marzo

16
G li appelli al senso di responsabilità di questi tempi si spre- cano. I cittadini lo chiedono ai governanti, i maestri ten- tano di proporlo agli studen- ti, i sindacati e i partiti si sbracciano dalle tribune te- levisive per pretenderlo dal potere economico, politico e giudiziario. Sarebbe cosa buona e giusta ottenerlo, vi- sto ciò che ci aspetta anche nei prossimi mesi. A dire il vero, di questo prezioso fon- damento dell’umano dialogo non si dovrebbe mai essere privi, singole persone e orga- nismi collettivi. Ma basta uno sguardo sulla realtà per constatare, con amarezza, che pochissimi vanno al di là del- l’enunciazione di principio. Mentre sovrabbondano le risse verbali, l’aggressione, anche fisica, l’insofferenza e la mancanza di rispetto verso i superiori, cioè quanti rap- presentano simbolicamente gli obblighi di ciascun uomo verso i suoi simili. Pensiamo, tanto per comin- ciare, a che cosa è ridotta og- gi l’autorità paterna, natural- mente intesa come funzione educativa esercitata insieme da entrambi i genitori. In no- me di una malintesa moder- nità sono spesso le stesse mamme e papà a rinunciarvi. Così viene meno la guida in- dispensabile al bambino per definire la sua identità mora- le. Alla quale risultano neces- sarie, perché si appresti a di- ventare un adulto consapevo- le e responsabile, l’ubbidienza e la punizione. Su queste radi- ci possono crescere la capa- cità di ascolto e di dialogo, l’attenzione riservata all’altro, l’onesto desiderio di rendersi utile, contribuendo al bene comune. Chi ne è privo, non ha altra scelta, secondo la sua intelligenza, che buttarsi allo sbaraglio oppure chiudere la sua mente a ogni opportunità di scambio. Con l’unico risul- tato di rendere irrealizzabile la costruzione del consenso, sen- za il quale non è possibile la vita di qualsiasi forma di co- munità, si tratti della famiglia o di una nazione. Purtroppo è una degenerazio- ne che ci è ben nota. Ed è fa- cile osservare che questa gra- vissima malattia dell’anima è progredita di pari passo con la caduta della visione reli- giosa del mondo. I nostri vec- chi, magari analfabeti, erano comunque usi per tradizione ricevuta a orientare le loro azioni avendo sempre perce- zione della presenza di Dio, fonte di ogni autorità, matri- ce di tutti i doveri e diritti della persona umana raccol- ti nella Legge eterna, compo- sta di valori permanenti. Com’è il nostro rapporto con il tempo oggi? Soprattutto, come è vissuto questo moderno tiranno, ancora più esigente che in passato in Oriente (Cina, India…) e in Occidente (Stati Uniti d’America)? C’è un abisso di mentalità e di uso, ma la globalizzazione sta cambiando velocemente i comportamenti. Due giornalisti ci raccontano la quotidianità che vivono da Singapore e da New York di Ulderico Bernardi* Servizio di Loretta Dalpozzo e Claudio Todeschini a pagina 3 H o letto recentemente, in una sede che non ricordo ma che so assolutamente attendibile, che la pubblicità mes- sa in onda dalle televisioni in Ita- lia è la peggiore del mondo. Affer- mazione tanto sorprendente quan- to grave e allarmante, anche se credo che tutti noi - quelli di noi che nutrono dentro si sé buon gu- sto, senso morale, senso della mi- sura e una certa sete di sapere - ce ne fossimo già accorti da tempo. Ci siamo accorti da un pezzo, cioè, che la pubblicità è volgare, nei casi migliori banale, ma anche intimamente violenta e sfrontata. Le interruzioni pubblicitarie rap- presentano come è noto una forma di violenza vera e propria entro il quadro psichico del soggetto; tra- sferita nella sfera mentale e cogni- tiva, la situazione è paragonabile a quella dell’affamato cui viene a in- tervalli sottratto il cibo per essergli poi riproposto a intervalli arbitra- ri da una potenza più grande di lui e che dispone di lui. La pubblicità insinua nelle mi- gliori intenzioni dello spettatore intelligente e curioso la consape- volezza che un impegno di pen- siero, una nobile emozione, non sono in realtà ciò che conta: ciò che conta è quella ininterrotta e sfrontata propaganda del super- fluo che arriva a revocare la di- gnità di sentimenti e pensieri co- me inutili perdite di tempo rispet- to a ciò che è al centro della sca- la di importanza. Un mio vecchio e noto e saggio amico dice che la televisione è un magma perpetuo di scorrimento di pubblicità interrotto di tanto in tanto da qualcosa di umano. Egli sa di introdurre un parados- so, ma proprio per questo espri- me qualcosa di molto efficace e che non si dimentica. Ma la televisione non è soltanto la scatola più adatta a promuove- re i consumi delle merci più sva- riate. È anche il mezzo indiretto per costruire, sulla base di quelle indiscrete e ininterrotte forme di persuasione, un consenso più ge- nerale: chi non ha strumenti criti- ci sufficientemente elaborati per difendersi da ciò, finisce per inte- riorizzare l’idea che questo nostro mondo - così meravigliosamente dotato di piacevoli favole - è dav- vero ben fatto e che occorre esse- re grati a chi ci procura questi pia- ceri. Il caso italiano è addirittura un caso negativo da manuale e lo scandalo, come ognuno sa, si chiama conflitto di interessi. continua a pagina 2 TV nel bene e nel male Il tempo visto da Est e Ovest CROLLO Attenti all’uso: il pericolo “reality” Laura Di Teodoro a pag. 5 50 anni di calcio alla radio Adolfo Celli a pag. 15 di Geo De Ròbure N ell’imminenza del suo “avvento” hanno chia- mato in causa i “campio- ni” della Storia degli Stati Uni- ti. Si sono rifatti ad Abraham Lincoln, partito da umilissimi mestieri e diventato, attorno al- la metà del secolo XIX, il paladi- no dell’antischiavismo. Hanno rispolverato Franklin Delano Roosevelt, dimostratosi capace con il suo “New Deal”, nei primi anni ‘30 del secolo XX, di trarre rapidamente l’America fuori dal- le secche della recessione più drammatica fino ad allora capi- tatale. Hanno citato e recitato Martin Luther King, leader del- la non violenza nel movimento per l’integrazione razziale. Non sono mancati i riferimenti a John Fitzgerald Kennedy e alla sua “nuova frontiera” spintasi (quando però egli era purtroppo già morto, assassinato a Dallas) sino alla Luna, raggiunta esatta- mente quarant’anni fa. Lui, Barack Obama, quarantot- tenne, primo afro-americano tra i quarantaquattro presidenti sin qui succedutisi alla guida della Confederazione con la bandiera a stelle e a strisce, il 20 gennaio scorso, al momento del giura- mento e dell’insediamento, si è presentato invece come uomo “umile”, ma anche ben consape- vole del compito immane piovu- togli sulle spalle. Pure lui, Oba- ma, ha pensato a un “grande”, anzi addirittura al “padre della na- zione”, George Washington, il quale nell’ora culminante della guerra di indipendenza seppe ri- dare al popolo allorché “nulla so- pravviveva, se non la speranza e il valore”. Ha ripensato, Obama, anche a suo padre, al quale ses- sant’anni prima sarebbe stato im- pedito l’accesso ad un qualsiasi piccolo bar di quella stessa città/capitale che lo stava osan- nando. La solenne cerimonia da- vanti al Campidoglio di Wa- shington si è dipanata, più che tra austerità protocollari, in una atmosfera da festa all’antica, con tutti in ghingheri a vivere la periodica ora più solenne della maggior potenza del mondo. Un lapsus e un sorriso hanno connotato l’istante cruciale del- la promessa di fedeltà alla Co- stituzione, lì per lì lasciato cor- rere via come “normale” per es- sere poi rivissuto, il giorno dopo, in privato, con tutti i crismi a po- sto, sì da renderlo ineccepibile. continua a pagina 4 servizio a pagina 4 Le radici e le ali di Arturo Consoli SENZA FONDAMENTI Il continua a pagina 2 *docente di sociologia dei processi culturali all’Università di Ca’ Foscari, Venezia Mensile di cultura religiosa e popolare Mensile di cultura religiosa e popolare www.ofmcappuccini.umbria.it/indovino Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 50 - Gennaio 2007 / n. 1 Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 52 - Marzo 2009 / n. 3 Poste Italiane SpA – Sped. In abb. Post. – DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, com. 2, DCB PG. Tassa pagata. www.frateindovino.eu - [email protected] Abbonnement - Poste - Taxe Perçu

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Page 1: marzo

Gli appelli al senso diresponsabilità diquesti tempi si spre-

cano. I cittadini lo chiedonoai governanti, i maestri ten-tano di proporlo agli studen-ti, i sindacati e i partiti sisbracciano dalle tribune te-levisive per pretenderlo dalpotere economico, politico egiudiziario. Sarebbe cosabuona e giusta ottenerlo, vi-sto ciò che ci aspetta anchenei prossimi mesi. A dire ilvero, di questo prezioso fon-damento dell’umano dialogonon si dovrebbe mai essereprivi, singole persone e orga-nismi collettivi. Ma bastauno sguardo sulla realtà perconstatare, con amarezza, chepochissimi vanno al di là del-l’enunciazione di principio.Mentre sovrabbondano lerisse verbali, l’aggressione,anche fisica, l’insofferenza ela mancanza di rispetto versoi superiori, cioè quanti rap-presentano simbolicamente

gli obblighi di ciascun uomoverso i suoi simili. Pensiamo, tanto per comin-ciare, a che cosa è ridotta og-gi l’autorità paterna, natural-mente intesa come funzioneeducativa esercitata insiemeda entrambi i genitori. In no-me di una malintesa moder-nità sono spesso le stessemamme e papà a rinunciarvi.Così viene meno la guida in-dispensabile al bambino perdefinire la sua identità mora-le. Alla quale risultano neces-sarie, perché si appresti a di-ventare un adulto consapevo-le e responsabile, l’ubbidienzae la punizione. Su queste radi-ci possono crescere la capa-cità di ascolto e di dialogo,l’attenzione riservata all’altro,l’onesto desiderio di rendersiutile, contribuendo al benecomune. Chi ne è privo, nonha altra scelta, secondo la suaintelligenza, che buttarsi allosbaraglio oppure chiudere lasua mente a ogni opportunità

di scambio. Con l’unico risul-tato di rendere irrealizzabile lacostruzione del consenso, sen-za il quale non è possibile lavita di qualsiasi forma di co-munità, si tratti della famigliao di una nazione.Purtroppo è una degenerazio-ne che ci è ben nota. Ed è fa-cile osservare che questa gra-vissima malattia dell’anima èprogredita di pari passo conla caduta della visione reli-giosa del mondo. I nostri vec-chi, magari analfabeti, eranocomunque usi per tradizionericevuta a orientare le loroazioni avendo sempre perce-zione della presenza di Dio,fonte di ogni autorità, matri-ce di tutti i doveri e dirittidella persona umana raccol-ti nella Legge eterna, compo-sta di valori permanenti.

Com’è il nostro rapporto con il tempo oggi? Soprattutto, come è vissuto questo moderno tiranno, ancora più esigente che in passato in Oriente (Cina, India…) e in Occidente (Stati Uniti d’America)? C’è un abisso di mentalità e di uso,

ma la globalizzazione sta cambiando velocemente i comportamenti. Due giornalisti ci raccontano la quotidianità che vivono da Singapore e da New York

di Ulderico Bernardi*

Servizio di Loretta Dalpozzo e Claudio Todeschini a pagina 3

Ho letto recentemente, inuna sede che non ricordoma che so assolutamente

attendibile, che la pubblicità mes-sa in onda dalle televisioni in Ita-lia è la peggiore del mondo. Affer-mazione tanto sorprendente quan-to grave e allarmante, anche secredo che tutti noi - quelli di noiche nutrono dentro si sé buon gu-sto, senso morale, senso della mi-sura e una certa sete di sapere -ce ne fossimo già accorti da tempo.Ci siamo accorti da un pezzo,cioè, che la pubblicità è volgare,nei casi migliori banale, ma ancheintimamente violenta e sfrontata.Le interruzioni pubblicitarie rap-presentano come è noto una formadi violenza vera e propria entro ilquadro psichico del soggetto; tra-sferita nella sfera mentale e cogni-tiva, la situazione è paragonabile aquella dell’affamato cui viene a in-tervalli sottratto il cibo per esserglipoi riproposto a intervalli arbitra-ri da una potenza più grande di luie che dispone di lui. La pubblicità insinua nelle mi-gliori intenzioni dello spettatoreintelligente e curioso la consape-volezza che un impegno di pen-siero, una nobile emozione, nonsono in realtà ciò che conta: ciòche conta è quella ininterrotta esfrontata propaganda del super-fluo che arriva a revocare la di-gnità di sentimenti e pensieri co-me inutili perdite di tempo rispet-to a ciò che è al centro della sca-la di importanza. Un mio vecchio e noto e saggioamico dice che la televisione è unmagma perpetuo di scorrimentodi pubblicità interrotto di tantoin tanto da qualcosa di umano.Egli sa di introdurre un parados-so, ma proprio per questo espri-me qualcosa di molto efficace eche non si dimentica. Ma la televisione non è soltantola scatola più adatta a promuove-re i consumi delle merci più sva-riate. È anche il mezzo indirettoper costruire, sulla base di quelleindiscrete e ininterrotte forme dipersuasione, un consenso più ge-nerale: chi non ha strumenti criti-ci sufficientemente elaborati perdifendersi da ciò, finisce per inte-riorizzare l’idea che questo nostromondo - così meravigliosamentedotato di piacevoli favole - è dav-vero ben fatto e che occorre esse-re grati a chi ci procura questi pia-ceri. Il caso italiano è addiritturaun caso negativo da manuale e loscandalo, come ognuno sa, sichiama conflitto di interessi.

➣ continua a pagina 2

TV nel benee nel male

Il tempo visto da Est e Ovest

CROLLO

Attenti all’uso:il pericolo “reality”Laura Di Teodoro a pag. 5

50 anni di calcioalla radio

Adolfo Celli a pag. 15

di Geo De Ròbure

Nell’imminenza del suo“avvento” hanno chia-mato in causa i “campio-

ni” della Storia degli Stati Uni-ti. Si sono rifatti ad AbrahamLincoln, partito da umilissimimestieri e diventato, attorno al-la metà del secolo XIX, il paladi-no dell’antischiavismo. Hannorispolverato Franklin DelanoRoosevelt, dimostratosi capacecon il suo “New Deal”, nei primianni ‘30 del secolo XX, di trarrerapidamente l’America fuori dal-le secche della recessione piùdrammatica fino ad allora capi-tatale. Hanno citato e recitatoMartin Luther King, leader del-la non violenza nel movimentoper l’integrazione razziale. Nonsono mancati i riferimenti aJohn Fitzgerald Kennedy e allasua “nuova frontiera” spintasi(quando però egli era purtroppogià morto, assassinato a Dallas)sino alla Luna, raggiunta esatta-mente quarant’anni fa.Lui, Barack Obama, quarantot-tenne, primo afro-americano trai quarantaquattro presidenti sinqui succedutisi alla guida dellaConfederazione con la bandieraa stelle e a strisce, il 20 gennaioscorso, al momento del giura-mento e dell’insediamento, si èpresentato invece come uomo“umile”, ma anche ben consape-vole del compito immane piovu-togli sulle spalle. Pure lui, Oba-ma, ha pensato a un “grande”,anzi addirittura al “padre della na-zione”, George Washington, ilquale nell’ora culminante dellaguerra di indipendenza seppe ri-dare al popolo allorché “nulla so-pravviveva, se non la speranza e ilvalore”. Ha ripensato, Obama,anche a suo padre, al quale ses-sant’anni prima sarebbe stato im-pedito l’accesso ad un qualsiasipiccolo bar di quella stessacittà/capitale che lo stava osan-nando. La solenne cerimonia da-vanti al Campidoglio di Wa-shington si è dipanata, più chetra austerità protocollari, in unaatmosfera da festa all’antica,con tutti in ghingheri a vivere laperiodica ora più solenne dellamaggior potenza del mondo.Un lapsus e un sorriso hannoconnotato l’istante cruciale del-la promessa di fedeltà alla Co-stituzione, lì per lì lasciato cor-rere via come “normale” per es-sere poi rivissuto, il giorno dopo,in privato, con tutti i crismi a po-sto, sì da renderlo ineccepibile.

➣ continua a pagina 4❑ servizio a pagina 4

Le radicie le ali

di Arturo Consoli

SENZA FONDAMENTI

Il

➣ continua a pagina 2*docente di sociologia dei processi

culturali all’Università di Ca’ Foscari, Venezia

Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 51 - Ottobre 2007 / n. 10Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 51 - Agosto 2007 / n. 8Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 51 - Luglio 2007 / n. 7www.ofmcappuccini.umbria.it/indovino Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 50 - Gennaio 2007 / n. 1Mensile di cultura religiosa e popolare Anno 52 - Marzo 2009 / n. 3

Poste Italiane SpA – Sped. In abb. Post. – DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, com. 2, DCB PG. Tassa pagata.

www.frateindovino.eu - [email protected] - Poste - Taxe Perçu

Page 2: marzo

2 / Marzo 2009

L’insoddisfazione è unsentimento strano. Ti siagita dentro anche

quando sei fermo. Ti fa anda-re avanti, con lo sguardo però,sempre rivolto al passato. Ti faessere qui, col sentimento cheavresti preferito in un altrovequalsiasi. Ti spinge ad averesempre nuovecose, semprenuovi stimoli,ma mai ti regalala soddisfazionedi sentirti appa-gato, la dolcezzadi essere arriva-to. Come un ser-pente ti si anni-da dentro finchéad un certo pun-to ne diventi tustesso vittima.Sazio di oggetti,gonfio di cose che nulla han-no potuto per allentare quellatensione che sempre ti rodedentro, ad un certo punto seitu, il tuo corpo, la tua stessapersona, a divenirne la preda.Visto che nulla riesce mai adappagarla - non c’è borsetta,non c’è jeans, non c’è i-podche tenga - alla fine sei tu stes-so a darti in pasto alla sua in-saziabile brama.

Eallora sotto col naso!Quel tuo naso da sempreeccessivo, troppo grande,

per nulla proporzionato e che

rovina tutte le foto, mettendo-si sempre lì, dove non dovreb-be e dove tutti, ma proprio tut-ti, lo vedono. La colpa dell’in-saziabile fame non può che es-sere sua, del naso. Come sua ècertamente anche la colpa perle altre tante infauste cose chela vita ti ha dato o peggio, non

dato. E vai col bi-sturi. E via quelnaso catalizzatoredi tanta infelicità.Per accorgerti poiche forse, la col-pa non era poitutta sua, perchécon un seno così,insomma, non sipoteva certo pre-tendere che lecose andasseromeglio e via co-sì… mentre la

serpe dell’insoddisfazione s’in-grossa via via, facendoti senti-re sempre di più la sua pressio-ne, la sua inesorabile e gelidastretta di infelicità…Quante ragazzine acerbe nelcorpo e nell’esperienza vengo-no bruciate dall’immagine del-la vita che va in onda suglischermi, che viene esibita dal-la pubblicità e che propone co-me veri e reali, canoni esteti-ci deliberatamente artificiali,ritoccati col bisturi o con pro-grammi di videografica. In unmondo sempre più virtuale,dove ci si incontra sul web e si

discute in chat, l’esperienza ela realtà finiscono per averesempre meno valore. I ragazzi-ni combattono battaglie senzaneppure muoversi dalla propriasedia, le bambine confeziona-no intere collezioni di modasenza saper tenere in mano unago. Col tempo si finisce perdimenticarsi chela vita ha unodore, un sapore,che le gambe ser-vono anche acorrere, le manianche ad acca-rezzare, che il fia-to può venire amancare e il cor-po è capace diprodurre sudoredopo uno sforzoprolungato. Colvirtuale cheavanza, si va perdendo della vi-ta il suo lato pragmatico in fa-vore un’esistenza imbalsamatae finta, dove tutti sono invita-ti ad assomigliare ad un unicoe desolatamente uguale, stereo-tipo per non essere né un “lo-ser” né uno sfigato.

Quest’infierire su se stes-si non è che l’ultimafrontiera di una società

che ha infinitamente di più diquanto di materiale le occor-re ma nonostante questo nonè riuscita a raggiungere l’auspi-cata e spesso pretesa felicità.

Con grande e medesima disin-voltura si cambia naso, misu-ra di reggiseno, marito/moglie,si investono stipendi in pale-stre e wellness, ma poco o nul-la sia fa per cambiare veramen-te, dal di dentro. Poco o nul-la (né in soldi né in tempo) loinvestiamo per capire. Per im-

parare a cono-scere noi stessi,per approfondirecerti aspetti del-la nostra perso-nalità, delle no-stre fragilità. Po-co o nulla faccia-mo per cercaredentro di noi lerisposte che oggici sfuggono e cirendono così fa-cili prede dell’in-soddisfazione.

Invece di guardare dentro,cerchiamo fuori illudendoci dipoter riempire con cose o gra-zie alla chirurgia estetica la no-stra vita a cui a mancare è unachiara direzione di marcia, unvero senso verso cui tendere.Se solo avessimo voglia di di-rottare un po’ del tempo che ciprendiamo per addobbare eviziare il nostro corpo, per nu-trire la nostra intelligenza, in-terrogare le nostre debolezze,rafforzare la nostra autostima,allargare la nostra anima! Laserpe, piano piano, inizierebbead allentare la sua presa…

La felicità cercata dal chirurgo

➣ dalla prima

Sono questi i pilastri che rendono stabileuna società. Ed è proprio il progressivo al-lontanamento dalla interpretazione dei fat-ti del mondo alla luce della volontà divi-na che rende fragile, precaria, liquida l’or-ganizzazione collettiva, rendendo inquietele coscienze, che questo stato di insicurez-za e disagio trasformano facilmente in vio-lenza, sotto ogni forma, dalla litigiosità per-

manente che caratterizza i nostri anni, fi-no allo scatenamento dei fanatismi nellosport, in politica, all’intolleranza nei con-fronti dei diversi per appartenenza razziale,etnica o più semplicemente per condizio-ne psichica e fisica.La prima arena in cui hanno modo di in-sorgere i peggiori istinti di aggressività èfatalmente la famiglia, il cerchio più im-mediato di relazioni umane con caratte-re di persistenza. Non ci si può meraviglia-

re che il nostro tempo veda un aumentospropositato di separazioni, divorzi e delit-ti familiari. Venuto meno il senso dell’Eter-no, tutto diventa labile, e al minimo con-trasto ci si libera di un vincolo che tale nonè, visto che il matrimonio viene vissutonon come un patto sacro, senza tempo, unsacramento, ma nulla più che un’opportu-nità di relazione. Tanto che molte coppiescelgono addirittura di non formalizzare illegame, convivendo, e lasciandosi aperte leporte dell’abbandono senza tanti scrupoli.In ogni caso, i primi a soffrire di questa per-cepita provvisorietà saranno i piccoli, nel-la famiglia dove ci sono figli, e le classi piùdeboli nella società. L’insicurezza è il peggior stato dell’anima,perché nessuno, persona o collettività, puòvivere costantemente nella paura senza chesi sviluppino veleni mortali per la conviven-za. Nessuno più si fida, nessuno più si adat-ta, ogni gesto di apertura viene frainteso, vie-ne colto come una prova di debolezza di cuiapprofittarsi oppure provoca reazioni ostili.Bisognerebbe parlare un poco meno delprodotto interno lordo (PIL) e ben di piùdi quelli che nella sua spiritualità SimoneWeil definì bisogni che sono per la vitadell’anima l’equivalente dei bisogni di nu-trimento, di sonno, di calore per la vita delcorpo. Proponeva una rivoluzione morale,per ritrovare la via dell’umanesimo cristia-no, e la vera vita.

Ulderico Bernardi

QUANDO SI È SCONTENTI DI SE STESSI

Senza fondamenti, il CROLLOL’INSICUREZZA È IL PEGGIOR STATO DELL’ANIMA

CORINNE ZAUGG

➣ dalla prima

Nutro attenzione e rispettoper i molti che in questianni hanno parlato di

conflitto di interessi: è una espres-sione nuova, con la quale si indi-vidua la illegittimità della relazio-ne tra il controllo privato sullainformazione e l’esercizio del po-tere politico ai livelli più alti. Ognisocietà civile dovrebbe stare beneattenta a questo pericolo, e un po’tutte le società, soprattutto quelleoccidentali, hanno regolamentatoquesta situazione. L’Italia no. Milimito a constatare ciò che tutte lepersone in buona fede e di buonavolontà sanno, e cioè che in Italial’uomo più ricco e più dotato distrumenti di autopromozione me-diatica (diretta o indiretta che sia)è anche divenuto grazie a ciò l’uo-mo politicamente più potente.Direte: che c’entra la pubblicitàcon tutto questo? Che c’entrano letelevisioni? Provate a pensare se-renamente e poi ne riparleremo.Mi sembra chiaro che, a fronte diqueste drammatiche riflessioni, ilproblema della contaminazionelinguistica all’interno dei pro-grammi televisivi assume una di-mensione ben poco drammatica.La televisione sta avendo un pe-so crescente da tempo nel cambia-re il volto delle società e nel crea-re forme pericolose di dipendenzarispetto alle quali una certa dipen-denza dai consumi non è certo ilfenomeno più grave. Sono un con-sumatore di televisioni molto selet-tivo e parsimonioso: detto a chia-re lettere, non sopporto la spazza-tura comunicativa Mediaset; la vi-ta è già abbastanza complicata diper sé, le amarezze sono crescen-ti, per accettare di farsi del maleassistendo a quella robaccia. Perquanto riguarda la Rai, trovo sop-portabile e a tratti stimolante il ter-zo canale ma anche qualcosa de-gli altri. Sapete perché il terzo ca-nale? Perché è l’unico che in que-ste tragicissime settimane della in-vasione di Gaza da parte diIsraele non si sia schierato sfron-tatamente solo dalla parte di que-st’ultimo. Anche se da lì alla ve-rità, dal mio punto di vista, ce necorre: parlare di guerra è una vio-lenza ideologica, parlare di inva-sione è una verità storica. IlanPappe, storico ebreo israeliano digrande prestigio e coraggio, hapubblicato nel 2006 un libro daltitolo “La pulizia etnica dellaPalestina”, tradotto in Italia allafine del 2008. Ebbene, questo sto-rico documentatissimo e stimato èstato cacciato dalla università diHaifa e costretto a trovare lavoroall’estero, in Gran Bretagna. Maqueste cose le televisioni non le di-cono: eravamo sotto le Feste, trop-po impegnati a intercalare le im-magini dei massacri con le inter-ruzioni a base di profumi, indu-menti intimi, panettoni. E allora,imprecando e maledicendo, ho in-filato nell’apparecchio la cassettadi un vecchio film con JeanGabin. Un po’ della vecchiaEuropa mi è entrato nel cuore.

Geo De Ròbure

La TV nel benee nel male

La terribile serpe dello scontento

che insidia troppe esistenze giovani maanche mature, donne ma anche uomini:tutti insoddisfatti del proprio fisico e

in cerca di nuovi modelli

Per colpa della televisione e di ciò

che i mass-media impongono, pochi sono

capaci di accettarsi nel proprio corpo, con

le proprie caratteristiche,che sono anche

la base dell’identità

Frate Indovino - Perugia

Periodico mensile di cultura popolare e religiosa della Provincia Umbra dei Frati Minori Cappuccini.Direttore responsabile: Mario Collarini. Direttore tecnico-amministrativo: Tarcisio Calvitti. RegistrazioneTribunale di Perugia n. 257 - 58 N. 11 B. Prov. T.I. 1-7-’58. Spedizione in abbonamento postale artico-lo 2 comma 20/c legge 662/96 - filiale di Perugia. Conto corr. postale 4069 intestato a: “Frate Indovino” Via Severina 2 - Casella Postale - 06124 Perugia.

Produzione letteraria riservata. Vietato il plagio e qualsiasi riproduzione in qualsiasi lingua. N. dep. 1185 Edizioni Frate Indo-vino. Direzione, Redazione, Amministrazione e uff. abbonamenti: Via Marco Polo, 1bis - 06125 Perugia, tel.075.5069350 - 075.5069351 - fax 075.5051533, tutti i giorni lavorativi in orario di ufficio (dalle ore 08.00 al-le 12.30 e dalle ore 15.00 alle 18.30) escluso il venerdì pomeriggio e il sabato. Ogni cambiamento di domici-lio deve essere segnalato allegando contestualmente l’indirizzo apposto sull’etichetta dell’ultimo numero rice-vuto. L’abbonamento può essere disdetto in qualsiasi momento, rivolgendosi all’ufficio abbonamenti, per let-tera o telefonicamente. I manoscritti e le fotografie anche se non pubblicati non vengono restituiti.

Un numero Euro 1,50 (iva assolta dall’editore)

Abbonamenti: Ordinario Euro 15,50, Sostenitore Euro 26,00, Benemerito Euro 52,00. Abbonamento per l’estero: SvizzeraFr. 30; U.S.A.: Dollari 25. Esce ogni primo giorno lavorativo del mese. Abbonamenti - Poste - Taxe Perçue

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UFFICIO ABBONAMENTI: TEL. 075.506.93.50 - 075.506.93.51 - FAX 075.505.15.33Per qualsiasi contestazione legale si elegge il Foro di Perugia.

Stampa: Grafiche Diemme S.r.l. - Bastia Umbra (PG)

Page 3: marzo

3 / Marzo 2009

Il concetto di tempo dipen-de da una struttura concor-data, che vale per il mondo

intero e questo anche se spessol’orario cambia da paese a paesee perfino da stato a stato, in unostesso paese. Basti pensare cheil fuso orario fa sì che l’Asia sisvegli quando ancora l’Europadorme e quando gli Stati Unitinon si sono ancora gustati la ce-na del giorno prima. Un concet-to del tutto strano quando si vi-ve e si lavora per la prima voltain Oriente. Sembra di vivere nelfuturo e del resto la parola futu-ro domina la vita e le conversa-zioni di questa parte del mondo.Sebbene quasi tutti i paesi porti-no ancora con sé le ferite di unpassato difficile e doloroso, lapopolazione, spesso giovane,vuole guardare al futuro, riscat-tarsi da tutti gli anni di dolore, direpressione, di povertà. Pensoprima di tutto al Vietnam, allaCambogia, ma la lista è lunga.La speranza per un futuro mi-gliore è in ogni discorso, è la mo-tivazione di molti, che studianoe lavorano duramente, per vive-re una vita migliore di quella deipropri genitori. Viaggiando dall’India alle Fi-lippine si trova un’Asia che cer-ca il suo modo di essere demo-cratica, un’Asia che cresce eco-nomicamente più di qualsiasi al-tro paese del vecchio continen-te, malgrado il rallentamentoglobale, malgrado una povertàvisibile ovunque, malgrado tan-te contraddizioni. Se ci si assen-ta tre settimane da Singapore oda Pechino per esempio, rien-trando si trovano nuovi palaz-zi, immensi centri commercia-li, edifici finiti in pochi mesi, avolte persino in poche settima-ne, qualcosa che non avvienenell’Europa offuscata dai nume-ri asiatici. L’Asia costruisce atutto spiano, i cantieri che nonchiudono mai, né di notte, néla domenica, ne sono la prova.L’Asia inventa e copia per esse-re al passo con quel mondo oc-cidentale a cui aspira e guardacon tanta ammirazione. E allo-ra gli edifici sono sempre piùmoderni e grandi di quelli chesi vedono nel vecchio mondo,come se fossero in competizio-ne con i coloni di un tempo, co-me se volessero recuperare iltempo perduto e dimostrare disapere fare le stesse cose, meglio.In molti casi non è così natural-mente e allora si capisce che c’èanche una certa ansia dietro aquesti meccanismi, l’ansia dicrescere, di raggiungere nuovitraguardi, di approfittare di uncerto declino del vecchio mon-do per affermarsi come potenzeeconomiche, politiche, strategi-che, posizionarsi in un mondo intransizione, che diventa semprepiù globalizzato; non perdere piùtempo insomma.Il concetto di tempo, soprattut-to nelle strutture professionali,non è quello a cui si è abituatinel mondo occidentale, almenonon per tutti, non per quei lavo-ratori, che dalle campagne arri-vano nelle grandi città asiatichee lavorano senza sosta, spesso incondizioni deplorevoli per gua-dagnare i soldi, che gli permet-

Un tempo così diverso daquello degli uominid’affari anche occiden-

tali che nelle città asiatiche ar-rivano con le stesse ambizioni:approffitare della crescita eco-nomica ed assicurarsi un futuromigliore. Ed allora anche lorospesso lavorano tutta la notte,per poter contrattare con gliStati Uniti e con l’Europa e fa-re soldi, sempre più soldi, a costoanche di prendersi un infarto,di non vedere mai i propri figli.Ma certo, le poche ore di son-no che si concedono, le trascor-rono in un letto ben più como-do delle domestiche, spesso pro-venienti dalle Filippine o dal-l’Indonesia, che nella stessa ca-sa hanno diritto solo ad unabrandina in pochi metri quadra-ti nascosti dietro alla cucina.Donne che spesso lasciano i pro-pri figli a madri e sorelle per an-dare a lavorare all’estero, dovec’è lavoro e dove si guadagna dipiù. Donne che rientrano dopo

5, 6 anni con un bel gruzzolo dadividere con i familiari, ma laconsapevolezza che i propri fi-gli non le riconosceranno e lechiameranno sempre e solo“zia”.

Ma in Asia c’è anche eancora il tempo dellapennichella, degli uo-

mini che si ritrovano al bar e perore parlano di tutto e di niente,

mentre le donne lavorano e sioccupano dei figli. L’ho visto inVietnam, in Pakistan, ma anchein Nepal e in Cambogia. Quel-l’Asia dei mercati e delle cosesemplici, che hanno un “non soche” di romantico agli occhi deivisitatori occidentali, ma che èdestinata a scomparire, dietro adattrazioni turistiche, che voglio-no essere trofei di nuovi traguar-di, ma che spesso assomigliano atutte le altre, nel resto del mon-do, quel mondo che sembra det-tare le nuove strutture di tempoe di distanza. La nostra visionedel mondo si riduce ed espandecontinuamente. Possiamo muo-verci così in fretta da un postoall’altro, senza neanche render-ci conto di cosa c’è tra A e B, maallo stesso tempo è sempre piùfacile sapere e vedere tanto di unpaese, perché possiamo raggiun-gerlo fisicamente o virtualmente,come era impensabile soltantopochi anni fa. Il mondo semprepiù piccolo e meno misteriosocambia anche la nostra percezio-ne del tempo e di tutte le emo-zioni che il tempo porta con sé.

teranno di sfamare la famigliache vedranno soltanto dopo 2,3 anni, quando, a progetto fini-to, potranno tornare nella lorocittà d’origine. Ora, con la crisieconomica, anche i migranti,specialmente in Cina, rischianodi restare senza lavoro, di torna-re nelle campagne prematura-mente, con più tempo per i fi-gli, ma senza soldi. L’ironia è checoloro che contribuiscono aquesta corsa contro il tempo, co-loro che danno alle città asiati-che l’immagine futuristica, lestrutture per rimanere al passocon i tempi, sognano solo di tor-nare nelle zone rurali, là dove iltempo sembra essersi fermato. InIndia, nelle zone rurali manca-no l’elettricità, l’acqua potabile,spesso anche le strade. Le don-ne non hanno nulla, ma hannoi loro abiti colorati, gli splendi-di sari che danno loro eleganzae dignità, una tradizione che so-pravvive alle mode, ai cambia-menti del nostro tempo.

L’OROLOGIOdella nuova ASIA

da New York CLAUDIO TODESCHINI

Negli Stati Uniti la massima “iltempo è denaro” è vera più chealtrove e sono i piccoli aspetti del-

la vita quotidiana a confermare questo con-cetto. Il rapporto con il cibo è un esempiodi come certi piaceri quotidiani venganosacrificati alla fretta (le catene di fast-foodnon per niente sono state inventate inAmerica). Burgers e patatine consumatiin macchina mentre si va al lavoro, gran-di tazze di caffè (le famose papercups) tra-sportate un po’ ovunque dalle quali si sor-seggia un po’ qua e là, mentre si fa la spe-sa o mentre si è fermi al semaforo. Anchenei ristoranti di un certo livello il tempo èmoneta sonante. I clienti vengono servitinel più breve tempo possibile. Le ordinazio-ni vengono portate al tavolo senza lascia-re al cliente momenti d’attesa. L’obiettivodei ristoratori è quello di diminuire il tem-po di permanenza del cliente all’internodel locale per poter liberare al più presto iltavolo da destinare ad altri clienti e quin-di aumentare il giro d’affari. I camerieri, ilcui stipendio si basa quasi esclusivamentesulle mance, sono sempre efficientissimied il servizio viene compresso nel minortempo possibile per poter intascare il mag-gior numero di mance. E così chi è sedutoa tavola finisce per ingozzarsi in poco tem-po senza avere l’opportunità di godersi la

compagnia degli altri commensali. E perfinire basta alzare la mano mostrando alcameriere una carta di credito ed il contoarriva in un battibaleno. Anche nel mondo del lavoro il tempo è sem-pre valutato secondo i rigidi canoni del pro-fitto e pertanto le aziende lo ottimizzanoconcedendo ai dipendenti il minor numerodi giorni di vacanza possibile. In realtà ne-gli Stati Uniti le aziende sono libere di sta-bilire una propria politica interna per quan-to riguarda i giorni di vacanza retribuiti. Ingenerale i giorni di vacanza non superanomai le due o tre settimane l’anno (molto me-no che in Italia). Lo stesso concetto vale peri giorni di malattia. Anche in questo casole aziende concedono un numero di giornidi malattia limitato al massimo a due setti-mane l’anno. Oltre le due settimane si ri-schia di perdere il lavoro o, nel caso miglio-re, si mantiene il posto ma si deve rinun-ciare alla retribuzione (il dipendente devesottoscrivere una propria assicurazione chesi faccia carico di pagare lo stipendio in ca-so di assenza malattia). È quasi superfluoaggiungere che per il lavoratore americanonon esiste licenza matrimoniale e la mater-nità copre un periodo massimo di due me-si…oltre i quali o si torna al lavoro o si vie-ne licenziati. Il tempo è denaro. Nella vita privata la fretta e la mancanzadi tempo sono una costante dello stile di vi-ta americano. Per ottimizzare i tempi da de-dicare alle relazioni sociali ed alle nuove co-

noscenze sono nate le famose serate dispeed-dating. Durante questi eventi (qua-si sempre a pagamento) si ha l’opportunitàdi incontrare nuove persone parlando a tur-no per circa cinque minuti, scaduti i qua-li si passa ad un altro incontro. Così facen-do si ha la garanzia di poter incontrare de-cine di nuove persone durante l’arco dellaserata, senza perdere troppo tempo al ban-cone del bar in attesa che qualcuno ci ri-volga la parola. E per chi non avesse il tem-po di recarsi a queste serate esiste semprel’alternativa dell’on-line dating (appunta-mento via internet). Basta un collegamen-to internet per conoscere virtualmente de-cine di persone senza doversi spostare dal-la propria abitazione. In America negli ul-timi anni sono infatti nati moltissimi siti in-ternet come Facebook o Linkedin che con-sentono di incontrare dei gruppi di amici“on-line” scambiando messaggi, fotogra-fie etc. In poche parole si tratta della mec-ca delle relazioni virtuali.Alla fine di questo articolo sorge spontaneauna domanda: ma per indurre la gente a ri-nunciare a tutti questi piccoli e grandi pia-ceri della vita, quanto vale un minuto ditempo in America? A questa domanda pur-troppo non sono in grado di rispondere maviste le recenti svalutazioni, recessioni ed im-poverimento globale mi vien da pensare chenon ci siano dollari in grado di ricambiareil valore di certi momenti piacevoli vissutisenza dover sempre guardare all’orologio.

Quanto vale 1 minuto negli USA?

Il rapporto con il tempo visto dall’Oriente. La doppia faccia dei minuti nella corsa verso il futuro spesso frenetico

da Singapore LORETTA DALPOZZO

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4 / Marzo 2009

Mentre cammino sullasabbia bianca di una del-le meravigliose spiagge di

Antigua, mi imbatto in una gio-vane coppia di novelli sposi inten-ta a farsi fotografare sullo sfondocolor smeraldo del mar dei Carai-bi. Potrebbe essere una delle tan-te coppie di turisti che scelgono disposarsi sull’isola, nulla di insoli-to insomma, tranne forse il colo-re della pelle dei due giovani: bian-ca come il latte quella della sposae color cioccolato quella del mari-to. In realtà, mi rendo conto chenon è la coppia ad attirare la miaattenzione ma sono le persone chesi fermano a guardare. Leggoqualcosa di inusuale sui loro vol-ti. Sono per la maggior parte bian-chi, turisti americani ed inglesi cheosservano con sguardo compiaciu-to i giovani sposi ed esclamano“well done!” (ben fatto!). Subitomi viene da pensare che il mondosia improvvisamente cambiato.Qualcosa di nuovo e di estrema-mente potente ha stravolto il vec-

chio ordine delle cose per sostituir-lo con uno più tollerante ed aper-to alle diversità. Osservandolimentre si abbracciano e si bacia-no di fronte alla macchina fotogra-fica mi viene in mente una nuo-va parola: “obamizzazione”.Dopo la globalizzazione, intesa piùcome fenomeno economico checulturale, arriva il fenomeno Oba-ma a stravolgere le barriere socia-li e culturali che hanno tenuto in-catenato l’Occidente negli ultimidecenni. D’un tratto capisco con-to come l’O-factor (dove O sta perObama) abbia colpito anche qui,su un’isola remota abitata al 90%da neri discendenti degli schiaviafricani che vennero trasportati neiCaraibi nel ‘700 dagli inglesi peressere impiegati nella produzionedella canna da zucchero. Quel-l’aurea di inferiorità che le perso-ne di colore si sono portate dietrodai tempi della schiavitù ha forseintrapreso un lento ma inarresta-bile processo di estinzione. Mi im-batto poi in un venditore di T-shirt

che me ne propone una con lascritta “Antigua for Obama”(Antigua per Obama) e la foto delpresidente americano con il suogrande sorriso carismatico. Dinuovo mi trovo di fronte all’enne-sima evidenza che conferma la mianeonata teoria sull’obamizzazionedel mondo. In questo caso è unuomo di colore ad esserne statocolpito. Anche lui, cercando divendere le sue magliette da spiag-gia, ha capito che Obama, nato dapadre africano e da madre ameri-cana, piace a tutti senza distinzio-ne di razza e per questo tenta dirifilarmi la maglietta. Ancor prima di aver esercitato la

sua carica di primo cittadino ame-ricano, ancor prima di aver dimo-strato di essere un vero leader,Obama era già un idolo, eroe emito per milioni di persone. Daneofita della teoria di obamizzazio-ne del mondo, mi sono spesso do-mandato come si spieghi tutto ciò,come si giustifichi tanta fama.

Obama rappresenta ciò cheil mondo da tempo sogna-va ed a cui aspirava silen-

ziosamente: il sogno di veder ca-dere le barriere razziali passandofinalmente oltre, puntando su al-tri temi slegati dal colore della pel-le e dalla provenienza etnica. In

una società multietnica come quel-la attuale dove è ormai normale la-vorare quotidianamente a contat-to con colleghi africani, asiatici, eu-ropei o americani, dove ci si im-batte ogni secondo in culture diver-se a partire dal cibo, musica, ar-te, religione, parlare di razza è unconcetto obsoleto. La discrimina-zione razziale rappresenta soltan-to un ingombro, un ostacolo ed unfardello che molta gente non ha piùvoglia di portare. La curiosità peruna cultura diversa, l’arricchimen-to culturale dato dal contatto conun modo alternativo di vivere e dipensare stanno prendendo il postodelle vecchie paure e diffidenze neiconfronti di tutto ciò che non ap-partiene all’ordinario. Ed all’inter-no di questo processo di evoluzio-ne sociale Barak Obama non è al-tro che un simbolo ed un mezzo at-traverso il quale confluiscono tut-te le aspettative di cambiamento,un baluardo a cui guardare, un ca-talizzatore in grado di interveniree velocizzare un processo già incorso nella società americana e nonsolo. Per questi motivi il manda-to del nuovo presidente USA saràestremamente importante soprat-tutto per i risvolti sociali. Obamaè la personificazione elegante ed in-tellettualmente evoluta del leaderche da tempo mancava alla so-cietà. Poco importa quale sia il co-lore della pelle. Una persona èquello che è e non quello che sem-bra o quello da cui discende. Leaspettative sono tante ed a secon-da di quanto forti e profondi saran-no i cambiamenti che il nuovoPresidente USA riuscirà a realiz-zare, dipenderanno il futuro asset-to sociale degli Stati Uniti ed an-che dell’Europa.

OBAMIZZATIMMAA QQUUAANNTTOO SSAARREEMMOO

da New York, CLAUDIO TODESCHINI

La presidenza di Barak Obamaha risvegliato aspettative

un po’ ovunque. La volontà di cambiamento proclamata

più volte durante la campagna elettorale è stata accolta anche

negli angoli più remoti del pianeta

Lontano da Washington, su una piccola isola deiCaraibi che fu teatro nei secoli scorsi dello sfrut-tamento della schiavitù, mi imbatto in piccole

manifestazioni tangibili di come Obama abbia semi-nato aspettative di cambiamento un po’ ovunque. Ilnuovo presidente americano, ancora agli inizi dellasua legislatura, ha risvegliato negli animi di tutti laforte volontà di cambiamento sociale che molti segre-tamente o inconsciamente attendevano. Le barriererazziali e la segregazione etnica si avviano lentamenteverso l’inesorabile “viale del tramonto” ed Obama èstato scelto come simbolo di questo processo. Tutti,americani e non, guardano al nuovo presidente USAcome ad un catalizzatore in grado di accelerare feno-meni già in corso nella società moderna in cui, allaglobalizzazione economica sta facendo seguito un pro-cesso di globalizzazione culturale.

?

➣ dalla prima

Obama, quando gli è toccato, è anda-to alla tribuna senza il plico di fogli aiquali solitamente i “potenti” si affida-no in circostanze consimili, per nonsbagliare una sillaba in pronunciamen-ti destinati a fare testo. Si è rivolto al-la folla (di circa due milioni di perso-ne) che gli stava innanzi e forse diqualche miliardo di esseri umani chelo stavano seguendo attraverso radioe televisioni, guardando ora a destraora a sinistra. Ha parlato… a braccio,affidandosi alla memoria, dando l’im-pressione di “leggere” tra cielo e terrale frasi da pronunciare. In manierasemplice ha detto cose complicatissi-me. Non ha usato il politichese. Si èadeguato al lessico della gente comu-ne nella quotidianità della vita. Il suc-co del suo eloquio (protrattosi per cir-ca diciotto minuti) in ampia misura stain questi concetti: “Le nostre sfide so-no nuove. Gli strumenti che abbiamo peraffrontarle sono nuovi. Ma i valori dai

quali dipende il nostro successo, l’impe-gno nel lavoro e l’onestà, il coraggio e l’e-quità, la tolleranza e la curiosità, la lealtàe il patriottismo, questi sono valori anti-chi. Sono valori veri; sono stati la forzasilenziosa sin dall’inizio della nostra sto-ria”. Se tra i progetti per il futuroObama ha posto persino l’imbriglia-mento del Sole, per ottenerne ener-gia pulita; tra le fondamentali “risor-se” del cammino già compiuto nel pas-sato il nuovo titolare della Casa Bian-ca ha invitato a non dimenticare i sa-crifici enormi accettati da tanti uomi-ni e donne “senza nome”, ma protago-nisti nello sviluppo della civiltà.“L’attuale crisi - ha ammonito Obama- ci ricorda che se non si mantiene un oc-chio vigile, facilmente il mercato può sfug-gire ad ogni controllo e che una nazionenon può prosperare a lungo se favoriscesolo i ricchi”. Poco prima aveva affer-mato: “Oggi siamo venuti a proclamarela fine delle rivendicazioni meschine e del-le false promesse, la fine delle recrimina-zioni e dei dogmi frusti che per troppo tem-

po hanno soffocato la nostra politica”. Hadetto ai suoi connazionali: pur nelladifficoltà dell’ora “restiamo la nazionepiù ricca della Terra”; “Dobbiamo peròrisollevarci, rispolverarci e rimetterci al-l’opera per rifare l’America”. Ha riba-dito la volontà di collaborazione eamicizia da parte degli Stati Uniti contutti i popoli del globo. Ma ha pun-tualizzato: “A coloro che perseguono i lo-ro obiettivi con il terrore e il massacro de-gli innocenti vogliamo rammentare che ilnostro spirito è più forte e non si lasceràsopraffare”. Ha così proseguito: “Se sa-rete disposti ad allentare il pugno, trove-rete la nostra mano tesa verso di voi”.A Obama, capitato al potere sotto“l’addensarsi delle nubi e l’infuriare del-la tempesta” in molteplici forme (da-gli impegni bellici alla congiunturaeconomica), la sua gente - secondo isondaggi - si è dichiarata disposta adaccordare una “luna di miele” non dicento giorni (come sovente è acca-duto in passato per altri presidenti)ma di uno e anche due o tre anni.

Anche dagli altri Paesi e continentisi è guardato con fiducia - e volontàdi adeguata, paziente attesa - al lea-der afro-americano rapidamente con-figuratosi come il possibile, autorevo-le timoniere di una storica svolta ver-so un’era nuova: l’era “della responsa-bilità” che tutti devono sentire nel-l’ambito delle proprie competenze. Difronte a un siffatto, immane compi-to Obama ce la farà?Quanti leader al mondo, nei frangen-ti attuali, si sono pronunciati con lachiarezza di idee e la voglia di impe-gno dimostrati da Obama? Non si èautoreferenziato, lui. Ha chiesto in-vece a tutti il coraggio di anteporrela speranza alla paura, di non dimen-ticare che ciascun uomo ha diritto al-la propria felicità, di immettersi nel-le meraviglie del futuro consentitedalle moderne tecnologie senza svin-colarsi dallo spirito e dagli ideali dei pa-dri. È poco?

Arturo Consoli

Le RADICI e le ALI

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5 / Marzo 2009

La televisione tende a mette-re con maggiore frequenza inprimo piano il mondo delleemozioni. Si gioca molto “sui”e “con” i sentimenti per fareascolto. Come mai?Sono parecchi anni che i senti-menti sono “messi in piazza”, sipensi a Stranamore, trasmissionenata nel 1994, e prima di que-sta ce n’era un’altra in cui appa-rivano le coppie che avevano li-tigato. Le emozioni appartengo-no a tutti e sono più forti dellaragione. Inoltre tutti hannoemozioni e problemi nella vita(o gioie) e quindi diventa faci-

le identificarsi. Non è da mette-re in secondo piano che questo(cioè esporre la propria vita) èun qualcosa che tutti possono fa-re e che può, in linea di massi-ma, aprire a tutti le porte dellatv. Si tratta di una specie di “di-vismo diffuso” presente anche neiquiz (ed è uno dei motivi per cuice ne sono tanti in televisione).

Quanto il bombardamento direality incide sulla percezionedei giovani della realtà stessa? Igiovani, forse più degli adulti, sisentono coinvolti perché l’inna-moramento, la conquista, il met-

tersi in discussione, la progetta-zione della propria vita sono an-cora in corso. Recitare una par-te è sempre molto coinvolgente,come lo è “scoprire” una parte dise stessi che si tiene generalmen-te nascosta. Ciò che può esseredifficile è il prendere la distanzadal ruolo che si sta mettendo inatto (dire cioè “sto giocando” cheè più difficile rispetto al dire “èvero” specialmente quando ilmondo nel quale siamo entrati èun mondo desiderato perchéporta fama, ricchezza…).

E sui loro rapporti sociali? Co-me stanno cambiando?Difficile rilevare questo tipo dicambiamento perché ognuno,personalmente, deve fare i con-ti con il proprio vissuto (e devevivere personalmente la propriavita che non è mai uguale aquella degli altri). Essere “auten-tici”, come si dice spesso in tvche cosa significa? Dire a ognicosto ciò che passa per la testa?Dire la “verità”? Quale verità?

(naturalmente la propria?).Credo che le basi del sé (self) sia-no date dalla propria famiglia(dalla socializzazione primaria) ela famiglia le dà sempre, maga-ri incomplete, incoerenti ecc…In questo caso si ricercherannoper tutta la vita. Non ho però ri-cerche in questo campo. La so-luzione per i giovani è una ulte-riore frammentazione dei propriruoli: andare alla ricerca di ruo-li (cioè parti) sempre più fram-mentati e più brevi (consuman-do la gioventù in questa ricercae accumulando scontentezza).

Quali sono gli effetti concretidi questo condizionamento,soprattutto nei giovani?Credo che ci sia una minore at-tenzione per gli altri, una con-centrazione su se stessi e un au-mento della competizione.

Secondo lei quali sono i mes-saggi negativi e positivi chepossono passare in programmiin cui si pensa vada in scena

la vita reale (grande fratello,isola dei famosi…)?È difficile dare una risposta enon so se una risposta ci sia ve-ramente. Forse c’è un confron-to con la propria vita quotidia-na e il desiderio di evadere (nonper niente è un’isola o un luo-go lontano o anche una casa se-parata dal mondo). Possono es-sere fatti giudizi di somiglianzacon la propria vita e con la real-tà in generale. La vita del rea-lity show è comunque una vitareale (quella vita reale che sisvolge lì, in quel luogo), ciò cheha di diverso è che lì, in quelluogo non c’è la propria vitaquotidiana con le persone quo-tidiane. Credo che per coloroche partecipano al reality sia co-me “cambiare lavoro”, fare un la-voro nuovo che coinvolge, percoloro che partecipano stannoinvece a guardare come si svol-ge la vita degli altri, cosa que-ste persone “mettono in atto”. Ècome guardare un film senza unatrama definita, senza dialoghidefiniti. Se volessimo applicareil tempo ipotetico “come se…”dovremmo applicarlo solo aipartecipanti e non agli ascolta-tori o ai fan del reality.

Se un certo tipo di televisionecrea ascolti e ha successo signi-fica che è seguita. Come mai?Che bisogno e vuoto deve col-mare la gente?I programmi più seguiti sono, disolito quelli più “facili”, più po-polari, che impegnano meno,che fanno divertire o che coin-volgono (pensi al successo cheha avuto Elisa di Rivombrosa.Che visto da vicino è un pol-pettone di tante cose già viste).La gente ha bisogno di esserecoinvolta, la vita quotidiananon è sempre gratificante senon in piccolissimi istanti. Vi-vere attraverso il vissuto di al-tri può dare qualche gratifica-zione in più (questo è sempreavvenuto attraverso i raccontiorali, i romanzi, i film…).

il REALE con i REALITYIILL RRIISSCCHHIIOO DDII CCOONNFFOONNDDEERREE

Servizio di LAURA DI TEODORO

Esiste qualcosa della sfera umana che an-cora non può e non deve entrare in que-sto sistema mediatico?Gli universali umani sono pochi e sonocompresi nelle virtù e nei peccati capitalie se vogliamo nelle emozioni primarie: amo-re,odio, vergogna, vendetta, paura ecc.Quindi credo che tutto sia già dentro ilmondo mediatico.

La televisione è diventata la fonte prima-ria della cultura quotidiana. Come mai?C’è forse un po’ di pigrizia culturale, po-chi stimoli dall’esterno? Non si deve mai dimenticare che la tele-visione ha unito l’Italia più di qualsiasiguerra (si parla italiano in tutta Italia permerito della tv e non della scuola). L’in-formazione anche dei telegiornali arriva in

ogni casa tutti i giorni, il giornale ar-

riva sì e no nel 30% delle famiglie italia-ne. La televisione ha grandi possibilità e al-meno quella pubblica dovrebbe riconside-rare queste sue potenzialità.

Secondo lei come è possibile formare neibambini e ragazzi una coscienza critica eattiva, in grado di filtrare con i giusti mez-zi quanto propone la televisione? Questa possibilità ce l’hanno prima la fa-miglia e poi la scuola. L’educazione deve perforza passare attraverso le agenzie ad essapreposte, solo dopo la televisione potrà “in-segnare” qualcosa. Io non sarei disfattista,penso che sia i genitori discutano con i fi-gli e anche la scuola si impegna abbastan-za. Solo dopo la tv potrà sperare che le suetrasmissioni educative siano seguite. È unastrada difficile da percorrere ma questa è unaresponsabilità che ci dobbiamo assumere.

La televisione può essere ancora un luo-go formativo? Come? Più che formativo io lo vedrei come luogoinformativo perché per formarsi bisogna tor-nare su quanto si è sentito, ripensarlo, far-lo proprio. La televisione darà sempre unainfarinatura, la formazione avverrà semprein altri luoghi.

Come sarà la televisione del futuro?Sempre più di questo tipo perché molto an-drà sulle reti a pagamento (i film ad esem-pio) e sarà compito della televisione pub-blica interessarsi del pubblico e della suaformazione. Si dovrà tenere conto ancheche il pubblico non è qualcosa di omoge-neo, ma si dovrà parlare di pubblici al plu-rale e quindi dare un’offerta molto differen-ziata e in questo modo educare all’ascoltodi programmi più difficili.

Il fattore INFORMATIVO

La crescita incontrollata dei reality showrischia di danneggiare fondamentali dinamiche sociali, soprattutto nei giovanidove diminuiscono l’attenzione per gli altri, la concentrazione su se stessi e aumenta la competizione.Intervista a Mariselda Tessarolo,docente di Sociologia della Comunicazione.

In televisione spopolano i reality show. Tra telecamerepuntate ventiquattr’ore su ventiquattro sulla vita di fa-mosi, non famosi e sulle emozioni della gente comune

si moltiplicano dibattiti su pregi e difetti di queste invasionidi campo. Recentemente Rosario Sorrentino, membrodell’Accademia Americana di Neurologia ha puntato il di-to contro un certo tipo di televisione accusandola di in-fluenzare negativamente soprattutto i giovani che sarebbe-ro soggetti a maggiore insicurezza, ridotta autostima, cam-biamenti di umore e dei comportamenti alimentari fino al-l’anoressia o bulimia a causa del mito della magrezza.Come mai l’attenzione, spesso morbosa, verso il mondodei reality cresce nel tempo? Quali sono le dinamiche so-ciali che si attivano di fronte allo schermo televisivo? Loabbiamo chiesto a Mariselda Tessarolo, professore ordi-nario di Sociologia della Comunicazione alla Facoltà diPsicologia dell’Università degli Studi di Padova.

Mariselda Tessarolo

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6 / Marzo 2009

Che l’Italia sia un paese chesi sta avviando ad esseremulticulturale è un dato

di fatto che solo degli sprovvedu-ti possono negare. Significa cheil fenomeno migratorio - ben lun-gi dall’essere episodico - si sta ri-velando una costante con cuidobbiamo fare i conti. Significa,ancora, che non ci si può limitare allasemplice recriminazione o allo stabili-re misure repressive: anche se in molticasi giuste e doverose. Questo non so-lo non argina il fenomeno - al massimo(e nel caso migliore) lo può contenere- ma soprattutto non prende in esamealla radice l’impatto che l’immigrazio-ne ha sul tessuto sociale del nostro pae-se. Per essere ancora più precisi è neces-saria una riflessione di fondo che - ma-gari grazie ad una legge-quadro - rego-li definitivamente una materia su cuivengono prese, di volta in volta, deci-sioni episodiche, frammentarie e con-traddittorie. Decisioni che oscillanocontinuamente tra un buonismo di ma-niera, un rigorismo spesso solo verbalee un lassismo di fatto: unito ad una di-sorganizzazione generale in cui l’ultimoche parla ha ragione. Sembra quasi cheGoverno e Parlamento abbiano pauraa legiferare su questo tema, temendo deiritorni polemici e l’accusa - utilizzata apiene mani e, per lo più, a sproposito -di essere razzisti. Certo, il fenomeno mi-gratorio e le sue conseguenze sociali so-no complesse e noi italiani - da semprepopolo di immigrati - troppo spesso ten-diamo a dimenticarlo o a passarlo sot-to silenzio. Invece, bisognerebbe - sen-za preclusioni o ideologismi - analizzar-lo: per quello che è, in tutti i suoi aspet-ti. Compresi quelli spiacevoli.

Innanzitutto, non si può fingere chenon ci sia o che sia di breve durata.C’è. Ed è destinato a durare e a du-

rare a lungo. Almeno fino a quando sicolmerà il divario tra paesi ricchi e pae-si poveri: quelli da cui proviene l’immi-grazione, particolarmente quella clan-destina. E qui non ci si può esimere dalfare un severo esame di coscienza.Infatti, sino a quando il 20% dei paesiricchi deterrà il monopolio dell’80%delle risorse disponibili e l’80% dei pae-si (sono quelli poveri) il 20% delle ri-sorse disponibili è quasi matematico checi siano spostamenti - se non vere e pro-prie migrazioni - verso i paesi ricchi. Diqui la conseguenza: o diminuire - comesarebbe giusto e doveroso - il divario trapaesi ricchi e paesi poveri o di accetta-re (o subire) le ondate migratorie.

Assodato questo è necessario, daun lato, cercare di aiutare real-mente (e non per finta o a pa-

role) i paesi di provenienza affinché pos-sano raggiungere standard accettabili divita. Dall’altro lato, è altrettanto indi-spensabile porre in essere normative giu-ste (e severe) per disciplinare l’accessoverso l’Italia. A questo proposito e in pri-mo luogo, deve essere respinta - con ognimezzo - l’immigrazione indiscriminata eclandestina. Vuol dire varare norme cheobblighino - per poter avere accesso in

Italia - ad avere un lavoro retribuito, apossedere la conoscenza della lingua ita-liana, ad avere una altrettanto buona co-noscenza delle leggi essenziali, delle abi-tudini e degli usi italiani. Onde non crea-re la sensazione (e spesso la realtà) chesia concesso agli immigrati ciò che nonè permesso agli italiani. Naturalmente,senza prevaricazioni, sfruttamenti o abu-si da parte di datori di lavoro avidi e pro-fittatori e senza assurde discriminazioni.Va da sé che l’accoglienza dell’immigra-to non può che preludere - in tempi ra-gionevoli e con le dovute garanzie - al-l’attribuzione della pienezza dei diritti ci-vili e di cittadinanza: come avvieneovunque, in Europa. Da parte dello Statosarebbe, poi, necessario fornire ancheuna preparazione specifica (nonché por-re in essere una vera regolamentazione)a tutti coloro che vogliono esercitarequelle professioni - come, ad esempio, lebadanti - oggi lasciate alla buona volontàe alle capacità individuali, impedendocontemporaneamente abusi e dirette oindirette forme di ricatto da parte di chile pratica. Situazione questa - quella del-le badanti - che interessa una quota co-spicua della popolazione che non può fa-re a meno di essere supportata nella cu-ra casalinga degli anziani. Ma lo Statodovrebbe anche intervenire - senza tol-leranza alcuna - a reprimere (e la paro-la è pienamente giustificata) tutti que-

gli abusi, quelle prevaricazioni equegli atti delinquenziali di cui simacchiano coloro che l’Italiaospita. Essere ospitati significa te-nere un giusto comportamento siada parte dell’ospitante che da par-te dell’ospite. E questo deve esse-re ben chiaro.

In buona sostanza, bisogna smetter-la di considerare, con paura, il feno-meno migratorio come una oscura

minaccia per la nostra identità, per ilnostro lavoro, per le nostre tradizioni,la cui forza non dipende certo dall’im-migrazione. Le paure e le minacce so-no solo il frutto malato delle nostre in-sicurezze: delle nostre crisi culturali,morali, politiche e religiose. Un atteg-giamento maturo non può, invece, cheleggere la multiculturalità - derivatadall’immigrazione - come un arricchi-mento ed uno stimolo umano. È auspi-cabile un salto qualitativo nella discus-sione - oramai quotidiana - sull’immi-grazione. Il che vuol dire smetterla conle chiacchiere, cessare di gettare ben-zina sul fuoco e dimostrare finalmentecome la risoluzione di questo problemanon è un sogno ma una concreta pos-sibilità. Sarebbe la prova della grandez-za dell’Italia. La grandezza di un paesenon si misura, d’altronde, dalla sua po-tenza repressiva ma dalla sua capacitàdi metabolizzare intelligentemente ciòche la contingenza storica ci pone din-nanzi. Non dimentichiamo che un an-tico detto latino recita che “il destinoprende per mano chi lo riconosce, ma tra-scina chi lo rifiuta”.

*Docente di Filosofia delle ScienzeSociali all’Università di Varese

“ NOI E GLI IMMIGRATIFINESTRA APERTA con Claudio Bonvecchio*

Sulle orme di… Matusalemme

Avere un buon patrimoniogenetico, stare in un con-testo ambientale equilibra-

to (senza inquinamenti né fortisbalzi climatici), essere sempre ot-timisti e pensare in positivo, man-tenersi attivi, fare continuamenteprogetti e non considerarsi mai alcapolinea: gira e rigira, nelle valu-tazioni degli esperti, restano que-sti - a parte certe malattie in ag-guato - gli elementi portanti dellaricetta di Matusalemme ovverodella longevità. Ad assicurarla -una lunga vita - concorrono assaipure la permanenza in un ambitofamiliare (nel quale si sia “cocco-lati” a dovere), laviva considerazioneentro una certa co-munità (paese, par-rocchia, quartiere),un affetto sinceroattestato da coloroche formano l’abi-tuale entourage.Duemila anni or so-no l’aspettativa disopravvivenza pergli uomini e donneera attorno ai 30anni. I neonati delnostro tempo hannoparecchie speranze di campare si-no a cent’anni. Quelli che verran-no alla luce tra uno o due lustri po-trebbero puntare a 110 anni.Molto dipenderà anche dall’esitodella battaglia ormai da parecchiotempo in corso contro il P66, unodei geni ritenuti maggiormente re-sponsabili dell’invecchiamento delcorpo umano. Passi in avanti se

ne stanno facendo. Pare cheogni anno porti agli umani in ge-nere la possibilità teorica media dinovanta giorni in più di esisten-za sul pianeta Terra.L’Italia si è affacciata al 2009 van-tando nella propria popolazione cir-

ca 11.500 ultra-centenari (poco piùdi 2.000 maschi epoco meno di9.500 femmine) eoltre mezzo milionedi ultranovantenni.Con un’aspettativamedia di vita indivi-duale pari a 80 an-ni, 4 mesi e 26 gior-ni, il nostro BelPaese è in testa al-la graduatoria dellalongevità nella co-munità europea. È

situato piuttosto bene pure a livel-lo globale: è preceduto, infatti nel-l’ordine, soltanto da Giappone,Svizzera, Australia. Dalle nostreparti le oasi superfortunate (quan-to a lunga vita delle persone) - inaggiunta alla Liguria sono l’Oglia-stra, e in generale il Nuorese inSardegna che, con i loro centena-ri (in media 22 ogni 100 mila abi-

tanti) battono l’area di Okinawanella gara per il record mondiale.Sul nostro pianeta nel suo com-plesso, rispetto all’inizio del seco-lo XX la durata media della vitaumana è cresciuta del 30%. Nellearee più evolute l’aspettativa di vi-ta nel 1968 era di 73 anni e cin-que mesi per le donne e di 68 an-ni e tre mesi per gli uomini; nel2008 si è arrivati (come aspetta-tiva media di vita) a 85 anni e tremesi per le donne e a 80 anni equattro mesi per gli uomini; nel2048 potrebbero esserci (come esi-stenza media) 95 anni e tre mesiper le donne e 90 anni e quattromesi per gli uomini.Al di là degli straordinari succes-si ottenuti nel debellamento dellamortalità infantile, hanno contri-buito e contribuiscono al costan-te miglioramento della situazionel’evoluzione delle condizioni socia-li, sanitarie, igieniche, abitative, laprogressiva eliminazione dei lavo-ri usuranti; una alimentazione viavia più adeguata e corretta, l’ap-porto di farmaci, cure, vaccini dianno in anno più efficaci; e poi -ovviamente - gli ingredienti, varia-mente… individualizzabili, ac-cennati all’inizio.

Tutte queste novità assai lusinghie-re, non soltanto sotto l’aspetto stret-tamente anagrafico, hanno giàavuto, hanno e avranno sempre dipiù riflessi sull’assetto della convi-venza umana in molteplici direzio-ni. La Società italiana di geriatriae di gerontologia nel-lo scegliere, provoca-toriamente, per unproprio recente con-vegno il tema “L’Ita-lia non è un Paeseper vecchi”, ha vo-luto, per esempio,segnalare che la pre-senza nelle nostreregioni di un maggiornumero di anziani,accanto ai tanti latipositivi, comportal’urgenza pure distrutture ricettive perquanti si trovino di fatto estrania-ti dalla famiglia o colpiti da morbitipici dell’età avanzata, come l’Al-zheimer oppure il Parkinson.Anche se non cessa di correre, perla terza età o la quarta, un’imma-gine ancorata ai capelli d’argento ea ruoli di assistenza o comunque se-condari nel dipanarsi dalla quotidia-nità, i moderni ultrasessantenni e

ultrasettantenni hanno notevol-mente cambiato tipo e modalità del-la propria esistenza. C’è chi conti-nua a restare validamente sullabreccia nell’ambito lavorativo o so-ciale privilegiato sin dalla gioventùo dalla maturità. E c’è chi sceglieattività alternative e le coltiva conbaldanza da anni verdi. Nel pen-sionato di una volta alcuni osser-vatori ora vedono specialmenteun… pensionato: molto attento eaperto alle innovazioni tecnologiche,alle occasioni di svago, di avventu-ra, o di arricchimento delle proprieconoscenze, alle possibilità di pun-tare a nuovi rilevanti traguardi per-

sonali oppure direndere significativiservizi al prossimo(magari sotto formadi volontariato).È stato rilevato chein Europa “oltre130 milioni diconsumatori al disopra dei 50 annidi fatto detengo-no l’80 % dei be-ni disponibili”.Gli over 50 costi-tuiscono pure lamaggioranza degli

acquirenti delle autovetture di lus-so e di gran lusso. Alcuni futuro-logi sostengono che la ricchezza -con le tendenze attuali a livello de-mografico e non solo - andrà sem-pre più a concentrarsi nelle manidegli appartenenti alla fascia di etàtra i 58 e i 68 anni. Il marketingpotrà non tenerne conto.

Enzo Dossico

Quanto a longevità degli abitanti l’Italia

è al primo postonell’Europa

comunitaria e si trova in ottima posizione

pure a livello mondiale(preceduta da Giappone

e Svizzera)

Ottant’anni e quasicinque mesi è

attualmente il periododi sopravvivenza

dei nostri connazionali.I neonati di adesso e dell’immediato futuro potrebbero

arrivare a 110 anni

Diritti doverisseennzzaa buonismi

&

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7 / Marzo 2009

Figli da educare, ferro da masticare

re al ritmo delle tipiche nenie“guadalupane”. Nell’omelia delrito il cardinal Tarcisio Bertone,segretario di Stato, delegato dalPontefice a rappresentarlo, pren-dendo spunti dalle lettere litur-giche ha esortato i genitori adeducare i proprifigli aiutandoli asviluppare le loropotenzialità na-scoste, sicché essi“possano essere ve-ramente se stessi se-condo il piano cheDio ha previsto perloro”. Nella dome-nica in cui si è ce-lebrato il Battesi-mo del Signore,Benedetto XVI haricordato che: “Ilbambino non è proprietà dei geni-tori, ma è affidato dal Creatore al-la loro responsabilità, liberamentee in modo sempre nuovo, affinchéessi lo aiutino ad essere un liberofiglio di Dio. Solo se i genitori ma-turano tale consapevolezza riesco-no a trovare il giusto equilibrio tra

la pretesa di poter disporre dei pro-pri figli come se fossero un privatopossesso, plasmandoli in base alleproprie idee e desideri, e l’atteggia-mento libertario che si esprime nellasciarli crescere in piena autono-mia, soddisfacendo ogni loro desi-derio e aspirazione, ritenendo ciòun modo giusto di coltivare la loropersonalità”.Nel far presente che ogni neo-battezzato, in virtù del sacra-mento ricevuto, diventa “figlioadottivo di Dio, oggetto del suoamore infinito che lo tutela e lo di-fende dalle forze oscure del mali-gno”, il Pontefice - sempre nel-la Cappella Sistina - sottolineòl’importanza di “insegnargli (albattezzato) a riconoscere Dio co-me suo Padre ed a sapersi rappor-tare a Lui con atteggiamento di fi-glio”. Nelle sue puntualizzazio-ni Ratzinger volle andare più a

fondo, per dissipa-re alcune opinioniche sempre piùfrequentementequa e là si sentonoaffiorare. “Quan-do, secondo la tra-dizione cristiana,come oggi faccia-mo - spiegò il Papa- si battezzano ibambini introdu-cendoli nella luce diDio e dei suoi inse-gnamenti, non si fa

loro violenza, ma si dona loro laricchezza della vita divina in cui siradica la vera libertà che è propriadei figli di Dio; una libertà che do-vrà essere educata e formata conil maturare degli anni, perché di-venti capace di responsabili sceltepersonali”.

in precario equilibrio“Scuola di umanità e di

esistenza cristiana pertutti i suoi componenti,

con conseguenti benefici per laChiesa e per la società”; “Luogonel quale si può nascere con di-gnità, crescere in maniera integra-le; e dove si impara ad apprezzarela vita, la salute, la libertà e la pa-ce, la giustizia e la verità, il lavoro,la concordia e il rispetto”; “Fon-damento indispensabile per i popo-li”: sono queste alcune delle de-finizioni della famiglia, basatasull’unione sacramentale e in-dissolubile tra un uomo e unadonna, che Benedetto XVI haofferto nel telemessaggio rivoltoai partecipanti al VI IncontroMondiale degli esponenti del“focolari domestici” svoltosi aCittà del Messico. Il Papa nonha mancato di rimarcare che lafamiglia, per le essenziali funzio-ni che svolge, “hail diritto di essere ri-conosciuta nellasua piena identitàe, quindi, non de-ve essere confusacon altre forme diconvivenza; cosìcome deve potercontare su unaadeguata protezio-ne culturale, giuri-dica, economica,sociale, sanitaria”.Ratzinger si è sof-fermato altresì sull’importanzadella preghiera comunitaria en-tro la casa: grazie ad essa - ha af-fermato in sostanza il Pontefice- ogni individuo può migliorar-si; si arricchisce il dialogo; la fe-de si trasmette dagli adulti ai piùpiccoli; si accentua il gusto del-

lo stare insieme. “Allorché vaavanti nella fiducia e nella obbe-dienza a Dio - ha fatto presenteancora il Santo Padre -, la fami-glia si configura in un Vangeloaperto che tutti possono leggere co-me segno di credibilità quanto mai

persuasivo e capacedi interpellare ilmondo moderno”.Toccherà a Milanonel 2012 ospitare ilraduno interconti-nentale delle fa-miglie. Quello diCittà del Messico -imperniato sul te-ma “La famiglia èfondatrice nei valoriumani e cristiani” -si è chiuso (dome-nica 18 gennaio)

con una suggestiva celebrazioneche ha visto oltre un milione dipersone riunite negli spazi attor-no al santuario della Madonnadi Guadalupe e sul viale, o “pa-seo” - che praticamente in con-tinuità, nel corso dell’anno, ve-de fiumane di pellegrini avanza-

C i sono sempre fermenti e gran ru-more attorno alle “Giornate”mondiali della gioventù; poco si

parla invece, di solito, degli “Incontri”mondiali delle famiglie: eppure anchequesti ormai vantano una certa anzia-nità e sei edizioni, messe in atto con ca-denza triennale. Promotore delle une co-me degli altri fu Giovanni Paolo II. Ilprimo “Incontro” delle famiglie ebbe luo-go a Roma il 9 ottobre 1994 come even-to a carattere prevalentemente ecclesialenel contesto dell’Anno internazionale del-la famiglia indetto dall’Onu.Visto il suc-cesso dell’iniziativa, Papa Karol Wojty-la pensò di riproporla nell’ottobre del1997 a Rio de Janeiro, dove venne mes-so sul tappeto il tema “La famiglia: do-no e impegno, speranza dell’umanità”.Il grande Giubileo sulla soglia del terzo

millennio dell’era cristiana riportò la ma-nifestazione nella capitale d’Italia e dellacattolicità con lo slogan: “I figli, prima-vera della famiglia e della società”.Nel gennaio del 2003 Manila, nelle Fi-lippine, ospitò il quarto raduno intercon-tinentale delle famiglie, convocato per ri-flessioni ad ampio raggio su “La fami-glia cristiana: una buona novella per ilterzo millennio” (che era ormai inco-minciato). Nel 2006 a Valencia, in Spa-gna, ci si occupò de “La trasmissionedella fede nella famiglia”. Da “La fa-miglia formatrice nei valori umani ecristiani” - argomento che alla metà digennaio di questo 2009 è stato affronta-to sotto i più disparati aspetti a Città delMessico - nel 2012, a Milano, si pas-serà all’approfondimento del rapporto tra“la famiglia, il lavoro e la festa”.

La metropoli meneghina e la diocesi am-brosiana si stanno già da tempo prepa-rando a vivere nel migliore dei modi ilprivilegio che, per decisione di BenedettoXVI, è stato ora loro riservato. L’adde-stramento è in corso a livello globale eda livello strettamente locale. Iniziato nel2006/2007, si conclude in questo anno(pastorale) 2008/2009 il percorso for-mativo denominato “Missione della fa-miglia al servizio del Vangelo” che intre tappe - corrispondenti ad altrettantianni pastorali - ha mobilitato parrocchie,clero e fedeli del Milanese dapprima nel-l’ascolto della Parola di Dio (anche at-traverso la diffusione della Bibbia nelmaggior numero possibile di case), poinella “comunicazione della fede” e, inquesto periodo, nel far diventare la fa-miglia “l’anima del mondo”. Allo sta-

to attuale delle cose, considerata l’assi-se messa in agenda, ovviamente, nep-pure nella proposta di riflessione e im-pegno che verrà varata per il triennio2009/2012 potranno mancare riferi-menti alla famiglia e al suo ruolo negliambiti ecclesiale e civile.Sulla totale apertura al mondo delle por-te della metropoli lombarda - aperturaavviata da tempo immemorabile e fatta-si via via più marcata - non è il caso distar a sofisticare. A proposito della ca-pacità della città di farsi sede di radunidi genti provenienti da ogni continenteparlano i fatti. Fermiamoci a date abba-stanza recenti e a meetings con una cer-ta attinenza o affinità con il settimo“Incontro mondiale delle famiglie” or-mai in cantiere per il 2012.

(G.C.)

MILANO nel 2012 capitale delle FAMIGLIE

Nel 2004 Milano ha vi-sto riuniti, in gran nu-mero, convegnisti di

ogni fede, etnia e colore per con-frontarsi dialetticamente sul tema“Uomini e religioni” in un’as-sise organizzata dalla Comunitàdi Sant’Egidio; da una Piazzadel Duomo gremita di gente silevò in quell’occasione un vi-brante appello per la pace uni-versale. Nel 2005 trovò casa al-l’ombra della Madonnina il ven-tottesimo raduno (a carattereannuale) dei giovani europeiaderenti al movimento di Taizè.Sull’onda del buon esito di siffat-te assisi è stato deciso e program-mato per il 2013 un “appunta-mento ecclesiale e civile, dicarattere ecumenico ed inter-religioso, per favorire la libertàdi culto”; l’evento coincideràcon la celebrazione dei 1700 an-ni dall’editto di Costantino pro-mulgato nel 313, come si sa, perporre fine a tutte le persecuzio-ni nei riguardi dei credenti e pro-clamare la neutralità dell’Imperoromano in rapporto ad ogni te-stimonianza di fede.Nel 2015 poi a Milano torneràquell’Expo universale che hasollevato e continua a sollevaremontagne di progetti e polemi-che, iniziative e speranze, e cheil metropolita cardinal DionigiTettamanzi ha esortato a con-siderare pure “una preziosa op-portunità di dialogo dellacittà con il mondo”, evitandocosì di “sciuparla” unicamentein esibizionismi ed affari, perché“altra è la ricchezza” che va ri-cavata da una manifestazione ditale portata e che si è data co-me tema, e programma, unoslogan del tipo: “Nutrire il pia-neta, energia per la vita”.Svolgendosi con due anni di an-ticipo rispetto all’Expo, il setti-mo “Incontro mondiale del-le famiglie”, grazie anche alsuo tema (“La famiglia, il la-voro, la festa”) può davvero ri-sultare un ideale preludio.

Energia per la vita

GINO CARRARA

GENITORI

I genitori, oggi come ieri, devono

respingere la tentazione di considerare

“proprietà privata”i figli, che, invece,sono un dono loro affidato da Dio

Le prerogative che vanno riconosciutead un vero “focolaredomestico”, fondato

su basi ben più solidedi quelle di una

semplice convivenza.Una sfida difficile

da assumere e vincere

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8 / Marzo 2009

Tra i pezzi che Maria Ro-mana De Gasperi scri-ve nella sua rubrica “Ie-

ri & dintorni” su Avvenire, miha colpito particolarmentequello in cui racconta di unaserata di canti che il Coro delNoce di Malè (TN) ha dedica-to alla memoria di suo padre,Alcide De Gasperi. Ricorda, lasignora Maria Romana, “quan-do sulle panche di legno lungo ilmuro di casa stavamo tutti vici-ni, le sere d’estate, a cantare sen-za pubblico, senza ospiti, ma pernoi soli e per le montagne chescendevano lente nel buio”. E sot-tolinea come lo statista amas-se cantare e insegnare ai bambi-ni , e poi ai giovani, ‘quanto fos-se utile alla loro vita saper stareinsieme cantando’.Parole sacrosante. Chi canta inun Coro sacrifica il riposo perdedicare alcune ore all’impegnoed allo studio finalizzati alla ri-cerca, spesso faticosa, dell’armo-nia delle diverse voci. Chi can-ta in un coro sa quanto sia im-portante che ognuno faccia be-ne la sua parte senza tuttavia ca-dere nel protagonismo, senzamai prevaricare sugli altri: un ri-sultato particolarmente diffici-le da raggiungere soprattuttoper noi italiani: non solo per lanostra atavica propensione al-l’individualismo, ma perchénessuno, nemmeno la scuola, ciinsegna a “fare squadra”, a “la-vorare insieme”. Persino dalle fa-miglie passa troppo spesso ai fi-gli, fin da quando sono piccoli,il messaggio “tu pensa per te,non badare agli altri”, oppure,peggio ancora, “frégatene deglialtri, che si arrangino, l’importan-te è che vai avanti tu” e via di-cendo. Lo stesso messaggio,amplificato alla massima poten-za, passa anche dalla tv: pur diemergere, pur di essere protago-nisti, i personaggi televisivivenderebbero anche i genitori,e persino le trasmissioni più “se-rie” come i dibattiti non sfuggo-no a questa logica perversa.

Anche la politica ci offre, ingenerale, questo deprimentespettacolo, al punto da farpensare che tanti nostri guainazionali siano proprio la logi-ca conseguenza della nostra in-capacità di porci obiettivi co-muni e di perseguirli insiemecon rigore e con costanza, inun clima di reciproca compren-sione e di reciproco stimolo afare sempre meglio. Come si fain un coro, appunto, dove nes-suna voce, per bella che sia, de-ve prevalere sulle altre, doveogni maestro degno di questonome si prefigge l’amalgamadelle voci, cioè l’elemento ca-ratterizzante la “personalità” diun coro che voglia davvero es-sere un coro. Chi canta in un coro, inoltre, sache l’impegno di tutti può ov-viare alle deficienze dei singoli;

sa che gli sforzi e le energie in-dividuali serviranno, come tan-ti piccoli tasselli, a comporre ilrisultato finale del bel mosaicoda offrire a chi ascolta.In questi tempi di crisi, gli eco-nomisti ci ripetono che bisogna“far squadra”: già, ma da dovecominciamo, se non abbiamomai imparato, per esempio can-tando in coro?Chissà, forse Alcide De Gasperiè stato un grande uomo, ungrande politico e un grande sta-tista anche perché sapeva eamava cantare in coro. Mi tor-na sempre alla mente, in propo-sito, il detto di un grande poe-ta della classicità: “Non metteteuna spada in mano ad un guerrie-ro se non sa cantare”. Io credoche potremmo parafrasarlo co-sì: “Non date responsabilità e po-tere a chi non sa cantare in coro”.

È la scuola media del quartiere più povero diStoccolma, abitato in maggioranza da stra-nieri: una scuola bellissima, il cui cuore è co-stituito da una nutritissima biblioteca perchégli studenti vengono da tutto il mondo e perintegrarsi devono imparare bene lo svedesee quindi leggere molto. Naturalmente impa-rano anche l’inglese - a 10 anni lo sanno par-lare tutti - e, se vogliono, la loro lingua ma-dre. Libri, quaderni, mensa, persino la primacolazione sono gratis e gli insegnanti sonoben pagati. Su circa 360 allievi, la media del-le bocciature è di una o due all’anno, non pernulla gli studenti svedesi sono in testa alleclassifiche dell’OCSE. Certo una scuola co-sì costa molto, ma lo Stato, nonostante la cri-si, ha aumentato i fondi anche quest’anno.Perché sa che i soldi spesi nella formazionesono quelli spesi meglio.

Una scuola da sogno

GISELDA BRUNI

Una famosa psicologa, di quelle che interven-gono in ogni dibattito televisivo, a proposito deldelitto di Meredith Kercher di cui è accusataAmanda Knox, delitto maturato nell’ambien-te studentesco di Perugia, ha commentato che“in fondo tutti i ragazzi coinvolti potrebbe-ro essere i nostri figli e i nostri nipoti, si sache i giovani universitari sono tutti così”.Chissà dove vive, la psicologa famosa, per nu-trire tanta sicumera, perché io di universitariche non si ubriacano e non si drogano, che stu-diano e spesso lavorano anche, e di notte dor-mono perché il giorno dopo si alzano presto, enel - poco - tempo libero vanno a correre o atrovare le vecchiette del ricovero ne conosco pro-prio tanti. Forse, chissà, se uscisse qualche vol-ta dagli studi della tv li conoscerebbe anche lei.E invece si continua a generalizzare portandoa esempio i casi peggiori che fanno notizia.

Tutti i giovani sono così?“

Ho saputo che una mamma ha fatto piange-re una giovane maestra favorevole al grem-biulino accusandola di voler “uniformare” isuoi scolari. Fossi ancora in servizio io, vec-chia maestra, non avrei certo pianto e avreirisposto tranquillamente che il grembiulinoserve a proteggere i vestiti, nient’altro. A“uniformare” gli allievi, infatti, è l’insegnan-te, che non deve fare alcuna attenzione alledifferenze sociali e che deve valorizzare le do-ti umane dei suoi allievi indipendentemen-te dal censo dei loro genitori. Ricordo chequando in classe qualcuno prendeva in girola piccola Lucia perché “puzzava di stalla”, iointerrogavo sia lei che lo schizzinoso di tur-no. E così dimostravo a tutti che, almeno ascuola, Lucia valeva molto di più dei signo-rini che si credevano superiori perché nonerano figli di contadini.

L’esempio di Lucia“

Invece di urlare come fanno…

Se i politici cantasseroÈstato un inverno partico-

larmente nevoso, quelloche ci stiamo lasciando

alle spalle, caratterizzato da ne-vicate abbondanti come non sene vedevano da un pezzo e cheindubbiamente hanno causatoqualche disagio soprattutto a li-vello di viabilità.Questo però non giustifica, amio parere, tutto l’allarmismoed il catastrofismo che i mass-media hanno fatto in proposi-to, con i meteo che annuncia-vano la neve e il gelo come seannunciassero delle vere e pro-prie disgrazie: ma, scusate, ched’inverno faccia freddo e nevi-chi non è piuttosto normale?Oppure siamo diventati tuttitalmente aridi ed avidi che laneve ci va sta be-ne soltanto suicampi da sci, per-ché significa affa-ri d’oro e diverti-mento, mentrediventa insop-portabile quandocade dappertut-to, strade com-prese, com’è suocostume?Anche per la ne-ve si è instauratanei mass-media lapessima abitudi-ne di stravolgereil linguaggio, dinon chiamare le cose col loronome: per esempio quando igiornali e i telegiornali chiama-no “bambini” gli adolescenti chearrivano alla ribalta della cro-naca nera e “bravate” o “ragaz-zate” quelli che sono obiettiva-mente comportamenti gravi eda condannare in modo deciso;per esempio quando, commen-tando gli incidenti stradali e ledisgrazie in montagna giornalie telegiornali attribuisconosempre la colpa all’“asfalto visci-do”, alla “nebbia”, alla “pioggia”,

alla “curva assassina”, alla “mon-tagna crudele”, al “ghiacciaio ma-ledetto” e via dicendo…Eppure, chi si è fermato un mo-mento a contemplare le nevica-te dei mesi scorsi, chi è riusci-to a liberarsi, almeno per unavolta, dall’ottica efficientisticaed economicistica che ci con-diziona ormai un po’ tutti, chinon ha dato ascolto ai catastro-fismi che impazzavano dai tele-giornali, le nevicate sono stateun’occasione di riscoperta del-la bellezza e della saggezza del-la natura: perché sono riuscitea nascondere, per un po’, le tan-te brutture che ci circondano,perché ci hanno regalato pae-saggi mozzafiato e panorami cit-tadini assolutamente inusuali,

perché quel lentosfarfallare dei fioc-chi ci ha regalatomomenti e pen-sieri di calma e diserenità.Della neve infattisi può anche gioi-re, come del restodi tutte le manife-stazioni della na-tura: la biancacoltre regala unaveste splendidaanche al cespugliopiù umile e insi-gnificante, esaltail silenzio ed il

raccoglimento di una stagionee l’apparente immobilità dellanatura addormentata, che inrealtà è solo il preludio dellanuova vita che ritornerà. Per-ché, come dice il Poeta, quan-do nevica“il cielo in lenti e candidipetali si sfiocca:certo dalle invisibiliprofondità dei cieliPrimavera già muovee impercettibilmente già cammina piovendo fiori teneri e leggerisul nostro inverno”.

Mass-mediacatastrofici

La normalità delle stagioni diventa in questi nostri tempi

una notizia da commentare come se fosse un evento.

Perché stupirsi e organizzare servizispeciali quando c’è

una nevicata o quando fa freddo in inverno?

P er i giornalisti parlare del “caro bebè” ormai è un dovere: sifanno calcoli di quanto costa avere un figlio, dalla culla all’u-niversità (200.000 euro, dicono, roba da nababbi), ci si in-

terroga e si interrogano le famiglie, specialmente quelle numerose:“Ma come fate?” Va controcorrente questo interessante manuale diGiorgia Cozza, “Bebè a costo zero” (Ed. Il Leone Verde) prezzo18 euro che per una volta sposta il mirino su tutte quelle spese inu-tili o poco utili che pesano sul portafoglio dei neogenitori e che po-trebbero essere facilmente evitate. Con una corretta informazione,documentata e particolareggiata, ci si rende conto che ciuccio, sal-viettine umidificate e vasche per il bagnetto sono voci su cui una fa-miglia potrebbe tranquillamente risparmiare senza togliere nulla albenessere del bambino, anzi. Siamo infatti “vittime” del mercato,ci ricorda il libro, e tendiamo ad acquistare cose che non servono,ma costano eccome. La guida può portare al risparmio di qualchemigliaio di euro sul totale delle spese relative a un bebè, ma soprat-tutto aiuta a riportare l’evento nascita alla sua naturalità e alla suasemplicità. I genitori “numerosi” vi troveranno non poche confer-me ai propri modi di fare (non a caso l’autrice è a sua volta mam-ma di tre bambini) e qualche spunto interessante, ma per le coppiealle prese con il primo figlio ci sono tantissime buone idee, una se-rie di testimonianze rassicuranti e un indirizzario che può costituireuna buona traccia di ricerca. Si tratta di un libro da premiare e daregalare perché contribuisce a sfatare il mito del figlio “lusso per po-chi” e per una volta non vede nel figlio un problema, un costo. Averebambini può diventare una magnifica avventura, occorre viverla conlo spirito giusto ma alla fine davvero “non ha prezzo”.

Vedere alla voce FIGLI

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9 / Marzo 2009

30 Fanno scorrere il traffico senzaintoppi e quindi dovrebbero es-serci amici, ma non tutti li ca-

piscono appieno e ne fanno buon uso: ep-pure i rondò sono un po’ come le giostre:quando ci sei dentro, non ti devi fermare.Bene ha fatto la mia amica Antonella asuonare al povero vecchietto che, dopoavere dato la precedenza a chiunque si im-mettesse dalle entrate laterali, si è fermatosconsolato nel bel mezzo della rotonda. For-se quel colpo di clacson gli ha salvato lavita, perché nelle rotonde, come appuntonelle giostre, bisogna continuare a girare.Ricordate che la precedenza è di chi si ègià immesso: la corsia esterna è fatta perprepararsi all’uscita, quella interna per rag-

giungere l’ultimo raggio di questo stranosole stradale. Nei rondò è essenziale l’usodelle frecce, che nessuno di noi ama par-ticolarmente, sbagliando. Perché il segretoper chi gira e per chi deve entrare è sapereesattamente cosa farà l’altro e la freccia èl’unico mezzo a nostra disposizione (perora) per comunicare con gli altri automo-bilisti e informarli delle nostre intenzioni:vado a destra, no, vado a sinistra. Uno ve-de, capisce e si regola, semplice, vero? Echi non usa la freccia, rischia di incorrere inuna multa… Quindi, quando imboccate larotonda segnalate con la vostra freccia alresto del mondo dove volete andare: a sini-stra (quindi nella corsia interna)? Usciretecertamente all’ultima occasione. A destra?

Freccia sempre attiva, corsia esterna, im-boccherete la prima uscita. Un’uscita in-termedia? Levate subito la freccia a destrae rimettetela solo poco prima di uscire…

31Prendetela un po’ come l’en-nesima regola: non mettetevialla guida se siete nervosi, se

avete appena avuto una discussione o sevi è successo qualcosa di sgradevole. Sevi capita di litigare in auto, fate pace im-mediatamente o fermatevi per sbollirela rabbia: guidare sotto effetto dell’ira,come dell’alcol o della droga, può esseremolto pericoloso…

3 - continua

La rabbia non è gradita a bordo“

21Anche l’uso e l’abuso delle frecce d’emergen-za merita qualche secondo di riflessione: so-no una grande invenzione e possono venirci

utili in molte occasioni per comunicare a chi ci seguedisagi improvvisi, avarie e soste impreviste. Noi le usia-mo molto in autostrada, quando il traffico da intenso sifa impossibile e la coda si ferma. Quando ci accorgia-mo che davanti a noi si stanno bloccando, le frecceavvertono gli inseguitori di non piombarci sul para-fango posteriore. Le quattro frecce non dovrebbero in-vece servire a coprire un parcheggio in doppia fila, da-vanti al garage altrui, in mezzo alla strada, con l’auto fer-ma per fare due chiacchiere con l’amica, trascrizione au-tomobilistica dell’odioso “minutino”.

22Se volete godervi il panorama con una gui-da “turistica”, se la vostra amata auto d’epo-ca non ce la fa più, se ci vedete poco, o vi

sentite insicuri, avete tutti i diritti di andare piano.Ma anche un’andatura troppo lenta, può essere peri-colosa, soprattutto in autostrada, soprattutto per glialtri. Appena possibile accostate e lasciate passarecon buona grazia i frettolosi che scalpitano per rag-

giungere la loro meta: il giudizio su di voi diventeràimprovvisamente molto benevolo e voi potrete goder-vi, con maggiore calma, il panorama.

23La prepotenza è uno dei tanti mali dell’uma-nità: quando l’uomo ha inventato l’auto hasemplicemente escogitato un’altra maniera

di esercitarla sugli altri, in forma più o meno violentama sempre molto pericolosa. Sono prepotenti gli au-tomobilisti che si piazzano nella corsia di sorpasso a180 all’ora (quindi in totale divieto) aspettandosi chetutti gli altri si facciano da parte; quelli che ti piomba-no alle spalle improvvisamente mentre stai faticosa-mente superando una fila di camion e iniziano ad ab-bagliarti e si piazzano a due centimetri dal tuo parafan-go, come se tu potessi improvvisamente scomparireper farli passare. Sono i prepotenti che, a bordo delloro tir, o del loro elefantiaco camper, magari con pro-blemi di scarico, non pensano minimamente ad ac-costarsi per farti passare, ma continuano ad arrancare,indifferenti e forti delle loro misure, su per la stradinastretta dove tu potresti andare al doppio della velo-cità. E più la coda dietro si allunga e più sono felici e

si sentono importanti… Sono prepotenti quegli au-tomobilisti che lasciano la vettura dove gli capita, ma-gari sotto il cartello di divieto di parcheggio, o ti bloc-cano l’uscita in doppia fila e non ti chiedono nem-meno scusa. Sono prepotenti quelli che ti vedono pas-seggiare sulla stradina bianca di campagna e invecedi rallentare, accelerano per inondarti di polvere. So-no prepotenti quelli che al minimo errore te ne dico-no dietro una sacca e una sporta e tu sei lì, tremante,con i tuoi bambini che ti chiedono “ma mamma, cosati ha detto quel signore?”. Prepotenti che non leggeran-no mai queste righe perché pensano di sapere già tut-to della vita e dell’auto, a cui basta la difesa di quattropareti di latta per sentirsi al sicuro, padroni del mon-do e della strada. Quelli che non sopportano di esseresuperati, e ti rincorrono finché non ti riprendono,quelli che te “la fanno pagare”, per avere sbagliato lamanovra, per cui sapere guidare è una prova di ma-scolinità e di forza. A questi signori, se ci leggessero,raccomanderemmo di deporre le armi e di abbassare ilmotore, di tornare a considerare l’auto come un sem-plice mezzo di trasporto, come la bicicletta o il piro-scafo: il mondo sarebbe un po’ migliore.

I molti nomi della prepotenza

24Cosa c’è di peggio diun temporale im-provviso che ti sor-

prende con le tue belle scarpenuove, i pantaloni bianchi el’ombrellino pieghevole mezzorotto? Essere investiti daglischizzi spruzzati dall’auto lan-ciata a tutta velocità nella poz-zanghera lungo il vostro mar-ciapiede. Eppure basterebbe unpizzichino di attenzione e diconsiderazione per evitare lapozza e la doccia al povero, di-sarmato pedone, mai troppo ve-loce a riparare corpo, abiti e vi-so dalla strafottenza altrui.

25Che bello guidarecon l’auto decap-pottabile, il vento

tra i capelli, il sole sulle spal-le… Se però imboccate l’au-tostrada, ricordatevi di alzarela capotte: eviterete di assomi-gliare a una Medusa scarmi-gliata, il vostro colorito non sifarà violaceo, la vostra posturanon ricorderà quei manichiniche si utilizzano per le provedi impatto…

26Nei sorpassi, vede-te di non farle ilclassico “pelo”, di

accostarvi in misura millime-trica, anche in fase di rientro:se pensate di non avere abba-stanza metri per superare aspet-tate momenti migliori. Un bru-sco rientro non potrà che spa-ventare il superato che da par-te sua si guarderà dal pigiarel’acceleratore, tanto per rende-re la vita (e il sorpasso) più dif-ficile all’avversario. Ops, par-don: al superante…

27Rallentate in vista dibambini, che tendo-no a raggiungere i

nonni dall’altra parte dellastrada senza fare tanto caso achi passa, rallentate e allargatein presenza di biciclette e mo-torini, magari senza suonare sa-dicamente il clacson per farlimorire d’infarto, rallentate sepiove o c’è nebbia, perché an-che se siete dei maghi al vo-lante non siete dotati di occhiagli infrarossi.

28Non sta bene faremanovra per opera-re un’inversione a

U in pieno centro cittadino,nell’orario di punta. È un’enne-sima forma di mancanza di ri-spetto verso chi ha fretta comevoi e deve aspettare che voiportiate a termine la vostra ma-novra scorretta perdendo pre-ziosissimi metri di coda.

29 Lo so, è fatto appo-sta quel gancio chepende dalla mani-

glia sopra la portiera, in corri-spondenza dei sedili posteriori.Ma per favore, non appendete-ci le camicie stirate o la giacca:fa tanto commesso viaggiatore eun po’ di tristezza. E toglie an-che utili spazi alla vista.

Niente di più deprecabile, quandopiove e ci sono pozzanghere sulla carreggiatadi un automobilistache passa veloce, incurante dei malcapitati pedoni, ai quali si fa una doccia fuori programma. E provare ogni tantoa immedesimarci neipanni degli altri?

Disegno per FrateIndovino di CristinaMazzoleni.

Il vademecum di REGINA FLORIO

Ma bisogna rieducare al rispetto degli altri

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I SE GNI DEI TEM PI

su questo successo sanitario per accelerare il raggiungimen-to degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio”. “Non vi è però ragione di compiacersi”, ha aggiunto. «La perdita ogni anno di 9,7 milioni di giovani vite è inaccettabile. La maggior parte di queste morti sono prevenibili e, come dimo-strano i recenti progressi, le soluzioni sono sperimentate e collaudate. Sappiamo che la vita dei bambini può essere salvata quando abbiano acces-so a servizi sanitari integrati, erogati su base comunitaria e sostenuti da un efficace sistema di rinvio a strutture specializzate”.

di conflitto. Il risultato positivo del calo della mortalità infantile è frutto di politiche mirate. Solo nel 1960 erano 20 milioni i bambini che non raggiungevano i cinque anni di vita. Tuttavia, molti paesi continuano a registrare livelli elevati di mortalità, soprat-tutto nell’Africa subsahariana (dove si verificano 4,8 milio-ni di casi) e nell’Asia meri-dionale (3,1 milioni). La mor-talità è più alta nelle zone rurali (105 ogni mille nati vivi contro 69), nelle famiglie più povere (107 contro 67). Più colpite le femmine (96) rispetto ai maschi (93).L’Onu si è posto l’obiettivo di ridurre, entro il 2015, i due terzi del fenomeno. Se ciò avverrà, si eviterà la mor-te di 5,4 milioni di bambini. Ma se l’obiettivo non sarà realizzato, come sembra dalle tendenze attuali, altri 4,3 mi-lioni potrebbero morire solo nel 2015. Per la metà circa dei casi è la malnutrizione la concausa di morte. Il 37% muore nel periodo neonatale, il 19% per polmonite, il 17% per diarrea, l’8% per malaria, il 4% per morbillo, il 3% per Aids. Grazie alla vaccinazione contro il morbillo, le morti per questa malattia sono di-minuite dal 1999 al 2005, del 60% a livello mondiale e del 75% nell’Africa subsahariana. “Questo è un momento stori-co”, ha affermato il Direttore generale dell’UNICEF Ann Veneman. “Sopravvivono più bambini oggi che mai prima in passato. Dobbiamo far leva

NAZZARENO CAPODICASA

Nei paesi sviluppati, la morte di un bambino sotto i cinque anni è inve-ce diventato un evento rarissimo. Un

fatto certamente positivo, collegato al migliore tenore di vita e di alimentazione, al molto minore numero di nascite, ma certamente anche all’importanza data alle spese sanitarie nei bilanci degli stati. Al contrario, nei paesi poveri dal 1990 sono deceduti oltre 7 milioni di bambini con meno di 28 giorni.Ma c’è un altro dato non meno triste e doloroso: nello stesso periodo 10 milioni di donne (99% nei paesi in via di sviluppo) sono morte per complicazioni legate al parto e alla gravidanza. L’ottanta per cento di queste morti potevano essere evitate. Le madri dei paesi poveri sono 300 volte più esposte a perdere la vita dando alla luce un figlio rispetto a quelle dei paesi ricchi.Nel 2005 sono morte di parto 500 mila don-ne, il 99% in Asia e Africa. Quotidianamente, in media, muoiono 1.500 donne per compli-cazioni legate alla gravidanza o al parto. Se le morti dei bambini al di sotto dei 5 anni sono calate sensibilmente dagli anni ‘90 (13 milioni contro i 9.200.000 dei 2006), contro la mor-talità materna i progressi sono molto minori: le cifre sono rimaste pressoché invariate negli ultimi 20 anni. Sono conseguenze dolorose, imputabili a ignoranza, povertà, discriminazio-ne di genere, mancanza di informazione e di assistenza sanitaria. Dalla sopravvivenza delle madri, infatti, dipen-de in modo indissolubile quella dei bambini, e molti degli interventi che salvano le neomam-me portano benefici anche ai bambini. I pic-coli, le cui mamme muoiono durante le prime sei settimane dopo il parto, hanno maggiori possibilità di morire nei primi due anni di vita rispetto a quelli le cui madri sopravvivono. Uno studio in Afghanistan ha rilevato che i tre quarti dei bambini, nati da madri morte per cause legate alla maternità, sono successi-vamente morti prematuramente.

N.Cap

Morire di partonei paesi poveri.500 mila nel 2005

La presentazione a Roma del Rapporto annua-le dell’UNICEF sulla

condizione dell’infanzia nel mondo è avvenuta in un momento particolarmente drammatico. A Gaza cadeva-no vittime delle bombe oltre trecento bambini, mentre cir-ca mille e cinquecento subi-vano ferite più o meno gravi. Vittime innocenti di “giochi” molto più grandi di loro, che lasceranno traumi pesanti, impossibili da dimenticare nella loro vita futura. “Gio-chi” condotti e manovrati da tessitori senza scrupoli.Nel Rapporto UNICEF emer-ge una buona notizia. Nel 2006, per la prima volta, la mortalità infantile sotto i cin-que anni è scesa, nel mondo, sotto la soglia “storica” dei 10 milioni, attestandosi a 9.7 milioni. Una situazione ancora molto difficile e trau-matica (metà delle morti è direttamente o indirettamen-te dovuta alla malnutrizione), ma segnala anche qualche tendenza in positivo. Come, appunto, quella della morta-lità o quella che sempre più bambini frequentano la scuo-la (chi non ci va, in quattro anni, è sceso da 115 milioni a 93).La condizione dell’infanzia è, tuttavia, ancora un dramma in molti paesi: oltre 15 mi-lioni sono orfani a causa del-l’Aids, 125 milioni non han-no accesso all’acqua potabile, 158 milioni, fra 4 e 14 anni, sono sfruttati dal mondo del lavoro, un miliardo e mezzo vivono in zone di guerra e

Il rapporto dell’Unicef

sull’infanzia nel mondo.

Per la prima volta, nel 2006,

la mortalità infantile è scesa, nel

mondo, sotto i 10 milioni. Ma la condizione dell’infanzia

rimane ancora un dramma in molti paesi.

Dal dramma di Gaza alle mamme in pericolo

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Non si vive di solo PILSviluppo & Crescita a confronto Crescita, sempre di

più, sta a significare aumento quantitativo,

mentre sviluppo, a sua volta, viene adoperato maggiormente con il signifi cato di migliora-mento, sia nella quantità che nella qualità di benessere di un’intera società in ogni sen-so. Quindi non soltanto nella direzione del soddisfacimento dei bisogni e degli arricchi-menti materiali.Trascuriamo, per evitare po-lemiche infruttuose, di por-tare ad esempio alcune realtà geopolitiche, che pur avendo fatto ultimamente passi da gigante in termini di econo-mia, rimangono al palo per ciò che riguarda diritti civili e libertà politiche e religiose. Ma non possiamo trascurare quello che invece succede nel-le democrazie liberali. Dove, a fronte di ampie garanzie giuridiche che, mettendo sullo stesso piano tutti i cittadini, permettono loro di scegliersi periodicamente i rappresenta-ti politici e di godere di diritti civili, politici e religiosi molto estesi, si è avuta una crescita economica che ha compor-tato non solo degli evidenti benefi ci, ma anche tutta una serie di negatività. La crescita vertiginosa della produzione delle merci e dell’erogazione di alcuni servizi: trasporti, energia, produzione industria-le e agricola, è cosa nota, ha comportato, nella maggior parte dei casi, un preoccupante inquinamento ambientale con effetti anche planetari, e un accaparramento delle risorse non rinnovabili a detrimento dei paesi più poveri, con un depauperamento complessivo della terra preoccupante. Attualmente la crescita econo-mica di un Paese, viene misu-rata con un parametro atto a misurare il Prodotto Interno

Lordo, meglio conosciuto, in Italia, nel suo acronimo di PIL, di cui oggi si fa un gran parla-re sui mass-media e anche in ambiti ristretti che orientano l’economia mondiale.Questo “parametro econo-metrico”, in inglese Gross Domestic Product (GDP), fu studiato dal celebre economi-sta britannico John Maynard Keynes (1883-1946), e via via sempre più utilizzato per valutare la salute economica e fi nanziaria di un paese. In pratica, il PIL dà conto, normalmente su base annua, del totale degli acquisti al consumo sommato al totale degli investimenti produttivi, ai quali va aggiunto il saldo dei movimenti monetari dal-l’estero e per l’estero. Infi ne, su base statistica, viene valutato e sommato al resto anche il co-siddetto sommerso: dall’evasio-ne fi scale, a quella contributiva e via dicendo.

In questo senso, per rimanere alla differenziazione che nota-vamo all’inizio tra sviluppo e crescita, il PIL ci restituisce una fotografia della crescita ma non dello sviluppo di un determinato Paese. C’è poi da dire che il PIL nelle sue misurazioni, di fatto, privilegia i consumi di beni e di servizi basati sul circolante, considerando, invece, tutte quelle forme di scambio e di servizi che non sono legati alla monetizzazione come fat-tori ininfl uenti. Ad esempio, le derrate alimen-tari scambiate con profi tto sul mercato (mercificate) fanno aumentare il PIL, mentre la produzione casalinga delle stes-se e il suo probabile consumo familiare o amicale gratuito, ma anche non gratuito, facente parte del cosiddetto sommerso non misurabile, non viene, per defi nizione, considerata. Sen-za contare il lavoro volontario

BRUNO DEL FRATE

che, anch’esso, non rientra nel computo del PIL. Mentre inci-denti di varia natura, catastrofi naturali o procurate dall’uomo come la guerra e quant’altro in fatto di disgrazie, lo fanno aumentare. Per capire meglio, basta pensare ai soldi che si spendono per i primi soccor-si, le degenze in ospedale, in caso di morte per le esequie, i risarcimenti, le ricostruzioni e via dicendo. Insomma, il PIL è un indicato-re di ricchezza materiale che, seppur utile per quanto riguar-da l’economia, è limitato per misurare la qualità della vita che non è fatta solo di possi-bilità di spesa ma di parametri che tengano in debito conto anche altre cose. Ed è proprio in questo senso che è sbagliato valutare lo sviluppo di una na-zione soltanto tenendo conto di questo indicatore, che ne individua la crescita ovvero la decrescita semplicemente in termini monetari. Bob Kennedy, in un fa -moso discorso tenuto il 18 marzo 1968 agli studenti e agli insegnanti della Kansas University, ebbe a criticare il PIL con queste esatte parole che dovrebbero indurci, oggi più di ieri, a un’approfondita riflessione: “Non possiamo misu-rare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende l’inquinamento dell’aria, la pub-blicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settima-na… Comprende programmi tele-visivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai

Tra crescita e sviluppo, intesi nell’accezione che hanno assunto, perlopiù, tra gli economisti, si può evidenziare una sostanziale differenza: una società può crescere enormemente nei suoi stan-dard economici e al contempo può regredire civilmente, social-

mente, culturalmente e spiritualmente.

bambini. Cresce con la produ-zione di napalm, missili e testate nucleari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell’equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta.”Oggi, assistiamo a una corren-te di pensiero che, partendo dalle considerazioni di Bob Kennedy appena esposte, sta sempre più facendosi strada tra gli economisti. Costoro non vedono nella diminuzione del PIL un’irreparabile catastrofe, anzi la auspicano in termini di decrescita programmata, sostituendo a una costante e indeterminata crescita del Pil, uno sviluppo che metta tante cose assieme, comprese quel-le che non hanno un’utilità immediata e non si preoccupi solo del valore numerico dei beni e dei servizi acquistati. Beni e servizi talora superfl ui ma considerati indispensabili dal consumatore solo perché indotti dalla pubblicità mar-tellante e dalle mode. Quello che si teorizza, è uno sviluppo pacifi co, armonico, diffuso e sostenibile, che tenga conto di tutte le popolazioni che abitano la terra, dei loro bi-sogni e delle loro aspettative realizzabili. E contemplare anche l’evenienza di una de-crescita economica necessaria e programmata attraverso la lotta ordinata agli sprechi e al sostegno dell’innovazione tecnologica in direzione dei risparmi energetici e delle materie prime, del rispetto dell’ambiente e, al contempo, del benessere complessiva-mente inteso. Insomma, della cosiddetta qualità della vita e di quelli che vengono oggi formulati statisticamente, forse un po’ superfi cialmente, come indici di felicità (Feli-cità Nazionale Lorda), che però puntano su parametri interessanti come quelli della serenità, della fiducia nelle istituzioni, della sicurezza nel-le sue molteplici forme, della solidarietà, dell’integrazione sociale e razziale, dell’effi cien-za e dell’economicità dei beni e dei servizi primari come casa, scuola, sanità, trasporti ecc.. Sicché, evitando di as-sumere come unico fattore o fattore dominante di sviluppo il Prodotto Interno Lordo, si potrà puntare, seppur gradual-mente, ad affermare indici più complessi come l’Indice di Sviluppo Umano, già uti-lizzato dalle Nazioni Uniti per la lotta alle sperequazioni tra il Nord e Sud del mondo, alla denutrizione, alla povertà, all’analfabetismo.

Ci provò per prima la Presidente della Camera Nilde Iotti, quando, nel lonta-no 1990, organizzò uno speciale nucleo anti-brogli formato da commessi e fun-zionari, che avrebbero dovuto ritirare le tesserine ai votanti per conto altrui. Da allora si sono inutilmente rincorsi i più vari metodi: cambi di sistemi elettronici, differenti tesserine, posti fissi, ronde di segretari. Procedimenti pure intervallati da grottesche tecno-pensate tipo mag-giori lucette, controlli dell’iride, sensori sotto il banco. Tutti espedienti falliti. Il vizietto dei nostri parlamentari di votare per conto terzi resiste allo scorrere del tempo. C’è

chi lo fa per interesse politico, ma a volte votano per non far perdere la dia-ria agli amici e ai compari assenti. Siamo arrivati al riconoscimento del-le impronte digitali, come si usa per soggetti dalla condotta tutt’altro che irreprensibile. Il nuovo sistema, la cui adozione pratica è ancora incerta, è già costato alle esangui casse statali la “mo-dica” cifra di 550 mila euro!Almeno bastassero a fugare nei cittadini l’impressione, il sospetto o la certezza che “lì dentro”, cioè in Parlamento, re-gnano l’inganno, l’imbroglio e la frode. E questo in fondo già basterebbe. Ma ancora una volta tocca dire: si vedrà.

PIANISTI di ERASMO

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Diffusa allo stato spontaneo in tutta Europa, la Borragine,

cresce sia nei campi che nei territori incolti fino a 1660 metri di altezza. Si semina in Primavera o in Autunno in terreno ben concimato e ben irrigato e posizionato in una zona soleggiata. Le sommità fiorite e le foglie si raccolgono all’inizio della fioritura e per tutta l’estate. Le prime si essiccano stese all’ombra oppure appese in piccoli mazzetti mentre le foglie si usano fresche. La Borragine è una pianta dalle molteplici e straor-dinarie proprietà curative, vediamole. Innanzitutto, fin dall’antichi-tà veniva riconosciuta alla borragine la proprietà di curare raffreddori, bronchiti, reumatismi e, anche, la capa-

la forza e dell’audacia e in epoca medievale si pensava che la borragine procurasse grandezza d’animo e risolu-tezza. Per finire la breve car-rellata, ancor oggi nei paesi arabi questa pianta è un alimento tra i più diffusi e si crede che possa stimolare la secrezione lattea. In Inghilterra ha avuto e ha larghissima diffusione e viene comunemente mesco-lata alle insalate o cotta al vapore e condita con burro e succo di limone. Usata per aromatizzare l’ace-to, la borragine viene impie-gata allo stesso scopo anche per molte bevande dissetanti ed alcuni liquori tra i quali il whisky.Il gusto di questa pianta è vagamente somigliante a quello del cetriolo ed è per questo motivo che si accom-

cità di abbassare velocemente la febbre, grazie alle sue pro-prietà sudorifere. Secondo alcuni, infatti, il nome stes-so deriverebbe dall’arabo abu rach che significa “padre del sudore”. Altri pensano, inve-ce, che il termine derivi dal latino borus che è un lungo mantello che indossavano i pastori realizzato con lana ruvida di pecora. In effetti lo stelo della pianta è rico-perto da lunghi peli ruvidi che lo rendono difficilmente commestibile se non viene prima triturato o lessato. In ogni caso sia gli antichi greci che i romani lo uti-lizzavano riconoscendogli la proprietà di essere un ottimo tonico nervino e anche utile a una malattia purtroppo as-sai nota ai giorni nostri che è la depressione. A questa pianta si associava l’idea del-

BRUNO DEL FRATE

Spina dorsale della notte

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Il libro dell’Arcivescovo FRANCESCO GIOIA si segnala anzitutto per la serietà dell’indagine sul rapporto del Santo con tutte le creature. In tal modo, anche il pubblico non specialista entra

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I Greci antichi ne spiegava-no l’esistenza legandola al mito di Eracle (Ercole).

Sarebbe stato uno zampillo di latte della dea Era, mo-glie di Zeus, che uscì dal suo seno, mentre allattava compassionevolmente Eracle credendolo un trovatello, a formare la Via Lattea. Lui, durante la lattazione, le avrebbe morso il capezzolo e lei, per reazione istintiva, lo staccò dal suo seno. Sic-ché, il latte schizzò fuori. Secondo questa fantasiosa leggenda, una parte degli schizzi cadde sulla terra, trasformandosi in gigli. Un altra parte, invece, arrivò su nel cielo dando luogo alla nostra galassia. Gli Egizi la paragonavano al Nilo: un fiume celeste formato dai chicchi di grano smarriti da Iside (la Luna) inseguita da un mostro. An-che per dagli Accadi della Mesopotamia era considerata un fiume celeste formato da polvere luminosa. L’analogia col fiume è presente anche nelle credenze arabe, ebrai-che, e degli aborigeni del-l’Australia. Le popolazioni autoctone d’egli Stati Uniti, gli indiani d’America, la chiamavano il “sentiero delle anime”; men-tre i Boscimani dell’Africa sud-occidentale, considerano ogni stella che la compone, un guerriero scomparso nel deserto. I Latini invece la paragona-vano alla scia lucente di una nave, la chiamavano “Palati-no del Cielo” e la considera-vano una cerniera che tene-va unito il cielo. I peruviani attraverso un’affascinante metafora le attribuivano il potere di far piovere.Nel Queensland la celebra-no con canti e danze in onore dei loro eroi; mentre gli indios dell’Amazzonia ne hanno elaborato una nutrita leggenda che spiegherebbe le loro origini. Terminiamo con i Kung che vivono nel deserto del Ka-lahari, i quali, per spiegarla, hanno ideato una curiosa metafora: per loro la Via Lattea è “la spina dorsale della notte”. Nel 1755 il filosofo Imma-nuel Kant fu il primo ad in-tuire la forma reale della Via Lattea. Fu, invece, Galileo, nel 1610, ad osservare che la nube “si scioglie” in migliaia di debolissime stelle. Gli ul-timi calcoli degli astronomi, prevedono una collisione galattica tra la Via Lattea e Andromeda tra circa tre miliardi di anni. In questo senso, possiamo dormire sonni tranquilli.

pagna spesso a formaggi freschi e piatti a base di yogurt. L’uso più comune, come si accennava prima, è quello di mescolarla cruda alle insalate ma, lessata, è ottima per torte, ravioli e minestre. Vediamo ora una ricetta semplice che vede l’utilizzo della borragine in cucina: le Conchiglie alla Borragine. Soffriggete una cipolla tritata in olio d’oliva e fatela im-biondire. Unite, poi, quattro-cento grammi di borragine fresca e ricoprite d’acqua. Cuocete per circa trenta mi-nuti salando e pepando. Ag-giungete duecento grammi di pasta a forma di conchiglie e cuocetele al dente. Servi-tele in tavola molto calde con, a piacere, l’aggiunta di pecorino grattugiato. Ma non è finita qui, la pianta di borragine ha in serbo per noi altre sorprese e sicuramente molto gradite alle donne. Bisogna sapere, infatti, che questa ricchissi-ma pianta è una delle più apprezzate in fitoterapia gra-zie all’elevato contenuto di acido gammalinoleico che hanno i suoi semi: una so-stanza indispensabile ad un buon funzionamento del no-stro corpo che, se è in buo-na salute, la produce sino ai trenta-quaranta anni, dopodi-ché la produzione corporea diminuisce sensibilmente. Le cellule della pelle, in-somma, trovano in questo acido il loro nutrimento essenziale garantendo morbi-dezza ed elasticità ai tessuti. L’utilizzo è importante nella prevenzione delle rughe. Basti pensare che in India veniva usata per curare la lebbra, ed alcuni studi han-no evidenziato che i neonati con l’eczema a cui era stato somministrato in piccole dosi olio di borragine nel biberon, nell’ottanta per cento dei casi l’eczema era scomparso.

BORRAGINEantica panacea

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Vespasianialla veneziana

Chi chiederà scusa?Circolava, negli anni del tramonto dell’impero sovietico e dei regimi comunisti, una storiella. Il redivivo Carlo Marx si presentava alla tele-visione russa e annunciava solen-nemente, a reti mondiali unificate: “Proletari di tutto il mondo, scusatemi!”. Ahimè, in tempi duri per tutta l’economia mondiale, ci sarà mai qualcuno tra i grandi (?) del globo ed i loro accoliti, tra i consiglieri ed i maghi della finanza, tra i manager di società fallite coperti d’oro, che chiederà scusa per previsioni sballa-te e decisioni disastrose?

Effetti collateraliNon succedeva dai lontani anni del-la guerra in Vietnam. Il numero dei soldati americani reduci dall’Iraq e dall’Afghanistan che si sono tolti la vita ha superato quello degli altri cittadini statunitensi. La notizia è

stata ammessa dallo stesso Ministero della Difesa, che ha ordinato una giornata speciale di attenzione e di sensibilizzazione anti suicidio. Un po’ in ritardo per i 143 soldati che nel 2008 si sono tolti la vita per depressione postbellica. Un costo aggiuntivo all’”esportazione” della democrazia!

“Profondamente addolorato”E’ stato uno degli ultimi atti del poco rimpianto Presidente Bush. Un comunicato ufficiale sul sito della Casa Bianca, appena sotto le notizie sulla crisi in Medio Oriente, ci faceva sapere di un Bush “pro-fondamente addolorato”. A suscitare

tanto dolore è stata la morte della gattina di famiglia. L’ex Presiden-te l’aveva soprannominata “India”. Cosa che aveva indispettito non poco alcuni cittadini indiani. Secondo quanto scritto da un gior-nale locale, infatti, 101 cani venne-ro chiamati, per dispetto, Bush. TelegiornalianoQualcuno l’ha battezzato “telegior-naliano”: una degenerazione della nobilissima lingua di Dante. Il cam-pionario è piuttosto ampio e deso-latamente ripetitivo: “allarme rosso”, “cauto ottimismo”, “livello di guardia”, “è giunto cadavere all’ospedale” (ma gui-dava lui?), “una vera e propria guerra”,

“ribadisce”, “auspica”, “invita”, “alzare i toni”, “abbassare i toni”, “la strada resa viscida dalla pioggia”, “la svolta nelle in-dagini” “il supertestimone” e la sempre popolare “colonnina di mercurio”, che spinge i turisti “a cercare refrigerio nelle fontane”. Disco incantatoNobilissimo compito, quello della politica. Decidere ed amministrare al meglio per il bene comune le risorse che i cittadini mettono a disposizione, malvolentieri, pagando imposte e tasse. Ma è così? L’impressione che ci viene data dalle stucchevoli dichia-razioni dei portavoce dei partiti ci induce a pensieri opposti. Si inventano dichiarazioni solo per apparire ai telegiornali, sempre le stesse, frasi vuote e di mera pro-paganda. Come un vecchio disco a 45 giri.

Tutti in coda agli Internet point. Chi e perché, vi domanderete. Il chi sono gli aspiranti visitatori della

città di San Marco. Magari per prenotare una visita ai musei, un passaggio in gon-dola o una notte in albergo, penserete. No, siete fuori strada, niente di tutto questo. Il perché è ben più “serio”. Dal mese di Febbraio del corrente anno una Delibera approvata dal Comune prevede una gabella d’ingresso ai servizi igienici pubblici. Usarli nei periodi “caldi” – la domenica o in alta stagione – costerà salato: tre euro al giorno! L’equivalente di tre caffè al bar. Già, ma cosa “ci azzecca” Internet, direbbe Di Pietro? Semplice: la gabella, se si fa la prenotazione in Rete, è ridotta a soli due euro. Sono previsti ovviamente prezzi speciali. Con una “Wc card” si possono sod-disfare i bisogni fisiologici per un’intera settimana alla modica cifra di nove euro in alta stagione. Invece che al museo uno può andare al gabinetto per ben sette giorni! Naturalmente sono previste facilitazioni per i residenti. Si

può fare pipì a soli 0,25 centesimi se si è in possesso della “Wc card abbonamento” che costa 3 euro. Anche gli ultrasessan-tenni possono andare gratis. Ma anche loro, in caso di bisogno impellente, de-vono arrangiarsi. Per entrare nei gabinet-ti pubblici è, infatti, necessaria, si legge nella delibera, “la Wc card gratuita di

validità quadriennale al costo di 3 euro”. E qui non si afferra agevolmente la congruità tra “gratuita” e “al costo di 3 euro”. Ma si sa, il Sindaco di Venezia è un noto filosofo, poco aduso alle sottigliezze giuridiche. Niente di nuovo sotto il sole. La stessa idea l’ebbe, circa duemila anni fa, l’imperatore Vespasiano. Il quale, alle critiche del figlio Tito, portando le monete sotto al naso, pronunciò le fatidiche parole “pecunia non olet”: il denaro non puzza! Co-munque vada, i “furbi” hanno già la soluzione. Se uno non prenota on line, non ha la tessera e non ha moneta, finirà per far la pipì nei bar, risparmian-do e bevendosi anche il caffè con gli stessi soldi. O magari, come succedeva anche prima, approfittare della prima calle semideserta a disposizione.

Talvolta, quando parliamo di un don na vec- chia e brut ta, di cia mo «È una ca ram -pa na». Siamo con vin ti di aver ne dato

solo una de fi ni zio ne un po’ scher zo sa men tre, di cer to sen za saperlo, le ab bia mo ri vol to un insulto ben più gra ve. La pa ro la ca ram pà na in- fat ti è un termine ve ne zia no e deriva da «Casa Rampani», in dialetto Ca’ Ram pa ni, un’an ti ca e ric chis si ma famiglia il cui ul ti mo rappresentante morì nel 1319 senza lasciare eredi. Estin ta così la fa mi glia, i beni mobili e immobili pas sa ro no alla Città di Venezia, che li gestì come sua pro prie tà. Nel 1421 il Governo, esa spe ra to dalle numerosissime pub bli che meretrici che, a qua lun que ora del giorno, espo ne va no la loro «merce» dai bal co ni dei palazzi posti proprio nel centro di Venezia e ad di rit tu ra a fianco delle più im por tan ti chiese, decise di trasferire le «professioniste» in un grup po di edifici ere di ta ti dai Ram pa ni e situati al termine della Calle de’ Bot tai, in zona cioè abbastanza lon ta na dai luo ghi di culto e fuo ri mano. Fu così che le re si den ti ven ne ro chia ma te Ca’ Ram pa ne, ed il ter mi ne di ven ne si no ni mo di pro sti tu ta. Nel ‘700, secolo abbastanza al le gro dal punto di vista morale, le al le gre don ni ne giovani e belle ri tor na ro no nel cuore della cit tà, e a Ca’ Rampani rimasero solo le più anziane e malri dot te, che lì vivevano come in un ospi zio:

per que sto il termine ca ram pà na giun to sino a noi, ha variato (ma non di molto) il suo poco elegante si gni fi ca to.Nel Veneto ha anche ori gi ne un’altra parola che so li ta men te usiamo non certo come compli-mento: burattino. Quan do diciamo di qualcuno che è un burattino, in di chia mo un personaggio dal ca rat te re debole, facilmente ma no vra bi le, spesso provvisto di un potere fasullo, solo ap pa ren te, che in realtà è in mano ad altri. Nello stesso modo, se invitiamo qualcuno (so li ta men te un ragazzino scal ma na to) a non fare il burattino, lo esortiamo a muoversi e a com por tar si in modo pacato, misurato ed edu-cato. Il ter mi ne deriva, pare, da buratto, un panno scuro a trama grossa che anticamente veniva usato dai contadini come mantella e materiale per fabbricare i fantocci da teatrino am bu lan te e dalle massaie come se tac cio per la farina: burattino quindi era detto sia chi in dos sa va tale povera stoffa, sia chi si muoveva agitato e scom po sto come un piccolo setaccio. Di certo sappiamo solo che Burattino fu una maschera popolare veneta del 500 raf fi gu ran te, nella Commedia dell’Arte, il secondo Zanni. Il primo era il servo furbo, il secondo quello com ple ta men te sciocco, rozzo e ignorante. A lui il Gattici nel 1628 de di cò una commedia: Le di sgra zie di Burattino.

E sempre a Venezia nac que il termine mario-netta, dal l’ori gi ne opposta a quella di caram-pana. Nella chiesa di san Pietro di Castello il 2 feb bra io, «Purificazione di Ma ria», dodici fanciulle belle, irreprensibili e serie, pro ve nien ti da famiglie indigenti, venivano accompagnate al l’al ta re dal Doge in persona, che donava loro dote e lus suo sis si mi abiti nuziali. Ma nel 944 dei pirati triestini en tra ro no in chiesa e rapi-rono le fanciulle, insieme ai cofani contenenti le loro doti. Il doge Pietro di Candiano, alla testa degli sposi, si mise al l’in se gui men to dei pirati, che ven ne ro uccisi e gettati a mare, mentre le fanciulle vennero liberate. Da quel giorno, il 2 feb bra io venne battezzato la «Festa delle Marie». Ma dato che, col passar degli anni, la ce ri mo nia divenne sempre più sfar zo sa e costosa, il Go ver no decise di sospendere quei ma tri mo ni a carico della cit tà, mantenendo però la tra di zio ne sostituendo le fanciulle con dodici grosse figure di legno rappresentanti le ver gi ni ra pi te. Il popolo non gradì la cosa, e lanciò contro quelle ma rio ne (grosse Ma rie) fi schi e urla, cavoli e rape. La festa fu abo li ta de fi ni ti va men te nel 1379, ma sino alla fine del’700 gli ambulanti per ri cor da re la fe sta del 2 feb bra io fecero affari d’oro ven den do statuette di le gno raf fi gu ran ti le Marie, e che si chia ma va no marionette.

Gli spilli di Erasmo

MITÌ VIGLIERO

Carampane, burattini e marionette

Nazzareno Capodicasa

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Il 30 gennaio u.s., a Percoto in provincia di Udine, si è tenuta la trentaquattresima edizione del Pre-

mio Nonino. Il premio vuole essere un riconoscimento a quegli autori che, con i loro scritti, si interessano, sotto vari aspetti, della civiltà contadina. Dal-la salvaguardia del patrimonio culturale costituito dalla storia e dalle tradizioni del mondo rurale, alla difesa e promo-zione di quanto ne rimane. Ma è anche un riconoscimen-to per chi è testimonianza vivente di questa realtà, vale a dire un riconoscimento per quelle comunità che, nono-stante lo schiacciante predo-minio delle multinazionali nelle coltivazioni intensive, ancora resistono coltivando piccoli appezzamenti con me-todi per gran parte di tipo tradizionale, conservando così alcuni prodotti integri nelle loro biodiversità. Quest’anno sono stati premia-ti: lo storico inglese Hugh Thomas, la scrittrice africana Chimanda Ngozi Adichie e l’economista, sociologa e documentari-sta francese, Silvia Pérez-Vitoria. I ri-conoscimenti sono stati assegnati dalla giuria presieduta dal premio Nobel per la Letteratura 2001 Naipaul e composta da Adonis, Brook, Banville, Bernardi, Cendali, Damasio, Le Roy Ladurie, Lovelock, Magris, Manea, Morandini, Morin e Olmi. A Hugh Thomas è stato assegnato il Premio “Un Maestro del nostro tem-po”, per la “luce magica e il tocco umano” con i quali “rende la storia accessibile”. A Ngozi Adichie è andato, invece, il Premio Internazionale Noni-no per aver raccontato “gli orrori di una guerra africana che si è combattu-ta prima della sua nascita”, straordina-rie pagine “intrise di pietas domestica e

d’amore per la sua terra”. A Perez-Vito-ria, infine, e’ stato attribuito il Nonino 2009 per “aver fatto della questione contadina e della difesa di quei valori e saperi ancestrali il fulcro del proprio lavoro”. La giuria, inoltre, ha attribuito il Premio Nonino Risit d’Âur 2009 ai malgari della Carnia.Lord Hugh Thomas, ha 76 anni ed è uno storico di chiara fama. Il suo

primo libro, La Guerra Civile Spagnola, pubblicato nel 1961, ha ottenuto un grosso successo editoriale; ripubblicato in numerose edizioni, ormai è conside-rato un classico del suo genere. Dopo di allora, ha pubblicato numerosi saggi riguardo al mondo iberico e alla sua influenza su quello latino-americano. A Percoto, ha ottenuto il premio Nonino per Il Commercio degli Schiavi, una ricer-ca storica ritenuta dalla critica e dai lettori un’opera affascinante di grande spessore storiografico. Si tratta di un resoconto puntuale della tratta degli schiavi dal quindicesimo al diciannove-simo secolo. Metà di un Sole giallo è il romanzo che è valso il premio a Chimamanda Ngozi Adichie, nata in Nigeria nel 1977. Rac-conta la storia dei rapporti conflittuali

di Kambili, giovane nigeriana, con il padre. Questi, in casa è severo e ligio alle sue tradizioni religiose, che voglio-no i figli sottomessi completamente alla volontà paterna, ma fuori, essendo giornalista, si fa difensore delle libertà democratiche andate perdute dopo il colpo di stato. Silvia Pérez-Vitoria, vive a Parigi quan-do non va in giro per il mondo, è

nota per la sua coerente e bat-tagliera difesa del mondo conta-dino e dei suoi valori e saperi ancestrali. Economista, sociologa e documentarista, ha dato voce alla quotidiana lotta per la sopravvivenza di chi lavora la terra nelle zone più povere del pianeta, certa che soltanto una società in grado di assicurare l’esistenza del mondo contadino e della sua straordinaria cultu-ra potrà garantirci un futuro non alienante. Ne Il ritorno dei Contadini, saggio per il quale è stata premiata con il Nonino, la studiosa, sostiene: «Perdere l’agri-coltura, perdere la terra significa perdere la propria indipendenza,

il proprio sapere. Non è solo questione di lavoro: sono coinvolti tutti i livelli dell’esistenza umana».I malgari di Carnia hanno ricevuto il premio per la loro indomita volontà di rimanere attaccati alla loro terra, al duro e prezioso lavoro che salvaguardia antiche colture e tradizioni avite. Gior-gio Ferigo, uomo di cultura carnico friu-lano, in Malghe e Malgari dedica il saggio Mucche, uomini, erba agli ultimi Malgari delle montagne carniche che resistono, rimanendo caparbiamente a vivere e lavorare là dove sono nati, in nome di un sentimento chiamato “passion”. Senza di loro non ci sarebbe più memoria di un mondo antico fatto di tecniche, abilità, valori. “Resterebbe soltanto un desolato deserto umano perché la fine della civiltà contadina, in montagna, viene spesso rimpiazzata dal nulla”.

ANTICA PREMIATA civiltà contadina

FRATEMARCO

Nel nostro linguaggio vita è esperienza, resurrezione è metafora. Vita è il bene di base, resurrezione è al mas si mo recupero di qualcosa che si era

perduto. Ma Gesù, quando usa queste due pa ro le, va molto al di là del si gni fi ca to corrente come si può giudicare da questo te sto: «Gesù disse loro aper ta men te: ‘Lazzaro è morto e io sono molto contento per voi di non essere stato là, per ché voi crediate. Orsù andiamo da lui!’… Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel se pol cro. Betania distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle del loro fratello. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece sta va seduta in casa. Marta dis- se a Gesù: ‘Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sa reb be morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chie de rai a Dio, egli te la con ce de rà’. Gesù le disse: ‘Tuo fra tel lo risusciterà’. Gli rispose Marta: ‘So che risusciterà nell’ultimo gior no’. Gesù le disse: ‘Io sono la re sur re zio ne e la vita; chi crede in me, an che

se muore vi vrà; chiun que crede e vive in me, non morirà in eter no. Credi tu questo?’ Gli rispose: ‘Sì, o Si gno re, io credo che tu sei il Cri sto, il Fi glio di Dio che deve venire nel mondo’» Gv. 11, 1-45.La vita, qui garantita da Gesù, non è semplice as si cu r-a zio ne di un esistenza piena e felice ma qualcosa di unico e diverso che egli solo è in grado di dare e che egli offre a chi ri co no sce la segreta entità di cui egli è portatore, come se di ces se: Se indovinate la mia vera natura, a parte il mio essere uomo che nessuno può mettere in dubbio, e mi accettate per quello che sono nel mio essere profondo, avrete questa mia stes sa vita che è quella che vivo dall’eternità col Padre.Infatti, quando chiede ai suoi intimi: «Che cosa pensa la gen te di me? » e la risposta è che lo considerano qual-cosa di uma na men te grande, egli sorvola su questo aspetto perché que sto giudizio non lo in te res sa affatto; quan do poi in si ste: «Ma voi chi dite che io sia? » ed essi lo di chia ra no Figlio del Dio vero, al lo ra chia ra men te esulta per la sco per ta che essi hanno fatto del la sua vera entità.

Resurrezione e vita TEOBALDO RICCI

“Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Ma-ria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere in-sieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Da-vide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati». Desta-tosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore...” (Matteo 1,16.18-21.24). “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo”. In queste parole è racchiuso tutto il mistero della vita di S. Giu-seppe, e la sua vera grandezza. Esse indicano che Giuseppe fece dell’ob-bedienza al Signore la spina dorsale della sua esistenza. Questa esistenza inizia in senso vero e proprio, quando viene notificato a Giuseppe la sua missione, cioè il pro-getto che Dio aveva su di lui: divenire il custode del mistero del Figlio di Dio che si fa uomo e quindi della Vergine Madre di Dio. Gli è chiesto di entrare in un mistero sconvolgente quasi schiacciante nella sua grandezza. Egli acconsente. E qui scopriamo la vera sorgente dell’obbedienza di Giu-seppe, la sua fede. Egli obbedisce, partendo - per così dire - per una meta che non conosceva. L’idea che noi tutti oggi abbiamo di autonomia, di libertà potrebbero suscitare in noi una reazione negativa di fronte a questo modo di pensare, progettare, vivere la propria esistenza, quello di Giuseppe. In realtà, egli ci insegna la vera strada che ci porta alla nostra autorealiz-zazione. Nessuno di noi esiste per caso. Dio ha su ciascuno di noi un suo proprio disegno. E’ la fede che genera l’obbedienza, che ci fa entrare nell’idea che Dio ha di ciascuno di noi fin dall’eternità e così da servi diventiamo liberi figli. Giuseppe è stato voluto e scelto da Dio proprio per essere il custode di Gesù e di Maria: come egli vide chiaramente che questo era il significato della sua esistenza, egli subito “fece come gli aveva ordinato l’angelo”. Portare a compimento la propria missione, porsi interamente a sua disposizione, significa realizzare se stessi e quindi giungere alla piena libertà. Giuseppe è un vero testimone della verità dell’uomo, poiché ci inse-gna che cosa significa essere liberi. In forza poi della sua obbedienza credente o fede obbediente, Giuseppe entra in una comunità di persone che è unica: entra in un rapporto interpersonale con Gesù e Maria. Egli nei confronti di Gesù dovrà essere come un padre; nei confronti di Maria, egli è sposo in senso vero e proprio. Ed in questa comunità di persone, come si compor-ta Giuseppe? Leggendo attentamente le pagine del Vangelo, vediamo che il suo è un comportamento di servi-zio completo. Dall’obbedienza a Dio deriva, nella dimenticanza totale del falso se stesso, l’obbedienza-servizio reciproco. Guardando questo santo, come non ricordare le parole di S. Paolo: “Ognuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Non cerchi ciascuno il proprio interesse, ma anche quello degli altri”.

Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo

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Da poche settimane (ilvaro sperimentaleporta la data del 10

gennaio 1959, il lancio uffi-ciale quella del 3 febbraiosuccessivo) ha compiuto icinquant’anni “Tutto il cal-cio minuto per minuto”, latrasmissione che oltre a con-solidare notevolmente la pre-senza della radio nel trantran del nostro Paese, hacontribuito in maniera rile-vantissima al via via semprepiù accentuato radicamentodella passione per il footballnegli italiani.Il programma venne “inven-tato” da Guglielmo Moretti.La formula iniziale era diver-sa dall’attuale. Il meccanismodel “resoconto” in direttascattava allora soltanto all’av-vio dei secondi tempi dellepartite; sulla cronaca “dalcampo principale” si inne-stavano brevissimi gli inter-venti dagli altri stadi, con unospazio riservato pure ad unmatch della serie B in un’epo-ca nella quale tutti gli incon-tri/scontri della massima divi-sione e di quella cadetta sisvolgevano contemporanea-mente alla domenica pomerig-gio. Come “voce” della B di-ventò presto popolare EzioLuzzi per il tipo delle sue “ir-ruzioni”: le quali sembravanopreoccupate sì di segnalare icambiamenti di situazioni epunteggi, ma soprattutto difar presente che anche la “ca-detteria” aveva una sua di-gnità, suoi diritti non riducibi-li a briciole riservate a una…realtà minore. Nelle ultimecinque giornate del campiona-to, sempre nel periodo inizialedell’andata in onda nel pro-gramma, di solito tutto ilmarchingegno veniva sospesoper non influenzare l’anda-mento delle partite con l’of-ferta alle squadre particolar-mente impegnate nella “lot-ta” per la salvezza o per loscudetto, indicazioni sugli at-teggiamenti “più opportuni”da tenere in vista dell’obietti-vo da ciascuna di esse perse-guito. Va rammentato che al-lora i cellulari dovevano an-cora essere inventati e che an-che le comunicazioni telefoni-che sulle normali linee nonerano agevoli.Di pari passo con il progressodella tecnica “Tutto il calcio”è diventato davvero un “rac-conto minuto per minuto”,in tempo reale, del gioco incorso su ciascuno dei “rettan-goli verdi collegati”. E difronte al continuo accentuarsidell’interesse degli appassiona-ti, il servizio, originariamentelimitato ai campionati nazio-nali, si è dilatato a tutti glieventi footbalieri di un certospessore, collocati sia nei gior-ni festivi che in quelli feriali.

(A. Cel.)

anni di gol e emozioniminuto per minuto

““

Fuori dalla Champions League, “costretto”ad accontentarsi della partecipazione allaCoppa Uefa, in combutta con Inter e con

Juventus nella caccia allo scudetto tricolore,estromesso anzitempo dalla Coppa Italia, in que-sta stagione calcistica il Milan si è comunquegià assicurato la “palma d’oro” della visibilitàmediatica: che non è sicuramente poca cosa inuna società che bada più all’apparenza che allasostanza e che sulle apparenze fa non pochi deipropri affari. Tra la tarda estate e l’inizio del-l’autunno ci fu la “telenovela” di Ronaldinho,che ora era dato in arrivo e ora no dal Barcello-na, dove ormai non si trovava più a suo agio (eneppure andava frequentemente in campo). Fi-nalmente arrivò. Se ne scappò quasi subito inCina per le Olimpiadi. Ritornò non “vincitore”secondo le sue speranze, ma comunque in con-dizioni tali da poter abbastanza presto far senti-re il suo apporto alla squadra. Nell’imminenza del Natale tenne banco l’arri-vo “provvisorio” di David Beckham, ex delManchester United, ex del Real Madrid, in for-za al Los Angeles Galaxy ma alla ricerca della

possibilità di giocare pure nei mesi invernali(quando negli Usa il football si ferma) per re-stare nel mirino di Fabio Capello e nella pro-spettiva di un posto nella formazione inglese ai“Mondiali” in programma in Sud Africa nel2010. Di tutto questo, però, si parlò piuttostopoco: uomo-immagine per eccellenza, affianca-to dalla moglie Victoria, ex Spicegirl ancora conampio seguito massmediatico, David Beckhamattirò attenzioni sulla sua persona - e ovviamen-te pure sul Milan - specialmente per i suoi gua-dagni extracalcistici, in quanto testimonial di pre-stigiose marche di prodotti di alto, ampio e qua-lificato consumo. Professionista serio nel giocodel pallone, il popolarissimo “asso” britannico inpiù occasioni si è poi dimostrato utile per CarloAncelotti anche negli stadi, sui “tappeti” erbo-si più o meno recentemente rizollati.A metà gennaio - sempre a beneficio della visi-bilità del Milan al di là dei suoi risultati pallo-nari - è esploso il “caso” di Riccardino Kakà, ri-chiesto dal Manchester City passato in proprietàa uno sceicco disposto a spese “folli” per rilan-ciarlo. Per qualche giorno si è avuto un ballet-

to di cifre favolose: dai 100 ai 130 milioni di eu-ro per il cartellino dell’atleta (di proprietà delMilan), quindici/venti milioni di euro all’annoall’atleta stesso come “salario” annuo. Quandotutto sembrava destinato ad andare in porto, èemerso il no, il “gran rifiuto” di Kakà a fare levaligie. I tifosi si sono abbandonati alla festa do-po la vibrata protesta per la sua ventilata par-tenza. Il Milan, che prima aveva ammesso l’im-possibilità di rifiutare certe “irripetibili” offertesi è detto felice di poter riannoverare Kakà tra isuoi, elogiando - per bocca di Silvio Berlusconi,patron rossonero oltre che capo del governo ita-liano - l’attaccamento al club dimostrato dal cal-ciatore brasiliano. Qualche cronista ha trovatomateria per imbastire una “storia da libro‘Cuore’”, benché gli ingredienti non fossero pro-prio sicuramente del tutto in linea con tale in-terpretazione. Alcuni esperti del settore calcisti-co hanno fatto presente che Kakà è, in ogni ca-so, rimasto in una troupe come il Milan (che nonè un club qualsiasi) e continuerà a guadagnareper contratto (sino al 2013, con possibili ritoc-chi al rialzo) almeno 9 milioni di euro all’anno.

Tam tam mediaticotitolo al Milan

Pur nei mutamenti dell’im-postazione, in “Tutto il cal-cio minuto per minuto” è

sempre rimasta di spicco la figu-ra del “conduttore” dallo “stadiocentrale”. Tale ruolo fu assolto,con garbo, sobrietà e cortese de-terminazione nel tenere in rigai colleghi sparsi per l’Italia, daRoberto Bortoluzzi (decedutonel 2007) dal 1959 al 1987.Con i loro stili ma con egualesignorilità di modi e rigore di re-gole, gli subentrarono poi (dal1987 al 1992) Massimo De Lu-ca - l’attuale presentatore della“Domenica sportiva” in tv, rien-trato alla Rai dopo una lungaparentesi sulle reti Mediaset conla qualifica di responsabile deiservizi sportivi, ora avuta purenell’emittente di Stato - e (dal1993) Alfredo Provenzali: que-st’ultimo, validissimo radiocro-nista, esperto di pallanuoto e diciclismo oltre che di calcio, èancora al timone (dallo “studiocentrale” della trasmissione).Per sottolineare i cinquant’annidel popolare programma, Ra-diouno - la rete che lo ha sem-pre ospitato - ha deciso di darluogo ad un “amarcord” con pe-riodici spazi trovati nell’ambitodi “Zona Cesarini”, la trasmissio-ne a carattere sportivo in ondatutte le sere dalle 21 alle 23, dallunedì al giovedì. I microfoni so-no stati aperti ai radioascoltato-

ri e agli ex protagonisti di “Tuttoil calcio minuto”. Si è aperta co-sì la possibilità di riascoltare al-cuni di coloro che per anni, ognidomenica, si fecero sentire daquesta o quella città italiana -con qualche “Scusa Ciotti”,“Scusa Ameri” - per dire che sot-to i loro occhi Mazzola o Rivera,Platinì o Riva avevano fatto gol;adesso che sono in pensione, co-storo hanno tanti aneddoti da ri-velare. Finalmente - in uno dei“siparietti” di “Zona Cesarini” - hafatto sentire la propria voce pu-re Gioia Paolini, per decennimobilitata nelle quinte della ra-dio nella organizzazione della

trasmissione. Ha segnalato chela sigla primordiale di “Tutto ilcalcio” era un brano eseguito dal-l’orchestra di Glenn Miller. Sulfinire degli anni ‘70 del ‘900 -“quando cambiarono un’infinità dicose” - fu adottata la sigla attua-le (un brano intitolato “sapore dimiele”), che lei stessa andò a ri-pescare negli archivi della Raidopo che era stata messa da par-te da un altro programma inti-tolato “Musica e sport”. Ha com-mentato Enzo Foglianese, ex ra-diocronista: “È molto bella que-st’ultima sigla, perché dà l’impres-sione di tamburi che picchiano al-le porte delle case degli italiani perfarvi entrare il calcio”. Si può ri-levare che il football, a questopunto, si è fatto largo anchetroppo, non solo nelle case.Nello scorso autunno - come siricorderà - alla vigilia dell’ap-prodo sotto lo striscione delmezzo secolo, “Tutto il calcio” ha

rischiato di chiudere ingloriosa-mente la propria esistenza acausa del non raggiungimentodi un’intesa sui diritti di trasmis-sione tra la Rai e la Lega delfootball professionistico al piùalto livello. Le “voci” del “peri-colo” incombente provocaronouna specie di sollevazione popo-lare, a dimostrazione delle at-tenzioni che il programma con-tinua ad incontrare.A modo suo, già tra il finire de-gli anni ‘50 e l’avvio degli anni‘60 del ‘900 “Tutto il calcio”, neipomeriggi domenicali, riuscivaa coagulare l’intera Italia calci-stica, rendendola interattiva,compartecipe di eventi agonisti-ci in atto in punti diversi dellapenisola e delle isole. Oggi lagente cammina nelle città e neipaesi con il cellulare all’orec-chio. Allora per tutti, o quasi, glisportivi era indispensabile ave-re in tasca la radiolina a transi-stor da tenere accesa in casa, sulpullman o sul tram, nello stadio,per conoscere “all’istante” quel-lo che accadeva alla squadra delcuore ed a ciascuna delle sue piùdirette rivali (nell’ansia dellasalvezza oppure nella corsa alloscudetto). Non di rado furonogli annunci giunti con “Tutto ilcalcio” a determinare “feste” o“abbandoni allo sconforto” collet-tivi negli stadi. Per la verità, ac-cade ancora adesso, in notevo-le misura, tutto questo: anche seormai ci sono i tabelloni elet-tronici che la fanno continua-mente da manifesti e i gol, or-mai, si possono pure subito os-servare sui telefonini, più o me-no moviolati.

Adolfo Celli

Orecchioalla radio

Riccardo Kaka, una scelta di cuore:

resta al Milan“accontentandosi” di 9 milioni di euro

a stagione.

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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch Fanatico è chi che non può cambiare idea e non intende cambiare argomento.

Winston Churchill

Se il tuo problema si può risolvere, perché ti preoccupi? Se invece non si può risolvere, perché ti preoccupi?

Anonimo

Il Italia intorno alle ore 6,49e tramonta intorno alle 17,58.Il 15 marzo sorge mediamente in Italia intorno alle ore 6,25e tramonta intorno alle 18,15.Il 31 marzo sorge mediamente in Italia intorno alle ore 5,57e tramonta intorno alle 18,34.

Questo numero è andato in stampa il 12 febbraio del 2009.

Richiedere a: E.F.I. - via Marco Polo, 1bis

06125 Perugia Tel. 075.506.93.42 - Fax 075.505.15.33

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Nei campiSi possono seminare patate, bar-babietole, girasoli e mais (solo se la temperatura media è intorno ai 10°). Attenzione alle brinate tardi-ve. Eventuale erpicatura per terreni da seminare a grano. Ricordarsi che le barbabietole da zucchero vanno seminate su terreni preparati a dove-re, impiegando il seme monogerme; per la concimazione poi ogni ettaro abbisogna di 100 unità di fosforo, 50 di azoto e 80 di potassio. Negli ortiTogliere le prime erbacce, possibil-mente con il sarchiello e non con i diserbanti. Seminare, rispettando le particolari rotazioni, cavoli, patate, cipolle, pomodori, cicoria, carote, fi nocchi, insalate, prezzemolo, basi-lico, fagioli, piselli, ravanelli, rucola, bietole, carciofi , meloni, cocomeri. Potare e riordinare le erbe medicinali. Trapiantare ciò che avete seminato

in luoghi protetti. Seminare o trapiantare le erbe offi cinali in

genere. Proteggere con vari sistemi le colture più delicate da gelate imprevi-ste o tenerle ancora a dimora. Inizia la gemmatura degli alberi da frutto. Continua la potatura. Togliere alle viti i tralci che hanno dato frutto e concimate con concimi ricchi di potassio.Nei terrazzi e nei giardiniFioriscono, oltre le primule, le azalee. Mese adatto per i travasi con cambia-mento del terriccio. Si dà inizio con molta cura i trapianti. Si ripuliscono dai rami secchi e si potano i gerani. Si termina la potatura delle ortensie e delle rose, riconcimando il terreno. In questo mese, si può seminare e piantare quasi di tutto. S’innestano azalee, camelie, gelsomini, glicini e mimose. In cantinaControllare i rimbocchi. Mese adatto per acquistare vino della vendemmia trascorsa, da imbottigliare poi per proprio conto, dopo una ventina di giorni di riposo.

Testi a cura di fratemarco

Minchiarieddri (maccheroncini)Ingredienti per 4 per so ne: 1 kg di farina di grano duro, tre etti di ricotta salata, 1 kg di pomodori da sugo, due spicchi d’aglio, olio extra vergine d’oli-va e qualche foglia di basilico.Si fa un bell’impasto di acqua e farina, che deve risultare vellutato. Andrà poi schiac-ciato con il matterello fino a ottenere una sorta di torta di circa 1/2 cm di altezza, quindi si ritaglieranno delle strisce di circa 5 centimetri di lunghezza che andranno infine arrotolate. Una volta spolverati di farina, vanno lasciati ad asciugare. Cuocerli in abbondante acqua salata e condirli con una salsa a base di aglio, olio e pomodori. Spolvera-re di ricotta grattugiata e qualche foglia di basilico sminuzzata.

GUARANÀ(Paullinia cupana K.)

Della famiglia delle Sa pin da cee, è una pianta coltivata in Bra- si le per le sua spiccata azione to ni ca e ner vi na net ta men te su pe rio re al caffè. Con tie ne una quan ti tà di caffeina dalle tre alle cin que volte rispetto al caffè. I suoi semi han no la di men sio ne di una noc cio la e sono con te nu ti in una sor ta di bac cel lo pi ri for me. Gli in di ge ni del l’Amaz zo nia bra si lia na sono soliti uti liz zar la in una spe cia le pasta in du ri ta, che essi stes si pro du co no, con ag giun ta di fa ri na di man dio ka, al tre farine e polvere di ca cao. Una vol ta in du ri ta con un pro ces so di cot tu ra par ti co la re la pasta di gua ranà si man tie ne inal te ra ta per anni. La pa sta, del co lo re del cioc co la to, vie ne con su ma ta ridotta in pol ve re e me sco la ta con del l’ac qua zuc che ra ta, nella misura di un cuc chia i no per ogni bic chie re. La be van da va con su ma ta fred da. Oltre ad avere azio ne sti mo lan te è astrin- gen te per il suo re la ti va men te alto con te nu to di tan ni ni. Si può con su ma re an che sot to for ma di in fu so.

PASTA PER DUE GIORNICalate una doppia razione di pa sta e quando sarà cotta al den te e scolata conditene la metà con un cucchiaio d’olio d’oliva (per non farla ap pic ci ca re) e ri po ne te in frigorifero. Al mo men to di usar la basterà ver sar la in pa del la con il sugo

già cal do e me sco la re per al cu ni mi nu ti.

ABBONARSI È FACILEBasta versare sul Conto Corrente postale 4069 intestato a:

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“Marzo tinge e April dipinge.”“A Marzo chi non ha scarpe semini scalzo.”“Chi mise marzo in primavera fece male.”“Marzo pazzerello, guarda il sol e apri l’ombrello.”“Marzo asciutto, ricco frutto.”“Marzo nuvoloso, aprile piovoso.”“San Benedetto, la rondine sotto il tetto.”“Dopo tre nebbiate, acqua e neve aspettate.”“Marzo da le chiocce, tant’al dì quant’a la notte.”

MARZO“Io son Marzo che vengo

col vento, col sole e l’acqua e nessuno è contento;

vo pellegrino in digiuno e preghiera cercando invano la primavera.”

Un’usanza siciliana molto toccante va sotto il nome di “Fari il San Giuseppe”. Il 19 marzo, festa di San Giusep-pe, in memoria della strage degli innocenti e della fuga della Sacra Famiglia in Egitto, in alcune parti dell’isola, si invitano a pranzo i bambini delle famiglie più bisognose, che per l’occasione vengono chiamati i virgineddi. Si mangia, per tradizione, pasta e ceci oppure riso con fagioli e finocchietti, cardi con acciughe, filetti di baccalà fritti nell’olio d’oliva, “zippuli”, una sorta di frittelle dolci, e si dona un’arancia ad ogni bambino. C’è chi consuma il pasto partendo dall’arancia a risalire. Al centro della ta-vola apparecchiata si sistema, per devozione, un quadretto che rappresenta San Giuseppe e Gesù Bambino.

I virgineddi di San Giuseppe

Richiedere ai numeri telefonici:TEL. 075.506.93.42 FAX 075.505.15.33o scrivere a:Frate Indovino - via Marco Polo, 1bis 06125 - Perugiao alla casella E-mail: [email protected]

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San Giuseppe (festa dei papà) Si celebra il 19 marzoDi Giuseppe, sposo di Maria di Nazareth e padre putativo di Gesù, sappiamo ciò che di lui narrano i Vangeli. Paolo VI, nel-l’Allocuzione del 19 marzo ’69, lo definì “modello degli umili, che il cristianesimo solleva a grandi destini”. Infatti, Giuseppe, discen-dente della stirpe di Davide, ac-cettò con umiltà l’incarico divino che gli trasmise l’angelo. Pur non essendo quindi il padre naturale di Gesù, il buon Giuseppe, si com-porterà nei suoi riguardi meglio che se lo fosse stato, dimostrandosi anche sposo devoto e premuroso. Oggi la Chiesa lo ritiene non solo Patrono della famiglia, ma il buon protettore della stessa Chiesa universale, dal momento che essa stessa è figlia della Sacra Famiglia. Patrono anche degli ar-tigiani e dei lavoratori tutti, viene ricordato il 1° maggio.

UOVAUn codice alfa numerico identifica le uova di gallina d’allevamen-to. Il primo numero indica la tipologia dell’allevamento: “0” per l’allevamento biologico, che prevede er ogni gallina almeno 10 metri quadrati su un terreno all’aperto provvisto di vegetazione; “1” per quello all’aperto con un minimo di 2,5 metri quadrati con vegetazione; “2” per quello a terra, che prevede 7 galline per 1 metro quadrato su terreno coperto di paglia o sabbia in ca-pannoni privi di finestre e luci sempre accese; “3” in gabbia con 25 galline per metro quadro. Le seconde due lettere indicano la provenienza o codice dello stato, “IT” sta per Italia. Le tre cifre successive indicano il codice ISTAT del comune dove è ubicato l’allevamento e le due lettere vicine la provincia di produzione. Un numero progressivo di tre cifre consente di identificare in modo univoco l’allevamento di provenienza in cui la gallina ha deposto l’uovo. Numerose ricerche hanno evidenziato un maggiore contenuto di acido folico e di vitamina B2 nelle uova provenienti

da galline allevate all’aperto, rispetto a quelle ottenute in allevamenti intensivi.