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Michele Massarutto1° biennio jazzConservatorio “F. Venezze” di Rovigo
Il blues nel Bop e l'eredità degli anni '40
Appunti di storia
Il periodo Bebop e le vicende umane intrecciate a quelle di rivoluzione musicale, hanno segnato
un cambiamento nel corso dell'evoluzione del jazz. Forse il più grande che la storia del jazz ricordi, in
termini di quantità di innovazioni.
Il jazz nasce popolare, musica da bassifondi e da locali di infimo ordine. Incorpora il blues dei neri e le
canzonette dei bianchi. Fa ballare, rappresenta una ricchezza dal punto di vista economico e poi … la
rottura.
I neri iniziano un cammino di autocoscienza e di autoaffermazione suonando per se stessi e non più al
soldo di discografici bianchi assetati di guadagni: è l’inizio di una nuova lotta di classe, una lotta per
emergere dallo stato di ultimi della società.
Il bebop è dunque “momento seminale per l’acquisizione di una maturità politica e sociale che inizierà a
dare i suoi primi frutti negli Anni ‘60” 1
New York diventa promotrice di tutta la nuova avanguardia bop e Charlie Parker in prima persona,
diventano i manifesti di questa stagione culturale. Il sax di Parker diventa “ il sassofono perfetto in
grado di ‘liberare dalla sventura’, il poeta è l’umanità intera” (Kerouac in Mexico City blues).
Il bop appare nei locali della 52a Strada di New York nella prima metà del '40, ma ovviamente non si
materializzò d'un tratto, ebbe invece dei precursori in alcuni solisti affermatisi alla fine degli anni Trenta
e un'iniziale gestazione in qualche localino di Harlem. Tra questi locali un'importanza particolare la
ebbe il Minton's Playhouse, dal nome del proprietario Henry Minton, un ex sassofonista.
Le jam-session del lunedì nel locale newyorkese si configurarono subito come un campo di battaglia per
scontri tra jazzisti di varie tendenze. Nelle prime session della primavera del 1941 la vecchia guardia di
jazzisti dello “swing” deteneva ancora il potere: erano i formidabili solisti delle grandi orchestre. Tra
questi vi erano i sax di Coleman Hawkins, Ben Webster, e Don Byas; i trombettisti come Hot Lips Page
e Cootie Williams; i pianisti Fats Waller e Teddy Wilson.
Tra gli ospiti del locale vanno segnalati quelli che possono essere considerati i veri precursori del Bebop:
il chitarrista Charlie Christian, il tenorsassofonista Lester Young, il trombettista Roy Eldridge, il pianista
Art Tatum ed il bassista Jimmy Blanton (Thelonious Monk ed anche Kenny Clarke, furono trasversali e
contribuirono, ognuno a modo loro, a questi ed ai futuri avvenimenti). Questi avrebbero lasciato di lì a
poco il posto all'esplosione del nuovo suono.
1 U. Rubeo, 1997
La volontà di estraniarsi dal contesto di segregazione bianca dei musicisti afroamericani, la voglia di
rivendicare per se la propria musica, portarono alla rivisitazione, in lunghe notti di jam-session, di
forme e stilemi. Le forme dei brani tradizionalemente suonati furono quindi rimestate cercando di
farne convergere all'interno una più complessa visione armonica, ma anche melodica, e di quest'ultima
sia nella sua forma scritta, i temi, che ovviamente in quella estemporanea, improvvisata. Proprio perchè
si trattava di un espansione dalle forma originali, niente meglio del blues costituiva una palesta di
allenamento: fu una struttura utilizzata ampiamente nelle elaborazioni Bebop ma prima ancora un
punto di partenza obbligato, dato che la storia dell' evoluzione musicale afro-americana ha inizio
proprio li.
Charlie Parker, in veste di portabandiera di questa rivoluzione, ne fa infatti un vasto e prolifico uso ed i
seguaci del bebop hanno continuato questa esplorazione con assoluta libertà.
Subendo il fascino di quello che fu un parallelo asse di trasformazione, umana e musicale, ho voluto
ricercarne gli effetti nella musica degli autori di spicco di questo periodo. Tra i molti ho scelto quelli
presenti nel “canto del cigno del bop”, il live tratto dal concerto in Toronto del 1953 con Charlie
Parker, Dizzy Gillespie, Bud Powell, Charles Mingus e Max Roach.
Il periodo Bop
Le novità di spicco che ho trovato sono catalogabili in due diversi capitoli, che di seguito espongo.
1)Inserimento di accordi funzionali e turnaround
La classica progressione armonica blues,
iniziò ad evolversi negli anni '30, aggiungendo il IV (F7) nella seconda misura ed il V (G7) nell'ultima:
Il passaggio successivo si ebbe – e qui entriamo negli anni '40- nella comparsa di accordi che
anticipano la dominante col secondo grado, o di dominanti secondarie (da “Au Privave” di Parker,
battuta 4-5 e 8-9):
e qui in “Barbados” sempre di Parker (battuta 2-3 e 4-5):
Qui sul turnaround nel blues minore di “Birks works” di Dizzy Gillespie:
Anche i cambi di modo si ritrovano di frequente (da “Elevation” e “Blues for Alice” ,battute 4-5):
Altri accorgimenti furono inseriti nella rivisitazione dell'armonia dei brani e stravolsero da un lato le
sonorità originali ma dall'altro portarono altresì un vento di novità. La sostituzioni di tritono fu uno di
questi: sfruttando il principio enarmonico tra le due note -la terza e la settima- che costituiscono il
tritono nell'accordo di dominante, ed invertendole, si và generando un altro accordo di dominante che
avrà la risoluzione nella stessa fondamentale, non più ad una quinta giusta ma ad un semitono
discendente.
Un esempio è nella battuta 10 di “Dance of the infidels” di Bud Powell: Gb7 è la subV7/I, il Db-7 è il
suo secondo grado che comunemente lo anticipa (di seguito le battute 9-10-11 del brano):
Anche nell'introduzione dello stesso brano usa queste sostituzioni: Ab7 risolve su G- e Gb7 su Fmaj7
della misura successiva:
Un altro esempio è tratto da “Swingin' until the girl come home ” di Oscar Pettiford:
Di seguito invece una risoluzione di origine diversa ma altrettanto efficace. In “Blue & boogie” di Dizzy
Gillespie il Cbmaj7 -che enarmonicamente è Bmaj7- va a risolvere un semitono sotto sul Bb.
Anche i turnaround furono rielaborati: dai consueti, e se vogliamo nostalgici, I- VI – II – V (“Au
privave”)
a due II – V successivi (“Chi chi” di Parker, in Ab)
per finire con i turnaround di Tad Dameron (qui di seguito in “Cosmic rays” di Parker, blues in C):
2)Innesti di progressioni cromatiche discendentiCapitolo a se stante sono le progressioni cromatiche discendenti, in quanto tendono ad avere,
all'ascolto, un forte carattere, un “suono” a sé -data anche la velocità media dell'esecuzione del
repertorio bop.
Qualche esempio. La già citata “Chi chi”:
e “Laird baird”:
Altri pezzi analoghi sono “Blues for Alice” o “Emanon”, sempre di Parker.
Di seguito ancora “Dance of the infidels”: qui tutto il brano è una discesa cromatica per tornare al
punto d'inizio, la fondamentale, dalla quale il brano è iniziato. Anche l'introduzione ha lo stesso
carattere discendente:
La summa del pensiero parkeriano sul blues -dal punto di vista armonico- è “Blues for Alice” ed i pezzi
di similare struttura, come “Si si” - anche altri musicisti fecero delle “heads” su questa struttura, vedi
“Jack sprat” di Sonny Stitt o “Freight train” di Tommy Flanagan.
Parker -e di conseguenza i suoi compagni- hanno utilizzato "Changes" inusuali per l'epoca tanto da farli
diventare uno standard armonico oggi individuato con l'appellativo di "Parker Blues".
Questo processo tende a sostituire i classici gradi del “vecchio” blues tenendo fermi quelli cardine
(battute 1-5-9): tutto il resto viene concretizzato in funzione del raggiungimento risolutivo degli stessi.
Prendiamo a esempio “Blues for Alice”:
Nelle misure 2-3-4 i tre II-V sono pensati in modo che ogni accordo di dominante della serie risolva
sull'accordo minore successivo posizionato una 5a giusta più in basso (A7 risolve su Dm7; G7 risolve
su Cm7) e quindi sull'accordo di Bb6 (battuta 5). In pratica è come se avesse pensato questa successione
costruendola andando indietro, dal Bb6, di quinta giusta in quinta giusta fino alla seconda battuta.
Il motivo del F6 - che è intercambiabile con Fmaj7- al posto del classico F7 sta nel fatto che la settima
di F è Eb e quindi si sarebbe scontrata con l'accordo successivo di E semidiminuito – Paolo Zambelli
docet!
Nella misura 6, attraverso un cambio di modo - scambio parallelo con la relativa minora naturale -,
trasforma il Bb7 in Bbm7 e con il sitema precedente approccia il terzo cardine, Gm7 - il F6 si può
anche sostituire con Am7 e D7; infine nelle battute 6 e 8 fa seguire agli accordi minori la relativa
dominante modale.
Questa non è una cadenza consueta ma si può spiegare riferendosi al metodo empirico che è tipico di
una parte del jazz e della musica in generale: i “boppers” alle volte dell'introducevano nuovi accordi in
sostituzione di altri facendo venir meno il ragionamento armonico e basandosi sulla prova,
sull'empirismo appunto, sulle proprie capacità di legare suoni ad altri suoni.
Eredità degli anni '40
Quello che avvenne dopo come si suol dire è storia: la fine degli anni '40 lasciò un interrogativo ai
cronisti del tempo su cosa fosse da considerarsi “jazz” ma aprì soprattutto un nuovo sentiero da
percorrere, nel quale si sarebbe potuto sperimentare ad arrivare ancora oltre. L' Hard bop infatti sposta
ancora i confini delle improvvisazioni e delle armonizzazioni e negli anni '60 arrivò Ornette Coleman
ed il free..
Ritengo che a questo punto sarebbe improponibile cercare di catalogare le rivisitazioni e gli
stravolgimenti del blues data la quantità di musicisti e compositori che fino ai giorni nostri hanno preso
in prestito la classica struttura blues e, mutuandone la duttilità, hanno trasformato le famose 12 battute
in brani originali e fantasiosi, riversandoci all'interno culture ed esperienze delle più disparate.
Voglio comunque riportarne alcuni nei quali è chiaramente visibile l’evidenza della novità e, da ultimo,
analizzarne uno a me caro, “Goodbye Pork Pie Hat”.
In “Blue 7” Sonny Rollins fa dominare la sonorità della #11 nell'accordo di dominante, usandola sia
nell'armonia che nel tema (esempio simile è “Careful” di Jim Hall):
Invece in “Gary's Notebook” di Lee Morgan tornano predominanti le sostituzioni di tritono:
In “Blue Comedy” Michael Gibbs approccia i tre gradi cardine quasi defunzionalizzandoli, in quanto
diventa non facile riscontrarvi il “riposo”: il quarto grado non appare nella battuta cinque e viene
sostituito con Db7, approcciato con un tritono (D7); poi cromaticamente (D7) l'armonia pare tornare a
Eb7 che invece viene sostituito con due misure di G7 e F#7alt che attraverso cadenze e sostituzione di
tritono portano a concluere il blues sul II7, F7, che non riporta spontaneamente al Eb7 dell'inizio del
blues. L'unica dominante compare alla fine dell'interludio (Bb7).
Anche i blues minori o quelli con tempi diversi dal 4/4 sono oggi consuetudine: “Equinox” di John
Coltrane è un classico blues minore, “All blues” di Miles Davis è in 6/8, “Footprints” di Wayne Shorter
è minore ed è in 6/4.
In “Dahomey Dance” Coltrane suona assieme a Eric Dolphy (alto sax) e Freddie Hubbard (tromba) la
stessa linea delle prime quattro misure anche sulle restanti:
le triadi che si formano nella sezione dei fiati vanno a sovrapporsi quindi all'accompagnamento
aggiungendo di volta in volta delle alterazioni agli accordi scritti; a questo punto l'armonia totale
risultante è questa:
L'uso di sonorità “sus” si trovano anche in “Twelve more bars to go” di Shorter o “Mr. Day” sempre
di Coltrane o “Eighty One” di Ron Carter.
Goodbye Pork Pie Hat
Il blues di Charles Mingus “Goodbye Pork Pie Hat” è un brano dove il blues stesso è mascherato,
caratterizzato da una progressione unica, come “Solar” di Miles Davis o come “Dance of the Infidels”
di Bud Powell precedentemente citata. Il “pork pie” è un tipo di cappello in stile britannico che fece
parte dell'abbigliamento dell' “uomo di città” per molti anni. Alcuni jazzisti lo inserirono nel loro
guardaroba, tra i quali Lester Young, ed infatti il brano è dedicato proprio a quest'ultimo.
Goodbye Pork Pie Hat
Analisi armonico-melodica:
E' una ballad blues di 12 misure in Eb; il tema usa prevalentemente note della scala minore pentatonica
di Eb e come vedremo lo si può pensare suddiviso in tre frasi, ulteriormente suddivisibili: credo che lo
si possa guardare come un blues in forma base, cioè che esplicità il primo e il quarto grado, seguito da
un turnaround inusuale che inizia sul V. Il primo accordo della prima misura è quello di tonica mentre
nella quinta misura il primo è il IV. Il V, che di norma è sulla battuta 9 viene invece ritardato alla 10 che
porta quindi al I all'inizio della battuta 11.
Scendendo nel particolare osserviamo che la prima frase – il periodo compreso dalla 1 alla 4 misura- è
ulteriormente divisibile in due (prima e seconda battura, terza e quarta). L'armonia suggerisce che
Mingus abbia operato due turnaround, simili ma non uguali. Nel primo vi troviamo un movimento che
segue il circolo delle quinte (B – E - A) dove il A7 è una sostituzione/inversione di tritono del I. Se
sommiamo l'”asprezza” di questa sostituzione al fatto che l'accordo compare sul finire della prima frase,
la sensazione è quella di una chiusura in “equilibrio”, cioè parziale, di un micro-periodo che infatti porta
ad un nuovo inizio nella misura successiva. In più il movimento di terza maggiore da A7 a Db7 non
può considerarsi una normale risoluzione (anche se successivamente ne riparleremo) e quindi a maggior
ragione sono propenso a definirlo un “fine periodo”.
Il tema supporta ulteriormente questa analisi perchè si sviluppa in due frasi simili e dal profilo identico,
ed entrambe “prendono respiro” sul finire delle battute 2 e 4 (entrambe sulla nota Eb):
Per spiegare l'armonia del secondo micro-periodo (battuta 3-4) vedo sue strade. La prima è mettere a
confronto le prime quattro battute e trovare le corrispondenze:
Il Db9sus in effetti è problematico da analizzare: la melodia non aiuta a dare spiegazioni ma solo a
rafforzare la qualità di sus (nota Gb su Db7). L'intervallo di terza minore che nasce dalla sostituzione
di E con Db (C#) può essere giustificato pensandolo mutuato da quelli di colteniana memoria: se
pensiamo a “Giant Steps” - che esce nello stesso anno di “Goodbye Pork Pie hat”, 1960 - l'intervallo
armonico di terza minore è la distanza tra gli accordi della prima metà del brano (quelli di maj7 verso
quelli di dominante): in un certo senso erano soluzioni già usuali quindi (stessa cosa in “Central Park
West”, in “Countdown” con le terze maggiori..).
Il Eb7 finale, come è accaduto in precedenza, lo possiamo interpretare come un sostituto di A7 (data
l'inversione del tritono..) che quindi riporta la prima frase sul riposo dato che è proprio la tonica; in più
ha lo scopo di portare al Abm11 successivo, essendone la dominante. Si può pensare in definitiva che
sia un secondo turnaround con delle sostituzioni.
L'altra strada, verso la quale propendo, è quella di valutarlo per la semplice proprietà di assonanza della
progressione, un po' come quelle sequenze di accordi minori in successione che utilizzava Parker
all'interno della struttura blues, dove lo scopo finale era quello di collegare due sezioni della struttura. In
questo caso Mingus parte dal Db9, scendendo di tono va a B9, risale subito a Db e poi torna alla tonica
del blues, una breve parentesi insomma, sia perchè sono salti relativamente piccoli - di tono - e sia
perchè il lasso temporale è breve e quindi l'ascoltatore non viene portato per troppo tempo lontano dal
Eb al punto da parderne “il ricordo” sonoro.
La seconda frase (battute 5-9) presenta nuovamente un profilo melodico similare nelle prime due
misure, 5 e 6 , che completano una prima metà frase, e nuovamente costruita sulla pentatonica di Eb.
Il Abm, IV della struttura blues originale, va per salto di terza minore a B7: questo lo si spiega come si è
detto in precedenza mutuandolo da Coltrane, e questa volta apprezzandone direttamente l'effetto
perchè sono in successione.
Nel passaggio da B7 a Fm la dominante la si può pensare risolta sul successivo Bb7#5, dove
quest'ultimo viene semplicemente anticipato dal suo relativo IIm7 oppure vedere come una sostituzione
dell'accordo diminuito di Gb°7 che scende a Fm, infatti Gb°7 è anche un C°7 che può essere pensato
come un B7(b9).
Il successivo II – V (Fm7 – Bb7) che va a C13 è interpretabile come risoluzione di “relativa maggiore”,
infatti possiamo pensare che il C di arrivo (battuta 7) sia stato anticipato dall'ambiente tonale di Eb
(infatti Fm7 e Bb7 sono II e V di Eb) che scende di una terza minore (tonalità di Eb che va alla tonalità
di C, “relativa maggiore”).
Con questo si conclude la prima metà della seconda frase; la successiva si conclude sulla nona battuta.
Qui il tema introduce un nuovo profilo ed è accompagnato da due II – V che scendono parallelamente
di semitono (come nei Parker' s blues changes).
Secondo i canoni tradizionali sarebbe veramente difficile giustificare cosa avviene dalla battuta 9 alla 12
(dalla 10 alla 12 c'è la terza frase, il turnaround) ma se pensiamo alle ultime quattro misure così:
| (IV) | V | I | I |
diventa ragionevole il fatto che A7 (sub di tritono di Eb7) e Ab7 fungano da ritardo alla comparsa del V
grado, Bb7, che si presenta quindi nella decima misura. Da qui anche il valore delle note cambia – la
prima sequenza di soli ottavi – supportando (essendo “novità”) la comparsa del V grado nella sua
consueta funzione di cadenza del blues.
Il Db7 della decima misura si comporta da ritardo alla risoluzione sul Eb7, nella 11a, in più essendo ad
intervallo di terza minore dal Bb7 ripresenta la sonorità già usata nella battuta 5 (Abm11 e B7).
Il tema nella misura 11 asseconda la funzione di riposo che è propria della tonica Eb7 usando note dal
valore uguale di quelle in precedenza usate (batt 8 e 9) aggiungendo valore di continuità nel profilo
melodico; inoltre costituisce l'ultima “pausa” e l'ultimo respiro prima della battuta finale.
Quest'ultima, approcciata con una cadenza perfetta B7 – Emaj7, svolge il compito di turnaround nel
turnaround, infatti il Emaj7 va a A7 che è l'inversione di tritono di Eb7 e la melodia ha un profilo
discendente e “rallentato” - chiaramente conclusivo - dato dalle terzine di quarti.