mindfulness a scuola: valutazione ed effetti...
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DIPARTIMENTO DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOBIOLOGIA E
NEUROSCIENZE COGNITIVE
MINDFULNESS A SCUOLA: VALUTAZIONE ED
EFFETTI SULLE FUNZIONI ESECUTIVE
Relatore:
Ch.ma Prof.ssa Dolores Rollo
Controrelatore:
Ch.ma Prof.ssa Annalisa Pelosi
Laureanda:
Stefania Rosa Bonazza
ANNO ACCADEMICO 2016/2017
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INDICE
INTRODUZIONE ................................................................................................................................ 5
CAPITOLO 1 ....................................................................................................................................... 7
MINDFULNESS: CARATTERISTICHE GENERALI ED EVIDENZE NEL CICLO DI VITA ..... 7
1.1. Introduzione alla mindfulness ................................................................................................... 7
1.1.2. Mindfulness Based Stress Reduction ................................................................................. 9
1.2. Funzioni esecutive: elementi base di psicologia e neuro-anatomia ........................................ 11
1.3. Panoramica sulle aree cerebrali interessate dal training mindfulness ..................................... 15
1.4. Il ruolo centrale dell’attenzione nello stato di mindfulness .................................................... 17
1.4.1. Cosa cambia nel sistema attenzionale grazie alla mindfulness? ......................................... 18
1.4.2. La mindfulness influenza la capacità di assumere la prospettiva altrui ......................... 20
1.5. Mindfulness: effetti sulla depressione e l’ansia ...................................................................... 21
1.6. La mindfulness a scuola: evidenze sull’infanzia e l’adolescenza ........................................... 23
1.6.1. Mindfulness: funzioni esecutive e attenzione ................................................................... 25
1.6.2. Mindfulness: affettività e regolazione emotiva ................................................................ 28
1.7. Gli effetti della mindfulness sulla terza età ............................................................................. 30
CAPITOLO 2 ..................................................................................................................................... 33
LABORATORIO MINDFULNESS IN UNA SCUOLA PRIMARIA: VALUTAZIONE ED
EFFETTI ............................................................................................................................................ 33
2.1. Introduzione ............................................................................................................................ 33
2.2. Materiali e metodi ................................................................................................................... 34
2.2.1. Campione ......................................................................................................................... 34
2.2.2. Strumenti .......................................................................................................................... 34
2.2.3. Procedura ........................................................................................................................ 37
2.2.4. Analisi .............................................................................................................................. 40
2.3. Risultati ................................................................................................................................... 41
2.3.1 Descrizione dei punteggi ....................................................................................................... 41
2.3.2. Valutazione componente attentiva ................................................................................... 45
2.3.3. Valutazione delle competenze esecutive .......................................................................... 48
2.3.4. Valutazione della componente emotiva ........................................................................... 51
2.4. Discussione e limiti ................................................................................................................. 56
CONCLUSIONI................................................................................................................................. 58
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BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................... 60
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INTRODUZIONE
Le pratiche meditative riconosciute oggi sotto il cappello teorico e pratico detto mindfulness, sono
state introdotte in Occidente da Jon Kabat-Zinn (Kabat-Zinn, 1982), derivano dalle pratiche orientali
e principalmente dalla filosofia buddista. Da questa ovviamente si distacca sia nella pratica che nella
teoria di base, tuttavia mantiene alcune caratteristiche e fondamentalmente ne trae gli insegnamenti
più importanti. In Occidente si diffonde quindi rapidamente questa pratica, che viene inglobata in
modo particolare dagli orientamenti cognitivo-comportamentali della “terza onda”.
In particolare, saranno quattro gli orientamenti terapeutici che assorbiranno i concetti mindfulness: la
Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR), di cui lo stesso Kabat-Zinn fu promotore che possiamo
considerare il capostipite di tutte le altre che si formeranno successivamente, la Mindfulness-Based
Cognitive Therapy (MBCT), la Dialectical Behavior Therapy (DBT) e la Acceptance e Commitment
Therapy (ACT). Tutte condividono due obbiettivi fondamentali: aumentare la consapevolezza e non
giudicare i propri pensieri/emozioni/sensazioni. Ciò è possibile grazie ad una pratica costante di tipo
meditativo, anche se sempre di più si fa riferimento a una “disposizione” mindfulness. Nel sottofondo
di questa pratica vi è l’attivazione di plurimi network neuronali che hanno a che fare con varie
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componenti dell’attenzione tanto che, come vedremo, la mindfulness può arrivare ad essere
considerata una “forma” diversa dell’attenzione, una specie di meta-attenzione.
Il ruolo centrale che assumono i processi attenzionali ha fatto sì che fossero i principali target di
ricerca ed infatti esistono sussistenti prove empiriche che dimostrano il ruolo che la pratica ha nel
potenziare le caratteristiche attenzionali e le Funzioni Esecutive, aspetti che verranno approfonditi
nel primo capitolo. Unitamente agli effetti su queste caratteristiche, vi si ritrova anche una
componente “protettiva” nei confronti dello sviluppo di stati morbosi riferiti specialmente ad ansia e
depressione (aspetti trattati nel capitolo 1). Infine, troverà spazio l’analisi degli effetti di pratica
mindfulness a scuola, di cui il suo utilizzo è relativamente recente. I dati anche in questo settore
dimostrano che la mindfulness sia una strategia educativa promettente, soprattutto in riferimento alle
nuove sfide che la nostra epoca offre in campo scolastico ed educativo, tanto che gli stessi obiettivi
educativi devono essere cambiati e le pratiche mindfulness (e i loro effetti) sembrano accogliere
questa sfida (Zenner, Herrnleben-Kurz, Walach, 2014). Questi aspetti verranno analizzati nel
dettaglio nella seconda parte del primo capitolo, dove troveranno spazio anche degli accenni alle
evidenze sulla popolazione anziana, settore di applicazione ancora più recente rispetto i bambini e la
scuola.
Obiettivo di questa tesi, oltre che verificare gli effetti della mindfulness su alcune componenti delle
funzioni esecutive nella sua parte sperimentale, è quello di mettere in luce come la mindfulness sia
una pratica che porta dei benefici in modo generalizzato all’individuo e, soprattutto, essere facilmente
applicabile a tutti i livelli di età e agire su molteplici caratteristiche dell’individuo. È forse questa
profonda flessibilità che rende tale pratica e “prospettiva mentale” promettente sia in termini
terapeutici che in termini di salute sociale.
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CAPITOLO 1
MINDFULNESS: CARATTERISTICHE GENERALI ED
EVIDENZE NEL CICLO DI VITA
1.1. Introduzione alla mindfulness
Jon Kabat-Zinn, introdusse per primo le tecniche mindfulness (Mindfulness Based Stress Reduction
– MBSR). Fondò la School of Medicine nell’Università del Massachusetts che, a partire dal 1979, ha
sviluppato un protocollo per introdurre la meditazione di consapevolezza come intervento in contesti
clinici. Per Kabat-Zinn "La mindfulness è la consapevolezza che nasce facendo attenzione, al
momento presente, senza darne giudizi […] Si tratta di conoscere cosa c'è nella nostra mente”
(Kabat-Zinn, 2017, www.mindful.org). Tale pratica si è resa funzionale al beneficio delle più comuni
forme di distress psicologico (Keng, Smoski, e Robins, 2011).
Radicata nella tradizione buddista, la sua applicazione in campo psicologico-clinico non avverrà
prima della fine degli anni Settanta del secolo scorso, grazie, come abbiamo visto, al contributo di
Kabat-Zinn (vedi per esempio: Kabat-Zinn, 1982).
Tuttavia, pur ispirandosi alla antica filosofia orientale, la mindfulness applicata alla psicologia ne
differisce per tre caratteristiche fondamentali (Keng et al., 2011):
- contestuale: il buddismo è connesso ad alcune pratiche prescritte che hanno l’obbiettivo di
liberare dalla sofferenza, tali pratiche vanno oltre la semplice meditazione, toccando anche
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principi etici e obbiettivi ben specifici. Al contrario la pratica “occidentalizzata” è piuttosto
libera da vincoli etici e da obbiettivi iscritti nel codice filosofico;
- processo: la mindfulness occidentale pone meno enfasi rispetto gli insegnamenti principali
del Buddha, quali impermanenza, sofferenza e l’insostanzialità;
- contenuto: possiamo asserire che il buddismo antico ricerca all’interno lo stato di mindfulness,
tralasciando aspetti esterni legati agli oggetti ed anche quando li considera lo fa solo
analizzando ciò che smuovono sempre internamente all’individuo. Al contrario la versione
occidentalizzata si occupa anche di aspetti sensoriali esterni, riferendosi alle caratteristiche
stesse degli oggetti.
A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso si è sviluppata una serie di tecniche basate sulla
mindfulness che sono state integrate all’interno di orientamenti terapeutici. Analizzeremo brevemente
le più significative ed utilizzate: Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR), Mindfulness-Based
Cognitive Therapy (MBCT), Dialectical Behavior Therapy (DBT) e Acceptance e Commitment
Therapy (ACT);
- MBSR: programma definito originariamente da Kabat-Zinn (1982, 1990), si basa su otto-
dieci incontri divisi in altrettante settimane. Il training ha l’obbiettivo di aiutare il soggetto a
relazionarsi con il proprio corpo e stato psicologico con maggiore accettazione e senza
giudicarsi. Il presupposto di tale approccio è che con la pratica meditativa l’individuo impari
ad essere meno reattivo e giudicante verso le proprie esperienze e ad essere in grado di
riconoscere i propri schemi abituali e disadattativi. Tale programma verrà analizzato più nel
dettaglio nel paragrafo successivo (§ 1.1.2);
- MBCT: un programma adattato dal MBSR di circa otto settimane. Inizialmente ideato per la
cura e la prevenzione della depressione, si può considerare un ibrido tra il MBSR e la terapia
cognitiva, che ha come obbiettivo quello di identificare e rimuovere quei pensieri che
mantengono il disturbo. Nella cura della depressione i pazienti sono invitati a riconoscere i
pensieri (negativi) come eventi mentali, piuttosto che fatti veri e propri, a vedere i pensieri
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automatici che sostengono i sintomi depressivi e quindi a “disingaggiarli”. Tuttavia, al
contrario della teoria cognitiva classica, che mira a costruire pensieri alternativi a quelli
automatici negativi, la mindfulness “cognitivo-comportamentale” mira a far riconoscere al
paziente la connessione esistente tra i pensieri e le emozioni, riuscire in sostanza a riconoscere
la mutua influenza di questi due aspetti nello sviluppare il sintomo depressivo;
- DBT: è stato sviluppato inizialmente per il trattamento di pazienti con un severo disturbo
borderline di personalità, aggravato da comportamenti auto-lesivi e suicidari. La DBT
intrattiene elementi della cognitive-behavior therapy e della filosofia Zen. Ha come obiettivo
quello di potenziare alcune abilità, riferite ai contenuti della mindfulness come, per esempio,
la capacità di descrivere, osservare e partecipare, e alla pratica di come si esercita la
mindfulness come, per esempio, il non giudicarsi e accettare le proprie esperienze mentali e
fisiche;
- ACT: Spesso l’evitamento delle proprie emozioni e dei pensieri negativi genera un effetto
paradosso che ne ingrandisce la salienza e la forza. Benché si tratti di un approccio che non
utilizza esercizi di meditazione, rimane comunque compatibile con le altre proposte di
trattamento basate sulla mindfulness. L’obbiettivo della ACT è quello di mettere in contatto
l’individuo con le proprie esperienze, permettendo così di rompere il circolo vizioso instaurato
dall’evitamento, e di far divenire consapevoli certi aspetti della propria vita.
1.1.2. Mindfulness Based Stress Reduction
Descriveremo nel dettaglio questo protocollo (Kabat-Zinn, 1982, Kabat-Zinn e Hann (1990 ,2009),
perché oltre ad essere il capostipite rispetto gli altri programmi è anche quello dal quale viene
replicato di più in termini di struttura e tipo di intervento. Non solo, nei protocolli riferiti ai bambini
è spesso quello che viene utilizzato di più come modello ispiratore, lo stesso dicasi per quanto
concerne il programma che verrà discusso nella parte sperimentale del presente elaborato (cap. 2).
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Come abbiamo già visto (§ 1.1) si tratta di un programma diviso su 8-10 incontri in altrettante
settimane, della durata di due ore ciascuno, composti di vari esercizi dei quali citeremo i più comuni.
(a) La sitting meditation che riguarda la consapevolezza su sensazioni corporee, pensieri ed emozioni
mantenendo il focus sul respiro, (b) body scan che riguarda la consapevolezza del corpo e il dipanarsi
delle sensazioni in vari distretti che si percepiscono grazie a progressivi movimenti dello stesso; (c)
Hatha Yoga che consiste in stretching e posture incentrate sull’esercizio fisico per il rilassamento
corporeo; (d) Three-minute breathing space che riguarda una “mini-meditazione” che vuole la
focalizzazione sul respiro e sul corpo nel momento presente. A tale intervento, più recente del MBSR
(Shapiro, Astin, Bishop e Cordova, 2005), vanno aggiunte altre pratiche che racchiudono tutte la
fondamentale richiesta di rendersi consapevoli del proprio corpo, dei propri pensieri nel momento
presente: per esempio il passeggiare in modo consapevole (Walking Meditation), oppure la “kindness
loving meditation”, che ha l’obbiettivo di aumentare la compassione verso sé stessi e a seconda del
contesto, per esempio, verso i collaboratori o verso i pazienti. Unitamente a questi esercizi, i
“meditatori” sono istruiti alla “via” della mindfulness, dato che si tratta di un modo diverso di
percepire il mondo (Baer, 2003):
- Quando le emozioni, sensazioni e pensieri emergono bisogna osservarle senza giudicarli. Gli
stessi pensieri giudicanti devono essere osservati senza giudizio;
- Quando i partecipanti notano che la loro mente sta vagando (§ 1.4) su pensieri, fantasie diverse
dal compito è richiesto (se possibile) di cercare di far tornare la propria attenzione nel qui ed
ora;
- Anche se si è istruiti a notare e soffermarsi sui propri pensieri, non bisogna essere assorbiti da
essi;
In definitiva la conseguenza che appare essere maggiormente significativa di questa pratica è che la
maggior parte dei pensieri, sensazioni ed emozioni fluttuano e sono transitori, il fatto che si
immobilizzino dipende unicamente dal nostro modo di soffermarci sul presente e lasciarci catturare
dal passato e dal futuro.
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Alla luce di quanto appena riportato sulla mindfulness e le sue implicazioni sulle capacità attentive
ed esecutive, approfondiremo ora i principali elementi neuro-anatomici e psicologici ad esse riferiti.
1.2. Funzioni esecutive: elementi base di psicologia e neuro-anatomia
È parare di chi scrive che per comprendere a pieno i principi della mindfulness sia necessario
quantomeno accennare alle caratteristiche generali della più ampia capacità attentiva ed esecutiva
umana. Iniziamo con il parlare dell’attenzione che possiamo considerare una componente universale
dell’architettura cognitiva umana (Revlin, 2014). Quando se ne parla, di solito si fa inizialmente
riferimento alla metafora dello “spotlight” (Posner, 1980), elaborata grazie al paradigma del cueing
spaziale, ovvero l’idea che l’attenzione agisca come una sorta di fascio di luce che illumina una
determinata area della scena sensoriale, trascurando quella buia (almeno esplicitamente). Ciò ha delle
implicazioni notevoli (Revlin, 2014):
- l’attenzione può essere spostata e rifocalizzata come un fascio di luce;
- è necessario un certo lasso di tempo per spostare l’attenzione da un oggetto ad un altro (o da
un’area spaziale ad un’altra);
- l’attenzione ha una risoluzione limitata, che decresce all’aumentare della distanza dal centro
dello spotlight;
Quando si parla di attenzione si fa poi riferimento anche ai suoi limiti, che riguardano il numero di
elementi che possono essere processati nello stesso momento oppure i confini spaziali e temporali.
L’importanza delle differenze esistenti tra attenzione automatica e volontaria emerge anche dalla
metafora dello spotlight, ovvero che l’informazione “non illuminata” più che venir ignorata, non
viene resa consapevole, infatti esistono vari effetti che dimostrano che tale informazione può
interferire con la nostra attenzione volontaria, un esempio fra tutti è l’effetto Stroop.
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Per quanto concerne il sistema anatomo-fisiologico sottostante, lo stesso Posner propose un proprio
modello tripartito (Vallar e Papagno, 2011):
- sistema di vigilanza: regola il mantenimento di uno stato di attivazione o allerta; agisce
soprattutto grazie il sistema noradrenergico (Locus Coeruleus);
- sistema attenzionale posteriore: responsabile principalmente dell’orientamento
dell’attenzione verso stimoli selezionali, infatti le tre aree di riferimento ovvero la corteccia
parietale posteriore, il pulvinar, il collicolo superiore fanno capo rispettivamente a tre
funzioni: sganciamento, agganciamento e spostamento dell’attenzione;
- sistema attenzionale anteriore: presidia il controllo esecutivo, il monitoraggio del
comportamento e l’elaborazione consapevole dell’esperienza. Ha il suo circuito distribuito
nella corteccia prefrontale ed ingloba anche l’area supplementare motoria e la corteccia
cingolata anteriore
Per concludere questa breve introduzione alle principali caratteristiche dell’attenzione, appare
importante fare alcune precisazioni: prima di tutto, seppur appaia predominante il ruolo del sistema
visivo nella metafora dello spotlight, in verità tali principi generali possono essere applicati anche ad
altri canali sensoriali. Secondariamente non dobbiamo pensare che l’attenzione sia un qualcosa di
“impersonale”, bensì ha a che fare in modo importante con la capacità di relazionarci con gli altri.
Per esempio utilizzando fotografie di volti al posto degli indici spaziali (frecce) si è in grado di
orientare l’attenzione in modo automatico e contrario alle aspettative dell’osservatore, che generano
una inibizione di ritorno addirittura dopo un intervallo di 2400 ms.
Per quanto concerne il concetto più ampio di Funzioni Esecutive, in letteratura esistono varie
definizioni poiché è un termine che racchiude in sé una serie di processi cognitivi superiori come:
competenze verbali, problem solving, pianificazione, organizzazione, imitazione, inibizione
dell’azione e verifica dell’azione stessa. Una prima loro definizione arriva da Baddeley che definisce
la memoria di lavoro come un sistema in grado di immagazzinare e elaborare le informazioni in modo
temporaneo per poter eseguire le attività nel contesto quotidiano (Revlin, 2014). Lo stesso autore
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propone un modello per spiegare l’organizzazione delle Funzioni Esecutive, a tal propositivo
definisce l’esistenza di un esecutivo centrale, ossia un sistema deputato al controllo e al
coordinamento di sottocomponenti quali: taccuino visuo spaziale, buffer episodico e loop fonologico
(Baddeley, 1974). Le funzioni esecutive come per esempio l’attenzione selettiva, sono associate alla
corteccia frontale che secondo il modello proposto da Baddeley sembra coinvolgere l’esecutivo
centrale (Relvin, 2014). In generale le Funzioni Esecutive sono associate al lobo frontale anche perché
sappiamo che nell’uomo un danno frontale bilaterale procura una sindrome disesecutiva che veicola
un deficit nella capacità di pianificazione e organizzazione in questi individui (Vallar, 2011). Secondo
il modello teorico di Norman e Shallice (1986), esistono due meccanismi di regolazione del
comportamento: il primo è un sistema di selezione competitivo (SC), che opera in situazioni abituali
con schemi precostituiti, mentre il secondo è il SAS (Sistema Attenzionale Supervisore) che prende
il controllo nel momento in cui ci imbattiamo in situazioni non abituali seguendo una gerarchia di
priorità dettate dal contesto. Secondo gli autori una lesione frontale interferirebbe con un
funzionamento del SAS responsabile dei processi di controllo (Vallar, 2011).
In una review Myake e colleghi (2000) individuano tre componenti base delle funzioni esecutive
interconnesse, ma distinte tra loro: (1) capacità inibitoria intesa come repressione delle risposte
automatiche e maggior concentrazione sul compito; (2) capacità di shifting che riguarda la flessibilità
cognitiva e (3) la capacita di updating che riguarda l’aggiornamento di memoria nella codifica di
informazioni salienti. Anche se non esiste un accordo relativo alla complessità del costrutto delle
funzioni esecutive possiamo definirle come una abilità che ci permette di spostare rapidamente il
focus della nostra mente e adattarci a situazioni diverse, contemporaneamente inibendo i
comportamenti inappropriati (Jurado e Rosselli, 2007). Possiamo inoltre definire le Funzioni
Esecutive come una serie di abilità per raggiungere un obiettivo, le quali si riferiscono ai processi
cognitivi superiori coinvolti nel controllo cosciente e diretto del pensiero, dell'azione e dell’emozione
(Zelazo e Carlson, 2012) che comprendono: definire una meta da raggiungere, iniziare un’azione,
passare da un set concettuale all’altro (shifting), inibire l’azione, verificare la correttezza dell’azione,
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e possedere una capacità di auto regolazione emotiva. Le Funzioni Esecutive evolvono con l’età, e
questo miglioramento sembra coincidere con la crescita e la maturazione dei lobi frontali. Tale
sviluppo non avviene in modo omogeneo e le diverse capacità esecutive emergono in differenti
periodi dello sviluppo, fino a raggiungere una maturazione completa in età adulta. Ad esempio, il
controllo inibitorio sembra completare la sua maturazione intorno ai 10 anni (Brocki e Bohlin, 2004
; van den Wildenberg e van der Molen, 2004). In uno studio longitudinale della durata di oltre 30 anni
condotto da Moffit e colleghi (2011), che mirava a valutare se il comportamento inibitorio in età
infantile fosse predittore di alcuni comportamenti in età adulta, mostra che i bambini che
manifestavano un maggior autocontrollo, da adulti avevano una miglior qualità di vita. Gli adulti con
basso autocontrollo erano più propensi a commettere comportamenti a rischio, come ad esempio:
cominciare a fumare, abbandonare la scuola superiore e avere una gravidanza precoce, inoltre,
commettevano più crimini. Lo studio evidenzia come programmi educativi volti a promuovere lo
sviluppo di abilità esecutive possa avere delle incidenze sia sulla vita di un individuo sia sul costo
delle politiche sociali.
Dato quanto appena visto sulle Funzioni Esecutive e la mindfulness (§ 1.1 ; § 1.1.2), approfondiremo
ora come si modulano insieme a livello neuroanatomico.
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1.3. Panoramica sulle aree cerebrali interessate dal training mindfulness
I benefici mentali e fisici che la pratica della mindfulness veicola nell’individuo sono supportati da
oramai vent’anni di ricerca empirica (Tang, Hölzel e Posner, 2015), tuttavia i meccanismi neuronali
sottostanti a questo stato di benessere sono ancora oggi poco chiari oppure supportati da studi che
sono metodologicamente poco rigorosi (ibidem). Tang e colleghi (2015) nella loro review hanno
cercato di fare luce sullo stato dell’arte della ricerca neuroscientifica sulla mindfulness analizzando
ventuno studi. Data la varietà nei disegni sperimentali non si sono sorpresi nel trovare molteplici aree
cerebrali coinvolte come si mostra in figura 1.
Tali aree hanno a che fare tipicamente con l’attenzione, con la memoria e con la regolazione delle
emozioni. Anche se la review di Tang e colleghi (2015) appare ben strutturata, permette tuttavia una
visione molto “generale” e, per i nostri scopi, appare più completa e dettagliata quella proposto da
Malinowski (2013). L’autore, oltretutto, associa ad ogni network una funzione dell’attenzione dalla
quale fa emergere un processo meditativo preciso (figura 2). Vengono rintracciati cinque network,
ognuno responsabile di una determinata componente attentiva e meditativa:
Figura 1 - Panoramica generale delle aree cerebrali maggiormente attivate dalla mindfulness (tratta e tradotta da: Tang,
Hölzel e Posner, 2015)
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Figura 2 Processi di meditazione (A) e le relative funzioni attentive e meditative. Network cerebrali (B) associati a determinati
aspetti attentivi/meditativi (tratta da: Malinowski, 2013)
- sistema di allerta (allerting network): composto dalla corteccia parietale frontale di destra
insieme al talamo, sempre di destra. Esprime la funzione di “sostenere” l’attenzione durante
la meditazione e garantisce anche la focalizzazione;
- sistema di orientamento (orienting network): coinvolge corteccia parietale superiore, la
giunzione temporo-parietale, i frontal eye fields (FEF) e il collicolo superiore. Tale network
media lo spostamento dell’attenzione e quindi la capacità di “ritorno” sull’oggetto target
attenzionale;
- controllo esecutivo (executive control): corteccia cingolata anteriore (ACC, considerata il
“core” delle funzioni attentive), la corteccia laterale ventrale e prefrontale, unitamente a nuclei
della base garantiscono la capacità di sganciare l’attenzione e poter quindi produrre a livello
meditativo il “lasciar andare”. Insieme a ciò si può considerare il “centro di controllo”, che
permette (insieme al network della salienza) di rilevare ciò che è soggettivamente importante
rispetto le modalità più importanti (cognitive, omeostatiche ed emotive) in accordo con
l’obbiettivo corrente;
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- sistema di salienza (salience network): il network precedente, ovvero l’ACC (nella sua parte
dorsale), insieme alla corteccia laterale ventrale con l’apporto dell’insula determinano la
capacità di riconoscere il wandering;
- sistema di modalità predefinita (Default Mode Network - DMW): composto da corteccia
cingolata posteriore, posteriore laterale parietale e temporale, insieme al giro
paraippocampale. L’attivazione di questo network determina disattenzione e il mind-
wandering (aspetto quest’ultimo fondamentale per la comprensione della mindfulness, che
verrà analizzato nel dettaglio nel paragrafo 1.5.1). Infine, il DMW appare importante anche
nel modulare l’efficacia delle pratiche meditative sui sintomi depressivi e dell’ansia (§ 1.5).
1.4. Il ruolo centrale dell’attenzione nello stato di mindfulness
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, il ruolo che l’attenzione gioca nel definire tutti i
“movimenti” meditativi è alquanto centrale sia in termini di funzioni che di aree cerebrali, tanto che
la mindfulness potrebbe quasi venire considerata una componente generale dell’attenzione o meglio,
Figura 3 Modello attenzionale della mindfulness - Liverpool Mindfulness Model (tratta e tradotta da: Malinowski, 2013)
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un modo diverso in cui si manifesta l’attenzione. Un tentativo di schematizzare il “processo” della
mindfulness, mettendo al centro l’attenzione è stato proposto da Malinowski (2013) ed è riportato in
figura 3. Come abbiamo detto la pratica mindfulness, secondo tale modello, è un processo core, il
principale target della mindfulness practice, alla quale si arriva grazie ad un processo motivazionale
(motivazional factors). I processi centrali generano uno stato mentale “generalizzato” che produce
vari outcomes a livello comportamentale, fisico e mentale.
Due aspetti fondamentali a livello funzionale dell’attenzione dove la mindfulness è stata vista agire
in maniera positiva sono: attenzione sostenuta e controllo attenzionale. Per quanto concerne
l’attenzione sostenuta per esempio (Schmertz, Anderson, Robins, 2008) è stato visto come,
all’aumentare della sensazione di mindfulness riportata dai soggetti, aumentava anche la performance
al Continous Performance Test (Conners, 2000), test usato frequentemente per valutare l’attenzione
sostenuta. Stessi risultati sono stati ottenuti da Moore e Malinowski (2009) che con una metodologia
simile hanno anche verificato come i “meditatori” esperti abbiano migliori performance rispetto i
non-praticanti in compiti di attenzione sostenuta. Mentre, per quanto riguarda il controllo
attenzionale, merita una citazione la ricerca fMRI di Allen e colleghi (2012) svolta per indagare i
cambiamenti neurali nell'elaborazione cognitiva ed emotiva risultante da sei settimane di formazione
di mindfulness su 30 soggetti sperimentali e 30 di controllo di un’età compresa tra 18 e i 50 anni.
Utilizzando un adattamento dello Stroop test che includeva la presentazione di stimoli affettivi con
valenza positiva o negativa, è stato visto come i punteggi riferiti all’interferenza siano diminuiti solo
nel gruppo di meditazione, ma non in quello controllo. Questo è stato accompagnato da un aumento
funzionale nell’attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale durante il compito.
1.4.1. Cosa cambia nel sistema attenzionale grazie alla mindfulness?
In un interessante studio di Taren e colleghi (Taren et al., 2017) viene messo in evidenza come la
pratica mindfulness migliori il controllo esecutivo (p.e. attenzione, memoria di lavoro, controllo
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cognitivo). Gli autori hanno verificato se gli interventi mindfulness promuovano il controllo esecutivo
rafforzando quindi le connessioni funzionali tra la corteccia prefrontale dorsolaterale (deputata al
controllo esecutivo) e le regioni fronto-parietali (coordinamento funzione esecutiva). Lo studio è stato
condotto su trentacinque adulti stressati e disoccupati divisi in due gruppi: il primo composto da 18
soggetti che partecipava ad un ritiro basato sul MBSR (§ 1.1.2) per tre giorni; il secondo gruppo,
composto da 17 soggetti che partecipava ad un soggiorno di relax.
Quattro settimane prima del intervento sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale a
riposo, dove venivano invitati a fissare una croce (punto di fissazione) per 5 minuti in modo da
ottenere la baseline. Dopo il training sono stati invitati a distanza di due settimane a ripetere la
risonanza.
È emerso come i partecipanti al ritiro mindfulness mostrano un’aumentata attività tra corteccia
prefrontale dorso laterale e alcune regioni della corteccia prefrontale ventrale e dorsale (aree deputate
al controllo esecutivo), nonché una maggior attivazione delle regioni parietali superiori che svolgono
un ruolo chiave nell’orientamento spaziale e nella componente visuo-spaziale. Vi è inoltre un
aumento della connettività funzionale dei SEF (Supplementary Eye Field) che ha proiezioni
anatomiche dirette con la corteccia prefrontale dorsolaterale e svolge un ruolo nella pianificazione
dei movimenti dell'occhio durante la saccade.
La ricerca di Taren e colleghi mette in evidenza come la mindfulness aumenti la connettività
funzionale tra le regioni del cervello associate alle funzioni esecutive. Insieme al dato che abbiamo
visto in precedenza (§ 1.3), appare importante sottolineare come le pratiche di consapevolezza
sembrino attivare nel nostro cervello fattori di neurogenesi e plasticità in modo molto pronunciato,
come suggerito anche da altri autori (Hölzel et al., 2007) che sostengono come una pratica duratura
nel tempo porti ad un inspessimento dell’ACC in relazione quindi ad una neurogenesi.
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1.4.2. La mindfulness influenza la capacità di assumere la prospettiva altrui
La mindfulness appare essere così intrinsecamente legata alla componente attentiva che risulta essere
chiamata in causa anche quando dobbiamo porre attenzione alla prospettiva altrui. Un esempio in
questo senso viene da Tomasino e colleghi (Tomasino, Campanella e Fabbro, 2016) i quali hanno
selezionato 16 soggetti destrimani che hanno praticato Mindfulness-Oriented Meditation (MOM) per
8 settimane. Gli stessi sono stati valutati in uno studio fMRI prima e dopo il training.
La condizione sperimentale prevedeva la presentazione di sagome umane stilizzate maschili e
femminili con un guanto nero in una delle due mani. Tale immagine poteva essere presentata di spalle
(condizione ritenuta più facile) o frontale e il partecipante doveva riferire in quale mano si trovasse il
guanto. La condizione controllo prevedeva la presentazione della lettera “F” proposta nella
prospettiva canonica o invertita associata ad quadrato nero sulla parte destra o sinistra. Nella
condizione di presentazione dello stimolo di spalle o invertito nel caso della lettera i soggetti
dovevano compiere una rotazione mentale prima di prendere una decisione. Nella condizione della
presentazione dello stimolo con visione frontale, invece, i soggetti dovevano compiere una rotazione
di 180 gradi prima della decisione (questa condizione è ritenuta più difficile).
I risultati evidenziano come nel post-training vi sia una maggiore attivazione del giro orbitale medio
destro e sinistro per il compito di trasformazione mentale del corpo, rispetto a quella della lettera. Il
training, quindi, aumenterebbe l’attivazione delle aree coinvolte nei processi presa della prospettiva
altrui e propria. Quindi le pratiche meditative sembrerebbero in grado di esercitare un cambiamento
anche nell’assunzione della prospettiva altrui.
21
1.5. Mindfulness: effetti sulla depressione e l’ansia
È da tempo riconosciuto l’effetto che la mindfulness ha sui disturbi d’ansia e dell’umore (Hoffman,
Sawyer, Witt e Oh, 2010), come mostrato, per esempio, in una ricerca su un gruppo di studenti di
infermieristica (Song e Linquist, 2015), 21 sottoposti ad un trattamento MBSR e i restanti (23) lasciate
in wait list (WL). Il protocollo prevedeva 8 sedute con cadenza settimanale della durata di due ore
(esercizi di yoga, beath-work, body scan, eating meditation e così via). Come strumento per la verifica
dell’effettività del trattamento è stato utilizzato il DASS-211 (Henry e Crawford, 2005). Dai risultati
è emerso come i punteggi riferiti alla depressione erano scesi di più della metà nel gruppo MBSR (8.3
4.1), mentre diminuiva di pochissimo nel gruppo WL (8.6 8.5). Tale differenza era sostenuta
dalla significatività statistica tra i due gruppi, così come quella riferita all’ansia che diminuiva di 3.9
nel gruppo sperimentale, mentre rimaneva invariata in quello di controllo. Infine anche nello stress si
raggiungevano risultati simili. In definitiva, come sottolineano gli autori, attivare protocolli nella
popolazione adulta di mindfulness, in questo caso studenti universitari, può essere una buona risorsa
per controllare e prevenire l’insorgenza di disturbi quali la depressione e l’ansia, anche perché come
giustamente viene sottolineato, la mindfulness può essere praticata virtualmente ovunque e in
qualsiasi momento.
Un altro esempio è la meta-analisi di Zhang e colleghi (2016), su pazienti oncologici. In questo caso,
su sette studi analizzati, che coinvolgevano 469 pazienti è stato osservato come la pratica più
comunemente usata fosse la MBSR (5/7), seguita dall’arte terapia. La loro analisi ha verificato come
ci siano significativi miglioramenti sia nei sintomi depressivi (−0.90, 95% CI −1.53, −0.26, P = 0.006)
che in quelli riferiti all’ansia (−0.75, 95% CI −1.28, −0.22, P = 0.005). Tale risultato non è da
sottovalutare, considerato che in oncologia è la norma somministrare quantità importanti di farmaci.
Trovare una strada semplice e facilmente replicabile come le pratiche mindfulness per alleviare
almeno parzialmente le sofferenze dei pazienti è sicuramente qualcosa da perseguire sia in ricerca
1 Consta di 21 item che rintracciano: stati emozionali negativi, depressione, ansia, stress. individuano il grado di
compromissione per l’individuo da normale a severo
22
che in clinica. Tuttavia è solo di recente che si è iniziato a verificare in modo più specifico cosa
avvenga a livello dei circuiti neuronali quando un individuo si sottopone ad un trattamento di questo
tipo, in riferimento stretto all’elaborazione degli stati emotivi. Uno dei primi tentativi in questa
direzione è stato proposto da Taylor e colleghi (Taylor et al., 2011), che hanno confrontato
l’attivazione di specifiche aree cerebrali mediante fMRI tra un gruppo di “meditatori” esperti (più di
mille ore di pratica) con un gruppo di meditatori principianti, alla presentazione di immagine dal
carico emotivo negativo, positivo e neutro. I soggetti dovevano osservare le immagini in due
condizioni: una normale e una in uno stato di “mindful”. Gli autori hanno osservato due network di
elaborazione delle immagini diversi a seconda dei gruppi. Nei meditatori esperti lo stato di
mindfulness induce una maggiore deattivazione del Default Mode Network (§ 1.3). Per di più tale
disattivazione veniva mantenuta in tutti e tre i livelli di valenza emotiva, non influenzando la risposta
delle aree riferite alla reattività emotiva. Insieme a ciò nei praticanti esperti è stata osservata una
riduzione dell’attivazione dell’amigdala durante l’elaborazione emotiva. Gli autori suggeriscono che
una lunga pratica meditativa possa agevolare la consapevolezza emotiva dei soggetti conducendo ad
una maggiore stabilità emotiva, sostenuta da un maggiore controllo dei network interessati alla
reazione emotiva. La modulazione di tali aeree da parte della pratica meditativa potrebbe quindi
garantire una migliore risposta allo sviluppo di depressione ed ansia. Per quanto concerne
quest’ultima, il ruolo del DMW è stato visto essere effettivamente importante nel modulare l’ansia
(Zeidan, Martucci, Kraft, McHaffie e Coghill, 2013), mentre per quanto concerne la depressione
(Way, Creswell, Eisenberger e Lieberman, 2010). anche qui è stato visto un interessamento della
MPFC, che correla negativamente con uno stato “disposizionale” di mindfulness. In altre parole
all’aumentare della consapevolezza vi è sempre una maggiore disattivazione di queste aree. Insieme
alla DMW, nella depressione sembra giocare un ruolo anche il controllo dell’attivazione
dell’amigdala, che nel caso di una disposizione di mindfulness appare essere negativamente correlata.
In definitiva la mindfulness sembra agire sulla depressione e l’ansia grazie al medesimo network,
deattivando cioè quello che viene definito “Default Mode Network” (§ 1.3). Tali evidenze nella
23
popolazione adulta sono in parte trasferibili ai soggetti in via di sviluppo, anche se una cospicua parte
della letteratura si è concentrata sulla regolazione delle emozioni nei bambini, prescindendo dagli
stati morbosi, se non quando si tratta di adolescenti. Alcune sugli effetti della mindfulness sulla
componente emotiva ed umorale nei bambini verranno approfonditi nel paragrafo 1.5.2.
1.6. La mindfulness a scuola: evidenze sull’infanzia e l’adolescenza
Negli ultimi anni i trattamenti basati sulla mindfulness si sono ormai consolidati, tanto da poterli
considerare quasi una routine nell’ambito clinico. Più recenti, invece, sono le applicazioni educative
come, ad esempio, gli interventi a scuola; che sono stati seriamente sviluppati solo a partire dall’inizio
di questo secolo. Ciononostante è fuori questione l’efficacia degli interventi basati sulla mindfulness
sui bambini/adolescenti e la review di Zenner e colleghi (Zenner, Herrnleben-Kurz e Walach, 2014),
definisce uno dei primi tentativi di formalizzare lo stato dell’arte nell’applicazione di questo tipo di
intervento a scuola. In un certo senso il gruppo guidato dalla Zenner propone una revisione degli
obiettivi che i sistemi educativi devono avere da qui in avanti, per far crescere individui adatti a vivere
in una società iper-moderna come quella in cui ci troviamo. Le qualità che la scuola dovrebbe
promuovere, non sono solo la regolazione emotiva e attenzionale, ma anche l’empatia, la
compassione, la capacità di auto-rappresentazione, la creatività e l’abilità di problem solving. Anche
se cresce sempre più l’interesse per tale approccio applicato tra i banchi di scuola, troppo poco viene
fatto per applicare protocolli standardizzati, tanto che lo stesso gruppo della Zenner sostiene che
l’entusiasmo riferito alla mindfulness è stato ed è così forte che ha superato le evidenze effettive della
ricerca scientifica.
Nelle parole del gruppo della Zenner, risuona il pensiero di Ellen Langer (2000), che già nel 2000
evidenziava l’allora potenziale contributo della mindfulness. Ma facciamo un passo indietro.
24
Per la Langer sono due i modi in cui apprendiamo senza consapevolezza: (1) grazie alla ripetizione,
che ci permette di interiorizzare un contenuto e renderlo “routine” nella nostra mente,
automatizzandolo; (2) senza pensare, come quando veniamo esposti per la prima volta ad una
qualsiasi informazione, non interrogandoci di quello che stiamo apprendendo, lo assimiliamo
passivamente. Questi metodi “automatizzati” sono presenti molto spesso nelle modalità di
insegnamento tradizionali, al contrario dovrebbe essere promossa una modalità che lasci aperta la
curiosità intellettuale dei bambini, che introduca cioè uno stile di insegnamento condizionale aperto
all’incertezza, che viene poi processata e risolta dal bambino.
Sulla falsa riga di quanto detto appena sopra, Susan Kaiser-Greeland (https://www.mindful.org) ha
ideato nel 2001 un programma basato sulla mindfulness per bambini e ragazzi di età compra tra i 5 e
i 18 anni, coniando il “nuovo ABC”: Attention, Balance e Compassion (Attenzione, Equilibrio e
Compassione) aspetti che vengono insegnati grazie giochi ed attività che mirano a sviluppare:
- Consapevolezza dell’esperienza interiore (pensieri, emozioni e sensazioni fisiche);
- Consapevolezza dell’esperienza esterna (persone luoghi e cose);
- Consapevolezza di entrambe.
Figura 4 tabella con elenco di caratteristiche indagate dalle ricerche nella review (tratta da Zenner et al., 2014)
25
Tali esperienze vengono confermate anche dall’analisi che l’autrice fa dei self-report di bambini tra i
9 e i 12 anni che dimostrano dei miglioramenti sulla capacità di auto-osservazione dei propri
comportamenti ed emozioni, permettendo un migliore adattamento alla situazione (Siegel, 2011).
Nella review di Zenner (2014) vengono scrutinati più di 200 articoli, ma solo 24 hanno passato i
criteri di inclusione selezionati dagli autori. Come si può osservare in figura 4, i compiti “classici”
della meditazione come il controllo del respiro e il ragionamento su emozioni e pensieri vengono
eseguiti in quasi tutte le ricerche, mentre meno rappresentati sono le pratiche riferite al corpo.
Interessante come varino gli obiettivi delle ricerche e le misure utilizzate per verificare la riuscita
dell’intervento, che mettono in luce la molteplice applicabilità di questo trattamento. Le categorie
individuate sono cinque (figura 5) e possiamo dire che racchiudono gli aspetti principali dove la
mindfulness può essere applicata.
1.6.1. Mindfulness: funzioni esecutive e attenzione
In un recente studio (Schonert-Reichl et al., 2015) in cui si è utilizzato il SEL (Social and Emotional
Learning) associato alla mindfulness, si sono analizzate varie caratteristiche della cognizione sociale,
emotiva e metacognitiva, che gli autori considerano, sostanzialmente, come facenti capo ad un
medesimo sistema che rintracciano nell’area prefrontale, sede delle Funzioni Esecutive.
Figura 5 grafico a torta che evidenzia argomenti trattati nelle ricerche nella review (tratta da Zenner et al., 2014)
26
Le Funzioni Esecutive sono state analizzate mediante un flankers task: i bambini appartenenti al
gruppo sperimentale hanno manifestato miglioramenti superiori rispetto al gruppo di controllo
(sottoposto ad un social responsibility program), nei compiti che richiedono controllo inibitorio,
memoria di lavoro e flessibilità cognitiva. Un piccolo approfondimento merita il controllo inibitorio
che è stato indagato in uno studio neurofisiologico più recente di Sanger e Dorjee (2016) su un
campione di adolescenti sottoposti ad un training mindfulness, confrontati con un gruppo di controllo.
Senza addentrarci nelle caratteristiche elettroencefalografiche dello studio, che esulano
dall’obbiettivo di questo elaborato, ci preme evidenziare come emerga una differenza tra i gruppi
nella capacità di non farsi distrarre da stimoli inutili, sostenuta quindi da un miglioramento nel
controllo inibitorio.
Appare qui necessario approfondire la sola componente attentiva, la quale pur essendo interna alle
Funzione Esecutive, viene studiata spesso in modo indipendente, dato il profondo effetto che la
mindfulness appare avere sulla nostra attenzione.
Non sembra quindi un caso che uno dei primi obbiettivi che la ricerca ha rincorso per verificare
l’utilità dei trattamenti basati sulla mindfulness è stato ed è tuttora la valutazione di come questi
agiscano sulle capacità attentive e, secondariamente, come le migliorino nei bambini. Dato che una
delle caratteristiche cardine di essere in uno stato di mindful è sicuramente quello di essere “fully
aware” del momento presente (Napoli, Krech e Holley, 2005). La capacità di concentrare e mantenere
la propria attenzione sul qui ed ora è sicuramente una conditio sine qua non dell’essere mindful. Va
da sé che alcuni autori (vedi ad esempio: Napoli et al., 2005) propongono che una esperienza
“pienamente presente” dovrebbe condurre ad un miglioramento della qualità dell’apprendimento e
della capacità di far fronte ad eventi stressanti. I tipici compiti di mindfulness sembrerebbero avere
l’obbiettivo di non permettere alla mente di vagare altrove rispetto il momento e l’ambiente presente,
tant’è che alcuni (Smallwood e Schooler, 2006) hanno proposto che il “mind-wandering” si possa
considerare l’opposto di ciò che viene considerato lo stato di mindful. Ciò è anche supportato da
alcune ricerche neuroscientifiche (Zenner et al., 2014), che vedono questo “continuum” come
27
governato dal Default Mode Network (§ 1.4). Quando questo network è molto attivo, comporta un
peggioramento nei compiti attenzionali (Smallwood, Mrazek e Schooler, 2011). Questo effetto è così
forte che appare possibile che la riduzione del “mind-wandering” sia uno dei meccanismi generali su
cui opera la pratica mindfulness. Diversamente da quanto si potrebbe immaginare, ricerche che si
interessino di attenzione/funzioni esecutive e mindfulness a scuola sono relativamente scarse e solo
di recente si è iniziato a studiarle seriamente. Un esempio è uno studio EEG (Felver, Tipsord, Morris,
Racer e Dishion, 2017) che ha fatto chiarezza anche sulla regolazione attentiva. In questo caso è stato
utilizzato uno protocollo derivato dal MBSR (§ 1.1.2), che coinvolge anche la famiglia. Le diadi (24
genitore/bambino) seguivano otto incontri, costituiti da 30 minuti di meditazione condivisa, mentre i
restanti 60 minuti veniva eseguita separatamente in due ambienti diversi la seduta di mindfulness dei
bambini e dei genitori. Rispetto al gruppo di controllo (19 diadi), il gruppo sperimentale migliorava
nella capacità attentiva, rilevata grazie alle flessioni del tracciato EEG mentre eseguiva l’ANT
(Attention Network Task; Fan, McCanliss, Sommer, Raz e Posner, 2002). Nella condizione di stimolo
incongruente i bambini che avevano seguito il training mindfulness si facevano meno distrarre,
mantenendo meglio il focus attentivo. In seguito ai risultati di quest’ultima ricerca e a ciò che
abbiamo messo in evidenza in precedenza nel presente paragrafo, non possiamo non concordare con
quanto espresso da Felver e colleghi (2017), i quali considerano gli interventi mindfulness in grado
di plasmare la capacità attentiva dimostrando che tali pratiche possono essere implementate nel
sistema educativo per potenziare la regolazione dell’attenzione.
Un altro studio interessante (Flook et al., 2010), più datato del precedente, ha verificato l’efficacia di
uno school-based program of mindful awareness practices (MAPs) sulle funzioni esecutive su 64
bambini di seconda e terza elementare di età compresa tra i 7-8 anni. Gli incontri erano 16 (due per
settimana per otto settimane) della durata di 30 minuti. Le funzioni esecutive venivano verificate con
specifici questionari somministrati ai genitori e gli insegnanti prima dell’intervento e subito dopo la
sua fine, nella fattispecie venivano verificati: la capacità di regolazione comportamentale, la
metacognizione e un indice globale composito (GEC, Global Executive Composite). Il programma
28
derivato dalla MBSR per gli adulti comprendeva esercizi e giochi volti a promuovere la self sensory
awarness (uditiva, cinestesica, tattile, gustativa e visiva), la awarness of others (consapevolezza verso
gli altri) e la awareness of the environment (consapevolezza verso l’ambiente).
Viene messo in evidenza come si sia manifestato un miglioramento generale, nello specifico i genitori
e gli insegnanti riportano un miglioramento nelle capacità di shift, initiate and monitor, che gli autori
considerano essere tre fondamentali caratteristiche per svolgere gli esercizi di mindfulness. Il fatto
che i miglioramenti sono stati ravvisati a scuola (insegnanti) e a casa (genitori), evidenzia la
generalizzabilità dei benefici che questi programmi hanno (Flook et al., 2010). In definitiva, seppur
le evidenze empiriche siano ancora poche, l’applicazione della mindfulness a scuola con l’obiettivo
di potenziare le funzioni esecutive appare una strada praticabile e realistica. Sicuramente da
approfondire con una ricerca fatta di più ampi campioni su contesti culturali e sociali diversi.
1.6.2. Mindfulness: affettività e regolazione emotiva
La mindfulness è riconosciuta come una pratica che aiuta l’individuo a mantenere un benessere
psicofisico, ciò è possibile grazie soprattutto al controllo che esercitiamo nel mantenerci nel qui ed
ora, riducendo per esempio la ruminazione mentale. Non sembra un caso quindi che in letteratura si
trovino numerosi autori che cercano di verificare gli effetti della mindfulness sulla affettività negativa
e altre componenti emotive.
Un primo esempio viene da un recente studio di Vickery e Dorjee (2016) che hanno analizzato gli
effetti di un training mindfulness (otto settimane) su un gruppo di bambini in età scolare tra i 7 e i 9
anni, grazie all’utilizzo di self-report da parte degli stessi piccoli unitamente ad etero valutazioni
genitoriali e degli insegnanti. Un primo dato interessante è che ai bambini è piaciuto fare il training
mindfulness e che nel 61% dei casi vorrebbero ripetere l’esperienza, solo il 6% non vorrebbe ripeterla
e il restante 33% esprime come parere “forse”. Questo semplice dato non è da sottovalutare, perché
ci dice che questo tipo di pratica è facilmente sopportabile dai bambini, anzi, trova interesse e piacere
29
da parte del soggetto pre-adolescente. Interessante osservare come si evidenzi una correlazione
negativa tra il punteggio di mindfulness e la scarsa sensibilità emotiva e una maggiore riluttanza a
manifestare le emozioni. In altre parole, una migliorata consapevolezza comporta una maggiore
sensibilità nel comprendere le altrui e proprie emozioni, unita ad una maggiore apertura nell’aprirsi
emotivamente all’altro. Questo dato non sorprende anche alla luce di altre evidenze empiriche come
per esempio quello che vede i bambini sottoposti a training mindfulness, aumentare il loro successo
tra i pari e manifestare una maggiore competenza empatica (Schonert-Reichl et al., 2015).
Appare importante anche accennare al rapporto tra regolazione emotiva e mindfulness, argomento
che solo in questi ultimi anni ha iniziato ad interessare la letteratura scientifica. Prima di tutto non
dobbiamo pensare che la regolazione delle emozioni riguardi solo la “soppressione” delle emozioni
negative, bensì riguarda la regolazione di entrambe le valenze emotive a seconda del contesto e le
richieste ambientali. Detto ciò, uno dei primi ad indagare tale rapporto è il gruppo di Chambers
(Chambers, Gullone e Allen, 2009), che mette in evidenza come regolazione emotiva e mindfulness
siano davvero strettamente legate. Riflettendo sulla condizione “non giudicante”, gli autori,
evidenziano come questa permetta di agganciarsi in modo più salutare con le proprie emozioni, di
vivere in modo più genuino la propria esperienza emotiva senza, per esempio, andare incontro a
evitamento della situazione. Molteplici sono poi gli studi sistematici che hanno evidenziato ancora
meglio il rapporto tra questi due costrutti, per esempio sempre il team guidato da Chambers
(Chambers et al., 2015) ha messo in evidenza come uno stato disposizionale di mindfulness sia una
componente che si può considerare interna ad una buona regolazione emotiva, in questo caso tale
disposizione garantirebbe un miglior recupero in termini sintomatologici in giovani adolescenti con
la depressione. Tale rapporto è così forte che la regolazione emotiva appare mediare il rapporto tra lo
stato di mindfulness e lo stress relato alla situazione (Prakash, Hussain e Schirda, 2015).
Un altro studio recente che ha verificato l’effetto protettivo della mindfulness nell’espressione
sintomatologica della depressione è quello proposto da Langer e colleghi (Langer, Schmidt, Aguillar-
Parra, Cid e Magni, 2016). In tale studio Il gruppo sperimentale ha partecipato al laboratorio
30
Mindfulness in Schools Project (MiSP- https://mindfulnessinschools.org/course-schedule/) basato sul
protocollo Mindfulness-Based Stress Reductio(MBSR), in orario scolastico della durata di 45 minuti
divisi in otto incontri, il gruppo di controllo poteva scegliere se seguire altre lezioni o effettuare
attività come p.e. educazione fisica. Come strumento d’indagine è stato utilizzato un self-report,
ovvero la scala per l’ansia, la depressione e stress (DASS-21, Henry e Crawford, 2005). I risultati
evidenziano come i partecipanti al gruppo sperimentale (sottoposto a MiSP) migliorino i punteggi
totali della DASS-21 rispetto al controllo, dimostrando una diminuzione della sintomatologia ansiosa
e depressiva. In conclusione, gli autori sottolineano l’importanza di introdurre tecniche mindfulness
in contesto scolastico soprattutto nella fase adolescenziale, in quanto tale pratica potrebbe permettere
di acquisire abilità quali la capacità di osservare e prestare attenzione ai pensieri e agli stati d’animo
(aspetto fondamentale nella regolazione emotiva). Infine, come sottolineano giustamente Langer e
colleghi (2016), bisognerebbe considerare i training basati sulla mindfulness una strategia di
prevenzione rispetto i problemi psicologici e sociali in adolescenza.
1.7. Gli effetti della mindfulness sulla terza età
Prima di chiudere questo capitolo introduttivo, vale la pena accennare alle evidenze sull’efficacia
della mindfulness sulla popolazione anziana. Tale breve approfondimento è necessario per
completare il discorso fatto nella parte introduttiva del capitolo sulle caratteristiche generali della
mindfulness, riferite principalmente agli adulti e nella seconda parte con un riferimento più stretto
sulle evidenze a scuola e quindi sui bambini ed adolescenti.
La mindfulness rappresenta una serie di tecniche che sono state riconosciute essere efficaci nel
modulare caratteristiche psicologiche, quali l’attenzione e l’umore, nell’adulto e nel bambino.
Tuttavia è solo recentemente che ci si è interessati a verificare l’effettiva utilità di queste pratiche
31
sulla terza età, anche perché potrebbero contrastare alcuni effetti dell’invecchiamento sulle capacità
cognitive dell’anziano (Malinowski, Moore, Mead e Gruber, 2017)
Una prima proposta in questa direzione è arrivata ma Malinowski e colleghi (2017), che hanno
valutato soggetti di età compresa tra i 55 ei 75 anni, assegnati in modo casuale a un gruppo di
sperimentale, che utilizzava la respirazione consapevole, dato che, come spiega Kabat-Zinn
focalizzarci sul respiro “ci costringe a rimanere nel momento presente, il respiro è un’eccellente
ancora per dirigere la nostra indisciplinata attenzione” (Kabat-Zinn, 2014 pg.21). Gli incontri si
sono svolti in 8 settimane durante le quali veniva svolta la meditazione sul respiro 10 minuti al giorno
per almeno 5 volte alla settimana, il gruppo di controllo svolgeva esercizi di attività mentale (per
esempio: calcoli aritmetici).
Prima e dopo il periodo di training, i partecipanti hanno completato un compito di Stroop,
contemporaneamente, la loro attività cerebrale è stata misurata mediante EEG. I risultati evidenziano
come i partecipanti al gruppo sperimentale mostravano una ERP (Potenziali Evento Correlato) N200
con elettrodo posizionato a livello frontale che mostrava un picco durante la discriminazione dello
stimolo, inoltre rispetto al gruppo di controllo mostravano tempi di reazione più rapidi nella riposta
al task. La componente N200 in letteratura è stata associata all’attivazione del giro angolare (AG) e
al lobo parietale superiore, entrambi parte della rete dorsale attenzionale che viene coinvolta in molti
aspetti della regolazione dell'attenzione (Corbetta e Shulman, 2011). Nello studio di Malinowski e
colleghi si ritiene che la mindfulness non abbia agito direttamente sulle funzioni esecutive ma
indirettamente sulle funzioni cognitive.
Un secondo studio che si pone gli stessi obiettivi del precedente, ma riferito nello specifico alla qualità
del sonno, è quello proposto da Gallegos e colleghi (Gallegos, Moynihan e Pigeon, 2016). Questo
studio comprendeva 200 soggetti di età uguale o superiore ai 65 anni, la metà dei quali frequentava
un training mindfulness di 8 settimane, mentre l’altra veniva messa in lista d’attesa al trattamento.
Ai partecipanti veniva somministrato un self-report il Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI, Buysse,
Reynolds, Monk, Berman e Kupfer 1989) che valuta la qualità del sonno. I punteggi possono variare
32
da 0 a 21 dove > 5 indica la presenza di un disturbo del sonno e ≥ 10 indicala presenza l'insonnia. Le
analisi sono state condotte dividendo il campione a seconda del punteggio ottenuto nella fase pre-test
inferiore a 5 o superiore a 10. I risultati suggeriscono come la mindfulness negli anziani che partivano
con un punteggio alto nel PSQI, dopo il training MBSR evidenziavano una migliore qualità del sonno
riferita, definita da una diminuzione del punteggio al PSQI.
Nel dettaglio i punti alla baseline erano 12.6, 3.4 punti superiore rispetto a quelli del post trattamento
(9,2); trend mantenuto anche nel follow-up a sei mesi (8.7 punti).
In definitiva, possiamo dire che, anche se le evidenze sulla popolazione degli anziani siano ancora
poche, quanto emerge dalla più recente letteratura è comunque confortante e evidenzia come le
pratiche mindfulness potrebbero essere una buona possibilità terapeutica per i problemi che insorgono
nell’ultimo periodo della vita.
33
CAPITOLO 2
LABORATORIO MINDFULNESS IN UNA SCUOLA
PRIMARIA: VALUTAZIONE ED EFFETTI
2.1. Introduzione
Abbiamo visto nel precedente capitolo come i training basati sulla mindfulness producano in modo
piuttosto generalizzato effetti positivi sulla persona, nel senso che i suoi effetti sono evidenziabili a
vari livelli dell’esperienza umana: dall’attenzione (§1.4; §1.4.1) alla regolazione emotiva (§1.6.2),
passando per un effetto tutelante nei confronti dello sviluppo di turbe umorali come la depressione
(§1.5). La mindfulness abbiamo visto essere una pratica che ha delle profonde ripercussioni sul nostro
sistema cerebrale, tanto che sembra attivare processi di neurogenesi (§ 1.4.1), alimentando
parallelamente il benessere dell’individuo.
Per quanto riguarda l’ambito educativo/scolastico, si è visto (§ 1.6) come la mindfulness sia una
tecnica ormai ampiamente utilizzata, che si è visto essere efficace nel migliorare le funzioni esecutive
e la regolazione emotiva (§ 1.6.2).
L’obiettivo principale del presente elaborato è quello di verificare l’efficacia di un training
mindfulness, applicato al contesto scolastico. Si vuole indagare se tale programma possa contribuire
a migliorare alcune componenti delle funzioni esecutive che interessano aspetti della pianificazione
e problem solving, nonché aumento delle capacità attentive e di regolazione emotiva. A questo scopo
sono stati utilizzati i seguenti strumenti: ToL (Torre di Londra; Sannio Fancello, Vio e Cianchetti,
34
2006), alcuni subtest della BIA (Batteria Italiana per l’ADHD; Marzocchi, Re e Cornoldi, 2010) e
con l’EQ-i: YV (Sannio Fancello e Cianchetti, 2012).
2.2. Materiali e metodi
2.2.1. Campione
Sono stati reclutati quaranta (40) bambini della scuola primaria dell’Istituto Comprensivo Albertelli-
Newton di Parma, che frequentavano la quarta elementare, divisi equamente in due sezioni. L’età
media di tutti i bambini è di 9 anni (9±0). Una delle classi ha seguito il protocollo mindfulness
(sperimentale, N=20), mentre l’altra ha seguito il programma scolastico ordinario (controllo, N=20).
Sebbene nel corso dello svolgimento del laboratorio, il gruppo sperimentale sia stato diviso in ulteriori
due gruppi da 10 soggetti per garantire una migliore partecipazione dei bambini, ai fini dell’analisi
sono stati considerati un gruppo unico. Nel gruppo sperimentale abbiamo un bilanciamento del sesso
(10M), nel gruppo di controllo abbiamo una maggiore rappresentanza di femmine (13). Sono stati
inclusi nella ricerca tutti i bambini per i quali i genitori hanno prestato il consenso alla partecipazione
del laboratorio.
2.2.2. Strumenti
a. Batteria Italiana per l’ADHD (Marzocchi, Re e Cornoldi, 2010)
- Stroop Numerico: si tratta di un adattamento del più classico test di Stroop, che ha l’obiettivo
di valutare la capacità del bambino di controllare la risposta, ovvero di inibire la risposta dello
stimolo interferente presentato nel compito. Al bambino viene richiesto di contare, il più
rapidamente possibile, quanti numeri sono presenti nel box (75 item) ignorando l’effettiva
identità del numero scritto (da 1 a 5); è presente anche una prova baseline (12 item), in cui al
posto dei numeri sono presenti degli asterischi, che permette al bambino di comprendere il
35
compito prima dell’effettiva prova sperimentale. Sono presi in considerazione gli errori di
identità, ovvero quando il bambino riporta l’identità e non la quantità degli elementi (numeri)
presenti nel box; tempo di interferenza, che misura la capacità del bambino di ignorare la
risposta automatica e si ottiene sottraendo il tempo per item nella prova sperimentale con il
tempo baseline per item;
- Test delle ranette: è un test di attenzione uditiva che valuta sia i processi di inibizione della
risposta motoria, sia i processi attentivi quali attenzione selettiva e sostenuta. Al bambino è
presentato un foglio con 20 percorsi, più due di pratica in cui viene spiegata la differenza dei
due suoni, uno che dà il segnale di “go” e l’altro che segnala il “no-go, data la somiglianza
dei due suoni (uguali per i primi 208ms, si distinguono solo per la parte finale del segnale di
“no-go” – “d’oh”) la soppressione della risposta motoria è resa ancora più “difficoltosa”. Al
bambino è richiesto di segnare con una matita il punto della “scala” dove ha percepito il
segnale di “no-go”, passando al percorso successivo, si tratta di indicare una delle caselle che
rappresentano il gradino della scala. Lo scoring va da 0 a 20 gli errori quindi sono inerenti
all’inibizione della risposta motoria, quando il bambino segna una casella sbagliata rispetto a
quella indicata dal “no-go”, oppure il non riuscire a seguire il ritmo della sequenza dei suoni;
- TAU: è un test che valuta l’attenzione sostenuta uditiva. Al bambino è richiesto contare
mentalmente i suoni presentati, mantenendo la propria attenzione per un lungo periodo. È
composto da 10 prove sperimentali e 2 di pratica; il punteggio varia da 0 a 10.
b. Torre di Londra (Sannio Fancello, Vio e Cianchetti, 2006):
adatta a valutare le funzioni esecutive superiori in bambini tra i 4 e i 13 anni, è una prova della
durata di circa 20 minuti. Al bambino è richiesto di disporre le palline riproducendo la
presentazione del somministratore, seguendo quattro regole: (1) muovere solo una pallina alla
volta; (2) muovere solo da un bastoncino ad un altro; (3) si può collocare una pallina sul
bastoncino piccolo, due su quello medio e tre su quello grande; (4) verranno dichiarate ogni
volta le mosse necessarie al completamento della prova. Il test valuta le funzioni governate
36
dal SAS (Sistema Attentivo Superiore) e, in particolare: formulare un piano generale, generare
sotto obiettivi e conservare tale piano in memoria di lavoro. Sono considerati tempo di latenza,
tempo di esecuzione e tempo totale, oltre a numero di mosse, violazione delle regole e
punteggio totale.
c. Emotional Quotient – Inventory: Youth Version (EQ-i: YV; Sannio Fancello e Cianchetti,
2012):
È stato utilizzato per valutare la regolazione emotiva e la capacità di relazionarsi nel contesto.
Si tratta di self-report per bambini e adolescenti di età compresa tra 7 e i 18 anni, dal quale si
ricava un quoziente emotivo (EQ); in questo studio è stata usata la forma ridotta, che consta
di 30 item. Il test valuta cinque dimensioni dell’intelligenza emotiva:
o intrapersonale: quanto il soggetto è in grado di comprendere, esprimere e comunicare
le proprie emozioni e sentimenti;
o interpersonale: capacità empatica nelle relazioni, nel saper cooperare nel gruppo
sociale e di instaurare relazioni interpersonali soddisfacenti;
o Gestione dello stress: buona tolleranza nel fronteggiare eventi stressanti;
o Adattabilità: capacità di gestire i problemi trovando soluzioni efficaci, flessibilità nel
far fronte ai problemi adattandosi alla situazione, capacità ad essere realisti nel
risolvere i problemi
o Impressione positiva: desiderabilità sociale
37
2.2.3. Procedura
Fasi
La classe sperimentale ha seguito il training mindfulness, mentre quella di controllo ha seguito la
routine scolastica ordinaria. La struttura dell’intervento prevede una fase di pre-training, in settembre
2016, dove prima di tutto sono stati informati i genitori di entrambi le classi dello studio e
seguentemente è stato chiesto loro di firmare il consenso informato per svolgere l’attività prestabilite.
Sempre in questa fase vi è stata la prima somministrazione degli strumenti indicati precedentemente
(§ 2.2.2). Segue poi la fase di training effettuato dalla dott.ssa Eusebia Armenia, coadiuvata da
studentesse/laureande e supervisionata dalla prof.ssa D. Rollo e dalla dott.ssa C. Ciracì
(psicoterapeuta), per mezzo di otto incontri (solo per il gruppo sperimentale) durante i quali viene
eseguito il programma mindfulness previsto (vedi di seguito) che si è esteso dal settembre 2016 a
gennaio 2017. Infine vi è stata realizzata la fase di follow-up, un mese dopo la fine della fase di
training (febbraio 2017), dove sono stati somministrati nuovamente gli strumenti di valutazione.
Programma mindfulness
Il programma si è basato sul protocollo mindfulness per bambini proposto da Montano e Villani
(2016). Si sono svolti otto incontri di un’ora circa durante l’orario scolastico. Come descritto in
precedenza (§ 2.2.1) si è preferito dividere il gruppo sperimentale in due sottogruppi da 10 soggetti
per garantire una migliore partecipazione, in entrambi i casi il trainer è stato il medesimo.
Il primo incontro ha riguardato la spiegazione della parola mindfulness e cosa sia l’esperienza di
mindfulness, grazie alla “metafora del vaso2”, unitamente all’introduzione sulle pratiche di
respirazione e consapevolezza riferite al pensiero. Nell’ambito del primo incontro è stato anche fatto
firmare un contratto educativo (Celi, Fontana, Rovetto, Memo e Lambruschi, 2015) al fine di stabilire
2 Si usa un vaso trasparente pieno di acqua in cui si gettano delle polverine colorate (ogni colore rappresenta una
emozione o un pensiero). Girando l’acqua all’interno si crea un mulinello che, a seconda della velocità, rappresenta
livelli differenti di intensità emotiva/cognitiva.
38
le regole da rispettare durante il laboratorio. A conclusione dell’incontro è stato dato il compito a casa
di esercitarsi nella tecnica di respirazione e di focalizzazione sull’osservazione dei propri stati
d’animo.
Il secondo incontro viene introdotto dall’esercizio sulla respirazione con l’ausilio della campana
tibetana, per infondere uno stato di rilassamento che aiuti il bambino a focalizzarsi sul presente. A
questo proposito viene letta la storia del “giardino segreto” che vuole essere una metafora volta a
spiegare cosa sia uno stato di consapevolezza interiore. Sempre usando l’immaginazione il bambino
viene guidato nell’immaginarsi il proprio giardino, un luogo mentale dove trovare la consapevolezza
delle proprie sensazioni fisiche e mentali. Nel corso di tale meditazione i bambini sono invitati ad
osservare e descrivere alcuni oggetti intorno a loro come se fossero degli “alieni” alla prima
esperienza con gli oggetti, tale esperienza è necessaria affinché il soggetto si ponga in un’altra
prospettiva. Quale compito a casa ai bambini viene richiesto di descrivere cinque oggetti
immaginando di essere l’alieno e continuare la meditazione ricreando mentalmente il proprio
giardino.
Il terzo incontro inizia con la meditazione con la campana tibetana e prosegue con il classico esercizio
di mindful eating. In questo caso vengono utilizzati due spicchi di mandarino e si chiede ai bambini
di descrivere le sensazioni suscitate dalla degustazione del mandarino nei panni di un alieno. Il
compito a casa assegnato, a seguito dell’incontro, riguarda l’assaggio di un alimento al giorno
secondo la pratica mindful eating; inoltre è richiesto di preparare una pietanza, non di proprio gusto,
insieme al genitore, provando poi ad assaggiarla e a descriverla.
Il quarto incontro inizia con la meditazione usando la metafora del “fiore al vento” che vuole essere
una spiegazione del concetto mente e del suo funzionamento, a questo proposito viene anche utilizzata
la metafora della “mente vagabonda”, una mente in cui i pensieri inevitabilmente transitano e si
muovono in tutte le direzioni temporali. Questo per evidenziare come inevitabilmente il pensiero si
produca ma, con l’aiuto della pratica meditativa, è possibile lasciarlo scorrere, senza che esso si fissi
e diventi disadattativo. A casa viene chiesto di porre l’attenzione su eventi piacevole.
39
Il quinto incontro viene introdotto da una passeggiata consapevole, in cui si chiede al bambino di
camminare nella stanza, prestando attenzione a ciò che accade durante la deambulazione,
soffermandosi, per esempio, sui muscoli che si muovono e le ginocchia che si flettono. Si chiede ad
alcuni dei bambini di descrivere delle esperienze piacevoli vissute e ad altri di prendere la prospettiva
altrui, provando a descrivere con “gli occhi dell’altro” l’esperienza da questi vissuta. Si passa poi alla
meditazione del sorriso3 e si assegna il compito a casa che ripropone l’esperienza di assumere la
prospettiva altrui.
Il sesto incontro è introdotto con la richiesta ai bambini di descrivere ed elencare le emozioni che
conoscono. Successivamente, con l’utilizzo di una metafora, viene sollecitato il bambino a
comprendere come l’ambiente esterno possa influire sulle proprie emozioni ma, diventando più
consapevoli, è possibile gestirle. Quale compito a casa viene chiesto al bambino di riconoscere, giorno
per giorno, una emozione attribuendole un significato.
Il settimo incontro prende in considerazione le emozioni spiacevoli, invitando i bambini a chiedersi
perché quelle emozioni ci provoca quella determinate sensazioni, riflettendo sulla loro transitorietà e
ricordando che come si provano esperienze positive, se ne provano di negative e che entrambe fanno
parte della più generale esperienza emotiva.
Nell’incontro conclusivo, si chiede ai bambini di meditare su una persona che considerano importante
nella loro vita e di scrivere il motivo per cui gli sono grati. Inoltre, si raccolgono i feed-back da parte
dei bambini, relativi all’esperienza delle pratiche mindfulness, a questo proposito li viene chiesto di
scrivere una lettera a sé stessi sul modo in cui hanno vissuto il programma.
3 Associato a un esercizio di respirazione in cui al momento dell’espirazione è richiesto di sorridere: espirare e
sorridere, inspirare e sentirsi calmi
40
2.2.4. Analisi
Sono state eseguite le analisi descrittive (media e deviazione standard) riferite ai punteggi dei subtest
della BIA (Test Delle Ranette, TAU e Stroop Numerico) e della Torre di Londra (TOL), insieme a
quelle dell’EQ-i:YV sia per quanto riguarda il punteggio totale che quello riferito alle singole
sottoscale (intrapersonale, interpersonale, adattabilità, impressione positiva e gestione dello stress).
Ai fini degli obiettivi della presente ricerca, sono state effettuate analisi statistiche sui punteggi dei
subtest della BIA (TDR, TAU e SN) insieme a quelle dell’EQ-i:YV. Per lo scopo della ricerca sono
state considerate solo alcune sotto scale dello Stroop Numerico e della Torre di Londra;
• TOL: è stato preso in considerazione il numero di “violazioni di regole” per valutare la
capacità di working memory nel tenere presente la regola imposta durante l’esecuzione del
compito, si è valutato anche il “punteggio totale “che indica se il soggetto ha incontrato
difficoltà nella pianificazione del compito e se compie errori di preservazione ripetendo
sempre l’inesattezza riproponendo di conseguenza la risposta sbagliata, inoltre è stato preso
in considerazione anche il “numero di mosse in prove non valide” questo indice valuta la
prestazione del soggetto in negativo, ed indica quante volte il soggetto ha dovuto ripetere il
compito prima di apprendere la regola. Infine, è stata condotta un’analisi sul tempo totale
impiegato nel portare a termine il compito proposto, questo parametro indaga le capacità di
problem solving, ottenuta dal tempo d’esecuzione per ciascuna prova e il tempo di decisione
in ciascuna mossa;
• Stroop numerico: sono stati presi in considerazione gli errori d’interferenza e gli errori
d’identità, per valutare i la capacità di inibizione della risposta e quella attentiva;
È stata eseguita una serie di ANOVA utilizzando come fattori principali le variabili gruppo e tempo,
unitamente alla loro interazione. Confronti post-hoc sono stati condotti il test di Bonferroni, la
significatività statistica è stata fissata per ogni test a p < 0.05. Graficamente sono stati inseriti degli
interaction plot. Tutte le analisi del presente elaborato sono state condotte con il software di
elaborazione statistica R, grazie ai pacchetti: psy, psych, reshape2, ez, rcmdr, effsize),
41
2.3.Risultati
2.3.1 Descrizione dei punteggi
In tabella 1 vengono riportati tutti i valori medi con le relative deviazioni standard riferiti ai subtest
della BIA (TAU, TDR e SN), unitamente agli indici della TOL, del gruppo sperimentale e quello di
controllo, sia nella fase pre-training che in quella post-training.
PRE POST
s c s c
TDR 17,25(20) 9,65 (5,37) 15,25(20) 11,15(4.04)
TAU 9,25(10) 8,7(1,17) 10(10) 9,1(1,16)
TOL (DECISIONE) 256,75(581,09) 403,56(347,23) 275,25(331,18) 270,54 (186,26)
TOL (ESECUZIONE) 348,13(501,09) 302,85(192,13) 268,42(409,51) 174,48(89,05)
TOL (TOTALE) 589,02(867,14) 706,41(388,79) 517,33(682) 445,02(210,11)
TOL (N. MOSSE) 77(91) 66,1(14,98) 70,25(93) 58,75(11,61)
TOL (PUNTI) 30(35) 28,9(3,86) 31,75(36) 31,5(3,87)
TOL (VIOLAZIONE) 4,25(10) 3,25(3,07) 1(5) 0,5 (0.82)
SN (BASELINE) 18,7(25,11) 14,24(3,56) 15,31(20,19) 11,4(2,33)
SN (BASELINE PER ITEM) 1,55(2,09) 1,18(0,29) 1,27(1,68) 0,94(0,19)
SN(TOTALE) 146,19(241) 118,37(27,91) 93,20(24,45) 93,207(18,01)
SN (TEMPO PER ITEM) 1,94(3,21) 1,57(0,37) 1,64(1,93) 1,25(0,23)
SN (TEMPO INTERFERENZA) 0,65(1,58) 0,39 (0,34) 0,39(0,74) 0,30(0,17)
SN (ERRORE DI IDENTITÀ) 2(3.9) 2,1(2,219) 1(2) 1(1,48)
Tabella 1 Statistiche descrittive della BIA e della ToL (e relative sottoscale): medie(DS) a seconda delle fasi e a seconda del gruppo
(s=sperimentale ; c=controllo)
È stata condotta una analisi a scopo descrittivo entro i gruppi per verificare se vi fosse una
significativa differenza nella rilevazione pre e quella post in entrambi i gruppi, grazie ad un t test per
campioni appaiati nel caso fossero rispettati gli assunti di applicabilità, in caso contrario è stato
utilizzato il test di Wilkoxon. Dall’analisi, prendendo in considerazione il gruppo che ha praticato la
mindfulness, si evidenzia un miglioramento per quanto riguarda le capacita di problem solving e
pianificazione misurata con la TOL, difatti si nota come vi sia una differenza significativa (p= 0.019).
Per quanto concerne il tempo totale impiegato nell’esecuzione della prova si nota come diminuisca
42
dopo il laboratorio, evidenziando un maggior controllo nel comportamento impulsivo e una miglior
capacità di pianificazione.
Inoltre, sempre nello strumento preso in esame, si evidenzia come vi sia una diminuita violazione
della regola (p=0.0004) imposta dal test durante l’esecuzione della prova, ciò denota una aumentata
capacità di comprensione nel tener presente le regole imposte durante l’esecuzione del compito,
dimostrando un miglior controllo sul comportamento da mettere in atto al fine del raggiungimento di
un obiettivo. Negli strumenti presi in considerazione nella ricerca, si rileva un miglioramento
all’interno del gruppo sperimentale, anche per quanto riguarda l’inibizione della risposta automatica,
misurata con lo Stroop Numerico, indicando come la tecnica di mindfulness possa aver contribuito,
ad aumentare la capacita d’attenzione selettiva, ignorando gli stimoli interferenti (p=0.052) durante
l’esecuzione del compito. Altresì, si evidenzia una aumentata capacita nel tempo totale impiegato a
completare lo Stroop Numerico, difatti, migliorano significativamente nel tempo totale d’esecuzione
(p= 0.00038), indicando perciò un miglioramento delle capacità attentive.
È stata condotta un’analisi entro i gruppi anche per quando riguarda quello controllo, dove è emerso
che le competenze di problem solving e pianificazione rilevate con la TOL mostrino dei
miglioramenti, sia per quanto riguarda il tempo totale d’esecuzione (p=0.002), sia per quanto riguarda
la violazione della regola imposta (p=0.003), nonché un miglioramento significativo generale nella
performance della TOL (p=0.007). Nello Stroop Numerico, si evidenzia nel gruppo di controllo una
aumentata capacità di ignorare lo stimolo interferente (p= 0.03) e un miglioramento sul tempo totale
d’esecuzione della prova (p=0.07). Nei due gruppi non sono emerse significative differenze nel
confronto tra i punteggi delle due fasi, per quanto riguarda i due subtest della BIA, il test delle ranette
e il test TAU.
43
Infine, per quanto riguarda la valutazione del questionario EQ-i:YV (tabella 2), sia gruppo
sperimentale che quello di controllo non ha mostrato significativi cambiamenti nelle misure delle
sottoscale indagate dallo strumento.
PRE POST
s c s c
ADATTABILITÀ 15,70(3,33) 17,58(2,67) 15,94(4,30) 18,94(2,96)
GESTIONE DELLO STRESS 14,82(4,51) 15,47(4,7) 16,05(4,82) 13,94(4,24)
IMPRESSIONE POSITIVA 12,52(2,52) 13,35(2,95) 12,41(2,91) 13,64(2,93)
INTERPERSONALE 18,52(4,12) 19,64(2,73) 17.58(3,72) 20,41(2,52)
INTRAPERSONALE 13,58(3,72) 14,64(2,78) 13(2,85) 14,05(2,98)
TOTALE 62,58(9,88) 67,35(8,11) 62,58(10,65) 67(6,9)
Tabella 2 Statistiche descrittive (sui dati grezzi) dell’EQ-i:YV: medie(DS) a seconda delle epoche e a seconda del gruppo
(s=sperimentale ; c=controllo)
Qui di seguito, a scopo descrittivo, verranno inoltre riportati i boxplot riferiti ai punteggi totali degli
strumenti presi in esame.
Figura 6 Boxplot relativo ai punteggi pre e post nel TDR nel gruppo sperimentale (sinistra) e nel gruppo di controllo (destra)
Figura 7 Boxplot relativi ai punteggi pre e post nel TAU. Gruppo sperimentale (sinistra) e gruppo di controllo (destra)
44
Figura 8 Boxplot relativi ai punteggi pre e post riferiti al tempo totale nello Stroop Numerico. Gruppo sperimentale (sinistra) e gruppo di
controllo (destra)
Figura 9 Boxplot relativi ai punteggi pre e post riferiti al tempo totale nella Torre di Londra. Gruppo sperimentale (sinistra) e gruppo di controllo
(destra)
Figura 10 Boxplot relativi ai punteggi (sui dati grezzi) pre e post riferiti al punteggio totale ottenuto nell’EQ-i:YV. Gruppo sperimentale (sinistra) e
gruppo di controllo (destra)
45
2.3.2. Valutazione componente attentiva
Al fine di valutare se l’attenzione sostenuta, l’attenzione selettiva e l’inibizione della risposta,
misurate mediante il test delle ranette, mostravano un miglioramento a seguito della partecipazione
dei soggetti al laboratorio mindfulness, è stata condotta un ANOVA mista con fattori “tempo” (pre-
post) e “gruppo” (controllo-sperimentale). Questa prima analisi non ha evidenziato effetti significativi
sulle competenze considerate, riconducibili alla partecipazione dei soggetti al laboratorio
mindfulness. Infatti né gli effetti principali “tempo” ((F₍₁,₃₇₎=0.6658148) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 =0.007) e
“gruppo” ((F₍₁,₃₇₎=1.0679805) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 = 0.016), né la loro interazione ((F₍₁,₃₇₎=0.2510735) , p>
0.05, 𝑝𝜂2 =0.002) sono risultati significativi (figura 11).
La stessa analisi è stata condotta prendendo in considerazione l’attenzione uditiva sostenuta dei
partecipanti, valutata mediante il test TAU. Anche in questo caso l’analisi non ha evidenziato
differenze significative nelle competenze prese in esame legate alla partecipazione dei soggetti
sperimentali alle sessioni mindfulness. Infatti né i fattori principali “tempo” ((F₍₁,₃₇₎=1.990855e+00)
Figura 11 interaction plot riferito ai punteggi ottenuti nel pre e post training al test delle ranette
46
, p>0.05 , 𝑝𝜂2 =0.002) e “gruppo” ((F₍₁,₃₇₎=1.995790e+00) , p>0.05, 𝑝𝜂2 =0.003) né la loro
interazione ((F₍₁,₃₇₎=3.353018e 03,p>0.05, 𝑝𝜂2 =3.631599e-05) sono risultati significativi (figura 12).
Un secondo obiettivo di questo studio è stato quello di valutare se la capacità di inibizione della
risposta, misurata mediante il compito di Stroop numerico, migliorasse a seguito della partecipazione
dei soggetti al laboratorio mindfulness. A questo scopo sono stati valutati sia il tempo di interferenza
che l’errore di identità mediante ANOVA mista con fattori, “tempo” (pre-post) e “gruppo” (controllo,
sperimentale).
Per quanto riguarda il tempo di interferenza l’analisi non ha evidenziato effetti significativi legati alla
partecipazione dei soggetti alle sessioni di mindfulness. Infatti solo il fattore principale “tempo” è
risultato significativo ((F₍₁,₃₇₎=5.08048048) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 = 0.04) indicando in entrambi i gruppi un
miglioramento nella dimensione presa in esame, indipendentemente dall’applicazione del protocollo
mindfulness (figura 13)
Figura 12 interaction plot riferito ai punteggi ottenuti nel pre e post training al test di attenzione uditiva
47
Anche prendendo in considerazione l’errore di identità, l’analisi non ha evidenziato effetti
significativi riconducibili alla partecipazione dei soggetti al laboratorio mindfulness. Infatti né i fattori
principali “tempo” ((F₍₁,₃₇₎=3.46372599 ) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 = 0.043) e “gruppo” ((F₍₁,₃₇₎=0.08755872₎) ,
p> 0.05, 𝑝𝜂2 = 0.00) né la loro interazione ((F₍₁,₃₇₎=0.60135914) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 =0.00) sono risultati
significativi (figura 14).
Figura 13 interaction plot riferito ai punteggi ottenuti nel pre e post training allo Stroop numerico riferiti al tempo di interferenza
Figura 14 interaction plot riferito ai punteggi ottenuti nel pre e post training allo stroop numerico riferiti agli errori di identità
48
2.3.3. Valutazione delle competenze esecutive
Per verificare se la partecipazione al laboratorio mindfulness esercitasse un effetto positivo sulla
capacità di pianificazione, misurate mediante la TOL, è stata preso in considerazioni il “totale delle
mosse eseguite” è stata condotta una ANOVA mista con fattori “tempo” (pre-post) e “gruppo”
(controllo-sperimentale). Dall’analisi sono risultati significativi l’effetto principale “tempo”
((F₍₁,₃₇₎=6.444729) , p< 0.05, 𝑝𝜂2 =0.03) e l’interazione tra i fattori tempo e gruppo (F₍₁,₃₇₎=4.996198)
, p<.05, 𝑝𝜂2 =0.02) (figura 15). Tuttavia il test post-hoc effettuato con un simple effects analysis
usando la correzione di Bonferroni non ha confermato la presenza di effetti significativi legati alla
partecipazione al laboratorio mindfulness sulle competenze prese in esame (p>0.05).
La stessa analisi è stata condotta prendendo in considerazione la sottoscala della TOL “totale mosse”,
che indica se il soggetto ha incontrato difficoltà nella pianificazione del compito e se compie errori
di preservazione ripetendo sempre l’inesattezza, riproponendo la risposta sbagliata. Questa sottoscala
valuta la prestazione del soggetto in negativo poiché maggiore è il numero di mosse effettuate minore
è l’accuratezza e la capacita di pianificazione. In questo caso l’analisi non ha evidenziato effetti
positivi della mindfulness sulle capacità di pianificazione, infatti né gli effetti principali “tempo”
Figura 15 interaction plot riferito ai punteggi ottenutinel pre e post training alla Torre di Londra riferiti ai punti totali
49
((F₍₁,₃₇₎=9.6869196) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 =0.03) e “gruppo” ((F₍₁,₃₇₎=0.6109805) , p>0.05, 𝑝𝜂2 = 0.01) né la
loro interazione ((F₍₁,₃₇=0.8937498) , p>0.05 , 𝑝𝜂2 =0.005), sono risultati significativi (figura 16).
Al fine di esaminare se la capacità dei soggetti di comprendere le regole presentate e di mantenere in
memoria l’informazione migliorasse grazie al laboratorio mindfulness, è stato preso in esame il
numero delle violazioni della regola imposta durante l’esecuzione del compito, valutate grazie una
ANOVA mista con fattori “tempo” (pre-post) e “gruppo” (controllo-sperimentale). L’analisi ha
evidenziato un miglioramento della capacità prese in esame in entrambi i gruppi, infatti solo l’effetto
principale tempo ((F₍₁,₃₇₎=31.58325689 ) , p< 0.05, 𝑝𝜂2 = 0.21) è risultato significativo indicando un
miglioramento della capacità di pianificazione dei soggetti in entrambi i gruppi indipendentemente
dalla partecipazione di sessioni mindfulness. Al contrario l’effetto principale gruppo
((F₍₁,₃₇₎=31.58325689) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 = 0.01 ) e l’interazione tra i fattori tempo e gruppo
((F₍₁,₃₇₎=0.91363659) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 =0.007) non sono risultati significativi (figura 17).
Figura 16 interaction plot riferito ai punteggi ottenuti nel pre e post training alla Torre di Londra riferiti totale delle mosse eseguite
50
Infine è stato preso considerazione il tempo totale nell’esecuzione della TOL per verificare se a
seguito della presenza del laboratorio mindfulness ci fosse un miglioramento sulla capacità di
problem solving, è stata condotta una ANOVA mista con fattori “tempo” (pre-post) e “gruppo”
(controllo-sperimentale). Dall’analisi sono risultati significativi l’effetto principale “tempo”
((F₍₁,₃₇₎=19.536354) , p< 0.05, 𝑝𝜂2 =0.11) e l’interazione tra i fattori tempo e gruppo (F₍₁,₃₇₎=
5.092698) , p <0.05, 𝑝𝜂2 =0.03) (figura 18). Effettuando un test post-hoc con un simple effects
analysis usando la correzione di Bonferroni non ha confermato la presenza di effetti significativi
legati alla partecipazione al laboratorio mindfulness sulle competenze prese in esame (p=0.126)
Figura 17 interaction plot riferito ai punteggi ottenuti nel pre e post training alla Torre di Londra riferiti al numero di violazioni
Figura 18 interaction plot riferito ai punteggi ottenuti nel pre e post training alla Torre di Londra riferiti tempo totale
51
2.3.4. Valutazione della componente emotiva
Per verificare se la partecipazione al laboratorio mindfulness esercitasse un effetto sulla regolazione
emotiva, sono state condotte le analisi sul punteggio totale dell’EQ-i: YV (Sannio Fancello et al.,
2012) e le cinque sottoscale del medesimo questionario che indagano altrettante dimensioni riferite
alla competenza e regolazione emotiva (§ 2.2.2).
Tutte le analisi sono state condotte mediante una ANOVA mista con fattori “tempo” (pre-post) e
“gruppo” (controllo-sperimentale).
È stata condotta una ANOVA mista sul punteggio totale dell’EQ, da cui si ricava un indice di
Intelligenza emotiva, al fine di esaminare se, grazie al laboratorio mindfulness, nel gruppo
sperimentale si evidenziassero dei cambiamenti significativi. Purtroppo, contrariamente alle ipotesi
di ricerca, non è risultata nessuna differenza significativa per quanto riguarda il fattore principale
“tempo” ((F₍₁,₃₇₎=1.073625e-02) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 = 0.0001 ), né per l’effetto principale “gruppo”
((F₍₁,₃₇₎=3.165195e+00) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 = 0.064 ), né per l’interazione tra i due ((F₍₁,₃₇₎= (1.073625e-
02) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 = 0.0001018756)( (figura 19)
Figura 19 interaction plot riferito ai punteggi (sui dati grezzi) ottenuti nel pre e post training all’EQ-i:YV riferiti al
punteggio totale
52
Per comprendere se i soggetti partecipanti alla ricerca migliorassero nelle capacita empatiche verso
gli altri e negli aspetti di gestione delle relazioni interpersonali nonché nel saper collaborare nel
proprio gruppo sociale, è stata presa in considerazione dell’EQ-i:YV, la sottoscala interpersonale. É
stata condotta un ANOVA mista dove gli effetti principali “tempo” ((F₍₁,₃₇₎ 1.073625e-02) , p< 0.05,
𝑝𝜂2 =0.000) e “gruppo” ((F₍₁,₃₇₎=3.165195e+00) , p < 0.05, 𝑝𝜂2 = 0.06) non sono risultati significativi,
né la loro interazione((F₍₁,₃₇₎=1.073625e-02 ) , p < 0.05, 𝑝𝜂2 =0.0001) (figura 20).
Per indagare se i soggetti che hanno preso parte al laboratorio mindfulness, mostrassero un
miglioramento per quanto riguarda gli aspetti di consapevolezza e regolazione emotiva su di sé, è
stata utilizzata la sottoscala dell’EQ-i:YV intrapersonale. Dall’analisi condotta con un ANOVA non
si sono mostrati effetti di rilevanza statistica, né per quando riguarda una differenza nella distanza
temporale nella rilevazione dei dati ((F₍₁,₃₇₎=1.161103e+00) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 =0.0009) né per quanto
concerne i due gruppi ((F₍₁,₃₇₎=1.335050e+00) , p>0.05, 𝑝𝜂2 =0.0002), né per l’effetto d’interazione
((F₍₁,₃₇₎=1.034020e-30) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 = 8.463695e-33) (figura 21).
Figura 20 interaction plot riferito ai punteggi (sui dati grezzi )ottenuti nel pre e post training all’EQ-i:YV riferiti alla sottoscala
interpersonale
53
La stessa analisi è stata condotta per valutare le competenza emotiva che riguarda gli aspetti di
regolazione delle proprie emozioni rispetto all’ambiente circostante, a questo proposito è stata
impiegata la sottoscala dell’EQ-i:YV “adattabilità”. Come illustra il grafico (figura 22), vi è un
“assestamento” dei punteggi per quanto riguardo il gruppo sperimentale, mentre per il gruppo di
controllo si evidenzia un lieve incremento nel punteggio. L’analisi condotta con ANOVA non
evidenzia alcuna rilevanza statistica, né per il fattore tempo ((F₍₁,₃₇₎=1.2188088) , p> 0.05 , 𝑝𝜂2 =
Figura 21 interaction plot riferito ai punteggi (sui dati grezzi) ottenuti nel pre e post training all’EQ-i:YV riferiti alla sottoscala
intrapersonale
Figura 22 interaction plot riferito ai punteggi (sui dati grezzi) ottenuti nel pre e post training all’EQ-i:YV riferiti alla sottoscala
adattabilità
54
8.463695e-3) , né per il gruppo ((F₍₁,₃₇₎=7.2353945 ) , p> 0.05 , 𝑝𝜂2 = 0.121), né per la loro
interazione (F₍₁,₃₇₎=0.6035528 ) , p> 0.05, 𝑝𝜂2 = 0.007 ).
Per verificare se partecipare al laboratorio mindfulness garantisse una migliore capacità di controllo
dello stress è stata eseguita una ANOVA mista sui punteggi della sottoscala “gestione dello stress”
(figura 23). Non è emersa nessuna significatività statistica, né per il fattore principale “tempo”
((F₍₁,₃₇₎=0.04638219), p> 0.05 , 𝑝𝜂2 = 0.000273352) né per quello del “gruppo” ((F₍₁,₃₇₎=0.26959991)
, p> 0.05 , 𝑝𝜂2 = 0.0067892719) né, tantomeno, per la loro interazione((F₍₁,₃₇₎=4.09833024) , p> 0.05
, 𝑝𝜂2 = 0.0235900941)
Per valutare se il laboratorio mindfulness diminuisse alcuni aspetti legati alla desiderabilità sociale
del gruppo è stata eseguita una ANOVA mista sui punteggi della sottoscala “impressione positiva”
(figura 24).
Figura 23 interaction plot riferito ai punteggi (sui dati grezzi) ottenuti nel pre e post training all’EQ-i:YV riferiti alla sottoscala
gestione dello stress
55
Anche in questo caso non si è rilevata alcuna significatività statistica, né per il fattore principale
“tempo” ((F₍₁,₃₇₎=2.331606e-02) , p> 0.05 , 𝑝𝜂2 = 0.0002563737), né per quello “gruppo”
((F₍₁,₃₇₎=1.723531e+00), p> 0.05, 𝑝𝜂2 = 0.0337270450), né per la loro interazione ((F₍₁,₃₇₎=1.269430e-
01) , p > 0.05 , 𝑝𝜂2 = 0.0013942239).
Figura 24 interaction plot riferito ai punteggi (sui dati grezzi) ottenuti nel pre e post training all’EQ-i:YV riferiti alla sottoscala impressione
positiva su dato grezzo
56
2.4. Discussione e limiti
Abbiamo visto nel capitolo precedente come sia sostenuto l’effetto significativo delle pratiche
meditative sulle Funzioni Esecutive e sulla regolazione emotiva (§ 1.6.1) in bambini ed adolescenti.
Tali effetti, tuttavia, non si sono confermati in quanto da noi osservato.
Dall’analisi effettuata è emerso un miglioramento in entrambi i gruppi nel passaggio dalla fase pre
alla fase post. Nello specifico si evidenzia una prestazione migliore per quanto concerne l’inibizione
della risposta automatico-volontaria, verificata con lo Stroop Numerico e di quella legata alla
pianificazione e problem solving, verificata con la TOL. Ciò dimostra come in entrambi i gruppi,
indipendentemente dal laboratorio psicoeducativo, le Funzioni Esecutive tendano a migliorare con il
progredire dello sviluppo. Questo assunto è suffragato da numerosa letteratura scientifica che
evidenzia come le Funzioni Esecutive migliorino con la maturazione, determinata dallo sviluppo della
corteccia prefrontale (Blakemore e Choudhury, 2006). In riferimento alla componente attentiva,
verificata con il TDR e la TAU, contrariamente all’ipotesi di ricerca, non è emersa alcuna differenza
significativa tra i gruppi. Anche per quanto riguarda la valutazione delle competenze emotive,
misurate con l’EQ-i:YV, non si è evidenziata una differenza significativa.
Alla luce di questi dati, che sono da considerarsi preliminari, appare necessario un’ulteriore verifica
che aumenti, innanzitutto, la numerosità del campione allo scopo di rendere lo stesso più
rappresentativo della popolazione di riferimento. In aggiunta, la mancata significatività relativa alla
valenza del laboratorio, potrebbe risiedere nella disomogeneità delle classi, atteso che la classe
sperimentale, per la quale l’intervento era stato espressamente richiesto dalla direzione didattica, era
composta da soggetti con problematiche comportamentali, mentre quella di controllo era composta
da soggetti per i quali non si era richiesto un intervento, il che non esclude la presenza di soggetti con
problematiche.
57
Un altro aspetto che dovrà essere approfondito ulteriormente, riguarda il fatto che, essendo un
programma psicoeducativo di gruppo, l’analisi condotta non consente di cogliere a pieno l’unicità di
quei soggetti che mostravano già in partenza più problematiche.
In aggiunta, dato che in letteratura le Funzioni Esecutive sono correlate ad un buon rendimento
scolastico (Titz e Karbach, 2014), in futuro, dovrebbe essere presa in considerazione anche la
valutazione del rendimento stesso, per verificare se si produca effettivamente un cambiamento nel
tempo grazie al laboratorio mindfulness. Infine, considerato quanto riportato in letteratura sui processi
maturativi individuali (Blakemore e Choudhury, 2006), è possibile che, in parte, gli effetti del
laboratorio mindfulness siano stati influenzati dal naturale aumento delle competenze dei bambini.
58
CONCLUSIONI
La mindfulness è una pratica meditativa che abbiamo visto interagire con numerose componenti del
“sistema uomo”. Sappiamo che interagisce profondamente sulle nostre capacità attenzionali, tanto
che potrebbe essere a buon diritto considerata una modalità stessa del sistema attenzionale (§ 1.4).
Agisce, quindi, nel modulare e plasmare le componenti del più ampio concetto di Funzioni Esecutive.
Non solo, agendo sugli stessi network dell’attenzione, è stata vista agire come fattore protettivo nei
confronti di stati alterati dell’umore e d’ansia (§ 1.5). Tali evidenze si estendono più o meno
marcatamente sulla popolazione anziana e, soprattutto su quella che va dall’infanzia all’adolescenza.
Tale aspetto mette in luce una caratteristica importante delle pratiche mindfulness: sono
estremamente adattabili e generalizzabili, infatti, quasi nessuna tecnica è così duttile da poter essere
utilizzata praticamente su tutto il ciclo di vita, con buoni risultati. Insieme a ciò risulta una pratica
facilmente insegnabile e potenzialmente praticabile in qualsiasi momento e luogo.
Aspetto non tralasciabile è la sua profonda “radicalizzazione” nel sistema nervoso centrale, infatti le
pratiche mindfulness si sono insediate in sostanza in tutti network di elaborazione superiore che mette
in luce come il meccanismo neuro-evolutivo sottostante sia quello del ri-uso (Gallese e Guerra, 2015)
di sistemi che normalmente presiedano le Funzioni Esecutive, l’elaborazione delle emozioni e delle
azioni.
Profondamente insediato nel sistema nervoso centrale, facilmente insegnabile e utilizzabile in tutte le
età, queste sono le caratteristiche che fanno della mindfulness una pratica di lunga prospettiva nelle
tecniche terapeutiche ed educative del presente e del futuro.
59
Quando la mindfulness incontra la scuola ne determina un cambio di prospettiva, il modo di pensare
alla mente e alle skills necessarie per essere un cittadino competente cambiano e le pratiche e
“l’essere” mindfulness sembrano raccogliere questa necessita (§ 1.6).
Competenza, con la mindfulness, diventa consapevolezza dell’essere e degli altri, diventa capacità di
comprendere i propri limiti giudicanti, diventa prendersi uno spazio per comprendere sé stessi e il
proprio corpo affinché si riesca a capire anche ciò che avviene nella prospettiva altrui.
Quello che abbiamo visto nella parte sperimentale di questo elaborato non rende giustizia a ciò che
in letteratura è stato confermato dato ormai certo: la mindfulness modula verso l’alto le competenze
esecutive ed emotive nei bambini. Nel nostro caso non è stato così, anche se alcuni dati suggeriscono
che sia stato un problema più che altro metodologico, che ha reso maggiormente saliente l’effetto
maturazione dei bambini. Possiamo, tuttavia, evidenziare aneddoticamente come i bambini sottoposti
alla pratica mindfulness siano cambiati in positivo secondo i genitori e gli insegnanti: “bambini più
consapevoli del mondo”. Ciò è sicuramente da considerare un risultato positivo, dato che, come
abbiamo detto, l’obbiettivo primario della “nuova educazione” è quello di far crescere individui
consapevoli di sé e degli altri.
60
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