociale - il cambiamento è vissuto come benefico e desiderabile." Viene a stabilirsi, quindi, l'equazione Nuovo=Meglio, all'interno di una visione del mondo che celebra l'idea del progresso illimitato. E' questo lo scenario in cui prende vita il Sistema Moda, dove l'abito e la decorazione sono inventati per celebrare la transizione, il cambiamento, il nuovo. In questo contesto Moda significa "rapido cambiamento del gusto". Una delle conseguenze più vistose dell'affermarsi della moda è la frattura tra significante e significato nell'abbigliamento. Per chiarezza facciamo un esempio. Poniamo il caso che, in un particolare momento, il Sistema Moda proponga il "look country"- abbigliamento da contadino-: chi indossa il look in questione non desidera certo essere scambiato per un contadino. Il look, quindi, deve simulare la realtà cui fa riferimento, ma, allo stesso tempo, rendere evidente la propria artificialità. L'abito, originariamente dotato di significato anche per la sua funzionalità, viene decontestualizzato e, contemporaneamente, svuotato di senso. Solo il susseguirsi di "look dell'anno" acquista senso e significato in quanto celebrazione del cambiamento. Polhemus spiega questo fenomeno, ricorrendo alla metafora del linguaggio: "Come nel caso delle singole lettere dell'alfabeto, le singole immagini di moda ("i vari look dell'anno") in sé sono prive di significato. In altri termini: "Il look di questo anno" può acquisire senso come parte di una catena sintagmatica di significati che (teoricamente ) si estendono verso l'infinito. Il complesso di questa catena di significati - presa come il tutto , conduce ad uno ed un solo significato: le cose cambiano ".

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Al contrario, nelle società pre-rinascimentali, in molte culture tradizionali e nelle subculture giovanili l'immutabilità dell'abito rispecchia il valore accordato all'abito in quanto significante di una precisa identità sociale. L'abito e la decorazione corporea in questi contesti sono parte integrante di una specifica visione del mondo, il limite visibile tra noi e loro. A differenza di quanto avviene nell'ambito della moda, con l'insensato susseguirsi dei "look dell'anno", l’abito è parte integrante di una identità socio-culturale. L'adozione di un particolare sistema simbolico per decorare il proprio corpo è, infatti, inseparabile dall'adesione ad un particolare gruppo sociale. Riprendendo l'esempio fornitoci da Polhemus, nel saggio "Sampling and mixing" :

Noi della tribù X dipingiamo la pelle coi colori blu e nero come i serpenti. Non trasformare il vostro corpo in questo modo significa

non essere uno di noi.

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Non può qui esistere arbitrarietà nell'uso degli abiti e della decorazione corporea, così come all'interno di una lingua non è possibile usare arbitrariamente una qualsiasi parola per esprimere dei significati: esiste, infatti, un codice ( il vocabolario) che limita le possibilità di combinazione tra espressioni e contenuti. In sintesi, nelle società tribali il costume è concepito e vissuto come parte integrante della propria identità e non può essere alterato se non a costo della perdita dell'identità stessa. La somiglianza tra l'uso dell'abito nelle culture tradizionali e nelle subculture giovanili è, quindi, da ricercare in un rapporto cultura-abito tale da rendere l'abito segno esteriore e immediato di una particolarità culturale . Per quanto riguarda le subculture, basti pensare all'equazione che si viene a stabilire tra sfera vestimentaria e valoriale nel movimento hippy: caffettano+fiori+collanine=hippy=love and peace. D'altra parte, la differenza più marcata tra società tradizionali di carattere tribale e le tribù di stile è che queste ultime non condividono un territorio e spesso i propri

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appartenenti non si conoscono tra loro (pensiamo al punk giapponese e a quello spagnolo): il fattore unificante è rappresentato dai mass media e dall'industria musicale. Se moda significa "rapido cambiamento del gusto", celebrazione insensata del "look dell'anno", fuori-moda sono tutti quei fenomeni di resistenza al Nuovo come valore in sé. E' bene precisare, a questo punto, che la "moda" è sempre più "forma-moda", una macrocategoria che investe il sociale nella sua globalità. A questo proposito riporto le parole di Lipovetsky:

E' l'era della moda matura che estende i suoi tentacoli su ambiti sempre più ampi della vita collettiva. Non è più tanto un settore specifico e periferico quanto una forma generale che agisce in tutta la società. Viviamo immersi dappertutto e progressivamente nella moda, un pò ovunque si compie la tripla operazione che ne definisce la

specificità: effimero, seduzione, differenziazione marginale." L'affermazione dell'effimero, di cui parla Lipovetsky, è visibile nell'ossessione del "nuovo” che domina la produzione e il consumo. La conseguenza più visibile è la rapida obsolescenza delle merci, concepite sempre più all'interno di una logica dell'usa e getta. Per quanto riguarda la seduzione, il secondo fattore che caratterizza la forma-moda secondo Lipovetsky, si pensi all'importanza assunta dall'industrial design nell'apparato produttivo. Lipovetsky stesso ci ricorda, infatti, che: "Il nuovo ruolo riconosciuto alla seduzione traspare dalle frequenti modificazioni estetiche degli oggetti.". Così, il continuo aggiornamento dello styling di auto, articoli per la casa etc. è simile al susseguirsi delle collezioni stagionali nell'abbigliamento. La differenziazione marginale, infine, è quel fenomeno che contraddistingue il pret-a-porter, ma si ritrova in ogni ambito merceologico: ne sono testimonianza le infinite versioni dello stesso modello di auto.

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Fuorimoda, quindi, significa collocarsi all'esterno di questo orizzonte di valori: è il caso delle subculture giovanili. Storicamente l'inizio dei fenomeni di resistenza subculturale al Sistema Moda è collocabile intorno agli anni'40. Infatti, prima con gli Zooties, musicisti jazz afroamericani vestiti con lo Zoot , e poi con i Wild Ones (Selvaggi), bande di motociclisti della costa ovest americana, siamo in presenza di un nuovo modo di vivere il rapporto con l'abito. Citando Polhemus, si può dire che: " Come gli Zooties, i Wild Ones (Selvaggi) dimostrarono le caratteristiche essenziali di una nuova ed affascinante invenzione, la tribù di stile: il rigetto della storia lineare/"progresso" e la rappresentazione della "nostra cultura" per mezzo del "nostro costume" - uno stile che nella sua sfida di cambiamento ( l'idea del "look da motociclista di questo anno" è assurda) colloca la subcultura al di fuori della storia nel territorio del "per sempre". (Un desiderio che trova la sua espressione finale nella forma di alcuni tatuaggi che indicano il mandato subculturale e che sfidano il piacere delle nostre principali società per la transizione.)"

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Vediamo ora di approfondire il discorso circa i rapporti tra sistema moda e subculture. In primo luogo, cosa intendiamo per sistema-moda? Rimanendo nello specifico dell'ambito vestimentario, possiamo considerare "sistema-moda" l'insieme di soggetti attivi all'interno del ciclo della moda. In linea generale, i soggetti coinvolti nel processo della moda sono: - i produttori, artefici delle proposte formali e di stile; - i distributori, variamente configurati nelle diverse realtà territoriali e nazionali; - i venditori, ovvero i gestori dei punti vendita; - i mass media, fondamentale anello di congiunzione tra i soggetti appena elencati e i consumatori; - gli istituti di ricerca, in grado di influenzare la creazione e la comunicazione del nuovo; - i consumatori, i soggetti destinatari delle proposte di moda. Sistema-moda, quindi, perché la moda funziona secondo la tipica modalità sistemica per cui ogni modificazione di una componente del sistema viene seguita da una modificazione di tutte le altre. In questa ottica i fenomeni di moda possono essere visti come un continuo processo che muove da un disequilibrio temporaneo, generato da una componente del sistema, ad un successivo riequilibrio del sistema stesso. Negli ultimi decenni i disequilibri più vistosi sono stati prodotti dai creatori-produttori, prima, e dai consumatori, poi. Negli anni '70 le proposte di moda facevano riferimento a bisogni integrativi e di status sociale: è il periodo degli status symbol. Con gli anni '80, invece, l'interesse si è spostato dal singolo oggetto che connota un certo status sociale, allo stile di vita configurato da una particolare costellazione di beni consumati. Sono gli anni in cui si afferma lo style symbol e gli stilisti diventano loro stessi di moda. Negli anni '90 il

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disequilibrio del sistema moda è da attribuire al consumatore. I fattori che lo determinano sono sostanzialmente due: da un lato i creatori-produttori si trovano sempre più in difficoltà a causa della incessante esigenza di sorprendere e di fare notizia; dall'altro, con l'emergere della soggettività postmoderna, frammentata e ambivalente, i consumatori diventano difficilmente classificabili in termini di stili di vita. Le tradizionali categorie di definizione dell'identità - età, genere sessuale, classe sociale - vengono meno, lasciando spazio ad una concezione dell'identità che esalta la non stabilità, la non certezza, la non unitarietà. In questo contesto lo stile svolge funzioni differenti: può essere uno strumento adeguato per la rappresentazione dell'identità postmoderna ( succede quando un certo stile è caratterizzato da elementi fortemente ambivalenti); oppure diventa il veicolo per comunicare una identità collettiva, propria degli appartenenti a determinate minoranze ( è il caso delle subculture giovanili che abbiamo in precedenza definito anche "tribù di stile"). Nel primo caso, il risultato è il moltiplicarsi delle proposte da parte del sistema moda, nella disperata ricerca di fornire risposte adeguate alle esigenze della multiforme soggettività postmoderna. Nasce quello che alcuni autori definiscono il supermarket dello stile, dove si può comprare a buon mercato una identità preconfezionata e pronta all'uso. In questo supermarket iniziano ad essere disponibili anche quegli stili di strada, nati per opporsi al sistema moda. Negli ultimi 15-20 anni, infatti, i percorsi della moda e degli stili di strada si sono incrociati dando vita ad una ricca ibridazione e ad una cacofonia di proposte stilistiche alternative . Negli scaffali, così, troviamo tutti gli elementi stilistici delle differenti subculture come se fossero scatole di zuppe istantanee.

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Il processo di decontestualizzazione e svuotamento di senso tipico del sistema moda colpisce, però, duramente le subculture. Il look da punk, tanto per fare un esempio, non rinvia più ad una cultura con una forte carica destabilizzante: è solo abito, una innocua simulazione che il sistema ha introdotto per soddisfare la propria incessante ricerca di nuove forme. Il sistema moda, quindi, si è appropriato dell'apparato simbolico delle subculture giovanili, svuotandole di senso. La simulazione costituisce un pericolo mortale per quel valore irrinunciabile di una subcultura che è l'autenticità. Riprendiamo, a questo proposito, le parole di Ted Polhemus contenute nel saggio, citato in altre occasioni, "Sampling&Mixing":

Sebbene ci siano anche oggi numerose eccezioni - I New Age Travellers, i Modern Primitive, i Pervs ed i Raggamuffins - la grande epoca della sottocultura è chiaramente tramontata. Al suo posto ecco il simulacro della Sottocultura in cui 50 anni di controstoria delle tribù di stile sono stati risucchiati nel buco nero sincronico del post-moderno... Con una moda nostalgica ed un indicatore d'imitazione posto al massimo, la superficie senza sostanza sembra all'ordine del giorno.

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L'identità fluida e frammentata del consumatore postmoderno può giocare, così, con i simulacri preconfezionati delle subculture, come in una specie di festa in maschera. Ironicamente Polhemus osserva:

Vuoi essere un Punk? Lo stai diventando. Vuoi essere un Beatnik? (Opzione molto popolare al momento). Lo sei già Vuoi essere un Hippy? Non c'è problema. In questo supermarket degli stili tutte le tribù stilistiche di ieri sono poste sugli scaffali come scatole di zuppa istantanea. Aggiungi solo acqua e subito l'aroma e il sapore di autenticità può essere tuo.

La sfida che si trova davanti chiunque voglia sfuggire alla logica del supermarket degli stili è, quindi, proteggere la propria autenticità dai tentativi di simulazione. Le strategie in fase di sperimentazione sono fondamentalmente due: la prima è una strategia di decostruzione-ricostruzione; la seconda una strategia del fronte comune. La strategia di decostruzione-ricostruzione è, in definitiva, una operazione complessa che prevede: la scomposizione del costume delle tribù di stile nelle sue componenti minime, in un primo tempo; l'assemblaggio di queste componenti, in modo da formare combinazioni inedite e nuove soluzioni, in un secondo tempo. Possiamo pensare, solo per fare qualche esempio, alla combinazione collane "hippy" e anfibi "punk", o a quella di pantaloni a zampa d'elefante "glam" con il tipico bomber da skinhead. Polhemus definisce questa operazione sampling&mixing.

Sampling&Mixing sono termini derivati dal rap, dal rave, dalla techno e da altre forme di musica pop contemporanea. Sampling descrive il processo per cui piccoli frammenti di "vecchia" musica pop sono presi a prestito dai loro contesti originari. Mixing si riferisce all'operazione di rimettere insieme un certo numero di tali campioni per generare

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una nuova ed unica sequenza... L'obiettivo è mischiare in una serie di presentazioni i campioni più strani.

Questa strategia mira a spiazzare qualunque tentativo di simulazione, eludendo le facili classificazioni tipologiche. D'altra parte, l'operazione di decostruzione-ricostruzione tradisce, a sua volta, la stessa ambivalenza e frammentarietà tipiche della postmodernità. La seconda strategia -lastrategia del fronte comune - parte, invece, dal riconoscimento, da parte delle subculture, della minaccia proveniente dal supermarket degli stili con i suoi simulacri. Deriva, inoltre, dall'identificazione di un minimo comune denominatore, costituito dalla ricerca di un modo di vivere autentico, in una costruzione sociale di tipo tribale della realtà. Questa strategia ha dato origine, in alcuni casi, a dei veri e propri processi di mescolamento. Polhemus afferma a questo proposito:

La storia recente delle subculture ha visto un'intera serie di tribù apparentemente contraddittorie fondersi tra loro: i New Age Travellers, ad esempio, hanno amalgamato con successo ideologie/stili degli Hippies e dei Punks (un tempo totalmente in opposizione), in quello che potrebbe essere definito"Hipunk". Ora al momento questa amalgama sta avvenendo anche attraverso legami effettivi con la cultura Rave. Il risultato di ciò può intravvedersi negli eventi "spiral tribe" e in un club di Londra chiamato "Megadog" ( che da il benvenuto a qualsiasi cosa si possa immaginare tranne, ironicamente, i cani ).

In questo nuovo tipo di club è possibile vedere una grande varietà di tribù, diverse per stili e gusti musicali, vivere a stretto contatto nel rispetto reciproco. Questo fenomeno si regge sulla consapevolezza che noi - aderenti alle subculture -

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siamo diversi da loro - gli abituali frequentatori del supermarket degli stili. Essere ai confini del sistema moda, quindi, significa sempre più essere ai confini del sistema sociale tout court. Questa marginalità è un fattore determinante, come vedremo, nella formazione delle subculture giovanili.

Le subculture giovanili Prima di vedere più in dettaglio il fenomeno della marginalità giovanile, cerchiamo di chiarire il significato di "subcultura", partendo dalle tre definizioni di cultura proposte da Williams, uno dei padri fondatori dei Cultural Studies: la prima definizione vede la cultura come "un processo generale di sviluppo intellettuale, spirituale ed estetico"; la seconda come "un particolare modo di vita, riferito ad un popolo, un periodo, o un gruppo"; la terza come "i lavori e le pratiche dell'attività intellettuale e artistica." L'accezione di "cultura" più pertinente dal punto di vista del nostro discorso è quella che fa riferimento ad un particolare modo di vita di un popolo o di un gruppo in un determinato periodo. Coerentemente con questa accezione di cultura , possiamo definire le subculture o sottoculture come particolari stili di vita propri di un gruppo che presenta caratteristiche culturali speciali e che, allo stesso tempo, mantiene alcuni tratti specifici della cultura cui appartiene. Quando si parla di "subculture giovanili", così, si fa riferimento ad una molteplicità di culture adolescenziali,

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spesso antagoniste tra loro, che manifestano la propria particolarità con specifici gusti musicali e nell'abbigliamento. Il loro minimo comune denominatore è l'opposizione alla cultura adulta. Nonostante ciò, i valori dominanti all'interno delle subculture giovanili sono fortemente condizionati dalla cultura adulta di provenienza: basti pensare all'importanza della variabile razziale nella formazione di molte sottoculture giovanili, specialmente negli USA. L'importanza dei gruppi di coetanei nella società urbana post-industriale è senza precedenti: svolgono, infatti, un ruolo insostituibile nel processo di emancipazione dell'adolescente- "emancipazione" è qui da intendere nel senso etimologico del termine come "liberazione dalla manus , ovvero dalla soggezione alla patria potestà"-. In particolare, le funzioni svolte dai gruppi sono: procurare uno status simbolico autonomo -"simbolico" perchè è valido solo all'interno del gruppo-; aiutare lo sviluppo del senso della propria identità; essere luogo di apprendimento di modelli di socialità differenti da quelli familiari. Il gruppo, in altri termini, colma lo spazio vuoto che nelle nostre società viene a crearsi con la frattura tra maturità biologica dell'adolescente e sua marginalità sociale. Questo fenomeno va contestualizzato a livello storico e sociale, dal momento che l'adolescenza stessa, come spiega in modo convincente Gerard Lutte nel suo saggio Psicologia degli adolescenti e dei giovani , non è una fase naturale della vita dell'uomo, ma una costruzione sociale. In altre società, infatti, così come nell'antica Roma, non è rintracciabile quella fase di transizione che definiamo comunemente "adolescenza": all'infanzia segue direttamente l'età adulta. Secondo alcuni autori l'adolescenza è una categoria che si afferma nelle ultime decadi del XIX secolo a seguito

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dell'esigenza sempre più avvertita all'interno della classe borghese di una formazione universitaria. Il periodo di dipendenza dei giovani, così, s'allunga. Inoltre, spesso viene appesantito da un modello educativo di tipo militare. Nel '900 la creazione sociale dell'adolescenza diventa un fenomeno che riguarda porzioni sempre più ampie della società, fino a diventare di massa intorno alla metà del secolo. Le cause principali sono: il processo di industrializzazione che espelle i giovani dal lavoro; l'estensione della scuola secondaria; la creazione di leggi che codificano la subalternità del "giovane"-ad esempio, sotto i 14 anni per la legge si è "incapaci di intendere e volere" e quindi non si è imputabili per eventuali reati commessi- . Coloro che non accettano la subordinazione-emarginazione (tra questi molti giovani delle classi popolari) vengono presto etichettati come "delinquenti". L'etichettamento e l'amplificazione dei fenomeni di devianza è un ambito studiato dalla sociologia delle comunicazioni di massa, in particolare da quel filone di studi che va sotto il nome di interazionismo. Questa scuola di pensiero ha cercato, in primo luogo, di fare luce sul ruolo dei media nell'organizzazione della reazione sociale alla devianza. Uno dei primi e migliori esempi è lo studio di Turner e Surace del 1956 sui disordini che si verificarono a Los Angeles nel 1943. I due ricercatori mostrarono come il fatto che la stampa locale identificasse i giovani messicani che indossavano gli abiti chiamati zoot suits come individui devianti e pericolosi, abbia contribuito a incrementare la preesistente ostilità dei bianchi, stimolando ulteriori risse di strada. Tutto questo con il risultato di rafforzare lo stereotipo iniziale. Turner e Surace fanno notare anche che le notizie riportate dalla stampa e la paura che ne nacque ebbero un effetto importante sugli uomini politici locali e che nel

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momento di massimo allarme il consiglio municipale di Los Angeles prese seriamente in considerazione la possibilità di punire con il carcere chiunque indossasse uno zoot suit . Un ben diverso orientamento nelle ricerche di sociologia delle comunicazioni di massa è rappresentato dal comportamentismo, filone di studi interessato ai rapporti fra un particolare stimolo e una particolare risposta (nello specifico l'oggetto di studio è costituito dai rapporti tra rappresentazione massmediale della devianza ed effetti sociali). Il comportamentismo, in linea generale, ha concentrato i suoi sforzi nel tentativo di dimostrare come le rappresentazioni dei media possano essere considerate la causa diretta di molte azioni criminali. Questo tipo di ricerche si è prestato, così, a facili strumentalizzazioni di tipo moralistico. Riprendiamo, a questo proposito, alcuni passaggi del saggio "Abbandonare il behauviorismo: due decenni di ricerca su mass media e devianza in Gran Bretagna"di Graham Murdock:

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La diffusione della televisione commerciale e la nascita dell'industria rock per teen-agers in Gran Bretagna sul finire degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta coincise con un considerevole incremento del tasso di criminalità giovanile e con la tanto pubblicizzata violenza della prima sub-cultura giovanile del paese, i teddy boys . Questi fenomeni e il rilievo che ad essi fu attribuito diedero origine a un certo allarme sociale sugli effetti negativi di questi nuovi media sulla gioventù del paese, che da allora non si è più spento. Una delle espressioni più importanti di questa reazione fu quella che ebbe inizio nel 1964, quando una preside della scuola di mezza età, la signora Mary Whitehouse, lanciò la sua Clean Up TV Campaign, una campagna di moralizzazione della televisione che si basava fermamente sulla convinzione comportamentista che esiste una connessione diretta fra sesso e criminalità in televisione e violenza e <<permissività>> fra i teen-agers...

Nell'ambito dell'interazionismo e della teoria dell'etichettamento si colloca il lavoro del 1964 di Stan Cohen sulla rappresentazione da parte dei media delle due sub-culture giovanili più pubblicizzate dell'epoca: i mods e i rockers.

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Nella primavera di quell'anno alcuni gruppi sia di rockers che di mods andarono a passare una giornata al mare nella località di Clacton, dove scoppiarono risse fra i due gruppi. Il giorno successivo la stampa popolare mise gli incidenti in prima pagina e, rifacendosi all'iconografia delle gang di strada di New York, li presentò come furiose battaglie fra bande rivali organizzate. Questo atto di etichettamento ebbe, secondo Cohen, due grossi effetti: in primo luogo, fece scattare l'allarme sociale, costringendo la polizia a intensificare la sorveglianza dei due gruppi, (ne derivarono arresti più frequenti che finirono con l'alimentare l'allarme iniziale); in secondo luogo, evidenziando le differenze di stile e dando rilievo all'antagonismo fra i gruppi, la pubblicazione incoraggiò i teen-agers a pensare se stessi negli stessi termini in cui le due sub-culture venivano descritte. La convergenza di questi processi produsse ulteriori scontri fra i gruppi, attirando ulteriori attenzioni da parte della stampa e scatenando ulteriore allarme nel pubblico. Di particolare importanza nello studio delle sub-culture in Inghilterra è il lavoro di Dick Hebdige Subculture: The Meaning of Style del 1979, tradotto in italiano con il titolo Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale. Questo testo inquadra il fenomeno delle subculture nell'ottica del rifiuto ideologico della cultura egemone, sottolineando come le immagini, gli stili e le merci proposte dai mass media possano essere investite di significati nuovi e politicamente sovversivi. A questo proposito, Hebdige afferma:

Col ricontestualizzare e riposizionare le merci, col sovvertire il loro uso convenzionale, inventandone di nuovi, lo stilista sub-culturale apre il mondo degli oggetti a letture nuove e nascostamente opposizionali.

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Questo saggio, infatti, offre una utile chiave d'interpretazione delle sub-culture ed una interessante panoramica della loro storia in Inghilterra dalle origini fino alla fine degli anni '70. In primo luogo, possiamo dire che il quadro teorico di riferimento dell'opera di Hebdige è composto di categorie prese a prestito dal pensiero marxiano e gramsciano, per quanto riguarda i concetti di "ideologia" ed "egemonia"; si avvale, inoltre, dell'approccio semiologico di Barthes ai fenomeni di mitizzazione delle società borghesi contemporanee. Non mancano, nell'analisi di Hebdige, i punti di contatto tra i concetti di "ideologia" e di "mito": sia il mito che l'ideologia, infatti, operano sotto il livello della coscienza per "naturalizzare" le idee delle classi dominanti. In Miti d'oggi di Barthes leggiamo:

L'intera Francia è immersa in questa ideologia anonima: la stampa, il cinema, il teatro, la letteratura di largo uso, i cerimoniali, la Giustizia, la diplomazia, le conversazioni, il tempo che fa, il delitto che si giudica, il matrimonio a cui ci si commuove, la cucina dei nostri sogni, l'abito che si indossa, tutto, nella nostra vita quotidiana, è tributario dell'immagine che la borghesia si fa e ci fa dei rapporti tra l'uomo e il mondo.

Il "mito", in Barthes, sono tutti quei significati secondi o connotazioni che poggiano sul primo livello della significazione, il livello denotativo. Così, la foto di un soldato di colore che saluta la bandiera francese può essere letta: 1) un semplice gesto di fedeltà; 2) "la Francia è un grande Impero, che tutti i suoi figli, senza distinzione di colore, servono fedelmente sotto la sua bandiera". E' questo secondo

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livello, per molti versi "implicito", a naturalizzare le forme e i rituali delle società borghesi contemporanee. Il mitologo deve, quindi, saper leggere questo sistema semiologico secondo in modo da evidenziarne la natura storica e ideologica. Nel saggio intitolato Per Marx Louis Althusser spiega il concetto di ideologia in questi termini:

L'ideologia ha ben poco a che vedere con la 'coscienza' (...). Essa è profondamente inconscia (...). L'ideologia è sì un sistema di rappresentazioni, ma queste rappresentazioni non hanno il più delle volte nulla a che vedere con la 'coscienza': per lo più sono immagini, a volte anche concetti, ma soprattutto sono strutture, e come tali si impongono alla stragrande maggioranza degli uomini senza passare attraverso la loro 'coscienza'. Sono oggetti culturali percepiti-accettati-subiti che agiscono sugli uomini attraverso un processo che sfugge loro.

A commento di questa definizione di ideologia, Hebdige fa notare che anche uno spazio architettonico, come un'aula universitaria, può riflettere una precisa impostazione di pensiero, che tende a "naturalizzarsi". Così, la disposizione dei posti a sedere, con file di panche in gradinate ascendenti di fronte ad un leggìo posto su una pedana, materializza il rapporto gerarchico fra insegnante e allievi, determinando la direzione del flusso della comunicazione. Una particolare visione del rapporto insegnante-allievo, quindi, viene a prendere forma concreta in uno spazio architettonico, vissuto come lo spazio "naturale" per le lezioni universitarie. Tramite questo processo di "naturalizzazione" l'ideologia può riprodursi e dare l'impressione di essere qualcosa al di fuori della storia. La questione cruciale, a questo punto del discorso, è, secondo Hebdige, capire quali ideologie specifiche prevarranno in un dato momento, in una data situazione, e di

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quali gruppi e di quali classi rappresenteranno gli interessi. La distribuzione del potere, infatti, non è certo omogenea. Nell' Ideologia tedesca Marx esprime in modo chiaro il rapporto tra idee dominanti e gruppi dominanti nella società:

Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della

produzione intellettuale. La validità di queste affermazioni risulta chiara se pensiamo, ad esempio, alle possibilità di accesso ai mass media. E' indiscutibile, infatti, che certi gruppi sociali siano in una posizione favorevole per produrre e diffondere le proprie definizioni del mondo. A questo punto Hebdige introduce il concetto gramsciano di egemonia che fornisce, a suo parere, la spiegazione più adeguata su come si mantiene il dominio nelle società capitalistiche avanzate. Il termine "egemonia" si riferisce ad una data situazione in cui un'alleanza provvisoria di certi gruppi sociali può esercitare un'autorità sociale totale su altri gruppi subordinati, non semplicemente attraverso la coercizione o l'imposizione diretta di idee dominanti, ma attraverso la conquista e la regolamentazione del consenso, in modo che il potere delle classi dominanti appaia insieme legittimo e naturale. Secondo Gramsci, comunque, il potere egemonico, dal momento che richiede il consenso della maggioranza

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dominata, è sempre in una posizione di "equilibrio instabile". Il consenso, quindi, può essere rotto, rifiutato, e la resistenza ai gruppi che detengono il dominio non può sempre essere facilmente respinta o automaticamente assorbita. Possiamo ora ritornare alle subculture giovanili che, per Hebdige, rappresentano un fenomeno spettacolare che testimonia la caduta del consenso nel periodo postbellico. La sfida all'egemonia, in questo caso, non è diretta: si esprime in maniera obliqua come stile. In altri termini, con le subculture giovanili nasce una pratica di resistenza, dove le apparenze costituiscono una evidente violazione simbolica dell'ordine sociale. All'invisibilità discreta dell'abito borghese, vissuto come significante della "normalità", si contrappone l'apparato spettacolare di abiti e decorazioni corporee delle subculture, che finisce inevitabilmente per rappresentare lo scarto dalla norma e, quindi, la devianza. Usando le parole di Hebdige, possiamo dire che:

La comunicazione (...) di una diversità significativa (e la parallela comunicazione di un'identità di gruppo) è la "qualità essenziale" che sta dietro allo stile di tutte le sottoculture spettacolari. Costituisce il termine sovraordinato sotto cui sono disposte tutte le altre significazioni, il messaggio mediante il quale parlano tutti gli altri messaggi.

Laddove l'ideologia dominante tende a naturalizzare le forme - ad esempio l'abito blu e la cravatta per gli uomini è il modo "naturale" di apparire in molti contesti -, la resistenza subculturale si manifesta con forme che ostentano la propria artificialità. Un esempio, a questo proposito, può essere la spilla da balia usata dai punk: questo oggetto banale viene spostato dal suo contesto d'uso"naturale" per essere

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ricontestualizzato e, quindi, caricato di significati imprevedibili. Questa pratica di "decontestualizzazione-ricontestualizzazione" è definita da Hebdige, in termini antropologici, come "bricolage". In ambito subculturale, il bricolage è la modalità con cui si può costruire un proprio discorso, a partire da discorsi già fatti. Ricollocare oggetti significanti in nuove combinazioni o nuovi contesti, infatti, permette la trasmissione di messaggi differenti, alla stessa maniera dei ready-made di Duchamp. Come atti di bricolage, quindi, possiamo interpretare pratiche differenti quali: il furto e la trasformazione da parte del teddy boy dello stile edoardiano, fatto rivivere nei primi anni '50 da Savile Row; la trasformazione del motoscooter , nella subcultura mod, da rispettabilissimo mezzo di trasporto in un minaccioso simbolo di solidarietà di gruppo; l'uso, sempre nella subcultura mod, di pettini di metallo che, affilati come rasoi, diventano potenziali armi da offesa. L'elenco potrebbe essere molto più lungo…