michael moore. cinema, tv, controinformazione

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MICHAEL MOORE Matteo Sturini cinema tv controinformazione B B EDIZIONI FALSOPIANO

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Tutto sull'autore di Bowling for Columbine e Sicko

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MICHAEL MOOREMatteo Sturini

cinema tv controinformazioneB B

EDIZIONI FALSOPIANO

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MICHAEL MOORECINEMA, TV E

CONTROINFORMAZIONE

FALSOPIANO LIGHT

Matteo Sturini

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A tutti i miei angeli,terrestri e celesti

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Falsopiano Light è una collana diretta da Roy Menarini

In copertina: Cheryl Graham, American Flag - Hands

© Edizioni Falsopiano - 2008via Baggiolini, 3

15100 - ALESSANDRIAhttp://www.falsopiano.com

Per le immagini, copyright dei relativi detentoriProgetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri, Roberto Dagostini

Stampa: Impressioni Grafiche S.C.S. a r.l. - Acqui TermePrima edizione - Novembre 2008

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INDICE

Quando a bussare è la StoriaPrefazione di Nuccio Lodato p. 7Introduzione p. 12

Biografia p. 25

I film “Grandi”

Roger&Me p. 35Bowling for Columbine p. 56Fahrenheit 9/11 p. 85Sicko p. 116

I film “Minori”

Canadian Bacon p. 139The Big One p. 141Slacker Uprising p. 145

Le opere “altre”La TV p. 149Note al testo p. 200I libri p. 207Il sito p. 215Filmografia-Bibliografia-Linkografia p. 219-239

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PREFAZIONE

Quando a bussare è la Storia...di Nuccio Lodato

Posso garantire di non averlo fatto apposta, ma mi colpi-sce il fatto di aver chiuso questo scritto nelle ore intercorsetra la conclusione delle operazioni di voto per l’elezione delnuovo Presidente degli Stati Uniti e il manifestarsi della vit-toria di Barack Hussein Obama.

Mentre cominciavo a ricontrollare e completare lo scritto,passava sullo schermo de “la 7” la prima tv analogica diFahrenheit 9/11, così come, quando avevo cominciato aimbastire a questo pezzo, la si era registrata sul satellite delpiù recente Sicko, e ancora “la 7” aveva riproposto Bowlingfor Columbine.

E adesso i giornali riportano la dichiarazione rilasciatanella notte elettorale a “Time” da Michael Moore:

“Che vigilia appassionante: l’ho trascorsa a sperare, for-tissimamente, che i frutti del mio lavoro in questi otto lunghianni potessero avverarsi; a portare la gente in macchina avotare, a distribuire panini e cioccolata calda a quelli in filafuori dai seggi. L’occasione di votare per Obama è una dellecose più grandiose che io avrò fatto nella mia vita. Quandosi ripresenterà, infatti, l’occasione di votare un liberal, come

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l’accusano giustamente i repubblicani?Mi scapperà qualchelacrima di emozione, al pensiero di quanti hanno sofferto percolpa di una nazione razzista”.

Nessuno può naturalmente pensare, neppure oggi, a unnesso diretto tra l’impegno del cineasta e il nettissimo suc-cesso democratico alle presidenziali: anche perché, se cosìfosse stato, nel 2004 Fahrenheit avrebbe dovuto provocarel’umiliazione di George W. Bush, in luogo della sua incredi-bile riconferma. Ma certo è innegabile quanto il lavoro diquesto singolarissimo e innovativo documentarista e polemi-sta abbia colpito gli spettatori a livello mondiale, dimostran-do un’inusitata capacità di centrare sistematicamente tutte leprincipali, angosciose disfunzioni del sistema occidentale.

Sono trascorsi ormai quasi vent’anni dall’apparizione diRoger & Me, che registrò all’epoca un impatto sensazionale:la crisi economica globale, che sta dilaniando l’Occidente enon soltanto, in questi mesi lo riporta all’attenzione e all’at-tualità con una forza sensazionale. A distanza di due decen-ni, sulle tesi di Moore torna a bussare la storia.

Perché sapeva cogliere già allora, del resto, uno dei punticentrali della problematica contemporanea: l’esistenza di uncapitalismo – divenuto più sfrenato e incontrollabile proprioa partire da quello stesso ’89 – irresponsabile nel senso let-terale del termine, in quanto sistematicamente dedito a porsipreventivamente in condizione di non essere anche fisica-mente, materialmente raggiunto, da chiunque avesse legitti-

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mo interesse a chiedere un rendiconto delle sue scelte e dellesue azioni. E dieci anni dopo si ripeteva con The Big One,analizzando con appropriata vis polemica il rapinoso feno-meno generalizzato della chiusura sistematica di industriestatunitensi (ed europee), per trapiantarne la produzione nelterzo mondo e nelle aree di sottosviluppo ancora più sfrutta-to e sfruttabile.

Ma la massima sintesi delle sue attitudini si sarebbe regi-strata nel 2002 col capolavoro Bowling for Columbine, chenon era soltanto un’impareggiabile requisitoria contro l’in-dustria delle armi e la follìa di una grande nazione indivi-dualmente armata fino ai denti, con tutti i corollari di stragidi massa ricorrenti: ma una riflessione generale approfonditasulla violenza, il razzismo e la psicosi generalizzata e irre-sponsabilmente alimentata ad arte, sulla quale le destrehanno costruito i loro anni di fortuna politica, non soltantonegli Stati Uniti.

Il più recente Sicko ha in un certo qual senso completatoil quadro, fornendo uno spaccato letteralmente terrorizzantedel non-sistema sanitario nordamericano, comparato ad alcu-ne situazioni europee. La sua realizzazione è valsa oltretuttoal cineasta un’inchiesta federale con l’accusa di aver violatole norme dell’embargo imposto a Cuba, per avervi accompa-gnato alcuni soccorritori newyorkesi dell’11 settembre, per-ché potessero ricevere, per le patologie riportate nella circo-stanza, le terapie che non riuscivano a ottenere in patria.

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Nel frattempo la popolarità internazionale di Moore,indubbiamente favorita anche dalla sua figura fisica, cosìcaratterizzata e accattivante, si è ulteriormente rafforzata,come dimostra la promozione a best sellers dei suoi libri suimilitari americani in Iraq (Ingannati e traditi – Lettere dalfronte), sulla politica interna statunitense e le due presidenzeBush (Giù le mani! L’altra America sfida potenti e prepoten-ti;Ma come hai ridotto questo paese? e ora anche Chiedilo aMike!) e dal successo delle edizioni in dvd dei film.

Accusato da più parti di faziosità, di ottusità ideologica edi pregiudiziale partito preso (accusa che di questi tempi,anche da noi, cade spesso e volentieri sulla testa di chi silimita a dire le cose come stanno), Moore ha recentissima-mente dimostrato, con la sua ultima realizzazione SlackerUprising, di essere in possesso di doti estreme di autoiro-nia, raccontandovi spontaneamente proprio il fallimentodella sua contro campagna elettorale del 2004; e di unavisione assai generosa e moderna della proprietà autoriale,collocando egli stesso il film in rete per visione gratuita, acominciare dal 23 settembre 2008. Stavolta però la maledi-zione del risultato delle urne non si è ripetuto, e in qualchemisura l’intera parabola propositiva di Moore viene ogget-tivamente a incrociarsi col fatto che nuovamente, dopo l’e-lezione di Kennedy e la sua uccisione, il Vietnam, ilWatergate e l’11 settembre, all’orizzonte americano e mon-diale torna a bussare davvero - una volta tanto il ricorso al

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termine non è sprecato - la Storia.Il punto di vista complessivo offerto da Sturini va oltre

l’analisi, pur dettagliata e approfondita, delle opere più notee diffuse, per estendersi a tutti gli aspetti dell’instancabile emultiarticolata attività di Moore, seguendola passo passo apartire dalle prime prove.

Ho steso quindi, tra la maratona elettorale di allora e iltrionfo di Obama di adesso, queste righe assai volentieri. Siaper l’estrema serietà, il metodo, l’accuratezza dei particolari,la minuziosa incontentabilità del lavoro di Sturini. Siasoprattutto perché convinto che un primo lavoro d’insiemesu questo straordinario cineasta atipico fosse necessario:anche perché, a tutt’oggi, inspiegabilmente ancora indisponi-bile nel nostro Paese.

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INTRODUZIONE

Questo lavoro nasce con l’intento di far conoscere meglio il“fenomeno Moore”: egli è infatti uno dei personaggi più espo-sti degli ultimi tempi. Uno che fino a pochi anni fa era cono-sciuto a malapena inAmerica, ora è famoso a livello mondiale,ed è diventato un punto di riferimento per molti ed una spinanel fianco per molti di più. Moore si è fatto portavoce e cata-lizzatore di un disagio, di un insofferenza e di un rancore radi-cati tra le pieghe del mondo statunitense, che invece vuoleapparire all’esterno sempre perfetto ed infallibile. Il perché ditale successo và ricercato nello stile e nel suomodo di fare cine-ma e controinformazione, ma anche nell’importanza delletematiche trattate.

Per capire il mondo di Moore bisogna guardare al suo ope-rato in maniera spregiudicata, proprio come lo sono lui ed i suoilavori. E per farlo nella maniera più approfondita non mi sonolimitato ad analizzare i suoi film principali, ma mi sono cimen-tato anche con le opere “altre”: ovvero quelle cinematografichemeno conosciute o meno riuscite, e quelle appartenenti ad altrigeneri e mondi, come l’universo televisivo, o il campo lettera-rio. Senza tralasciare l’importantissimo mondo di Internet.

Michael Moore è una delle figure più in vista della culturapopolare contemporanea statunitense, ed ogni suo interventonon manca mai di suscitare accesi dibattiti e feroci polemiche.Ogni sua opera, che sia letteraria, televisiva o cinematografica,

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ha la caratteristica di intrattenere, illuminare, commuovere,divertire ed irritare il pubblico. E lo fa con atteggiamento pro-vocatorio ed uno stile che mescola con grande abilità humourirriverente, satira pungente e sfrontatezza. Facendo così dellacontroinformazione militante un business creativo ed intelli-gente. Nonostante molti critici giudichino il regista ed i suoilavori troppo radicali, il pubblico americano - e non solo - pre-sta sempre grande attenzione a quello che ha da dire.Provocatore, umorista, irriverente, Moore è diventato unapotenza multimediale: oltre ai documentari realizza serie tele-visive d’impegno politico, è autore di best-seller ed è uno spea-ker di grande carisma tra i più richiesti e pagati d’America. Lesue opere ci offrono una panoramica sulla cultura politico-sociale americana dei giorni nostri. Gli Stati Uniti d’Americavogliono apparire all’estero come il paese dei sogni, ma qualiincubi nasconde il paese più potente al mondo? Sono questiincubi che Moore mostra con una crudezza raccapricciante eaffascinante allo stesso tempo.

Negli U.S.A. Moore è oggi l’uomo che riesce più efficace-mente ad andare “contro”. La sua maniera di fare controinfor-mazione è la più efficace perché colpisce direttamente, senzamezze misure. È quella che fa arrabbiare e fa discutere, checrea controversie e dibattiti. I suoi modi diretti e sfacciati ciintroducono in mondi corrotti e immorali.

Anche il suo stile cinematografico è semplice e diretto. Sene và in giro con la macchina a spalla per realizzare filmati in

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presa diretta. Per sua stessa ammissione, Moore nei suoi filmnon utilizza uno schema ben preciso - perlomeno questo è quel-lo che vuol farci credere - ma quasi improvvisa, come se sifosse in un discorso parlato. Spesso infatti ci propone sequenzeche non hanno nessuna continuità con quelle precedenti o suc-cessive, ma a fine film tutti i nodi verranno al pettine ed ognisingola scena risulterà utile per farci capire qualcosa. Altrevolte invece, vengono inserite sequenze che hanno il solo scopodi mettere in cattiva luce il malcapitato di turno, oppure di enfa-tizzare un atteggiamento o una situazione.

A dispetto di questa caratteristica i film di Moore hannoperò una loro identità ben precisa e parecchi punti in comuneche ritornano in ogni documentario. Innanzitutto è la voce nar-rante dello stesso regista ad accompagnare lo spettatore duran-te le vicende narrate. Da notare anche come prima di introdur-re l’argomento principale del film, Moore compie qualchedigressione e racconta degli antefatti che sfoceranno poi nellosviluppo accusatorio orchestrato del regista. Nonostante ladiversità di temi trattati poi, abbiamo sempre la parte del dolo-re con la disperazione dei vari intervistati. Le lacrime, del resto,hanno sempre un grande impatto sugli spettatori. Inoltre il regi-sta compie parecchie divagazioni sia temporali che tematiche,presupponendo che il pubblico abbia la capacità di elaborare ecollegare i vari elememti esposti.Anche quando non esplicita ilsuo pensiero Moore ci prende abilmente per mano e ci condu-ce a sé.Aggiungendo tassello su tassello il suo mosaico si com-

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pleta ed ogni suo film ci riserva sempre un finale di matricemoralistica.

Più che di documentari nel suo caso si potrebbe quasi par-lare di docu-comedy perché alterna parti serie dove documen-ta, appunto, ad altre più spassose dove si sbizzarrisce in paro-die e prese in giro, come nelle commedie. E nelle parti piùdrammatiche, per lo stesso motivo, si può parlare di docu-drama.

La sua regia è tutta giocata sul montaggio. Moore ci mostraimmagini di repertorio e interventi in diretta, spezzoni di tele-giornali, film e personaggi d’epoca che vanno a formare un mixunico ed irresistibile. Questi inserti, oltre a quello narrativo,hanno lo scopo di cambiare il ritmo del racconto, rendendolopiù dinamico e spassoso. Inoltre il regista basa tutti i suoi film- ed anche le serie tv - sul contrasto sia visivo che ideologico.Quindi ad una scena di opulenza seguirà quasi sempre una diindigenza. Una scena deprimente appartenente alla vita di per-sone comuni sarà quasi sempre anticipata o seguita da unascena di stucchevole pomposità appartenente alla vita di gentericca e/o famosa. Per cui nel finale di Roger&Me vediamo leimmagini del fastoso party natalizio alternarsi a quelle di unafamiglia di Flint sfrattata proprio alla vigilia di Natale.

Per rendere ancor più efficace questa idea di contrastoMoore non si limita ad utilizzare le immagini: infatti anche lemusiche e le colonne sonore rivestono un ruolo rilevante inquesto processo creativo. Per cui - citando ancora Roger&Me -

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abbiamo l’allegro motivetto Wouldn’t it be nice ad accompa-gnare alcune immagini desolanti con case diroccate apparte-nenti ai quartieri più fatiscenti di Flint. Talvolta il montaggio -anche sonoro, come abbiamo appena visto - serve per prender-si gioco delle “vittime” dei suoi lavori. Memorabile a tal pro-posito la scena di Fahrenheit 9/11 in cui viene utilizzata la sigladi The Greatest American Hero 1 per canzonare Bush. Ho cita-to solo alcuni degli esempi più eclatanti del contrasto creato daMoore attraverso il montaggio, ma tanti altri ne ritroveremo neicapitoli successivi dedicati all’analisi delle opere. Nessun’altroprima aveva mai fatto un uso tanto spregiudicato di questa tec-nica, tantomeno in un documentario.

Moore si rivela quindi un innovatore. A conferma di questateoria và aggiunto che nessuno prima di lui aveva reso cosìpopolare il genere documentario, nessuno prima di lui avevamai pensato di poter fare un documentario che oltre a far riflet-tere potesse far ridere.

La sua è una scalata che pare inarrestabile. Dalla primaopera ad oggi Moore non si è più fermato, trattando i temi piùvari e attaccando gli avversari più disparati.

In Roger&MeMoore parte dalla piccola realtà di Flint, cittàin cui è cresciuto e cui è molto affezionato, per aprire gli arma-di pieni di scheletri dell’industria americana ed in particolaredella General Motors.

In The Big One attacca le grandi aziende che tendono a ridi-mensionare il personale, accusandole di immoralità.

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In Bowling for Columbine prende di mira l’industria dellearmi, argomento sempre attuale e scottante neli USA, grazieallo spunto delle sparatorie nelle scuole.

In Sicko racconta i problemi e le ingiustizie del sistema sani-tario americano e si scaglia contro le compagnie assicurative.

Con Fahrenheit 9/11 arriva all’apice: l’amministrazione delpresidente Bush. L’attacco frontale scagliato ai danni delPresidente gli ha procurato parecchi nemici, ma anche parecchialleati. Di certo gli ha portato una popolarità planetaria. Unapopolarità che implica anche un grande impegno, politico esociale. Molti vedono in lui, infatti, un leader da ascoltare eseguire attentamente. E lui, nonostante non sia mai sceso inpolitica (eccezion fatta per il 2000 quando sostenne per unbreve periodo la candidatura di Ralph Nader), sembra tutt’altroche intenzionato a tirarsi indietro. Infatti, sebbene rifiuti l’ap-pellativo di attivista politico, è sempre stato in prima linea nelpromuovere le sue idee politiche ed ama definirsi come “popu-lista di sinistra”. Dichiara anche di non essere membro delPartito Democratico ma interviene spesso in qualità di speakeralle convention dei Democratici.

Di sicuro non è un Repubblicano e non ama i Repubblicani.La sua battaglia contro Bush e la guerra in Iraq continua tut-t’oggi. Specialmente il suo sito michaelmoore.com è ricco diaggiornamenti e di iniziativa a favore dei soldati al fronte, dellevittime dell’11 settembre e del ritiro delle truppe dall’Iraq. Madi battaglie Moore ne ha combattute tante altre a partire da

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quella mai abbandonata contro gli avidi e corrotti managerdelle corporations, quella contro la disuguaglianza razziale elo sfruttamento degli indigenti. Ed ancora quella contro ilsistema di assistenza sanitario. Battaglie che Moore perseguecon passione e trasporto fin dagli inizi della sua carriera.Sono passati quasi vent’anni da quando si è affacciato sullascena americana e niente sembra essere cambiato, i problemisempre sono gli stessi. E questo è piuttosto triste e depri-mente. Ed è probabilmente anche per questo che Moore ètanto popolare: se non ci fossero così tante problematiche edingiustizie nel mondo odierno, Moore non potrebbe avere untale successo internazionale.

Come sempre però il successo comporta, oltre alle schieredi ammiratori, anche un certo numero di nemici. E MichaelMoore se ne è fatti parecchi di questi tempi. In particolare, isuoi più accesi detrattori sono coloro che hanno deciso di sfi-darlo con le sue stesse armi.

Uno di questi è Michael Wilson, un altro regista di docu-mentari che ha realizzato un film dall’accusatorio titoloMichael Moore hates America (Michael Moore odial’America). Nelle sue intenzioni Wilson vuole dimostrare alpubblico come sia facile manipolare interviste e filmati percomunicare certi messaggi, e soprattutto vuole far riscoprire ilvalore di quel sogno americano che Moore vuole mettere indiscussione.

Gli autori David Hardy e Jason Clarke invece hanno deciso

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di combattere la sfida sul piano letterario, con il volumeMichael Moore is a Big Fat Stupid White Man (Michael Mooreè un grassone bianco e stupido), il cui titolo è ovviamente unastorpiatura di quello del best-seller di Moore Stupid White Men.Nel libro i due giornalisti dichiarano di voler svelare come ilregista utilizzi ricerche e statistiche in modo arbitrario persostenere le proprie tesi e, addirittura, come il suo comporta-mento possa essere ricondotto alla definizione psichiatrica di“Disordine Narcisistico della personalità”.

Tra i suoi detrattori troviamo addirittura due suoi… ammi-ratori. L’apparente contraddizione di questa affermazione è pre-sto spiegata: infatti i filmakers Debbie Melnyk e Rick Cainehanno seguito il regista di Fahrenheit 9/11 per due anni conl’intenzione di raccontare in positivo la sua storia, finendo peròper diventare i suoi principali accusatori: il loro documentarioManufacturing Dissent (Manipolare il dissenso) sbugiardaalcuni dei momenti chiave dei film di Moore. “Politicamentesiamo d’accordo con lui, ma è difficile continuare a pensare alsuo lavoro come a una rappresentazione fedele della realtà: purdi dimostrare le sue idee talvolta Michael è molto spregiudica-to”, ha raccontato Rick Caine.

Naturalmente anche Internet offre un terreno fertilissimoper la discussione anti-Moore e numerosi sono i siti dedicati aquesto scopo. Fra i principali citomoorelies.com, pagina a metàstrada fra il forum e l’archivio giornalistico, che si prefigge loscopo di smascherare colui che viene definito “il più grande

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bugiardo d’America”.In mooreexposed.com oltre a critiche sul personaggio e i

suoi metodi di lavoro si possono trovare parecchi links cherimandano ad altri siti o blog avversi al regista e dove poter tro-vare anche documentari indipendenti girati per screditare le tesisostenute nelle opere di Moore.

Discorso simile a quello portato avanti da un altro sito -moorewatch.com - che, come dichiara il suo sottotitolo, inten-de “spiare ogni singola mossa diMichaelMoore”. In altre paro-le, prendendo a esempio la tecnica usata dallo stesso regista,viene invitato il pubblico a seguire ogni apparizione pubblicadel popolare artista con telecamere, macchine fotografiche eregistratori per smascherarne difetti e comportamenti inappro-priati. I risultati di tali appostamenti vengono poi diffusi sulsito, che accanto a quest’opera di controinformazione si pre-mura di vendere merchandising pro-Bush, come le carte dagioco raffiguranti 52 motivi per rieleggere il Presidente o la T-shirt che dichiara: “La libertà non è gratis, la pace non è bella”.

Il sito bowlingfortruth.com chiese addirittura che venisserevocato l’Oscar per Bowling for Columbine.

Moore è ormai talmente famoso negli States da meritarsiaddirittura un film parodia tutta su di lui. Il 3 ottobre 2008 èuscito negli Usa An American Carol, il film con cui DavidZucker (regista di L’aereo più pazzo del mondo e dei primi dueepisodi di Una pallottola spuntata) mette alla berlina il registaspecializzato negli attacchi a Bush e al proprio Paese.

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AnAmerican Carol è un film satirico e irriverente dedicatoa Michael Moore, noto per i suoi ripetuti attacchi a GeorgeBush e a tutto quanto – a suo avviso – non funzioni inAmerica.Il lungometraggio, una riedizione del classico romanzo Cantodi Natale di Charles Dickens, narra la storia di un regista attivi-sta politico dal piglio antiamericano di nome Michael Malone(interpretato da Kevin Farley, fratello del defunto Chris Farley,star del Saturday Night Live), il quale ha la bizzarra idea di lan-ciare una campagna contro le celebrazioni del 4 di luglio, Festadell’Indipendenza americana, poiché del tutto scontento del suoPaese, del suo passato e del suo presente. Come nell’originalecapolavoro dickensiano, Malone, come fu per EbeneezerScrooge, riceverà la visita di tre spiriti, tre figure chiave dellastoria americana: il presidente George Washington (interpreta-to dal premio Oscar Jon Voight, padre di Angelina Jolie e giàsostenitore di Rudolph Giuliani), il generale George S. Patton(il comico Kelsey Grammer, protagonista della pluridecoratasitcom Frasier, iscritto al partito repubblicano e supporter diJohn McCain), e il presidente John Fitzgerald Kennedy (ChrissAnglin). Tutto questo con l’intento di iniettargli una buona dosedi patriottismo e di mostrargli “il vero significatodell’America”, per citare la trama ufficiale.

Moore è accusato inoltre da più parti, di essere dispotico coipropri collaboratori e dipendenti: un presunto episodio su tuttiriguarda Paul Berman, il saggista di sinistra che ha scrittoTerrore e Liberalismo, il libro sull’ideologia politica che sostie-

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ne sia i fondamentalisti islamici sia i regimi cosiddetti laici delMedio Oriente. Berman è uno col curriculum di sinistra senzapecche: esponente della New Left americana, studioso delSessantotto, ha scritto per riviste antagoniste come MotherJones e per giornali liberal come New Republic, Dissent, NewYork Times Magazine e Los Angeles Times. La storia è laseguente: alla fine del 1985 la più popolare tra le riviste dellasinistra americana, Mother Jones, inviò Paul Berman inNicaragua per fare un lungo reportage sulla rivoluzione sandi-nista. Berman soggiornò a lungo a Managua e girò il paese. Lalunga inchiesta fu pronta nel 1986 e fu uno shock per la sinistraamericana che vedeva nei rivoluzionari di Daniel Ortega un’al-ternativa possibile al capitalismo reaganiano di quegli anni.“Avevo semplicemente scritto - dice oggi Berman - che i san-dinisti erano antidemocratici”. Aggiunse che erano leninisti,che violavano i diritti umani e che non erano in grado di gover-nare l’economia. Mentre Berman era in Nicaragua, però, suc-cesse che la proprietà di Mother Jones - giornale di SanFrancisco che deve il nome alla sindacalista socialista MaryHarris Jones che morì nel 1930 all’età di 100 anni - assunse unnuovo direttore, un trentaduenne proveniente dal MichiganVoice, mensile antagonista con sede nella cittadina di Flint, nelMichigan. Era Michael Moore. Quando il neodirettore Moorelesse l’articolo di Berman pronto per essere stampato decise dicensurarlo, e non lo pubblicò perché sarebbe stato “un regalo aReagan”, il presidente impegnato a contrastare l’Impero del

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Male ovunque, anche in patria, non solo in Europa dell’est.Successe il finimondo, dopo la censura dell’articolo. Scoppiòuna lite furibonda traMoore e l’editore, e la vicenda divenne uncaso nazionale. Finì che, nel settembre del 1986, quattro mesidopo l’assunzione, Moore fu licenziato e cinque giorni dopofece causa al giornale per due milioni di dollari. L’articolo diBerman uscì e Moore si vendicò scatenando una campagna diinsulti e accusandolo di non aver alcun titolo per valutare lasituazione in Nicaragua anche perché, diceva Moore, Bermannon parlava spagnolo. Berman, per smentirlo, gli rispose su ungiornale direttamente in spagnolo. “Capii che era un bulletto,un demagogo, un ignorantone che usava metodi stalinisti, purnon essendo sofisticato come i peggiori vecchi stalinisti sape-vano essere - dice Berman in un intervista - ma aveva talento eriuscì a scatenare una crociata. Ho riso molto quando si èlamentato che qualcuno stava cercando di censurare il suo film.Detto da uno che aveva censurato il mio articolo…”. Sempresecondo i suoi detrattori non c’è mai stato pericolo cheFahrenheit 9/11 venisse bloccato. Sarebbe stato solo uno deitipici colpi di marketing orditi da Michael Moore.

E Moore che dice di tutti questi attacchi? Saggiamente nonse ne preoccupa e anzi, non fa nulla per “oscurare” questa foltaschiera di nemici. In fondo trattasi pur sempre di pubblicità perlui. In alcuni casi se la cava con grande stile, come quandosalva dal fallimento l’acerrimo nemico moorewatch.com conuna donazione anonima. Salvo poi rimarcarlo all’interno del

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film Sicko. Mostrandosi così generoso mettendo in cattiva luceil contestatore. Umanamente parlando poi, pare che Moore nonsia certo una persona facile. Lo ha ammesso perfino BenHamper, operaio della General Motors che collabora con lui findagli inizi della sua carriera, da quando Moore era ancora unosconosciuto 2. Quando Moore lavorava a Tv Nation, i suoi col-laboratori non ebbero vita facile: boicottava chi non era d’ac-cordo con le sue idee estromettendoli dalle riunioni o facendo-li addirittura licenziare. Da più fonti risulta che il pasciuto regi-sta col cappellino in testa sia piuttosto paranoico e veda ovun-que complotti contro di lui. Di conseguenza fa causa ai presun-ti boicottatori, riuscendo peraltro a vincere, qualche volta. “È inquesto modo che è riuscito a finanziare il suo primo film”, dico-no i maligni.

Come abbiamo visto Moore è un personaggio a tutto tondo,e non solo fisicamente. Un personaggio con una visibilità eduna notorietà tali che qualsiasi cosa faccia o dica scateneràpolemiche, dibattiti e discussioni in ogni parte del globo. Lui losa e non fa nulla per tirarsi indietro. Anzi, da abile uomo dispettacolo qual’è tiene sempre accesi l’interesse verso le sueopere e il suo personaggio, creando curiosità attorno ai suoiprossimi obiettivi, perché è sempre interessante sapere qualealtra istituzione cercherà di far vacillare. Perché Moore, primaancora che grande regista, scrittore e comunicatore è un grandeshowman, ed in quanto tale ha tutto l’interesse a mettersi inmostra. E lui, che piaccia o no, sa benissimo come farlo.

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BIOGRAFIA

Michael Moore (nome completo Michael Francis Moore)è nato il 23 aprile 1954 a Davidson, una città satellite di Flint,nel Michigan. La cittadina all’epoca ospitava una delle piùgrandi fabbriche di automobili della General Motors. Crescein una famiglia proletaria irlandese di religione cattolica. Suopadre Frank, assemblatore alla AC Spark Plug, e suo nonnolavoravano in fabbrica, così come la mamma Veronica,segretaria per la GM. Il piccolo Michael frequenta la scuolaparrocchiale St. Mary Seminary che dovrebbe prepararlo adiventare un prete Cattolico. Ma la cosa non fa per lui, quin-di passa alle superiori e frequenta la Davison High School.Per guadagnarsi una medaglia al merito dei boy scout, creauno slide-show in cui racconta quanto e come le attività indu-striali danneggino l’ambiente. È opinione comune credereche questo sia stato l’episodio che ha segnato l’inizio del suoattivismo politico.

A diciotto anni, durante l’ultimo anno delle superiori, sicandida alle elezioni per il comitato scolastico di Flint evince, diventando uno dei più giovani eletti nel paese perricoprire una carica pubblica 3. Dopo il diploma, il suo desti-no sembra segnato come operaio alla General Motors,seguendo le orme del padre e del nonno. Invece, quando arri-va il momento, Moore capisce che la fabbrica non fa per lui.Si iscrive così all’Università del Michigan, ma molto presto

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- e dopo aver sostenuto un solo esame - abbandona gli studi.Nel 1976 comincia a lavorare al giornale alternativo Flint

Voice, che in seguito, sotto la sua direzione cambia il nomein Michigan Voice, diventando uno dei quotidiani controcor-rente più rispettati e ammirati della nazione.

Nel 1985 lavora anche come opinionista radiofonico perla National Public Radio e produce, sempre per la radio, loshow settimanale Radio Free Flint. Nello stesso periodo,Moore accetta il posto di capo-redattore per la grande rivistanazionale di controcultura Mother Jones, di San Francisco.La sua permanenza dura meno di due anni: dopo aver scrittoun articolo controverso sulla GM comincia ad avere screzicon la direzione, e quando si rifiuta di pubblicare un articolocontro i sandinisti del Nicaragua 4, viene licenziato. La vicen-da lo intristisce e lui, per distrarsi, guarda film dalla mattinaalla sera. È proprio in questo periodo di grande difficoltà checomincia a coltivare l’idea di tornare a Flint armato di tele-camera, pensando che il mezzo cinematografico potrebbeconsentirgli di diffondere le sue idee meglio della parolascritta. La molla che lo spinge a passare all’azione scattaquando, guardando i notiziari televisivi, scopre con sorpresache la General Motors, malgrado gli enormi profitti realizza-ti, ha intenzione di chiudere 11 fabbriche, tra cui quella diFlint. Questo gli sembra immorale verso i lavoratori e versola città, ed egli decide di girare un documentario su come lachiusura della fabbrica si rifletta sulla realtà locale. Crede

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ingenuamente di potersene andare in giro in macchina con ilpresidente della compagnia, Roger Smith, e discutere con luiin video degli effetti collaterali delle sue decisioni. Per finan-ziare il film, Moore utilizza quasi tutto il denaro della liqui-dazione ricevuto da Mother Jones, vende la propria casa diFlint ed organizza serate di bingo. Ci vollero tre anni e circaduecentocinquantamila dollari per completare le riprese delfilm. Moore scopre però che incontrare il dirigente non èaffatto un gioco da ragazzi. Senza lasciarsi scoraggiare, tra-sforma le clip dei suoi tentativi falliti di intervistarlo nel filmRoger & Me, un documentario ironico sull’avidità dellegrandi compagnie e delle multinazionali (le corporations).Fino a quel momento i reportage sociali erano stati asciutti edi tono cupo. Invece Roger & Me, malgrado la serietà del-l’argomento, è divertente ed ottiene un lusinghiero successodi critica e pubblico. Il film, infatti, è entrato in più di centoliste dei migliori film dell’anno redatte dai critici americani;ha vinto il premio come miglior documentario del New YorkFilm Critics Circle e del Los Angeles Film CriticsAssociation.

Roger & Me raggiunge una grande popolarità e lancia il“personaggio” Moore: grasso e simpatico, berretto da base-ball sempre in testa, intenzioni di sfondamento camuffate dabuone maniere. Sulla scia di questo successo, Moore fonda ilCenter for Alternative Media, una fondazione dedicata a sup-portare filmmaker indipendenti e gruppi di azione sociale.

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Moore reinventa il modo di fare documentario, proponendouna forma stilistica che rende il genere - spesso consideratodi secondo piano - godibile al grande pubblico. Accanto aivari temi di spinosa attualità, il protagonista dei film diMichael Moore è Moore stesso: vestiti i panni del cittadinoqualunque, assume consapevolmente l’atteggiamento dellosprovveduto che non sa nulla di nulla e se ne va in giro achiedere le cose ai diretti interessati, eludendo così la trafiladelle fonti ufficiali. Quando Moore decide di attaccare qual-cuno, va a bussare alla sua porta anziché contattare il suoufficio stampa. Moore si schiera nelle intenzioni e nei modidalla parte di chi non ha voce, dandogliene una attraverso laforza delle immagini filmate.

Nel 1992 gira un breve seguito di Roger & Me, dal titoloPets or Meat: The Return to Flint in cui torna a filmare glieffetti della disoccupazione nella sua città natale e l’attivitàdella “Bunny Lady” Rhonda Britto 5. Sempre nello stessoanno fa il suo debutto televisivo: dirige un segmento di Rockthe Vote, programma della Fox destinato a sensibilizzare igiovani sull’importanza di andare a votare.

Nel 1994 Moore - con la collaborazione di ColumbiaTriStar TV, BBC e NBC - realizza per la stessa NBC un pro-gramma televisivo, di cui è produttore, regista, autore e con-duttore, dal titolo TV Nation: la serie, che vanta le collabora-zioni di Janeane Garofalo e Steven Wright, riscuote un vastosuccesso di critica, tanto da esser premiata con l’Emmy nella

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categoria Outstanding Informational Series. Ma lo share nonsoddisfa la NBC, che interrompe lo show dopo una stagionesoltanto. Il programma - trasmesso anche in Inghilterra -viene acquistato dalla FOX, ma ancora una volta l’audiencenon raggiunge i risultati sperati, ed il programma viene nuo-vamente cancellato.

In seguito Moore lavora a diversi cortometraggi e nel1995 scrive e dirige un lungometraggio comico con JohnCandy e Alan Alda, intitolato Canadian Bacon, una storiasatirica in cui gli Stati Uniti dichiarano guerra al Canada. Ilfilm viene presentato al Festival di Cannes nella sezione “Uncertain regard”. Purtroppo, anche a causa della morte diCandy, il film affonda in una serie di cause legali e non riescead avere una grande distribuzione.

Per reazione alla tendenza nazionale di ridimensionare legrandi compagnie, nel 1996 Moore scrive Downsize This!Random Threats from an Unarmed American (Giù le mani!L’altra America sfida potenti e prepotenti). Il libro entrasubito nella classifica nazionale dei best-sellers.

L’anno seguente, durante il tour di promozione, il registarealizza un altro documentario, The Big One, sulle disugua-glianze economiche nel paese mostrando al pubblico diconoscere le malefatte delle grandi industrie e dei politiciinsensibili e indifferenti, costringendo una famosa multina-zionale 6 a smettere di impiegare i bambini come forza lavo-ro a basso costo in Indonesia. Il film non riesce ad ottenere

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però lo stesso successo di Roger & Me.Nel 1998 scrive e produce per la CBS la puntata pilota di

Better Days, telefilm comico con James Belushi e ChrisElliott.

Nel 1999 torna alla televisione con The Awful Truth, unosguardo satirico su fatti di attualità, simile a Tv Nation. Nonriuscendo a trovare fondi nazionali per finanziarsi, alla finericeve l’appoggio del canale britannico Channel Four, e loshow viene programmato per due stagioni su Bravo, un cana-le via cavo.

Moore è ormai un protagonista dello scontro sociale negliUSA: viene arrestato durante le riprese del videoclip SleepNow In The Fire della band attivista Rage Against TheMachine che protestava contro la politica di investimentiamericani all’estero, invadendo pacificamente la sede delNew York Stock Exchange.

Indignato dal risultato delle elezioni del 2000 e dall’am-ministrazione di George W. Bush, Moore scrive un altrolibro: Stupid White Man… and Other Sorry Excuses for theState of the Nation! La pubblicazione è programmata perl’autunno 2001, ma dopo gli attentati dell’11 settembre, laHarperCollins ordina all’autore di smorzare i toni polemiciverso il presidente Bush. Lui rifiuta e la casa editrice minac-cia di tagliare alcuni passi del volume senza il suo consenso.Il libro rischia di non venire mai pubblicato, ma Moore ha uncolpo di fortuna: durante una presentazione del suo libro “in

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uscita” spiega la situazione ad un gruppo di librai, e uno diquesti inizia una campagna via e-mail che viene appoggiatada molti suoi colleghi. Tutti considerano l’azione dellaHarperCollins un atto di censura e fanno pressioni perché illibro sia pubblicato senza tagli. Piegandosi alla volontà dellapotente categoria dei librai, la HarperCollins cede ed il libroviene stampato nella primavera del 2002, diventando imme-diatamente un best-seller.

Quello stesso autunno esce Bowling a Columbine, unosguardo critico sull’America delle armi e della cultura dellapaura e della violenza. È il primo documentario ad esserepresentato al festival di Cannes in oltre cinquanta anni, evince il premio della giuria. Inoltre il film vince l’Oscarcome miglior documentario del 2002 e, durante il discorsoalla consegna del premio, Moore si scaglia pesantementecontro il presidente Bush e la guerra in Iraq 7. Il fatto scatenaforti reazioni da entrambe le parti politiche e l’autore si trovaal centro di una vera e propria tempesta politica.

Con questi presupposti, il grande successo cinematografi-co mondiale è dietro l’angolo. Si tratta di Fahrenheit 9/11,un’indagine scottante sulla guerra in Iraq, sul modo in cui ilpresidente affronta l’economia e la lotta al terrorismo, e isuoi stretti rapporti con la famiglia reale saudita e con BinLaden. Tematiche queste, già esposte ed analizzate nel libroDude, Where Is My Country? (Ma come hai ridotto questopaese?), pubblicato nel 2003.

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Il film debutta nella primavera 2004 e vince la Palmad’oro al festival di Cannes, dove riceve una standing ovationdi venti minuti e i complimenti di Quentin Tarantino, presi-dente di giuria. Si tratta del primo documentario ad avervinto questo ambito premio. Ma negli Stati Uniti la WaltDisney proibisce alla sua consociata Miramax di distribuireil film perché il film mette in cattiva luce il governatore dellaFlorida Jeb Bush, favorevole alla costruzione di parchi dellaDisney nel suo stato. Dopo lunghi negoziati i due capi dellaMiramax, Bob e Harvey Weinstein, acquistano il contrattodalla Disney e finalmente il film viene distribuito nel giu-gno del 2004 dalla compagnia dei Weinstein, dalFellowship Adventure Group, dalla IFC Films e dallaLion’s Gate. Con i biglietti già esauriti in prevendita, il filmincassa oltre 20 milioni di dollari nel primo fine settimana.Con 200 milioni di dollari ottenuti nei box-office di tutto ilmondo, il film diventa il documentario che ha guadagnatodi più nella storia del cinema. Nel gennaio del 2005 riceveil People’s Choice Award quale miglior film, votato da ven-tuno milioni di persone.

Nello stesso anno pubblica Will They Ever Trust UsAgain? (Ingannati e traditi), una raccolta di lettere, e-mail emessaggi recapitati a Moore da uomini e donne che combat-tono o hanno combattuto in Iraq.

E sempre nel 2005 il regista americano crea il TraverseFilm Festival, kermesse che si tiene nel Michigan dedicato ai

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film indipendenti 8.Nel 2007 esce Sicko, film che indaga sui problemi del

sistema di assistenza sanitaria statunitense. Anche in questocaso non mancano le polemiche e i problemi per il registache addirittura ha rischiato l’arresto per aver violato le normesull’embargo con Cuba, dove si è recato per girare alcunescene. Anche questo film ottiene la nomination all’Oscar perla categoria Miglior Documentario.

Sempre nel 2007 presenta al Toronto Film Festival ildocumentario Captain Mike Across America, che contiene leimmagini del tour organizzato da Moore per non far rieleg-gere George W. Bush: 62 città in 45 giorni, soprattutto le cit-tadine universitarie, rianimate con show incendiari. Ad unanno di distanza da questa proiezione Moore decide di fareun regalo ai propri fans, e mette il film a disposizione gratui-tamente online per due settimane e, secondo quanto riferitodalla Associated Press, si tratta del primo film di una major aessere distribuito per questa via. Il titolo cambia in SlackerUprising (trad: la rivolta dei fannulloni), prendendo spuntoproprio dal nome del tour.

Attualmente Moore sta lavorando al seguito di Fahrenheit9/11, in cui analizza le scelte politiche dell’amministrazioneBush dopo l’11 settembre. Il film verrà finanziato daOverture Films e Paramount Vantage e dovrebbe uscire nel2009.

Da segnalare l’uscita nelle librerie di Mike’s Election

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Guide 2008: un manuale ironico e pungente per consigliaregli americani in vista della sfida per le elezioni presidenzialitra e il senatore repubblicano John McCain e il senatoredemocratico Barack Obama (che, come è noto, si è aggiudi-cato la corsa alla Casa Bianca). Il lancio del libro spiega per-fettamente le intenzioni dell’autore: “Un tempismo perfettoche coincide con le convention politiche e trae il massimo deibenefici dalla campagna elettorale in corso”.

Moore è sposato con Kathleen Glynn che oltre ad essersua moglie e madre della loro figlia Natalie, è anche produt-trice dei suoi film.