medio oriente: il pianto del muro e i nodi nel futuro - moked

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Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 9 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461 euro 3,00 n. 8 - agosto 2017 | אב5777 SHABBAT REÈ 19 AGOSTO 2017 MILANO 19.23 21.10 | FIRENZE 19.55 20.54| ROMA 19.47 20.45| VENEZIA 19.54 20.53 www.moked.it DOSSIER Sicilia ebraica, la Giornata nell’Isola degli incontri Sergio Della Pergola/ a pag. 23 Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro CULTURA / ARTE / SPETTACOLO Il capolavoro di Franz Kafka nella sua versione autografa sotto gli occhi della grande mostra di Berlino. Segreti e arte di quello che Gershom Scholem considerò l’ultimo cabalista. a pag. 27 IL PROCESSO IN MOSTRA DIASPORA David Bidussa GERUSALEMME Francesco Lucrezi ESAMI Anna Segre BAYREUTH Julia Spinola SIMONE VEIL Delphine Horvilleur OPINIONI A CONFRONTO ------------------------------------ PAGG. 23-26 --------------------------------- Ferrara, il traguardo ora è vicino La visita al Meis del Primo ministro Paolo Gentiloni nei giorni di Redazione Aperta pagg. 2-3 “I dialetti italiani sono poesia ebraica” A colloquio con Sara Natale, la filologa che studia identità e linguaggio a pagg. 6-7 La Taylor-Schechter Cairo Genizah Collection, conservata nella biblioteca universitaria di Cambridge, è la collezione di manoscritti ebraici medievali più vasta e importante al mondo. Una mostra straordinaria mette in luce alcuni frammenti e riporta alla luce spezzoni palpitanti di vita ebraica. Dalle vicende personali alle lettere d’affari, dall’impegno per lo studio alle persecuzioni. alle pagg. 28-29 Cambridge e la Genizah I frammenti della vita Una presenza come parte integrante e imprescindibile della storia del Mediterraneo, e le conseguenze di un editto di espulsione che nel 1492 è andato a colpire migliaia di destini. Le vicende di quella che è stata la comunità più numerosa d'Italia, le difficoltà e la fatica di un percorso di ritorno e di rinascita. E l’appuntamento con la Giornata Europea della Cultura Ebraica, a settembre / pagg. 15-22 L’analista François Heisbourg spiega perché anche la corruzione del linguaggio e dei riferimenti culturali mette a repentaglio la sicurezza delle democrazie. / pagg. 8-9 Battere il terrorismo Geografia e strategia 82% 18% L’82% degli attentatori era già noto alle autorità prima dell’attacco Il 57% aveva trascorsi criminali il 34% è stato in carcere 22 attacchi eseguiti da individui che sono stati in carcere 15 attacchi nei Paesi UE 7 attacchi negli USA

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Page 1: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 9 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461 euro 3,00

n. 8 - agosto אב | 2017 5777

SHABBAT REÈ 19 AGOSTO 2017MILANO 19.23 21.10 | FIRENZE 19.55 20.54| ROMA 19.47 20.45| VENEZIA 19.54 20.53

www.moked.it

DOSSIER

Sicilia ebraica, la Giornata

nell’Isola degli incontri

Sergio Della Pergola/a pag. 23 Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

Il capolavoro di Franz Kafka nella sua versioneautografa sotto gli occhi della grande mostra di

Berlino. Segreti e arte di quello che GershomScholem considerò l’ultimo cabalista.

a pag.27

IL PROCESSO IN MOSTRA

DIASPORADavid Bidussa

GERUSALEMMEFrancesco Lucrezi

ESAMIAnna Segre

BAYREUTHJulia Spinola

SIMONE VEILDelphine Horvilleur

OPINIONI

A CONFRONTO------------------------------------ PAGG. 23-26 ---------------------------------

Ferrara, il traguardo ora è vicinoLa visita al Meis del Primo ministro Paolo Gentiloni nei giorni di Redazione Aperta pagg. 2-3

“I dialetti italiani sono poesia ebraica” A colloquio con Sara Natale, la filologa che studia identità e linguaggio

a pagg.

6-7

La Taylor-Schechter Cairo GenizahCollection, conservata nella biblioteca

universitaria di Cambridge, è la collezionedi manoscritti ebraici medievali più vastae importante al mondo. Una mostra straordinaria mette in luce alcuniframmenti e riporta alla luce spezzonipalpitanti di vita ebraica. Dalle vicendepersonali alle lettere d’affari, dall’impegnoper lo studio alle persecuzioni.

alle pagg. 28-29

Cambridge e la GenizahI frammenti della vita

Una presenza come parte integrante e imprescindibile della storia

del Mediterraneo, e le conseguenze di un editto di espulsione che

nel 1492 è andato a colpire migliaia di destini. Le vicende di quella

che è stata la comunità più numerosa d'Italia, le difficoltà e la fatica

di un percorso di ritorno e di rinascita. E l’appuntamento con la

Giornata Europea della Cultura Ebraica, a settembre / pagg. 15-22

L’analista François Heisbourg spiegaperché anche la corruzionedel linguaggio e deiriferimenti culturalimette a repentagliola sicurezza delledemocrazie. /pagg. 8-9

Battere il terrorismoGeografia e strategia

82%

18%

L’82% degli attentatori era già noto alle autorità prima dell’attaccoIl 57% aveva trascorsi criminaliil 34% è stato in carcere

22 attacchi eseguiti da individui che sono stati in carcere15 attacchi nei Paesi UE 7 attacchi negli USA

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/ P2 POLITICA / SOCIETÀ n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

www.moked.it

ART. 29 – IL RABBINO CAPO

1. Il Rabbino Capo, sulla base delle competenze e del-

le responsabilità che gli sono riconosciute dalla

legge e dalla tradizione ebraica, nell’esercizio delle

sue funzioni di magistero, giurisdizione direzione

del culto e dei servizi religiosi, promuove la vita

ebraica nella Comunità con il sostegno del Consi-

glio e della Giunta. Rappresenta il riferimento etico

e religioso della Comunità e garantisce il rispetto

della legge e della tradizione ebraica nell’attività

della stessa. Guida e indirizza l’educazione ebraica

formale ed informale scolastica, extrascolastica e

nelle altre strutture comunitarie.

2. Il Rabbino Capo (o, se nominato, il Rabbino di ri-

ferimento) interviene di diritto alle sedute del

Consiglio e della Giunta della Comunità con diritto

di parola e deve dare il suo parere su tutte le que-

stioni relative al rito, al culto ed alla istruzione

ebraica.

3. Quando una Comunità rimane priva di Rabbino Ca-

po, il Consiglio è tenuto ad attivare tempestiva-

mente la ricerca per l’opportuna sostituzione. La

Giunta dell’Unione e la Consulta Rabbinica, se ri-

chiesto dalla Giunta della Comunità, devono assi-

stere la Comunità nell’individuazione del Rabbino

Capo.

4. In tale fase transitoria:

a) la Comunità deve assicurare nel modo più ido-

neo i servizi religiosi e di culto, con la collabora-

zione della Giunta dell’Unione e della Consulta Rab-

binica, anche ricorrendo ad un officiante di culto

cui vengano affidate specifiche mansioni, il cui in-

carico venga preventivamente approvato dalla

Consulta Rabbinica;

b) la Comunità, previo parere favorevole della Con-

sulta Rabbinica, può nominare un rabbino di rife-

rimento (che può essere anche Rabbino Capo di

un’altra Comunità, previo accordo con tale Comu-

nità) sulla base di un incarico da definire tra le

parti. In tale caso, le competenze spettanti al Rab-

bino Capo ai sensi del presente Statuto sono eser-

citate dal rabbino così nominato.

5. Più Comunità possono nominare, d’intesa tra loro,

un medesimo Rabbino Capo.

ART. 30 – NOMINA DEL RABBINO CAPO

E PROGRAMMA DI ATTIVITÀ

1. Il Consiglio della Comunità provvede alla nomina

del Rabbino Capo mediante chiamata o concorso.

La delibera di nomina è adottata a maggioranza

assoluta dei membri del Consiglio, previo parere

della Consulta Rabbinica.

2. Il concorso è giudicato da una Commissione di tre

rabbini insigniti del grado di rabbino maggiore

(“Chacham”), uno nominato dal Consiglio della Co-

munità interessata, l’altro dalla Consulta Rabbinica

ed il terzo dal Presidente dell’Unione. La commis-

sione, sulla base dei titoli dei concorrenti e di un

colloquio, forma una terna per ordine di merito

entro la quale il Consiglio sceglie il rabbino da no-

minare.

3. Il Rabbino Capo svolge la sua opera in base alle

competenze che gli spettano secondo lo Statuto

e al suo rapporto di fiducia con la Comunità.

4. Tale rapporto è regolato da apposito contratto in

base alla normativa vigente in materia.

5. Il Rabbino Capo che sviluppi attività ebraiche nel-

l’interesse della Comunità non previste dal pro-

gramma, ne informa preventivamente la Comunità

medesima.

6. In sede di stipula del contratto, e in ogni caso ogni

tre anni, la Comunità e il Rabbino Capo definiscono

e aggiornano – di concerto – un programma di at-

tività cui il Rabbino Capo e la Comunità sono tenuti

ad attenersi.

7. La Consulta Rabbinica è l’organo garante della cor-

rispondenza del programma di attività alla legge

ed alla tradizione ebraiche. Essa comunica il pro-

prio parere sul programma di attività e sulle sue

modifiche entro 30 giorni dalla loro ricezione.

8. La Consulta Rabbinica e la Giunta dell’Unione svol-

Comunità e Maestri, i due articoli dello Statuto rivisti

La settimana ferrarese di Reda-zione Aperta, il laboratorio gior-nalistico promosso dalla redazio-ne dell’Unione delle ComunitàEbraiche Italiane e giunto que-st’anno alla nona edizione, si èchiusa con due appuntamenti isti-tuzionali di alto profilo, entrambifocalizzati sul Meis.Giovedì 20 luglio, nel corso di unblitz a Ferrara, il Presidente delConsiglio Paolo Gentiloni ha in-dicato nel Museo Nazionaledell’Ebraismo Italiano e dellaShoah il piatto forte del program-ma che, ideato dall’archistar Ren-zo Piano, impegna ora il Comi-tato Interministeriale per la Pro-grammazione Economica - CIPEa finanziare il Comune estenseper diciotto milioni di euro. “Ilnuovo progetto di riqualificazionedel quartiere della Darsena, in cuiè centrale il Meis – ha dichiaratoil premier – è tra le priorità delgoverno e rappresenta il pernodel nostro piano di ‘rammendourbano’ delle periferie”. Tra opere di urbanizzazione e in-frastrutturazione (piste ciclabili eparcheggi, reti fognarie e del gas,impianti di illuminazione), le ri-sorse, in arrivo in settembre, ser-viranno a ricucire tra loro moltielementi dell’area che si affacciasu un ramo del Po, con la “Porta

del Meis” a mettere in relazione,attraverso le Mura, il fiume, il na-scente Museo e il centro storico. Se il Presidente del Consiglio ha

manifestato un generale apprez-zamento per questo disegno, si èdetto particolarmente impressio-nato dal fatto che il primo lotto

del Meis sia ormai giunto a com-pimento: “È un pezzo di città chetorna a vivere” – ha affermato,mentre il sindaco Tiziano Taglia-

ni, davanti al plastico che mostrail Museo nella sua veste definitiva(prevista per il 2020), gli illustravail dettaglio del maxipiano, su cuil’Amministrazione punta moltoper elevare la qualità urbanistica,estendere la rete dei collegamentiviari e contrastare la conflittualitàe l’insicurezza. E con la collaborazione del Meis,non a caso proprio dalla Darsenadi San Paolo la redazione del-l’UCEI era salpata un paio digiorni prima, nell’ambito del ca-

“A Ferrara il traguardo è vicino” La visita di Gentiloni, durante Redazione Aperta, e un percorso che porta a tappe spedite verso l’apertura

Nell’immagine in alto il premier Gentiloni davanti al plastico del Meis, insieme a Disegni, Della Seta e Di Francesco. Nelle immagini ilu

sopralluogo condotto dal sindaco Tagliani con Renzo Gattegna insieme ai membri del cda del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano

Page 3: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

/ P3pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017 POLITICA / SOCIETÀ

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Rabbini, ecco cosa cambiaUn vivace confronto, diverse posizioni in campo,una dialettica spesso accesa. Ma alla fine un signi-ficativo messaggio di unità, un lungo percorso chesi conclude nel segno di una volontà comune. Trai punti all’ordine del giorno dell'ultimo Consigliodell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane svol-tosi a Roma, uno dei più delicati riguardava le mo-difiche agli articoli 29 e 30 dello Statuto UCEI conriferimento al rapporto tra dirigenza comunitaria erabbini. La nomina, il programma di attività, la ces-sazione del ruolo, la risoluzione del rapporto al cen-tro di questi articoli, la cui revi-sione è stata approvata a larghis-sima maggioranza (soltanto unvoto contrario e due astenuti)dalla massima assise dell’ebrai-smo italiano. Un voto cui si è ar-rivati al termine di un lungo per-corso diplomatico, condotto ne-gli scorsi mesi congiuntamenteda Giunta UCEI e AssembleaRabbinica Italiana. Tra le principali novità introdotteun programma di attività e di impegni che dirigenzacomunitaria e rabbino dovranno condividere concadenza triennale e la nascita di un comitato di con-ciliazione che sarà chiamato ad esprimersi sulla de-libera di revoca del rav. L’organo sarà composto datre membri: uno dalla Consulta Rabbinica tra imembri dell’Ari, uno dalla Giunta dell’Unione sentitoil Consiglio della Comunità interessata, il terzo, confunzioni di presidente, dal Presidente dell’Unionedopo aver consultato il Presidente dell’Ari. Il comi-tato, è stato inoltre stabilito, svolgerà la sua operadi conciliazione entro 60 giorni dalla sua costitu-zione. Un termine prorogabile una sola volta di 30giorni per giustificati motivi.“C’è grande soddisfazione ad aver portato a terminequesto percorso. Era un tema di cui si parlava e sucui ci si scontrava ormai da diversi anni” afferma il

Consigliere Davide Jona Falco, tra i protagonistidella mediazione. “Un compromesso come quellocui si è arrivati ieri, con un voto pressoché unanime,è decisamente meglio della situazione preesistente.L’importante – aggiunge il Consigliere – è che que-sto voto segni l’inizio di una nuova fase nei rapporticon l’Ari”.Esprime soddisfazione anche il rav Giuseppe Mo-migliano, membro di Giunta dell’Unione. “Il con-fronto di idee è un valore essenziale, come emersochiaramente nel corso del Consiglio. Siamo arrivati

a questo traguardo con difficol-tà, ma è fondamentale esserciriusciti. Prendiamo atto dellarealtà. Una soluzione precon-fezionata per tutti i casi non c’è– sottolinea il rav – i singoliproblemi andranno affrontatiuno a uno”.L’onda lunga del terrorismo,l’antisemitismo sempre più mar-

cato, il percorso di riconoscimento dell’Islam in Ita-lia. Ma anche, sul fronte interno, la sfida della so-stenibilità dell’ente e delle diverse comunità terri-toriali su un piano di gestione, finanziario, culturale,ma anche di risoluzione delle conflittualità. Diversii temi su cui si è soffermata la Presidente UCEINoemi Di Segni nella relazione introduttiva ai lavori. Apertasi con alcune parole di Torah del rav EliaRichetti, la riunione è proseguita con l’approvazionedel Bilancio consuntivo per l’anno 2016.Ad aprire la discussione un approfondito interventodell’assessore competente Guido Guetta, focalizza-tosi in particolare sul cambio di criterio di conta-bilizzazione dell’Otto per Mille da poco varato (dacriterio di competenza a criterio di cassa) e sullepossibilità che si apriranno d’ora in poi, grazie aquesto nuovo principio, nella pianificazione di en-trate e uscite.

lendario di “Redazione Aperta”.Attraverso un insolito itinerariofluviale, i giornalisti di PagineEbraiche hanno potuto scoprireil territorio ferrarese giungendofino alla delizia estense di VillaMensa. La prima di una serie diiniziative che il Museo rivolgeràal pubblico, ponendosi come pun-to di accesso privilegiato alla cittàe ai suoi tesori. Dopo aver fatto gli onori di casacon Gentiloni, nella mattinata divenerdì 21 il primo cittadino diFerrara si è recato di persona alcantiere del Meis, che lo ha “sin-ceramente colpito per lo stato diavanzamento dei lavori e il risul-tato estetico”. A guidarlo lungol’itinerario che si snoda da Ram-pari San Paolo, la ResponsabileUnico del Procedimento, CarlaDi Francesco, il presidente delMuseo Dario Disegni, la direttriceSimonetta Della Seta, la direttricedel cantiere Angela Ugatti e il di-rettore operativo Andrea Frabetti.Per l’occasione, hanno raggiuntoil sito anche gli altri componentidel cda – il vicesindaco MassimoMaisto, l’assessore alla Culturadella Regione Emilia-RomagnaMassimo Mezzetti e Renzo Gat-tegna, ex presidente dell’UCEI –che hanno poi accolto il prefettoMichele Tortora, ringraziandoloper la collaborazione offerta.Tra aree ancora off limits e altregià percorribili, la visita ha con-sentito di spiegare le logiche diaccesso e di percorrenza, l’artico-lazione degli spazi e alcune dellecaratteristiche che il Meis comin-

cia a rivelare: dall’acciaio lucido,a specchio, dei parapetti intornoal ballatoio, alle resine biancheposate sui pavimenti del primo edel secondo piano, con la variantealla veneziana – un legante grigiopunteggiato da inserti bianchi –al piano terra; dai corpi illumi-nanti e gli infissi in corso di in-stallazione alle travi in legno, sot-toposte a décapage e imbiancateper armonizzarle con l’ambientecircostante e mantenere le super-fici neutre, “visto che il colore do-vrà venire in senso letterale e me-taforico dai contenuti che riem-piranno il Museo” – ha sottoli-neato Di Francesco.Il futuro usato dalla Di Francescoè, in realtà, un tempo molto pros-simo. Come ha chiarito Della Se-ta: “Quella di trasformare un car-cere in un museo è una sfidacomplessa e importante, ma or-mai ci siamo: la consegna delblocco C è fissata per il 25 agostoe il 18 settembre inizieranno gliallestimenti del nuovo percorsoespositivo 'Ebrei, una storia ita-liana. I primi mille anni', che verràinaugurato il 13 dicembre”.Una data da segnare in agenda,anche perché – ha rilevato Maisto– “andiamo a studiare i musei ingiro per l’Europa, quando ne ab-biamo uno così in casa. E pensareche non più tardi della campagnaelettorale del 2014, nel corso diun incontro pubblico, ci fu chipronosticò ‘Non lo finirete mai!’.Peccato che stia venendo fuori ungioiello…”.

Daniela Modonesi

gono, su richiesta di una Comunità o di un Rabbino

Capo, ogni opportuno intervento per risolvere

eventuali divergenze tra Comunità e Rabbino Capo

per la formulazione o attuazione del programma

di attività.

ART. 30-BIS – CESSAZIONE DEL RABBINO CAPO

1. Il rapporto di lavoro tra il Rabbino Capo e la Co-

munità può essere risolto per mutuo consenso,

per dimissioni del Rabbino Capo, per pensionamen-

to e nei casi di seguito previsti.

2. Qualora il Rabbino Capo tenga comportamenti in-

compatibili con l’esercizio delle sue funzioni ai

sensi dell’art. 29.1 dello Statuto, ovvero non ri-

spetti, in modo sostanziale, la parte a lui spettante

del programma di attività, ovvero commetta gravi

inadempienze al contratto di lavoro, il Consiglio

della Comunità, a maggioranza assoluta dei suoi

componenti, sentito personalmente l’interessato,

qualora intenda procedere alla revoca del Rabbino

Capo, deve preventivamente ricorrere alla proce-

dura di conciliazione di seguito prevista.

3. A tal fine, viene costituito un Comitato di conci-

liazione/ arbitrale, composto da tre membri, da

nominarsi entro 30 giorni: uno dalla Consulta Rab-

binica tra i membri dell’ARI, uno dalla Giunta del-

l’Unione sentito il Consiglio della Comunità inte-

ressata, il terzo, con funzioni di presidente, dal

Presidente dell’Unione dopo aver consultato il Pre-

sidente dell’ARI. Il Comitato svolge la sua opera di

conciliazione entro 60 giorni dalla sua costituzio-

ne, termine prorogabile una sola volta di 30 giorni

per giustificati motivi.

4. Ove la conciliazione riesca, viene redatto un pro-

tocollo d’intesa tra la Comunità e il Rabbino Capo,

che precisa i termini del programma d’attività del

Rabbino Capo e le azioni a suo sostegno che la Co-

munità si impegna a svolgere.

5. Ove la conciliazione non riesca, se il Comitato di-

chiara che sussistono le circostanze invocate dal

Consiglio della Comunità, quest’ultimo – a mag-

gioranza di due terzi dei suoi componenti – può

deliberare la revoca del Rabbino Capo, entro 90

giorni dalla trasmissione della decisione del Comi-

tato. La delibera di revoca è immediatamente co-

municata alla Consulta Rabbinica e alla Giunta

dell’Unione.

6. Ove invece il Comitato dichiari che non sussistono

le circostanze invocate dalla Comunità, quest’ul-

tima non può assumere la delibera di revoca. In

tal caso, la comunità potrà comunque attivare

nuovamente la procedura di revoca di cui al pre-

cedente comma 2 e seguenti.

7. La decisione del Comitato è immediatamente co-

municata alla Comunità, alla Consulta Rabbinica e

alla Giunta dell’Unione.

8. La procedura di conciliazione può essere avviata

altresì dal Rabbino Capo nel caso in cui ritenga

che sussistano inadempienze da parte della Comu-

nità.

ART. 30-TER – RISOLUZIONE DEL RAPPORTO

1. La cessazione delle funzioni di Rabbino Capo com-

porta la risoluzione del rapporto contrattuale.

2. La Comunità può recedere dal rapporto di lavoro

in essere con il Rabbino Capo a far tempo dal com-

pimento del suo settantesimo anno di età, con

preavviso di sei mesi, e delibera assunta dalla mag-

gioranza assoluta dei consiglieri in carica. La Co-

munità ed il Rabbino Capo potranno concordare

per il futuro diverse forme di collaborazione, me-

diante differenti tipologie contrattuali.

NORME TRANSITORIE

1. Le modifiche degli articoli da 29 a 30-ter dello Sta-

tuto si applicano anche ai rapporti in essere al

momento della loro entrata in vigore, fatte salve

le eventuali previsioni più favorevoli previste nei

contratti in essere a tale data, che continuano ad

essere efficaci fino al loro termine.

2. Tali modifiche non comportano di per sé maggiori

oneri economici per le Comunità né variazioni in

aumento o diminuzione dei trattamenti economici

previsti dai contratti in essere.

3. Le modifiche relative al programma di attività di

cui all’art. 30 comma 6 si applicano solo successi-

vamente alla definizione del primo programma di

attività, di concerto tra la Comunità ed il Rabbino

Capo. Tutte le altre disposizioni degli articoli da

29 a 30-ter dello Statuto, così come modificati,

sono di immediata applicazione.

Page 4: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

smo. Una svolta locale, ancor piùsignificativa perché arriva da unMeridione che già da tempo of-fre significative testimonianze dirisveglio e di rinascita”. Questele parole con cui la Presidentedell’Unione delle ComunitàEbraiche Italiane Noemi Di Se-gni ha commentato in gennaiola decisione dell’arcivescovo diPalermo, monsignor CorradoLorefice, di concedere in como-dato d’uso gratuito un oratoriodi proprietà ecclesiastica, l’Ora-torio di S. Maria del Sabato, chesorge nell’area un tempo occu-pata dell’antica zona ebraica del-

la Guzzetta e della Meschita.Spazio che, prossimamente, di-venterà un luogo di culto e stu-dio per gli ebrei siciliani e che èal centro dello speciale dossiersulla Sicilia ebraica curato all'in-terno del giornale da Ada Tre-ves. Il tema, che unisce ideal-mente tutti gli eventi della Gior-nata, è “La Diaspora. Identità edialogo”. Uno spunto per scopri-re la storia dell’esilio del Popoloebraico, durato quasi due mil-lenni, a seguito delle due Dia-spore dalla terra d’Israele occorsenell’antichità, e poi ulteriormentedisperso con l’espulsione dalla

Spagna e dai domini spagnoli,Sud Italia incluso, iniziata nel1492. Fenomeni la cui dolorosacomplessità ha dato vita, al con-tempo, a importanti espressioniidentitarie all’interno dell’ebrai-smo, contribuendo in modo so-stanziale alla creazione del mel-ting pot culturale che lo carat-terizza oggi.In Sicilia, regione prescelta qualecentro delle iniziative, si svolge-ranno eventi in sei diverse loca-lità. L’apertura ufficiale dellaGiornata avverrà a Palermo, do-ve si darà il via all’intera mani-festazione nazionale, alla presen-

za delle autorità e di esponentidel mondo ebraico. Queste le ottantuno località, di-vise per Regione, che partecipa-no in Italia alla Giornata. Cala-bria: Bova Marina, Cosenza, Cro-tone, Reggio Calabria, San Gior-gio Morgeto, Santa Maria delCedro, Vibo Valentia; Campania:Napoli; Emilia Romagna: Bolo-gna, Carpi-Fossoli, Cento, Cor-reggio, Cortemaggiore, Ferrara,Finale Emilia, Fiorenzuola d’Ar-da, Lugo di Romagna, Modena,Parma, Reggio Emilia, Soragna;Friuli Venezia Giulia: Gorizia,Trieste, Udine; Lazio: Ceprano,Fiuggi, Fondi, Roma; Liguria:Genova; Lombardia: Bozzolo,Mantova, Milano, Ostiano, Sab-bioneta, Soncino, Viadana; Mar-che: Ancona, Fano, Jesi, Pesaro,Senigallia, Urbino; Piemonte: Ac-qui Terme, Alessandria, Asti,Biella, Carmagnola, Casale Mon-ferrato, Cherasco, Chieri, Cuneo,Ivrea, Moncalvo, Mondovì, Pom-ponesco, Rivalta Bormida, Saluz-zo, Torino, Trino Vercellese, Ver-celli; Puglia: Bari, San NicandroGarganico, Taranto; Sicilia: Agi-ra, Catania, Modica, Palermo,Ragusa (Camarina), Siracusa;To-scana: Firenze, Livorno, Pisa, Pi-tigliano, Siena, Viareggio; Tren-tino Alto Adige: Merano; Vene-to: Padova, Venezia, Verona, Vi-cenza, Vittorio Veneto.

/ P4 POLITICA / SOCIETÀ n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

www.moked.it

Domenica 10 settembre torneràl’appuntamento con la GiornataEuropea della Cultura Ebraica,la manifestazione che invita lacittadinanza a scoprire luoghi,storia e tradizioni degli ebrei intrentacinque Paesi d’Europa.L’appuntamento, giunto alla di-ciottesima edizione, coordinatoe promosso in Italia dall’Unionedelle Comunità Ebraiche Italia-ne, è in continua crescita: sonoben ottantuno quest’anno le lo-calità che aderiscono nel nostroPaese, sette in più dello scorsoanno. A comporre, da nord asud, dalle grandi città ai piccolicentri, il mosaico di una giornataa porte aperte, che intende fa-vorire la scoperta del patrimonioculturale ebraico, con visite gui-date a sinagoghe, musei e antichiquartieri ebraici, e con centinaiadi iniziative tra concerti, spetta-coli, conferenze, visite archeolo-giche, mostre e assaggi di cucinacasher.Città capofila dell'edizione 2017è Palermo, al centro di moltepliciiniziative che la stanno facendotornare luogo di identità ebraicaviva a oltre cinque secoli dall'in-famante editto di espulsione si-glato dai regnanti di Spagna chedecretò lo sradicamento di unapresenza sull'isola."Un evento storico e importantenei rapporti tra Chiesa ed Ebrai-

Sicilia, c’è un futuro da scrivereLa Giornata Europea della Cultura Ebraica riparte da Palermo, città capofila dell’edizione 2017

Romano, 44 anni, laurea in Ingegneria

e un titolo di maskil ottenuto diversi

anni fa, Gadi Piperno ha conseguito da

questo mese di luglio la qualifica di cha-

kham (rabbino maggiore) al termine di

un impegnativo percorso di studio.

Tra i principali protagonisti del risveglio

d'interesse verso l'ebraismo nel Meri-

dione d'Italia, il neo rav lavora all'Unio-

ne delle Comunità Ebraiche Italiane al-

l'interno dell'area Formazione e Cultura

diretta da rav Roberto Della Rocca.

Alla presenza della commissione com-

posta dal direttore rav Riccardo Di Se-

gni, da rav Alberto Piattelli, rappresen-

tante della Presidente dell’UCEI, da rav

Alfonso Arbib, membro della Consulta

rabbinica, e dai docenti di Talmud e Ha-

lakhah (la Legge ebraica) rav Gad Eldad,

rav Beniamino Goldstein e rav Ron Klop-

stock, rav Piperno ha esposto i libri bi-

blici di Ezrà e Nechemià, da lui scelti

per l’esame finale, evidenziando fra l’al-

tro alcune analogie fra il ritorno a Sion

dopo l’esilio babilonese e il movimento

sionista del Novecento, per passare poi

alla discussione di un brano del Talmud

del trattato di Ketubbot riguardo ai di-

ritti della moglie.

A seguire, come ha raccontato sui no-

stri notiziari quotidiani rav Gianfranco

Di Segni, coordinatore del Collegio Rab-

binico Italiano, l’esposizione di risposte

su quesiti halakhici posti al candidato

una settimana prima sulle regole dello

Shabbat, sul diritto matrimoniale e su

alcune complessità poco note del divie-

to di prestare a interesse. La sessione

pomeridiana dell'esame è iniziata con

la discussione della tesi, dedicata a rav

David Pardo, una delle glorie rabbiniche

dell’ebraismo italiano dei secoli scorsi.

"Rav Pardo ci ha lasciato in eredità mol-

ti scritti e pensieri, diventando un pun-

to di riferimento per l'Italia e per l'in-

tera regione balcanica. Sono molto or-

goglioso di essere un discendente di-

retto di una figura così straordinaria"

sottolinea rav Piperno.

Il neo rav ha poi esposto alla commis-

sione cosa si proporrebbe di fare per

individuare e risolvere le criticità del-

l’ebraismo italiano e infine si è cimen-

tato in una prova di derashà, discorso

pubblico, sul divieto della maldicenza,

rilevando quanto sia importante par-

larne oggi, in un momento in cui i social

network alimentano a dismisura questo

problema. Rav Piperno ha ricevuto il

massimo dei voti, 110/110 con una spe-

ciale menzione per la tesi.

È stata una settimana particolarmente

intensa, per il Collegio Rabbinico, quella

conclusasi con l'assegnazione del titolo

di chakham al neo rabbino. "Dapprima

gli esami annuali dei diversi corsi, quel-

lo medio (Maskil e Bagrut) e il corso su-

periore, in cui numerosi allievi e allieve

hanno sostenuto con successo e in al-

cuni casi molto brillantemente le prove

scritte e orali" spiega rav Di Segni. Tra

cui Grazia Gualano, artefice di molte ini-

ziative a Sannicandro Garganico. Prima

di rav Piperno, l'ultimo studente a con-

seguire questo titolo è stato rav Jacov

Di Segni nel 2015. Nell'occasione aveva

tra gli altri esposto il libro di Shemot

commentato da rav Umberto Cassuto e

discusso una tesi in lingua ebraica dal

titolo “Rav Menachem (Emanuel) Azaria

Meir Castelnuovo: vita e opere”.

Un nuovo rav per l’Italia ebraica

Nell'immagine a destra il re-u

gistro con l'editto di espul-

sione di ebrei dal regno di

Spagna del 1492, scritto in sici-

liano volgare. A firmare il

provvedimento il 31 marzo di

quell'anno a Granada furono

Ferdinando d’Aragona e Isa-

bella di Castiglia.

A Palermo il provvedimento di-

venne esecutivo nel gennaio

dell'anno successivo, ponendo

fine a una storia plurisecolare.

In occasione del 524esimo an-

niversario dell’espulsione dal-

l’isola, lo scorso inverno, è

stata annunciata la conces-

sione di uno spazio di pro-

prietà della curia ad uso

ebraico.

foto

: San

dro

Riot

ta

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/ P5pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017 POLITICA / SOCIETÀ

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Clima esplosivo

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È stato un luglio di grande tensione aGerusalemme. Un mese segnato daazioni di disordine pubblico, atti di ter-rorismo, violenze nelle strade e morteportata persino nelle abitazioni pri-vate. L'incitamento di Hamas, il gruppoterroristico al governo della Striscia diGaza, sembra raccogliere sempre piùconsensi tra i palestinesi (giovani emeno giovani). "Guerra santa" hannochiesto i leader di Hamas, di cui appa-iono evidenti le finalità in questa caldaestate mediorientale. La situazione ap-pare così sempre più esplosiva, comeracconta anche il disegnatore MichelKichka in questa sua efficace vignetta.

Redazione Aperta, laboratorio su futuro e risorse

GIORNALISTA PROFESSIONISTA

Tessera rossa anche perFrancesca Matalon, milane-se, 26 anni, divenuta nelmese di luglio giornalistaprofessionista. Francesca, che ha compiu-to il praticantato nella re-dazione dell’Unione delle

Comunità Ebraiche Italiane, è quindi un’altra giovane ebrea ita-liana a entrate nel mondo dei giornalisti italiani attraverso questopercorso. Si tratta in questo caso della ottava esperienza di pra-ticantato giornalistico a svolgersi in seno alla redazione UCEI. Unnono praticantato, quello della ferrarese Daniela Modonesi, èattualmente in corso. Un grande Mazal Tov a Francesca, che sta anche proseguendonei suoi studi universitari, da tutti i colleghi della redazione!

Francesca, Mazal Tov!

Cultura, futuro, risorse. E nuovevie da esplorare. Ad aprire legiornate di Redazione Aperta aFerrara un itinerario in battellolungo il fiume che lambisce lastruttura del nuovo Museo del-l’ebraismo italiano e della Shoah(Meis). Un’area di promettentesviluppo da riscoprire, che nelleore immediatamente seguente sa-rebbe stata visitata dal Primo mi-nistro Paolo Gentiloni. E unesperimento affascinante, con de-stinazione Villa Mensa, ideatodalla direttrice del museo Simo-netta Della Seta. “Questi itinerari lungo il fiumesono una possibilità per scoprirele bellezze del territorio colle-gandole alla storia ebraica locale.Sono infatti uno spunto per rac-contare il legame degli ebrei conquesti luoghi e con il Po e allostesso tempo, più in generale,sono anche una metafora del-l’ebraismo, che naviga costante-mente verso il futuro, che, pro-prio come il fiume, è sempre inmovimento nel tempo e nellospazio” ha sottolineato nell'oc-casione Della Seta. La possibilitàdi raggiungere per via fluviale ilMeis, ha quindi aggiunto, èun’opportunità per aprire la por-ta a progetti che facciano nasce-re itinerari culturali a più ampiospettro che mettano in relazioneil museo con il fiume.La prima parte dei lavori di Re-dazione Aperta a Ferrara, il se-minario giornalistico di forma-zione e incontro organizzato dal-la redazione UCEI tra la cittàestense e Trieste, dedicato nelsuo avvio a un confronto tra igiornalisti della redazione UCEIe alcuni protagonisti dell’infor-mazione locale. Nelle redazionidi Resto del Carlino, Nuova Fer-rara e Telestense, ospiti dei diversigruppi di lavoro, l’interrogativo

è stato centrale in una serie di ri-flessioni e opportunità di colla-borazione pensate insieme alMeis, il Museo Nazionale del-l’Ebraismo Italiano e della Shoahche procede spedito verso l’inau-gurazione candidandosi ad essereformidabile polo di cultura e di-vulgazione ebraica e che ha ospi-tato la prima settimana di labo-ratorio.Una storia plurisecolare lega gliebrei a Ferrara: una storia che al-terna integrazione, sviluppo cul-turale e partecipazione alla vitacittadina a vessazioni, emargina-zione e tradimenti. A raccontareai partecipanti a Redazione Aper-ta il complesso passato dell’ebrai-smo ferrarese, Luciana Roccas

Sacerdoti assieme a Michele Sa-cerdoti, già presidente della Co-munità ebraica locale. Cuore del-l’incontro, la sinagoga di via Maz-zini. Nei locali del Meis invece unconfronto con Giovanni Carradae Manuela Fugenzi, responsabilidella videoinstallazione immer-siva che aprirà il percorso espo-sitivo del museo. Lo scopo del-l’installazione è chiaro: offrireun’esperienza introduttiva, capacedi dare ai visitatori il senso gene-rale della storia e delle esperienzeebraiche, una sorta di mappa chepermetta poi di contestualizzare,di cogliere al meglio il senso e isignificati di quanto offerto dalpercorso museale.

Carrada, laureato in Scienza Bio-logiche, con una grande esperien-za nel campo della comunicazio-ne scientifica – è tra gli autori diSuperquark ed è stato responsa-bile scientifico di Rai Expo e hacurato varie mostre e allestimentidi arte contemporanea – è re-sponsabile dello script, e ha rac-contato alla redazione di PagineEbraiche come abbia passatomesi a leggere, studiare, docu-mentarsi. “La cosa più difficile,che è stata però per me anche lapiù bella e la più interessante èstata soprattutto ripercorrere unastoria millenaria e ricca comequella ebraica con gli occhi di ungruppo a cui io non appartengo.È un’esperienza – ha affermato

Carrada – che a mio parere do-vrebbero fare tutti almeno unavolta nella vita”. Ha poi spiegatocome abbiano ritenuto importan-te soprattutto dare un senso ge-nerale della storia, delle tradizionie della cultura ebraica, in mododa far nascere la curiosità, la vo-glia di capire, di approfondire.Manuela Fugenzi, giornalista,photo editor, responsabile dellaricerca iconografica, ha specifi-cato come l’immagine debba es-sere immediatamente compren-sibile, capace di parlare da sola.“Siamo in un mondo sempre piùmultimediale: non abbiamo piùsolo l’immagine fissa, ma abbia-mo molti elementi che sarannoin movimento, a partire dai fil-mati d’epoca, che si mescoleran-no a filmati contemporanei, suo-no, musica, e ovviamente mol-tissime immagini. Si tratta di uncontesto molto differente daquello della carta stampata, maanche da quello dei video a cuisiamo normalmente abituati”.Oltre alle visite guidate che han-no presentato alla redazione sial’avanzamento dei lavori chel’area già aperta al pubblico –“Lo Spazio delle Domande” èun allestimento che coinvolgesia le sale espositive di Via Pian-gipane che il giardino interno –si è tenuto tra gli altri un incon-tro con Massimo Acanfora Tor-refranca. Durante l’incontro, in-titolato “Musica – musicheebraiche: un mare di trasforma-zioni” il noto e affermato musi-cologo ha condotto il pubblicogiunto ad affollare la sala delMeis lungo un affascinante per-corso che ha saputo scuoteremolte certezze, offrendo in cam-bio una ricchezza di spunti esuggestioni che in molti hannochiesto di poter approfondire insuccessivi incontri.

Alcuni momenti di Redazione Aperta, la cui prima settimana è stata organizzata insieme al Meisu

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/ P6 INTERVISTA n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

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Raffaella Di Castro

Quante poesie dialettali inedite,impreziosite di parole ebraiche,giacciono dimenticate nelle sof-fitte o nelle scatole dei ricordidegli ebrei italiani? Chi rinvenisseversi dei propri avi, con questecaratteristiche, è pregato di scri-vere a [email protected] e [email protected], per collaborarealla pubblicazione di un’antolo-gia che si intitolerà Poesia dia-lettale degli ebrei d’Italia (dal-l’Unità al secondo dopoguerra).Questo curioso appello si trovasul sito dell’editore il Cubo(www.ilcuboeditore.com), spe-cializzato in dialettologia e storiadella lingua italiana, ed è firmatoda Sara Natale, giovane filologa,assegnista di ricerca presso l’Isti-tuto del CNR – Opera del Vo-cabolario Italiano (con sede al-l’Accademia della Crusca), cheha recentemente partecipato alconvegno “Le lingue degli ebrei.Problemi e metodi” (UCEI-Cen-tro Bibliografico, Roma, 7-8 giu-gno 2017).Con questo progetto – chel’UCEI è lieta di patrocinare epromuovere – e dunque conun’ulteriore apertura alla ricercae alla riflessione, si chiude il tema“Le lingue e i dialetti ebraici”che, per desiderio della Presiden-te Noemi Di Segni, dalla già ric-ca Giornata Europea della Cul-tura Ebraica del 18 settembre2016, è stato il filo conduttoredi molte iniziative dell’UCEI du-rante tutto il corso dell’anno. Ini-ziative che hanno testimoniatola centralità della questione dellelingue per la storia, la cultura el’identità dell’ebraismo e dellasua diaspora (tema della prossi-ma Giornata della Cultura). Nonsolo dalla moderna filosofia dellinguaggio, ma già dagli antichitesti biblici e talmudici, appren-diamo che il linguaggio, anzichésemplice strumento formale epassivo, è esso stesso generativodi pensiero, senso, realtà, azioneed etica. “Morte e vita sono inpotere della lingua”, leggiamonei Proverbi, XVIII,12; la maldi-cenza è, per i maestri talmudici,

Quando il trentenne Annibale Gallico comin-cia a scrivere le sue Storie vecie, i portoni delghetto sono stati abbattuti da più di un se-colo, dopo esser stati serrati e disserrati, alcrepuscolo e all’alba, per quasi duecento anni.Si erano chiusi per la prima volta nel febbraiodel 1612. […] Da quel momento le contradedel Cammello e del Grifone, nel cuore dellacittà, erano diventate il domicilio coatto deglioltre duemilatrecento sudditi di religioneebraica.Quando il 21 gennaio 1798 i portoni delghetto vengono abbattuti e dati alle fiamme innome dei principî egalitari e libertari dellaneonata Repubblica Cisalpina, cominciaanche per gli ebrei di Mantova (appena 1898,

secondo il censimento dell’anno successivo)«la sfida dell’uguaglianza».«Da questo momento il quartiere del ghettoinizia a morire, sia fisica-mente che socialmente». Dopopochi decenni, infatti, la mag-gior parte delle famiglie ebrai-che agiate trasferisceresidenza e attività fuori dalperimetro angusto, e immu-tato da due secoli, del vecchioghetto. […] In nome del-l’igiene, della viabilità e dellapubblica sicurezza le autoritàcominciano una scellerata politica urbanisticache porterà […] alla distruzione di un quar-

tiere storicamente e culturalmente molto im-portante per la città. […] Lo sventramento del1904-1905, che interessava tutte e quattro le

sinagoghe ancora in vita, viene an-nunciato in toni trionfalistici anchedalla «Gazzetta di Mantova» […].La vasta area interessata dalle de-molizioni (5800 m2) rimarrà alungo deserta e verrà chiamata daimantovani “Piazza Sventramento”.[…] Ma se questo fu l’atto più bru-tale dello scempio urbanistico diinizio secolo, non fu certo l’ultimo.Solo la morte impedì ad Annibale

Gallico di assistere ai preparativi della distru-zione di quel che rimaneva del ghetto, comin-

Mantova, il linguaggio della memoria

Tra Otto e Novecento gli ebrei italiani – da molto tem-po non piu bilingui e nella maggior parte dei casi stan-ziati nella penisola da secoli – in contesti informaliparlavano ancora dialetti moderatamente farciti diparole ebraiche, a volte identiche a quelle dei testisacri, piu spesso trasformate, nel suono e nel signifi-cato, dal contatto con le parlate locali. Cittadini ita-liani a tutti gli effetti, conservavano tuttavia un’iden-tita culturale in cui, dopo secoli di diaspora e di vitanei ghetti, l’orgoglio per l’emancipazione si mescolavaalla fierezza per la propria diversita, il forte senso diappartenenza alla comunita locale e nazionale a unineliminabile residuo di estraneita, o meglio di fami-liarita con le comunita ebraiche radicate altrove. Am-bivalenti sono anche i dialetti “giudeo-italiani”, varietàin cui l’ebraico biblico si abbassa a descrivere una

quotidianita umile, fatta di minuti aneddoti locali efamiliari, innalzati da parole solenni originariamenteusate per eventi epocali, universali. In queste parlategnolam e kasser diventano sinonimi: al centro del-l’universo (gnolam) c’e quel che resta del ghetto (kas-ser), con i suoi angusti cortili e i suoi indimenticabiliabitanti. In questo universo pericolante, in cui la “bu-fera” e solo un presagio e gli sventramenti degli an-tichi quartieri ebraici una realta quotidiana e simbo-lica, non pochi ebrei colti, anche per salvare ideal-mente dalla distruzione i luoghi e le memorie cheportano in se, compongono versi in una lingua an-ch’essa in via di estinzione, minacciata dall’avanzatadell’italiano e dall’abbandono delle tradizioni avite.Nel 2007 tornano alla luce, sotto forma di tesi di lau-rea, i due quaderni autografi con le poesie, quasi in-

teramente inedite, di Annibale Gallico (1876-1935), unmedico ebreo mantovano che come altri della sua ge-nerazione – primo fra tutti il romano Crescenzo DelMonte (1868-1935) – fissa in versi facili, e non di radofelici, il dialetto parlato dalle famiglie ebraiche dellasua citta. Dalla soffitta milanese del nipote, passandoper l’universita di Pavia, nell’arco di qualche anno lepoesie “giudeo-mantovane” di Gallico arrivano all’Ac-cademia Nazionale dei Lincei. Quante di queste poesiedialettali impreziosite di parole ebraiche sono ancoranelle scatole dei ricordi? Questo e quello che vorrem-mo scoprire per poter pubblicare un’antologia di poe-sia dialettale degli ebrei d’Italia (dall’Unita al secondodopoguerra) ricca di testi inediti.

Sara Natale e il Cubo editore

peccato tanto grave quanto l’ido-latria (TJ, Péa, I, 1).Oltre al convegno sopra men-zionato, il Centro Bibliograficosi è fatto promotore anche diquello su “Yafet nelle tende diShem. L’ebraico in traduzione”(28-29 settembre 2016), in oc-casione dell’uscita del primo vo-lume del Progetto di traduzionein italiano del Talmud babilone-se, Trattato Rosh haShanà(Giuntina 2016), e della tavolarotonda sul rapporto tra parolae immagine, dal titolo “Pesach:segni e sogni di libertà”, in oc-casione della mostra di incisionidi Vittorio Pavoncello (6 aprile2017). A maggio l’UCEI ha inol-tre avviato due Ulpan online cheseguono il programma della He-brew University (Rothberg In-ternational School) e preparanoall’esame di certificazione dellastessa Università. Infine, è tuttorain esposizione presso il LiceoRenzo Levi l’edizione italiana, acura dell’UCEI, dei pannelli sulleLingue Ebraiche, inviati dallaNational Library of Israel peruna mostra al Centro Bibliogra-

fico in occasione della GiornataEuropea della Cultura Ebraica.Questi pannelli hanno ispiratoun gruppo di studentesse del pri-mo liceo nell’ideazione di unquiz da usare come materiale di-dattico per tutte le classi.La ricerca di Sara Natale è co-minciata, nel 2006, con la sco-perta dei manoscritti delle Storievecie, una raccolta di poesie in“giudeo-mantovano”, scritte daun suo avo, il medico AnnibaleGallico (1876-1935), e pubblicate

dalla studiosa nel 2014, per i tipidell’Accademia Nazionale deiLincei.

Sara Natale, è dunque dai tuoi

stessi ricordi di famiglia che nasce

il progetto di una raccolta e pub-

blicazione di inediti di poesie dia-

lettali “giudeo-italiane”? Ci puoi

raccontare come hai scoperto i

manoscritti del tuo antenato e in

che modo ricerca scientifica e per-

sonale si sono intrecciate?

Non li ho propriamente scoperti,

se ne conosceva già l’esistenza,ma gli studiosi che mi hannopreceduto avevano pubblicatosolo 6 delle 83 poesie di Anni-bale Gallico. Nel giugno 2006proposi di scrivere una tesina suldialetto degli ebrei mantovaniper un corso all’Università di Pa-via. Già allora lo studio e i ricordifamiliari si intrecciavano: l’ideami era venuta perché sapevo damia madre che mio nonno,ebreo di Mantova, usava parolecome sciafelenta, caserut, colo-mot. Nella scarsa bibliografiasull’argomento veniva ripetuta-mente citato, come poeta dilet-tante, questo Annibale Gallicoche scoprii essere il fratello dellamia bisnonna. Ho incontrato l’omonimo nipo-te, proprietario dei manoscritti,e dalla lettura dei 6400 versi alladecisione di presentare come tesidi laurea l’edizione critica e com-mentata di queste poesie il passoè stato breve e molto intensol’anno che è seguito. Ho frequen-tato il Centro di Documentazio-ne Ebraica Contemporanea diMilano e il Centro Bibliografico

Il dialetto è poesia ebraicaLa filologa Sara Natale e il suo impegno per salvare antiche poesie vernacolari inedite

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dell’UCEI, per conoscere il piùpossibile l’ebraismo mantovanoe italiano tra Otto e Novecento,e ho consultato i registri anagra-fici della Comunità ebraica diMantova, per dare un nome aipersonaggi delle poesie (moltidei quali uccisi nei lager). Nel2014 la tesi è diventata un libro,per cui Cesare Segre, che avevaseguito il lavoro fin dall’inizio,ha scritto una prefazione moltosentita.

Sara Natale, che contributo dareb-

be la vostra antologia al comples-

so dibattito sulle “lingue degli

ebrei”, tuttora molto vivo, come

abbiamo visto nel recente conve-

gno organizzato dall’UCEI?

È sempre difficile, all’inizio diuna ricerca, fare previsioni suquello che si troverà. Di sicuro,però, gli studiosi delle cosiddette“giudeo-lingue” o “lingue giudeo-x” o meglio ancora “lingue degliebrei” – problematiche fin dal-l’etichetta con cui le si designa– avrebbero bisogno di nuovi te-sti, di ripartire dai testi per op-porre un atteggiamento spassio-

natamente scientifico al tradizio-nale approccio ideologico a que-ste lingue che spesso, per un ma-linteso spirito identitario, unitoa scarse competenze linguistiche,sono state considerate più diver-se di quanto non siano mai stateda quelle dei non ebrei.

Puoi spiegare meglio quando e

perché si è formato questo ap-

proccio ideologico e pseudoscien-

tifico alle lingue degli ebrei e in

particolare alle parlate “giudeo-

italiane”?

Come spesso è accaduto nellastoria della linguistica, in alcunicasi l’interesse per il fenomenolinguistico è stato strumentaleall’istanza identitaria. Tra Otto eNovecento, i cultori di memorielocali ebraiche, con lo studio el’uso scritto delle parlate “giu-deo-italiane”, si sono proposti disalvare dall’estinzione, per vialinguistica, le tradizioni avite, mi-nacciate dalla crescente assimi-lazione e dall’abbandono deighetti. Questa reazione culturale,di conoscenza e di salvaguardianella memoria collettiva di quan-

to stava scomparendo, non è sta-ta però scevra di derive ideolo-giche: spesso le differenze tra lelingue degli ebrei e quelle deinon ebrei sono state enfatizzatecon finalità identitarie, per di-stinguere linguisticamente unaminoranza sempre più integratae sempre meno riconoscibile. In alcuni casi all’elemento ebrai-co è stata data un’importanzaeccessiva: gli studiosi hanno tra-scurato il fatto che una presenzapuramente lessicale, che non in-tacca i livelli più profondi dellamorfologia e della sintassi, è lin-guisticamente poco significativa,mentre i poeti hanno dato delleparlate una rappresentazioneipercaratterizzata, stipando a for-za nei loro testi un numero in-verosimilmente alto di ebraismi.In altri casi, in assenza di con-vincenti prove linguistiche e adispetto della nota osmosi cul-turale e linguistica tra ebrei e cri-stiani in Italia, si è sostenuta latesi dell’arcaicità delle parlate“giudeo-italiane”, secondo laquale i dialetti otto-novecente-schi degli ebrei rifletterebbero

quelli parlati dai non ebrei cen-tinaia di anni prima.

In cosa consiste a tuo avviso l’im-

portanza di studiare le giudeo-lin-

gue, nonostante il loro statuto co-

sì incerto?

L’importanza delle lingue degliebrei, più che strettamente lin-guistica, è storica e culturale, nelsenso che tutte – non solo le piùillustri e caratterizzate in sensoebraico, come lo yiddish – testi-moniano un mondo in gran par-te scomparso che va studiato neiminimi dettagli, parola per paro-la, per comprendere la splendidacomplessità della Diaspora.

Dunque se qualcuno trovasse, tra

le carte di famiglia, poesie adatte

alla vostra antologia, cosa dovreb-

be fare?

Dovrebbe solo mandare unamail all’editore ([email protected])e a me ([email protected]), conqualche dettaglio e magari qual-che fotografia. Anche i testi nonpoetici (elenchi di parole e modidi dire, ricette etc.), purché ab-biano parole “tipiche” delle par-late degli ebrei d’Italia (derivate,per esempio, dall’ebraico o dalloyiddish), sono i benvenuti e po-trebbero confluire, come mate-riali di supporto, in un’appendicedel volume. Dopo un’expertisedal vivo, mi basteranno le ripro-duzioni, a meno che i proprietarinon vogliano affidarmi gli origi-nali per il tempo necessario atrascriverli. Se mi chiedi, invece,perché mettere a soqquadro lacasa e prendersi il disturbo dicontattarci, direi, banalmente,per vivificare il passato con lostudio e la divulgazione, per evi-tare che le future generazioniper cui forse sono stati scrittiquei testi si riducano a qualchepronipote magari nemmeno piùin grado di leggere le grafie degliavi e di capirne il dialetto e leparole ebraiche.

/ P7pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017 INTERVISTA

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ciati proprio nel 1935, anche se poi rimandatial secondo dopoguerra.Ecco allora che «l’epopea» degli ebrei di Man-tova, da semplice rivisitazione giudeo-manto-vana del genere eroicomicodiviene riflesso poetico diuna drammatica età di pas-saggio, in cui un intero po-polo viene chiamato ascegliere tra uguaglianza eidentità.Alla rimozione della colpa,che prende le forme dellosventramento e dell’assimilazione, così daeliminare in un colpo solo tracce urbanistichee vittime dell’oppressione, risponde il doveredi trasmettere la memoria di generazione ingenerazione, principio fondamentale del-l’ebraismo.

Comincia, così, la «meravigliosa cronistoria»,quasi sempre attendibile, dello sventramento.Nel 1898 la mancata demolizione di una ba-racca fatiscente nel cuore del ghetto viene sa-

lutata dal «bon popolde Sion» come un’im-presa da «tramandarecon gran gloria» aiposteri (La Baraccade piasseta, 15).Di lì a qualche anno,in una sera di set-tembre del 1905, il

poeta, passeggiando solitario tra le rovine delvecchio ghetto in demolizione, s’imbatte inuna loquace cappa di camino, caduta da unadelle «case antighe | che el martel comin-ciava a rosegar», che rievoca per aneddoti glioratori, le sinagoghe e gli «scuri eroi di anti-

chi eventi» che li hanno popolati (El sventra-ment, 48).Nel 1911-1912, entrando nel«Ghis», l’attuale via Govi, per parteciparealla “Vicinia”, l’assemblea della Commis-sione Israelitica, il poeta comincia un altrocolloquio fantastico, questa volta con la sina-goga Norsa-Torrazzo, unica superstite dellosventramento, abbattuta e ricostruita fedel-mente nella nuova (e attuale) sede, tra losconcerto generale (La Vicinia, 69). […]Il testo qui proposto è tratto (con alcunitagli e senza note a piè di pagina) da:Sara Natale (a cura di), Annibale Gallico,Storie vecie. Edizione critica e commentata,glossario dei termini giudeo-mantovani,prefazione di Cesare Segre, Roma, Accade-mia Nazionale dei Lincei («Memorie lincee.Scienze morali, storiche, filologiche»),2014, pp. 17-20.

ú– DONNE DA VICINO

Rose Marie Rose Marie Krief Cohen è unafarmacista, nutrizionista e fitote-rapista di Marsiglia. Con tutta lasua famiglia a cinque anni ha la-sciato Casablanca per trasferirsinel sud della Francia. Il nonnoera dayan, giudice, membro deltribunale rabbinico alla sinagogaSaint Ferréol, una delle più anti-che di Marsiglia, con decori eiscrizioni di grande fascino.Vivere in una città in cui la po-polazione ebraica supera le cin-quantamila anime e quellamagrebina le ottocentomila è“una sfida”. Rose parla con fie-rezza del suo quotidiano, ricordail 10 aprile 1947 quando non eraneppure nata e la mitica naveExodus salpò per Israele. Con unleggero accento marocchino scan-disce i numeri di una presenzaebraica importante: la secondacomunità della Francia pulsa e sisnoda intorno ad una sessantinadi sinagoghe, oltre trenta risto-ranti, dieci supermercati casher e

soprattutto 22 scuole ebraichecon bambini di tutte le età chefrequentano i movimenti giova-nili e le associazioni sportive. La grande passione di Rose è iltrekking: quando esce dalla far-macia raggiunge le famose Calan-ques che occupano una striscia dicosta lunga venti chilometri incui le insenature di roccia biancasi tuffano nel mare. “È un’oasistraordinaria, nota per la ric-chezza della flora e della fauna,quasi inaccessibile in macchina adeccezione di pochissimi punti.Sormiou custodisce una splendidagrotta sottomarina decorata dapitture preistoriche, chiusa alpubblico per preservarne la con-servazione. En Vau, ha le acquecolor smeraldo, cui solo Eilat puòfare concorrenza, e dalle sue rocceripide si ammirano panoramimozzafiato sul mare.”In cucina le ricette delle nonnesono immancabili e deliziose. Dabrava nutrizionista Rose sostienel’importanza dei sapori e dei pro-fumi autentici: dall’olio, al cou-scous cucinato nelle vecchiecasseruole con l’aggiunta origi-nale della maggiorana, alle me-lanzane stufate, ai pomodori alforno, alle olive nere. “D’al-tronde - conclude - la sola dietaefficace è quella mediterranea.”

Claudia De BenedettiProbiviro dell’Unionedelle ComunitàEbraiche Italiane

Sara NataleANNIBALEGALLICO, STORIE VECIEAccademiaNazionale dei Lincei

Page 8: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

/ P8 ORIZZONTI n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

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Ungheria, l’antisemitismo dipinto sui manifesti

Daniel Reichel

La guerra contro il terrorismo èanche una questione di semanti-ca. Almeno secondo FrançoisHeisbourg, presidente dell'Inter-national Institute for StrategicStudies di Parigi. Ospite di recen-te a Bruxelles della conferenza suMedio Oriente e terrorismo or-ganizzata dall’Eipa (Europe IsraelPress Association), Heisbourg haribadito a Pagine Ebraiche unpensiero più volte espresso inpassato: “Politica e media devonocambiare linguaggio e terminiquando fanno riferimento al ter-rorismo islamista e a Daesh”. Apartire dal concetto della citata“guerra al terrorismo”. Parlare diguerra, spiega l'analista, è sbaglia-to perché “conferisce dignità aDaesh (termine in arabo per de-finire l'Isis), che vuole essere vistocome uno Stato e un esercito fat-to di combattenti e martiri. Ma iterroristi non sono combattenti,sono criminali”. Il presidente Ge-orge W. Bush, dopo l'attentatodelle Torri Gemelli del 2001, siera impegnato in prima personaa parlare di “guerra al terrorismo”

ma per Heisbourg questa locu-zione conferisce solo maggiorefascino e porta più affiliati a or-ganizzazioni come Al Qaeda eDaesh. I giovani arrabbiati, isolatie senza punti di riferimento ri-mangono infatti facilmente am-maliati all'idea di una lotta armatae di un presunto sacrificio in no-me dell'integralismo religioso. Sisentono “vittime oppresse dal co-lonialismo occidentale e dall'in-giustizia”, sottolineava in un in-tervento sul New York Times

l'analista francese, e il “combat-tere la guerra santa contro legionidi crociati” porta un significato,seppur distorto, alle loro vite. Edè proprio il tipo di messaggio cheDaesh vuole far passare. “La vio-lenza a cui aderiscono è una vio-lenza moderna - scriveva su LeMonde Olivier Roy, uno dei piùautorevoli analisti in materia diterrorismo e integralismo - Uc-cidono come gli autori delle stra-gi statunitensi e come AndersBreivik, a sangue freddo. In loro

il nichilismo e l’orgoglio sonoprofondamente interconnessi.Questo individualismo forsennatosi ritrova nel loro isolamento ri-spetto alle comunità musulmane.Pochi frequentano una moscheae i loro imam sono spesso auto-proclamati. La loro radicalizza-zione si sviluppa attorno a im-magini di eroi, alla violenza e allamorte, non alla sharia o all’utopia.In Siria vanno solo per combat-tere, nessuno di loro si integra osi interessa alla società civile. So-

no più nichilisti che utopisti”. Ni-chilisti che colpiscono le societàin cui sono cresciuti: come spiegail report realizzato dall'Istitutoper gli studi di politica interna-zionale (Ispi) “Jihadisti in Occi-dente: chi sono, perché colpisco-no, che fare?”, il 73 per cento de-gli attentatori è composto da cit-tadini del paese in cui è stato ese-guito l’attacco; il 14 era legalmen-te residente in tale paese o in vi-sita da paesi confinanti; il 5 sicompone di individui che – almomento dell’attacco – erano ri-fugiati o richiedenti asilo; il 6, in-fine, al momento dell’attacco, ri-siedeva illegalmente nel paesebersaglio. 51 gli attacchi portatia termine in Europa e NordAmerica dal giugno del 2014 –quando è stato proclamato il Ca-liffato di Daesh - sino al giugnodel 2017 e presi in considerazione

I leader dell’ebraismo di Unghe-

ria hanno fatto sentire recen-

temente la loro voce protestan-

do contro il governo di Buda-

pest per la campagna organiz-

zata contro il magnate George

Soros, di origini ungheresi e na-

turalizzato americano. In Un-

gheria erano infatti comparsi

dei cartelloni pubblicitari che

raffiguravano Soros – soprav-

vissuto alla Shoah e da tempo

sotto attacco nel Paese perché

finanzia organizzazioni avverse

al governo di Viktor Orban -

sorridente e accompagnato dal-

le parole “non permettete a So-

ros di avere l’ultima risata”.

Molti di questi cartelloni, spie-

gavano dalla Comunità ebraica

magiara, sono stati presi di mi-

ra con scritte antisemite. L’am-

basciatore d’Israele Yossi Am-

rani aveva appoggiato l’appello

degli ebrei ungheresi, invitando

a togliere i manifesti.“È nostra

responsabilità morale far sen-

tire la nostra voce e chiedere

alle autorità competenti di

esercitare il proprio potere e

mettere fine a questa situazio-

ne”, le parole di Amrani. “Al di

là delle critiche politiche su una

determinata persona, la cam-

pagna non solo evoca ricordi

tristi, ma instilla odio e paura”.

La situazione era tale che gli

ebrei ungheresi, riporta l’agen-

zia stampa Jta, avevano chiesto

al primo ministro israeliano

Benjamin Netanyahu di annul-

lare la visita ufficiale in Unghe-

ria prevista per il 18 luglio per

protestare contro le dichiara-

zioni del primo ministro Viktor

Orban, che poco tempo prima

lodato il leader antisemita Mi-

klós Horthy. Netanyahu però ha

scelto di andare comunque a

Budapest, dove ha incontrato

sia Orban sia i leader degli altri

paesi che compongono il grup-

po di Visegraad – Polonia, Re-

pubblica ceca e Slovacchia. Pri-

ma del suo arrivo,

il capo dello staff di Orban, Já-

nos Lazar, aveva detto ai gior-

nalisti, dopo la richiesta dei lea-

der ebraici di sospendere la

campagna pubblicitaria contro

Soros: “L’obiettivo del governo

ungherese è quello di fermare

la campagna a favore dei mi-

granti di Soros, che supporta

l’arrivo di di migranti illegali

nel nostro Paese. Il governo

non critica George Soros per la

sua origine ebraica, ma per il

suo sostegno al crescente nu-

mero di migranti che entrano

in numero incontrollato in Eu-

ropa”.

A precisazione ungherese è se-

guita precisazione israeliana,

con il ministero degli Esteri a

spiegare che “Israele deplora

qualsiasi espressione di antise-

mitismo in ogni paese ed al

fianco delle comunità ebraiche

di tutto il mondo nella lotta

contro questo odio”. “Questo

era l’unico scopo della dichia-

razione rilasciata dall’ambascia-

tore d’Israele in Ungheria. - ha

dichiarato il portavoce del mi-

nistero degli Esteri Emmanuel

Nachson - In nessun modo l’af-

fermazione intendeva delegit-

timare la critica a George So-

ros, che continua a minare i go-

verni democraticamente eletti

in Israele, finanziando organiz-

zazioni che diffamano lo Stato

ebraico e cercano di negare il

suo diritto a difendersi”. Preci-

sazioni e controprecisazioni

non sono comunque andate giù

al presidente della Federazione

delle comunità ebraiche unghe-

resi (Mazsihisz) Andras Heisler

che in un incontro a Budapest

alla presenza sia di Netanyahu

che di Orban ha condannato il

fatto che nella moderna Unghe-

ria sia ancora possibile “lancia-

re una campagna di propagan-

da, il cui linguaggio e mezzi

espressivi riportano alla nostra

mente brutti ricordi del passa-

to”. “Qualcuno può dire – ha

continuato Heisler – che l'inten-

to della campagna era un altro

ma per me è inaccettabile per

un motivo: ha portato gli ebrei

d'Ungheria a vivere la quotidia-

nità con maggiore preoccupa-

zione. E un leader ebraico re-

sponsabile non può rimanere in

silenzio di fronte a tutto ciò. E

nemmeno un capo di Stato”. Né

“Contro il terrore, il linguaggio pesa”L'analista francese François Heisbourg spiega perché non dobbiamo parlare di “guerra al terrorismo”

Page 9: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

dal Report curato da Lorenzo Vi-dino con Francesco Marone edEva Entenmann. “Attentati coor-dinati, causa di un ingente nume-ro di vittime, sul modello di quelliavvenuti a Parigi nel novembre2015, ma anche numerose azioniterroristiche eseguite da attori so-litari – viene sottolineato nell'in-dagine dell'Ispi - vi è dunque unasignificativa variazione nella ti-pologia di attacchi, in termini disofisticatezza, letalità, bersagli elegami con lo Stato Islamico e al-tri gruppi. La variabilità è un ele-mento che si ravvisa altresì neiprofili dei 65 attentatori identifi-cati coinvolti nei 51 attacchi, chesi caratterizzano per la propria

eterogeneità, siadal punto di vi-sta demogra-fico, sia daquello ope-rativo”. Ilreport poiev idenz iacome gli at-tentati terrori-stici si sianoconcentrati in unnumero relativamentelimitato di Paesi, otto. “Ilpaese che ha subito il maggiornumero di attacchi – si legge - èla Francia (17), seguito da StatiUniti (16), Germania (6), RegnoUnito (4), Belgio (3), Canada (3),

Danimarca (1) e Sve-zia (1)”. L'Italia, come è noto, èrimasta per il momento fuori daquesto schema: i tentativi di or-ganizzare attentati sono statisventati dall'abilità delle autorità

e il fenomeno della radicalizza-zione islamista ha avuto menopresa rispetto ad altri paesi euro-pei, come dimostra il numero esi-guo di foreign fighters (122). “Mai terroristi colpiranno anche il vo-

stro Paese”, la previsione di Hei-sbourg, che poi ribadisce un pun-to chiave in questa lotta “ai ter-roristi criminali”: “I politici e imedia non devono fare discorsida cui emerge che l'Occidente hascelto di cambiare il suo stile divita a causa dei terroristi. Questoè un regalo ai fanatici e in Israele,ad esempio, non succede. In piùnon dobbiamo parlare di guerraperché in guerra non si organiz-zano grandi eventi come Euro2016 o il Tour de France”. Dal-l'altra parte Heisbourg ci ricordache un conflitto ha un inizio euna fine, e per quanto concerneil terrorismo è difficile vedere laseconda.

/ P9pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017 ORIZZONTI

www.moked.it

In Bosnia gli ebrei hanno un futuroNel 2015, in occasione dei ven-

t'anni dal genocidio di Srebre-

nica in Bosnia-Erzegovina, lo

storico David Bidussa scriveva

sul Portale dell'ebraismo italia-

no: “Dopo tanto tempo, tutto

il mondo è a Sarajevo. Mi pia-

cerebbe che ci fosse ancora tra

un mese. Mi piacerebbe che

qualcuno, avendo il ruolo e la

forza morale per farlo, convo-

casse un qualche cosa sabato

11 luglio, a venti anni dalla cor-

sa folle e disperata dei musul-

mani di Srebrenica in fuga ver-

so la salvezza per molti di loro

finita con la violazione del loro

corpo, lo stupro, la morte. Lo

scrivo ora, perché poi non si di-

ca che non c’era il tempo”. Una

terra, quella della Bosnia-Erze-

govina, ferita e divisa da pro-

fondo odio etnico in cui si è

consumato, dopo la Shoah, il

peggior genocidio europeo. Un

paese a maggioranza musulma-

na in un'Europa sempre più dif-

fidente verso l'Islam e in cui

l'integralismo islamista è una

minaccia costante. Qui, nella

capitale Sarajevo, la sinagoga,

caso oramai raro nel Vecchio

Continente, non ha veicoli della

polizia o dell'esercito davanti;

non ha telecamere di sicurezza;

il cancello dell'antica sinagoga

ashkenazita è aperto e nessuno

chiede le generalità a chi entra.

“Pensiamo di essere al sicuro

con le porte aperti qui”, rac-

conta Jakob Finci alla giornali-

sta Kate Bartlett, autrice di un

lungo reportage proprio sulla

comunità ebraica della Bosnia-

Erzegovina di cui Finci è presi-

dente. Duemila persone che

guardano con una certa fiducia

al proprio futuro, immersi in

una situazione che, paradossal-

mente vive meno tensioni di al-

tre, almeno nei confronti degli

ebrei. “Questa è una delle po-

che nazioni libere dall'antise-

mitismo”, dichiara Finci, ex am-

basciatore della Bosnia in Sviz-

zera. “Sarajevo, in particolare”.

Un tempo conosciuta come la

Gerusalemme dei Balcani, pro-

prio per la convivenza di diver-

se anime: musulmani bosniaci,

serbi ortodossi e i cattolici

croati. Oltre, ovviamente, agli

ebrei, che fino alla Seconda

Guerra mondiale erano arrivati

a contare in tutto il paese una

Comunità di 12mila persone e

della Capitale hanno fatto per

secoli parte integrante. Una

città, come ricorda Bartlett,

cosmopolita e crocevia tra

Oriente e Occidente, governata

prima dagli Ottomani poi sot-

tomessa all'impero austro-un-

garico. “Dopo 450 anni – affer-

ma Finci – siamo ancora ben in-

seriti nella società bosniaca”.

Un mondo in cui, sostiene l'ex

ambasciatore, l'Islam radicale

non ha attecchito, anzi è pro-

prio “un intruso”. Per una terra

dilaniata e violentata dal con-

flitto dopo la dissoluzione della

Jugoslavia nei primi anni No-

vanta, avere gli anticorpi all'in-

tegralismo islamico non è una

cosa scontata. Così come non

è scontata un'altra particolari-

tà questa volta legata solamen-

te al mondo ebraico: in un'Eu-

ropa che fa sempre meno figli,

nel 2015 la piccola Comunità

bosniaca ha festeggiato dodici

nuove nascite. Una bella diffe-

renza rispetto “alle 10 nascite

negli ultimi 20 anni”, afferma

la segreteria generale della Co-

munità Elma Softic-Kaunitz al

Forward. “Non c'è dubbio che

qui in città ci sarà un giorno un

asilo ebraico”.

foto

: Kat

e Ba

rtlet

t

Netanyahu né Orban hanno ri-

sposto a Heisler, seppur il se-

condo abbia fatto un importan-

te dichiarazione, ammettendo

le responsabilità ungheresi du-

rante la Shoah: “L’Ungheria

commise un errore e un pecca-

to perché non riuscì a proteg-

gere la sua comunità ebraica –

le parole di Orban - Non deve

accadere mai più. L'Ungheria

proteggerà il suo popolo”. Un

riconoscimento di responsabi-

lità mai fatto prima da Buda-

pest, ha sottolineato l'Anti-De-

famation League, ma per

l'ebraismo ungherese molti so-

no gli interrogativi rimasti

aperti. "È positivo che il primo

ministro Orban dica che ci di-

fenderà, in quanto ebrei unghe-

resi, ma sarebbe ancora meglio

se non ci fosse proprio odio nel-

la società ungherese verso di

noi" ha detto, aggiungendo:

“Vogliamo essere orgogliosi di

essere ebrei ungheresi, la cui

maggioranza vuole vivere e ri-

manere qui”. Come a dire, le pa-

role vanno bene ma in un Paese

in cui il partito al governo am-

micca all'elettorato degli estre-

misti di destra dello Jobbik ser-

vono azioni concrete contro

l'antisemitismo.

Geografia degli attentati

Europa63%

NordAmerica37%

Geografia degli attentatori

Europa68%

NordAmerica32%

73%

Il 73% degliattentatori ècomposto dacittadini del paesebersaglio

Legalmenteresidenti

Rifugiati orichiedenti asilo

Illegalmenteresidenti

In visita -provenienti daPaesi della regione

In visita -provenienti daPaesi al di fuoridella regione

Sconosciuto

82%

18%

PAESE ATTENTATI %Francia 17 33Stati Uniti 16 31Germania 6 12Regno Unito 4 8Belgio 3 6Canada 3 6Danimarca 1 2Svezia 1 2

PAESE ATTENTATORI%Francia 27 42Stati Uniti 18 28Germania 7 11Regno Unito 5 8Belgio 3 5Canada 3 5Danimarca 1 2Svezia 1 2

L’82% degli attentatori era già noto alle autorità prima dell’attaccoIl 57% aveva trascorsi criminaliil 34% è stato in carcere

22 attacchi eseguiti da individuiche sono stati in carcere15 attacchi nei Paesi UE attentatori deiPaesi UE7 attacchi negli USA attentatori degli USA

Fonte Ispi, Dossier Jihadista della porta accanto. Radicalizzazione e attacchi jihadistiin Occidente, a cura di Francesco Marone, Eva Entenmann e Lorenzo Vidino

Page 10: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

Il cinquantenario della guerra

dei sei giorni è giocoforza un

tempo di bilanci. Quali sono le

scelte che è chiamato a fare

Israele? Il sionismo è destinato

a essere sempre più egemoniz-

zato dalle correnti del nazio-

nalismo religioso, o l’ebraismo

secolare, in Israele e nella dia-

spora, ha ancora un ruolo da

svolgere? Sono questi alcuni

degli interrogativi che anima-

no da tempo il lavoro di Ami

Bouganim. Gli abbiamo rivolto

alcune domande a partire dal

suo Vers la disparition d’Israel?,

opera che si caratterizza per la

proiezione di termini quali

«sadduceo», «fariseo», «filisteo»

alla realtà ebraica contempo-

ranea, fornendo al lettore la

possibilità non soltanto di ri-

leggere criticamente il presen-

te ma anche, in modo spesso

ardito, di rivedere alcune delle

note che contraddistinguono

da generazioni l’autopercezio-

ne ebraica.

Solitamente Tel Aviv è sinoni-

mo di ebraismo secolare e pro-

gressista. Nel suo libro la asso-

cia al filisteismo, all’assimila-

zionismo; altre volte vi si rife-

risce secondo l’immagine del

parvenu. Tel Aviv, scrive, si vor-

rebbe vedere come l’Atene di

Pericle, la Firenze medicea o la

Sillicon Valley del Medio Orien-

te…

Tel Aviv deve ancora decidere

dove si trova, che tipo di abito

vuole indossare, cosa vuole

simboleggiare. Per molti anni

ha offerto ai suoi abitanti la

possibilità di stabilire il carat-

tere dei suoi quartieri. Ricordi

urbanistici di Varsavia si me-

scolavano con quelli di Berlino

e Casablanca. Tel Aviv non era

sul Mediterraneo perché lo ri-

fiutava. I suoi viali, piazze e

balconi gli volgevano le spalle.

Negli ultimi anni mi pare che

in qualche modo stia venendo

a patti con la sua natura medi-

terranea. La sua effervescenza

è tipica di tutte le città che

cercano la propria anima. A

volte ti conquista con la sua

originalità, a volta ti respinge

per la sua volgarità. Si ostina

a essere sempre all'ultima mo-

da. Non è in grado di portare

un vestito, deve subito cam-

biarlo. Non sa fermarsi, è in

movimento permanente. Si è

trasformata in una sorta di cit-

tà rifugio per immigrati interni

che vi affluiscono per perdersi

in un relativo anonimato, co-

noscere altre persone, incon-

trare stranieri. I suoi antichi

abitanti scompaiono e sono so-

stituiti da nuovi ricchi i quali,

come tutti i nuovi ricchi del

mondo, non rinunciano a nes-

/ P10 ERETZ n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

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IL COMMENTO VEDERE I RADIOHEAD A TEL AVIV È DIVERSO

Forse, pensavo una volta, tendiamo unpo’ a esagerarla questa storia dei concerti.Ogni volta che un artista arriva inIsraele, ci lanciamo a celebrarlo come ungrande evento e come attestato di falli-mento del BDS, la campagna di boicottag-

gio. Fa piacere, certo, quando un cantanteviene ad esibirsi nelle città israeliane.Però confesso di avere seguito con uncerto imbarazzo le manifestazioni di giu-bilo davanti alle performance di BritneySpears e di Cindy Lauper, per fare dueesempi. Quello che mi metteva a disagioera come i concerti di due (ex) reginette

del pop venissero forzatamente presentaticome eventi di grande portata, trala-sciando il fatto che si trattava di artisteche avevano da tempo superato la loro fasedi rilevanza nel mondo dello spettacolo (lodico senza malizia: diventare popstar èdifficilissimo, restarlo per più di unamanciata d’anni lo è molto di più). Un’al-

tra cosa che m’infastidiva, poi, era che fos-sero caricati di una valenza politica chenon avevano: insomma, erano due can-tanti che facevano il loro mestiere! Eppuredavanti al concerto dei Radiohead a TelAviv, e tutto il dibattito che gli è giratoattorno, mi trovo costretta ad ammettereche questo concerto in particolare ha

ANNA MOMIGLIANO

Il 14 luglio scorso tre terroristiarabo-israeliani hanno aperto ilfuoco alla Porta dei Leoni, neipressi del Monte del Tempio aGerusalemme, uccidendo dueagenti di polizia israeliana (KamilShnaan, di 22 anni, e Hail Sata-wi, 30 anni). I terroristi, uccisidalle forze di sicurezza israeliane,erano riusciti a introdurre le armiall'interno della zona della Spia-nata delle Moschee (Monte delTempio per l'ebraismo) grazie a

un complice, ora sotto custodia.L'attacco ha fatto così emergereuna breccia nella sicurezza israe-liana ed è stata aperta un'inda-gine per fare chiarezza. Nel men-tre sono stati presi dei provvedi-menti temporanei che hannoscatenato le proteste dei palesti-nesi e innescato l'escalation diviolenza di cui a lungo hannoparlato i quotidiani di tutto ilmondo. Ma è necessario ricor-dare che il punto di partenza è

stato l'attentato del 14 luglio: aseguito di questo la polizia israe-liana ha deciso di utilizzare i con-testati metal detector all'ingressodella Moschea Al Aqsa e di vie-tare del tutto agli uomini con etàinferiore ai 50 anni l'accesso delluogo sacro ai musulmani. Azioniche hanno scatenato le protestedei palestinesi, e l'istigazione allarivolta da parte di movimenti ter-roristici come Hamas, che con-trolla la Striscia di Gaza ma che

ha molti operativi anche in Ci-sgiordania. Per capire l'esplosionedi violenza del 21 luglio bisognaquindi tenere a mente questi ele-menti: una consecutio temporumche da diversi media internazio-nali è stata riportata in modo er-rato, dimenticando l'uccisionedei due poliziotti israeliani, en-trambi appartenenti alla mino-ranza drusa. Ad essere deformatasui media inoltre, hanno denun-ciato diverse voci dell'opinione

pubblica israeliana, anche la ri-costruzione dei fatti sugli scontritra manifestanti e polizia e sul-l'assassinio di tre israeliani. Il Ti-mes per esempio titolava “Pale-stinesi e israeliani uccisi durantescontri legati ai metal detectordella Moschea Al Aqsa”: se è ve-ro per quanto riguarda i manife-stanti palestinesi, non così per letre vittime israeliane a cui si fa-ceva riferimento nel titolo. Que-ste ultime sono state brutalmente

Monte del Tempio, la rabbia istigata

“Tel Aviv? È ancora in cerca di un’identità”

Page 11: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

sun ingrediente dell'ostenta-

zione. Si concentrano in quella

che è chiamata Medinat Tel

Aviv, emigrano dal resto di

Israele in una riserva che tra-

smette un'immagine di salute

mentale e rivendica il diritto a

perseguirla. In tal modo sul li-

torale prende forma, nel bene

e nel male, un regno filisteo

che si prostra davanti all'arric-

chimento facile e si trastulla

nell'illusione di essere l'unica

nazione High Tech del mondo.

Lei parla del sionismo religioso

di destra, e del movimento dei

coloni, nei termini di “estremi-

smo farisaico”. Questo rappre-

senterebbe un pericolo poiché

assocerebbe alla nazione di

Israele, alla sovranità ebraica,

gli elementi tipici della religio-

ne. Qui vi sono due punti da

chiarire, tra loro intrecciati:

anzitutto la sua posizione, da

neopositivista allievo di Leibo-

witz, per una “distinzione dei

confini”: un conto è la religione

un conto è lo Stato, e questo

lei lo dice proprio in quanto

ebreo e sionista. In secondo

luogo lei sostiene un’idea mol-

to peculiare di “farisaismo”.

Il farisasimo è servito come re-

ligione per gli ebrei nell’esilio.

È impregnato di esilio, invita

all'esilio e lo trasmette in ere-

dità. Il farisaismo è cucito a

doppio filo alla condizione dia-

sporica e agiscono al suo inter-

no forze antitetiche all'idea di

sovranità che rischiano di cau-

sare la dissoluzione di quella

ebraica in Terra di Israele o in

qualsiasi altro luogo. Il fari-

s a i s m o

dei hare-

dim è ve-

nuto a

patti con

lo stato

di Israele

soltanto per poter beneficiare

dei suoi servizi e per propagan-

dare tra gli ebrei la propria

concezione dell'ebraismo. Non

riconosce veramente le sue

istituzioni, i tribunali, l'eserci-

to, la polizia, non offre un

grande contributo alla sua vita

civile. Un’altra tipologia di fa-

risaismo, ancora più pericolosa,

è quella messianica della scuola

di Rav Kook che ha instaurato

un vero e proprio regno in Giu-

dea e Samaria e detta l’ordine

del giorno teologico-politico

dello Stato degli ebrei. Se il fa-

risaismo haredi non costituisce

un pericolo diretto per l’esi-

stenza di Israele – poiché non

lo riconosce de iure ma lo pre-

ferisce a un dominio arabo –

quello messianico costituisce

una minaccia teologico-politica

particolarmente concreta per

le risorse spirituali dell’ebrai-

smo. Entrambe queste correnti

del farisaismo contribuiscono,

ciascuna a suo modo, ad

un'erosione graduale ma certa

della legittimità religiosa, etica

e internazionale dello Stato di

Israele come stato degli ebrei…

Cosimo Nicolini Coen

(Versione integrale su www.moked.it)

/ P11pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017 ERETZ

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Dietrofront del governo guidato da BenjaminNetanyahu sulla realizzazione di una nuovaarea al Kotel di Gerusalemme (il Muro Oc-cidentale), definita egalitaria e in cui uominie donne dei movimenti dell’ebraismo Con-servative e Reform avrebbero dovuto poterpregare insieme. Il provvedimento era statoapprovato nel 2016 ma il gabinetto dell’ese-cutivo Netanyahu ha deciso di congelaretutto, scatenando non poche polemiche alivello internazionale. Tra coloro che hannoaspramente criticato il governo, l'Agenziaebraica, organizzazione che si occupa degliimmigrati ebrei in Israele. “Deploriamo ladecisione del governo di Israele che con-traddice la visione e il sogno di Herzl, Ben-Gurion e Jabotinsky e dello spirito del mo-vimento sionista e di Israele come casa-na-zione per l’intero popolo ebraico e il Kotelcome simbolo di unione per tutti gli ebreidel mondo”, si legge nella risoluzione firmataall’unanimità dal board dell’Agenzia, in cuisi chiede al governo di “capire la gravità deipassi fatti e di conseguenza di invertire ilcorso delle proprie azioni”. L’Agenzia Ebraicaha da subito sostenuto il progetto, con il suopresidente Natan Sharansky (nell'immagineal centro con il cappello) – ex dissidente po-litico sotto il regime sovietico – a spendersidi persona per trovare un compromesso chepotesse mettere d’accordo tutte le correnti

dell’ebraismo. Accordo trovato con faticaun anno fa e ora bloccato dal governo Ne-tanyahu, che ha anche portato avanti unalegge che vuole negare il riconoscimentodelle conversioni all’ebraismo eseguite inIsraele al di fuori del sistema ortodosso ri-conosciuto dallo Stato. “Il governo di Israeleha adottato alcune azioni che minacciano ilpopolo ebraico e noi vogliamo che le nostrecomunità nel mondo capiscano che il so-stegno a Israele non significa necessariamen-te sostenere il suo governo”, le dichiarazioni

rilasciate al quotidiano Haaretz dal direttoredel board dell’Agenzia Ebraica Michael Sie-gal. “Il messaggio che il governo ha mandatoall’ebraismo nel mondo è ‘non siete parte dinoi’”, l’accusa di Sharansky. Il riferimento èa tutto quel mondo ebraico conservative ereform che ha un riconoscimento parzialeall’interno dello Stato d’Israele, dove matri-moni, divorzi, conversioni e tutto ciò cheafferisce alla religione ebraica è invece affi-dato al Rabbinato centrale, ente che rappre-senta l’ortodossia.

Al Kotel, l’area egalitaria non si farà

AMI BOUGANIMNato nel 1951 a Essaouira in Marocco, Bouganim si è occupatodi educazione e di filosofia. Scrive romanzi e saggi in francesee in ebraico. È stato tra i primi in Israele a scrivere sull’opera diEmmanuel Levinas dedicando la sua tesi di dottorato alla reazionedel filosofo francese a quello che Bouganim de-finisce il nuovo paganesimo di Martin Heidegger.Ha pubblicato libri su Spinoza, Walter Benjamin,Hermann Cohen, Franz Rosenzweig, Leo Strausse altri. Nel 2012 ha pubblicato un libro in francesesulla capacità di resilienza teologico-politica delloStato di Israele, Vers la disparition d'Israël?, e nel2016 uno in ebraico sul vicolo cieco messianico-sionista in cui, a suo giudizio, Israele rischia di ri-manere intrappolato. Presiede l’Euro-MediterraneanInstitute for Inter-Civilization Dialogue ed è consigliere della Fon-dation Matanel.

Ami BouganimVERS LADISPARITIOND’ISRAEL

Seuil

uccise nella loro casa nell'inse-diamento di Halamish, in Ci-sgiordania. Un palestinese di di-ciannove anni ha bussato all'abi-tazione della famiglia in questio-ne mentre stava festeggiando lanascita di un nuovo nipotino, e,armato di coltello, ha pugnalatoquattro persone uccidendone tre: il nonno Yosef, 70 anni, e i suoifigli Chaya, 46 anni, ed Elad, 36anni. Loro non sono morti negliscontri ma sono stati sì vittimadell'istigazione all'odio: il respon-sabile dell'attentato aveva scrittoun post-testamento in cui dicevadi volersi immolare a difesa dellaMoschea Al Aqsa. Come lui, mi-gliaia di altri palestinesi sono in-fatti convinti che gli israeliani vo-gliono appropriarsi del Montedel Tempio (e certo non fannobene le voci di alcuni estremistiall'interno del governo di Geru-salemme che vanno in questa di-rezione) nonostante il Primo mi-nistro Netanyahu e soprattuttointelligence ed esercito hannopiù volte chiarito che non è in-teresse di Israele muovere in que-sta direzione. Ma intanto le no-tizie deformate volano veloce ela tensione tra israeliani e pale-stinesi è tornata sopra i livelli diguardia.

avuto anche una valenza… se non pro-prio politica, almeno sociale e culturale.La band inglese non si è limitata a suo-nare al parco HaYarkon ma ha anche di-feso con forza questa decisione, coninterviste e riprendendo i fan che a unaltro concerto si erano messi a sventolarele bandiere palestinesi. Un altro fattore

sta in quello che rappresenta oggi l’im-magine dei Radiohead: per quanto ilgruppo abbia superato il suo momento dimassima gloria, i Radiohead, e il can-tante Thom Yorke in particolare, riman-gono un punto di riferimento per uncerto mondo. In più di un quarto di se-colo di attività, la band ha saputo mante-

nere attorno a sé un’aura di coolness: èla band che piace alla gente che piace, unpunto di riferimento per una certa classecreativa globalizzata e di sinistra. Pro-prio una delle fasce cui sui rivolge ilBDS. La band si è dimostrata determi-nata a non prendere le distanze daIsraele, Paese con cui ha dei legami forti,

visto che il chitarrista è sposato conun’israeliana e il singolo “Creep” èesploso su Galgalatz molto prima chenelle radio occidentali. Questa presa diposizione si è rivelata particolarmentespiazzante, proprio perché arriva da ungruppo rispettato dentro il mondo neicui confini si muove il BDS.

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IL COMMENTO MIGRARE PER FARE LA DIFFERENZA

Uno dei maggiori differenziali tra i Paesia sviluppo avanzato, a partire dall’areaOcse, e i Paesi cosiddetti “in via di svi-luppo” è quello socio-demografico. Iprimi invecchiano, e considerevolmente,mentre i secondi presentano classi d’etàprevalentemente giovani. Non si trattadell’unico aspetto di differenziazione etuttavia costituisce il fattore che è desti-

nato a mutare in maniera significativagli equilibri non solo nelle società d’ori-gine ma anche, laddove sia in atto unprocesso migratorio, in quelle ospiti. Perintenderci, nell’ambito dei Paesi arabi, igiovani censiti, compresi in una fasciad’età tra i 15 e i 29 anni, nel 2010 costi-tuivano il 27,9% della popolazione to-tale, pari a circa 105 milioni di soggetti.Nel 2050 dovrebbero decrescere, percen-tualmente, al 22,1%, mentre in Europa

rischiano di scendere al di sotto del 10%(mentre attualmente sono intorno al18%). La crescita demografica è stata tu-multuosa. Se nel 1970 le società mediter-ranee e mediorientali arabofonecontavano 124 milioni di elementi oggisiamo quasi a tre volte tanto, con 350 mi-lioni di individui. Nel 1970 il tasso dicrescita nella regione superava il 3,3%annuo, a fronte dell’1,8% come mediamondiale. Nel 2014 è sceso al 2,4%. Per

il 2050, comunque, si supererà abbon-dantemente il mezzo miliardo di abitanti.Significato è poi un altro indice, quello diurbanizzazione. Attualmente, secondo idati dell’Undp, l’agenzia dell’Onu per losviluppo umano, e della Banca mondiale,il tasso di urbanizzazione è intorno al57%. Nel 2050 si arriverà al 75%. Inpoche parole, una forte concentrazioneintorno ad alcune aree densamente popo-late e una dispersione della parte residua

CLAUDIO VERCELLI

Prima del venerdì nero del 21luglio, i rapporti tra Israele e Au-torità nazionale palestinese sem-bravano aver preso una direzio-ne positiva: due importanti ac-cordi su acqua e fornitura di cor-rente elettrica erano stati siglatinelle settimane precedenti. L’in-viato speciale Usa per il MedioOriente, Jason Greenblatt, avevadefinito l'intesa sull'acqua – rag-giunto grazie alla mediazioneamericana – un “esempio di co-me le due parti possono coope-rare per migliorare le condizionidi vita dei palestinesi”. Diversicommentatori, sia locali (comeShlomi Eldar, vincitore del So-kolov Prize, più importante pre-mio giornalistico israeliano) siainternazionali (come Seth Siegeldel New York Times), avevanovalutato positivamente i due ac-cordi, in particolare quello legatoall'oro blu, frutto di un protocol-lo d'intesa firmato dalle parti in-teressate per l'attuazione del ca-nale Mar Rosso-Mar Morto trala Giordania, l'Autorità palesti-nese e Israele nel dicembre 2013a Washington. Secondo l'intesa,la parte palestinese riceverà circa33 milioni di metri cubi d'acquaall'anno. “È difficile ricordare l'ul-

tima volta che i rappresentantiufficiali di Israele e dei palestinesisi sono seduti insieme in un am-biente così festoso per celebrareuna nuova pagina nel loro rap-porto” ha scritto Eldar, sul sitoAl Monitor, facendo eco alle pa-role dell'invitato Usa Greenblatt,che – tra strette di mano con lministro della Cooperazione re-gionale israeliano, Tzchi Haneg-bi, e con il presidente dell’Auto-rità idrica dell’Anp Mazen Ghu-neim - aveva detto di auspicare“che questo sia segnale di cosaci aspetta in futuro”. Nella testa

di Greenblatt – e non solo – erabalenata l'idea di sfruttare il pro-tocollo regionale sull'acqua perriportare le Gerusalemme e Ra-mallah al tavolo dei negoziati dipace. Il 21 luglio ha però fattosvanire quella suggestione: gliscontri a Gerusalemme Est trapolizia israeliana e i manifestantipalestinesi, con la morte di tredi loro, l'assassinio da parte diun terrorista palestinese di treisraeliani ad Halamish, insedia-mento in Cisgiordania, hanno ri-portato la tensione e creato unnuovo solco, facendo dimenti-care gli accordi e sorrisi per letelecamere. E in realtà Ghuneim,mentre stringeva le mani di Gre-enblatt e Hanegbi, aveva già av-visato i presenti: “Questo è unaccordo regionale che non hanulla a che fare con le questionicentrali di qualsiasi intesa finalein merito ai diritti palestinesi sul-l'acqua”. Diritti (e doveri) già re-golati in prima istanza negli ac-cordi di Oslo del 1995, comeracconta Seth Siegel sul NewYork Times. In quei patti si ga-rantiva il potere di veto sia aIsraele sia ai palestinesi in meritoai rispettivi progetti idrici in Ci-sgiordania: “Questo ha incorag-

L’oro blu, via per il rilancio dei negoziati

Nelle scorse settimane il Finan-cial Times ha paragonato Indiae Israele a due innamorati che sifrequentano di nascosto da annima finalmente hanno deciso diufficializzare la loro relazione epresentare i rispettivi genitori. Ineffetti le relazioni diplomatiche

e commerciali tra i due paesi sierano progressivamente intensi-ficate negli anni ma mancava ilsuggello di una visita di Stato,quella che il premier Modi ha ef-fettuato a sorpresa alla fine digiugno. Perché questa visita è co-sì importante e perché le vieneattribuito un così grande signifi-cato politico ed economico?La visita rappresenta in un certosenso una svolta per entrambi ipaesi. Per l'India rappresenta ildefinitivo abbandono della suastorica alleanza post-guerra fred-

da con la Unione sovietica e poicon la Russia, a favore dell'occi-dente e degli Stati Uniti. L'occa-sione è fornita dalla stipula di ac-cordi commerciali con Israele incampo militare e agricolo, ma c'èanche la volontà di segnalare unaricollocazione del paese, che pureospita una minoranza musulma-na, pari al 14% della popolazione,nello schieramento (a cui appar-tiene Israele) di paesi circondatida stati musulmani ostili. Non acaso Modi è il leader del partitonazionalista Hindu. Per Israele la

visita rappresenta un importantesuccesso economico e politico,che potrebbe avere significativericadute. Innanzitutto Israele vol-ta sempre più le spalle economi-camente all'Europa, di cui malsopporta le pressioni a trovareuna soluzione diplomatica alconflitto coi palestinesi e le con-danne dell'occupazione della Ci-sgiordania, e guarda sempre piùad Asia, America latina e Africa.L'India è la principale destina-zione delle esportazioni israelianedi armi (600 milioni di dollari nel

2016), e per l'India Israele rap-presenta il terzo fornitore di armidopo Stati Uniti e Russia. In apri-le l'industria aeronautica israelia-na ha stipulato un mega-contrat-to con Nuova Delhi, senza pre-cedenti, del valore di due miliardidi dollari, per la fornitura di aereie sistemi di difesa missilistici.Israele fornisce all'India ancheimportante tecnologia in campoagricolo, in particolare sistemi didesalinizzazione dell'acqua e diirrigazione goccia a goccia.In definitiva questa visita lascerà

Il grande mercato indiano nel mirino d'IsraeleAviram Levyeconomista

La firma a Jenin dell’intesa sull’acqua tra israeliani e palestinesi u

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/ P13pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017 ECONOMIA

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All'ultimo Trento Economia An-drea Segrè, presidente della Fon-dazione Edmund Mach di SanMichele all’Adige, ha portato consé, per parlare di salute alimen-tare e politiche governative, dueesperti israeliani, i ricercatori El-liot Berry dell’Università Ebraicadi Gerusalemme e Iris Shaidell’Università Ben-Gurion. Ber-ry e Shai collaborano con laFondazione Mach sul fronte del-la lotta agli sprechi e per l'edu-cazione a una alimentazione sa-na, entrambi pilastri dell'impe-gno di Segré, nonché una sfidache accomuna sempre piùItalia e Israele con riferi-mento alla correzione distili di vita dannosi.“Quando si parla di dietamediterranea in realtà bi-sognerebbe riferirsi al suoetimo greco, 'diaita', ovve-ro stile di vita – aveva spie-gato a Trento Segrè - A ra-gione possiamo parlare di ‘pira-mide mediterranea universale’inserendo alla base della stessala convivialità, l’attività fisica el’educazione. Questa piramide si può declinarelocalmente, adattandola a tradi-zioni, stagionalità e prodotti delterritorio: in questo modo essa

un segno soprattutto per l'eco-nomia e la politica di Israele, co-me è naturale quando c'è una ta-le sproporzione tra le dimensionidi due paesi. Il beneficio econo-mico consiste in un aumentopermanente delle esportazioni equindi del reddito nazionale. Ilbeneficio politico lo incasserà ilprimo ministro Netanyahu, cheha dimostrato alla sua opinionepubblica che lo stallo dei nego-ziati coi palestinesi non porta al-l'isolamento diplomatico ed eco-nomico del paese, e che con ogniprobabilità vincerà le elezioni po-litiche ancora per molti anni avenire.

giato la cooperazione e ha por-tato ad un costante migliora-mento delle infrastrutture idrichenegli insediamenti israeliani e perciascun villaggio e città palesti-nese” scrive Siegel, autore di LetThere Be Water: Israel's Solutionfor a Water-Starved World. “Maa partire dal 2008, la leadershippalestinese ha deciso di trasfor-mare l'acqua in uno strumentopolitico per sconfiggere Israele -scrive Siegel - L'affermazione,che ha guadagnato credito traalcuni nella panorama interna-zionale dei diritti umani e tra imedia, è che Israele stava ridu-cendo alla sete i palestinesi peropprimerli e distruggerne l'eco-nomia”. La firma del New York Times,oltre a contestare questa accusa,nel suo editoriale sottolinea l'im-portanza del recente accordosull'acqua come pragmaticocambio di rotta, a maggior ra-gione perché porta la preziosarisorsa a Gaza, dove “il 97 percento dell'acqua non è potabile”.Il patto, in prima battuta, ha ret-to l'urto della crisi del 21 luglioe potrebbe essere la strada perricucire rapporti che continuanoa subire profondi strappi. Del re-sto si tratta di un accordo che ilministro israeliano Hanegbi hadefinito “il più grande e ambi-zioso progetto mai avviato nellanostra area”.

Commercio tra India e Israele

com

merc

io (

mil

ion

i d

i d

oll

ari

)

2012-2013

4

3

2

1

0

3,74

2,36

2013-2014

3,75

2,31

2014-2015

3,29

2,33

2015-2016

2,82

2,1

2016-2017

3,06

1,96

Anno

n Export n Import

gli affamati. Con quanto si sprecasi potrebbe sfamare un terzo del-la popolazione mondiale. Granparte delle produzioni agricoleriempiono i serbatoi delle mac-chine e gli stomaci dei ruminantiche poi mangiamo. Si spendeanche per non mangiare: le dietedel “senza” e del “no” conquista-no sempre più adepti. L’illegalitàsi abbatte sulle filiere agroalimen-tari e colpisce gli anelli più de-boli: lavoratori e consumatori.“Segrè – racconta Linkiesta inuna recensione al libro dell'eco-nomista bolognese - parte da unviaggio fatto a piedi nella pianadi Gioia Tauro, per comprenderefino in fondo le condizioni di

produzione e di lavoronelle campagne di quel-l’angolo di Calabria. Gliscarti, qui, non sono soloquelli del cibo, di cui Segrèsi occupa da tempo come

fondatore di Last Minute Mar-ket, il progetto che mira al riu-tilizzo degli sprechi alimentaridella grande distribuzione. Gliscarti, nella piana calabrese, sonoanche i braccianti degli agrumeti,gli immigrati sfruttati per pochieuro l’ora, ammassati nella ten-dopoli di San Ferdinando”. Cul-tura dell'alimentazione sana,contro lo spreco e cultura am-bientale vanno di pari passo, rac-conta Segré. “Nella visione OneHealth che abbiamo abbracciatocon convinzione alla FondazioneMach – dichiarava l'economista,ringraziando per la conferma allaguida dell'Ispra - la protezioneambientale è legata indissolubil-mente alla salute globale e quindianche a quella dell’essere umano.Alla luce del fatto che la tematicaambientale si lega perfettamentea quella agricola e alimentare,credo che la mia conferma al-l’Ispra possa incentivare ulterior-mente il percorso di ricerca, con-sulenza e formazione che giàrende unica la FondazioneMach”.

Andrea Segrè mette l’oro nel piatto

Andrea SegrèL’ORO NELPIATTO

Einaudi

Andrea SegrèMANGIA COME SAI

emi

è anche più sostenibile”. Nel suoultimo libro Mangia come sai Se-gré poi – confermato a metà lu-glio presidente del Consiglioscientifico dell’Istituto superioreper la protezione e la ricerca am-bientale (Ispra) – racconta lecontraddizioni di un mondo chevede stili di vita assolutamente

contraddittori nonché a forte im-patto ambientale: gli obesi, ri-corda l'economista e docente dipolitiche agrarie all’università diBologna – ospite nel 2014 dellaboratorio Mercati e Valori or-ganizzato dalla redazione del-l'Unione delle Comunità Ebrai-che Italiane - sono il doppio de-

della collettività nel resto dei territorinazionali, spesso abbandonati a sé o co-munque considerati economicamenteinfruttuosi. Al momento il saldo di in-sediamento metropolitano, per ciò checoncerne la componente giovanile dellapopolazione, è dell’82% in Giordania, diben il 98% in Kuwait, del 67% in Tuni-sia e del 42% in Egitto. Le differenze, amacchia di leopardo, si sovrappongonoalle diverse strutture economiche e alle

distinte organizzazioni sociali che carat-terizzano il mondo arabo. Un elementodi differenziazione tra i giovani arabi dioggi e quelli del passato sono gli elevatilivelli di alfabetizzazione e di scolarizza-zione dei primi. Quindi, in immediatoriflesso, trattandosi spesso di individuiinseriti nei flussi della globalizzazione,a partire dal circuito informativo e dellecomunicazioni, anche con attese di rico-noscimento e promozione sociale più

consistenti di quelle delle generazionitrascorse. Perlopiù frustrate, al limitedell’emarginazione istituzionale diampie fette di popolazione. Capitolo a séè poi costituito dalla giovani donne, lad-dove i differenziali tra aspettative e pos-sibilità concrete pesano enormemente. Ilconflitto culturale tra modelli contrap-posti, quando si incontra con le cristal-lizzazioni di società dove pesa ancora ilcalco patriarcale, paternalistico e ma-

schilista, si riflette nella mancanza didinamicità di queste ultime e, quindi,nell’incapacità di considerare i giovanicome opportunità piuttosto che comevincolo e costo. Alla base dei processimigratori in atto, quindi, c’è anche ilmovente, non importa quanto illusorioalla resa dei conti, di potere dare corsoad un progetto personale di emancipa-zione, oramai improponibile, senza radi-cali riforme, nei paesi di origine.

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u מלח ממון חסרIL “SALE” DI UN PATRIMONIO È IL SUO USO

Lo shofar ha la forza di destare gli animi. Risveglia i sentimenti, mette agi-tazione, emoziona e riscalda il cuore. Non a caso contraddistingue le so-lennità più sentite note come Giorni Terribili. Fin dal Medioevo è noto l’usodi dare un “assaggio” di questo suono quasi ancestrale, nei giorni del capomese di Elul, momento in cui cominciano le selichot, che cade di solito nelperiodo di vacanze. Gli ebrei italiani sono molto legati a questa occasioneal punto che si cercava di organizzare le ferie in modo da non mancare altempio in quella circostanza e avere modo di ascoltare lo shofar dopo illungo periodo di silenzio. Da decenni si organizzano anche preghiere nellelocalità balneari più frequentate dove, i romani soprattutto, partecipanoin modo ben superiore alla consueta abitudine. A contraddistinguere questomomento, oltre al suono dello shofar, è anche la zedaqà proprio in aperturadei 40 giorni destinati a un percorso di riflessione e ritorno che guidanoverso il giorno di Kippur. Pensare agli altri quando si è in vacanza fa uncerto effetto. Rosh chodesh elul ti chiama, nel momento di maggior spen-sieratezza a preoccuparti dei fratelli meno fortunati, a pensare che nulla èscontato, tanto meno quel break di sospirato riposo che vorresti ti portasselontano da tutto e da tutti. Nel trattato di ketubbot si racconta di Rabbi Yocahnnan ben Zaccai cheuscendo da Gerusalemme incontrò una donna prona a terra a raccoglierechicchi d’orzo fra gli escrementi. Al suo passaggio le venne vicino implo-randolo: Maestro nutriscimi! Dalla conversazione emerse che lei era figliadi Naqdimon ben Gurion noto per la sua agiatezza. Rabbi Yochannan in-credulo, le chiese cosa ne fosse stato dell’immenso patrimonio del padre.Si ricordava che al momento delle sue nozze aveva firmato la sua ketubbàche ammontava a un milione di dinari d’oro!La donna afflitta rispose con il proverbio comune a Gerusalemme secondocui il segreto per conservare il patrimonio è quello di usarlo in modo risolutoa favore dei più poveri. Suo babbo non l’aveva fatto e quelli erano irisultati. Eppure, si chiede il Talmud, si diceva che al suo passaggio si facevastendere tappeti e i poveri potevano raccoglierli. Le risposte secche nonlasciano scampo: lo faceva per il suo onore o forse non nella misura chegli si addiceva, un altro proverbio dice infatti che l’asino va caricato in misuraalla soma che può sopportare. Un brano della Torah, che si legge quasi sempre in corrispondenza conquesto periodo e impone il pagamento delle offerte a chi non ha la terra,è introdotto dalle parole: עשר תעשר preleva la decima. Ma può anche essereletto, dai la decima se vuoi diventare ricco. La regola è che non si mettealla prova il Cielo aspettando un compenso dalle buone azioni che si è chia-mati a compiere. Ma dicono i maestri che forse un’eccezione c’è e si imparadal libro di Malachì: “Portate le decime nella mia casa; poi verificate pure -dice il Signore degli eserciti - se io non vi aprirò le cateratte del cielo e nonriverserò su di voi benedizioni sovrabbondanti!

Amedeo Spagnolettosofer

ú– COSÌ DICE LA GENTE… כדאמרי אינשי

Trentamila e rotti ú– STORIE DAL TALMUDu LE DONNE SONO MISERICORDIOSEQuando iniziarono a eseguire i lavori di consolidamento del Santuario diGerusalemme durante il regno del re Yoshiyahu, il sommo sacerdote Chil-kiyahu trovò un Sefer Torah e lo diede a Shafan lo scriba, che ne parlò conil re e gli lesse quanto c’era scritto. Quando il re sentì tutte le punizioniche Dio disse che avrebbe mandato sui figli di Israele se avessero peccato,si strappò i vestiti. Il re allora disse a Chilkiyahu, a Shafan e agli altri consiglieri:Andate a consultare il Signore riguardo a me, al popolo e a tutta la Giudea.Gli dissero: Forse potremmo andare dal profeta Geremia? O forse dallaprofetessa Chuldà, moglie di Shalum figlio di Tikvà? Disse il re in risposta:Andate da Chuldà, perché le donne sono più misericordiose degli uomini,e se sentirà che siamo in grande angustia chiederà misericordia dal Signoreper noi! Gli dissero i consiglieri: Ma forse Geremia il profeta verrà a sapereche l’abbiamo abbandonato per andare da Chuldà e si adirerà con te? Ri-spose il re: Chuldà è parente di Geremia e so che diverse volte lui stessoha sentito che lei proferiva profezie e la cosa non gli dispiacque. Allora gliinviati del re andarono a Gerusalemme da Chuldà, e la trovarono mentreleggeva la Torah al popolo. Parlarono con lei, ella sentì le parole del re epoi disse ai suoi inviati: “Così direte all’uomo che vi ha mandati da me: Cosìdice il Signore Dio di Israele: Dato che ti sei sottomesso alla volontà del Si-gnore ascoltando ciò che ho detto su questo luogo e sui suoi abitanti esulle punizioni che seguiranno e ti sei strappato le vesti e hai pianto, alloramorirai in pace, e i tuoi occhi non vedranno il male che sto per mandaresu questo luogo”. E avvenne che quando il popolo sentì le parole cheChuldà con cuore orgoglioso aveva detto “Così direte all’uomo che vi hamandato da me” e non lo onorò chiamandolo “re”, dissero: “Due profetesseorgogliose ci furono in Israele, e per questo non ebbero nomi dolci comeTamar, Yael, Tzipporà e Chanà, bensì Devorà, che mandò a chiamare il ge-nerale Barak invece di andare lei stessa da lui, e Chuldà”. (Adattato dal Tal-mud Bavlì, Meghillà 14b sulla base di 2 Re cap. 22).

Gianfranco Di SegniCollegio rabbinico italiano

Rav Alberto Moshe Somekh

Nell’Ebraismo i concetti di “legge” e “etica”sono interdipendenti: noi dobbiamo imitarei tratti della Divinità. Come la Divinità sicolloca al massimo della perfezione etica,così noi dobbiamo seguire il Suo esempio.Nello stesso capitolo 19 di Wayqrà la Torahci invita ad amare “il prossimo tuo comete stesso” (v. 18), a “non stare inerte dinanzial sangue del tuo prossimo” (v. 16) preoc-cupandoci della sua sicurezza e a non tra-scurare la giustizia: “Non aver riguardo peril misero e non trattare con sussiego il po-tente. Con equità giudica il tuo prossimo”(v. 15). Tanto il concetto legale che quelloetico di giustizia derivano in ultima analisidalla stessa fonte: “Come Egli è misericor-dioso, anche tu devi essere misericordioso.Come Egli persegue la giustizia, anche tudevi perseguire la giustizia” (Sotah 14a). Vi sono eventi dinanzi ai quali chi detieneuna responsabilità politica, morale o reli-giosa sente di dover intervenire. Nella fat-tispecie il sottoscritto è stato anche parzialetestimone: “Se non parla, ne porterà la tra-sgressione” (Wayqrà 5,1). Mi riferisco aquanto accaduto in una piazza centrale diTorino la sera del 3 giu-gno scorso. Era in corsola diretta di un impor-tante evento calcistico:il panico suscitato da unfalso allarme ha prodot-to un morto e oltre mil-lecinquecento feriti frala numerosa folla. I fug-gitivi, lasciando le scarpesul terreno, si sono ta-gliati con i cocci dellebottiglie di birra prece-dentemente distribuite adispetto dell’ordinanzadi divieto. Per la crona-ca: fra questi ultimi anche tre giovani israe-liane. Quanti erano in tutto gli spettatoridavanti al maxischermo? Trentamila e rotti.Nel vero senso della parola. Lo ammetto: sono tra coloro che ritengonoche per ospitare eventi del genere ci sonogli stadi. Polemizzo apertamente con chiribatte che le piazze sono a disposizionedei cittadini. Non a qualsiasi costo. Pochesere prima la lettura pubblica di brani dalleopere di Umberto Eco in una piazza atti-gua non aveva destato alcun problema. Su-perfluo rilevarlo. Non tutte le manifesta-zioni sono uguali. Rispettare i cittadini si-gnifica tener conto anche di quella signoraultrasessantenne che pur non avendo alcuninteresse agonistico si trovava a transitareper i fatti suoi nel posto e nel momentosbagliato: essa è stata coinvolta suo mal-grado, riportando serie ferite. Lo stadio èdegli sportivi; la piazza è e deve essere ditutti. I Maestri del Talmud sentenziano chechamira sakkanta me-issura: “Il pericolorichiede maggior rigore persino di una proi-bizione della Torah” (Chullin 10a). Dueaspetti ulteriori hanno destato la mia per-plessità, come cittadino a mia volta e per-sino come ebreo, avvezzo ormai a certiproblemi. Anzitutto ho constatato l’assenza

di qualsiasi dispositivo di sicurezza che fil-trasse l’afflusso sulla piazza prima dell’iniziodello spettacolo. Mi si obietterà che intro-durre anche dei semplici metal detectorsarebbe stato impossibile, proprio perchéla piazza è di tutti. Ragionando così nonci si avvede della contraddizione: chi si fagarante dell’accesso indiscriminato deveanche preoccuparsi della incolumità di cia-scuno. Ma soprattutto si prende la respon-sabilità di esporre la folla al capriccio deifolli, come proprio la cronaca più recentein giro per il mondo testimonia. Ho il di-ritto di pretendere che la pubblica autoritàsi faccia carico della protezione di ogni sin-golo individuo. Se non ho questa garanzia,che fiducia posso ancora nutrire nelle isti-tuzioni? Anche sotto questo aspetto gli sta-di sono già strutturati per un accesso con-trollato e dispongono di vie d’uscita ade-guate. Passeggiando nella zona poco prima chela partita avesse inizio ho ancora notato levagonate di birra che arrivavano sotto gliocchi assenti delle forze dell’ordine, nono-stante un’ordinanza ne avesse proibito ladistribuzione. Le bevande alcoliche, si sa,infiammano gli animi. Ma qualche volta il

contenitore può rivelarsi nonmeno pericoloso del conte-nuto. E così è stato. Senza ivetri delle bottiglie il bilanciodei feriti sarebbe stato assaipiù ridotto e il lavoro di re-cupero molto meno gravoso.Mi è sovvenuto il raffrontocon quanto avviene negli ae-roporti: non mi si venga piùa raccontare che una mammache sale sull’aereo con il bi-beron per il proprio bambinomette a repentaglio la sicu-rezza del volo! C’è peraltro un’affermazione

singolare che ho sentito ripetere. “Occorreeducare la folla a contenere le proprie rea-zioni”, asserisce qualcuno. Non occorreaver letto i Promessi Sposi per rendersiconto che le emozioni del profanum volgusben difficilmente si prestano a essere go-vernate a priori. La paura fa parte del vivereumano. Nel nostro caso la folla ha reagitocon piena consapevolezza del rischio checorreva e quindi, per paradossale che sia,con maturità. Aggiungo che la cultura pie-montese, tradizionalmente educata allacompostezza e alla solidarietà, ha evitatodanni addirittura peggiori. Avrei trovatomolto più preoccupante un atteggiamentostatico e passivo: se il pubblico non si fossemosso avrebbe dimostrato di non capireniente. Un ulteriore spunto di riflessioneper i nostri amministratori.Non ho nulla contro il gioco del pallone.Nelle fonti rabbiniche se ne parla già dalMedioevo (Tos. Betzah 12a; Resp. R. Mo-she Provenzalo, Mantova, sec. XVI, OrachChayim, n. 53). Ben venga, nella misura incui si tratta di una manifestazione di coe-sione e di civiltà. Ma non pensiamo che il“dio calcio” ci protegga da tutti i mali. Pur-troppo abbiamo constatato che questo nonè vero.

Rotolo della Torah,u

Inghilterra, 1765

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A chi è abituato a vivere l'ebraismo ita-liano secondo i suoi ritmi, le sue tradi-zioni, le sue istituzioni comunitarie, unsalto oggi in quella che sembra essereper certi versi la Regione più al centrodell’attenzione, anche mediatica, su vitae cultura ebraica in Italia, può aiutarea comprendere una realtà assolutamen-te diversa, in continuo inarrestabile pro-gredire, se non in termini di numero diebrei che vi abitano, ma di eventi, no-tizie, testimonianze e di profondo in-teresse verso tutto ciò che è ebraico,ossia la Sicilia.È emozionante, quasi leggendario, per-correre quartieri, stradine, e sapere chelì vi è stata una storia ebraica impor-tante: basti pensare che, dopo il sac-cheggio di Gerusalemme, i romani de-portarono in terra siciliana oltre 30.000ebrei, come schiavi e che in epoca me-dioevale, oltre una cinquantina tra cittàe paesi della Sicilia avevano quartieriebraici, noti come giudecche. E poi,sotto il dominio normanno, in tuttal’isola si svilupparono comunità ebrai-che, che contribuirono nel tempo allo

sviluppo culturale ed economico del-l’intera Regione: l’Aron ha Kodesh diAgira e il Mikveh di Siracusa sono so-lamente due delle molteplici testimo-nianze di questa ricca storia.E come poter dimenticare, guardandoal risveglio ebraico cui si assiste oggi inSicilia e in particolare a Palermo, chela presenza ebraica, prima di esser bru-talmente estirpata, poté svilupparsi e

crescere grazie alla posizione geograficache occupava la Sicilia nello scenariomondiale: il cuore del Mediterraneo,un crocevia portuale dove passavanotutti i traffici commerciali, un punto dicollegamento fra l’area mediterranea e

il continente europeo. Ha scritto Abra-ham Yehoshua su “La Stampa” del 21luglio, in un articolo dal significativo ti-tolo “Può nascere in Sicilia la comunitàdel Mediterraneo”, che “la Sicilia po-trebbe essere il luogo adatto a forgiaree a valorizzare un’identità mediterraneaper i popoli che ne abitano le sponde”,perché è agevole dimostrare quantol'identità mediterranea sia radicata inSicilia: “Civiltà diverse - ellenica, roma-na, cristiana, araba ed ebraica - vi hannolasciato profonde tracce storiche e cul-turali. Il bacino del Mediterraneo co-stituisce un'unità geografica, climatica,archeologica e storica. E la Sicilia è statala culla di grandi e ricche civiltà qualiquella occidentale e cristiana della mo-derna Europa, quella musulmana equella ebraica”.Oggi sono in tanti a riconoscere chela perdita della collettività ebraica inSicilia fu un fatto grave anche per l’eco-nomia dell’isola, perché molti degliebrei che vi abitavano gestivano attivitàimportanti, in alcuni casi faticose, aven-do in mano buona parte dell’economiacommerciale del Regno e del Vicere-gno di Sicilia, e oltre alle attività com-merciali, operavano nell’attività dellaconcia delle pelli, nella lavorazione delferro e della seta, nella coltivazione del-la canna da zucchero e nella produzio-ne di maioliche.

La storia di una presenza millenaria, che risale agli

anni della distruzione del secondo Tempio, e il

carattere e le tradizioni di un'isola speciale.

Una presenza riconosciuta come parte inte-

grante e imprescindibile della storia lo-

cale, e le conseguenze di un editto di

espulsione che nel 1492 è andato a

colpire migliaia di destini. Le vicen-

de di quella che è stata la comu-

nità più numerosa d'Italia, le dif-

ficoltà e la fatica di un percorso

di ritorno e di rinascita che per

lungo tempo hanno potuto con-

tare solo sulla determinazione di

pochissime persone. Tutto questo

e molto altro è la Sicilia ebraica,

una realtà che riafferma la pro-

pria esistenza e che sta lottando

per riprendersi la propria storia,

fra difficoltà e successi di grande

valore anche simbolico. Raccon-

tare l'ebraismo siciliano significa

intraprendere un percorso di co-

noscenza non semplice, imbocca-

re una strada tortuosa e impre-

vedibile fatta di personaggi a volte contraddittori

e di storie da capire e vagliare. E da raccontare,

a poche settimane dalla Giornata Europea del-

la Cultura Ebraica che vedrà la Sicilia tutta,

a cominciare da Palermo e da Catania,

come capofila. Da Evelyne Aouate, mo-

tore della rinascita della Sicilia ebrai-

ca a rav Pierpaolo Pinhas Puntu-

rello, che con Shavei Israel tanto

sta facendo per accompagnare

un percorso complesso. Dall'ar-

chitetto Renzo Funaro che con la

Fondazione Beni Culturali Ebraici

in Italia si occupa di vagliare le

tante segnalazioni di siti che ar-

rivano dall'isola, alla competenza

dell'architetto David Cassuto. So-

no molte le voci che questo dos-

sier ha ascoltato per dare un pri-

mo quadro della ricchissima e

complessa storia della Sicilia

ebraica, che oggi può contare an-

che sul sostegno che le viene dal

Progetto Sud dell'Unione delle

Comunità Ebraiche Italiane.

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/ P15pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017

DOSSIER /Sicilia ebraica

Isola degli esili, dei ritorni e dei destini

PALERMO

Ritorno in sinagoga

Evelyne Aouate e rav Pierpaolo Pinhas Puntu-rello, fra storie e personaggi di un città magica

SIRACUSA

Acque simboliche

Un mikveh sotterraneo e millenni di storia dicui essere fieri, fondamenta e radici

MODICA

Storia di un eccidio

Antisemitismo e storia di un massacro, nonostante la favorevole anomalia siciliana

Comunità del Mediterraneo Il percorso di riscoperta e rinascita, da Palermo e attraverso le sue civiltà

a cura di Ada Treves

Giulio Disegnivicepresidente UCEI

/ segue da P21

Page 16: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

Inizia con una battuta ironica ildialogo con rav Pierpaolo PinhasPunturello, responsabile per SudItalia di Shavei Israel, l'organiz-zazione israeliana che accompa-gna il percorso verso l'ebraismodei molti, in tutto il mondo, chehanno scelto di tornare alle pro-prie radici. "L'ebraismo italianoè sempre convinto di stare fraNew York e Gerusalemme...".Continua poi, con tono più serio:"Sono poche le comunità chehanno ancora quel senso cosmo-polita e internazionale che le ca-ratterizzava, mentre gli ebrei pa-lermitani sono pochissimi mahanno esattamente quello, sonoparte di un mondo i cui riferi-menti non sono solo italiani".Rav Punturello, napoletano, haaffiancato gli studi rabbinici aquelli universitari, all'Orientale,ed è stato rabbino presso la Co-munità di Napoli prima di con-tinuare il suo percorso in Israele.La sua profondaconoscenza dellarealtà ebraica delsud Italia e la suastoria personalegli permettono diavere una visionechiara della ricchezza e anchedelle difficoltà e delle sfide posteda una realtà complessa e varie-gata, e anche di non essere per-cepito come un "corpo estraneo"dall'ebraismo locale. Sentirgliraccontare la storia della Siciliaebraica è una appassionante tra-versata lunga secoli e la scoperta

di un mondo di cui molto si par-la ma che è ancora relativamentepoco conosciuto. "Partiamo solodai tempi più recenti: gli ebreihanno iniziato a tornare in Siciliapoco prima dell'Unità d'Italia,per i motivi più diversi. Tra Ot-tocento e Novecento non man-cavano le occasioni imprendito-riali, così cominciarono ad arri-vare sia famiglie della borghesiaitaliana che straniera, ad arric-chire le fila di quella nobiltà im-prenditoriale del sud che già nonmancava, soprattutto a Palermo.Alcuni nuclei piemontesi si spo-starono perché facevano partedella struttura burocratica delnuovo Stato, e arrivarono anchemolti professori universitari, in

un flusso migrato-rio non motivatoda necessità, ma dascelte e possibilitàdi coprire posti in-teressanti. Il diret-tore del Teatro Bel-

lini, per esempio, era un ebreoungherese, e va ricordato che sitratta di una città portuale, in cuiè naturalmente ricca da semprela presenza straniera. Sono poida ricordare i rapporti col Me-diterraneo, e in particolare conTunisi, dove c'era una comunitàdi origini italiane con cui erano

fittissimi gli scambi, anche com-merciali. Un altro flusso ebraicoarrivava da Napoli, da cui inmolti partirono per aprire negozie attività commerciali, e quandovennero costituite le comunitàebraiche il nucleo palermitano,più di duecento persone, si chie-se se diventare comunità, mamolti non erano né così radicatiné forse sicuri di restare, cosìvennero censiti nelle comunitàd'origine, dove spesso tornavanoper le feste principali.Era una comunità dalle radicimultiformi, internazionali, moltoaperta al confronto con l'esterno,e bisogna sapere anche che frale due guerre la buona borghesianon ebraica mandava i figli a fare

una sorta di viaggio di formazio-ne, prima di mettere loro in ma-no gli affari di famiglia, e unatappa molto frequente era BadenBaden, dove spesso i giovani siinnamoravano, col risultato ditornare a casa con una moglieebrea originaria dell'est Europa.Così è stato per la madre di En-zo Sellerio, per esempio, mamolte ragazze della buona bor-ghesia ebraica polacca e lituanasono arrivate in Sicilia così. Conle leggi razziste del '38 chi lavo-rava di fatto ha trovato spessoun modo per restare, la societàsiciliana ha reagito in manierapositiva, ha uno spirito un po'anarchico di suo, ed è anche sta-ta liberata prima. Il rapporto con

Tunisi era rimasto stretto, piùforte che con la realtà ebraicaitaliana, anche per questioni nu-meriche: andare a passare le festea Tunisi significava ritrovarsi inuna comunità che contava set-temila persone, quando a Napolierano trecento e molti parlavanofrancese in casa, oltre ad altremolte lingue. Hanno poi iniziatoad arrivare anche gli israeliani,che attraccavano a Palermo conla marina mercantile e la vitaebraica, man mano, ha ripresovigore" È negli anni Ottanta cheanche in Italia ci si è resi contodelle potenzialità, e della ricchez-za e voglia di esistere e raccon-tarsi degli ebrei siciliani. "La cosapiù bella - continua Punturello -è che oltre al naturale processodi ritorno e riavvicinamento c'èanche la riconquista di un rap-porto con la cittadinanza, in unaregione che percepisce da sem-pre le comunità ebraiche comeparte integrante di una storia co-mune". È rete che funziona, ac-coglie e sostiene i nuclei ebraici,insieme alle istituzioni sia ebrai-che che locali, e soprattutto gra-zie alla forza e all'energia di al-cune persone straordinarie si puòora dire che la rinascita ebraicain Sicilia è avviata. E i primi ri-sultati sono già straordinari.

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DOSSIER /Sicilia ebraica

/ P16 n. 8 | agosto 2017 pagine ebraichePOLITICA / SOCIETÀ

Fra tradizione e cosmopolitismo Storia e storie degli ebrei siciliani, raccontate da chi le raccoglie e accompagna

Una sinagoga, simbolo di risveglio e ricostruzione“Un evento storico e impor-tante nei rapporti tra Chiesaed Ebraismo. Una svolta loca-le, ancor più significativa per-ché arriva da un Meridioneche già da tempo offre signi-ficative testimonianze di ri-sveglio e di rinascita”.Queste le parole con cui laPresidente dell’Unione delleComunità Ebraiche ItalianeNoemi Di Segni ha commen-tato in gennaio la decisionedell’arcivescovo di Palermo,monsignor Corrado Lorefice,di concedere in comodatod’uso gratuito un oratorio diproprietà ecclesiastica, l’Ora-torio di S. Maria del Sabato,che sorge nell’area un tempooccupata dell’antica zonaebraica della Guzzetta e dellaMeschita. Spazio che, prossi-mamente, diventerà un luogo

di culto e studio per gli ebreisiciliani. "Una concreta testimonianzadi risveglio e di rinascita ebrai-ca a oltre 500 anni dagli infa-manti editti di espulsione chemisero fine, anche nel san-gue, a secoli di presenza e im-pegno sul territorio. Una Pa-lermo che si afferma e si poneal centro di un intenso dialo-go multiculturale e di esem-pio per tutto il mediterraneo"la riflessione condivisa nelle

stesse ore assieme alla Presi-dente della Comunità ebraicadi Napoli Lydia Schapirer. Si tratta nel concreto di un at-to unilaterale, disposto dal-l’arcivescovado. Comodatariodell’immobile sarà proprio laComunità di Napoli, punto diriferimento per l'intero Meri-dione, che ne affiderà l’am-ministrazione alla neonata se-zione di Palermo. Un risultatopossibile per il lavoro svoltodall’Istituto Siciliano di Studi

Ebraici guidato da Evelyne Ao-uate e alla collaborazione e al-la presenza ormai pluriennalein loco dell’associazione Sha-vei Israel. Un passo che rap-presenta quindi la maturazio-ne di una proficua rete di re-lazioni già avviate nel tempoe di immensa portata storica. L'annuncio della concessionedell'oratorio è arrivata in oc-casione del convegno “Sicilianisenza Sicilia. Ebrei di Sicilia interra d’altri” organizzato il 12

gennaio scorso. Una data,quella scelta, dai forti risvoltisimbolici. Cadeva infatti inquelle ore il 524esimo anni-versario dall’espulsione degliebrei dalla Sicilia su effettodell’editto precedentementeemanato a Granada, il 31 mar-zo 1492, dai regnanti Ferdi-nando d’Aragona e Isabella diCastiglia. “È con gesti come questo, diportata potremmo dire sto-rica, che il passato fa pacecon il presente e il presentecon il passato. È una conci-liazione che unisce e che ciimpegna a proseguire il dia-logo e il confronto, sotto ilnome della cultura e dellaconvivenza civile fra popoli epersone” la riflessione svoltaallora dal vicepresidente UCEIGiulio Disegni.

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È una donna il centro intornoal quale l’ebraismo di Palermoha ripreso voce: Evelyne Aoua-te, ebrea francese nata in Algeria,ha vissuto l’esperienza dell’er-ranza che ha portato lei e la suafamiglia a Parigi. Cresciuta inuna famiglia osservante, moltogiovane, decide di restare in Si-cilia dopo un viaggio. “Pensavodi essere l’unica ebrea a Palermoma mi sbagliavo, anche se nonc’era un’organizzazione di rife-rimento. Quando sono venuta asapere di altre realtà ebraiche èstata una grande gioia per me.Casualmente, poi, è venuta acercarmi Miriam Ancona, cheaveva saputo da una mia clienteche sono ebrea e mi è venuta atrovare nelmio negozio”.Dopo tantianni di attivitàlavorativa ladecisione diinterrompere,ed è proprioin questo mo-mento cheEvelyne comincia ad essere con-tattata da fuori Palermo: “Treanni e mezzo fa ho deciso dismettere di lavorare e in quellostesso periodo sono stata con-tattata da rav Pierpaolo PinhasPunturello, per organizzare unseminario per parlare di ebrai-smo. Era un campo sconosciuto,ma col sostegno di un amico li-braio siamo riusciti e abbiamovisto che c’è grande curiosità divedere, di sapere, di capire cosaè l’ebraismo. Alla fine del semi-nario rav Punturello ha propostodi accendere le luci di Chanuk-kah. Mi sembrava un progettomolto ambizioso ma abbiamovoluto provare lo stesso, abbia-mo esposto l'idea all’università:avevamo proposto un giorno so-lo, ma il rettorato ha voluto l’ac-censione per tutti gli otto giornidella festa. È stato particolar-mente emozionante perché era-no le prigioni dell’Inquisizione.Da lì in poi si sono aperte le por-te di tutte le istituzioni della città.Siamo stati accolti bene, non ab-biamo mai avuto un no. Perquesto Palermo è un po’ specia-le, per il suo passato di acco-glienze e dominazioni”. La lucedi Chanukkah sembra avere il-luminato il percorso che Evely-ne ha intrapreso insieme agli al-tri ebrei di Palermo e con moltistudiosi, curiosi, e con le perso-

nalità catto-liche locali.“Da alloraabbiamo or-gan i z za to

tantissimi eventi culturali, conl’Istituto Siciliano di Studi Ebrai-ci fondato nel 1992 dopo l’in-contro con Miriam Ancona. Ab-biamo iniziato con poche cose,

ma gli appuntamenti si sonopresto moltiplicati, e siamo di-ventati un riferimento cittadino”.E al mondo cattolico Evelyneguarda con gratitudine perchéanche grazie a quegli ambientiè stato possibile riscattare la pre-senza ebraica in città, e realiz-zare il desiderio e l’esigenza diuna sinagoga, dove potersi tro-

vare per studiare e per pregare:“Fondamentale è stato l’incontrocon il vescovo Lorefice, un uo-mo capace di ascoltare, e abbia-mo chiesto questo luogo ancheper poter ricambiare l’ospitalitàricevuta nelle chiese e nelle mo-schee. Quando l'arcivescovo haannunciato la donazione di San-ta Maria del Sabato la chiesa do-

ve si trovava è scoppiata in unapplauso spontaneo, fragoroso,che è il segno di come la cittàabbia percepito il nostro volerfare parte della società e l’auten-ticità del nostro progetto”. L’at-tenzione e l’interesse per l'ebrai-smo siciliano è anche il ricono-scimento della continuità con ilpassato: “C’è una volontà di ri-tornare a prima, 524 anni fa do-po una permanenza di 15 secoli,e prima dell’oblio. Molti mi chie-dono se il loro nome ha originiebraiche, molti sono affascinati,vogliono conoscere la Storia ele nostre storie”.Evelyne non nasconde l’emozio-ne, e lo stupore: “I miei fratellidicono che forse dovevo propriovenire in Sicilia. Quando ho de-ciso di smettere di lavorare sonostata cercata da rav Punturello,quando siamo andati dal vesco-vo, è stata accettata subito la no-stra richiesta. Noi non siamo nu-merosi, ma siamo una comunitàche accoglie tutti gli ebrei delmondo, da Canada, Stati Uniti,Francia, dalla Svezia. È moltoemozionante, anche se è difficile,stancante, ma ogni cosa che rie-sco a finire per me è una gioia.Una giornalista del New YorkTimes mi ha consegnato una let-tera di un signore ebreo ameri-cano, abbiamo smosso dei ricor-di”. È un lavoro quotidiano, cheimpegna tutta la comunità. “Ilmio obiettivo adesso - continuaEvelyne - è arrivare a fondo alprogetto della sinagoga, perchésarà anche un centro di studiebraici. Ci vuole la buona vo-lontà, ma anche denaro e noisperiamo che con le donazionisi possa riqualificare tutto ilquartiere ebraico, fare riemerge-re la sua storia, con una presenzadi 15 secoli. Abbiamo tanto dafare, abbiamo bisogno anche diuna biblioteca dove poter stu-diare”. Per tutti questi anni la suacasa è stata un punto di incon-tro, un luogo dove accoglieretantissime persone diverse chesono arrivate a Palermo da tuttoil mondo per viverci o anche so-lo in visita. “Il mio rapporto conl’ebraismo era soprattutto iden-titario, anche perché credevo diessere sola. La mia presa di co-scienza, il mio senso di appar-tenenza, che non ho mai rinne-gato, è cresciuto con la mia vitaa Palermo, come un riscatto. Senon sai da dove vieni non saidove stai andando. L’ebraismo,anche dove ci fossero solo dueebrei, può rinascere”.

Claudia Lo Iacono

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/ P17pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017 POLITICA / SOCIETÀ

PERSONAGGI

Nel processo di rinascita dell’ebraismo palermitano c’è un’altra donna ad affiancare EvelyneAouate: Luciana Pepi, nata a Palermo, dopo essersi laureata in Filosofia ed aver ottenuto il dot-torato di ricerca ha proseguito la sua formazione con specializzazioni presso il Pontificio IstitutoBiblico di Roma, e l’Università Ebraica di Gerusalemme. Ha insegnato ebraico biblico e filosofiapresso la Pontificia Università Gregoriana, e tra le sue pubblicazioni c'è la traduzione in ebraicodel Pungolo dei Discepoli di Anatoli. La sua formazione accademica è stata sempre accompagnatada una grande passione, che l’ha portata a fare del suo mestiere anche una scelta di vita. Dal2005 è ricercatrice presso l’Università degli studi di Palermo, dove insegna Storia del PensieroEbraico Medievale al corso di laurea triennale e magistrale di Filosofia e Lingua e Cultura Ebraicaall’interno del corso di laurea in Lingue e culture dell’Oriente e dell’Occidente, trasmettendoagli studenti, attraverso i filosofi medievali e non solo, l’interesse per l'ebraismo e per la culturaebraica. Non solo lezioni universitarie, ma continuo approfondimento grazie alle attività orga-nizzate dall’Istituto Siciliano di Studi Ebraici, e grazie all’Officina di studi medievali della qualeLuciana Pepi è vicepresidente. All’interno dell’Istituto Siciliano è una delle colonne portanti delrisveglio culturale ebraico di Palermo. Impegnata per l’organizzazione di incontri, conferenze,lezioni aperte alla città, rapporti con le altre comunità, e relatrice in molti convegni in Italia eall’estero, la professoressa Pepi è un supporto fondamentale alla macchina organizzatrice chevedrà Palermo protagonista della Giornata Europea della Cultura Ebraica il prossimo dieci set-tembre. Gli studenti che frequentano i suoi corsi hanno quindi la possibilità di conoscere edentrare in contatto con la comunità e la cultura ebraiche, decidendo poi spesso di continuaregli studi e la ricerca, anche in Israele. Tra le attività svolte, grande il suo supporto all’accoglienzadi gruppi di ebrei stranieri che vengono a visitare la città o ebrei di passaggio che vogliono co-noscere la comunità di Palermo, diventando così, uno dei punti di riferimento. Luciana Pepi èsempre in contatto con l’università ebraica di Gerusalemme per svolgere la sua ricerca di studioe continua a dare un forte contributo alla cultura ebraica e alla filosofia ebraica medievale, al-l’interno dell’università di Palermo e per la città.

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Dall’ebraico alla filosofia

Determinazione e volontà di rinascita

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e prove provate. Anche questo èuno dei compiti della Fondazio-ne". Intorno all'idea di riportare allaluce le storie e i reperti del glo-rioso passato ebraico sicilianospesso nascono occasioni di svi-luppo turistico, situazioni poten-zialmente virtuose che però de-vono obbligatoriamente passare -spiega l'architetto Funaro - attra-verso protocolli con le regioni e

con i singoli comuni. "Va fattopresente alle amministrazioni lo-cali che il referente unico è l'Unio-ne delle Comunità Ebraiche Ita-

liane, e che è fondamentale il con-fronto con gli esperti della Fbcei,con gli architetti, storici e rabbiniche affianchino le indagini. Non

basta che ad attivarsi siano per-sone di buona volontà, servonopreparazione e competenza, e lacapacità di affidarsi alle istituzionipreposte, che esistono e che stan-no svolgendo un lavoro eccellentee sempre più intenso". Le attività della Fbcei si concen-trano sul Sud da alcuni anni, conuna specifica commissione che sioccupa di avere sempre un qua-dro aggiornato delle situazione,che è complessa e molto differen-ziata. Forte è la collaborazionecon gli enti locali e con le univer-sità, dove molti sono gli studiosiche seguono con attenzione il fe-nomeno. In occasione della pros-sima Giornata Europea della Cul-tura Ebraica (Gece), poi, la Fon-dazione sta procedendo al recu-pero e al riallestimento di due mo-stre, a cura della sovrintendenza- con cui Ucei e Fbcei hanno unostretto rapporto di collaborazione- e dell'università di Palermo. Sitratta di due occasioni di appro-fondimento e di diffusione dellaconoscenza che verranno fatte cir-colare nei molti centri interessatidalla Gece per raccontare le pe-culiarità della Sicilia ebraica. Tan-tissimi sono infatti i piccoli e pic-colissimi centri dove era attestatauna giudecca, che spesso è statadavvero importante nella storialocale. Un campo di studio enor-me e interessantissimo, dove an-cora molto è da scoprire.

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DOSSIER /Sicilia ebraica

/ P18 n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

Il delicato lavoro della Fondazione L’architetto Renzo Funaro racconta la complessità di un percorso tra riscoperte e ritrovamenti ingannevoli

Sarà la Sicilia il “centro diffuso” della Giornata Europeadella Cultura ebraica 2017, con iniziative in sei località:a Palermo, dove si inaugurerà ufficialmente la Gior-nata domenica 10 settembre, e a Catania, Agira, Ra-gusa-Camarina, Modica e Siracusa, dove si svolge-ranno numerosi incontri, visite guidate e appunta-menti culturali. Una occasione per conoscere unaparte di storia dell’isola, quella ebraica, iniziata intempi molto antichi e bruscamente interrottasi sulfinire del XV secolo, quando anche in Sicilia fu ap-plicato l’editto dei regnanti spagnoli Isabella di Ca-stiglia e Ferdinando d’Aragona, che cacciarono gliebrei dalla Spagna e da tutti i possedimenti, Sicilia eparte del sud Italia inclusi.Una storia che sta ricominciando: è infatti recentela notizia che la Diocesi di Palermo ha voluto con-cedere l’usufrutto dell’ex Oratorio di Santa Maria delSabato agli ebrei palermitani, per farne una Sinagoga.Un gruppo, quello ebraico a Palermo, che da diversianni organizza numerose attività, con un grande se-

guito e suscitando molto interesse nella popolazione,e che è entrato a far parte ufficialmente, in tempi

recenti, della Comunità ebraica di Na-poli, di cui è sezione, e dunque del-l’Unione delle Comunità Ebraiche Ita-liane.Le iniziative partiranno il sabato sera,all’uscita dello Shabbat, a Palermo e aCatania. A Palermo si aprirà con unconcerto di musiche di Gershwin e con

proiezioni di film all’Istituto Cervantes e al GoetheInstitut. Anche a Catania saranno proiettati film alsabato sera, su un maxischermo allestito in piazzadell’Università. L’inaugurazione ufficiale della Giornata si terrà nelcapoluogo Palermo la mattina del 10 settembre, allapresenza delle autorità, nella splendida cornice diPalazzo Steri, che fu per secoli la sede siciliana del-l’Inquisizione e che in alcune stanze, che erano adi-bite a celle, sono tutt’oggi visibili i graffiti e le scritte

"Bisogna essere attenti, e vigilare,perché la situazione in Sicilia e ingenerale in tutto il Meridione èmolto delicata. Bisogna accom-pagnare la rinascita ma allo stessotempo essere vigili: appaiono mol-teplici costellazioni di siti e di ini-ziative che si definiscono ebraichee vanno fatte verifiche storiche, etecniche". È cauto, Renzo Funaro,l'architetto fiorentino che da de-cenni si occupa di restauro e direcupero di edifici storici anchein qualità di presidente dell’Operadel Tempio ebraico (ha seguitotra gli altri anche i lavori alla si-nagoga di Siena e il recupero deicimiteri ebraici di Firenze). Vice-presidente della Fondazione per iBeni Culturali Ebraici (Fbcei), sioccupa da tempo della rinascitadell'ebraismo nel Sud e pur senzavoler frenare gli entusiasmi rac-comanda prudenza: "In tanti pro-pongono siti, a volte compaionoorganizzazioni fantomatiche, fon-dazioni che non sono composteda esperti. Spesso sono personedi buona volontà, che magari han-no cognomi di origine ebraica, epensano sinceramente di fare be-ne. Anche per questo bisognasempre intervenire con delicatez-za, e cercare di capire sia il valoreeffettivo dei ritrovamenti che lepersone. Alcune operazioni di ri-valutazione non sono fondate,vanno sempre vagliate attenta-mente, servono documenti storici

Sono due le mostre che lau

Fondazione Beni Culturali

Ebraici Italiani sta riallestendo

per la Giornata Europea della

Cultura Ebraica. Il racconto di

Renzo Funaro (in alto al centro)

Una Giornata per la Cultura. L’Isola è protagonista

Page 19: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

Nel grande studio i volumi af-follano l’ampia libreria di legnoscuro al punto che solo in un se-condo momento si notano i qua-dri. Una ragazza di Modiglianisembra scrutare quasi con so-spetto la penombra della stanza.Quando si fa notare a Elio Toc-co, professore di Storia e Filoso-fia, che entrando in quello studioè la grande libreria a rubare lascena e i quadri si notano soloin un secondo momento, rispon-de che dipende dalla prospettiva,dagli occhi di chi guarda. “Malgrado a Siracusa palpitino1.500 anni di storia ebraica, lamemoria e le tracce della pre-senza ebraica sono state rimosseattraverso un processo di dele-gittimazione culturale iniziatocon l’Editto di Espulsione del1492. Il passato ebraico rimosso,che si respira nell’aria ed è parteintegrante della nostra identitàdi siciliani, vive fuori e dentro leantiche mura della città e nellecose di tutti i giorni”. Il professorTocco sottolinea che gran partedelle pietanze siciliane è di ori-gine ebraica e non araba, comesi crede comunemente. Il panecon la milza è un’antica inven-zione della comunità ebraica diPalermo e il soffritto d’aglio e lacaponata sono un regalo degliebrei alla cucina siciliana tradi-zionale. E anche il modo di ral-legrare i pasti è eredità ricondu-cibile all’arcamesa, la tavola ap-parecchiata con la tovaglia rica-mata. Il topos dei giochi di prospettivasi ripresenta per la simbologiapresente nell’acqua, elemento sa-

cro delle tre grandi religioni mo-noteiste, anche a causa dell’usan-za della purificazione rituale. Ilprofessore spiega che mentre peri Greci il mare era tutelato dallapresenza degli dei e poteva as-sumere connotati positivi e ne-gativi, per le culture semite il ma-re è abitato esclusivamente dapresenze negative. Apparente-mente, questo si manifesta nellaparola ajin che può significaresia "sorgente" che "malocchio".Le acque dolci, favorevoli all’uo-mo perché spesso potabili, assu-mono invece una differente sim-

bologia. Sulla base di questocomplesso gioco di simboli e mi-

ti si fonda la storia culturale si-ciliana, una tela su cui le mani

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/ P19pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017

Le acque di Siracusa Una storia millenaria ha lasciato tracce profonde e sotterranee

angosciose lasciate dai prigionieri. Nel cor-so della mattinata, a partire dalle 9.30, aPalermo si potranno fare visite guidateall’antica giudecca. Nel pomeriggio, sem-pre a Palazzo Steri, si terrà il convegnoDiaspora. Identità e dialogo, e a seguiresi potrà assistere al concerto di musichedella diaspora, con esibizioni di EvelinaMeghnagi, Alejandra Bartolino Garcia eLoica Czackis. Fitto anche il programma di Catania, dovel’inaugurazione alla presenza delle auto-rità è prevista nel pomeriggio, e alla qualeseguirà un convegno sugli ebrei a Cataniae in Sicilia, le visite a una mostra sugliebrei in Sicilia presso la Sala d’Armi delmuseo civico Castello Ursini, una mostradi oggetti ebraici presso la Biblioteca Ur-sino e il concerto di musiche diasporichedel pianista israelo-italiano Yakir Arbib. Iniziative anche ad Agira, in provincia diEnna, presso il palazzo municipale, dovesi terrà una conferenza, e a seguire le

visite al sito dell'antica sinagoga euna passeggiata tra le vie della cit-tà alta. Ad Agira è conservato unantico Aron Ha Kodesh, l’armadiosacro sinagogale dove sono con-tenuti i rotoli della Torah, costruitointeramente in pietra. Un pezzo ra-rissimo, risalente alla metà del XVsecolo, che non mancherà di affa-scinare i visitatori.Nel ragusano, iniziative sono previ-ste nel museo archeologico di Ca-marina, presso Ragusa, che conser-va pregevoli reperti archeologiciebraici, e anche a Modica. Infine, ap-puntamenti culturali si svolgerannoa Siracusa, che fa da tempo partedel circuito della Giornata, dove èpresente un antico mikvé, il bagnorituale ebraico, e dove sarà possibilevisitare le strade di quella che fu lagiudecca.

Marco Di Porto

di pittori provenienti da luoghidiversi hanno steso i colori bril-lanti e opachi delle proprie iden-tità. Questo magma di culture ri-bolle in tutta Siracusa, anche inluoghi insospettabili come Akra-dina, uno dei primi quartieri incui la comunità ebraica dovettestabilirsi prima di spostarsi doveoggi si erge il Castello Maniace,voluto da Federico II. La possi-bile presenza di una comunitàebraica nella zona del Castelloè data dalla folta esistenza di bu-che rotonde che dovevano ser-vire come cisterne. A tal propo-sito, scrive Vladimir Zori: “Si hala netta impressione che in queiparaggi fossero concentrate lelavorazioni legate anzitutto allaconcia delle pelli, e in seguitocertamente anche quelle legateall’arte tintoria. (…) È ben sapu-to che da queste parti in età nor-manna le attività altamente spe-cialistiche di conceria e special-mente di tintoria, erano concen-trate in buona parte nelle manidegli ebrei”. La presenza di unacomunità ebraica in quel luogoè attestata anche da una curiosaincisione a caratteri ebraici in unpunto del Castello coincidenteal Bagno della Regina. L’incisio-ne, trovata da Zori corrisponde-rebbe all’ebraico ם׳׳ח, “(acqua)viva”. Uno dei numerosi mikvehdella città si trova nella Giudec-ca, posizionata tra i quartieri si-racusani della Graziella e dellaSpirduta, in cui doveva essercianche una sinagoga poi trasfor-mata in chiesa di S. Filippo Apo-stolo. La comunità ebraica do-vette infatti cambiare residenzaancora una volta, e spostarsidall’attuale Castello Maniace alla“Juréca” quartiere che per secoliera stato abitato dalla popola-zione musulmana, dove si sareb-be formata nel tempo la primaGiudecca siracusana, oggi uffi-cialmente riconosciuta come an-tico quartiere ebraico della città. Dopo l'incontro con il professorTocco è il momento di fare duepassi alla Giudecca, che restauno dei quartieri più suggestividi cui può vantarsi Siracusa. Og-gi ci vivono alcuni forestieri, esti-matori del clima e dello stile divita, gli ortigiani da generazionie alcune famiglie arabe, ortigianeacquisite. Inoltrandosi in unadelle piccole vie del quartiere, lazona si mostra, bellissima sottoil sole estivo del primo pome-riggio. Forse sono io che ora lavedo diversa: ho cambiato pro-spettiva.

Giulia Castelnovo

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DOSSIER /Sicilia ebraica

/ P20 n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

L’antica storia siciliana, senza eguali nel mondoL’architetto David Cassuto racconta i suoi studi dedicati ai luoghi ebraici del capoluogo dell’isola

Asisa è una donna di Trapani. È la moglie di Samuele

Sala, uno dei più ricchi banchieri della Sicilia. Nel

1492 suo marito si converte, ma lei no. Rifiuta di

farsi cristiana e, anche se incinta, decide di lasciare

l'isola con il figlio Sadone di 11 anni. Per ordine del

viceré, un cristiano l'accompagna nel luogo dell'esilio

fino al momento del travaglio. Il figlio che partorisce

viene riconsegnato al padre, per vivere con lui da

battezzato.

Salomone Bas è un medico di Palermo. Dirige l'ospe-

dale di Bivona, paese circondato dai monti Sicani,

con giudecca e sinagoga prima della cacciata. Quin-

dici anni prima del decreto di espulsione si converte

al cristianesimo e prende il nome di Gabriel Zavatteri.

Dopo processi e torture, viene rilasciato al braccio

secolare, destinato al rogo in quella che a Palermo,

oggi, si chiama Piazza Marina.

Le storie di Asisa, Salomone e di altri come loro, sono

state studiate da Angela Scandaliato, una docente

di Storia e Filosofia che, grazie alle sue ricerche sulla

Storia dell'Ebraismo Siciliano, oggi è membro del-

l'Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo

e della European Association for Jews Studies di Ox-

ford. "Verso il 1475 - spiega Scandaliato - in tutta

l'Isola ci fu un'impennata di aggressioni a quartieri

ebraici e sinagoghe. Gli ebrei siciliani, ai quali era

stato imposto come segno distintivo la rotella rossa,

furono raffigurati come cani rabbiosi, gente perfida,

sporchi usurai. Il decreto di espulsione del 1492 è

l'esito di quei decenni di tensioni, persecuzioni e

massacri, i più tragici dei quali si sono verificati a

Noto e a Modica".

In quel tempo, ad aizzare gli animi dei cristiani erano

i predicatori francescani e domenicani. Si spiega così,

per esempio, perché gli ebrei di Marsala, in occasione

della festa di Santo Stefano venivano presi a sassate,

con lo scopo di 'commemorare' in modo simbolico

la lapidazione del primo martire cristiano. Tutto ciò

in una città dove la metà dei residenti del tempo

apparteneva alla comunità ebraica, realtà già pre-

sente ai tempi dei Romani, così come attesta il ri-

trovamento di una decina di lucerne con menorah,

Asisa, Salomone e gli altri. Cacciati

“Ho iniziato a interessarmi dellastoria della Sicilia ebraica versola fine degli anni Ottanta. Mi ca-pitò di leggere degli scritti diObadia Da Bertinoro sulla sina-goga di Palermo, e da lì cominciaia studiare la questione”. DavidCassuto, architetto, vicesindacodi Gerusalemme tra il 1993 e il1998 - periodo in cui si dedicòin particolare allo sviluppo cul-turale e urbanistico della città -ripercorre parlando con PagineEbraiche gli approfondimenticompiuti sulle vicende della co-munità dell’isola. Proprio a partiredallo scritto che suscitò in lui lacuriosità di capire cosa fosse, ecosa è rimasto.“La sinagoga di Palermo non haeguale nel mondo per il suo gran-de pregio. Essa ha un cortileesterno con piante di viti che siarrampicano su pilastri di pietra.Io non ho visto mai simili viti,delle quali una, misurata da me,aveva lo spessore di cinque palmi.Si scende quindi permezzo di gradini dipietra nell’atrio dellacorte che è dinanzi lasinagoga; essa è cintada tre lati da una ese-dra dove se ne sta lagente che per qualsi-voglia ragione nonvuole entrare nella sinagoga. Indetta corte c’è un bel ed elegantepozzo. Nel quarto lato si apre laporta della sinagoga, il cui edificioè un quadrato, lungo quarantacubiti e largo quaranta”. CosìObadia, grande rabbino italianoparticolarmente noto per il suocommentario alla Mishnà, testofondante della Torah orale, parla

del suo soggiorno nel capoluogosiculo in una lettera del 1488 de-stinata al padre che abitava a Cit-tà di Castello. Lo studioso si fer-mò in città per tre mesi nel corsodel lungo viaggio che dall’omo-nimo centro d’origine, Bertinoroappunto - oggi in provincia diForlì-Cesena - lo portò a trasfe-rirsi a Gerusalemme, dove diven-ne un pilastro della comunità lo-cale. Solo pochi anni dopo, gli

ebrei sarebbero statiespulsi dalla Spagnae da tutti i suoi pos-sedimenti, dunqueanche il Meridioned’Italia, scrivendo laparola fine alla vita diuna comunità nume-rosa e attiva, che in

quei luoghi aveva prosperato persecoli. Dalle sue parole inizia an-che il viaggio in Sicilia di Cassuto,sul piano fisico e su quello intel-lettuale, in entrambi i casi spessoaccompagnato da Margherita DeSimone, allora preside della Fa-coltà di Architettura dell’Univer-sità di Palermo, e poi dalla pro-fessoressa Rosalia La Franca e da

Nicolò Bucaria, autore di moltiscritti scientifici sull’argomento.“Qualche anno fa mi si presentòl’occasione di visitare Palermo,colsi questa opportunità congrande entusiasmo; mi incuriosi-vano in quegli anni la storia diquesta città ed in modo specialele sue vicende ebraiche - si leggenelle prime righe di uno dei saggifirmati da Cassuto - La mia sor-presa fu enorme, arrivando a Pa-lermo nel giugno 1992, nel tro-vare già espletata una vasta ricer-ca di più di sessanta giudaiche si-ciliane”.Tra i punti focali delle sue inda-gini l’identificazione dell’esattaubicazione della sinagoga descrit-ta da Bertinoro, utilizzando nonsoltanto la lettera del Maestro,ma anche l’atto di vendita dellastessa, del complesso che com-prendeva un mikveh (bagno ri-tuale) e un ricovero per malati,bisognosi e viaggiatori e addirit-tura dell’intero quartiere, redattoquando gli ebrei dovettero disfarsidei loro beni in fretta e furia cac-ciati dall’editto dei sovrani di Spa-gna. Autore ne è Abraam De

Orefice: nel documento si parladi oltre 40 case e botteghe, delmacello, del cortile “con le per-gole, gli alberi di citrangoli e dilimoni, pilastri e pozzi e la fontedell’acqua”.La prova più tangibile a testimo-niare dove la sinagoga si trovasseè il nome della piazza situatanell’area dell’antico quartiereebraico, un nome sopravvissutofino a oggi: “Meschita”, il terminecon cui veniva appunto chiamatala sinagoga. In Piazza Meschitaoggi ha sede tra l’altro l’Archiviostorico di Palermo (oltre che laCongregazione Madonna del Sa-bato, che qualche mese fa haconcesso in comodato d’uso ilsuo oratorio agli ebrei della cit-tà).Per avere conferma però l’archi-tetto studia le piante d’epoca dellacittà, e si reca di persona nei variluoghi. “Gli esperti dell'Archiviomi hanno permesso di visitaresotterranei e cantine. Sono anda-to a parlare con l’Autorità che ge-stisce la rete fognaria per saperese scavando avevamo trovatoqualcosa in quella zona, e mi fu

risposto che in effetti erano staterinvenute delle panche di pietra.Da lì ho capito dove fossero ilcortile e la sinagoga. Fu una gran-de emozione” sottolinea Cassuto.Particolare è la storia del termine“Meschita”, una latinizzazione deltermine arabo che indica unamoschea, e suggerirebbe forseche la struttura fosse in origineproprio un luogo di culto musul-mano, poi divenuto ebraico, op-pure che il dialetto locale man-tenne una parola araba per indi-care edifici religiosi diversi dalleChiese.Gli studi di Cassuto sulla Siciliaebraica si sono concentrati anchesu vari altri soggetti dentro e fuoriPalermo, portando a ulteriori sco-perte importanti, come il rinve-nimento di un bagno rituale a Si-racusa. “La Sicilia era la terra diapprodo delle persone che par-tivano dall'oriente per l'Italia, unluogo fondamentale - concludeCassuto - Penso che cercando sianegli archivi sia archeologica-mente si possa trovare molto dipiù. È un lavoro da farsi”.

r.t.

Page 21: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

Risale al 15 agosto 1474 il piùgrave episodio di antisemitismodella storia siciliana, una terra incui invece sono presenti un in-teresse manifesto e la diffusa per-cezione che la storia ebraica siaparte integrante e importantedella storia locale. A Modica ilquartiere noto come Cartidduni,Cartellone, era abitato quasiesclusivamente dalla locale co-munità ebraica, e il suo nomederivava probabilmente dal car-tello, ben visibile, che avvisavache da lì iniziava il quartiereebraico da quando a partire dalXV secolo, all'epoca della repres-sione inquisitoriale, si comincia-va a isolare gli ebrei dando inizioproprio a quell'intolleranza chesarebbe sfociata nel massacro.Si trattava di una comunità riccae intraprendente, oltre che nu-merosa, che operava nell’indu-stria molitoria e faceva affari concereali, vigneti, uliveti, lavora-zione del latte e coltivazione del-la canna da zucchero e del bacoda seta, con esportazioni sia ver-so Malta che in Tunisia. C'eranolaboratori per la concia delle pel-li, e commerci fiorenti di lino,canapa, lana, e sapone, al puntoche il peso socio-economico del-la comunità l'aveva portata aprestare denaro in più di una oc-casione ai Cabrera, la famiglianobile locale che in cambio pro-tesse più volte gli ebrei. Col tem-po però le le comunità ebraichefurono avversate e vessate datutte le corone siciliane, col ri-sultato di spingerle a emigrarefino a quando si arrivò ad unalegge, del 1 giugno del 1400, chevietava "la fuga dei capitali al-

l'estero".A Modica i patrizi locali, desi-derosi di accaparrarsi il potereeconomico e politico degli ebrei,avevano cominciato da tempo asobillare le masse, fino a farleesplodere il 15 agosto del 1474,quando vennero massacrati gliebrei, che erano stati convocatiper una predica. Va ricordato,per spiegarne la presenza inchiesa che la stessa era stata au-torizzata dal vicerè, già nel mar-zo 1467, a obbligare gli ebrei adassistere alle prediche, partendodalla constatazione che "senzala religione cristiana, la società

umana perdeva ogni suo fonda-mento". Quel giorno la predicafu tale da spingere gli uomini,che già erano stati avvertiti - sinarra che avessero portato scortedi pietre per la lapidazione - ainiziare il massacro, compiutoprima all'interno della chiesa perproseguire sul piazzale e infinein tutto il quartiere ebraico, algrido di “Viva Maria e Morte aiGiudei”. La comunità, compostaall'epoca di 373 persone, vennecompletamente sterminata.La storia, ben documentata dal-l'archivistica sia statale che loca-le, e approfondita negli studi sia

di Nicolò Bucaria che di Gian-carlo Lacerenza, è stata recen-temente riportata alla ribalta gra-zie all'iniziativa che ha visto pro-tagonisti, in occasione del Gior-no della Memoria, gli studentidel locale Liceo Galilei – Cam-pailla e i magistrati togati del Tri-bunale di Ragusa. Promosso dal-le locali istituzioni, il "Processoalla Storia" ha voluto ricostruirel'eccidio del 1474 e ha sottopo-sto a processo Frate Giovannida Pistoia, il Vicerè Lopes Xime-nes de Urrea, Padre Pietro Ari-mondi e Padre Giuseppe Anti-nori con una corte d'Assise com-posta di studenti del Liceo e ma-gistrati. L'avvocato SalvatorePoidomani, che con il collegaGiovanni Favaccio ha curato lamessa in scena, ha affermato:"Nostra cura era quella di porreal centro dell'attenzione, nelGiorno della Memoria, un tra-gico fatto che appartiene alla sto-ria e alla identità della nostra cit-tà, per rimuoverlo dall'oblio efarne memoria collettiva. Il 'Pro-cesso alla Storia' mette sul bancodegli imputati i mandanti diquell'eccidio, che hanno subitoa distanza di 543 anni un secon-do giudizio e finalmente una sen-tenza".

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/ P21pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017

In ritardo di più di cinque secoli Il peggiore e più drammatico episodio di antisemitismo siciliano trova giusta sentenza

risalenti all'età tardo-imperiale, esposte

nel museo archeologico cittadino. Riguar-

do al dramma dell'espulsione e alle spe-

culazioni legate alla confisca dei beni di

chi non si convertì, la professoressa Scan-

daliato racconta anche il caso degli Ebrei

di Cammarata, che accusano il barone e i

funzionari del luogo di aver sottratto le

loro proprietà e di averli incarcerati nella

sinagoga. Le fonti d'archivio sono chiare:

"...undi non sulum non haviani la sufficien-

za di lu cibu, ma non usando di patirisi chi

li bisugnau fari la evacuazioni di lu corpu

in quillu medesimo loco".

Già, gli archivi: sono questi i giacimenti di

memoria, da cui ancora tanto si può sco-

prire sugli ebrei siciliani. "Ho fatto le mie

ricerche negli archivi notarili delle città

siciliane, negli Archivi di Stato di Palermo,

Roma, Napoli, nella Biblioteca Vaticana e

in Spagna, a Barcellona, nell'Archivio della

Corona di Aragona", precisa Angela Scan-

daliato. E per chi vuole approfondire la

storia ebraica siciliana, c'è The Jews in Si-

cily (Brill, 1997-2010), diciotto volumi di

storia documentaria, curati dal professor

Shlomo Simonsohn, già rettore dell'Uni-

versità di Tel Aviv. Dalla collana è nata una

monografia, tradotta in italiano e in in-

glese. Si intitola Tra Scilla e Cariddi. Storia

degli ebrei in Sicilia (Viella, 2011). Si basa

su 40.000 documenti di archivio, per lo più

inediti.

Daniele Ienna

Tutto questo cambiò sotto il do-minio spagnolo: restrizioni e di-scriminazioni crebbero fino allatragedia dell'espulsione nel 1493.Un decimo della popolazione si-ciliana fu esiliata o convertita aforza e così una parte integrantedella storia e dell'identità sicilianafu violentemente amputata. I po-chi ebrei che restarono nell’isoladovettero sopportare la distru-zione della propria identità, ri-schiando la morte per mano del-l'Inquisizione. E la storia dell’in-tera Sicilia ebraica venne forza-tamente rimossa e coperta dauna coltre di oblio, silenzio epaura per oltre cinquecento anni.Oggi ci sorprende la presenza dinumerose testimonianze ancoravisibili della presenza ebraica, seproviamo a cercare di scoprireciò che è rimasto di questa civil-tà. Ecco allora che possiamo me-glio comprendere della portatadel gesto dell’arcivescovo di Pa-lermo, don Corrado Lorefice,che ha compiuto un gesto esem-plare, una misura concreta e sin-cera per guarire una ferita seco-lare: dare in comodato alla Co-munità ebraica di Napoli, nellacui giurisdizione si trova, per vo-lontà dell’UCEI, la neo-nata se-zione di Palermo, un ex-Orato-rio, perché diventi sinagoga eluogo di incontro. Gli ebrei diPalermo, dopo secoli, avrannodi nuovo un luogo per loro. Puòsembrare semplice, perfino scon-tato, ma è un gesto importante,che qualcuno ha definito di por-tata rivoluzionaria. La speranzadell’Unione delle ComunitàEbraiche è che questo gesto se-gni una tappa fondamentale nelpercorso di dialogo tra universireligiosi diversi e, soprattutto, diidentità della piccola collettivitàebraica che vive oggi a Palermoe in altre città della Sicilia. Lafutura sinagoga di Palermo potràdivenire un centro di vita ebrai-ca: questo creerà, ci si augura,un circolo virtuoso su vari livelli,per gli ebrei palermitani, ma an-che per la cittadinanza, che trar-rà beneficio dalla ricchezza cul-turale generata da tale luogo. Al-tro vantaggio sarà garantito gra-zie al turismo: la sinagoga potràdiventare spazio di accoglienzae polo di attrazione per i turistiebrei (e non solo), che avrannoun punto di riferimento all'inter-no della città, e sarà la città stessaa trarre beneficio dalla crescitadel turismo ebraico. Ma la “que-stione meridionale” dell’ebraismoè ancora all’inizio.

DISEGNI da P15 /

Mettere in scena la propriau

storia per conoscerla,

comprenderla e

riappropriarsene, prima di

emettere la giusta sentenza.

Questo il percorso compiuto

dagli studenti del liceo che ha

voluto processare i mandanti e

gli esecutori dell’eccidio, a 543

anni di distanza

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dro

Riot

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Page 22: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked
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/ P23pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017

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OPINIONI A CONFRONTO

Nell’euforia sincera e commo-vente dei giorni immediatamen-te dopo la Guerra dei sei giorni,a metà giugno 1967, andammosubito con un gruppetto di ami-ci al Kòtel Hama’araví, il Murooccidentale del Monte del Tem-pio, noto anche come il Murodel Pianto. Eravamo giovani,allegri e sollevati nello spirito.La sensazione era quella di esse-re usciti da un doppio incubo: ilprimo era quello immediato del-la possibile distruzione delloStato di Israele proclamata dalpresidente egiziano Nasser asse-condato da tutti i capi di gover-no dei paesi arabi. Ai primi digiugno alcuni quotidiani in Ita-lia avevano già pubblicato edi-toriali che compiangevano ecommemoravano quello che erastato lo Stato di Israele e quellodi buono che aveva potuto rap-presentare. L’impari partita mi-litare era data quasi per sconta-ta, vista la forza militare davve-ro preponderante degli arabi ap-poggiati dall’Unione Sovietica,mentre Israele aveva come mag-giore alleato la Francia, con gliStati Uniti ai bordi del campo aguardare la scena. Ricordiamoche fra gli obiettivi colpiti dal-l’aviazione israeliana il 5 giu-gno 1967 vi fu anche la navespia americana Liberty che bor-deggiava nei paraggi a seguirele mosse degli israeliani. Il se-condo incubo svanito era quellodel lungo conflitto arabo-israe-liano che pareva risolto una vol-ta per sempre grazie alla vitto-ria militare. Il governo di LeviEshkol aveva appena deliberatodi restituire i territori occupatinella campagna militare incambio del riconoscimento poli-tico di Israele da parte araba. Ilriconoscimento non ci fu, la de-libera governativa fu annullata,il resto è storia. Ma in quel mo-mento l’impressione immediatache la pace fosse vicina era fortee diffusa.La conquista di Gerusalemmeaveva spianato la via al luogopiù desiderato e riverito dal po-polo di Israele, all’interno delpaese e nella diaspora ebraica: ilMuro del Pianto, ultimo simbo-

lo sia pure indiretto del centrosacrale della nazione e della suasovranità politica tragicamenteperduta per opera delle legioniromane 1900 anni prima. Giàpoche ore dopo la fine delle bat-taglie, il ministro della DifesaMoshé Dayan aveva dato le di-sposizioni essenziali: la spiana-ta del Tempio e delle Moscheesarebbe rimasta in mano e sottola responsabilità del Waqf, l’au-torità religiosa amministrativaislamica. Il lato occidentale delbastione sottostante sarebbe sta-to liberato delle casupole delquartiere dei Mùghrabim (iMarocchini) che lo strangolava-no a una misera viuzza, e al lo-ro posto sarebbe stato creato ungrande piazzale nel quale si sa-rebbero potute riunire migliaiadi persone in preghiera, rifles-sione e giubilo.Anche noi studenti italiani arri-vati nei mesi precedenti al-l’Università di Gerusalemme ciaffrettammo ad andare a visita-re l’antico e rinnovato sito e ascoprire le sue suggestioni.L’amico Donato Grosser, ritrat-to nella foto, era allora uno stu-dente di economia, provenienteda Milano. Si sarebbe poi lau-reato a Gerusalemme e avrebbesvolto gran parte della sua car-riera di consulente internazio-nale a New York. Con lui c’ero

anch’io. Ma qui finisce la cro-naca degli avvenimenti del1967 e inizia un’analisi di an-tropologia politica ebraica eisraeliana contemporanea cheprende le mosse appunto dallastorica fotografia.Esaminiamo dunque attenta-mente l’immagine. In primo

piano l’allora ventenne Grosser,sullo sfondo le grandi mitiche esuggestive pietre con i cespuglidi capperi. E in mezzo una mol-titudine di persone. Sono uomi-ni e donne, giovani e anziani,alcuni degli uomini hanno lakippah, altri il classico kovatembel (il capelluccio rotondo

tipico del kibbutz), un uomo adestra del nostro amico si è co-perto il capo con un fazzolettocon i nodi ai quattro angoli. Laseconda donna da destra portaun copricapo femminile tradi-zionalista e una lunga vestemolto coperta, la donna alla suadestra ha un foulard in testa eveste una camicetta senza ma-niche. Dal modo di vestire sicapisce chiaramente che il pub-blico presente è uno spaccatodel popolo di Israele che includereligiosi e laici, tradizionalisti emodernisti, persone con le piùsvariate idee politiche e i più di-versi atteggiamenti nei con-fronti della pratica religiosa. Cisono tutti, senza distinzione,senza tensioni, accomunati dalcomune rispetto per il luogo sa-cro (o consacrato) e dal desideridi avvicinarsi a quel Muro esfiorarlo con le dita, sentire ilprofumo e la temperatura diquelle pietre, provare l’emozio-ne del ritorno al passato, e delritorno del passato al presente.Ci sono tutti, e tutti stanno in-sieme armoniosamente.Sono passati cinquant’anni daquella storica foto, e oggi nonsarebbe possibile ripeterla. Fisi-camente il luogo è mutato. Ilpiazzale antistante il Kòtel(Muro) è stato allargato e ab-bassato, metten-

Il pianto del Muro e i nodi nel futuro del Medio Oriente

Vorrei tornare sul tema delladiaspora, che sarà l’argomentodella prossima Giornata Euro-pea dela Cultura Ebraica.La tentazione della prossimaGiornata sarà, come spesso è giàcapitato, che i diversi mondiebraici dichiarino se stessi. Det-to diversamente “si mostrino”.Tuttavia, non sarebbe impro-prio che anche chi pensa e ritie-ne di essere identitario del luogoin cui vive si mettesse in gioco. Quel tema e quell’esperienzaoggi riguardano tanto i gruppiumani che arrivano da “altro-ve” e hanno una storia anche ditrasformazione/metamorfosi/mu

tazione nel luogo di nuova resi-denza, quanto quella parte diuomini e donne che vedono queigruppi arrivare.Mi spiego.Diaspora oggi non parla solo dichi ha nella sua storia l’esilio,ma riguarda anche coloro che inesilio non sono, e anzi si chiedo-no se il territorio, la cultura chequel territorio nel tempo haespresso e costruito, sia ancorala loro o no.La diaspora, se accogliamol’idea che non sia un altro mododi dire “esilio”, ma sia una ri-sposta e un modo di reagire allacondizione di sradicamento o diallontanamento – spesso forza-to, comunque non liberamentescelto - è condizione che riguar-da non solo coloro che sono sra-dicati o “stranieri”. Coinvolgedirettamente anche coloro chesono “a casa” e vedono osserva-

no la capacità di resistere e direinventarsi, o almeno di misu-rarsi con la sfida di “adeguarsio soccombere” appunto di chi èin esilio.La sfida della condizione dia-sporica mi sembra oggi riguar-di sia coloro che si sentono diappartenere a questo territorio,ma hanno più appartenenze eculture, come le varie comunitàebraiche che vivono qui, sia lecomunità nazionali che raccon-tano se stesse come comunità inesilio perché incerte nella lorocontinuità e talvolta spaventatedalla dimensione dei flussi mi-gratori che vivono come unaminaccia alla propria continui-tà culturale. Più direttamente. Diaspora piùche un’identità è una condizio-ne, che riguarda sia chi è co-stretto a “vagare” sia chi inconseguenza delle trasformazio-

ni in atto è indotto a uscire dalproprio habitat protettivo e afarsi cittadino di un nuovomondo, in cui c’è il proprio pas-sato ereditato, ma anche la ne-cessità di venire a patti con lacoabitazione di nuovi mondi evedere il proprio passo incertonel momento in cui le sfide delpresente pongono il problema diabbandonare i propri confini.Il tema della diaspora è come siresiste nel tempo, ma anche checosa si è disposti a cedere, “acontrattare”, o ripensare per“arrivare”, ancora pensando diessere se stessi, a domani o al-l’anno prossimo. È un tema che non riguarda so-lo gli ebrei, ma riguarda anchealtri in esilio e, anche, coloroche fisicamente non sono in esi-lio, ma si pensano perduti a“casa propria”, che dichiaranodi non riconoscere più.

Ebrei e Diaspora, un tema che riguarda tutti David BidussaStorico sociale delle idee

/ segue a P25

Sergio Della Pergola UniversitàEbraica di Gerusalemme

Donato Grosser al Muro del Pianto, giugno 1967u

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/ P24 OPINIONI A CONFRONTO n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

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Da quando è stato fondato, nel maggio del 1948, lo Stato di Israele è costretto a confrontarsi con problematiche molto significative

sul piano della sicurezza, provenienti dall’esterno ma talvolta anche dall’interno. Qual è il segreto di una così difficile sopravvi-

venza? Quale invece il costo che questa costante tensione impone?

Cleto Lozza (Varese)

LETTERE

I recenti, drammatici fatti disangue di Gerusalemme ripro-pongono, ancora una volta, ama-re considerazioni, che già tantevolte siamo stati costretti a ripe-tere. La feroce spietatezza degliassassini, per i quali la sacralitàdel luogo prescelto per dare lamorte rappresenta, anziché unfreno morale, un evidente poten-ziatore dell’effetto mediatico epropagandistico dei crimini per-petrati. La tetra, lugubre, dispe-rante monotonia dei loro spon-sor, che non vedono l’ora di in-neggiare, con parole sempreuguali, ai nuovi “eroi”, che van-no ad infoltire il già affollatissi-mo album di figurine dei cam-pioni di casa; la sfacciata ipocri-sia di chi finge di condannare ilgesto, già preparando i soldi del-le laute pensioni da elargire aifamiliari degli assassini, in im-paziente attesa; lo squallido cini-smo di chi reclama a viva voce latutela dei luoghi santi, attri-buendo la responsabilità della lo-ro temporanea chiusura non giàai seminatori di morte, ma alleautorità preposte alla pubblicasicurezza, che hanno il dovere(strano?) di vigilare sull’incolu-mità di tutti, e di prevenire ulte-riori accoltellamenti e omicidi.Sono cose già dette e stradette,che non varrebbe neanche la pe-na ripetere. Quella che intende-vo fare, in quest’occasione, erainvece un’altra, piccola conside-razione. Anche se, purtroppo, laminaccia terroristica incombe, algiorno d’oggi, su quasi tutti iPaesi del mondo (compresa l’Ita-lia, anche se pare, fino ad oggi -incrociamo le dita - essere statarisparmiata), in nessun altro po-sto, al pari di Israele, vige unostato di allerta così costante,quotidiano, capillare, che imponenon soltanto alle forze dell’ordi-ne, ma ogni singolo cittadinouna condizione di vigilanza con-tinua e incessante, che non am-mette alcuna deroga o flessione.Ci sono regole di comportamentoquotidiane che gli israeliani im-parano fin da bambini, e che tut-ti, di qualsiasi orientamento po-litico o religioso, sono costretti a

L’australiano Barrie Kosky è dal2012 direttore principale della“Komische Oper Berlin”, che hatrasformato completamente coni suoi allestimenti striduli, co-mici e allo stesso tempo profon-di, anche affrontando spesso iltema della sua origine ebraica.Kosky ha una relazione ambiva-lente con le opere di RichardWagner e sarà il primo registaebreo a debuttare nella storia delFestival di Bayreuth con quellache, per di più, è l’opera in asso-luto più tedesca di Wagner: ilfestival si apre proprio con lasua interpretazione dei “Mae-stri cantori di Norimberga”.

All’inizio delle prove a Bay-reuth appaiono essere tuttisempre molto sereni, ma ad uncerto punto cominciano le diffi-coltà. Lei sta lavorando da quat-tro settimane. Come va tra lecolline?Barrie Kosky: Lo scandalo di

questa stagione parrebbe essereche non abbiamo uno scandalo.Spero l’attenzione si focalizzisull’interpretazione scenica emusicale, anche se si prevedenon sarà così. Christian Thiele-mann mi ha detto stupefatto:“Barrie, ho sentito che sono tut-ti sereni.” Ho risposto: “Chri-stian, perché non dovrebbero?”.Abbiamo riso tutti e due.

Che impressione ha del teatrodel Festival?La prima volta che sono venutoqua, avevo paura di tutte questesmancerie pseudoreligiose. Èstato nel 2012, all’esposizione“Verstummte Stimmen” (lette-ralmente significa “Voci ammu-tolite”) e mi sono chiesto perchéla gente cominci a comportarsicome se fosse in una cattedralequando entra in questo teatro.In quel momento ho deciso chenon avrei mai lavorato a Bay-reuth. Oggi, però, questa praticafolkloristica non mi tocca più: inuna mano ho l’aglio per garanti-re la mia libertà psichica, nel-l’altra la mia stella di David, efunziona benissimo. I fantasmidi Richard, Adolf e tutti i registifamosi non compaiono in sala

quando facciamo le prove. Pensoche nell’allestimento si possanotrovare tanti dei temi di cui hopaura, e proprio portandoli inscena me ne posso liberare. Inpassato avevo l’impressione cheWagner mi bisbigliasse allespalle durante le prove mentreoggi mi sento liberato quando fi-nisco le prove e non devo porta-re Richard a casa. È fantastico!

Non era così, durante i suoi al-lestimenti precedenti di Wa-gner?Quando ho lavorato al “Ring”ad Hannover la vivevo comeuna lotta con quest’uomo, con isuoi temi e con la musica. Pen-savo di non avere il visto neces-sario ad accedere al “Paese diWagner”.

E poi Katharina Wagner le haproposto i “Maestri cantori”,l’opera più tedesca di Wagner.Ironia della sorte. Pensavo chegli dei del teatro si prendesserogioco di me.

Prima diceva di odiare i “Mae-stri cantori”. Oggi ama que-st’opera?Ci sono tante parti incredibili

osservare giorno per giorno, oraper ora, minuto per minuto. An-che gli arabi, naturalmente,quando circolano per le zone amaggioranza ebraica, stanno at-tenti, e gli stessi terroristi, anchequando vanno a fare gli attenta-ti, usano cautela, per evitare difinire per sbaglio colpiti da qual-che loro collega. Senza questaeducazione collettiva alla sicu-rezza, il prezzo pagato dalla cit-tadinanza al terrore sarebbe,evidentemente, molto più alto.Eppure, come ben sa chi sia an-dato in Israele, anche una solavolta, questo costante stato diemergenza viene gestito constraordinario autocontrollo: lagente lavora, esce, si diverte, siincontra, va al ristorante, al ci-nema e a teatro, vive la quoti-dianità con un diffuso senti-mento di normalità, di tranquil-lità. E com’è noto, il Paese stu-pisce il mondo con i risultati dieccellenza raggiunti nei campipiù disparati: le Università

israeliane sono tra le miglioridel mondo, gli ospedali pure, glistudi di diritto, storiografia,economia, scienze sono all’avan-guardia, i progressi tecnologicirecano benefici a tutti i conti-nenti, e rendono la piccola na-zione, percentualmente, la pun-ta di diamante dell’hi-tech mon-diale, l’agricoltura è in costanteavanscoperta, i romanzieri sonotradotti in tutte le lingue, ecommuovono i lettori di tutto ilpianeta. E tutto questo nono-stante l’intero sistema-Paesedebba investire una parte enor-me delle proprie risorse umane efinanziarie nella sicurezza. No-nostante Israele sia costretto amantenere un esercito e una po-lizia in stato di costante e asso-luta efficienza, nonostante tuttii ragazzi, appena finito il liceo,debbano sostenere due o tre annidi leva obbligatoria, e quasi tuttigli adulti debbano tornare a ser-vire Tsahal, come riservisti, finoa età non più verdi. Qualcuno si

è mai chiesto cosa riuscirebbe afare Israele, senza dovere impie-gare tanta parte del tempo, delleenergie e delle risorse nella solasicurezza? Senza dovere sempreorganizzare e gestire controlli,check point, metal detector -sforzandosi di ridurre al minimoi disagi per la popolazione -,senza quotidiani addestramentimilitari, senza dovere costante-mente guardarsi intorno e allespalle?Quanti altri libri e poesie po-trebbero essere scritti, quantiquadri potrebbero essere dipinti,quante scoperte potrebbero esse-re fatte, quanta musica potrebbeessere composta e ascoltata,quante opere teatrali recitate? Equanto beneficio trarrebbe, tuttoil mondo, da tutto ciò? Nessuno lo saprà mai. Sappia-mo solo che, ogni giorno, vengo-no buttati a mare interi forzieriripieni di monete d’oro, nell’in-differenza - se non nel compiaci-mento - di tutti.

La prima volta a Bayreuth

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FrancescoLucrezi Storico

Julia SpinolaSueddeutscheZeitung

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/ P25pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017 OPINIONI A CONFRONTO

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Cosa caratterizza esattamenteun articolo di giornale?E, ancora più difficile, cosa ci siaspetta da un allievo che scegliedi svolgere la prima prova del-l’esame di stato in forma di «ar-ticolo di giornale»?Dal 1998-99 insegnanti, profes-sori universitari, docenti neicorsi per insegnanti, ecc. (cioè,più o meno chiunque tranne igiornalisti veri e propri) hannosviscerato l’argomento da ognipunto di vista, cercando di in-terpretare correttamente le fati-diche indicazioni ministeriali:“Sviluppa l’argomento scelto oin forma di «saggio breve» o di«articolo di giornale», utilizzan-do i documenti e i dati che locorredano.[…]Se scegli la forma dell’«articolodi giornale», Individua nei do-cumenti e nei dati forniti uno opiù elementi che ti sembrano ri-levanti e costruisci su di essi il

tuo ‘pezzo’. Da’ all’articolo untitolo appropriato e indica il tipodi giornale sul quale ne ipotizzila pubblicazione (quotidiano, ri-vista divulgativa, giornale sco-lastico, altro). Per attualizzarel’argomento, puoi riferirti a cir-costanze immaginarie o reali(mostre, anniversari, convegni oeventi di rilievo).”Chiaramente il testo si presta amolteplici interpretazioni, maalmeno due cose sembravano ac-quisite: “uno o più elementi”autorizza a utilizzare anche solouno dei documenti forniti e“puoi riferirti a circostanze im-maginarie o reali” significa cheè lecito inventarsi la notizia dicronaca di sana pianta (eserciziointeressante, formativo e tutt’al-tro che semplice per gli allievi;lettura una volta tanto diverten-te per gli insegnanti).Troppo facile che ci fossero duepunti condivisi: nel 2009 le in-dicazioni sono improvvisamentecambiate, probabilmente nellaconvinzione (errata) di facilitarele cose con una consegna piùsintetica: “Se scegli la formadell’«articolo di giornale», indi-ca il titolo dell’articolo e il tipo

di giornale sul quale pensi chel’articolo debba essere pubblica-to.” Niente autorizzazione espli-cita a utilizzare un solo docu-mento e a inventare la notizia.Questo significa che le due cosenon sono più possibili o è lecitofare riferimento alla tradizioneorale che le consente? Da ottoanni vengono esercitate le piùraffinate capacità esegetiche nelvano tentativo di risolvere que-sto dubbio. C’è un’opinione diminoranza che sostiene che“utilizzando i documenti” pre-supponga l’obbligo di citarli tut-ti, ma la maggioranza è perun’interpretazione più flessibile.Non mi risultava che esistesseroesegesi che vietavano la notiziainventata, finché la scorsa setti-mana mi sono giunte voci di al-lievi della mia scuola penalizzatisulla base di questo supposto di-vieto. E questo nonostante il di-partimento di italiano avesse re-datto all’unanimità un testo peri commissari esterni che esplici-tava la nostra interpretazionecondivisa delle indicazioni mini-steriali. Rinuncio alla tentazio-ne di far paragoni impropri conl’esegesi biblica; tuttavia anche

senza pretendere di applicare al-la scuola la differenza tra “mi-drash halakhah” (interpretazio-ne che ha valore di legge) e “mi-drash haggadah” (interpretazio-ne libera che non ha valore dilegge) mi pare comunque scan-daloso che gli allievi perdanopunti (cosa che può significaremancato accesso a determinaticorsi o a borse di studio) sullabase di regole invisibili stabiliteda commissari esterni che si fon-dano sulle proprie esegesi perso-nali delle indicazioni ministeria-li. Mi domando quale potrebbeessere il valore educativo di tut-to questo, a meno che non si vo-glia insegnare che la vita è in-giusta e che bisogna rassegnarsi. Inoltre è un gran peccato cheuna delle novità più simpatichee interessanti dell’esame di statonato nel 1999 (la possibilità disvolgere la prova di italiano informa di articolo di giornale an-che inventando una notizia) -l’unica che permetteva agli stu-denti di esercitare la loro fanta-sia e la loro creatività - sia statadi fatto distrutta da consegneambigue e da interpretazionigratuitamente restrittive.

Gli esami di Stato e le regole invisibili

che amo: quando ascolto il quin-tetto del quinto atto tutto sem-bra fluttuare, è quasi comeSchumann. Posso solo dire:Chapeau, Richard! È un peccatoche non sia stato più gentile conla gente. Ma naturalmente nongli si deve perdonare tutto soloperché la sua musica è bellissi-ma. Ciò che ha detto è detto, leparole sono potenti, sono perico-lose. Così come per Martin Lu-tero. Non si può minimizzarlo.Wagner verrà sempre messo al-la prova, anche nel mio allesti-mento.

Quando ha conosciuto i “Mae-stri cantori”?La prima volta che sono entratoin contatto con i “Maestri can-tori” ero cellista nell’orchestradi scuola a Melbourne. Abbiamosuonato l’ouverture. In seguitoho comprato un disco di tuttal’opera, ma sono rimasto delusodella parte che segue: la scenadella cattedrale, il monologo diDavid. Non era il Wagner checonoscevo. Non c’era connessio-ne tra una discussione sugli ele-menti tedeschi nell’arte e ungiovane in Australia. Mia non-na, ebrea ungherese che eraun’appassionata di Wagner, miaveva sempre detto che anche i“Maestri cantori” era un’opera

eccezionale, ma a me interessa-vano inizialmente Gustav Ma-hler e “Salomé” ed “Elektra”.Più tardi, già in Germania, hovisto l’opera e mi sembrava con-tenere troppe parti in do mag-giore. Inoltre mi chiedevo comepotesse funzionare una comme-dia di cinque ore. Nella primaparte del testo Wagner critica imaestri e prendein giro le lorotradizioni.Vent’anni dopopassa al contrat-tacco e fa diBeckmesser ilcapro espiatorio.

Come vedeBeckmesser?All’inizio, Beck-messer è lo scrit-tore della città epoi diventa il ca-pro espiatorio di tutti i problemie paure del popolo. Si può vede-re dappertutto cosa succede seun popolo ha bisogno di un ca-pro espiatorio. Con JohannesMartin Kränzle sto provando aportare in scena una caricaturaebraica un po’ scomoda in alcu-ne delle scene. Dall’altra parte, èimportante esternare la malin-conia di questo outsider. Beck-messer deve rimanere ambiva-

lente. La parodia del personag-gio è una proiezione del popolo.È un personaggio come Fran-kenstein, un insieme di tutto ciòche Wagner odiava. Un braccioè la critica, l’altro la musica ita-liana, le gambe sono francesi e lasua anima è ebraica. Secondome, la coloritura cantata daBeckmesser nel terzo atto non è

una parodiadella musicadella sinagoga.Questa teoriaesiste. Però ilmodo in cuiBeckmesser di-storce il testodella canzonerassomiglia alpregiudiziodell’epoca, os-sia che la lin-gua yiddishfosse un gergo

incomprensibile che corrompevala lingua tedesca. Nel personag-gio di Beckmesser si possonotrovare i risentimenti tipici con-tro gli ebrei: il rimprovero chenon avessero una propria cultu-ra e che di conseguenza dovesse-ro rubare quella tedesca, comeBeckmesser che ruba la canzonedella Sassonia. L’insinuazioneche non potessero ridere, chenon capissero l’amore e che fos-

sero ossessionati dall’obbedienzaalla legge e alle regole... Provo agiocare con queste cose in modoteatrale e il mio punto di parten-za è la rappresentazione privatache Wagner fece nella casaWahnfried.

Nella prima versione Beckmes-ser si chiama Hans Lick comeun’allusione con l’estetico mu-sicale Eduard Hanslick che Wa-gner odiava per due motivi:perché era un critico ed eraebreo.Non si può dire che nel caso diNorimberga si tratti di una me-tafora universale come nel casodella Cornovaglia in “Tristan”o del Niebelheim in “Ring”. No-rimberga è un biotopo totalmen-te tedesco. Inizialmente, per meera un problema. Ma poi ho fat-to una scoperta liberatoria:l’opera non tratta dell’identitàtedesca ma delle idee di Wagnersu un’identità tedesca. Così nondovevo addossarmi tutta la cul-tura tedesca. Avevo a che faresolo con le allucinazioni di Wa-gner sull’essere tedesco. Nel dia-rio di Cosima abbiamo trovatoalcune indicazioni su come Wa-gner si identificava con HansSachs. Hans Sachs è l’uomo cheavrebbe sempre voluto essere.Questo ha fatto

do a nudo parecchie altre file dipietre che continuano in profon-dità sotto il livello del piazzaleper decine di metri. Gli ultimiresidui delle costruzioni accantoal Kòtel sono stati sostituiti dauna passerella dalla quale si puòaccedere alla Spianata sopra-stante. È stata inserita una di-visoria che separa gli uominidalle donne. È stato nominatoufficialmente un “Rabbino delKòtel”, un personaggio vestitocon un cappotto nero, di origineashkenazita, che segnala non so-lamente che il Muro non è piùaccessibile al popolo senza in-termediari, ma deve sottostareal controllo di un custode checonosce meglio di altri le regoledi chi possa avvicinarsi all’am-bíto sito e chi no. Il suo modo divestire, di fare e di dire ci segna-la anche chiaramente che cosa inIsraele e nel mondo si debba in-tendere per rabbino.Negli Stati Uniti, in altri paesi,e anche in Israele, esistono nu-merose comunità ebraiche e so-prattutto milioni di ebrei, con osenza affiliazione a una comuni-tà specifica, che desiderano avvi-cinarsi al Kòtel in gruppi fami-liari comprendenti uomini edonne, senza divisioni secondo isessi. Dopo una lungo e difficilenegoziato durato tre anni, e so-prattutto sotto la pressione degliebrei americani, il governo diIsraele presieduto da BenyaminNetanyahu aveva acconsentito adestinare una zona tranquillapiù a sud lungo il Muro, in cuiebrei di entrambi i sessi avrebbe-ro potuto raccogliersi insieme inpreghiera e meditazione, senzadisturbare la zona della preghie-ra con la divisoria. Ma nellescorse settimane, il governo, ce-dendo alla pressione dei partitiYahadut HaTorah e Shas, haannullato la decisione già presa.Ne è seguita una protesta dura esenza precedenti delle organiz-zazioni ebraiche americane edell’Agenzia Ebraica, che è ilmassimo organismo sionistamondiale. Che l’aspirazione e lapresenza ebraica al Kòtel siastata storicamente di entrambi isessi, lo dimostrano non sola-mente la nostra foto del giugno1967 ma anche molte vecchie fo-tografie e stampe dei secoli pas-sati. I motivi di piccola tattica eopportunità politica che stannodietro le nuove decisioni creanouna frattura profonda fra go-verno e popolo. Sorge in mododoloroso ma inevitabile la do-manda se l’attuale gestione delgoverno israeliano crei più be-nefici o più danni all’obiettivoideale di Israele come Stato delPopolo ebraico.

DELLA PERGOLA da P23/

/ segue a P26

ú–– Anna SegreDocente

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/ P26 OPINIONI A CONFRONTO n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

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Una vecchia leggenda yiddishnarra in maniera brillante dicome un giorno le donne,stanche delle ingiustizie di cuierano vittime e in cerca diemancipazione, decisero di in-viare una di loro a difenderele proprie ragioni davantiall’Eterno. Scelsero la più eru-dita e la più eloquente, unadonna di nome Skotzel, e lechiesero di essere la loro am-basciatrice presso l’Onnipo-tente. Poi si arrampicaronol’una sulle spalle dell’altra emisero Skotzel in cima a quel-la piramide umana, nel tenta-tivo di raggiungere il cielo.Purtroppo, alla base dellastruttura, una di loro persel’equilibrio e, ca-dendo, trascinòcon sé tutte ledonne. Quando sirialzarono, sco-prirono stupefat-te che Skotzel erasparita. Da allora,si pensa che l’am-basciatrice delledonne sia ancora lì a contratta-re con Dio, che tarda ad ascol-tarla, ma che un giorno torneràper annunciare tempi nuovi.Così, ogni volta che una donnaentra inaspettatamente in unastanza, viene accolta con le pa-role: «Skotzel kumt!», «Skotzelè arrivata!». Chissà, magari fi-nalmente è di ritorno con dellebuone notizie!

Da qualche giorno mi è torna-ta in mente questa vecchialeggenda, e mi chiedo se nonabbiamo perso la nostra Skot-zel, la nostra ambasciatrice,erudita ed eloquente, quellache un giorno prese la parolanon davanti a un tribunale ce-leste ma davanti a un’assem-blea umana.«Per prima cosa vorrei render-vi partecipi di una convinzio-ne di donna», dichiarò al Pa-lazzo Borbone, prima di ag-giungere: «Chiedo scusa se lofaccio davanti a questa As-semblea composta quasiesclusivamente da uomini».Era il novembre del 1974. Perme che sono nata in quel me-se, queste parole raccontanoqualcosa delle circostanze del-la mia nascita. Come se unafata si fosse chinata sulle culle

delle donne della mia genera-zione per regalare loro unabenedizione, sotto forma dipromessa solenne. Quel gior-no, mentre affermava di rivol-gersi ai parlamentari e presen-tava loro delle scuse, SimoneVeil, lo sappiamo bene, parla-va a noi, le donne del domani,dicendoci che da quel mo-mento nessuna di noi avrebbepiù dovuto trovare delle scuseper diventare quel che avreb-be potuto essere. È questapromessa di emancipazioneche abbiamo ricevuto comeregalo di nascita. Siamo le sueeredi, noi che oggi siamo libe-re di scegliere le circostanzedella nostra vita, al di là delleassegnazioni biologiche o del-le ingiunzioni alla maternità.Più che al diritto di concepireo meno, Simone Veil ci invita-va a pensare alla possibilità diconcepirci diversamente, distare lì dove nessun’altra don-

na era mai stataprima di noi, nelcuore di questeassemblee perlungo tempoesclusivamentemaschili delmondo politico,religioso, o diqualsiasi altra

«no woman’s land». Ci invita-va a farlo senza rinnegare lanostra femminilità, senza«l’obbligo di adattarsi al mo-dello maschile», senza esseredenigrate per farne parte. E,nel mio cammino di donnaverso il rabbinato, la sua vocefemminile è risuonata spesso.Continua a farlo, ogni voltache viene messa in dubbio lapossibilità o la legittimità cheuna donna si trovi dove si tro-va.Per noi nipoti della Shoah, lasua fu anche la voce di una te-stimonianza pubblica. Accantoai nostri nonni, che, spesso,non potevano dire nulla e ilcui mutismo pesava come unmacigno, la sua presenza e lesue parole furono per molti dinoi un saldo appiglio, una viad’uscita dal silenzio familiare.Lei spiegava al mondo perchécosì tanti uomini e donne, nonessendo ascoltati, si erano ri-trovati costretti a tacere. Lo di-ceva con pudore, pur renden-do visibile quel che non si riu-sciva a mostrare. Non nascon-deva il suo tatuaggio, quandonelle nostre famiglie si indos-savano solo maniche lunghe.Così le sue parole ha apertouna porta e ha contribuito a

fare di noi i testimoni dei testi-moni. In conclusione, per noilei incarnava tutta la capacitàche ha l’essere umano di rial-zarsi, non per far sentire o ri-conoscere il suo dolore, maper rivendicare il suo postonella sua storia e nella Storia.Nella «gara al vittimismo»,dove alcuni cercano di convin-cere di aver sofferto più di al-tri, che il loro dolore e quellodei loro antenati accorderebbeloro certi diritti, Simone Veilcostituiva, con la sua semplicepresenza e i suoi discorsi, uncontroesempio notevole. Ave-va saputo rialzarsi e darsi dafare per il ricordo della Shoah,mentre faceva del suo passatoil motore della sua presa di re-sponsabilità, la molla per alzar-si e impegnarsi pubblicamente,per la nazione e per l’Europa. Èquesto che onoriamo nel mo-mento in cui la nazione la ac-compagna e la avvolge in unariconoscenza così meritata.

In yiddish un uomo esempla-re, capace di guidare e di ispi-rare la sua generazione, èchiamato mensch. Non cono-sco il femminile di questo ter-mine. Ma posso dirvi moltofacilmente che aspetto ha. Permolti di noi, ha da ora in poi ilviso di una donna nata il 13luglio 1927, una ragazza che asedici anni posa il piede inpiena notte sulla rampa diAuschwitz, una donna che so-pravvive, testimonia e fa vin-cere la vita, una militante, unasposa, una madre, una nonna,una pioniera, un’europea,un’immortale. Una donna checi invita a far vivere questaeredità, a fare di una vecchialeggenda yiddish una pro-messa per il futuro, ad arram-picarci sulle sue spalle percontinuare la sua contrattazio-ne per la vita, il ricordo e lagiustizia. Questa donna ci di-ce: «Skotzel kumt!», Skotzel èarrivata. E se porti avanti que-sta lotta, Skotzel sei tu.

Delphine Horvilleur è rabbina ri-formata del Movimento ebraicoliberale di Francia (MJLF). La famiglia di Simone Veil hachiesto che, durante le esequie, re-citasse il kaddish a fianco delGran Rabbino di Francia HaimKorsia.

Traduzione di Federica Alabisio, stu-dentessa della Scuola Superiore In-terpreti e Traduttori dell’Universitàdi Trieste e tirocinante presso la re-dazione giornalistica dell’Unione del-le Comunità Ebraiche Italiane.

dell’opera una testimonianza delnarcisismo artistico, visto chenell’opera Wagner diceva: “sonola tradizione e il futuro, il profe-ta e il messia”. Che ego che ave-va! Nel testo c’è spesso la meta-fora di Adamo ed Eva e del giar-dino dell’Eden. Si tratta del pa-radiso perduto.

Di che tipo di paradiso si tratta?Uno è il paradiso domestico, lacasa Wahnfried che si trova re-almente a Bayreuth. Adam-Ri-chard ed Eva-Cosima dovrebbe-ro viverci come nel giardino del-l’Eden. Naturalmente, non hamai funzionato. L’altro paradisoè quello che viene proiettato sul-la città di Norimberga a partiredalla fine del settecento: Norim-berga come la Gerusalemme te-desca, una città utopica. Nellaversione di Wagner di questautopia ci sono solo tedeschi, iltempo è sempre bello e tutti so-no artigiani. La verità era diver-sa. Norimberga era una città diimportanza internazionale per ilcommercio, con gente che veni-va da tutto il mondo – ma senzaebrei. Erano stati cacciati giànel Quattrocento. Ed era unacittà borghese. Mi interessa co-me questa utopia tedesca si ètrasformata in una distopia.Meno di cento anni dopo ci sa-rebbero stati le Leggi di Norim-berga, il Raduno di Norimberga,la distruzione di Norimberga eil Processo di Norimberga.L’opera solleva alcune questioni:chi fa parte di questa utopia echi viene escluso? Perché l’operausa così tante espressioni giuri-diche? Chi è la giuria?

Allora con il suo allestimen-to di “Maestri cantori” faun’opera su Wagner?Lo uso solo come chiave. Wa-gner avrà un ruolo in diverseforme. Ma anche le conseguenzestoriche che l’opera ha causatosono importanti. Wagner non èresponsabile di ciò che è succes-so nel Novecento. Ma non pos-siamo ignorare tutto questo eportare in scena una commediasu un’utopia tedesca dell’otto-cento. Ad essere onesti quandoridiamo ridiamo di Beckmesser.È un umorismo cattivo. Non ècome gli scherzi umanitari diShakespeare né come la comicitàdionisiaca di Aristofane. Alcontrario, qui qualcuno vieneumiliato.diversa. Bisogna crearedelle fratture, così che lo spetta-tore deve analizzare sé stessocriticamente mentre sta riden-do. L’eco di “Maestri cantori”dovrebbe far capire la problema-ticità delle tendenze nazionali-ste. Purtroppo, il tema è di scot-

tante attualità.

Come si comporta nei confrontidell’antisemitismo di Wagner?Una volta ne ho parlato con Da-niel Barenboim. Come tanti altriprima di lui disse che sarebbeimportante distinguere tra l’uo-mo e la sua arte. Secondo me èuna situazione delicata. Per undirettore può essere fattibile, perme come regista è impossibile.Un’opera ha sempre un testo,non è un insieme astratto disuoni. Ovviamente, non ha mes-so in scena nessun personaggioebreo. Non aveva la minimaidea della cultura ebraica. Cono-sceva soltanto gli stereotipi su-gli ebrei frequenti nell’Ottocen-to e le cui radici derivano dalmedioevo. E aveva le sue osses-sioni antisemite.

E gli amici ebrei di Wagner? Non aveva amici ebrei. Wagnerodiava gli ebrei ma ne usava al-cuni. Angelo Neumann, l’im-presario del teatro, che viaggia-va attraverso tutta l’Europa conl’ensemble di Wagner ne è unesempio. Carl Tausig e JospehRubinstein che facevano spartitie revisioni sono altri. Un ruoloimportante nell’allestimentoavrà il direttore Hermann Leviche deve essere stato un genio.Levi aveva due problemi: era ilfiglio del rabbino ortodosso dellacittà di Gießen e amavaBrahms. Già questi sarebberostati motivi sufficienti per nonvenire nemmeno vicino a Bay-reuth. Però, Ludovico II non la-sciava scelta a Wagner. Disse:senza Levi niente “Parsifal”,niente soldi, niente orchestra.Sappiamo come Wagner umilia-va Levi a casa Wahnfried facen-do scherzi a sue spese. “Portateil vino ebraico per Levi”, “Do-mani andiamo in chiesa per bat-tezzare Levi”. Penso che Leviavesse questo conflitto interioretra la sua identità ebraica el’amore per la musica di Wa-gner. Nel diario di Cosima sipossono trovare le cose piùbrutte che Wagner abbia maidetto sugli ebrei. In occasione diun incendio scoppiato duranteuna rappresentazione di “Na-than il saggio”, a Vienna, du-rante il quale morirono 416ebrei, Wagner disse che sarebbestato bello se tutti gli ebrei fos-sero morti durante una rappre-sentazione di Nathan. È l’umo-rismo di Richard Wagner.

Traduzione di Clara Ehret, studen-tessa dell’Università di Ratisbona,Rachele Ferin e Francesca Anto-nioli, della Scuola Superiore Inter-preti e Traduttori dell’Università diTrieste, tirocinanti presso la reda-zione giornalistica dell’Unione delleComunità Ebraiche Italiane.

Simone Veil, il nostro “mensch”DelphineHorvilleurMouvement JuifLiberal de France

SPINOLA da P25 /

Page 27: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

/ P27pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017

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“La sentenza non viene ad un tratto, è il processo che poco a poco si trasforma in sentenza.” (Franz Kafka)

u /P28-29STORIA

u /P30-31LETTERATURA

u /P32-33ITINERARI

u /P34-35SPORT

Guido Vitale

C’è chi nota immediatamente l’as-senza di margini e di righe. Le pa-role del Processo sanno già come oc-cupare il loro spazio sulla paginauna dopo l’altra e trovano un ordinenaturale per formare il principale ro-manzo del Novecento con una forzache lascia, nella sua forma originale,ancora oggi il visitatore a fiato so-speso. Le fortezze di Marbach cheracchiudono i tesori più preziosi del-la letteratura di lingua tedesca met-tono oggi, nel sale del centro cultu-rale Martin Gropius Bau di Berlino,sotto gli occhi dei visitatori, l’inchio-stro e la carta che Franz Kafka uti-lizzò per comporre il suo capolavo-ro. La grafia è facilmente leggibile,ma sulle pagine, oltre al respiro delgrande autore è possibile scorgereben altro. Le note a margine del-l’amico Max Brod, che dopo la mor-te di Kafka, in fuga dall’Europa infiamme, avrebbe portato a Tel Avive quindi tratto in salvo e infine datoalle stampe nel 1925 una delle mas-sime prove della storia della lette-ratura. Se il romanzo sarebbe diven-tato un appuntamento universale eineludibile con la letteratura del No-vecento, anche il manoscritto chene è l’anima occupa una dimensionequasi soprannaturale e da solo valel’emozione di vedere la mostra. Riac-quistato a caro prezzo dal governotedesco da Esther Hoffe, che lo ave-va ricevuto in eredità da Brod, è oggi

considerato uno dei gioielli della co-rona della letteratura universale. Mala mostra berlinese non si ferma allavenerazione dell’oggetto di carta, sidirama seguendo molti altri possibilipercorsi tutti segnati dall’impronta

dell’opera di Kafka. Ci sono le im-magini amorevolmente raccoltedall’editore berlinese Klaus Wagen-bach, la prova cinematografica diOrson Welles, lo scandaglio parolaper parola, riga per riga, della ver-

sione originale con il confronto di-retto, grazie all’utilizzo delle tecno-logie più avanzate, fra la versionemanoscritta e quella pubblicata. EIl Processo assume in questo modo,attraverso un caleidoscopio di di-

mensioni diverse, la sua reale dimen-sione di passaggio obbligato dellaletteratura e della vita, di chiave dilettura dell’identità ebraica contem-poranea, di voce inestinguibile dellamistica. Ricordava recentemente aPagine Ebraiche a Parigi il rabbinoMarc Alain Ouaknine la fulminanteuscita di un Gerschom Scholem incattedra all’Università Ebraica di Ge-rusalemme. All’ansioso studente cheinvocava la bibliografia da studiareper completare il corso di mistica,il saggio rispose: “È molto semplice,per comprendere la mistica ebraicabisogna leggere tutto Kafka e in par-ticolare Il Processo”. “Quella di Scho-lem – commenta oggi il rabbinofrancese – non era solo una battuta,perché davvero Kafka, oltre che unimmenso scrittore, è stato anche l’ul-timo dei cabalisti”.Kafka in mostra a Berlino mette co-sì in luce una grande letteratura chenon è mai esercizio mentale di-sgiunto dal destino. Proprio a pochimetri dalle sale dell’esposizione,ospite dell’Askanischer Hof, l’autorepraghese scriveva nel luglio del1914 le prime parole che aprono IlProcesso.

DAVANTI ALLE PAGINE DEL PROCESSO

La letteratura, un singolo romanzo, può fare spettacolo?Può tenere alto l’interesse del visitatore di un’esposi-zione che arriva nei grandi centri culturali spesso a cacciadi emozioni e di spettacolarità della cultura? Può giu-stificare la richiesta di un biglietto d’ingresso? Il calei-doscopio dedicato al Processo di Kafka allestito nelloscrigno berlinese del Martin Gropius Bau offre una ri-sposta affermativa, e paradossalmente riesce a farlosenza necessariamente ricorrere alle meraviglie degliallestimenti più avanzati. Al di là dell’emozione di vederepagina dopo pagina il manoscritto originale custoditoa Marbach ed eccezionalmente messo in vetrina, al dilà delle tecnologie che consentono di far collimare ogni

sillaba del testo kafkiano, una lunga vetrina pone difronte al visitatore le innumerevoli prime edizioni nellediverse lingue in cui il libro dello scrittore praghese èapparso. Niente di più semplice eppure niente, in questa

babele letteraria, in questa polifo-nia di edizioni che riporta a un uni-co testo necessario, inevitabile, dicosì emozionante. Non c’è lette-ratura e non c’è possibile letturadella vicenda ebraica contempo-ranea, senza il Processo. E la se-quenza che declina in ogni linguaggio lo stesso testonon è solo un’esperienza indimenticabile per il bibliofilo.È anche la dimostrazione che di fronte al linguaggiodelle umane emozioni ogni possibile variazione del lin-guaggio finisce per convergere, per subire il richiamoineluttabile dello stesso punto originario. Kafka, cittadinomodello dell’impero sommerso, prima voce di una let-teratura tedesca che mai appartenne alla Germania, tor-na a Berlino per parlare ogni lingua dell’umanità.

La vetrina delle nostre emozioni

FINO AL 28 AGOSTOFRANZ KAFKA DER GANZE PROZESSMARTIN-GROPIUS BAU(BERLINO)

Il Processo dell’ultimo cabalista

Page 28: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

“Giuro di non interrompere il digiuno durante il giorno.” Una donna supplica il marito di tornare acasa dopo che egli ha deciso di andarsenedurante una discussione sul fatto di vivere conla famiglia di lei e di dover pagare lorol’affitto. Per evitare un’accusa di “abbandono”,il marito ritorna a casa di Shabbat per brevivisite coniugali. La donna minaccia di iniziareuno sciopero della fame (ma solo durante leore del giorno) se il marito non torna a casa.Sul retro della lettera l’uomo scrive: “Se noninterrompi il digiuno, non tornerò a casa néper lo Shabbat né in nessun altro giorno!”

“Perché ti comporti così nei confrontidi tua moglie e dei tuoi figli?”Aaron ha abbandonato la sua famiglia in Egittoe si è stabilito a Seleucia (l’attuale Silifke inTurchia). Credendolo morto, suo suocerorimase sorpreso nel ricevere una lettera daAaron. Nella sua riposta, il suocero, il cui nomeè Sa’d, esprime felicità per il suo ritorno dallamorte, ma gli ricorda che si è sottratto alle sueresponsabilità nei confronti della moglie e deifigli in patria per 23 anni. Ciononostante, simostra educato e dipinge una piacevoleimmagine della vita in Egitto, un evidentetentativo di far tornare indietro Aaron.

/ P28 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

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STORIA

Voci scartate, voci sempre vive Davanti alla Genizah

La Taylor-Schechter Cairo Genizah Col-lection, conservata nella biblioteca uni-versitaria di Cambridge, è la collezionedi manoscritti ebraici medievali più vastae importante al mondo. Per mille anni lacomunità ebraica di Fustat (Cairo Vec-chia) depose testi sacri e altri scritti lo-gorati dall’uso nella genizah della Sina-goga di Ben Ezra e, tra il 1896 e il 1897,l’accademico di Cambridge SolomonSchechter grazie al sostegno finanziariodel rettore del collegio di St. John, CharlesTaylor, si recò in Egitto per esaminarli.Dalla comunità ebraica egiziana ottenneil permesso di portare via quello che piùgli piaceva (affermò in seguito “Mi piacevatutto”), e portò all’università di Cambridge193.000 manoscritti, che oggi compon-gono la Taylor-Schechter Cairo GenizahCollection. La comunità di Fustat conservava i ma-noscritti nella genizah, secondo la leggerabbinica (si veda, per esempio, MishnaShabbat 16:1), che dice che quando untesto sacro diventa inutilizzabile (perchéè troppo vecchio o perché il suo conte-nuto non è più rilevante) non può esseredistrutto o gettato con noncuranza: i testicontenenti il nome di D-o dovrebberopiuttosto essere sepolti o ri-posti in una genizah quan-do la sepoltura non è pos-sibile. Almeno a partire daiprimi anni dell’undicesimosecolo gli ebrei di Fustat,una delle più ricche e im-portanti comunità ebraichedel Mediterraneo, deposero con riverenzai loro testi antichi nella genizah. Sorpren-dentemente, però, non vi collocarono sol-tanto opere religiose quali Bibbie, libri dipreghiera e raccolte di diritto ebraico, maanche quelle si potrebbero definire operelaiche, e documenti di tutti i giorni: listedella spesa, contratti matrimoniali, atti didivorzio, pagine tratte dalle fiabe arabe,opere di filosofia sciita e sufi, libri di me-dicina, amuleti magici, lettere commer-ciali, registri contabili e centinaia di lettere:esempi di ogni genere di testo scritto pro-dotto dalle comunità ebraiche del VicinoOriente si trovano oggi nella collezionedella genizah, che propone un’imperdibile

visione del mondoebraico medievale.Oltre alla collezione

Taylor-Schechter, attualmente la biblio-teca universitaria di Cambridge ospita an-che la Jacques Mosseri Genizah Collec-tion. Raccolti dallo stimato uomo d’affari cai-rota Jacques (Jack) Mosseri nel primo de-cennio del ventesimo secolo, questi ma-noscritti sarebbero dovuti rimanere inEgitto come parte del patrimonio cultu-rale della comunità ebraica. Tuttavia, do-po la morte prematura di Mosseri nel1934 e la successiva partenza della suafamiglia dall’Egitto, l’eponima raccoltascomparve dalla scena culturale fino aglianni Settanta, quando venne microfilmatada un gruppo di esperti della Biblioteca

Nazionale Ebraica. A seguito di discus-sioni con i membri della famiglia Mosseri,nel 2006 la biblioteca universitaria diCambridge ha preso in prestito questacollezione di 7.000 frammenti per ven-t’anni. Durante il periodo in cui rimarràa Cambridge, la collezione Mosseri verràconservata e digitalizzata, e verrà redattoun catalogo nuovo e dettagliato.Al momento, oltre 18.000 manoscritti ap-partenenti alla collezione Taylor-Schechtere alla collezione Mosseri sono disponibilionline: vi si trova un numero considere-vole di documenti (lettere e atti legali) etesti liturgici (i frutti di un progetto con-diviso con l’Università Ben Gurion). Altrimanoscritti verranno aggiunti regolarmen-te finché l’intera Cambridge Genizah Col-lection non sarà reperibile online.

Egitto, X/XI secolo Ebraico, pergamena

Egitto, XII secoloArabo giudaico, cartaLewis-Gibson Ar.2.51

Venga a prendere un frammento di eter-

nità da noi. Ci vuole un attimo per lasciare

in superficie la grande luce degli immensi

prati con le mucche libere e felici che li

percorrono. Per inabissarsi nella penom-

bra dei sotterranei della fortezza che rac-

chiude i tesori della Biblioteca universi-

taria di Cambridge. Nella sala delle espo-

sizioni, il centro universitario britannico

offre l’occasione rara di immergersi e di

respirare da vicino il fascino di una sele-

zione dello sterminato patrimonio rap-

presentato dai frammenti della Genizah

del Cairo. “Non è facile immaginare – scri-

veva, perso nell’oceano di parole da lui ri-

trovate e portate in salvo nel 1896, Solo-

mon Schechter nei suoi diari – la confu-

sione che regna in questa antichissima Ge-

nizah fino a quando non la si è visitata.

Un campo di combattimento in cui gli

eserciti sono manoscritti, una battaglia

in cui la produzione letteraria di molti se-

coli rivendica la propria parte…”. Sono

trascorsi ormai 120 anni e le parole dello

studioso, rabbino e padre dell’ebraismo

conservative tornano alla luce assieme ai

gioielli di carta stracciata che ebbe il me-

rito di recuperare dal grande deposito di

materiali destinati all’oblio rinvenuto in

Egitto. E la Storia si vendica, i tesori della

Genizah tornano oggi vividamente ai no-

stri occhi in una piccola selezione, sapien-

temente composta dall’equipe della Geni-

zah Research Unit condotta da Melanie

Schmierer-Lee che ha voluto ironicamente

intitolare l’esposizione “Discarded Histo-

ry”, la storia gettata da parte, gli scritti

per un motivo o per l’altro destinati al-

l’oblio ora invece destinati a penetrare il

tempo fino a farsi tizzoni ardenti di vita,

di speranze e di passioni di fronte ai nostri

occhi. Il patrimonio di documenti che ri-

salgono all’undicesimo secolo dell’era vol-

gare offrono come è noto una prospettiva

nuova nell’analisi di molti testi sacri, ma

soprattutto nella quotidianità della vita

ebraica dell’epoca. Etica, globalizzazione,

affari, drammi, amori, speranze, sofferen-

ze. Voci vive attraversano il tempo e ci

trasmettono il brivido indimenticabile di

percorrere tempo e destini.

g.v.

fino al 28 Ottobre DISCARDED HISTORY:THE GENIZAH OF MEDIEVAL CAIROCambridge UniversityLibrary

Page 29: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

“Ho avuto una relazione con al-Hassun e sono rimasta incinta.”Karima al-Hassun, una ricca imprenditriceebrea, ha avuto una scandalosa relazioned’amore con un uomo sposato, Hassun diAscalona. Quando è rimasta incinta, erapreoccupata del fatto che l’uomo avrebbepotuto negare la relazione. Perciò, perassicurarsi che il bambino avesse un padre conun nome, fece in modo che fossero colti sulfatto e i testimoni dichiararono quello che

avevano visto. La donna fu alla fine scomunicata dalla sinagoga a causa del suocomportamento scandaloso, ma lasciò ingenti somme di denaro in eredità a tutte lesinagoghe di Fustat. Al padre di suo figlio non lasciò nulla, “nemmeno un centesimo”.

“E il corretto modo di procedere inquesto caso è mettere a tacere ipettegolezzi, non sancire un divieto enon fare altre discussioni in pubblico.” Uno scherzo finito male può portare a undifficile caso di diffamazione che richiede ilgrande Mosè Maimonide per emettere un pareregiuridico. Venivano spesso richiesti a Maimonidepareri su questioni di leggi religiose e le risposte,conosciute come Teshuvot (letteralmente“risposte”, l’equivalente della fatwa islamica),sono state in seguito raccolte e pubblicate. LaGenizah del Cairo ha conservato alcune dellesue decisioni precedentemente sconosciute tra lesue carte personali. In questo caso, un

insegnante era stato accusato di fare avances inappropriate ad un’anziana vedova, masenza testimoni la dichiarazione della donna non è considerata valida per la leggeebraica. Maimonide aggiunge di suo pugno una tipica opinione pragmatica.

“La lingua non è sufficiente per il racconto.”Nel 1033 e.c. un violento terremoto ha scossol’intera Palestina. L’autore di questo vividoresoconto, Salomone figlio di Semah, descriveai suoi amici in Egitto come colpì la capitaledella Palestina, la città di Ramla. Le personescapparono dalle loro case quando siaccorsero che i muri stavano tremando,perdendo così tutti i loro beni nelle macerie.Un terzo della città venne completamentedistrutto. Anche Gerusalemme, compreso ilMonte del Tempio, fu danneggiatagravemente.

“Hanno mandato un emissario, un lebbroso sotto il nome di Kalaf di Aleppo, e con lui c’era un altrouomo sano. Abbiamo saputo direcente che ha lasciato questa vita.”Un uomo è morto e mancano dei soldi. Lacomunità dei lebbrosi di Tiberiade hamandato due persone, un lebbroso ed unuomo sano, a raccogliere fondi in Egitto.Dopo nove mesi di silenzio, Hillel, capo dellacomunità ebraica di Tiberiade, è appenavenuto a conoscenza della morte del lebbrosoe sta cercando di recuperare il denaro da lui

raccolto. I lebbrosi si sono riuniti a Tiberiade, cercando una cura nella caldaprimavera della città, e devono affidarsi al sostegno della beneficienza.

“Ero con lui il giorno in cui li ho vistiessere uccisi in quel modo terribile.”L’invasione della Terra Santa da parte deiturchi Selgiuchidi sul finire del XI secolo èstata estremamente violenta e ha provocatoun gran numero di rifugiati, ebrei, musulmanie cristiani. Questa lettera è stata scritta da unadonna ebrea che viveva a Tripoli in Libanodopo essere dovuta fuggire da Gerusalemme.Scrive così: “Sono una donna malata sull’orlodella follia, al limite della fame con la miafamiglia e la bambina che sono tutti con me,e sconvolta dall’orribile notizia riguardante

mio figlio.” Secondo la donna sarebbe meglio essere tra i prigionieri, dal momentoche in questo modo potrebbero “trovare qualcuno che dia loro da mangiare e dabere”. In quanto rifugiati, lei e i suoi bambini stanno morendo di fame.

“I musulmani la spiarono, sospettando che stesse avendo una relazione con un cristiano.”

L’amore non conosce le barriere della fede, maciò poteva essere pericoloso nel Medioevo. Leautorità dei Fatimidi erano molto scrupolose sulrispettare gli standard morali in Egitto, e nonsoltanto nella comunità musulmana. Questoverbale descrive il caso in cui una donna ebreafu accusata da due musulmani di essere inintimità con un dottore cristiano. Riportarono diaverla vista gironzolare nei pressi della spezieria

e la spiarono per 40 giorni prima di portare i loro sospetti di fronte ad un giudice.Nonostante il documento sia scritto in caratteri ebraici, i tre testimoni ebrei hannofirmato usando la scrittura araba, forse per beneficiare di un giudice musulmano.

/ P29pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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Fustat, XII secoloArabo giudaico, carta

Egitto, XI secoloArabo giudaico, carta

Fustat, XII secolo Arabo giudaico, foglio

Tiberiade, Palestina, XI secoloEbraico, carta

Ramla, Palestina, 1033 e.c.Ebraico, carta

Tripoli, Libano, anni 70 dell’anno 1000 e.c. Arabo giudaico, pergamena

Traduzioni di Rachele Ferin, Arianna Mercuriali e Ilaria Vozza, studentesse della ScuolaSuperiore per Interpreti e Traduttori dell'Università di Trieste e tirocinanti presso la re-dazione giornalistica dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

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Luigi Grazioli

In Aldo Zargani sembra resusci-tare la figura del Narratore, cheWalter Benjamin dichiarava ormaiestinta ottant’anni fa per la scom-parsa dell’esperienza dal mondocontemporaneo. Così non è, an-che se purtroppo a farla rinascerenon ci ha pensato l’incanto dellanovella da cui muoveva il discorsodel grande studioso (Il viaggiatoreincantato, di N. Leskov), bensì l’or-rore; e questo in aperta contrad-dizione a ciò che un non sempresollecito amico dello stesso Ben-jamin, T.W. Adorno, aveva decre-tato impossibile dopo Auschwitz,evento che avrebbe dovuto ridur-re al silenzio ogni velleità di poe-sia e di racconto. E se anche per alcuni davverocosì è stato (quanti superstiti han-no preferito non dire una parolaper tutta la loro restante vita, ag-giungendo al dolore di ciò cheavevano vissuto quello di non po-terlo, o volerlo, condividere), peraltri invece il lager si è trasforma-to in urgenza di parlare, raccon-tare, gridare, descrivere e addirit-tura cercare di capire. Per alcuniquesto impulso, come sappia-mo da Primo Levi, si eragià fatto strada mentre era-no ancora all’inferno e nonsapevano se ne sarebberousciti, e nonostante temes-sero, se sopravvissuti, dinon essere creduti, comepredetto dagli aguzzini, tan-

to inverosimile avrebbe potutosembrare agli ascoltatori. A Zar-gani per sua fortuna la tragediadell’internamento è stata rispar-

miata, ma non quella della perditadi tanti famigliari e amici e, piùancora, quella vissuta direttamen-te dalla sua famiglia dopo le leggirazziali e durante la guerra, finoalla liberazione, come raccontatoin quel grande libro che è Per vio-lino solo (Il Mulino, 1995), e neiprimi anni del dopoguerra, nelsuo degno seguito, Certe promessed’amore (Il Mulino, 1997). La prospettiva da cui lo scrittore

parla è almeno duplice, perchéoscilla senza confonderli tra i pun-ti di vista del bambino, che vivevaqueste esperienze anche comescoperta e avventura, e dell’uomomaturo, che ne ha attraversatotutte le metamorfosi e che ha pre-so a raccontare le sue esperienzefondative solo una volta raggiuntala pensione, cioè cinquant’annidopo. Sguardo del bambino chenon lo ha abbandonato nemme-

no nella sua verdissima età di84enne attuale, e che fa la ricchez-za del suo modo di raccontare, incui un grande ventaglio di senti-menti, dalla paura all’entusiasmo,dall’empatia all’ira (quella giustaperò, di dantesca ascendenza),convive con una memoria infal-libile che niente vuole dimentica-re, nemmeno quando sarebbe piùfacile abbandonarvisi. Il discorsoè permeato da una grande sag-gezza, con il distacco che essa im-plica, che non preclude però unsempre rinnovato, sorgivo stupo-re; e il radicale scetticismo, maanche l’ironia, che dalla saggezzaderivano, non impediscono la gio-ia, e il suo riso aperto, divertito,né, con paradosso solo apparente,una lucida speranza che non na-sce solo dalla volontà ma ancheda un’apertura alla vita originaria,una vocazione inscalfibile alla fe-licità. È come se la maturità nonfosse stata conquistata da Zarganiliberandosi dall’infanzia ma re-standovi radicato e conservandolain sé come la propria onnipresen-te, inesauribile e sempre attuale,risorsa: come qualcosa che nonè mai acquisito una volta per tut-te, quindi, ma è sempre da con-quistare e rinnovare. È dall’insieme di questi fattori, dalloro intreccio, ma anche dal lorocontrapporsi e arricchirsi vicen-devole, ciascuno con il suo tono,grave e acuto, divagatorio e es-senziale, ma sempre leggero, chederivano la capacità di narrare di

Per Violino Solo è stato pub-blicato per la prima volta nel1995 da Il Mulino. Ha un suc-cesso immediato e nel 2002con un’inedita prefazione vie-ne ristampato. Vince nel 1995,nella sezione narrativa il Pre-mio Domenico Rea di Ischia(nello stesso anno sezionegiornalismo vince Enzo Biagi),e sempre in quello stesso annoottiene il premio Acqui Terme.L’interesse nazionale per il li-bro, lo specifico carattere iro-nico nonostante il tema, il dia-logo tra il bambino e l’anziano,la fluidità con cui il narratoreinteragisce suscitano curiositàanche all’estero e nel 1998, asoli tre anni dall’uscita in Italia,in Germania viene pubblicatoFur Violine solo. Meine Kindheitim Diesseits dalla casa editricetedesca Fischer Verlage, a cura

di Ruth Mader. Nel 2002, laPaul Dry Books di Philadelphiastampa la prima edizione in in-glese di For Solo Violin con latraduzione di Marina Harss esempre nel 2002 la casa editri-ce Losada pubblica in spagnoloCielos de Espanto tradotto daRoberto Raschella. Nel 2007Olivier Favier per l’Eclat ne curala traduzione e una bellissimarecensione – intervista, pubbli-cata sul sito dormira ja-mais.org.Nel 2008 e nel 2009 AldoZargani è invitato in nu-merosissime librerie fran-cesi a promuovere il libroe presso il Centro di docu-mentazione ebraica con-temporanea di Parigi sem-

pre insieme a Favier ed alla sto-rica Marie Anne Matard-Bonuc-ci. In Germania il libro ha avutoun enorme successo ed unacritica eccellente, e anche inFrancia i consensi sono statimolteplici. In questa cornice cisiamo incaricati di analizzare lecircostanze e di indagare lepossibili motivazioni che hannoportato al non giusto ricono-scimento del libro negli Stati

Uniti. Ho rintrac-ciato la traduttri-

ce del libro, Marina Harss, e hoanalizzato, attraverso una pia-cevole conversazione, le pro-babili ragioni e le mancate oc-casioni. Innanzitutto il libro vie-ne stampato dalla Paul Dry Bo-oks, casa editrice indipendenteche era nata, al momento del-la stampa del libro da appenatre anni e il cui direttore pro-veniva dal settore bancario.Forse la giovane età della casa

editrice,la vastis-

sima letteratura ebraica pre-sente negli Stati Uniti e l’inef-ficiente promozione hannopenalizzato il libro. Una realeindagine statistica ed econo-mica non è stata fatta; ho in-terpellato la stessa casa editri-ce a riguardo ma la risposta èstata approssimativa e nonesaustiva, e comunque non ingrado di fornire una motiva-zione valida. Con Marina Harrs,ho poi viaggiato nel ricordodel periodo della traduzione.

Mi ha raccontatoaneddoti e curiosità.In ogni caso la tra-duttrice fece un la-voro eccellente e sidedicò con affetto e

competenza al suo la-

/ P30 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

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LETTERATURA

Aldo Zargani, il ritorno del grande Narratore

Un dialogo che suona come un violino

Aldo ZarganiFOR SOLOVIOLINPaul Dry Books

Aldo ZarganiFUR VIOLINESOLOFischer

Aldo Zargani torna in libreria con In bilico. Noi gli ebrei eu

anche gli altri (nella foto qui sopra di Dino Ignami la copertina

in una composizione cara all’autore). Qui a fianco la discussione

della tesi dedicata allo stesso Zargani di Ivana Di Giacomo a Roma

Tor Vergata (relatore Myriam Silvera). La laureanda ha discusso

dell’opera di Zargani e delle sorti del suo romanzo più conosciuto

anche sul piano internazionale, Per violino solo.

Aldo ZarganiIN BILICO(NOI GLI EBREI E ANCHE GLI ALTRI)Marsilio

Page 31: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

Zargani e al contempo di fareesperienza, che egli, scriva o parlio reciti o ricordi, riesce a trasmet-tere, viva, freschissima e ricchis-sima, in chiunque lo legga o ascol-ti, con la stessa reazione, anchelui (anche noi), del bambino chechiede di andare avanti ancora eancora. Tutte queste caratteristiche si ri-trovano, con esiti ammirevoli, an-che nel recente volume In bilico

(noi gli ebrei e

anche gli altri), che raccoglie i rac-conti scritti da Zargani in questiultimi anni. In essi vengono ripresialcuni dei temi presenti nei libriprecedenti, a partire dagli annidella guerra, della persecuzione edella fuga (non a caso il libro siapre e si chiude con il settembredel 1939 con due racconti che so-no dei veri e propri capolavori:“Profumo di Lago” e “Sicilia”), edel periodo immediatamente suc-cessivo, arricchiti di nuovi episodi

/ P31pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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Tra dramma e sarcasmoQuando mi è stata assegnata questa tesi ho avuto il dubbio di non

riuscire ad esserne all’altezza, perché aggiungere qualcosa a Per

Violino Solo mi sembrava impossibile. Si tratta di un tema pesante

e drammatico, che Zargani ci restituisce tuttavia con leggerezza

e con ironia, nonostante il tragico contesto storico.

L’ironia è ciò che emerge in un libro che talvolta rasenta il sarca-

smo, altre volte si scioglie nel dramma. L’ironia è però ciò che con-

traddistingue anche il carattere di Zargani, fa parte di lui, perché

è una peculiarità della sua natura sia di bambino che di anziano.

Ed è il bambino che dialoga con l’anziano in tutto il libro. Zargani

“prende” se stesso, scongela la sua infanzia e la racconta con il di-

stacco di chi dalla pericolosità del ricordo in un qualche modo se

ne vuole distanziare con il giusto discernimento. Si tratta di un

personaggio profondamente intelligente e sensibile e il suo modo

di scrivere “nutre l’animo” di chi lo legge.

Ho tentato di sviluppare, ampliandoli, alcuni argomenti che Zargani

affronta nel libro, soprattutto grazie all’incontro che ho potuto

avere con l’autore lo scorso giugno. Sono argomenti negli argo-

menti che volteggiano sullo sfondo delle leggi razziste. Zargani

affronta l’ebraismo e ne traccia le caratteristiche con la giusta di-

stanza di chi si professa laico (anche se laico come egli stesso dice

è un’accezione più cattolica, ma ateo sarebbe una privazione e

quindi non andrebbe bene lo

stesso), e forse aspetta una

dimostrazione da Dio. Ma

essere distanti dall’ orto-

dossia religiosa non vuol di-

re negare la sua identità di

ebreo, parte di una identità

culturale e sociale oltre che

religiosa. Lo scrittore affron-

ta il tema della fede, non solo in

Dio ma negli uomini, in quegli uomini illuminati che si sono spogliati

dei loro condizionamenti e sono stati solo uomini giusti che hanno

aiutato tutta la famiglia Zargani. I preti sono gli uomini giusti di

questa storia, ma che siano stati preti è solo un caso. A Aldo Zar-

gani ho chiesto di parlarmi della Chiesa e la sua risposta è stata :

“Io quei preti ho conosciuto e solo di quei preti parlo.”

La storia di Zargani è una storia a lieto fine, forse una delle poche

storie a lieto fine. Essersi salvati in quattro ha voluto dire avere

intelligenza, prudenza, astuzia, ma anche inevitabilmente lungi-

miranza da parte dei genitori che, anche se non sapevano esat-

tamente il terrore da cosa fosse motivato, anche se non avevano

notizie certe, essendo ebrei sapevano di dover provvedere a sal-

varsi.

Zargani si definisce laico, ma parla spesso di miracoli, sembra che

in fondo il prodigio della vita lo stupisca sempre.

Per questa tesi ho affrontato numerose indagini alla ricerca dei

“personaggi”, dei giusti, della storia di Zargani: Suor Giuseppina

de Muro, il commisario Pandoli, il dottor Alfredo Pagani. Ho cercato

nell’Archivio storico della Facoltà di medicina di Torino notizie sul

dottor Pagani e ho trovato documenti sulla sua tesi di laurea e

sui suoi esami. La descrizione del primo incontro con Pagani è sin-

golare e buffo: mentre Torino era sotto le bombe papà Zargani ca-

pisce che è il momento di portare i figli all’arcivescovado di Torino,

non prima di passare dall’ospedale San Giovanni per ritirare un’ana-

lisi su probabili parassiti intestinali. Il dottore conferma la diagnosi

dei parassiti. La famiglia, tutti e quattro, si abbraccia e piange. Il

medico rassicura loro che si tratta solo di vermi. “Dottore ma quali

vermi, noi siamo ebrei e ci cercano per ucciderci, per questo pian-

giamo”. Da quel momento, scrive Zargani, l’unico scopo di quel

dottore, oltre al suo lavoro, fummo noi.

Forse non tutti sanno che il libro è stato tradotto in ben quattro

lingue: spagnolo, francese, inglese e tedesco. Ha avuto un ottimo

successo sopratutto in Germania e in Francia.

Ivana Di Giacomo

Corso di laurea in Informazione e sistemi editoriali

Università Roma Tor Vergata

Aldo ZarganiPER VIOLINOSOLO

Il Mulino

voro. L’horaggiunta in privato, in Pen-nsylvania dove vive, e mi haraccontato che nel periodoin cui lavorava per il «Times»la casa editrice la chiamò pro-ponendole la traduzione.Successivamente andò in Ita-lia dove ebbe modo di con-sultarsi con Aldo Zargani sualcuni punti ma soprattuttosulle parole specificamentetorinesi. Marina Harrs ritieneil linguaggio del libro moltopoetico, ed è stato questol’aspetto più difficile della tra-duzione: rendere questapoesia in inglese, senza di-

struggere la leggerez-za, l’eleganza e l’umo-rismo dell’autore. Unautore, dice la Harrs,che ha avuto molta fi-ducia e rispetto nella

traduzione. Calvino dicevache ogni volta che si tradu-ceva in un’altra lingua avve-niva una specie di miracolo.Ho fatto la stessa domandaalla Harrs la quale mi ha rispo-sto che la cosa essenziale inuna traduzione è trovare lamusica e il ritmo di un auto-re. Una volta trovato questo,resta il lavoro intensivo. Lei favari “draft”, così con ogni ver-sione arriva più vicino a unsenso di purezza nella melo-dia ed armonia interna. E noila nostra musica l’abbiamotrovata Per Violino Solo.

i.d.g.

Aldo Zargani CIELOS DEESPANTOLosada

di volta in volta terribili o diver-tenti, e spesso terribili e divertentiinsieme, fino ai nostri giorni e aglieventi che continuano a solleci-tare lo scrittore e la sua passioneetica e civile. Passione che emer-ge quasi ad ogni pagina, sia chesi parli di una visita in Israele oin Australia, sia che incontri deibambini in una scuola romana perportarvi la propria parola non ditestimone ma di “attestatore” ri-cevendone viceversa una lezionesul significato della nostalgia (siveda il bellissimo racconto cheha questo titolo): perché è soloquando si è aperti ad apprenderedall’altro a cui si parla che anchela tua parola può passare e farsiesperienza per entrambi. Uno dei nuclei più significativi haper oggetto la Germania, che l’au-tore narra giustamente umiliatadopo la sconfitta e poi conoscenella sua nobiltà riconquistata du-rante un tour promozionale perla traduzione della sua Sonata, onella famigliola in vacanza all’isoladel Giglio dello straordinario, bre-ve quanto folgorante, per usareuna volta tanto in modo appro-priato questo aggettivo, “Berlinesi”. Ma da tutti i racconti arriva qual-cosa che ci fa sentire appagati,anche se a volte sgomenti, più lu-cidi e insieme più appassionati,risvegliati nelle nostre emozionielementari che spesso crediamoestinte o sopite. Segno che l’espe-rienza è passata, che il narratoreha colpito nel bersaglio e chequesto ne è stato modificato, nonè lo stesso di prima, e gliene ègrato. Nel racconto di chiusura, “Sicilia”,che narra l’umiliante trasloco delpadre musicista in una provinciasiciliana arretrata ma anche in-cantata e mitica, che per il pic-colo Aldo è anche l’ultima sta-gione innocente e insieme anchela scoperta della morte, lo scrit-tore narra un episodio che gli èaccaduto in occasione di un suoritorno nell’isola ormai adulto,con la sua famiglia, composta damoglie e figlioletta, e quella di unamico. Dopo un avventuroso sal-vataggio del gruppo che si erasventatamente avventurato inmare nonostante l’avvicinarsi diuna tempesta, ad Aldo, che timi-damente ringrazia il salvatore egli chiede “Potremmo... offrirvi...qualcosa?”, questi risponde “Per-ché? Quanto pensi che valga lavita d’un uomo?”. Nel racconto ilprotagonista non sa rispondere,né il narratore aggiunge altro, macredo che il lettore, chiudendoquesto libro, lo sappia, ora, unpo’ di più.

Page 32: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

Francesco Moises Bassano

“La più grande invidia è tra

fratelli. Perciò esiste la leggen-

da di Caino e Abele”. Con que-

ste parole riprese da L’ultima

leggenda di Caino di Miguel de

Unamuno si apre il secondo

volume di La Fratellanza nella

Tradizione Ebraica (Centro stu-

di campostrini, 2017) di Davide

Assael, un percorso ermeneu-

tico iniziato nel 2014 con la

coppia Giacobbe/Esaù e dedi-

cato in questa tappa al raccon-

to biblico di Caino e Abele. Ma

cosa s’intende innanzitutto

per fratello e fratellanza? Al

di là di ogni legame genetico

ed identitario, fratello secon-

do l’autore è colui “che viene

riconosciuto come tale”, ed è

proprio ripensando questa

storia narrata in Bereshit, e

dalla sua interpretazione filo-

sofica, artistica e religiosa nel

corso dei secoli che viene ri-

cercata una definizione di fra-

tellanza la quale include ine-

vitabilmente il problema della

relazione con l’altro. Analiz-

zando il testo originale e i suoi

passaggi talvolta ambivalenti,

viene interrogata la letteratu-

ra midrashica per capire so-

prattutto perché Caino finisce

per acquistare un significato

negativo, se non propriamente

quello di colui che porta per

primo la morte e la perfidia

nel mondo. Egli è il primo as-

sassino, l’iniziatore della rifles-

sione sulla teodicea, dove se

“tutto è creazione, come può

coniugarsi con ciò la sua mal-

vagità?”. Non c’è solo l’enigma

della sua nascita e del suo no-

me, il quale significherebbe

“acquisto, possesso”, ma è pro-

prio il rapporto dualistico con

Abele ad essere un elemento

fondante di tutta la tradizione

successiva: egli è un agricolto-

re stanziale a differenza del

fratello che è un pastore no-

made, il suo legame con la ter-

ra testimonia già una volontà

di possesso, una tendenza in-

dividualistica e idolatrica indi-

pendente dalla fede nel Crea-

tore, la preferenza per l’offer-

ta del fratello rispetto alla

propria e il suo abbattimento

lo porta ad uccidere Abele,

“contaminando in questo mo-

do la terra con il suo sangue”.

Caino viene condannato ad

una vita errabonda e in esilio,

e sebbene ucciso successiva-

mente dal suo quinto discen-

dente Lemech, “egli non mori-

rà mai perché da allora inizie-

rà la profanazione del nome e

il male si propagherà ovun-

que”, questo personaggio ar-

chetipo si ripresenterà sempre

salienti dei Morpurgo attraversotavole tematiche, a partire dallacomunità ebraica di Marpurch (oMarpurg o Marburg, cioè l’anticaMaribor) dove, nel Trecento,

conducevanosoprattutto at-tività legate alprestito mone-tario e secon-dariamente al

commercio, specie di vi-no. Ma sul finire del XIV se-colo, quando i cristiani siaffacciarono al redditizioramo finanziario e diven-

tarono concorrenti temibili anchein campo mercantile, il potereeconomico degli ebrei di Stiria,provincia austriaca degli Asburgo,iniziò a declinare e con esso laprotezione di imperatori e pro-prietari terrieri. Da qui all’espul-

sione, decretata nel 1496 da Ma-ximillian I, il passo fu breve e lamaggior parte si stabilì nelle con-tee di Gorizia, Gradisca d'Isonzoe a Trieste, per emigrare quindiin altre città della penisola italia-na, della costa adriatica, dell'Eu-ropa nord-occidentale, dell'impe-ro ottomano e oltreoceano. Finoalla dispersione causata dalle leggi

razziali e dalla Shoah.“Con questa esposizione – chia-risce Morpurgo – che, diversa-mente declinata, potrebbe appro-dare anche al Museo ebraico diTrieste, tracciamo gli itinerari de-gli ebrei di Maribor esiliati. Zoo-mando su una ventina di biogra-fie e allargando progressivamentel’inquadratura al loro ceppo fa-

miliare, alla comunità di appar-tenenza, al paese in cui risiede-vano e operavano, mostriamo co-me i Morpurgo abbiano segnatola storia dell’ebraismo non sologiuliano, ma italiano e di moltealtre nazioni”. Il precedente va cercato in unamostra sui Morpurgo di Spalato,che furono imprenditori di suc-cesso: imparentati con gli Stockdi Trieste, come loro possedeva-no una fabbrica di liquori e nel1856 Vid Morpurgo rilevò nellapiazza principale una libreria, chedivenne centro di ritrovo degliintellettuali spalatini. “Dopoquell’esperimento – concludeAndrea – e un paio di giorni pri-ma di inaugurare ‘I Morpurgo’,ho presentato ai sindaci di Go-rizia e Nova Gorica il progettodi restauro del cimitero che, in-sieme alla sinagoga di Maribor,rappresenta l’unico sito ebraicorilevante in Slovenia. Dopo tantianni di abbandono, sta emergen-do un interesse nuovo per questiluoghi e per la memoria che cu-stodiscono, e c’è finalmente lavolontà di valorizzarli, al di làdelle frontiere”.

/ P32 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

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Daniela Modonesi

Una saga familiare che prendeavvio nel tardo Medioevo a Ma-ribor, oggi la seconda città piùpopolosa della Slovenia, per poiramificarsi su almeno tre conti-nenti come un robusto, rigogliosoe imponente albero secolare. Pro-tagonisti della saga sono i Mor-purgo, che da Maribor hanno de-rivato il proprio nome e lo hannoesportato in Italia, Austria, Croa-zia, Francia, Spagna, Grecia, Slo-vacchia, Repubblica Ceca, StatiUniti d'America, Canada, Israele,Venezuela, Brasile, Suriname echissà quanti altri luoghi, facendoregistrare agli specialisti di genea-logie circa 2.350 occorrenze dalleorigini ai giorni nostri. La loro storia è ora al centro dellamostra “I Morpurgo, i discenden-ti degli ebrei di Maribor”, apertafino al 31 agosto presso il Centrodi documentazione culturaleebraica della Sinagoga di Maribor.Qui, attraverso ritratti dipinti, fo-to, pannelli esplicativi e docu-menti d’epo-ca, a dare rit-mo alla nar-razione sonoinnanzituttoquei Mor-purgo che hanno re-so grande la stirpe:ad esempio GiuseppeLazzaro, che nel1831 fondò le Assi-curazioni Generali el’idea stessa di settore assicurativo.O Uberto Luigi, detto “il Barone”(il blasone lo aveva davvero) che,oltre a non aver sfigurato suicampi di Wimbledon, degli In-ternazionali di Francia e d’Italiae in Coppa Davis, resta l’unicotennista italiano con una meda-glia olimpica nel proprio palma-rès (Parigi, 1924). Senza contareVittorio Ballio, architetto di puntadel regime fascista, cui si devonola sistemazione di piazza AugustoImperatore, a Roma, e la proget-tazione della teca di vetro desti-nata a contenere l'Ara Pacis. “Mail più affascinante, per me, è Elia,che nel Settecento si distinse co-me personaggio polivalente: pio-niere della produzione e venditadella seta, fu un rabbino e un fi-nissimo intellettuale, ed ebbe con-tatti assidui con Pietro Metastasio,collocandosi tra gli esponenti dispicco dell’Illuminismo ebraico”.A parlare è il curatore dell’alle-stimento, Andrea Morpurgo, sto-rico dell’Architettura e docentedell’Istituto Europeo di Design -IED a Madrid. La sua è una ras-segna che ripercorre le vicende

APPUNTAMENTI

A Maribor la saga dei Morpurgo

fino al 31 AgostoMORPURGI

Sinagoga di Maribor

L’ebraismo e il significato di fratellanza

Page 33: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

ed in ogni luogo per riafferma-

re la sua primogenitura, dive-

nendo in termini psicanalitici

“un fantasma rimosso che si

agita all’interno dell’identità

umana”. Ogni relazione dovrà

risanare e confrontarsi con

questo scontro eterno origi-

natosi nella coppia biblica,

rappresentante “una tendenza

regressiva e una progressiva”.

Un dualismo che di volta in

volta ha acquistato significati

differenti a seconda della

mentalità e del periodo stori-

co, come l’autore esaustiva-

mente racconta. Filone d’Ales-

sandria, coniugando filosofia

greca e tradizione ebraica, vi

osserva un conflitto etico tra

passione e virtù o anche tra la

superbia dell’amore vizioso

verso se stesso di Caino e

l’amore puro di Abele verso D-

o. Con l’esegesi cristiana di

Paolo di Tarso invece, emerge

soprattutto la lettura di Abele

come figura premonitrice del

sacrificio di

Cristo, men-

tre Ambrogio

di Milano

scorge i due

fratelli in chia-

ve antigiudai-

ca come sim-

bolo ante lit-

teram dell’”incredulità” degli

ebrei rispetto alla “devozione”

completa dei cristiani verso D-

o. I padri riformati accentuano

questa impostazione leggendo

la malvagità di Caino come em-

blema dell’ipocrisia, in riferi-

mento alla “falsa bontà” della

chiesa cattolica, ma anche nei

confronti degli ebrei “che stra-

volgerebbero e corrompereb-

bero le scritture”. Con il pro-

gredire dell’era moderna la

contrapposizione tra Caino e

Abele muta con contorni me-

no netti,

e special-

m e n t e

nel tea-

tro Caino

d i v i e n e

quasi una vittima insieme al

fratello di un’autorità divina

ingiusta e arbitraria. Difatti, si

legge nel testo, nella tragilo-

media l’Abele (1785) di Vittorio

Alfieri, Caino è un’individuo

tormentato e dubbioso spinto

all’uccisione del fratello dalle

schiere infernali che tentano

nuovamente di colpire l’uomo

e la sua vicinanza al Creatore,

e nel Caino (1821) di John By-

ron il maligno che seduce il

primogenito incarnerebbe

l’anima razionale, scettica e as-

setata di una conoscenza a lui

preclusa, in conformità con la

mentalità post-illuministica

del tempo. Assael conclude

questo appassionante excursus

ricollegandosi al pensiero di

Jacques Lacan, dove come in

uno specchio la coscienza sor-

ge soltanto nel rapporto verso

il mondo esterno e l’altro con

il quale l’Io cerca di identificar-

si, cogliendo questa discordan-

za e irraggiungibilità con rea-

zioni spesso autodistruttive.

Caino così “ucciderebbe il fra-

tello perché esso rappresenta

l’ideale a cui egli non potrà

mai giungere”. Dov’è allora il

confine tra i due fratelli, da co-

sa dipende realmente il loro

conflitto? Una riflessione che

negli ultimi anni e con l’inten-

sificarsi di ciò che sovente vie-

ne chiamato “scontro di civil-

tà” dovrebbe essere più che

mai attuale. L’invidia o la sen-

sazione fallace di umiliazione

provata da Caino nei confronti

di Abele, forse non differisce

granché da quella sperimen-

tata dallo straniero che entra

in relazione con noi. Compito

di entrambi mettere fine a

rancori e sensi di colpa mille-

nari per riconoscerci come

fratelli, oltre qualunque ori-

gine o credo.

Si intitola Presto and Zesto in Lim-boland l'inedito di Maurice Sen-dak da poco ritrovato da LynnCaponera, presidente della Fon-dazione intitolata a quello che èconsiderato un vero e proprio"mostro sacro" della letteraturaper l'infanzia, noto soprattuttoper Where the Wild Things Are,pubblicato nel 1963 e tradotto initaliano come Nel paese dei mostriselvaggi. Il titolo del libro ritrova-to, la cui uscita è prevista per ilprossimo anno, ha origine dai so-prannomi che si erano dati i dueautori, Sendak e Arthur Yorinks.Avevano già lavorato insieme aThe Miami Giant, uscito nel 1995e a Mommy?, del 2006: "Presto"era il soprannome che Sendakaveva appioppato a Yorinks unavolta che era arrivato prima delprevisto, e in cambio era stato ri-nominato "Zesto".Contestato per il suo approcciorivoluzionario alla narrativa perragazzi, Sendak ha messo nellesue pagine ciò che gli altri ave-vano escluso, cosa che gli attiròmolto critiche. “Un libro da nonmettere in mano a bambini sen-sibili che potrebbero esserne ne-gativamente influenzati” fu unadelle opinioni più moderate al-l'uscita di Where the Wild ThingsAre. Un inizio contrastato per untesto ora considerato fondamen-tale cui DafDaf, il giornale ebraicodei bambini ha dedicato nel 2015un numero speciale, firmato daAnna Castagnoli. Altri suoi volumi furono in segui-to tolti dagli scaffali perché con-siderati troppo spaventosi e in-quietanti per i bambini, e In the

Night Kitchen, del 1970, fu sotto-posto a censura.Anche per Michael di Capua, perlungo tempo editore di Sendak,il ritrovamento del manoscritto,completo e anche già totalmenteillustrato è una enorme sor-presa. Le illustra-zioni sono in re-altà precedenti:nel 1990 Sendakaveva lavorato auna produzionedella LondonSymphony Orche-stra dedicata a Ri-kadla, un'opera del1927 del composi-tore ceco Leoš Janáček. Rimesurreali trasformate in un'operamusicale per cui aveva creato die-ci tavole che una decina di anni

più tardi Sendak aveva mostratonuovamente a Yorinks, che ricor-da quel pomeriggio come unagiornata di risate e divertimento,fino a quando, a furia di scherzie battute, era nata una storia. Co-

sì, in omaggio allaloro amicizia, avevano deciso diintitolarla Presto and Zesto in Lim-boland, ma il lavoro sul testo ven-ne poi rallentato dalla concentra-

zione e dal tempo dedicato daSendak a Brundibar, uscito nel2003 e ispirato all'operina piùvolte rappresentata a Theresien-stadt, il "campo modello" nazista.Il nuovo testo uscirà nell'autunnodel 2018 ed è la storia di un'ami-cizia e di un mondo divenuto

sconcertante, difficile dacomprendere.

Il ritrovamento del libroè una notizia sia per la

sua casualità che per lastoria di un autore a lungo

considerato scomodo e chenon ha fatto mai mistero di

come le sue esperienze per-sonali abbiano influenzato il

suo lavoro. Nato nel 1928 a Brooklyn da unacoppia di immigrati ebrei polac-chi, Sendak non ha avuto un’in-

fanzia serena e la sua famiglia gliha fornito in abbondanza mate-riale per quella che sarebbe di-ventata la sua professione. Moltidei suoi libri hanno un inizio bru-tale, con due temi ricorrenti: ibambini abbandonati e la perditadei genitori. “È quello di cui hosempre scritto. Da bambino pen-savo continuamente alla morte.Ma non è una cosa che puoi rac-contare ai tuoi genitori, no?” In un'intervista del '93 aveva di-chiarato: “Gli adulti hanno un bi-sogno disperato di sentirsi al si-curo, e proiettano questa loro ne-cessità sui bambini. Ma quelloche nessuno di noi sembra rea-lizzare è quanto i bambini sianoin gamba. A loro non piace quel-lo che scriviamo ‘per i bambini’,quello che prepariamo appostaper loro, perché si tratta di coseinsulse mentre loro cercano coseforti, concetti difficili, voglionoconfrontarsi con qualcosa da cuipossano imparare, non raccontididattici, vogliono racconti ap-passionati”.

Ada Treves

/ P33pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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Davide AssaelLA FRATELLANZA

Centro studicampostrini

Sendak, cresce l’attesa per il libro segreto

Page 34: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

Gerusalemme è da vari anni unpunto di riferimento per gli ap-passionati di diverse discipline

sportive. Merito in particolare diun sindaco, Nir Barkat, che col-tiva da sempre la passione per

l'agonismo e che molte risorse hainvestito perché la città più amatae complessa al mondo potesse

fregiarsi di questa specificità. “Affrontare e gestire i conflitti èla nostra sfida di ogni giorno.Una sfida le cui ricadute sonoevidentemente globali” ha sot-tolineato Barkat in occasione diun suo recente intervento a Ro-ma. Nel solco di questo principioanche la Maratona di Gerusa-lemme, l'evento ad oggi più me-diatico, non si è mai fermata.Persino davanti ad evidenti mi-nacce per l'ordine pubblico. Significativi anche gli investi-menti per il ciclismo stesso. Giànell'ottobre 2013, su iniziativadel Giro d'Italia, fu infatti orga-nizzata una Gran Fondo constarter d'eccezione Andrea Bar-tali. Il figlio del grande Gino, re-centemente scomparso al pari diGoldenberg, fu coinvolto per le-gare in modo ideale Sport e Me-moria. Due assi che sono al cen-tro anche di questo nuovo pro-getto. Pur relativamente marginale, ilciclismo cresce nella considera-zione degli israeliani. Alcuni anninata ad esempio una squadraprofessionistica, la Israel CyclingAcademy, che oltre a parteciparead alcuni giri minori si è impostaall'attenzione dell'opinione pub-blica italiana per varie ragioni.Tra queste, un rapporto fortissi-mo con la vicenda di Bartalicampione di umanità. Merito inparticolare del giovane team ma-nager, Ran Margaliot, che in cor-sa è stato allievo del grandeContador e che ha portato i suoiragazzi ad affrontare i luoghi diGino in bicicletta, nel 2016 e nel-la scorsa primavera. Un progettoche è nato ed è stato in partesviluppato insieme alla redazionedi Pagine Ebraiche.

Adam Smulevich

/ P34 SPORT n. 8 | agosto 2017 pagine ebraiche

Il Giro a Gerusalemme, ci siamoEntro la fine dell’estate è atteso l’annuncio ufficiale per il 2018. Al centro la figura di Bartali

Progetti editoriali, ricostruzionigiornalistiche, nuove ricerchestoriografiche. La figura di GinoBartali e il suo ruolo nel salva-taggio di ebrei sotto il nazifasci-smo conoscono una stagione digrande interesse e centralità. Unacentralità che potrebbe ulterior-mente accentuarsi nelle prossimesettimane, quando dovrebbe di-ventare ufficiale una voce insi-stentemente circolata in questiultimi tempi e che ha trovato au-torevoli conferme anche da partedi questa redazione. A meno diclamorosi imprevisti infatti ilprossimo Giro d'Italia dovrebbeprendere il via da Gerusalemmee toccare nel proseguo diversecittà israeliane. Tre in tutto letappe previste in Israele, primanaturalmente che la competizio-ne si animi ed entri nel vivo sulsuolo italiano. Centralità assoluta per Ginettac-cio, che dovrebbe essere ricor-dato dalla carovana in rosa conun passaggio allo Yad Vashem,il Memoriale della Shoah di Ge-rusalemme la cui commissione,al termine di un lungo lavoro diapprofondimento, l'ha inseritonel 2013 nell'elenco dei Giustitra le Nazioni basandosi tra glialtri sulla testimonianza ineditadell'ebreo fiumano Giorgio Gol-denberg, che dopo aver raccon-tato la sua incredibile storia disalvezza a Pagine Ebraiche (di-cembre 2010) si è recato di per-sona allo Yad Vashem con unadeposizione scritta a beneficiodella commissione stessa. Sempre più spesso i grandi giriciclistici, in testa Tour de Francee Giro d'Italia, prevedono l'aper-tura in un paese estero. Questio-ne d'immagine e grandi beneficidi cassa, per la gioia degli spon-sor. Gerusalemme è stata pro-posta in questa prospettiva, conl'auspicio di dar vita a una verae propria “corsa per la pace” cherilanci un messaggio di dialogotra diverse identità e culture at-traverso lo sport. Le recenti tensioni che hannocoinvolto la capitale dello Statoebraico hanno fatto slittare unannuncio che sarebbe già dovutoarrivare nel corso del Tour, du-rante uno dei due giorni di ripo-so previsti. Per agosto comunque, a menoche la direzione del Giro nondecida improvvisamente di cam-biare rotta, preferendo Varsaviao un’opzione alternativa, ci do-vremmo essere.

Si è conclusa con un bilancio positivo la ventesima edizione delle

Maccabiadi. Oltre diecimila partecipanti alla manifestazione,

che aveva Gerusalemme come baricentro, e tra questi diversi

italiani protagonisti in gara.

La squadra azzurra è tornata a casa con alcune medaglie al collo,

ma soprattutto con la consapevolezza di essersi distinta anche

fuori dai campi di gioco. In particolare con diverse iniziative di

solidarietà portate avanti negli ospedali israeliani.

Non è stato semplice, come ha raccontato su Pagine Ebraiche

di luglio il presidente del Maccabi Italia Vittorio Pavoncello,

mettere insieme anche quest’anno una compagine variegata e

www.moked.it

Alcuni atleti della spedizione azzurra assieme a Claudiou

Pavoncello, colonna portante del Maccabi Italia

Maccabiadi 2017, Italia col sorriso

Dall’alto foto di gruppo per la Israel Cycling Academy a Gerusalemme, a sinistra il ciclista Contador eu

il sindaco Barkat, il figlio di Bartali allo Yad Vashem. In basso una corsa nel deserto del Negev

Page 35: Medio Oriente: il Pianto del Muro e i nodi nel futuro - Moked

/ P35pagine ebraiche n. 8 | agosto 2017 SPORT

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Sulle magliette i ragazzini checorrono sorridenti ed entusiastidietro al pallone hanno stampato“Scai vive” e l’immagine dell’oro-logio della Torre Civica di Ama-trice: l’ora segna le 3.36 del mat-tino, il momento della primascossa del terremoto che il 24agosto 2016 ha sconvolto il Cen-tro Italia, demolendo case e di-struggendo vite. Quell’orario gliabitanti delle zone colpite lohanno stampato nella memoria,non solo sulle magliette, simbolodel giorno in cui le loro vite sisono interrotte. Ma non fermate.Con determinazione e coraggio,hanno infatti ricominciato a vi-vere, si sono stretti in un fortesenso di comunità e lo hanno di-mostrato partecipando numerosiall’inaugurazione del campo dicalcio a cinque di Scai (frazionedi Amatrice), dono dell’Unionedelle Comunità Ebraiche Italia-ne. “Si tratta di un piccolo gesto,di una goccia nell’oceano del-l’emergenza, ma spero che possarinnovare la speranza e la fiducianel futuro” ha affermato la pre-sidente dell’Unione Noemi DiSegni, parlando del nuovo im-pianto inaugurato con un incon-tro amichevole tra il MaccabiItalia e l’associazione Amatrice2.0. Un campo che potrà essereun luogo di aggregazione, di sor-risi e divertimento per i giovani– e non solo – di Scai e delle al-tre 68 frazioni di Amatrice. “Gra-zie alla grande generosità del-l’UCEI, abbiamo convenuto in-sieme di regalare a Scai un cam-po taglio nastrosportivo, perchélo sport è la vita, perché lo sportci insegna che non si perde mai”le parole del sindaco di AmatriceSergio Pirozzi, che ha ricordatola collaborazione con l’Unionee con Franca Formiggini Anav,assessore UCEI a cui è stato af-fidato il compito di seguire e co-ordinare le iniziative di assistenza

alle realtà colpite dal sisma. As-sieme a lei e alla presidente DiSegni, all’evento hanno parteci-pato anche l’assessore dell’Unio-ne Livia Ottolenghi, il Consiglie-re UCEI Guido Coen e la pre-sidente della Comunità ebraicadi Roma Ruth Dureghello.“È stata una giornata molto bellaed emozionante. Sono venuti datutte le zone, anche i romani diAmatrice” sottolinea AlessandroGenovese, amatriciano e tra co-loro che si sono impegnati affin-ché Scai avesse il suo campo dacalcio. Con le scosse del 24 ago-

sto la sua famiglia ha perso lacasa, resa inagibile dal sisma.“Più dell’ottanta per cento delleabitazioni qui a Scai non è agi-bile e molte dovranno essere de-molite”. Se si segue la strada cheporta al bar, luogo di ritrovo perla settantina di persone che han-no scelto di rimanere a vivere aScai (su 160 residenti), il pano-rama racconta del dolore e alcontempo della voglia di vivereche si respira in queste zone: ca-se ridotte a cumuli di macerie,quasi fossero state distrutte dallafuria di un bombarda-mento, sono affiancatea roulotte e tende in cuichi non ha voluto ab-bandonare questi luoghiha scelto di vivere. Mol-to resta ancora da fareper aiutare queste fami-glie, come ha ricordatoPirozzi: “In 10 mesi leuniche due opere pub-bliche che sono staterealizzate, il Giardino diAmatrice e oggi il campo di cal-cio di Scai, sono frutto della ge-nerosità degli italiani”. Servono,ha aggiunto il sindaco del Co-mune laziale, interventi su ampiascala per garantire ai cittadinidelle zone colpite di poter tor-

nare, per quanto possibile, allanormalità. Una normalità chepassa anche attraverso un cam-petto, due porte, un calcio al pal-lone che torna finalmente a ro-tolare tra queste montagne.Televisioni, radio, giornali. L’ini-ziativa dell’Unione per la popo-lazione di Amatrice è stata perdiversi giorni al centro dell’inte-resse mediatico. “Prima il gol, poi la gioia. La par-tita della vita” ha titolato tra glialtri il Corriere dello Sport, cheha raccontato attraverso il pro-

prio inviato le emozioni di unagiornata indimenticabile: “Quan-do il piccolo Flavio ha segnato,si è levato un boato. Oggi ha 6anni e potrà raccontare di averfatto lui il primo gol al camposportivo di Scai, una delle 69 fra-

zioni di Amatrice. Sullemaglie l’emblematica scritta Scaivive”. “Ripartenza Amatrice. Lescosse non fermano lo sport” hatitolato invece la Gazzetta delloSport. “Un bel giorno per Ama-trice e i suoi abitanti – ha scrittoil quotidiano rosa – utile anchea dimenticare, se mai sarà pos-sibile, le ultime scosse che hannonuovamente tormentato la giàdifficile vita degli abitanti dell’Al-to Lazio”. Diverse le troupe televisive chehanno seguito l’evento in diretto.

Tra cui Sky Sport, giàmedia partner dellaRun For Mem del gen-naio scorso, che ha do-cumentato i momentipiù intensi della giorna-ta: il taglio del nastro al-l’ingresso del campo,l’abbraccio tra i piccolicalciatori di Amatricenell’attesa di tornare agiocare, i primi goal nelnuovo impianto. In on-

da, tra gli altri, i servizi di Uno-mattina, Tg5 e Tv2000. Tra imolti speciali e approfondimentiche sono seguiti, è stata dedicataad Amatrice e all’iniziativa UCEIl’ultima puntata del programmaOlympia su Radio 24.

Amatrice, il pallone restituisce la speranza

Alcune immaginiu

dell’inaugurazione del campo di

calcetto a Scai, la frazione più

popolosa del Comune di

Amatrice. A sfidarsi Maccabi

Italia e Amatrice 2.0. “La partita

della vita” ha titolato tra gli

altri il Corriere dello Sport

competitiva. I numeri dell’Italia ebraica, come noto, non sono

quelli delle principali realtà europee. Ma l’entusiasmo di tutti,

atleti e dirigenti, ha dato una mano a colmare il gap.

Tra i diversi rappresentanti istituzionali intervenuti, oltre al

presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio che ha concreta-

mente sostenuto la squadra, anche il presidente del Senato Pie-

tro Grasso ha voluto manifestare vicinanza alla spedizione ita-

liana: "Lo sport - la sua riflessione, condivisa con la squadra alla

vigilia dei Giochi - è un impareggiabile strumento di formazione

ed educazione, un veicolo importante attraverso il quale si tra-

smettono valori universali".

A unirsi alla compagine italiana anche la vicepresidente della

federazione europea Maccabi, Claudia De Benedetti, che ha co-

ordinato diverse iniziative organizzate nel corso della manife-

stazione. Tra cui una vera e propria Maccabiade ai fornelli, che

ha coinvolto gli chef Giovanni Terracina, Daniela Di Veroli e Giulia

Gallichi.

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