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CENTRO ALTI STUDI
PER LA DIFESA
CENTRO MILITARE
DI STUDI STRATEGICI
Marco Massoni
Tendenze nell'impiego dell'EU Emergency Trust-
Fund Africa: rapporto con i fondi europei per lo
sviluppo, aspetti securitari e condotta dei Paesi
di transito
(Codice AO-CC-02)
Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.), costituito nel 1987 e situato presso Palazzo
Salviati a Roma, è diretto da un Generale di Divisione (Direttore), o Ufficiale di grado
equivalente, ed è strutturato su due Dipartimenti (Monitoraggio Strategico - Ricerche) ed un
Ufficio Relazioni Esterne. Le attività sono regolate dal Decreto del Ministro della Difesa del
21 dicembre 2012.
Il Ce.Mi.S.S. svolge attività di studio e ricerca a carattere strategico-politico-militare, per le
esigenze del Ministero della Difesa, contribuendo allo sviluppo della cultura e della
conoscenza, a favore della collettività nazionale.
Le attività condotte dal Ce.Mi.S.S. sono dirette allo studio di fenomeni di natura politica,
economica, sociale, culturale, militare e dell'effetto dell'introduzione di nuove tecnologie,
ovvero dei fenomeni che determinano apprezzabili cambiamenti dello scenario di sicurezza.
Il livello di analisi è prioritariamente quello strategico.
Per lo svolgimento delle attività di studio e ricerca, il Ce.Mi.S.S. impegna:
a) di personale militare e civile del Ministero della Difesa, in possesso di idonea esperienza
e qualifica professionale, all'uopo assegnato al Centro, anche mediante distacchi
temporanei, sulla base di quanto disposto annualmente dal Capo di Stato Maggiore dalla
Difesa, d'intesa con il Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli
Armamenti per l'impiego del personale civile;
b) collaboratori non appartenenti all'amministrazione pubblica, (selezionati in conformità alle
vigenti disposizioni fra gli esperti di comprovata specializzazione).
Per lo sviluppo della cultura e della conoscenza di temi di interesse della Difesa, il
Ce.Mi.S.S. instaura collaborazioni con le Università, gli istituti o Centri di Ricerca, italiani
o esteri e rende pubblici gli studi di maggiore interesse.
Il Ministro della Difesa, sentiti il Capo di Stato Maggiore dalla Difesa, d'intesa con il
Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti, per gli argomenti di
rispettivo interesse, emana le direttive in merito alle attività di ricerca strategica, stabilendo
le lenee guida per l'attività di analisi e di collaborazione con le istituzioni omologhe e
definendo i temi di studio da assegnare al Ce.Mi.S.S..
I ricercatori sono lasciati completamente liberi di esprimere il proprio pensiero sugli
argomenti trattati, il contenuto degli studi pubblicati riflette esclusivamente il pensiero dei
singoli autori, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o
civili alle quali i Ricercatori stessi appartengono.
(Codice AO-CC-02)
CENTRO ALTI STUDI
PER LA DIFESA
CENTRO MILITARE
DI STUDI STRATEGICI
Marco Massoni
Tendenze nell'impiego dell'EU Emergency Trust-
Fund Africa: rapporto con i fondi europei per lo
sviluppo, aspetti securitari e condotta dei Paesi
di transito
Tendenze nell'impiego dell'EU Emergency Trust-Fund Africa:
rapporto con i fondi europei per lo sviluppo, aspetti securitari
e condotta dei Paesi di transito
NOTA DI SALVAGUARDIA
Quanto contenuto in questo volume riflette esclusivamente il pensiero dell’autore, e non
quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali
l’autore stesso appartiene.
NOTE
Le analisi sono sviluppate utilizzando informazioni disponibili su fonti aperte.
Questo volume è stato curato dal Centro Militare di Studi Strategici
Direttore f.f.
Col. AAran Pil. Marco Francesco D’ASTA
Vice Direttore - Capo Dipartimento Monitoraggio Strategico Col. AAran Pil. Marco Francesco D’ASTA
Progetto grafico
Massimo Bilotta - Roberto Bagnato
Autore
Marco Massoni
Stampato dalla tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa
Centro Militare di Studi Strategici
Dipartimento Relazioni Internazionali
Palazzo Salviati
Piazza della Rovere, 83 - 00165 – Roma
tel. 06 4691 3205 - fax 06 6879779
e-mail [email protected]
chiusa a novembre 2019
ISBN 978-88-31203-35-7
5
INDICE
Il Fondo Fiduciario dell’Unione Europea per l’Africa (EU Trust Fund for Africa) 6
Il Vertice della Valletta sulle Migrazioni 8
I Fondi Fiduciari dell’Unione Europea 11
Struttura e funzionamento degli EUTF 12
Finanziamenti dell’EUTF 15
Africa-Europa: il Programma Panafricano e l’Alleanza per il Sahel 20
Valutazioni del Parlamento Europeo e Corte dei Conti Europa sull’EUTF 23
Rimesse della Diaspora africana 28
L’Agenda Europea sulla Migrazione 31
Migrazioni e mobilità umana: il binomio Pace & Sicurezza e i Processi di Rabat e di Khartoum
35
Il Sahel 38
Programmi EUTF nella Finestra Sahel e Regione del Lago Ciad e Fondo Africa italiano. 47
EUTF: aspetti innovativi e criticità intrinseche. 55
Raccomandazioni e conclusioni 62
BIBLIOGRAFIA 66
NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SULL’AUTORE 70
6
Il Fondo Fiduciario dell’Unione Europea per l’Africa (EU Trust Fund for
Africa)
Il Fondo fiduciario di emergenza dell’Unione Europea per la stabilità e la lotta contro le
cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa (Fondo
fiduciario dell’UE per l’Africa) – European Union Emergency Trust Fund (EUTF)1 – è stato
istituito in occasione del Vertice sulla migrazione2, tenutosi a La Valletta (Malta) l’11 e il 12
novembre 2015, dai partner europei e africani.
L’obiettivo principale del Fondo e di aiutare a promuovere la stabilità nelle regioni
africane interessate e contribuire a una migliore gestione della migrazione, nel tentativo di
affrontare le cause profonde della destabilizzazione, dei trasferimenti forzati e della
migrazione irregolare, promuovendo la resilienza3, le prospettive economiche, le pari
opportunità, la sicurezza e lo sviluppo.
Le risorse per l’EUTF non sono dirottate dalla cooperazione all’immigrazione secondo
gli Stati membri dell’UE contributori del Fondo, poiché sostengono a ragione che non vi
possa essere sviluppo, senza aver creato prima le condizioni di possibilità ossia la
stabilizzazione delle regioni in oggetto.
Il Fondo si propone dunque di affrontare le cause profonde della migrazione irregolare
e degli sfollati nei Paesi di origine, di transito e di destinazione, attraverso cinque ambiti
prioritari: 1) i vantaggi della migrazione in termini di sviluppo; 2) la migrazione regolare e la
mobilità; 3) la protezione e l’asilo; 4) la prevenzione e la lotta contro la migrazione irregolare;
5) il rimpatrio, la riammissione e il reinserimento.
Il Fondo mette in comune le risorse provenienti da vari donatori, allo scopo di
consentire una risposta rapida, flessibile, complementare, trasparente e comune dell’UE,
perché posta di fronte a una situazione di emergenza, che non potrebbe essere affrontata
altrimenti ovvero con gli strumenti tradizionali della cooperazione allo sviluppo, dei quali sia
l’UE nel suo insieme sia i suoi singoli Stati membri si avvalgono tradizionalmente e
continuano a farlo.
1 Cfr. https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/content/homepage_en e https://ec.europa.eu/europeaid/eu-emergency-trust-fund-africa-factsheet_en
2 Cfr. The European Union Emergency Trust Fund for Stability and Addressing Root Causes of Irregular Migration and Displaced Persons In Africa. Strategic Orientation Document. https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/sites/euetfa/files/strategic_orientation_document-en_0.pdf
3 La resilienza è la capacità di un individuo, di una famiglia, di una comunità, di un Paese o di una regione di resistere, adattarsi e riprendersi rapidamente da uno stress o da uno shock. Resilienza significa essere in grado di resistere a lungo, senza rompersi, cosicché per estensione è divenuta sinonimo della capacità di un essere umano o di gruppi umani di sapersi adattare ad un ambiente ostile, senza soccombervi, grazie allo sviluppo di opportune strategie di sopravvivenza e di resistenza ambientale.
7
Inizialmente l’EUTF era stato concepito solo come uno strumento per l’aiuto umanitario
rivolto ai Paesi del Sahel e alla Regione del Lago Ciad, per poi essere ampliato il massimo
possibile, cioè a ben 26 Stati beneficiari, a causa della concomitante centralità delle
migrazioni nell’agenda europea.
L’EUTF assiste oggi tali Paesi in tre regioni o finestre africane (Corno d’Africa; Sahel
e Regione del Lago Ciad; Nord Africa)4, zone che comprendono alcuni dei Paesi africani più
fragili, dove illegalità, corruzione e povertà dilagano. Là dove l’instabilità e l’insicurezza fisica
sono cause apprezzabili degli spostamenti coatti, è necessario un approccio attento alle
situazioni di conflitto per l’attuazione dei propositi del Fondo, che abbia come priorità la
prevenzione dei conflitti, il buon governo e la promozione dello Stato di diritto.
Il Fondo finanzia attività nei seguenti 26 Paesi distinti in tre macro-regione definite
finestre:
1. Sahel e Regione del Lago Ciad: Burkina Faso, Camerun, Ciad, Gambia, Ghana, Guinea
Bissau, Guinea, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria e Senegal;
2. Corno d’Africa: Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Tanzania e
Uganda;
3. Africa Settentrionale: Algeria, Egitto, Libia, Marocco, Tunisia.
4 I Paesi africani confinanti con quelli appartenenti alle tre finestre possono beneficiare, caso per caso, di progetti a dimensione regionale.
8
Il Vertice della Valletta sulle Migrazioni
Il Vertice della Valletta sulle Migrazioni, svoltosi a Malta in data 11-12 novembre 2015,
ha dato vita al Fondo Fiduciario Europeo d’Emergenza per l’Africa (Emergency Trust Fund
for Africa – EUTF). Erano presenti delegati della Commissione dell’Unione Africana (AUC),
della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO-ECOWAS),
dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) e dell’Organizzazione
Internazionale per le Migrazioni (OIM). Scopo del Vertice è stato quello di tradurre in pratica
gli impegni politici presi dai leader europei per quanto riguarda la sicurezza, la resilienza
nonché le opportunità economiche e lo sviluppo fra Africa ed Europa.
Il dibattito tra i partecipanti si è soffermato su cinque aree tematiche: le cause profonde
delle migrazioni; la promozione di canali legali per le migrazioni; la protezione dei migranti
e dei richiedenti asilo, in particolare dei loro gruppi vulnerabili, come donne e minori non
accompagnati; il contrasto effettivo dello sfruttamento e del traffico di chi migra; infine
l’ottimizzazione delle procedure per i rientri e per le riammissioni. Sebbene l’Unione Europea
e l’Unione Africana5 abbiano presentato distinte letture del fenomeno migratorio africano, in
funzione delle rispettive reali priorità e agende politiche, è tuttavia stato accettato da ambo
le parti il principio guida per cui le migrazioni, siano esse intese come sfide sia come
opportunità, devono diventare una responsabilità condivisa. Infatti nella Dichiarazione
Politica6 del Vertice della Valletta sulle Migrazioni si afferma che, in ragione dell’elevato
livello di reciproca interdipendenza fra Europa e Africa, occorre adoperarsi, per
salvaguardare e proteggere i migranti durante tutte le fasi delle loro rotte migratorie.
Nello specifico il Presidente del Consiglio dell’UE, Donald Tusk, ha fatto riferimento ad
alcune azioni concrete che sono state avviate tanto nei Paesi d’origine quanto in quelli di
transito, al raddoppio del numero di borse di studio, destinate a studenti e ricercatori africani
per mezzo del Programma Erasmus +, così da promuovere la mobilità accademica tra Africa
ed Europa e all’istituzione di programmi regionali per la protezione e per lo sviluppo da
attuarsi in Africa. L’iniziativa principale del Vertice della Valletta consiste nel nuovo Fondo –
dotato di 1,8 miliardi di euro, resi disponibili dai bilanci dei singoli Stati membri dell’Unione,
5 Se l’approccio europeo al fenomeno migratorio proveniente dall’Africa non tiene per nulla conto delle migrazioni interne al Continente africano (migrazione interregionale), e vede il fenomeno come un attentato alla propria identità culturale, è pur vero che i Governi africani non reputano le migrazioni una priorità, cui dedicare la medesima attenzione pretesa dalle cancellerie europee.
6 Valletta Summit, 11-12 November 2015, Political Declaration: https://www.consilium.europa.eu/media/21841/political_decl_en.pdf
9
dal Fondo Europeo di Sviluppo (FES)7 oltre che dai contributi di altri donatori, come la
Norvegia e la Svizzera.
Più dettagliatamente il Piano d’Azione Congiunto (Joint Valletta Action Plan – JVAP)8
del Vertice della Valletta è stato costruito su cinque ambiti essenziali e strutturati su sedici
iniziative prioritarie, fra cui i benefici apportati dalle migrazioni, le conseguenze degli
allontanamenti coatti e l’opportunità di investire nello sviluppo e nello sradicamento della
povertà, l’utilità di predisporre mezzi più rapidi ed efficaci per il trasferimento delle rimesse.
Ne discende l’opportunità di promuovere il coinvolgimento fattivo della diaspora anche nei
Paesi d’origine attraverso l’Istituto Africano per le Rimesse9; contemporaneamente resta
vitale confrontarsi con le conseguenze dell’instabilità e delle crisi, fino a prevenire i nuovi
conflitti o arrestarli in tempo sotto forma di diplomazia preventiva.
Il JVAP, che viene attuato attraverso processi regionali, è strutturato su cinque pilastri:
vantaggi per lo sviluppo derivanti dalla migrazione e gestione delle cause profonde della
migrazione irregolare e degli sfollamenti forzati; migrazione legale e mobilità; protezione e
asilo; prevenzione e lotta contro la migrazione irregolare, il traffico di migranti e la tratta di
esseri umani; ritorno, riammissione e reintegrazione. Il JVAP è monitorato e ampiamente
implementato attraverso i Processi di Rabat e di Khartoum10, riunendo i Paesi di origine,
transito e destinazione della migrazione lungo le rotte migratorie dall’Africa all’Europa. Oltre
all’impatto positivo sul potenziale di sviluppo complessivo nei Paesi africani, il JVAP ha
anche contribuito a progressi positivi in una serie di Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS)11,
ad esempio l’OSS n°1- riduzione della povertà; l’OSS n°4 - educazione alla qualità; l’OSS
n°6 - Acqua pulita e servizi igienico-sanitari; l’OSS n°7 - energie rinnovabili; l’OSS n°8 -
occupazione e crescita; l’OSS n°9 - innovazione.
Quanto al concetto di gestione del fenomeno migratorio, ribadito a più riprese dalle
iniziative europee in oggetto, il nuovo Consenso Europeo per lo Sviluppo12 riconosce il
7 Vedi Infra. 8 Valletta Summit, 11-12 November 2015, Piano d’Azione.
https://www.consilium.europa.eu/media/21839/action_plan_en.pdf 9 Vedi infra. 10 Vedi infra. 11 Vedi Infra. 12 Nel 2017 l’UE ha adottato il nuovo Consenso Europeo per lo Sviluppo nel quale si propone un quadro comune per la
cooperazione allo sviluppo dell’UE e dei suoi Stati membri, in linea con l’Agenda 2030. Il consenso europeo sullo sviluppo continua a costituire il quadro dottrinale della politica di sviluppo dell’UE; considerando che nella nuova agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile la pace e stata riconosciuta come una componente essenziale per lo sviluppo e che e stato introdotto l’OSS n° 16 riguardante la pace e la giustizia; considerando che l’UE e i suoi partner nel settore umanitario devono poter garantire assistenza e protezione in base alle esigenze e al rispetto dei principi di neutralità, imparzialità, umanità e indipendenza dell’azione umanitaria, sanciti dal diritto internazionale, in particolare dal diritto internazionale umanitario. Il nuovo consenso europeo per lo sviluppo, volto ad aggiornare il consenso europeo per lo sviluppo del 2005, definisce un quadro comune di azioni per tutte le Istituzioni e gli Stati membri dell’UE per quanto riguarda la politica in materia di sviluppo e con particolare riferimento ai temi di natura trasversale, come l’uguaglianza di genere, i giovani, l’energia sostenibile e l’azione per il clima, gli investimenti, la migrazione e la mobilità. Pur
10
contributo positivo della “migrazione ben gestita”13 alla crescita inclusiva e allo sviluppo
sostenibile, pur riconoscendo le gravi sfide poste in particolare dalla migrazione irregolare
e dagli sfollamenti forzati. La cooperazione allo sviluppo dell’UE svolge un ruolo chiave, per
affrontare la migrazione, nel pieno rispetto degli obiettivi e dei principi di sviluppo. Il lavoro
della Commissione si concentra sul questi aspetti prioritari: 1) affrontare i fattori trainanti / le
cause profonde della migrazione irregolare; 2) migliorare le capacità dei partner per
migliorare la migrazione e la gestione dei rifugiati; 3) massimizzare l’impatto sullo sviluppo
della migrazione.
ribadendo che i Governi nazionali sono i principali responsabili dell’attuazione dell’Agenda 2030, il consenso europeo per lo sviluppo sottolinea in particolare la necessità di: intensificare la programmazione congiunta dell’UE e degli Stati membri in materia di sviluppo al fine di aumentarne l’impatto complessivo; un maggiore ricorso ad una strategia di risposta unica dell’UE, e, se del caso, di programmi comuni in grado di garantire un maggior impatto; concentrare la cooperazione finanziaria dell’UE dove ce n’e più bisogno e dove può avere un maggiore impatto; ribadire l’impegno dell’UE e dei suoi Stati membri per una maggiore coerenza complessiva delle politiche per lo sviluppo sostenibile; garantire un coinvolgimento attivo delle autorità locali, ai fini dell’effettivo conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile; approfondire i partenariati dell’UE e degli Stati membri con le organizzazioni della società civile. Cfr. Commissione Europea, Nuovo Consenso Europeo per lo Sviluppo, 2017. https://ec.europa.eu/europeaid/sites/devco/files/european-consensus-on-development-final-20170626_en.pdf
13 Il sintagma “gestione della migrazione” fu introdotto diversi decenni fa in risposta all’aumento del numero di rifugiati e alle deboli risposte di molte Nazioni ai flussi migratori. Inizialmente era intesa come la capacità dello Stato di canalizzare e modellare il processo migratorio, sviluppando e implementando strategie per i migranti e per i rifugiati focalizzate esclusivamente nei Paesi di destinazione, mentre solo più recentemente ha cominciato a tenere conto dei Paesi di origine e anche di quelli di transito. Inoltre la gestione della migrazione comprende anche lo sviluppo delle capacità e la formazione del personale di sicurezza (polizia e guardie di frontiera), lo scambio di dati e programmi di migrazione per il rimpatrio volontario dai Paesi di transito. Questo è anche il contesto in cui sono finanziate le riforme per migliorare la cooperazione in materia di riammissione e reinserimento dei migranti irregolari, nonché la creazione e il potenziamento di sistemi di identificazione e campagne di informazione sui pericoli intrinseci in ogni percorso migratorio irregolare.
11
I Fondi Fiduciari dell’Unione Europea
I fondi fiduciari dell’UE (EUTF) sono una recente componente aggiuntiva degli
strumenti di azione esterna dell’UE, che risponde all’esigenza di maggiore flessibilità,
completezza ed efficacia e di aumentare la visibilità e il peso politico dell’UE, in particolare
in contesti complessi e volatili.
Finora l’UE e stata estremamente rapida nell’istituzione di fondi fiduciari. Attualmente
conta quattro EUTF: il Fondo Fiduciario Bêkou dell’UE per la Repubblica Centrafricana14,
istituito a luglio 2014; il Fondo Fiduciario Regionale dell’UE per la Siria (Fondo Madad),
istituito nel dicembre 2014; il Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa del 2015 e
infine il Fondo Fiduciario per la Colombia15 del 2016.
I fondi fiduciari per lo sviluppo sono strumenti di aiuto che fanno convergere rilevanti
flussi finanziari da fonti eterogenee. Un fondo fiduciario può essere rivolto ad uno Stato,
oppure essere regionale o globale o ancora rispondere a diverse priorità tematiche
trasversali. I fondi fiduciari sono regolati da un accordo giuridico specifico tra i donatori, che
specifica le procedure di gestione e controllo, i requisiti di rendicontazione finanziaria e
operativa oltre alle priorità di spesa. I fondi fiduciari multi-donatori vengono adoperati
sempre più spesso da un ventennio a questa parte come metodo acclarato per la fornitura
di aiuti in risposte internazionali coordinate in ambienti fragili e postbellici e in situazioni di
emergenza complesse.
La creazione di un fondo fiduciario, con una durata temporale limitata ma prorogabile,
deve soddisfare quattro condizioni: provenire da un’iniziativa congiunta tra la Commissione
Europea (CE), in cooperazione con il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE) e
almeno uno Stato membro dell’UE, in qualità di socio fondatore; apportare valore aggiunto
agli interventi dell’UE esistenti; contribuire ad aumentare la visibilità globale e il peso politico
dell’UE; non duplicare i fondi di altri donatori.
14 Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/countries/central-african-republic/eu-bekou-trust-fund_en e https://ec.europa.eu/europeaid/bekou-trust-fund-introduction_en
15 Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/eu-trust-fund-colombia_en
12
Struttura e funzionamento degli EUTF
Notoriamente i Fondi Fiduciari dell’Unione Europea, istituiti per uno scopo di sviluppo
specifico con contributi finanziari di uno o più donatori, sono generalmente gestiti da
un’organizzazione internazionale. Sin dagli anni ‘90 sono sempre più utilizzati come mezzo
di finanziamento per la cooperazione internazionale e spesso ideati in risposta a crisi come
calamità naturali o conflitti. Il problema è che gli EUTF arrivano in un panorama già affollato
di strumenti finanziari, attori e priorità.
Ciascuno degli EUTF ha una propria struttura specifica e logiche di funzionamento,
che sono correlate al contesto in cui sono stabilite. In concreto un EUTF implica un fiduciario
(la Commissione), i contributi dei donatori (compresa la stessa UE, gli Stati membri e talvolta
i Paesi terzi) e i suoi beneficiari.
L’accordo costitutivo per l’istituzione di un EUTF tra la Commissione e i donatori, in cui
sono stabiliti gli organi di governance e gestione, non può essere qualificato come un
accordo internazionale ai sensi del diritto dell’UE, in quanto non e concluso con un Paese
terzo e, pertanto, non è richiesto il consenso del Parlamento Europeo. Difatti in ragione della
natura extra-budgetaria del FES, la decisione di istituire l’EUTF per l’Africa non ha
comportato il controllo del Parlamento Europeo.
La gestione del Fondo fiduciario è assicurata dalla Commissione, che è responsabile
dell’attuazione delle azioni finanziate dal Fondo e delega i compiti di gestione ai membri del
suo personale.
Tutti gli EUTF sono articolati secondo una struttura di governance a due livelli: il
Consiglio di Amministrazione e il Comitato Operativo.
Il Consiglio di Amministrazione del Fondo fiduciario (Trust Fund Board)16 fornisce linee
guida strategiche. Esso è presieduto dalla Commissione Europea e assistito dal servizio
europeo per l’azione esterna e da altri servizi della Commissione. È composto dalla
Commissione e dai rappresentanti dei donatori che hanno contribuito con almeno 3 milioni
di euro. I donatori che non abbiano fornito il contributo minimo possono partecipare in qualità
di osservatori. Ove pertinente, anche i rappresentanti dei Paesi interessati e le loro
16 La Direzione Generale della Cooperazione e Sviluppo Internazionale (DG DEVCO) della Commissione Europea è responsabile dell’elaborazione della politica internazionale europea di cooperazione e sviluppo e della fornitura di aiuti in tutto il mondo. Il Direttore Generale della Direzione Generale per la Cooperazione Internazionale e dello Sviluppo rappresenta la Commissione nel consiglio del Fondo fiduciario e designa uno o più rappresentanti supplenti a livello di vicedirettore generale di DEVCO e designa il rappresentante della Commissione e uno o più rappresentanti supplenti nel comitato operativo almeno a livello di direttore o capo delegazione. La DG DEVCO è responsabile della politica di cooperazione allo sviluppo in un quadro più ampio di cooperazione internazionale. DEVCO è responsabile della formulazione della politica di sviluppo e delle politiche tematiche dell’Unione Europea, al fine di ridurre la povertà nel mondo, garantire uno sviluppo economico, sociale e ambientale sostenibile e promuovere la democrazia, lo stato di diritto, il buon governo e il rispetto dei diritti umani, in particolare mediante aiuti esterni.
13
organizzazioni regionali possono essere invitati come osservatori. Infatti ai rappresentanti
dei Paesi partner africani viene concesso lo status di osservatore. Nell’EUTF per l’Africa,
sebbene non abbia uno status di osservatore formale ai sensi degli accordi costitutivi, il
Parlamento Europeo ha ottenuto uno status di osservatore dal 2017.
Il Comitato Operativo17 esamina, approva e stabilisce le azioni da finanziare, senza
che vi possa partecipare il Parlamento Europeo. Esso è composto da rappresentanti della
Commissione, dal SEAE, da rappresentanti degli Stati membri dell’UE e di Paesi terzi,
nonché da rappresentanti dei Paesi partner africani e delle organizzazioni regionali.
In generale il Parlamento Europeo può garantire un basso livello di controllo ex ante
sugli EUTF, solo adottando una risoluzione non vincolante contro la Commissione (ultra-
vires), la quale comunque non può esigere alcuna modifica degli obiettivi di un EUTF.
Invece, ex post il Parlamento Europeo può chiedere la sospensione di un EUTF.
Quanto alla selezione effettiva dei progetti, i membri sia del Consiglio di
Amministrazione del Fondo sia del Comitato Operativo hanno diritto di voto, mentre la
commissione ha diritto di veto. Si badi che però non è questa la sede delle vere decisioni,
poiché queste sono prese in anticipo attraverso una serie di colloqui informali e incontri con
il Paese o l’organizzazione regionale interessati.
Un ruolo chiave e svolto dalle Delegazioni dell’UE nei Paesi terzi coinvolti, poiché
rappresentano il principale punto di ingresso per la presentazione di proposte progettuali da
parte degli Stati membri partecipanti e delle loro agenzie.
L’attuazione dei progetti EUTF, come per altri strumenti di finanziamento esterni
dell’UE, può essere effettuata senza gara pubblica, come nel caso degli accordi di
Cooperazione Delegata, ossia una precipua forma di gestione indiretta dei fondi europei18.
17 L’accordo costitutivo stabilisce un Consiglio di Amministrazione del Fondo fiduciario presieduto dalla Commissione, per garantire la rappresentanza dei donatori e degli Stati membri dell’UE che non contribuiscono in qualità di osservatori, per decidere la strategia generale del Fondo fiduciario; un Comitato Operativo, presieduto dalla Commissione e in rappresentanza dei donatori con un contributo minimo, per decidere sulla destinazione dei fondi alle singole azioni.
18 La Cooperazione Delegata è una modalità operativa che prevede la gestione di fondi da parte di un donatore per conto di altri donatori, per realizzare progetti di cooperazione d’interesse comune. Con l’espressione “cooperazione delegata” si indica nel quadro del “Codice di condotta dell’UE sulla divisione del lavoro nell’ambito della politica di sviluppo” una modalità di gestione che consente alla Commissione europea di delegare fondi ad uno Stato membro per l’esecuzione di programmi di cooperazione a seguito della firma di appositi “accordi di delega” e, a loro volta, agli Stati membri di trasferire risorse alla Commissione stessa attraverso la firma di “accordi di trasferimento”, il tutto al fine di favorire una maggiore concentrazione ed efficacia degli aiuti in quei Paesi partner e settori nei quali più evidente è il valore aggiunto di un donatore specifico, in un’ottica di reciprocità e massimizzazione dell’efficacia dell’aiuto. Dal 2012 ad oggi la cooperazione delegata si è consolidata fino a rappresentare un elemento imprescindibile della cooperazione italiana. L’Italia si e attestata tra i primi quattro Stati membri esecutori della cooperazione UE, con evidenti ritorni positivi per i l sistema italiano di cooperazione allo sviluppo nel suo complesso, in termini sia di volumi di risorse disponibili per interventi di cooperazione sia di visibilità politica.
14
Il Parlamento Europeo critica questa pratica, che è anche ampiamente utilizzata in altri
strumenti di finanziamento, e chiede che i progetti dell’EUTF siano aperti e che tutti gli
implementing partner siano trattati allo stesso modo.
L’EUTF per l’Africa opera in regime di complementarità con i quadri nazionali e
regionali esistenti, con altri strumenti dell’UE, con la cooperazione bilaterale degli Stati
membri e con altri partner di sviluppo. Ebbene la gran parte dei fondi erogati attraverso gli
implementing partner nazionali provoca gravi ritardi nell’attuazione nei progetti, poiché
alcuni di essi non dispongono ancora di capacità adeguate, oppure devono ancora stabilire
strutture operative nei Paesi partner. Si lamenta in ultimo che il coinvolgimento delle ONG
africane nell’implementazione dei progetti EUTF sia irrilevante.
15
Finanziamenti dell’EUTF
La struttura del Fondo fiduciario consente alla Commissione di rispondere rapidamente
e in modo flessibile ai flussi migratori in rapida evoluzione, riunendo per la prima volta,
sebbene in modo ambivalente, finanziamenti e indicazioni provenienti da differenti Direzioni
Generali della Commissione Europea, segnatamente: relazioni esterne, affari interni,
cooperazione allo sviluppo, aiuti umanitari e politica di vicinato.
Il contributo dell’UE al Fondo fiduciario riunisce i finanziamenti della riserva dello XI
FES con risorse provenienti dai Programmi Indicativi Regionali (Regional Indicative
Programme – RIP) per l’Africa Occidentale, Centrale e Orientale e dai Programmi Indicativi
Nazionali (National Indicative Programme – NIP) per il Corno d’Africa. Ulteriori finanziamenti
provengono da altri strumenti finanziari, come lo Strumento di Cooperazione allo Sviluppo
(Development Cooperation Instrument – DCI)19, la Direzione Generale della Politica di
Vicinato (DG NEAR) e lo Strumento Europeo di Vicinato (European Neighbourhood
Instrument – ENI)20 nonché dalla Direzione Generale per gli Aiuti Umanitari e la Protezione
Civile (DG ECHO)21 e lo Strumento che contribuisce alla Stabilità e alla Pace (Instrument
contributing to Stability and Peace – IcSP)22.
19 Il DCI si rivolge a tutti i Paesi in via di sviluppo ad eccezione dei Paesi ammissibili allo strumento di preadesione, sviluppando e le seguenti aree: Diritti umani, democrazia e buon governo; Crescita inclusiva e sostenibile per lo sviluppo umano; Migrazione e asilo; nesso tra aiuti umanitari e cooperazione allo sviluppo; Resilienza e riduzione del rischio di catastrofi; Sviluppo e sicurezza, compresa la prevenzione dei conflitti. Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/funding/funding-instruments-programming/funding-instruments/development-cooperation-instrument-dci_en
20 La Politica Europea di Vicinato (PEV) e responsabile della politica dell’UE in materia di allargamento e vicinato orientale
e meridionale. È inoltre responsabile delle relazioni con i Paesi membri dello Spazio economico europeo e dell’Associazione europea di libero scambio per quanto riguarda le politiche della Commissione. mira a sostenere i processi di riforma in ambito politico, economico e sociale nei seguenti Paesi del vicinato dell’Unione: Algeria, Armenia, Autorità Palestinese, Azerbaigian, Bielorussia, Egitto, Georgia, Giordania, Israele, Libano, Libia, Moldavia, Marocco, Siria, Tunisia e Ucraina. La PEV intende consolidare la prosperità, la stabilità, la sicurezza, l’economia di mercato e la crescita sostenibile attraverso un dialogo costante con ciascun Paese partner. I Paesi partner concordano con l’UE un piano d’azione PEV, mostrando il proprio impegno a favore di democrazia, diritti umani, stato di diritto, good governance, principi dell’economia di mercato e sviluppo sostenibile. I piani d’azione che definiscono le priorità di breve e medio termine per ciascun Paese partner rappresentano uno degli strumenti chiave di questa politica. Nonostante i piani d’azione siano elaborati ad hoc per ciascun Paese di vicinato, si riferiscono in linea generale a una serie di attività comuni che spaziano dal dialogo politico alle questioni relative al commercio e alla cooperazione sociale ed economica. Durante il periodo 2014-2020, la Politica europea di vicinato sarà finanziata attraverso lo Strumento Europeo di Vicinato (ENI), che andrà a sostituire lo Strumento Europeo di Vicinato e Partenariato (SEVP), esistente fin dal 2007. In linea con la rinnovata Politica di vicinato avviata nel 2011, il sostegno dell’ENI sarà destinato principalmente: a promuovere i diritti umani e lo stato di diritto; stabilire una democrazia radicata e sostenibile e sviluppare una vigorosa società civile; alla crescita inclusiva e sostenibile, allo sviluppo economico, sociale e territoriale, nonché alla progressiva integrazione nel mercato interno dell’UE; alla mobilità e ai contatti interpersonali, compresi gli scambi per studenti e la società civile; all’integrazione regionale, compresa la cooperazione transfrontaliera. Cfr. https://www.euneighbours.eu/en/policy/european-neighbourhood-instrument-eni ; https://ec.europa.eu/info/departments/european-neighbourhood-policy-and-enlargement-negotiations_it
21 Cfr. https://ec.europa.eu/info/departments/humanitarian-aid-and-civil-protection_it 22 Lo IcSP consente alla Commissione Europea di agire prontamente per la prevenzione e la gestione delle crisi nei Paesi
terzi, contribuendo così alla gestione delle crisi. Negli ultimi anni infatti l’IcSP e stato ampiamente utilizzato in tutta la regione del Sahel sia per fare fronte a crisi di breve termine sia a quelle di lungo termine. Nel campo della sicurezza le attività includono il supporto alle istituzioni degli Stati saheliani, con un’attenzione particolare rivolta al rafforzamento delle capacità di gestione delle frontiere in Mauritania, Niger e Nigeria, e a livello di comunità locali con la creazione di corpi di polizia municipali in Niger, così come la messa in sicurezza della popolazione civile in Mali. Lo Strumento di
16
La riluttanza degli Stati membri a contribuire con importi maggiori sembra essere
dovuta anche al diffuso scetticismo sull’istituzione e l’utilità dell’EUTF e sul desiderio di
vedere alcuni risultati prima di fornire maggiori finanziamenti.
La sempre più crescente diffidenza per cui un Fondo di emergenza a breve termine
potrebbe affrontare in modo significativo le cause alla radice di un problema strutturale e di
amplissima portata, potrebbe non giovare al futuro dell’EUTF, il cui successo e
indissolubilmente legato all’interruzione dei flussi migratori sic et simpliciter.
L’Annesso I all’EUTF23 stabilisce che le attività finanziabili dal Fondo debbano
contribuire a raggiungere l’obiettivo generale del Fondo fiduciario, come stabilito all’articolo
2 dell’Accordo Costitutivo, vale a dire affrontare le crisi nelle regioni del Sahel e del Lago
Ciad, nel Corno d’Africa e nel Nord Africa.
Il Fondo, che deve intervenire in coordinamento con le autorità nazionali, quadri
regionali e strumenti di altri partner di sviluppo, finanzia attività che contribuiscono a:
- Stabilire programmi economici che creino opportunità di lavoro, in particolare per i giovani
e le donne nelle comunità locali, con particolare attenzione alla formazione professionale
e alla creazione di micro e piccole imprese. Alcune azioni contribuiranno in particolare a
sostenere il reinserimento dei rimpatriati nelle loro comunità.
- Sostenere la resilienza in termini di sicurezza alimentare e dell’economia in generale,
compresi i servizi di base per le popolazioni locali, in particolare i più vulnerabili, nonché
i rifugiati e gli sfollati, anche attraverso la sicurezza alimentare e nutrizionale, la salute,
l’istruzione e la protezione sociale, così come la sostenibilità ambientale.
- Rispettare il principio di Non-Refoulement24 cioè di non respingimento.
Il Fondo sta integrando gli aiuti esistenti dell’UE alle regioni interessate per un importo
di oltre 10 miliardi di euro fino alla sua naturale conclusione, prevista per il 2020.
A ottobre 2019, le risorse assegnate al Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa
ammontavano a 4,6 miliardi di euro, di cui oltre 4 miliardi di euro provenienti dal FES, che è
un fondo intergovernativo al di fuori del bilancio dell’UE e gestito dalla DG DEVCO, e
Stabilità è stato inoltre utilizzato nel quadro d’iniziative di lotta al terrorismo e contro-radicalizzazione grazie alla creazione del “Sahel Security College” (attualmente composto da rappresentanti di Mali, Mauritania, Niger), che ha lo scopo di promuovere la tolleranza, il dialogo fra fedi differenti (inter-religioso) e fra credi diversi (intra-religioso), oltre a fornire supporto didattico alle scuole coraniche maliane, nigeriane e nigerine. Altre azioni nello stesso contesto interessano da un lato il contrasto dell’estremismo violento attraverso la creazione di opportunità socio-economiche soprattutto per i giovani in Ciad, Niger, e Nigeria e dall’altro alto specifici programmi di disarmo, smobilitazione e reinserimento che promuovono il reintegro sociale ed economico degli ex combattenti in Nigeria e in Ciad.
23 Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/sites/devco/files/annexe-1-c-2015-7293-20151020_en.pdf 24 Vedi Infra.
17
strumenti finanziari dell’UE tra cui finanziamenti DCI, ENI, HOME ed ECHO25. Gli Stati
membri dell’UE e altri donatori (Svizzera e Norvegia) hanno contribuito con 528 milioni di
euro, di cui 506 milioni di euro (?).
I quattro miliardi in oggetto sono stati sinora così ripartiti nelle tre finestre: Corno
d’Africa € 1.406,1 milioni, Nord Africa € 659,2 milioni, Sahel e Regione del Lago Ciad €
1.953,2 milioni; ciò include 5 programmi interregionali (cross-window). In termini di singoli
Paesi, l’EUTF e maggiormente coinvolta in Somalia, Libia, Niger, Etiopia e Mali.
A ottobre 2019, i Comitati operativi avevano approvato 210 programmi, tra cui 4
programmi trasversali, per un importo totale di 4018,5 milioni di euro di cui 123,000,000 euro
forniti dall’Italia. Comunque il contributo italiano generale e di 2.331.256,00, di cui
100.000,00 dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e 2.321.256,00
del Governo26.
Si rileva che mentre nel 2016 e nel 2017 la maggior parte dei progetti approvati erano
diretti verso maggiori opportunità economiche e occupazionali, volte a rafforzare la
resilienza delle comunità, quelli relativi al miglioramento della gestione della migrazione
sono recentemente raddoppiati, rendendolo l’obiettivo più finanziato.
Inoltre la tipologia di progetti approvati differisce per regione. A eccezione della regione
del Nord Africa, dove la maggior parte del finanziamento è destinata a migliorare la gestione
della migrazione, i fondi nel Sahel e Regione del Lago Ciad e nel Corno d’Africa sembrano
essere ripartiti in modo più uniforme.
Benché gli Stati Membri non stiano contribuendo come promesso, le loro agenzie
attuano il 37 per cento dei progetti, ponendo dei dubbi circa la validità della cooperazione
delegata, dato che il suo valore aggiunto non è solo quello di fornire maggiore efficienza,
ma anche di incentivare i finanziamenti degli Stati Membri, ancora in larga misura latitanti.
Si sollevano quindi due questioni: se sia sempre selezionato il partner di attuazione
più appropriato e se sia opportuno dare seguito al compromesso tra flessibilità e
responsabilità rappresentato dalla natura extra bilancio a valere sui fondi FES dell’EUTF.
Per di più la tendenza graduale è verso una maggiore attenzione alle implicazioni di
sicurezza a breve termine della migrazione rispetto agli obiettivi di sviluppo.
Dal momento che la dotazione finanziaria e caratterizzata da tre fasi principali
(promessa, impegno e azione/pagamento) e che gli Stati membri non sempre mantengono
gli impegni presi circa i fondi da destinare all’EUTF, il Parlamento Europeo invita l’UE a
25 Vedi infra. 26 Cfr. https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/sites/euetfa/files/co-financing_contributions_4.pdf
18
concordare una soluzione più globale per i finanziamenti di emergenza nell’ambito della
revisione del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP)27 per il periodo 2014-2020, al fine di
aumentare l’efficacia e la reattività degli aiuti umanitari e dell’aiuto allo sviluppo disponibili
nel contesto del bilancio europeo. Anche in questo caso il Parlamento Europeo e
preoccupato che il finanziamento del Fondo fiduciario dell’UE possa andare a scapito di altri
obiettivi di sviluppo; ricorda che lo strumento del Fondo fiduciario dell’UE dovrebbe essere
complementare ad altri strumenti esistenti e invita la Commissione a garantire la
trasparenza e la responsabilità quanto all’utilizzo e al numero di linee di bilancio esistenti
che contribuiscono al Fondo fiduciario dell’UE. Infine il Parlamento Europeo, consapevole
che non vi sia sviluppo senza sicurezza, condanna qualsiasi utilizzo dei fondi FES e APS
per la gestione e il controllo della migrazione o per azioni che non prevedano obiettivi di
sviluppo28. Pertanto l’EUTF deve partecipare agli obiettivi di lungo periodo relativi al
consolidamento della pace e al rafforzamento della governance nei Paesi beneficiari,
salvaguardando e allineando il proprio operato con le esistenti strategie dell’UE a livello
regionale e nazionale per il Sahel29, il Golfo di Guinea, il Corno d’Africa e il Nord Africa.
Numerose controversie sul futuro dell’EUTF caratterizzano anche i dibattiti ai massimi
livelli europei. I negoziati sul prossimo QFP ancora non hanno chiarito quale Direzione
Generale sarà responsabile del coordinamento della cooperazione in materia di migrazione
con i Paesi terzi, dunque dei fondi ad essa associati. Non e inoltre chiaro in che modo l’UE
farà propri i due più recenti documenti ONU: il Global Compact for Safe, Orderly and Regular
Migration (GCM) e lo United Nations Global Compacts for Migration and Refugees. Entrambi
stabiliscono indicatori che dovranno essere presi in considerazione della definizione
dell’EUTF e della futura politica di migrazione esterna dell’UE. Lo stesso vale anche per gli
attuali negoziati sulla futura cooperazione tra l’UE e l’Africa in merito ai nuovi trattati con i
Paesi Africa-Caraibi-Pacifico (ACP).
L’Italia e il secondo contributore e il terzo esecutore dei progetti EUTF, mentre con 160
milioni di euro la Germania rappresenta il più grande contributore bilaterale all’EUTF.
Benché sia incaricato il Ministero Federale per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo
27 Il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) è il bilancio a lungo termine dell’Unione Europea, fissandone i limiti di spesa per un periodo di cinque o sette anni al massimo.
28 Il Parlamento Europeo sottolinea che i progetti coperti dal Fondo fiduciario dell’UE, che e stato creato utilizzando fonti principalmente destinate, in linea di principio, a scopi di sviluppo, devono avere obiettivi di sviluppo; evidenzia che i progetti volti a rafforzare la capacità di sicurezza in determinati Paesi devono essere concepiti in modo che il loro obiettivo finale consista nella riduzione della povertà nonché nella stabilità dei Paesi beneficiari. Tuttavia è altrettanto chiaro che sebbene il bilancio dell’UE non possa essere utilizzato per finanziare direttamente operazioni militari o di difesa, non sono esplicitamente escluse operazioni di mantenimento della pace con obiettivi di sviluppo né il finanziamento del potenziamento delle capacità nel settore della sicurezza.
29 Vedi Infra.
19
(Bundesministerium für wirtschaftliche Zusammenarbeit und Entwicklung – BMZ)30, anche
altri dicasteri federali hanno manifestato un grande interesse per l’EUTF. La maggior parte
del contributo tedesco proviene infatti dal bilancio del Ministero degli Esteri, in particolare
per i progetti in Libia, in cui il Fondo fiduciario rappresenta l’unica opzione dell’UE per la
cooperazione in materia di migrazione. La maggior parte dei progetti orientati allo sviluppo
e stata destinata ai Paesi di origine e di transito dell’Africa Sub-Sahariana, mentre un
secondo gruppo di iniziative si concentra sul miglioramento della gestione della migrazione
in alcuni Paesi di transito come il Niger e la Libia, verso la quale sono state approntate
misure relative alla sicurezza come la fornitura di attrezzature e addestramento per la
guardia costiera libica. I progetti in Libia si concentrano sul finanziamento del rimpatrio
volontario con l’assistenza dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM)31 e
sulla formazione della guardia costiera libica. Questi progetti sono considerati prioritari
perché la situazione in Libia e sulla rotta del Mediterraneo centrale rimane critica.
Tale impegno è anche centrale per gli Stati membri che sono altrimenti scettici nei confronti
della politica migratoria dell’UE, segnatamente gli Stati di Visegrád (V4)32, i quali dal 2018
hanno contribuito complessivamente all’EUTF per 35 milioni di euro soprattutto con azioni
mirate di contenimento dei flussi migratori in Libia.
30 Cfr. http://www.bmz.de/de/index.html 31 Cfr. https://www.iom.int/ 32 Cfr. È l’alleanza di quattro Paesi dell’Europa dell’Est: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Costituito dopo
un Vertice dei Capi di Stato e di Governo nella città ungherese di Visegrád nel 1991, ha l’obiettivo di rafforzare la cooperazione, promuovendo l’integrazione unitaria del gruppo nell’Unione Europea, alla quale hanno tutti aderito 2004. Cfr. http://www.visegradgroup.eu/
20
Africa-Europa: il Programma Panafricano e l’Alleanza per il Sahel
Le relazioni intercontinentali tra Africa ed Europa si basano su due accordi-quadro
generali quali l’Accordo di Cotonou (Paesi Africa-Caraibi-Pacifico, ACP) e la Strategia
Comune Africa-UE (JAES), se tre strategie regionali (Sahel, Corno d’Africa e Golfo di
Guinea) e su tre dialoghi formali (Vertici UE-Africa, riunioni della troika e riunioni fra
commissioni). In particolare, le aree di cooperazione tra Africa ed Europa riguardano il
commercio (Accordi di Partenariato Economico - APE), lo sviluppo, la migrazione (Agenda
Europea sulla Migrazione, EUTF e i processi di Rabat e Khartoum), l’antiterrorismo (Forza
congiunta G5 Sahel) e la sicurezza con missioni e operazioni militari e civili (Repubblica
centrafricana, Libia, Mali, Niger e Somalia) nell’ambito della Politica di Sicurezza e di Difesa
Comune dell’UE (PSDC) insieme al ruolo svolto dai Rappresentanti Speciali dell’UE (RSUE)
nell’ambito del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE).
La regione africana più vicina all’Europa sotto attacco terroristico globale e il Sahel, a
causa dell’interconnessione dei Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) e dei Movimenti
Associati al Daesh (MAD)33 attraverso un arco di instabilità che attraversa tutta la banda
sahariana-saheliana, che va dal Mediterraneo al Golfo di Guinea e dall’Oceano Atlantico
fino al Mar Rosso.
L’approccio integrato dell’UE riserva una particolare attenzione all’uso coerente degli
strumenti di sicurezza e sviluppo. L’UE sostiene gli sforzi per la pace e la sicurezza in Africa
e assiste il lavoro delle organizzazioni africane in materia di prevenzione dei conflitti,
antiterrorismo e criminalità organizzata, migrazione e gestione delle frontiere. L’UE lo sta
facendo attraverso la diplomazia, le missioni civili e lo sviluppo della politica di sicurezza e
di difesa comune, nonché attraverso fondi fiduciari.
Prosegue non senza difficoltà la collaborazione euro-africana, al fine di rendere
operativa l’Architettura Africana di Pace & Sicurezza (African Peace & Security Architecture
– APSA), comprese le Operazioni di Supporto alla Pace condotte dagli africani (African-led
Peace Support Operations-PSOs) e la riforma del settore della sicurezza negli Stati post-
conflitto (Security Sector Reform – SSR). La creazione della Zona di Libero Scambio
Continentale (Continental Free Trade Area – CFTA) in Africa sancita nel 2019, non potrà
che consolidare il finora ancora troppo lento eppure essenziale processo di integrazione
economico-commerciale regionale. La complessa ma indispensabile tabella di marcia verso
una CFTA africana dovrà necessariamente realizzarsi per fasi nell’arco dei prossimi quindici
33 Vedi Infra.
21
o trent’anni: prima l’Unione Doganale Continentale (Continental Customs Union), poi il
Mercato Comune Continentale (African Common Market) ed infine l’Unione Economica e
Monetaria (Monetary and Economic Union) propriamente detta.
In aggiunta, per la sicurezza e lo sviluppo del Sahel in particolare e dell’Africa in
generale, l’UE ha recentemente introdotto alcune iniziative specifiche, fra le quali si
segnalano qui l’Alleanza per il Sahel e il Programma Panafricano (PanAf).
Nel 2014 la Commissione Europea ha lanciato il Pan-African Programme (PanAf), uno
speciale programma di sviluppo europeo per la cooperazione con l’Africa nel suo
complesso, dotato di 845 milioni di euro fino al 2020, finanziato attraverso lo Strumento di
Cooperazione allo Sviluppo (Development Cooperation Instrument – DCI). Secondo la
Commissione Europea il valore aggiunto derivante dall’avallo di tale programma e costituito
da tre elementi fondanti e cioè: la dimensione transregionale, continentale o mondiale dei
progetti e dei programmi sviluppati in settori che spaziano dall’agricoltura sostenibile e
l’ambiente fino all’istruzione superiore; le tecnologie dell’Informazione e della
comunicazione e la ricerca scientifica; la stretta pertinenza con i temi espressi dal 2007 dalla
Strategia Congiunta Africa-UE (Joint Africa-EU Strategy – JAES) e la complementarità con
altri strumenti finanziari europei quali i programmi tematici del Fondo Europeo di Sviluppo
(FES) e lo Strumento Europeo di Vicinato (European Neighbourhood Instrument – ENI).
Tanto l’UA quanto l’UE condividono un dialogo costante soprattutto per quanto riguarda il
volet pace e sicurezza, poiché non si può dare seguito a processi virtuosi di sviluppo senza
il prerequisito della pace (No Development Without Security) nei vari conflitti ancora in corso
in diverse zone dell’Africa, come nei casi della Libia, del Sudan, del Sud Sudan, della
Repubblica Centroafricana (RCA), del Mali e più in generale del Sahel e del Bacino del Lago
Ciad, del Golfo di Guinea, della Somalia e del Corno d’Africa, del Burundi e della Regione
dei Grandi Laghi. L’emergere prepotente del terrorismo in Africa sta facendo convergere
l’interesse sulle contromisure più adattead arginarne sia le cause sia le sue manifestazioni,
come in Nigeria e nei Paesi confinanti (Camerun, Ciad e Niger) con Boko Haram34 e in
Somalia e Kenya con gli Shebaab somali. Un fenomeno da meglio monitorare, perché
allarmante quanto alla sua diffusione, è quello della proliferazione illecita delle armi di
piccolo taglio (Small Arms and Light Weapons – SALW).
Negli ultimi tempi tanto l’UE nel suo insieme quanto alcuni gruppi di Stati membri
europei hanno dato vita a una serie di iniziative volte a rilanciare le loro relazioni con l’Africa.
34 Vedi Infra.
22
L’Alleanza per il Sahel35 è un gruppo di coordinamento dei donatori, che lavora strettamente
con l’UE, al fine di garantire sia lo sviluppo efficace e sostenibile sia pure la sicurezza
regionale. Inaugurato a luglio 2017, comprende attualmente dodici membri: Danimarca,
Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito, Unione
Europea, Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), Banca Africana di
Sviluppo (AfDB) e Banca Mondiale. L’Alleanza per il Sahel ha identificato i seguenti sei
settori prioritari di intervento: occupazione giovanile; sviluppo rurale, agricoltura e sicurezza
alimentare; clima, compreso l’accesso all’energia, energia verde e acqua; governance;
decentramento amministrativo per i servizi; sicurezza.
35 L’Alleanza per il Sahel è basata su quattro pilastri: (1) coordinamento rafforzato per una vasta gamma di settori chiave,
maggiori risorse dedicate alla sicurezza, stabilizzazione e sviluppo a breve termine nonché ulteriori investimenti nella regione per produrre cambiamenti visibili e misurabili a breve termine a livello locale. Questi cambiamenti dovrebbero sperabilmente tradursi in: occupazione/occupabilità giovanile, in particolare attraverso l’istruzione, la formazione e la creazione di attività economiche; sviluppo rurale, agricoltura e sicurezza alimentare; clima, compreso l’accesso all’energia, energia verde e acqua; governance, compreso il rafforzamento dei sistemi giudiziari, la lotta alla corruzione e la governance nel settore estrattivo nonché la partecipazione della società civile al rafforzamento dello Stato; Sostegno al ritorno dei servizi di base in tutto il Paese, anche attraverso il decentramento. (2) Responsabilità reciproca fra donatori europei e beneficiari africani. (3) La ricerca di metodi di attuazione innovativi, per aumentare gli investimenti del settore privato. (4) Supporto amplificato per le forze di sicurezza (G5-Sahel in particolare). Cfr. https://www.alliance-sahel.org/en/
23
Valutazioni del Parlamento Europeo e Corte dei Conti Europa sull’EUTF
Il Fondo è soggetto a continue fortissime critiche provenienti addirittura dalle
medesime istituzioni europee: il Parlamento Europeo ha affermato che l’EUTF e uno
strumento che bypassa l’autorità di bilancio dell’organismo legislativo, laddove la stessa
Commissione Europea è giunta alla conclusione che la natura troppo rapida e
verosimilmente arbitraria dell’assegnazione dei fondi nell’ambito dell’EUTF può
compromettere l’impatto e la sostenibilità dei suoi progetti.
A fine 2018 la Corte dei Conti Europea ha pubblicato un audit delle performance
dell’EUTF36, giungendo alla conclusione che si tratta di uno strumento flessibile, ma, date
le sfide inedite con le quali è a confronto, la sua impostazione avrebbe dovuto essere più
mirata. In particolare la Corte rileva che il Fondo, per quanto sia uno strumento flessibile
che consente di fornire assistenza in settori quali l’alimentazione, l’istruzione, la sanità, la
sicurezza e lo sviluppo sostenibile, tuttavia i suoi obiettivi sono troppo ampi per guidare con
efficienza gli interventi nelle regioni africane e la Commissione Europea ha difficoltà a capire
in quale misura il Fondo consegua davvero i propri obiettivi. La Corte ha inoltre constatato
debolezze di attuazione e ha osservato che i progetti subiscono ritardi analoghi a quelli che
caratterizzano gli aiuti allo sviluppo tradizionale37e più in generale rispetto agli strumenti
tradizionali, l’EUTF Africa e stato più rapido nell’avviare i programmi, salvo poi incontrare
difficoltà analoghe che ne ritardano l’attuazione.
La Risoluzione38 del Parlamento Europeo del 13 settembre 2016 sull’EUTF pone
l’accento sulla mancanza di coinvolgimento fino ad oggi del Parlamento nella costituzione
36 Corte dei Conti Europea, Relazione speciale n.32/2018: Il Fondo fiduciario di emergenza dell’Unione Europea per l’Africa: flessibile, ma non sufficientemente mirato. Cfr. https://www.eca.europa.eu/it/Pages/DocItem.aspx?did=48342
37 La relazione della Corte dei Conti Europea afferma testualmente che: “Il Fondo ha avviato progetti più rapidamente degli aiuti allo sviluppo tradizionali e, nel complesso, e riuscito ad accelerare la sottoscrizione dei contratti e il versamento degli anticipi, anche se sarebbe stata auspicabile una maggiore rapidità da parte di uno strumento di emergenza. Di fatto, l’attuazione dei progetti e stata ritardata da difficoltà analoghe a quelle incontrate dagli strumenti tradizionali. La Corte ha rilevato ritardi ricorrenti in progetti relativi a settori come quello della sicurezza e della gestione delle frontiere. Le procedure di selezione dei progetti variavano da una regione all’altra. I criteri per la valutazione delle proposte non erano sufficientemente chiari o documentati e il vantaggio comparativo di avvalersi dell’EUTF Africa per finanziare i progetti non era sempre illustrato in modo adeguato. La Corte ha riscontrato esempi di progetti che rispondevano a bisogni analoghi a quelli mirati da altri strumenti dell’UE, con il rischio di una duplicazione di altre forme di sostegno dell’UE. Gli obiettivi dei progetti spesso non erano specifici e misurabili e gli indicatori di performance erano privi di valori di partenza. Le tre regioni utilizzano sistemi diversi per monitorare la performance, in quanto il sistema comune non e ancora operativo. La moltitudine di informazioni e di sistemi di monitoraggio fa sì che non vi sia un’unica visione d’insieme esauriente dei risultati conseguiti dall’EUTF Africa nel suo complesso. Dal momento che sono implicati finanziamenti UE per 3,7 miliardi di euro, la Corte ritiene che la capacità di misurare la performance sia un aspetto importante della rendicontabilità. I progetti sottoposti ad audit, ancorché in una fase iniziale di attuazione, hanno cominciato a produrre realizzazioni. Il Fondo ha contribuito agli sforzi profusi per ridurre il flusso di migranti irregolari dall’Africa verso l’Europa, ma detto contributo non può essere misurato con precisione. La Corte formula una serie di raccomandazioni alla Commissione per migliorare la qualità degli obiettivi, rivedere le procedure di selezione dei progetti e adottare misure volte ad accelerare l’attuazione e a migliorare il monitoraggio”.
38 Risoluzione del Parlamento Europeo del 13 settembre 2016 sul Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa: le implicazioni per lo sviluppo e gli aiuti umanitari (2015/2341(INI)). Cfr. https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2016-0337_IT.pdf
24
del Fondo fiduciario dell’UE, e insiste sulla necessità di garantire, grazie a una relazione
dettagliata e regolata da parte della Commissione, il controllo del Parlamento sulla modalità
di applicazione del Fondo fiduciario. È evidente che gli aiuti allo sviluppo non dovrebbero
essere utilizzati per contenere i flussi di migranti e richiedenti asilo, e che i progetti finanziati
dal Fondo fiduciario dell’UE non dovrebbero servire da pretesto per impedire le partenze o
inasprire i controlli alle frontiere tra Paesi, ignorando i fattori che spingono le persone a
lasciare le proprie case, Esprime inoltre profonda preoccupazione per l’impatto che il Fondo
fiduciario dell’UE può avere sui diritti umani, quando il contenimento dei flussi migratori
avviene attraverso la cooperazione con Paesi che commettono sistematiche e gravi
violazioni dei diritti fondamentali. Di conseguenza sarebbe opportuno effettuare relazioni
periodiche al Parlamento, almeno una volta ogni sei mesi.
Ancora, secondo una valutazione esterna dello XI FES, effettuata nel 2017, ancorché
la risposta alle nuove priorità dell’agenda dell’UE sia data dal Fondo fiduciario per l’Africa,
finanziato principalmente dalle riserve del FES, tuttavia le sue modalità rischiano di minare
i principi fondamentali del FES di partenariato ed efficacia39.
La rapidità e la flessibilità del Fondo comportano un meccanismo di monitoraggio assai
debole, dunque inadeguato; in altre parole si tratterebbe di un processo decisionale
informale, opaco e non ortodosso.
Si potrebbe anche argomentare che tutti questi elementi informali propri dell’EUTF non
siano altro che una precisa intenzione volta a eludere i requisiti di spesa del Comitato per
l’Aiuto allo Sviluppo (DAC)40 dell’OCSE, in virtù dell’esplicito divieto fatto dal DAC di
concepire e attuare spese per lo sviluppo esclusivamente mosse dal proprio interesse di
parte.
39 Cfr. Commissione Europea, External Evaluation of the 11th European Development Fund (EDF) (2014–mid 2017): Final Report (Brussels, June 2017), 9, https://ec.europa.eu/europeaid/sites/devco/files/edf-evaluation-final-report_en.pdf
40 Le politiche pubbliche di cooperazione allo sviluppo sono coordinate dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE - OECD) con sede a Parigi. Il Comitato per l’Aiuto allo Sviluppo (Development Assistance Committee - DAC) dell’OCSE, il quale riunisce trenta Paesi industrializzati-donatori, tra cui Italia e Unione Europea, ha lo scopo di indirizzare al meglio le politiche di cooperazione allo sviluppo, individuando i principi comuni e definendo le linee guida e gli obiettivi da raggiungere. Lo specifico mandato del DAC per il periodo 2018-2022 è quello di promuovere la cooperazione allo sviluppo e altre politiche pertinenti in modo da contribuire all’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, compresa una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, l’eliminazione della povertà, il miglioramento degli standard di vita nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) e verso un futuro in cui nessun Paese dipenderà dagli aiuti. Nel quadro del processo di armonizzazione ed efficacia dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) in ambito OCSE-DAC con il Forum di Roma del 2003 sull’armonizzazione tra i donatori fino alla Dichiarazione di Parigi, si sono decise le seguenti linee guida: rafforzamento della Country Ownership mediante forme di dialogo politico sempre più allargate tra PVS e donatori per una maggiore efficacia delle forme di aiuto da intraprendere; partnership sempre più inclusivi e riduzione della frammentazione dell’aiuto; forte coinvolgimento delle organizzazioni della società civile; adattamento degli aiuti alle esigenze specifiche dei Paesi; priorità all’impatto dei risultati, che a loro volta devono mettere in evidenza la loro trasparenza assieme con l’obbligo di rispondere pubblicamente del proprio modus operandi, onde evitare qualsiasi zona grigia. Cfr. http://www.oecd.org/dac/development-assistance-committee/
25
Un criterio assodato da anni oramai è quello per cui ogni iniziativa o progetto di
cooperazione allo sviluppo debba sempre essere concordato tra donatore e beneficiario.
Ebbene i progetti del Fondo rischiano di non tenere debitamente in considerazione la
volontà del beneficiario o perlomeno di lascargli margini di manovra assai limitati, per non
dire inesistenti. Addirittura la Commissione Europea riferisce che il ruolo dei Paesi partner
nei programmi EUTF è ridotto a quello di osservazione, minandone la ownerhsip41, in quanto
gli Stati africani sono sì consultati in proposito, ma senza vincoli legali, come invece avviene
nel caso degli altri progetti finanziati dal FES. Di conseguenza appare evidente come tale
mancanza di coerenza, altro principio cardine degli accordi di sviluppo, dia adito a parecchi
fraintendimenti insieme concettuali e operativi.
Per l’UE, almeno in teoria, e assai rilevante assicurare la coerenza dell’attuazione delle
proprie politiche in termini di azione esterna, massimizzando gli obiettivi di sviluppo
mediante un approccio coerente e coordinato tanto al proprio interno quanto all’esterno.
Ciò è ancora più valido quando si parla di cooperazione con i Paesi terzi con programmi per
attuare le riforme nel settore della sicurezza e del buon governo, nella lotta al traffico di
esseri umani e nel proteggere e assistere le vittime.
La Coerenza delle Politiche per lo Sviluppo (Policy Coherence for Development –
PCD) costituisce un pilastro fondamentale sia dell’OCSE sia dell’UE, per aumentare
l’efficacia della cooperazione allo sviluppo. Tale concetto di coerenza politica a sostegno
degli obiettivi di sviluppo, introdotto già nel 1992 con il Trattato di Maastricht, è stato
ulteriormente rafforzato dal Trattato di Lisbona nel 200942.
È opportune indicare che, ancorché simili fra loro, il concetto di PCD si differenzia da
quello della Coerenza delle Politiche per lo Sviluppo Sostenibile (Policy Coherence for
Sustainable Development – PCSD). Infatti l’importanza delle PCSD43 è stata riconosciuta
41 Il vocabolo “ownership” si traduce con “proprietà, possesso, appartenenza”. Nella cooperazione allo sviluppo il termine inglese ha assunto una connotazione che va oltre il possesso puramente materiale. Una misura o un progetto di sviluppo deve infatti essere concepito sin dal principio in modo tale da permettere alle persone direttamente interessate di appropriarsene, di parteciparvi in modo attivo, responsabilizzandosi nel proprio interesse. Ecco perché l’ownership comporta sempre anche la partecipazione e la decentralizzazione. Infatti, solo quando il potere decisionale viene delegato alle regioni, alle città, ai villaggi e, da ultimo, agli individui sussiste la garanzia che le persone interessate non solo si sentano interpellate dai progetti, ma vi mettano mano direttamente, assumendone la responsabilità. Ciò presuppone a sua volta che i processi, i progetti e le misure si configurino trasparenti per tutte le persone interessate e vengano concretizzati secondo i principi del buon governo (good governance) con il concorso di vari gruppi. Un tale approccio significa però che anche la cooperazione allo sviluppo deve puntare sul conferimento di responsabilità e potere alle persone e alle istituzioni che le rappresentano (empowerment), consentendo loro di partecipare al processo di sviluppo, facendosi carico delle proprie responsabilità. La solidarietà internazionale s’ispira ai principi di ownership (spetta ai singoli Stati africani individuare le priorità d’intervento e le modalità secondo cui agire) e di partnership (necessità che i Paesi industrializzati forniscano all’Africa le risorse necessarie a promuoverne lo sviluppo), che non deve svolgersi esclusivamente a livello di singoli Stati (canale bilaterale), ma soprattutto a livello continentale e regionale (canale multilaterale).
42 Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/sites/devco/files/eu-report-pcd-2019_en.pdf 43 Nonostante la loro prossimità semantica, c’e una differenza fondamentale tra i due acronimi PCD e PCSD. La PCD e
un obbligo legale dei Trattati UE, mentre la PCSD deriva dall’Agenda 2030. Si aggiunga che il nuovo consenso europeo
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nell’Obiettivo di Sviluppo n°17.14 e n°17.15, “Politica e coerenza istituzionale”, come mezzo
di attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS), nell’ambito delle misure
necessarie a migliorare il coordinamento e la coerenza delle politiche per lo sviluppo
sostenibile, tali da garantire il rispetto dello spazio politico e della leadership di ciascun
Paese per stabilire e attuare politiche di sradicamento della povertà e di sviluppo. In dettaglio
l’Obiettivo 17 – Rafforzare gli strumenti di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale
per lo sviluppo sostenibile – nel recitare che i Paesi industrializzati devono rispettare i loro
impegni ufficiali di aiuto allo sviluppo, incluso quello di destinare lo 0,7 per cento del Reddito
Nazionale Lordo all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, asserisce che sia imperativo aiutare i PVS
attraverso politiche coordinate e coerenti. Per l’OCSE quello delle PCSD e un approccio e
uno strumento politico per integrare le dimensioni economica, sociale, ambientale e di
governance dello sviluppo sostenibile in tutte le fasi del processo decisionale nazionale e
internazionale.
In sostanza con i programmi finanziati direttamente dal FES esiste una
programmazione congiunta, ma nessun processo decisionale collegato, laddove con l’EUTF
si ha un processo decisionale congiunto, ma nessuna programmazione collegata previa.
Bisognerebbe sondare se vi sia o meno un sentimento diffuso tra gli Stati membri
secondo cui i partner africani debbano essere inclusi prima e in modo più sistematico nel
discutere le esigenze e le priorità locali e nell’individuare potenziali progetti.
Parrebbe che nella finestra regionale del Sahel vi sia un più alto livello di
coinvolgimento e collaborazione delle controparti africane, mentre nella finestra regionale
in materia di sviluppo (European Consensus on Development) prevede l’applicazione della PCD in tutte le politiche e in tutti i settori inerenti all’Agenda 2030, con particolare attenzione ai cambiamenti climatici, alla sicurezza alimentare, alla migrazione e alla sicurezza. Secondo l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e i suoi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) lo sviluppo è sostenibile, se è in grado di assolvere ai bisogni del presente, senza tuttavia compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare a loro volta le proprie esigenze; a tal fine e importante armonizzare tre elementi fondamentali: la crescita economica, l’inclusione sociale e la tutela dell’ambiente. Gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (OSS) sono i seguenti: 1. Eliminare la povertà in tutte le sue forme e dovunque; 2. Eliminare la fame, conseguire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile; 3. Garantire salute e benessere a tutti a qualsiasi età; 4. Garantire un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti; 5. Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’empowerment di tutte le donne e ragazze; 6. Assicurare a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua, oltre che le condizioni d’igiene e lo smaltimento dei rifiuti; 7. Assicurare a tutti accesso a un’energia moderna, sostenibile e a prezzi equi; 8. Promuovere una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro a condizioni dignitose per tutti; 9. Costruire infrastrutture resilienti, promuovere un’industrializzazione inclusiva e sostenibile e favorire l’innovazione; 10. Ridurre le disuguaglianze fra i Paesi e all’interno dei Paesi; 11. Rendere le città e tutti gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili; 12. Garantire modelli di produzione e consumo sostenibili; 13. Adottare misure urgenti per contrastare i cambiamenti climatici e gli impatti che ne derivano; 14. Conservare e usare in modo sostenibile oceani, mari e risorse marine per lo sviluppo sostenibile; 15. Proteggere, ripristinare e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, combattere la desertificazione, arrestare e invertire il processo di degrado della terra e la perdita di biodiversità; 16. Promuovere società pacifiche e inclusive per lo sviluppo sostenibile, garantire accesso alla giustizia per tutti e costruire istituzioni efficaci, trasparenti e inclusive a tutti i livelli; 17. Rafforzare i mezzi e le risorse finanziarie necessarie per lo sviluppo sostenibile e rilanciare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile. Cfr. https://www.aics.gov.it/home-eng/fields/OSSs/
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del Nord Africa i governi locali sarebbero molto più cauti, perché meno disposti ad accettare
automaticamente i progetti proposti dalla Commissione Europea, in ragione dello
scetticismo circa ogni eventuale rischio d’imposizione dell’agenda europea nella regione.
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Rimesse della Diaspora africana
A peggiorare il quadro vi è la constatazione per cui il Fondo non incentiva di fatto una
cooperazione genuina nei Paesi partner africani, inducendo il loro massimo disinteresse. I
Governi africani hanno espresso la propria frustrazione per il fatto che l’EUTF trascuri i loro
veri interessi, sicché saranno prevedibilmente sempre meno propensi a cooperare
pienamente alle condizioni imposte dagli europei. Le preoccupazioni europee e africane in
termini di migrazione divergono notevolmente fra loro; mentre infatti molti politici dell’UE
cercano di contenere i flussi illegali e semplificare le riammissioni, i leader africani guardano
con favore ad una migrazione legale verso l’Europa, il che comporta un maggiore sviluppo
grazie alle rimesse, le sole davvero migliorative verso la resilienza nei Paesi d’origine.
Le rimesse dei lavoratori migranti rappresentano per molti PVS una fonte di crescita
economica e di sviluppo di assoluta rilevanza. Esse sono da almeno quindici anni superiori
allo stesso Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS). A dire la verità per molti Stati africani l’APS
europeo insieme con i fondi EUTF rappresentano una frazione rilevante rispetto a quanto
ottengono dalle rimesse della loro stessa diaspora in Europa. Nel 2015 le rimesse verso
l’Africa Sub-Sahariana furono di circa 36 miliardi di dollari, mentre nello stesso anno l’EUTF
erogò aiuti per l’immigrazione solo per pochi miliardi di euro. A causa del ruolo essenziale
svolto dalle rimesse in molte economie africane e della quantità relativamente ridotta di aiuti
allo sviluppo offerti, la collaborazione nel medio-lungo periodo da parte dei “beneficiari”,
leggasi Paesi di transito e d’origine, nella riduzione della migrazione irregolare potrà essere
inizialmente marginale e successivamente insignificante.
Sebbene sopravvalutata, la questione della migrazione e al centro dell’agenda
dell’Unione Europea da alcuni anni, mentre non lo e affatto per l’Unione Africana, che ha
ben altre priorità: crescere economicamente e stabilizzarsi politicamente. Inaspettatamente
l’Africa contribuisce al 14 per cento dell’immigrazione globale, l’Europa al 25 per cento e
l’Asia al 31 per cento; il numero netto di migranti africani verso il mondo e relativamente
modesto, 2,1 milioni, mentre quello cinese e di 10 milioni. In ogni caso, le risposte dell’UE
al problema della migrazione sono declinate su tre piani: il primo riguarda soluzioni tecnico-
burocratiche; il secondo è solo tattico e programmatico; il terzo, ancora in fase di
negoziazione, dovrà essere un motore politico e strategico che trasmetta una visione a
lungo termine insieme al pragmatismo, caratteristiche ancora per lo più non rilevate in
Europa.
Al contrario, è di fondamentale importanza considerare la mobilità umana non come
un problema, piuttosto come un’opportunità e un fattore di spinta della crescita economica.
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In verità, recenti studi dimostrano che i migranti provenienti da Paesi a basso reddito stanno
aumentando in modo significativo le proprie entrate, determinando un doppio effetto positivo
ossia una situazione vantaggiosa per tutti (win-win): arricchire le società ospitanti e trasferire
una parte sostanziale dei loro profitti in rimesse alle loro famiglie in Africa, contribuendo così
allo sviluppo dei loro Paesi di origine. L’entusiasmo degli espatriati africani di investire e di
avviare relazioni commerciali con i loro Paesi di origine deve essere preso più seriamente
in considerazione. Supponendo che un terzo della diaspora africana in Europa appartenga
alla classe media, è evidente che ciò sia una leva formidabile per nuove partnership di
sviluppo, alle quali l’Europa ancora guarda con sospetto aldilà delle dichiarazioni favorevoli
in tal senso. Questo spiegherebbe anche perché il Consiglio Esecutivo dell’Unione Africana
abbia già un decennio fa definito la diaspora africana come la sesta regione africana e che
la sua partecipazione agli organi e alle attività dell’UA fosse rafforzata.
Il rafforzamento del potenziale di sviluppo delle rimesse rimane a livello teorico una
priorità politica per l’UE e i suoi Stati membri. L’UE sottoscrive l’impegno dell’OSS n°10.c di
ridurre a meno del 3 per cento i costi di transazione delle rimesse dei migranti ed eliminare
i corridoi delle rimesse con costi superiori al 5 per cento. Cercare di ridurre il costo del
trasferimento delle rimesse e anche un obiettivo del JVAP. L’UE si sta impegnando con i
Paesi partner per massimizzare l’impatto sullo sviluppo della migrazione e della mobilità
regolari.
Ad esempio, l’UE ha sostenuto una serie di programmi recenti attuati dal Fondo
Internazionale per l’Agricoltura e lo Sviluppo (IFAD) nell’ambito del proprio strumento per le
rimesse (Facility for Remittances). Le azioni comprendono un progetto da 5 milioni di euro
per rafforzare il funzionamento e le capacità delle reti postali nell’area delle rimesse in alcuni
Stati dell’Africa Occidentale: Benin, Ghana e Senegal. Un altro programma dell’IFAD si sta
concentrando sul miglioramento dell’accesso alle rimesse nelle zone rurali, con particolare
attenzione all’Africa. Nel 2018 e stato lanciato un nuovo programma congiunto dell’UE con
l’IFAD: il “Programma Prime Africa” si concentra su sette Paesi africani con l’obiettivo di
ridurre i costi delle rimesse dall’UE del 30 per cento. Inoltre, un altro programma finanziato
dall’UE sulle rimesse include il sostegno all’Istituto Africano per le Rimesse (African Institute
for Remittances)44, istituito dall’Unione Africana nel 2014 con Segretariato a Nairobi
(Kenya), con l’obiettivo di creare competenze e capacità africane per raccogliere dati,
mobilitare la diaspora, intraprendere lo sviluppo di capacità nei Paesi africani sulle rimesse.
44 Con dieci milioni di africani residenti in territorio UE l’Europa e la prima fonte delle rimesse africane (36 per cento), pari a 21 miliardi di euro nel 2015. Cfr. https://au.int/en/sa/air
30
Inoltre, la direttiva 245 sui servizi di pagamento, entrata in vigore nel gennaio 2016,
contribuisce a rafforzare il quadro normativo per le rimesse, facilitando trasferimenti di
rimesse più economici, più rapidi e più sicuri, aiutando così i Paesi di origine a beneficiare
maggiormente della migrazione.
Sarebbe serio attenersi all’idea dell’OSS n°10.7 – Facilitare la migrazione ordinata,
sicura, regolare e responsabile e la mobilità delle persone, anche attraverso l’attuazione di
politiche migratorie programmate e ben gestite – secondo cui migrazioni e mobilità ben
gestite possono dare un contributo positivo alla crescita inclusiva e allo sviluppo sostenibile,
creando opportunità di crescita economica e culturale sia nei Paesi di origine sia in quelli di
destinazione.
Pertanto l’UE dovrebbe concentrare i propri sforzi su un’immigrazione regolare e
qualificata e non certo nell’immane quanto donchisciottesco tentativo di aumentare i ritorni
e le riammissioni, se desidera migliorare le sue relazioni con i partner africani. Di fatto tali
partner non sono interessati a questo tipo di approccio, ad eccezione delle Nazioni non
democratiche coinvolte nell’EUTF, che per opportunità non nominiamo in questa sede.
31
L’Agenda Europea sulla Migrazione
I cambiamenti dell’opinione pubblica europea stanno modificando le priorità
dell’agenda politica dell’Unione; infatti la migrazione e divenuta un tema non solo ricorrente,
ma centrale nei Consigli Europei e innegabilmente lo rimarrà ancora a lungo. La recente
proposta della Commissione per il nuovo quadro finanziario pluriennale 2021-2027 illustra
l'importanza della migrazione e dell'asilo con una quota di bilancio notevolmente aumentata
cioè di 35 miliardi di euro rispetto ai 13 miliardi di euro per il periodo 2014-2020.
In particolare il mutamento della situazione geopolitica nel Nord Africa e nel Medio
Oriente a seguito delle primavere arabe ha evidentemente spinto l’Unione Europea a
rivedere il proprio approccio, introducendo nel 2011 lo EU Global Approach to Migration and
Mobility (GAMM), strutturato secondo forme di dialogo approfondito con l’Africa su tre livelli,
continentale, regionale e bilaterale. L’obiettivo del GAMM era quello di stabilire partenariati
equilibrati e globali con i Paesi terzi che coprano vari aspetti della migrazione ed è stato
associato a uno spostamento nel discorso politico dell’UE che segnala la volontà di sfruttare
l’impatto positivo della migrazione sui processi di sviluppo; il GAMM nel 2015 e sfociato
nell’Agenda Europea sulla Migrazione.
Con specifico riferimento all’obiettivo OSS n°10.7 – facilitare la migrazione ordinata,
sicura, regolare e responsabile e la mobilità delle persone, anche attraverso l’attuazione di
politiche migratorie programmate e ben gestite – l’Agenda Europea sulla Migrazione45
45 La Commissione Europea ha presentato il 13 maggio 2015 l’Agenda Europea sulla Migrazione, in cui delinea le misure previste nell’immediato per rispondere alla situazione di crisi nel Mediterraneo e le iniziative da varare negli anni a venire per gestire meglio la migrazione in ogni suo aspetto. La situazione in cui versano migliaia di migranti che rischiano la vita per attraversare il Mediterraneo è sconvolgente ed è ormai evidente che nessuno Stato membro può né deve far fronte all’immane pressione migratoria da solo. L’agenda e una risposta europea che combina la politica interna ed estera, sfrutta al meglio agenzie e strumenti dell’UE e coinvolge tutti gli attori: Stati membri, istituzioni UE, organizzazioni internazionali, società civile, autorità locali e Paesi terzi. I quattro pilastri della nuova agenda sono i seguenti: 1. Ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare, in particolare distaccando funzionari di collegamento europei per la
migrazione presso le delegazioni dell’UE nei Paesi terzi strategici; modificando la base giuridica di Frontex per potenziarne il ruolo in materia di rimpatrio; varando un nuovo piano d’azione con misure volte a trasformare il traffico di migranti in un’attività ad alto rischio e basso rendimento e affrontando le cause profonde nell’ambito della cooperazione allo sviluppo e dell’assistenza umanitaria.
2. Gestire le frontiere: salvare vite umane e rendere sicure le frontiere esterne, soprattutto rafforzando il ruolo e le capacità di Frontex; contribuendo al consolidamento delle capacità dei Paesi terzi di gestire le loro frontiere; intensificando, se e quando necessario, la messa in comune di alcune funzioni di guardia costiera a livello UE.
3. Onorare il dovere morale di proteggere: una politica comune europea di asilo forte. La priorità è garantire l’attuazione piena e coerente del sistema europeo comune di asilo, promuovendo su base sistematica l’identificazione e il rilevamento delle impronte digitali, con tanto di sforzi per ridurne gli abusi rafforzando le disposizioni sul Paese di origine sicuro della direttiva procedure; valutando ed eventualmente riesaminando il regolamento Dublino nel 2016.
4. Una nuova politica di migrazione legale: l’obiettivo e che l’Europa, nel suo declino demografico, resti una destinazione allettante per i migranti; bisognerà quindi rimodernare e ristrutturare il sistema Carta blu, ridefinire le priorità delle nostre politiche di integrazione, aumentare al massimo i vantaggi della politica migratoria per le persone e i Paesi di origine, anche rendendo meno costosi, più rapidi e più sicuri i trasferimenti delle rimesse. Cfr. https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration
/background-information/docs/communication_on_the_european_agenda_on_migration_en.pdf
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stabilisce un approccio globale per affrontare tutti gli aspetti della migrazione all’interno e
oltre i confini dell’UE in modo equilibrato. Ciò include: affrontare le cause profonde della
migrazione irregolare e degli sfollamenti forzati, proteggere e mettere in sicurezza le
frontiere esterne europee, migliorare i rimpatri efficaci e la riammissione delle persone che
non hanno il diritto di soggiornare nell’UE, combattere il traffico di migranti e la tratta di esseri
umani, costruire un Comune Sistema Europeo di Asilo46 con nuove politiche in materia di
migrazione legale.
L’idea sarebbe quella dell’approccio integrato, che combina gli sforzi all’interno
dell’UE, alle frontiere esterne dell’UE e al di fuori dell’UE in cooperazione con i Paesi partner.
Costruire credibilità per lavorare con i partner per una politica migratoria globale significa
anche offrire percorsi sicuri e legali nell’UE. L’obiettivo e facilitare l’accesso alla protezione
internazionale delle persone bisognose attraverso i programmi di reinsediamento dell’UE e
migliorare la mobilità dei circolare lavoratori con i Paesi terzi di origine e di transito,
massimizzando in tal modo gli aspetti positivi della migrazione per lo sviluppo.
Parallelamente alla promozione di canali regolari per le migrazioni dall’Africa l’Europa deve
urgentemente elaborare e attuare opportune strategie nazionali d’integrazione per la
mobilità umana.
Il quadro generale attraverso il quale l’Unione Europea affronta e gestisce la politica in
materia di migrazione, mobilità e asilo e descritto nell’Agenda Europea per la Migrazione
del 2015, la quale, come accennato sopra, era stata preceduta nel 2005 dall’Approccio
Globale dell’UE sulla Migrazione e sulla Mobilità. Già nel GAMM le azioni dell’UE si
concentravano sempre più sulle tre aree geografiche attraversate dai flussi migratori: Paesi
di origine, Paesi di transito (sia in Africa sia in Europa) e Paesi di destinazione finale. In
Africa in generale e nel Sahel in particolare, le principali cause di migrazione sono
l’instabilità politica, i conflitti, le violazioni dei diritti umani, la povertà e l’assenza di
prospettive credibili per il futuro. Poiché la protezione internazionale e l’assistenza
umanitaria devono essere garantite a tutti coloro che ne hanno diritto, nel pieno rispetto del
principio di non respingimento (non refoulement), sancito dalla Convenzione di Ginevra del
1951 sullo Status dei Rifugiati47, di cui gli Stati Membri dell’UE sono firmatari, Bruxelles ha
46 L’aumento dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei flussi migratori verso l’Europa da quasi vent’anni a questa parte e più palesemente dal 2015 ha reso evidente un vuoto nella politica comune in materia di migrazione e asilo.
47 Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status di Rifugiato, articolo 33 – Divieto di espulsione o di respingimento (refoulement): (1) Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (refouler) - in nessun modo - un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche. (2) Il beneficio di detta disposizione non potrà tuttavia essere invocato da un rifugiato per il quale vi siano gravi motivi per considerarlo un pericolo per la sicurezza dello Stato in cui si trova, oppure da un rifugiato il quale,
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deciso di intervenire sulla questione della migrazione, condividendo tra gli Stati membri non
solo il monitoraggio dei movimenti della popolazione, ma soprattutto una valutazione
obiettiva delle cause profonde della migrazione anche attraverso dialoghi diretti con i Paesi,
dove si generano più flussi migratori.
Vi è una crescente e fondata preoccupazione per il fatto che le priorità delle politiche
di cooperazione allo sviluppo dell’UE di lungo termine dimentichino che lo scopo prioritario
resta l’eliminazione della povertà e non certo quello di subordinarle all’Agenda Europea sulla
Migrazione, la quale rischia attraverso l’EUTF di assoggettare le risorse di sviluppo al
servizio di una strategia di condizionalità, distanziandole dunque dall’obiettivo centrale della
politica di sviluppo dell’UE di eradicazione della povertà ai sensi dell’articolo 208, paragrafo
1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea48.
Negli ultimi cinque anni la Commissione Europea sostiene di aver lavorato
alacremente, per delineare una politica più forte in materia di migrazione, nel tentativo,
ancora velleitario, di passare dall’emergenza alla creazione di soluzioni definitive e coerenti,
così da prepararsi al meglio per quelle che Bruxelles si limita a chiamare eventuali sfide
migratorie future.
I processi di coordinamento e le strutture operative sviluppati e stabiliti sul campo per
la gestione delle migrazioni resteranno operativi per il prossimo futuro, ovvero l’EUTF e gli
altri strumenti saranno mantenuti.
L’UE ha intensificato il lavoro con partner esterni per affrontare le cause profonde della
migrazione irregolare, proteggere rifugiati e migranti e sostenere le comunità ospitanti. A tal
fine sono stati mobilitati finanziamenti senza precedenti, per un valore di 9,7 miliardi di euro,
in particolare attraverso il Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa, il Fondo fiduciario siriano e lo
strumento per i rifugiati in Turchia, ai sensi dei quali è già stato assegnato il 97 per cento di
6 miliardi di euro. Il sostegno dell’UE si sta inoltre concentrando sulla resilienza, stabilità,
opportunità economiche e occupazionali. Anche la cooperazione con i Paesi partner in
materia di rimpatrio è migliorata, con accordi di rimpatrio e riammissione attualmente in
vigore con 23 Paesi partner.
essendo stato oggetto di una condanna già passata in giudicato per un crimine o un delitto particolarmente grave, rappresenti una minaccia per la comunità di detto Stato.
48 Titolo III, Cooperazione Con i Paesi Terzi e Aiuto Umanitario, Capo 1 Cooperazione Allo Sviluppo, Articolo 208 (ex articolo 177 del TCE): 1. La politica dell’Unione nel settore della cooperazione allo sviluppo è condotta nel quadro dei principi e obiettivi dell’azione esterna dell’Unione. La politica di cooperazione allo sviluppo dell’Unione e quella degli Stati membri si completano e si rafforzano reciprocamente. L’obiettivo principale della politica dell’Unione in questo settore e la riduzione e, a termine, l’eliminazione della povertà. L’Unione tiene conto degli obiettivi della cooperazione allo sviluppo nell’attuazione delle politiche che possono avere incidenze sui paesi in via di sviluppo. 2. L’Unione e gli Stati membri rispettano gli impegni e tengono conto degli obiettivi riconosciuti nel quadro delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni internazionali competenti. Cfr. https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:12012E/TXT:IT:PDF
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La necessità di un Sistema Europeo Comune di Asilo riformato è stata una delle lezioni
più chiare della crisi migratoria del 2015. La Commissione ha messo in campo tutte le
proposte necessarie per un quadro UE completo e sostenibile per le migrazioni e l’asilo.
Sebbene siano stati compiuti progressi su cinque proposte di sette, la riforma è ancora in
sospeso, rivelandosi ancora una volta disastroso il tentativo di adoperare standard comuni
per il diritto d’asilo.
Nel corso degli ultimi cinque anni sono state reinsediate 63.000 persone, con
l’impegno da parte delle capitali europee di reinsediarne altre 30.000 nel prossimo futuro.
Mentre la situazione migratoria complessiva su tutte le rotte è tornata ai livelli pre-crisi
con arrivi a settembre 2019 inferiori del 90 per cento circa rispetto a settembre 2015, la
situazione rimane instabile e gli sviluppi geopolitici restano imprevedibili, sicché si rendono
secondo Bruxelles necessarie le seguenti misure: azioni urgenti per migliorare le condizioni
nel Mediterraneo orientale; maggiore solidarietà nella ricerca e nel salvataggio;
accelerazione delle evacuazioni dalla Libia, rimanendo la situazione in Libia una delle
principali preoccupazioni. Dopo lo scoppio di conflitti violenti a Tripoli e nei dintorni,
nell’aprile 2019, con gli sforzi intensificati attraverso la Task Force Trilaterale AU-UE-ONU49
si deve continuare ad aiutare a liberare i migranti dai carceri, facilitare il rimpatrio volontario
(finora 49.000 rimpatri) ed evacuare le persone più vulnerabili (oltre 4.000 evacuati).
Gli Stati membri devono urgentemente aumentare e accelerare il ritmo dei reinsediamenti
nell’ambito del Meccanismo per il Transito di Emergenza (Emergency Transit Mechanism -
ETM)50 in Niger gestito con l’ACNUR e sostenere l’ETM di recente costituzione in Rwanda51.
Duole alla luce di tutto ciò constatare che l’Agenda Europea sulla Migrazione considera
le migrazioni un problema invece che un’opportunità. L’UE ha visto i partenariati per la
mobilità come un modo per premiare i Paesi partner nel riammettere sia i richiedenti asilo
respinti sia i migranti irregolari, riconoscendo in cambio concessioni sulla liberalizzazione
dei visti e sull’immigrazione legale. Ebbene, tale espediente politico tradotto
nell’esternalizzazione delle politiche migratorie, mossa da una singolare sindrome tutta
europea di accerchiamento, si è già dimostrato miope e non lungimirante.
49 La AU–EU–UN Tripartite Taskforce on the Situation of Stranded Migrant and Refugees in Libya è stata istituita dall’Unione Africana, dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite nel novembre 2017, a margine del V Vertice UA-UE ad Abidjan, con l’obiettivo di salvare e proteggere la vita di migranti e rifugiati lungo le rotte migratorie, e in particolare all’interno della Libia.
50 Si tratta di un meccanismo di evacuazione umanitaria d’urgenza rivolto ai profughi che si trovano nei centri di detenzione libici.
51 La Task Force ha accolto con favore, in particolare l’iniziativa di Kigali, dell’Unione Africana e dell’UNHCR di istituire ETM in Rwanda, che consenta l’evacuazione delle persone bisognose di protezione internazionale dalla Libia.
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Migrazioni e mobilità umana: il binomio Pace & Sicurezza e i Processi di
Rabat e di Khartoum
Il binomio Pace & Sicurezza e al centro del Partenariato tra l’Unione Africana (UA) e
l’Unione Europea (UE). L’UE ed i suoi Stati membri sono i maggiori contributori del budget
dei programmi dell’UA, e hanno l’obiettivo di migliorare l’integrazione economica e politica
dell’Africa, avendo allocato alcuni miliardi di euro al Fondo per la pace e la sicurezza in
Africa, cioe l’African Peace Facility (APF). Infatti l’APF e stata istituita nel 2004 quale
principale fonte di finanziamento per sostenere la pace e la sicurezza in Africa.
Anche in ragione della pressione migratoria che insiste sull’Europa, proveniente in
gran parte proprio dall’Africa, le capitali europee paiono intenzionate a darsi obiettivi
realistici di cooperazione con le controparti africane, così da favorire la pacificazione prima
e lo sviluppo poi delle summenzionate aree di crisi, che originano la maggior parte dei
profughi. Perciò è stata accolta con grande favore la nuova agenda strategica di cui si è
dotata l’Unione Africana (UA) – l’Agenda 2063 – un documento impostato affinché l’Africa
possa darsi obiettivi di crescita e di organizzazione interna durevoli ad affidabili anche verso
terzi. L’Agenda 2063 dell’Unione Africana, adottata nel 2013, e sia una visione sia un piano
d’azione, volta a far interagire tutti i segmenti della società africana, per costruire un’Africa
prospera e unita sulla base di valori condivisi e di un destino comune. Tale traiettoria di
sviluppo di lungo periodo in continuità con il precedente piano di sviluppo dell’UA, il
NePAD52, e con le pietre miliari del panafricanismo dei padri fondatori dell’allora
Organizzazione per l’Unità Africana (OUA), mira ad un’Africa più unita e forte, allo scopo di
ricoprire il ruolo di player internazionale influente, in maniera da negoziare con una sola
voce la propria posizione nei tanti fora internazionali, raccogliendo il sostegno intorno a
un’agenda comune contro tutte quelle forze interne ed esterne che vorrebbero vedere diviso
il Continente africano per continuare a sfruttarlo.
Sulla questione migratoria, in virtù della Dichiarazione UE-Africa sulla Migrazione e la
Mobilità del 2014 , le posizioni di Bruxelles e di Addis Abeba si possono riassumere con i
seguenti punti: l’impegno al contrasto della tratta di esseri umani in termini di prevenzione
del fenomeno e di protezione delle vittime tanto in Africa quanto in Europa, salvaguardando
la vita dei migranti; la necessità di approfondire non soltanto le cause profonde della
52 Un’importante iniziativa dell’Unione Africana e il NePAD (New Partnership for Africa’s Development). Si tratta di un progetto strategico per lo sviluppo continentale, istituito nel 2001 su iniziativa dei suoi cinque Paesi fondatori: Algeria, Egitto, Nigeria, Senegal, Sudafrica.
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migrazione irregolare, ma più di ogni altra cosa il nesso fra sviluppo economico e flussi
migratori, facilitando le transazioni economiche delle rimesse della diaspora. Le azioni che
verranno adottate riguarderanno sul piano continentale, regionale e nazionale i tre spazi
geografici del fenomeno migratorio: i Paesi di origine, quelli di transito (sia in Africa sia in
Europa) e quelli di destinazione.
L’UE ha avviato due dialoghi politici pertinenti con l’Africa in materia di migrazione: la
Rotta Migratoria Occidentale e la Rotta Migratoria Orientale, le quali sono rispettivamente
regolate da un lato, dal 2006, dal Dialogo Euro-Africano su Migrazione e Sviluppo, meglio
noto come Processo di Rabat53, relativo alle relazioni tra l’UE e gli Stati dell’Africa
Occidentale allargata e, dal 2015, dall’iniziativa UE-Horn of Africa Migration Route Initiative
(HoAMRI) relativa all’Africa Orientale, meglio nota come Processo di Khartoum54.
Il Processo di Rabat, avviato durante la Prima Conferenza Ministeriale Euro-Africana
sulla Migrazione e lo Sviluppo a Rabat (Marocco), si applica a tre regioni specifiche: Africa
Settentrionale, Africa Occidentale e Africa Centrale. Nel corso degli anni è stato in grado di
avviare un fruttuoso dialogo attuando alcune iniziative significative, come ad esempio il
Seahorse Atlantic Network, operativo dal 2006 tra Spagna, Portogallo, Senegal, Mauritania,
Capo Verde, Marocco, Gambia e Guinea-Bissau, avendo permesso con successo lo
scambio di informazioni necessario per prevenire l’immigrazione irregolare in tutta l’area.
Il Processo di Khartoum è stato istituito con una conferenza ministeriale, tenutasi a
Roma nel novembre 2014, sotto l’impulso della Presidenza semestrale Italiana dell’Unione
Europea e di Berlino. Tecnicamente il nuovo istituto è governato da un comitato
permanente, che opera secondo la regola del consenso, composto da cinque nazioni
europee (Francia, Germania, Italia, Malta e Regno Unito), cinque africane (Egitto, Eritrea,
Etiopia, Sudan e Sud Sudan), la Commissione Europea, il Servizio Europeo di Azione
Esterna (SEAE) e la Commissione dell’Unione Africana (AUC). Il rinnovato impegno di Italia
e Germania nei confronti di un’azione multidimensionale congiunta nel Corno d’Africa (HoA)
è sfociato nella Dichiarazione di Roma, secondo una strategia basata sui seguenti quattro
pilastri: migrazione legale e mobilità; migrazione irregolare e lotta alla criminalità
organizzata; legame tra migrazione e sviluppo; protezione internazionale.
In quell’occasione, gli allora Ministri degli Esteri italiano e tedesco – Paolo Gentiloni e Frank-
Walter Steinmeier – descrissero il Processo di Khartoum come un impegno strategico a
lungo termine, per affrontare il problema dell’immigrazione, che comporta varie azioni
53 Cfr. https://www.rabat-process.org 54 Cfr. https://www.khartoumprocess.net
37
politiche, inclusa la lotta contro il traffico di migranti e contro la tratta di esseri umani.
Con il Piano d’Azione di Sharm El Sheikh del Processo Khartoum sono state approvate
alcune indicazioni pratiche sul tipo di progetti da realizzare: il rafforzamento delle capacità
istituzionali e delle risorse umane di quegli Stati in prima linea impegnati contro la tratta di
esseri umani anche attraverso la creazione di centri di formazione regionali ad hoc; sviluppo
delle capacità giuridiche; sviluppo della consapevolezza dei rischi impliciti nell’intraprendere
tali viaggi anche attraverso punti di informazione dedicati ai migranti mediante campagne
d’informazione con mezzi tradizionali e innovativi; rafforzamento delle capacità di controllo
delle frontiere; sviluppo di modelli di strategie nazionali finalizzate all’attuazione della
Convenzione di Palermo (ovvero la Convenzione delle Nazioni Unite contro il Crimine
Organizzato Transnazionale - UNTOC).
38
Il Sahel
Come sappiamo l’istituzione dell’EUTF, che si concluderà per la sua prima fase il 31
dicembre 2020, si basa sulla valutazione di numerose concause trasversali, che lo hanno
reso imperativo per l’Europa.
Per molti anni la regione del Sahel in generale, compreso il bacino del Lago Ciad, e il
Corno d’Africa hanno affrontato sfide crescenti di pressione demografica, stress ambientale,
povertà estrema, tensioni interne, debolezze istituzionali, infrastrutture sociali ed
economiche deboli e insufficiente capacità di resistenza, crisi alimentariche in alcuni luoghi
hanno portato a conflitti aperti, sfollamenti, criminalità, radicalizzazione ed estremismo
violento nonché migrazione forzata e irregolare, tratta di esseri umani e traffico di migranti55.
Le sfide alla sicurezza sono state sempre più legate ai gruppi terroristici e al traffico illecito
di ogni tipo. In una prospettiva regionale più ampia, gli effetti delle crisi in Libia e Yemen,
nonché i conflitti interni in Sudan, Sud Sudan, Mali e le minacce terroristiche hanno messo
in crisi l’intera regione.
Per tutti questi Paesi, la crisi si manifesta come un flusso crescente di migrazione
forzata, anche attraverso il deserto del Sahara, il Mediterraneo e altre rotte verso l’Europa.
Il Sahel è una zona semi arida di transizione bio-geografica ed eco-climatica, delimitata
a Nord dal deserto del Sahara e a Sud dalla Savana, lunga circa 5.400 chilometri e larga
circa 1000 chilometri. La parola araba sahil significa letteralmente costa, in quanto descrive
per analogia la vegetazione della savana in cui ci si imbatte subito a ridosso dei limiti delle
sabbie sahariane. La fascia saheliana, estendendosi dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso,
dove ha per estremi le Isole di Capo Verde ad Ovest e l’Eritrea ed il Sudan ad Est, attraversa
Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria e Ciad. Contribuiscono inoltre alla
precarietà e all’impoverimento del Sahel dal punto di vista climatico la desertificazione e da
55 Il traffico di migranti e un’attività redditizia per le reti criminali con un fatturato annuo stimato di miliardi di euro. I trafficanti utilizzano rotte terrestri, marittime e aeree per favorire la migrazione irregolare tanto all’interno quanto all’esterno dell’UE. La povertà, l’instabilità sociale e politica, nonché la limitata disponibilità di rotte migratorie legali, spingono le persone a utilizzare reti criminali per facilitare l’ingresso, il transito o il soggiorno non autorizzati nell’UE. Le politiche dell’UE in particolare quelle che affrontano gli OSS n°8.7 e n°8.8 aiutano a combattere il traffico di migranti e ad affrontare la migrazione irregolare. Nel 2015 la Commissione ha adottato il suo primo Piano d’Azione Globale contro il Traffico di Migranti, che mira a trasformare il traffico da un’attività “ad alto profitto, a basso rischio” in un’attività “ad alto rischio e a basso profitto”, assicurando al tempo stesso il pieno rispetto e protezione dei diritti umani dei migranti. L’obiettivo del piano d’azione e rafforzare la cooperazione all’interno dell’UE e con i Paesi terzi per affrontare questo crimine intrinsecamente transnazionale. Il piano d’azione contro il traffico di migranti rafforza la cooperazione operativa tra l’UE e i Paesi terzi di origine e di transito per prevenire e contrastare il traffico di migranti attraverso una vasta gamma di strumenti, quali: (1) progetti finanziati dall’UE per lo sviluppo di capacità, come l’azione globale contro la tratta di persone e il traffico di migranti (Global Action against Trafficking in Persons and Smuggling of Migrants) e il programma regionale dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC) nell’ambito della finestra del Fondo fiduciario dell’UE per il Nord Africa); (2) campagne di informazione e sensibilizzazione (ad esempio sei nuove campagne in Tunisia, Mali, Niger, Gambia, Costa d’Avorio, Guinea avviate nel 2019); (3) squadre investigative comuni e partenariati operativi comuni o distacchi di funzionari di collegamento europei in materia di migrazione nei principali Paesi terzi.
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quello politico-istituzionale la Fragility & Failure56, poiché le regioni sahariane e saheliane
sono quelle dove minore è la capacità di controllo del territorio da parte delle autorità centrali.
Il Sahara ed il Sahel si sono repentinamente trasformate nell’epicentro delle crisi di
tutta l’Africa Settentrionale fino al Golfo di Guinea, a causa del diffondersi e del radicarsi del
terrorismo e dei traffici illeciti, nonché della crescente loro interdipendenza che ha favorito
e coeso organizzazioni criminali, molte delle quali riconducibili ad Al Qaida nel Maghreb
Islamico (AQMI), che mira a destabilizzare i precari equilibri interni dei Paesi dello
scacchiere. Solo una responsabile politica di sviluppo da parte dei Paesi coinvolti, unita ad
una fattiva e quanto più ampia cooperazione regionale, anche e prioritariamente nel settore
della lotta alla criminalità, potrà garantire condizioni di sicurezza capaci di arginare il
fenomeno terroristico e di favorire lo sviluppo e la crescita della regione.
Le nuove rotte della droga, accrescendo il consumo e l’assuefazione alle sostanze
stupefacenti nei territori che attraversano, prima di giungere alla loro destinazione finale,
contribuiscono alla destrutturazione di società già gravate dal sottosviluppo e
dall’impoverimento endemico. Desta particolare inquietudine il rafforzamento dei legami tra
le organizzazioni terroristiche ed i trafficanti di droga. Oggi l’Africa Occidentale è uno dei
principali centri di smistamento dei traffici clandestini ed il cuore del nuovo network
terroristico qaidista. Oltre che con i riscatti dei rapimenti, il terrorismo viene finanziato con i
proventi di traffici illeciti (migranti, droga, armi, sigarette, medicinali, automobili rubate,
sostanze tossiche).
Gli abitanti del Sahel – una delle regioni più povere del mondo e più vicine all’Europa
– devono affrontare condizioni di estrema povertà, tensioni interne, debolezze istituzionali,
alti tassi di crescita della popolazione e notevole esposizione ai cambiamenti climatici
nonché a frequenti crisi alimentari. Il Sahel mostra una discontinuità antropologica e
ambientale che corrisponde all’African Belt, creando una profonda spaccatura culturale tra
la popolazione araba e berbera e quella negro-africana. L’African Belt e una linea di
demarcazione invisibile e immateriale non solo tra l’Africa bianca e l’Africa nera, ma anche
tra sunnismo e sufismo. In breve, tale frattura evidenzia le contraddizioni storiche che
coinvolgono i popoli settentrionali arabo-berberi-nomado-pastorali da un lato e quelli
meridionali negro-africani-sedentari-coltivatori dall’altro.
Il rovesciamento del regime libico di Gheddafi nel 2011, scoperchiando il vaso di
Pandora, ha accelerato l’evoluzione della crisi fino ad allora solo latente nei Paesi del Sahel
56 Lo scopo dell’UE e di consolidare il delicato processo di institution building di questi Stati deboli, tali in quanto istituzionalmente fragili oppure in transizione.
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e del Sahara, producendo un nuovo epicentro di conflitti caratterizzati da rivendicazioni
localiste troppo a lungo sottostimate e del tutto intrinseche a dinamiche politiche interne,
prive dunque di aspirazioni globali, nonostante le alleanza tattiche strette solo a fini di
visibilità con il terrorismo internazionale come nel caso di Al Qaida e del Daesh57.
Il fondamentalismo e il terrorismo stanno concentrando la loro capacità di proiezione tattica
nei territori più difficilmente gestibili del pianeta: il Sahara e il Sahel. Il passaggio dei centri
di gravità dal Medio Oriente all’Africa lungo una direzione sud-nord sta generando un nuovo
fronte di conflitto della matrice islamista attraverso il Sahel, o tra il Nord Africa e l’Africa
Occidentale, con ripercussioni fino al Corno d’Africa.
Per quanto sopra, la regione del Sahel e diventata una priorità per l’Unione Europea
in termini di pace e sviluppo sostenibile. A causa di questa nuova polarizzazione lungo il
sedicesimo nord parallelo, sono attualmente in corso numerose azioni guidate dall’UE
contro il consolidamento di zone franche terroristiche tra l’Africa Mediterranea e l’Africa Sub-
Sahariana. L’ardua gestione della sovranità statale su importanti settori appartenenti ai
cosiddetti Stati falliti e Stati fallimentari (Failed & Failing State)58 a causa di profonde carenze
istituzionali, incoraggia il traffico illecito, la radicalizzazione violenta e l’estremismo islamista.
In effetti, i conflitti più recenti in Africa insistono sulla fragilità dei confini e sulla difficoltà per
alcuni governi centrali di esercitare la propria sovranità su porzioni considerevoli dei loro
territori nazionali che, lasciati in balia degli eventi, potrebbero essere sempre più sequestrati
da attori non statali armati (Non-State-Actors – NSAs).
Secondo le conclusioni sul Sahel adottate dal Consiglio Affari Esteri del 13 maggio
201959 del Consiglio dell’Unione Europea60, le principali sfide affrontate da questa regione
sono letteralmente: “quelle di natura politica, in particolare gravi carenze nella governance,
nello stato di diritto e nella protezione dei diritti delle persone; le sfide relative alla sicurezza,
con l’espansione della minaccia terroristica, della violenza estremista e della criminalità
organizzata, compresa la tratta di esseri umani, con i cambiamenti climatici che incidono
negativamente sulle risorse naturali e alimentano i conflitti locali; sfide in termini di sviluppo,
57 La persistenza di una conflittualità a bassa intensità in Africa Occidentale, più precisamente nelle regioni del Sahara e del Sahel, è dovuta sia ai Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) sia ai Movimenti Associati al Daesh (MAD). I MAAQ, la cui presenza e più antica nell’area, sono maggiormente concentrati nel Sahel occidentale (Burkina Faso e Mali), mentre i MAD sono più forti in Niger, Ciad, Nigeria e intorno al Lago Ciad.
58 Contribuisce alla precarietà e all’impoverimento del Sahel da un punto di vista politico-istituzionale il combinato disposto di Fragility & Failure, poiché le regioni sahariane e saheliane sono quelle dove minore è la capacità di controllo del territorio da parte delle autorità centrali.
59 Cfr. https://www.consilium.europa.eu/en/meetings/fac/2019/05/13/ 60 Il Consiglio dell’Unione Europea e l’istituzione che rappresenta i governi degli Stati membri. Informalmente noto anche
come Consiglio UE, e la sede in cui i Ministri provenienti da ciascun Paese dell’UE si riuniscono per adottare atti legislativi e coordinare le politiche. Esso si differenzia dal Consiglio Europeo, che e invece l’istituzione dell’UE che
definisce le priorità e gli orientamenti politici generali dell’Unione Europea. È composto dai capi di Stato o di Governo degli Stati Membri, dal suo Presidente e dal Presidente della Commissione.
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con povertà endemica, forte crescita demografica e debole coesione socioeconomica;
questi fattori aggravano l’insicurezza alimentare, aumentano le pressioni migratorie e
peggiorano la situazione umanitaria “. Le condizioni di sicurezza nella regione del Sahel
sono ancora estremamente incerte, con una situazione particolarmente precaria nel nord
del Mali e intorno al lago Ciad con ricadute nella Libia meridionale e nel nord della Nigeria,
mentre il Niger è un importante centro di transito per i movimenti migratori attraverso il Sahel.
Alle crisi nel Sahel dovrebbe essere fornita una risposta efficace e multisettoriale, in grado
di integrare tutti i seguenti livelli: nazionale, regionale, continentale, internazionale e
transnazionale.
Nel 2014, con un forte impegno europeo, al fine di affrontare meglio la sicurezza
nell’area, un gruppo di cinque Stati saheliani ha dato alla luce il G5 Sahel (G5-S) che consta
dei seguenti Stati Membri: Burkina Faso, Ciad, Mauritania, Mali e Niger. Il G5-S è diventato
rapidamente il principale attore regionale per la realizzazione degli obiettivi strategici europei
nell’area. Il partenariato rafforzato UE-G5-Sahel dovrebbe essere per i prossimi anni il luogo
di eccellenza per l’attuazione degli orientamenti euro-africani sulla gestione delle crisi nel
Sahel. La cooperazione totale allo sviluppo dell’UE nei Paesi del G5 nel Sahel ammonta a
8 miliardi di euro per il periodo 2014-2020. L’UE fornisce assistenza a lungo termine al Sahel
principalmente attraverso il Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa (930 milioni di euro) e il
Fondo europeo di sviluppo (FES). La distribuzione dei finanziamenti europei per ciascuno
di questi Paesi secondo il Programma indicativo nazionale (PIN) è la seguente: 628 milioni
di euro al Burkina Faso, 542 milioni di euro al Ciad, 664 milioni di euro al Mali, 160 milioni
di euro alla Mauritania e € 686 milioni in Niger. L’UE e anche un importante donatore
umanitario, con oltre 250 milioni di euro distribuiti alle popolazioni del G5 nel Sahel negli
ultimi due anni.
La stabilità nella regione del Sahel e la chiave per la sicurezza europea. L’UE sostiene
anche la sicurezza e la stabilità della regione attraverso tre missioni nell’ambito della Politica
di Sicurezza e di Difesa Comune dell’UE (PSDC)61: l’EUCAP Sahel Mali (2014), l’EUTM
Mali (2013) e l’EUCAP Sahel Niger (2012). Le missioni includono formazione e sostegno
61 La Politica di Sicurezza e di Difesa Comune dell’UE (PSDC) è parte integrante della Politica Estera e di Sicurezza Comune dell’UE (PESC). Essa prevede la definizione progressiva di una politica di difesa comune dell’Unione europea e mira a consentire all’Unione europea il rafforzamento delle sue capacità militari e il dispiegamento di missioni al di fuori dell’UE per il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. Le decisioni relative alla PSDC sono prese dal Consiglio dell’Unione europea all’unanimità. Tuttavia sono possibili alcune eccezioni, come ad esempio quando il Consiglio adotta decisioni di attuazione di una decisione dell’UE o per alcune decisioni riguardanti l’Agenzia Europea per la Difesa (AED) e la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO), in cui le decisioni sono prese a maggioranza
qualificata. L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza è incaricato di proporre e attuare le decisioni di PSDC.
42
diretto alle forze di sicurezza, con il fine ultimo di rafforzare le rispettive capacità nazionali.
Inoltre, l’UE e i suoi Stati membri prestano assistenza nell’operatività della forza congiunta
del G5 Sahel grazie allo stanziamento dei 147 milioni di euro.
La missione di rafforzamento delle capacità dell’Unione Europea (EUCAP) Sahel Niger
è una missione civile che sostiene le istituzioni e le forze di sicurezza del Niger (polizia,
gendarmeria, guardia nazionale e forze armate) per rafforzare lo stato di diritto e migliorare
la capacità del Paese di combattere il terrorismo e la criminalità organizzata. Da maggio
2015 il suo mandato è stato esteso a un quinto obiettivo relativo alla migrazione. Un altro
obiettivo di Bruxelles è la prevenzione della migrazione irregolare, del traffico e della tratta
di esseri umani; un’enfasi specifica e data al Niger, come nel caso delle città settentrionali
di Agadez e Arlit, in quanto sono i principali snodi di transito per le rotte migratorie verso la
Libia e il Mediterraneo e della località meridionale nigerine, a Diffa, soggetti a ripetuti assalti
di Boko Haram62, lungo il confine poroso con la Nigeria vicino al lago Ciad.
La missione di rafforzamento delle capacità dell’Unione Europea (EUCAP) Sahel Mali
è una missione civile che fornisce consulenza strategica e formazione alla polizia, alla
gendarmeria e alla guardia nazionale maliane, per sostenere le riforme nel settore della
sicurezza e per il mantenimento del controllo territoriale da parte dello Stato.
La missione di addestramento dell’Unione Europea (MUE) Mali e una missione militare
che fornisce consulenza alle autorità maliane sulla ristrutturazione delle forze armate
nazionali, attraverso l’addestramento di battaglioni e il sostegno alla riforma della difesa;
fornisce inoltre supporto tecnico alla G5 Sahel Joint Force. Di fatto, l’UE funge da garante
del processo maliano in collaborazione con l’operazione guidata dalla Francia Barkhane e
la Missione Multidimensionale Integrata di Stabilizzazione delle Nazioni Unite in Mali
(MINUSMA).
62 Boko Haram, la setta dei “talebani nigeriani”, fondata da Ustaz Mohammed Yusuf nel 2002 a Maiduguri, capitale dello
Stato di Borno, ora guidata dal famigerato Abubakar Sheaku, di etnia Kanuri, ha negli ultimi mesi elevato il livello dello scontro, emulando lo stile, le azioni, i modi e gli scopi dello Stato Islamico (IS). L’altra neo-formazione non-statale che preoccupa e la sua ala scissionista, l’Avanguardia per l’Aiuto dei Musulmani in Africa Nera (ANSARU), capeggiata da Khalid al Barnawi. Boko Haram (in arabo jamà atu ahlis sunna lidda’ awati wal-jihad) e tradotto come “gente dedita alla propagazione degli insegnamenti del Profeta e al Jihad”; in lingua Hausa “boko” significa non-islamico, mentre “haram” in arabo significa vietato. Pertanto la locuzione Boko Haram e convenzionalmente tradotta come l’educazione occidentale è peccato. Scopo tattico della setta è bandire il sistema educativo occidentale, per favorire strategicamente il radicamento del fondamentalismo islamico, creando le condizioni necessarie in un primo momento agli scopi dei Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) nel Sahel e adesso a quelli più promettenti dell’ISIS. In sintesi e passato dal franchising o etichetta prêt-à-porter, che dir si voglia, verso Al Qaida all’esplicita richiesta di farsi riconoscere quale branch autorizzato dalla “casa madre” dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL). L’evoluzione di Boko Haram, è venuta trasformandosi da fenomeno locale intestino alla Nigeria sottovalutato dalle autorità federali a crisi regionale a tutto tondo, giacché la setta islamista dispone di retrovie e campi di addestramento fuori confine, che le hanno permesso di portare a compimento attacchi, rapimenti con aperte minacce a Camerun, Niger e Ciad. L’Unione Africana ha dispiegato missione – Multinational Joint Task Force (MNJTF) –con truppe di Benin, Camerun, Ciad, Niger, Nigeria.
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La strategia per il Sahel della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale
(CEDEAO-ECOWAS), la Strategia di Pace e Sicurezza dell’Autorità Intergovernativa per lo
Sviluppo (IGAD), nonché le Strategie europee per il Sahel e per il Corno d’Africa
riconoscono in particolare l’importanza di un approccio dedicato alle aree periferiche, che
sono caratterizzate da una presenza statale molto bassa e porosità dei confini, nonché
dall’emarginazione e dall’indigenza di particolari gruppi della società e da una maggiore
vulnerabilità alla migrazione irregolare, all’estremismo, al traffico di esseri umani e al traffico
di migranti.
Nel 2015 il Consiglio degli Affari Esteri dell’Unione Europea ha avallato il Piano
d’Azione Regionale per il Sahel (Sahel Regional Action Plan – RAP). Il Piano d’Azione
focalizza la propria attenzione su quattro priorità fondamentali per i prossimi anni destinata
a cinque specifici Stati saheliani (Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger, Mauritania), vale a dire:
prevenzione e lotta alla radicalizzazione; creazione di condizioni adeguate per i giovani;
migrazione e mobilità; gestione delle frontiere e lotta contro il traffico illecito e la criminalità
organizzata transnazionale. Già nel marzo 2011 l’UE aveva adottato un approccio globale
per la regione del Sahel, utilizzando come riferimento una specifica strategia
omnicomprensiva per la sicurezza e lo sviluppo regionali – la Strategia UE per il Sahel –
fondata sia sul principio per cui lo sviluppo e la sicurezza si rafforzano a vicenda sia sulla
stringente necessità di una risposta regionale a tutti questi problemi tra loro strettamente
interconnessi. In dettaglio la Strategia UE per il Sahel comprende quattro linee di azione:
sviluppo, good governance e risoluzione dei conflitti interni; azioni politiche e diplomatiche;
sicurezza e Stato di diritto; contrasto dell’estremismo violento e dei fenomeni di
radicalizzazione.
È superfluo sottolineare che la debolezza delle finanze pubbliche e delle istituzioni
nazionali in molti di questi Stati renda estremamente difficoltoso rispondere adeguatamente
alle frequenti crisi che interessano la regione, dovendo inevitabilmente ricorrere ad aiuti
esterni.
In questo senso l’UE sta attuando programmi di sviluppo volti a rafforzare la resilienza,
aiutando ad affrontare le cause profonde della malnutrizione, migliorando il funzionamento
dei mercati regionali, così da aumentarne la capacità a livello regionale e nazionale e di
conseguenza tentare di ridurre i rischi di disastri correlati. L’UE opera in questo modo in
stretta cooperazione con le Nazioni Unite, l’Unione Africana (UA), la Comunità Economica
degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO-ECOWAS), l’Unione Economica e Monetaria
dell’Africa Occidentale (UEMOA), il G5 del Sahel (G5-S), la Commissione del Bacino del
Lago Ciad (CBLT) e con la Banca Mondiale (BM).
44
Tale stretto coordinamento insieme internazionale e regionale vede agire in parallelo
il RSUE per il Sahel, l’Inviato Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il
Sahel, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il Mali e
l’Alto Rappresentante dell’Unione Africana per il Mali e il Sahel, così da creare sinergie
nell’attuazione delle rispettive strategie. Altre iniziative sono state istituite ex novo oppure
rivitalizzate: e il caso dell’Alleanza Globale per l’Iniziativa Resilienza (AGIR), lanciata a
Ouagadougou nel dicembre 2012; il Processo di Nouakchott, sorto nel 2013 al fine di
promuovere la sicurezza collettiva nella regione sotto l’egida dell’UA; la Comunità degli Stati
Sahelo-Sahariani (CEN-SAD) ed infine la rivitalizzazione della Commissione del Bacino del
Lago Ciad (CBLT), onde affrontare questioni di confine comune, in considerazione della
maggiore minaccia per la regione del Sahel dalle azioni di Boko Haram. Lo Strumento di
Stabilità europeo, esistente sin dal 2007, consente alla Commissione Europea di agire più
prontamente per la prevenzione e la gestione delle crisi. Negli ultimi anni infatti tale
strumento è stato ampiamente ed opportunamente utilizzato in tutta la regione del Sahel sia
per fare fronte a crisi di breve termine sia a quelle di lungo termine. Nel campo della
sicurezza le attività includono il supporto alle istituzioni degli Stati saheliani, con
un’attenzione particolare rivolta al rafforzamento delle capacità di gestione delle frontiere in
Mauritania, Niger e Nigeria, e a livello di comunità locali con la creazione di corpi di polizia
municipali in Niger, così come la messa in sicurezza della popolazione civile in Mali.
L’UE e impegnata per la sicurezza e lo sviluppo del Sahel ed è il partner principale
della regione. Segue un approccio globale che integra dialogo politico e diplomatico,
sicurezza e stabilità, aiuto allo sviluppo e sostegno umanitario.
Il dialogo politico e diplomatico, che e incentrato sul partenariato politico tra l’UE e il
G5 Sahel, comprende riunioni ministeriali e l’attuazione della strategia dell’UE per il Sahel,
il piano d’azione regionale e il processo di pace maliano. L’alta rappresentante dell’UE si
riunisce periodicamente con i suoi omologhi del G5 Sahel per esaminare e rafforzare la
cooperazione e il coordinamento in settori di interesse come lo sviluppo, la governance e la
sicurezza. Inoltre, l’UE agisce in qualità di garante del processo di pace maliano.
Il 6 dicembre 2018, in occasione della conferenza di coordinamento dei partner e dei
donatori organizzata dal G5 Sahel a Nouakchott in Mauritania, la Commissione Europea ha
annunciato un finanziamento di 125 milioni di EUR a favore dei Paesi del G5 Sahel.
Il 25 giugno 2018 il Consiglio ha concluso sul Mali e il Sahel ribadendo l’impegno
strategico globale dell’UE nei confronti della regione del Sahel e ha riaffermato che l’UE
continuerà a sostenere gli sforzi di stabilizzazione dei Paesi del G5 Sahel quale base per lo
sviluppo del Sahel.
45
Il 16 maggio 2019 in occasione del Consiglio “Affari Esteri” (Sviluppo) i Ministri dello
Sviluppo dell’UE hanno discusso del Sahel63 dopo che il 13 maggio i Ministri degli Esteri
hanno tratto conclusioni del Consiglio e che il 14 maggio i Ministri degli Esteri e della Difesa
dell’UE hanno incontrato i loro omologhi dei Paesi del G5 Sahel64. Hanno ribadito
l’importanza strategica del Sahel per l’UE e hanno sottolineato il continuo impegno dell’UE
nei confronti della regione, in particolare in termini di aiuti umanitari e allo sviluppo. Hanno
riconosciuto l’importanza dell’approccio integrato, una combinazione di dialogo politico,
cooperazione in materia di sicurezza (anche attraverso operazioni della politica di sicurezza
e di difesa comune e il sostegno diretto alla forza congiunta del G5 Sahel) e aiuto allo
sviluppo. I Ministri hanno esaminato le modalità per affrontare il recente deterioramento
della situazione della sicurezza e hanno convenuto che la risposta debba essere
pluridimensionale e trattare tanto le questioni socioeconomiche quanto quelle connesse alla
sicurezza. Hanno riconosciuto l’urgenza di fornire servizi di base alle popolazioni locali,
affrontare i cambiamenti climatici e ripristinare la presenza degli Stati65.
La riunione del Consiglio Affari Esteri del 13-14 maggio 2019 si è soffermata sugli
aspetti della Difesa nel Sahel, presenti i rappresentanti dei cinque Stati africani membri del
G5-Sahel: i Ministri degli Esteri e della Difesa dell’UE hanno discusso della situazione nel
Sahel con le loro controparti dei Paesi del Sahel del G5 (Burkina Faso, Ciad, Mali,
Mauritania e Niger). L’incontro e stato un’occasione per riaffermare l’importanza strategica
del Sahel per l’UE, che sostiene i Paesi del G5 Sahel nei loro sforzi per affrontare molteplici
sfide. I Ministri hanno discusso in particolare su come affrontare il recente deterioramento
della situazione della sicurezza nella regione, compresa la maggiore presenza di gruppi
terroristici, nonché l’aumento della violenza fra comunità diverse. Hanno riaffermato la loro
ferma determinazione a intensificare gli sforzi per combattere i gruppi jihadisti e altri gruppi
terroristici e per ripristinare la stabilità, anche attraverso ulteriori lavori per rendere operativa
la Forza comune del G5 Sahel. Hanno anche menzionato l’importante ruolo di MINUSMA
nel sostenere gli sforzi di sicurezza in Mali e nella regione. È stata inoltre evidenziata la
necessità di rafforzare la presenza degli Stati in tutto il territorio del Sahel, nonché
l’importanza di affrontare le violazioni dei diritti umani.
Il Consiglio ha modificato il mandato dell’EUCAP Sahel Mali per estendere l’area delle
operazioni ad altri Paesi del G5 Sahel nel contesto della seconda fase della
63 Cfr. https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2019/05/13/the-sahel-is-a-strategic-priority-for-the-eu-and-its-member-states-council-adopts-conclusions/
64 Vedi infra. 65 Cfr. https://www.consilium.europa.eu/media/40396/st09207-en19.pdf
46
regionalizzazione delle attività della PSDC dell’UE nel Sahel. La regionalizzazione intende
rafforzare il sostegno civile e militare alla cooperazione transfrontaliera e alle strutture di
cooperazione regionale e rafforzare la capacità e la proprietà dei Paesi del G5 Sahel per
affrontare le sfide nella regione. Una Cellula Consultiva e di Coordinamento Regionale
(Regional Advisor and Coordination Cell – RACC)66, istituita all’interno dell’EUCAP Sahel
Mali, trasferirà gradualmente il personale da Bamako a Nouakchott. Questa decisione ha
inoltre assegnato 1,22 milioni di euro in più al bilancio della missione, portando il bilancio
totale a 68,15 milioni di euro per il periodo dal primo marzo 2019 al 14 gennaio 2021.
Il finanziamento aggiuntivo coprirà i costi del RACC e del personale addetto alla sicurezza
all’interno della missione a seguito del deterioramento della situazione della sicurezza nel
centro del Paese. L’EUCAP Sahel Mali e stata istituita il 15 aprile 2014 e la prima fase della
regionalizzazione è stata concordata dal Consiglio il 20 giugno 2017.
66 Già nel Consiglio Affari Esteri del 18 febbraio 2019 erano state adottate nuove misure a sostegno della sicurezza nella regione saheliana. L’UE sostiene gli sforzi dei Paesi del G5 Sahel nella lotta contro il terrorismo, la criminalità organizzata e qualsiasi altra minaccia alla pace e alla sicurezza. Intende potenziare il proprio approccio regionale nel Sahel al fine di sostenere la cooperazione transfrontaliera e le strutture di cooperazione regionale e, in questo contesto, rafforzare le capacità nazionali dei Paesi del G5 Sahel. La stabilità nella regione del Sahel è inoltre cruciale per la sicurezza europea. Il Consiglio ha deciso di rendere maggiormente efficaci, a livello regionale, le attività delle missioni PSDC dell’UE nel Sahel, EUCAP Sahel Mali, EUCAP Sahel Niger e EUTM Mali, approvando un concetto operativo congiunto civile-militare sulla regionalizzazione dell’azione PSDC nel Sahel. Ciò implica che il processo di regionalizzazione entrerà adesso nella seconda fase. La prima fase della regionalizzazione delle missioni PSDC nel Sahel e stata approvata dal Consiglio il 20 giugno 2017. Essa prevedeva l’istituzione di una cellula di coordinamento regionale (RCC) all’interno di una delle missioni civili dell’UE, EUCAP Sahel Mali. La cellula di coordinamento regionale comprendeva una rete di esperti in materia di sicurezza interna e di difesa dispiegati nel Mali ma anche nelle delegazioni dell’UE in altri Paesi del G5 Sahel (Mauritania, Burkina Faso, Niger e Ciad). Nella seconda fase, approvata a febbraio dal Consiglio, si è deliberato quanto segue:
La cellula di coordinamento regionale ha preso una nuova denominazione: Cellula Consultiva e di Coordinamento Regionale (RACC), e sarà rafforzata. La struttura di comando e controllo sarà spostata da Bamako a Nouakchott e la sua rete di esperti in materia di sicurezza interna e di difesa, con sede presso le delegazioni dell’UE in cinque Paesi, sarà ampliata. La RACC sosterrà, tramite consulenze strategiche, le strutture e i Paesi del G5 Sahel, in sinergia con programmi finanziati dalla Commissione e in una prospettiva incentrata su un approccio integrato. Le attività della cellula sono intese a rafforzare le capacità regionali e, se del caso, nazionali del G5 Sahel, in particolare a sostenere l’operatività delle componenti militare e di polizia della forza congiunta del G5 Sahel allo scopo di facilitare e migliorare la cooperazione transfrontaliera regionale nel settore della sicurezza e della difesa
EUCAP Sahel Mali e EUCAP Sahel Niger potranno svolgere attività puntuali e mirate di consulenza strategica e formazione in altri Paesi del G5 Sahel. EUTM Mali sostiene già l’operatività della forza congiunta del G5 Sahel presso la sua sede centrale (ubicata in Mali, Mauritania, Niger e Ciad). Essa può fornire caso per caso attività di formazione al di fuori della sua zona della missione
Nel medio e nel lungo termine, la funzione di centro di coordinamento sarà trasferita da Bruxelles alle strutture del G5 Sahel. Il centro di coordinamento è un meccanismo che dal novembre 2017 opera sotto la responsabilità dello Stato maggiore dell’UE e fornisce un quadro delle necessità della forza militare congiunta del G5 Sahel nonché delle potenziali offerte di sostegno militare da parte degli Stati membri dell’UE e di altri donatori. È un forum a disposizione della forza congiunta del G5 Sahel che consente di associare le offerte alle necessità e propone soluzioni per evitare doppioni. La sua portata e stata ampliata all’inizio del 2019 al fine di includere le necessità e offerte relative alla componente di polizia.
47
Programmi EUTF nella Finestra Sahel e Regione del Lago Ciad e Fondo
Africa italiano.
La Commissione Europea precisa che le attività del Fondo sono focalizzate sui
seguenti aspetti:
- Programmi di sviluppo economico per colmare le carenze di competenze e migliorare
l’occupabilità attraverso la formazione professionale e sostenere la creazione di posti di
lavoro e le opportunità di lavoro autonomo, con particolare attenzione al rafforzamento
delle micro, delle piccole e delle medie imprese. Tutto ciò perché si parte dalla
constatazione che l’esclusione economica e sociale, l’emarginazione e le disuguaglianze
sono tra i principali fattori alla base della violenza, degli spostamenti coatti, ergo della
migrazione illegale67.
- Rafforzamento della resilienza per migliorare la sicurezza alimentare e nutrizionale, in
particolare per i più vulnerabili, nonché per i rifugiati e gli sfollati interni.
- Migliorare la governance e la gestione della migrazione, anche affrontando i fattori
trainanti della migrazione irregolare, rimpatrio effettivo, riammissione e reintegrazione,
protezione internazionale e asilo, migrazione legale e mobilità e potenziando le sinergie
tra migrazione e sviluppo.
- Sostenere i miglioramenti nella governance generale, in particolare attraverso la
prevenzione dei conflitti, adottando misure atte ad arginare le violazioni dei diritti umani
e promuovendo lo stato di diritto
Nelle più recenti riunioni del Consiglio di Amministrazione del Fondo sei aree prioritarie
sono state prese in considerazione per la finestra Sahel e Lago Ciad: ritorno e
reintegrazione; gestione dei rifugiati; completamento dei progressi relativi alla sicurezza dei
documenti e del registro civile; misure anti-tratta; sforzi di stabilizzazione nel Sahel; dialoghi
sulla migrazione.
Il duplice metodo adottato specificamente per la finestra del Sahel e del Lago Ciad è
finalizzato da una parte a prevenire la migrazione irregolare e lo sfollamento forzato e
facilitare una migliore gestione e rimpatri della migrazione e dall’altra parte a costruire un
approccio globale per la stabilità, la sicurezza e la resilienza.
67 Vi sono diverse concause della migrazione irregolare, che vanno dalla pressione demografica alla povertà estrema, insufficiente capacità di resilienza rispetto alle crisi alimentari e agli shock ambientali, debole infrastruttura sociale ed economica, fragilità istituzionale e governance inadeguata, insicurezza e, in alcuni casi, conflitto aperto, terrorismo o estremismo violento.
48
Nel 2016 181.000 migranti hanno raggiunto le coste italiane, la maggior parte dei quali
essendo passati dal Ciad e dal Niger. La maggior parte di costoro era proveniente dall’Africa
Occidentale, figurando tra i primi dieci Paesi di origine Nigeria, Guinea, Costa d’Avorio,
Gambia, Senegal e Mali. Il loro attraversamento del Sahel e del Sahara lungo la rotta del
Mediterraneo centrale li ha esposti a sfruttamento, violenze e torture.
L’azione dei programmi EUTF si svolge proprio lungo questo percorso, nel tentativo in
primo luogo di migliorare le condizioni di vita nelle regioni ad alto potenziale migratorio
attraverso lo sviluppo di opportunità economiche e occupazionali al fine di prevenire la
migrazione irregolare e facilitare il reinserimento; in secondo luogo le iniziative si articolano
nei Paesi di transito, rafforzando le capacità delle autorità nazionali di combattere contro i
trafficanti e di controllare meglio le proprie frontiere.
Le azioni chiave finora supportate dal Fondo fiduciario includono le seguenti direttrici:
- Aiutare le persone a lasciare la Libia, con 49.000 rimpatri volontari assistiti e oltre 4.000
evacuazioni finora.
- Sostegno alla gestione della migrazione della Libia, del Marocco e della Tunisia.
- In Gambia 25.000 persone beneficiano di un programma incentrato sulla coesione
sociale, l’occupazione nelle energie rinnovabili, l’ecoturismo e l’ammodernamento
dell’agricoltura.
- Un programma in Costa d’Avorio, in discussione con le autorità ivoriane, contribuirà alla
modernizzazione del sistema del registro civile.
- Nel Corno d’Africa il sostegno si e concentrato sulla sicurezza alimentare con oltre
300.000 persone che ne beneficiano e sull’aiuto all’occupazione, con le competenze
professionali di oltre 30.000 persone formate.
- Un programma nel Sud Sudan sta rendendo disponibili oltre 28.000 insegnanti della
scuola elementare in quasi 2.500 scuole con supplementi salariali che incoraggiano gli
insegnanti a rimanere in servizio e ad aumentare la loro frequenza, contribuendo così a
mantenere i bambini a scuola.
Affinché questi programmi cruciali continuino, sarà pertanto essenziale ricostituire il
Fondo fiduciario per il 2020. Ciò includerà necessariamente i contributi degli Stati membri e
la Commissione identificherà quindi esigenze precise.
Ad aprile 2019 la Commissione Europea ha adottato cinque nuovi programmi e tre
aggiunte a programmi in corso per un valore di 115,5 milioni di euro a titolo del Fondo per
integrare gli sforzi in corso nella regione del Sahel e del Lago Ciad.
49
Il Commissario per la Cooperazione Internazionale e lo Sviluppo, Neven Mimica, ha
dichiarato: “Nelle ultime settimane abbiamo assistito a un aumento delle violenze diffuse e
degli attacchi terroristici nella regione del Sahel e del Lago Ciad. Nuovi programmi e
integrazioni dell’UE a programmi esistenti per un valore di 115,5 milioni di euro saranno
ulteriormente rafforzare insieme alle nostre azioni in materia di sviluppo e sicurezza.
Contribuiranno inoltre a rafforzare la presenza dello Stato in aree fragili, a creare posti di
lavoro per i giovani e a proteggere i migranti in difficoltà. Al fine di continuare il buon lavoro
del Fondo fiduciario nel prossimo futuro, le risorse che esauriscono rapidamente devono
essere reintegrate”.
Con la situazione della sicurezza nel Sahel che diventa sempre più instabile, l’UE e
impegnata a proseguire la sua cooperazione a livello regionale e nazionale. Sosterrà i Paesi
del G5 Sahel (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger) nei loro sforzi per fornire una
risposta comune alle principali minacce transfrontaliere e alle esigenze di sviluppo
regionale. Altri 10 milioni di euro rafforzeranno le capacità di difesa e sicurezza del G5 Sahel,
mentre 2 milioni di euro sosterranno il coordinamento dell’Alleanza per il Sahel68. In Burkina
Faso, ulteriori 30 milioni di euro rafforzeranno l’attuale programma di emergenza del Sahel
per rafforzare l’accesso ai servizi sociali di base e favorire il dialogo con la comunità.
Altre misure rafforzeranno gli sforzi per proteggere i migranti, combattere la tratta di
esseri umani e migliorare la gestione della migrazione. Altri 30 milioni di euro serviranno a
proteggere i migranti e i rifugiati lungo la rotta del Mediterraneo centrale e cercare soluzioni
sostenibili nella regione del Sahel e del Lago Ciad. Aumenterà ulteriormente il numero di
migranti che beneficiano della protezione e del rimpatrio volontario garantendo nel
contempo il loro reinserimento sostenibile e dignitoso. In Ghana, 5 milioni di euro per lo
sviluppo delle capacità e le attrezzature rafforzeranno la gestione delle frontiere del Paese.
Due misure mirano specificamente a sviluppare opportunità economiche e di sviluppo.
In Ghana, nuove attività per un valore di 20 milioni di euro miglioreranno le prospettive di
lavoro e incoraggeranno la transizione verso economie verdi e resistenti al clima. In Mali,
ulteriori 13 milioni di euro sosterranno la creazione di posti di lavoro e la fornitura di servizi
pubblici statali nelle fragili aree di sicurezza intorno a Gao e Timbuctu.
A novembre 2018 cinque nuovi programmi del valore di €141 milioni sono stati avallati
per la regione del Sahel e del Lago Ciad.
A livello regionale, due programmi per un totale di 75 milioni di euro cercheranno di
rafforzare la stabilità e la partecipazione dei giovani nei Paesi del G5 Sahel (Burkina Faso,
68 Vedi infra.
50
Ciad, Mali, Mauritania e Niger). Un nuovo programma di emergenza da 70 milioni di euro
aumenterà l’accesso delle persone ai servizi sociali nelle zone di confine. Il programma e
stato progettato nell’ambito dell’Alleanza per il Sahel69 e risponde direttamente alle esigenze
espresse dai Paesi del G5 Sahel nell’ambito del Programma di investimenti prioritari. Altri 5
milioni di euro garantiranno l’attuazione della seconda fase del programma “Le voci dei
giovani nel Sahel”70, lanciato nel 2017 che contribuisce a integrare le organizzazioni giovanili
nei processi di progettazione e attuazione delle politiche di sviluppo e sociali.
Un nuovo programma da 7,6 milioni di euro in Niger rafforzerà ulteriormente la
protezione dei migranti sulle rotte migratorie e sosterrà le comunità ospitanti. Sempre in
Niger, il programma di sostegno al bilancio Ajusen (Sostegno alla giustizia e alla sicurezza
in Niger per combattere la criminalità organizzata, il contrabbando e la tratta di esseri
umani)71 in corso nei settori della giustizia, della sicurezza e della gestione delle frontiere
riceverà altri 10 milioni di euro per continuare nella stessa direzione.
In Senegal, un’iniziativa da 9 milioni di euro contribuirà a contrastare le reti criminali
collegate alla migrazione irregolare, al traffico di migranti e alla tratta di esseri umani e
rafforzerà la cooperazione regionale in questo settore.
In Costa d’Avorio, un nuovo programma del valore di 30 milioni di euro sosterrà gli
sforzi in corso del Paese per creare un sistema di registro civile coerente e solido che
contribuirà a migliorare la gestione delle politiche pubbliche, consentirà alle persone di
esercitare i loro diritti fondamentali e migliorerà l’accesso a servizi pubblici, compresa la
facilitazione del rimpatrio volontario e il reinserimento sostenibile dei migranti.
Sia lo Strumento di Cooperazione Tecnica (Technical Cooperation Facility)72 che copre
tutte le regioni del Fondo fiduciario sia il Research Evidence Facility sono stati rafforzati con
un importo aggiuntivo di 12 milioni di euro. In linea con l’approccio basato sull’evidenza
(evidence-based-approach), al fine di garantire interventi strategici ed efficienti, questo
finanziamento aggiuntivo faciliterà ulteriori studi e ricerche, nonché il supporto tecnico ove
necessario.
69 Vedi Infra. 70 Cfr. https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/region/sahel-lake-chad/regional/la-voix-des-jeunes-du-sahel_en 71 Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/node/108683_pl 72 La Technical Cooperation Facility (TCF) è utilizzata per la fornitura di consulenze a breve termine per aiutare a
identificare, preparare, valutare, monitorare e controllare le azioni attuate dal Fondo fiduciario nonché le attività di comunicazione e visibilità. Può anche essere adoperata per commissionare studi collegati all’obiettivo del Fondo fiduciario. L’obiettivo generale e aumentare l’efficienza del Fondo fiduciario, attraverso un’assistenza tecnica l’identificazione, la formulazione, la valutazione, il monitoraggio e la comunicazione degli interventi del Fondo fiduciario, compresi audit e valutazioni.
51
I cinque programmi adottati oggi portano a 91 il numero totale di programmi adottati
dal dicembre 2015 per la regione del Sahel e del Lago Ciad, per un valore totale di 1,7
miliardi di euro.
I quasi due miliardi di euro dedicati alla finestra Sahel e Lago Ciad sono stati investiti
in varie tipologie di progetti. Se ne riportano alcuni esempi:
In Gambia con 13 milioni di euro e stato realizzato un progetto per sostenere l’impiego
lavorativo vicino casa dei giovani gambiani, così da ridurne la pressione migratoria nei
settori dell’agroindustria, dell’ecoturismo, dell’industria creativa e della tecnologia
dell’informazione. Il progetto ha supportato 2.000 giovani, migliorato le capacità di otto istituti
di formazione e assistito più di 650 piccole imprese.
In Burkina Faso con 30 milioni di euro un programma di rafforzamento della resilienza
delle comunità vulnerabili attraverso la sicurezza alimentare e nutrizionale ha già aiutato un
milione di persone, permettendo loro di diversificare i propri mezzi di sussistenza e creare
opportunità economiche per affrontare meglio ile sfide alle quali sono sottoposte.
Un programma trasversale (cross-regional) notevole in termini di risorse messe in
campo, aspettative, attese e attori coinvolti è quello della Iniziativa Congiunta UE/OIM per
la Protezione e il Reinserimento dei Migranti in Africa73, che, dotato di 350 milioni di euro,
ha fino a luglio 2019 sostenuto il rimpatrio volontario di oltre 58.000 migranti principalmente
dalla Libia e dal Niger, nonché da Mali, Mauritania e Gibuti. Nei Paesi di origine, l’iniziativa
comune ha fornito assistenza a oltre 74000 migranti, cui è stato assicurato il rientro in patria.
In Niger74 con 6 milioni di euro il piano di smantellamento delle reti criminali ha
permesso la costituzione di squadre investigative congiunte, mettendo assieme dodici
agenti di polizia nigerini e sei controparti europee (spagnola e francese). I Joint Investigation
Team, lavorando nella capitale, Niamey, e ad Agadez e Zinder, hanno potuto condividere
best practices e introdurre nuove moderne tecniche di indagine, con 246 trafficanti arrestati
e 33 reti di trafficanti di esseri umani smantellate.
Un programma del valore di cinque milioni di euro assai interessante è quello del
sostegno al rafforzamento dei sistemi di informazione della polizia nella grande regione
dell’Africa Occidentale75, che, attuato dall’Interpol, mira a rafforzare la capacità dei Paesi
73 EU-IOM Joint Initiative for Migrant Protection and Reintegration: https://migrationjointinitiative.org 74 Il Niger dipende più dai fondi di sviluppo che dalle rimesse. Del resto un Governo debole che affronta minacce interne
ed esterne ha un grande interesse per la cooperazione in materia di sicurezza con l’UE, motivo per cui Niamey e il principale destinatario dei fondi dell’EUTF all’interno della finestra regionale del Sahel e del Lago Ciad e un partner importante per l’UE come Paese di transito della migrazione irregolare che attraversa la Libia verso l’Unione Europea. I fondi europei stanziati per la sicurezza nigerina sono pari al 15 per cento del PIL del Niger, pari a 50 milioni di euro.
75 Cfr. https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/region/sahel-lake-chad/regional/support-strengthening-police-information-systems-broader-west_en
52
del G5-Sahel76 di combattere la criminalità organizzata, la tratta e il terrorismo, sviluppando
o rafforzando la capacità delle amministrazioni nazionali di raccogliere, centralizzare, gestire
e condividere i dati forniti dalla polizia.
Il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) nel Sahel
è impegnato in diversi progetti, come quello da 30 milioni di euro per la creazione di posti di
lavoro e opportunità economiche attraverso la gestione sostenibile dell’ambiente nelle zone
di transito e partenza in Niger. Questo progetto e incentrato sull’inclusione delle popolazioni
economicamente più vulnerabili (giovani, donne, disoccupati, famiglie rurali) attraverso lo
sviluppo di un’economia locale sostenibile adattata ai cambiamenti climatici nelle aree di
transito, partenza e rifugio nelle regioni di Agadez, Tahoua e Zinder.
Un altro programma di 5 milioni di euro in Burkina Faso concerne l’integrazione
socioeconomica e la stabilizzazione di giovani e donne nella provincia di Séno; un altro
progetto di ventimila euro ancora per sostenere la riduzione della migrazione attraverso la
creazione di occupazione rurale in Senegal, attraverso la creazione di villaggi e singole
fattorie.
L’Italia utilizza il proprio Fondo Africa77, avviato nel 2017 ovvero un Fondo straordinario
che finanzia iniziative nei Paesi d’origine e di transito dei migranti di: supporto tecnico,
76 Vedi Infra. 77 Legge di Bilancio 2017 (Legge 232/2016), Articolo 1, comma 621 (Fondo per l’Africa): “È istituito, nello stato di
previsione del Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, un Fondo con una dotazione finanziaria di 200 milioni di euro per l’anno 2017, per interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratorie”. In particolare si rileva che: “Il Governo italiano in occasione della Conferenza ministeriale Italia-Africa del 18 maggio 2016 a Roma ha esplicitato i contorni della strategia italiana per l’Africa. L’Africa rappresenta un continente di opportunità, ma pone numerose sfide: quella della crescita demografica, di governare i flussi migratori, la sfida energetica, le crisi di sicurezza. A queste sfide occorre rispondere con una strategia di lungo periodo, in linea con quanto indicato dall’UE a La Valletta. Come chiarito dal Presidente Mattarella in occasione della Conferenza Italia-Africa, il fenomeno migratorio va affrontato “con un approccio multidimensionale” che tenga insieme la gestione dell’emergenza e la rimozione delle cause dei flussi migratori. L’approccio proposto dal nostro Paese prevede: strumenti immediati per contenere i flussi; strumenti di medio-lungo periodo per lo sviluppo e gli investimenti nei Paesi africani, allo scopo di affrontare in un quadro di partnership il fenomeno migratorio. Il Governo italiano è impegnato a rafforzare le intese sui rimpatri e per crearle dove ancora non sono in vigore, innanzitutto in Nigeria e Costa d’Avorio, in Senegal e Niger. Il Piano d’azione dell’UE della Valletta, adottata al termine dell’omonimo Vertice, tenutosi l’11 e 12 novembre 2015, si pone un insieme ambizioso di obiettivi: affrontare le cause profonde della migrazione adoperandosi per contribuire alla creazione di pace, stabilità e sviluppo economico; migliorare il lavoro di promozione e organizzazione di canali di migrazione legale; rafforzare la protezione dei migranti e dei richiedenti asilo, in particolare dei gruppi vulnerabili; contrastare in maniera più efficace lo sfruttamento e il traffico di migranti; collaborare più strettamente per migliorare la cooperazione in materia di rimpatrio e di riammissione. Anche l’UE a La Valletta ha lanciato un “Fondo fiduciario d’emergenza dell’UE per la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa”, con una dotazione di 1,8 miliardi di euro provenienti dagli strumenti di finanziamento a carico del bilancio dell’UE, nonché dai contributi degli Stati membri e di altri donatori. L’Italia tramite il Migration Compact ha inteso contribuire alla politica migratoria dell’UE avendo come obiettivi la focalizzazione delle risorse e degli strumenti esistenti in direzione dei Paesi prioritari (in primis, dunque, i Paesi africani di origine e transito) e un miglioramento degli strumenti di governance: aggiornamento e potenziamento dell’Approccio globale in materia di migrazione e mobilità, sviluppo delle linee tracciate dal Piano d’azione della Valletta, dall’Accordo UE-Turchia e dai dialoghi che l’UE sta promuovendo a livello regionale (Processi di Khartoum e Rabat in particolare). Per quanto riguarda i principali strumenti dell’UE di dialogo regionale, il processo di Rabat, lanciato in occasione della prima conferenza interministeriale UE-Africa su migrazione e sviluppo tenutasi nel luglio 2006, riunisce i governi di 55 Paesi europei e africani (Africa settentrionale, Occidentale e Centrale) insieme alla Commissione Europea e alla Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), e mira a intensificare il dialogo e la cooperazione tra Paesi d’origine, di transito e di destinazione lungo la rotta migratoria dell’Africa
53
formazione, assistenza nella lotta contro il traffico di esseri umani, sviluppo delle comunità
locali, informazione sui diritti umani e sui rischi di affidarsi ai trafficanti, protezione a favore
di rifugiati e di altre categorie vulnerabili di migranti, specialmente minori. Il Fondo Africa,
pur nella sua diversità, si integra con l’EUTF. Grazie al Fondo Africa, sono già stati finanziati
numerosi interventi in diversi Paesi africani di transito e di origine dei flussi, privilegiando il
sostegno alle organizzazioni internazionali competenti in materia migratoria, vale a dire OIM
e ACNUR. Il Fondo Africa è stato dotato di 230 milioni di euro in tre anni.
Un’iniziativa EUTF di rilievo e quella da 20 milioni euro, gestita dall’ Ufficio delle Nazioni
Unite dell’Alto Commissariato della Nazioni Unite per i Diritti Umani, volta al sostegno alle
forze di sicurezza dei Paesi membri del G5-Sahel per combattere l’impunità e rafforzare i
loro legami con le popolazioni, diffondendo una cultura giuridica più ampia.
Sempre nella finestra di nostro interesse il Fondo a settembre 2019 ha assistito oltre
93.150 persone nello sviluppo di attività generatrici di reddito e quasi 730.600 persone
hanno partecipato alle attività di prevenzione dei conflitti e di costruzione della pace.
Più in dettaglio grazie al Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa nella
regione del Sahel e del Lago Ciad, sono stati creati oltre 19.100 posti di lavoro e 27.775
persone hanno beneficiato della formazione professionale o dello sviluppo delle
competenze dal lancio dell’EUTF nel novembre 2015. Circa il 34 per cento del i posti di
lavoro creati hanno giovato alla gioventù. Nel primo trimestre del 2019, sono stati creati
3.604 posti di lavoro che hanno rappresentato un aumento del 23 per cento rispetto al totale
raggiunto fino a dicembre 2018. Questi sono alcuni dei principali risultati relativi
all’occupazione previsti dal secondo rapporto del Monitoring and Learning System (MLS)78,
che presentano risultati per la finestra del Sahel e del Lago Ciad fino al 31 marzo 2019 per
Occidentale. Il processo di Khartoum (iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie) è stato lanciato durante il semestre di presidenza italiana dell’Unione, nel novembre 2014, sulla falsariga del processo di Rabat, e coinvolge i Paesi d’origine e transito del Corno d’Africa (Sudan, Sud Sudan, Etiopia, Eritrea, Somalia, Gibuti e Kenya) e i principali Paesi di transito mediterranei (Egitto, Libia e Tunisia). A guidarlo, un comitato direttivo composto da cinque Stati membri dell’UE (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Malta) e cinque Paesi partner (Egitto, Eritrea, Etiopia, Sud Sudan e Sudan), nonché dalla Commissione Europea, dal SEAE e dalla Commissione dell’Unione africana. Si segnala, infine, che nello stato di previsione del MAECI, tra le priorità politiche indicate dal Ministro Gentiloni per il 2017 all’Amministrazione degli Affari Esteri, figura quella dei flussi migratori. A tale riguardo si legge: “La Farnesina dovrà contribuire, anche attivando il necessario raccordo tra le amministrazioni nazionali interessate, all’identificazione e introduzione di strumenti per la gestione di breve, medio e lungo termine dei fenomeni migratori, da cui in parte dipendono stabilità sociale e sostenibilità del progetto europeo, in un’ottica di contenimento dei flussi e integrazione dei migranti. In sede europea andrà data priorità ai seguiti delle proposte italiane del migration compact per un nuovo partenariato con l’Africa, mentre a livello multilaterale andranno promossi i principi della salvaguardia della vita umana, della lotta al traffico di esseri umani e della protezione dei migranti più vulnerabili, quali donne e minori. La nostra azione politico-diplomatica volta a promuovere stabilità in Africa e Medio Oriente dovrà accompagnarsi nei Paesi di origine e transito a una rinnovata azione di cooperazione allo sviluppo e a rinnovate prospettive di riammissione dei migranti irregolari”. Cfr. https://www.camera.it/temiap/2016/12/23/OCD177-2629.pdf
78 Il Monitoring and Learning System (MLS) misura l’avanzamento complessivo dei progetti realizzati nell’ambito della finestra del Sahel e del Ciad del Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa (EUTF) rispetto ai suoi obiettivi strategici nonché alle sue priorità regionali. Cfr. https://ec.europa.eu/trustfundforafrica/region/sahel-lake-chad/regional/monitoring-and-learning-system-eutf-sahel-and-lake-chad_en
54
10 dei 12 Paesi della regione (Burkina Faso, Camerun, Ciad, Gambia, Guinea, Mali,
Mauritania, Niger, Nigeria e Senegal). I prossimi rapporti includeranno i restanti Paesi.
Le attività di resilienza hanno contribuito a risultati significativi all’inizio del 2019. Più di
809.700 persone hanno ricevuto assistenza nutrizionale (screening della malnutrizione,
attività di sensibilizzazione sulle migliori pratiche nutrizionali e sostegno ai centri sanitari) e
circa 2.536.200 hanno beneficiato di un migliore accesso ai servizi di base.
Nel settore della gestione della migrazione nel primo trimestre del 2019 sono stati
compiuti progressi significativi. Quasi 68.300 migranti potenziali sono stati raggiunti da
campagne di informazione sulla migrazione e sui rischi legati alla migrazione irregolare, con
un aumento del 22 per cento dalla fine del 2018. A marzo, oltre 32.000 migranti hanno
beneficiato del rimpatrio volontario e quasi 59.670 hanno beneficiato dell’assistenza per il
reinserimento dopo l’arrivo. Insieme, la Nigeria e il Mali continuano a rappresentare una
parte significativa dell’assistenza alla reintegrazione fornita (42 per cento) anche se diversi
Paesi stanno registrando importanti aumenti come la Costa d’Avorio, con un aumento del
14 per cento nel primo trimestre del 2019. Dal Niger sono stati osservati i maggiori ritorni
volontari, pari all’ 86 per cento del totale, sebbene siano stati registrati aumenti significativi
in Mauritania che hanno raggiunto i 2.086 entro la fine di marzo (più del 120 per cento da
dicembre 2018).
Valori significativi sono stati osservati anche nell’ambito delle attività di governance e
prevenzione dei conflitti. Mentre 730.600 persone hanno partecipato alle attività di
peacebuilding, oltre 921 istituzioni e attori non statali hanno beneficiato della formazione in
queste aree. Risultati significativi si possono osservare in Ciad con 225.708 beneficiari solo
nel primo trimestre del 2019.
55
EUTF: aspetti innovativi e criticità intrinseche.
È importante che i progetti EUTF prevedano costantemente un monitoraggio, una
valutazione e un efficace processo di lessons-learned79.
Ciò nonostante il monitoraggio a livello di singoli progetti nonché l’aggregazione dei
risultati degli stessi non saranno sufficienti per valutare l’impatto nella sua interezza
dell’EUTF. Sarà inoltre necessario effettuare una valutazione più ampia di come il Fondo
fiduciario nel suo insieme stia contribuendo ai suoi vari obiettivi, nonché in che modo integri
o aggiunga valore alle strategie e agli strumenti dell’UE esistenti e in che modo influisca
sulle relazioni dell’UE con l’Africa.
In occasione del Consiglio “Affari Esteri” del 15 luglio 2019 i Ministri degli Affari Esteri
hanno discusso degli aspetti esterni della migrazione, convenendo sulla necessità di
intensificare gli sforzi, per affrontare la questione in modo più efficace. In particolare hanno
rilevato la necessità di aumentare le risorse finanziarie, segnatamente a favore del Fondo
fiduciario dell’UE per l’Africa. Sono stati dunque approvati 210 programmi per un valore di
circa 4,007 miliardi di euro (di cui circa 650 solo per i Paesi del Nord Africa).
Dalla discussione e emersa l’importanza di accelerare il reinsediamento delle persone che
necessitano di protezione internazionale. Hanno inoltre sottolineato la necessità di compiere
progressi sulla questione dello sbarco dei migranti salvati in mare, che è, come è noto, di
competenza dei Ministri della Giustizia e degli Affari Interni.
La portata e la gravità della crisi, l’instabilità nella regione e le difficoltà relative alla
fornitura di servizi di base, la mancanza di prospettive economiche per la popolazione locale
e le scarse capacità delle autorità nazionali richiedono ulteriori impegni finanziari e un
veicolo specifico per fornire sostegno di emergenza, specificamente adattato alle situazioni
di fragilità, in aggiunta agli strumenti di sviluppo tradizionali.
Effettivamente il Fondo fiduciario ha dotato l’UE di uno strumento innovativo e di alto
valore aggiunto, che non esprime ancora il suo potenziale: (i) consente l’effettiva messa in
comune delle risorse provenienti da varie fonti di finanziamento dell’UE in un unico
strumento, seguendo un quadro strategico condiviso, al fine di rispondere collettivamente a
le suddette sfide; (ii) fornisce all’UE e ai suoi Stati membri uno strumento rapido e flessibile
per ottenere risultati immediati e concreti in situazioni fragili e in rapida evoluzione; (iii) fa
leva sui contributi degli Stati membri dell’UE e di altri donatori, garantendo una maggiore
79 Cfr. SOAS A Rapid Review of the European Union Emergency Trust Fund for Africa Research and Evidence Facility, Londra https://search.soas.ac.uk/go/?rt=1570383755920&docId=024de13b37244d92a7e47be298ab2e1f&queryId=ae247a5a056049038a196010b15dc239
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coerenza, riducendo il rischio di frammentazione degli aiuti e garantendo una nuova
ottimizzazione di mezzi e capacità; (iv) fornisce all’UE una piattaforma per una maggiore
visibilità politica e un maggiore impegno con i Paesi di origine e di transito, dimostrando la
capacità dell’UE di sviluppare una solida risposta collettiva a tali sfide; (v) garantisce un
maggior grado di coordinamento e un approccio più integrato e completo basato su maggiori
ricerche, raccolta e analisi dei dati. Di per sé, nessuno degli attori e degli strumenti
attualmente disposti a contribuire alla stabilità della regione sarebbe in grado di mobilitare
le risorse umane, finanziarie e basate sulle conoscenze necessarie per progettare e attuare
una strategia per l’intera regione.
Tutto ciò basandosi sulle lezioni-apprese dalle precedenti crisi e sulla necessità di
coordinare meglio i programmi di ricostruzione/sviluppo e la costruzione di capacità
nazionali e locali con la risposta umanitaria come parte del processo Linking Relief,
Rehabilitation and Development (LRRD)80.
La cooperazione allo sviluppo contribuisce già in larga misura ad affrontare le cause
profonde della migrazione e l’attuale programmazione dell’UE in Africa già sostiene i partner
africani nell’affrontare una serie di questioni particolarmente urgenti, sicché l’EUTF
costituisce uno strumento aggiuntivo per aiutare i Paesi più fragili e maggiormente colpiti. Il
Fondo fiduciario opera in regime di sussidiarietà81 e di complementarità con altri strumenti
e / o donatori dell’UE. Colma le lacune in termini geografici o tematici non coperte da altri
strumenti (o altri partner di sviluppo, compresi gli Stati membri dell’UE), ad esempio
prendendo di mira azioni in settori che non sono sotto il controllo delle autorità nazionali,
bensì da attori non statali spesso legati al terrorismo internazionale, Non-State Actors
(NSAs).
L’EUTF istituisce nuove procedure di governance che si discostano dalle normali e
regolari procedure decisionali, mostrando in tal modo perplessità e scetticismo all’interno
dell’Unione Europea (UE) quanto alla cooperazione con i Paesi terzi. Di conseguenza le
procedure EUTF dovrebbero essere viste come eccezionali o guidate dall’emergenza,
cercando di valutare bene il reale valore aggiunto rispetto alle forme tradizionali di
cooperazione allo sviluppo.
La giustificazione da parte dei decisori politici di uscire dal bilancio dell’UE e data dalla
necessità di strumenti di finanziamento più flessibili e rapidi per rispondere alle varie
80 L’approccio LRRD e una visione omnicomprensiva che lega senza soluzione di continuità le tre fasi dell’assistenza esterna ossia l’aiuto umanitario immediato, la ricostruzione post-bellica o post-calamità di medio termine e in ultimo lo sviluppo di lungo termine.
81 Sussidiarietà: l’ente inferiore svolge un compito sussidiariamente al suo direttamente superiore.
57
emergenze al di fuori dei confini europei. A tale proposito, la Corte dei Conti Europea82
afferma che, rispetto agli strumenti tradizionali, l’EUTF per l’Africa pur fornendo un valore
aggiunto nella selezione e nell’avvio dei progetti, non differisce dagli altri tipi di progetti circa
la loro attuazione.
Atri detrattori ritengono che l’errore di fondo dei programmi EUTF sia la selezione degli
stessi destinatari: il finanziamento va a beneficiari capaci di migrare, piuttosto che a coloro
che, non essendo in grado di farlo, ne avrebbero invece maggiore bisogno.
Vero è che ciò che viene presentato come uno strumento di sviluppo non corrisponde
alle esigenze di sviluppo dei Paesi partner e, pertanto, non soddisfa i principi di
allineamento83 richiesti dalla cooperazione internazionale allo sviluppo minimizzando
qualsiasi ownerhsip dei programmi EUTF.
L’EUTF violerebbe i principi fondamentali di ownership e partnership, come indicato
nelle agende di Parigi e Accra.
Il principio alla base dell’EUTF, secondo il Servizio di Ricerca Parlamentare Europeo,
sarebbe quello per cui in linea teorica maggiori investimenti nell’assistenza allo sviluppo
forniranno un incentivo per le persone a restare a casa propria invece di emigrare,
sostenendo che la politica esterna dell’UE sulle migrazioni confermerebbe la nuova
importanza politica del nesso fra migrazione e sviluppo.
Si tenga conto ad ogni modo che una correlazione positiva tra migrazione e sviluppo
economico persiste fino a quando i Paesi non raggiungono un livello di medio reddito.
In effetti, sebbene motivato dal proposito di salvare le persone da un azzardato viaggio
verso l’Europa attraverso canali irregolari, la logica secondo cui lo sviluppo possa in sé
frenare la migrazione è ancora tutta da dimostrare.
Sebbene stabilisca un legame tra sviluppo e migrazione, l’UE non dovrebbe aspettarsi
una minore migrazione attraverso gli aiuti allo sviluppo, giacché l’assistenza finanziaria e
tecnica fornita non è in grado di gestire i movimenti migratori a lungo termine e di affrontarne
le cause strutturali, quindi è destinata al fallimento, a meno di una riformulazione della
politica migratoria europea nel suo complesso.
L’UE e i suoi Stati membri hanno pertanto deciso di adottare un approccio più
coordinato, olistico e strutturato circa la migrazione, massimizzando le sinergie e
adoperando tutti gli strumenti necessari a disposizione, compresi lo sviluppo e il commercio.
82 Vedi infra. 83 Tra i principi sanciti dalla Dichiarazione di Parigi del 2005 sull’Efficacia dell’Aiuto si definiscono Ownership e Alignement
come segue:
Ownership: i beneficiari fanno proprie le politiche di sviluppo.
Alignement: i donatori articolano le proprie attività sulle strategie di sviluppo e sui sistemi locali dei beneficiari.
58
Il paradosso portato dal Fondo è che vi è uno spostamento concettuale, passando
dall’idea della migrazione per lo sviluppo a quella dello sviluppo contro la migrazione.
In ultimo l’innegabile maggiore critica riguarda la “paura” soggiacente alla messa in
sicurezza e alla parallela esternalizzazione del controllo delle frontiere europee meridionali,
mascherata da aiuto allo sviluppo.
Indubbiamente la dinamica della migrazione nel Mediterraneo ha portato a un
riorientamento politico da un approccio ristretto, incentrato sul solo contenimento dei flussi,
verso una soluzione più ampia.
Molti progetti del Fondo fiduciario sono simili ai tipi di investimenti che già si fanno da
moltissimi anni nell’ambito degli strumenti di sviluppo tradizionali, peraltro con ben maggiori
finanziamenti e su una scala ben più ampia, i quali tuttavia non sembrano ridurre la
migrazione.
Diversi funzionari ritengono che il Fondo, dal momento che non e un “game changer”,
potrà solamente contribuire a meglio focalizzare l’attenzione sulle cause profonde delle
migrazioni e ad accelerarne l’attuazione dei progetti, ma che poi tale indirizzo non potrà fare
a meno di rientrare all’interno della normale cooperazione allo sviluppo europeo verso tali
regioni.
Sebbene ci siano poche speranze ragionevoli che il Fondo possa avere un impatto
sostanziale attraverso gli obiettivi molto ampi che si è prefissato, si desume facilmente che
vari attori abbiano altre aspettative nei confronti del Fondo. Diversi Stati membri lo
immaginano come uno strumento più diretto in particolare per quanto riguarda la gestione
delle frontiere, il rimpatrio e le riammissioni, che sono una delle principali preoccupazioni
dell’elettorato di alcuni Stati membri, tra cui l’Italia. È risaputo che gli Stati membri abbiano
esercitando forti pressioni sulla Commissione Europea, affinché il Fondo si traduca in rapidi
progressi in questi settori.
In molti Stati Membri ad occuparsi dell’EUTF sono la Presidenza del Consiglio, il
Ministero degli Interni e quello degli Esteri, la cui visione talvolta differisce rispetto a quella
dei soli Ministeri per lo Sviluppo.
La stessa divisione interna agli Stati Membri si riflette anche all’interno delle medesime
istituzioni europee: da una parte la Direzione Generale per la Migrazione e gli Affari Interni
(DG HOME)84 attenta ai rimpatri e alle riammissioni, dall’altra la Direzione Generale per la
Cooperazione e lo Sviluppo (DG DEVCO)85 invece più interessata a garantire l’equilibrio tra
84 Cfr. https://ec.europa.eu/info/departments/migration-and-home-affairs_it 85 Cfr. https://ec.europa.eu/info/departments/international-cooperation-and-development_it
59
gli obiettivi dell’EUTF e che i progetti rientrino nei criteri di comunicazione dell’assistenza
allo sviluppo (APS) del comitato di assistenza allo sviluppo (DAC) ) dell’Organizzazione per
la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).
In verità la DG HOME traspone la sua preoccupazione per la sicurezza interna dell’UE
alla dimensione esterna della politica di migrazione e asilo. Pertanto, le prospettive della DG
HOME sulla migrazione tendono a essere a breve termine e incentrate sulle minacce alla
sicurezza europea. Ciò significa che le sue azioni mirano principalmente a limitare la
mobilità umana, nel tentativo di frenare l’immigrazione irregolare.
Lo scopo mal celato dell’EUTF e semplicemente quello di dimostrare al pubblico
europeo che i loro Governi, al di là dei vincoli del Parlamento Europeo e della stessa
Commissione Europea, hanno preso provvedimenti sulle migrazioni. Siamo nel reame della
retorica non più della politica: difatti il numero dei migranti che possono effettivamente
essere rimpatriati è infimo.
La narrazione relativa al Fondo fiduciario dell’Africa suggerisce che sia uno strumento
atto a “comprarsi la fiducia” dei Paesi beneficiari.
Allo stesso tempo e pur vero che il Fondo offre un’inedita opportunità di sperimentare
diversi modi di lavorare al di fuori dei limiti delle politiche di sviluppo finora note.
Vi sono due aspetti in cui l’EUTF offre un portato originale rispetto agli esistenti di
strumenti di cui e dotata l’UE: da un lato velocità e flessibilità e dall’altro il potenziale di
innovazione, ambedue assai validi per rispondere alla rapidità dell’evoluzione dello scenario
in cui viene applicato. Non va dimenticato che la costituzione del Fondo nel 2015 è stata
dovuta all’imperdonabile ritardo e all’incredibile miopia con cui sia gli Stati Membri sia le
istituzioni europee avevano guardato all’Africa fino ad allora, con la conseguenza di politiche
inadeguate e vaghe circa lo sviluppo dei Paesi interessati.
La caratteristica più rilevante data dall’EUTF, quale iniziativa ad hoc, e l’ottica
regionale, tale da affrontare le sfide transfrontaliere collegate. Gli annosi problemi dei Paesi
africani d’origine, di transito e di destinazione sono visti in senso transfrontaliero, aspetto
intrinseco ai flussi migratori, che non guardano ai confini statali.
Ad esempio attraverso il Fondo fiduciario è possibile concentrarsi geograficamente
sulle aree in cui si trovano i migranti. Queste sono in genere zone nelle quali i governi
nazionali hanno scarso interesse che i donatori vi lavorino o vi dedichino risorse, perché
preferiscono che gli aiuti non vadano ai cittadini di Paesi terzi momentaneamente stanziali
nei loro rispettivi Paesi.
60
In questo modo invece i progetti del Fondo fiduciario riescono ad aggirare le politiche
di esclusione, raggiungendo le popolazioni emigrate e rifugiate, di fatto emarginate dalle
stesse istituzioni del Paese di transito in cui si trovano in quel momento.
Proprio perché il Fondo fiduciario intende colmare quelle lacune, sia in termini
geografici sia tematici, non coperte con altri mezzi esistenti, esso ha anche il potenziale per
svolgere attività su una serie di questioni transfrontaliere che sono difficili da affrontare
attraverso la pletora degli altri strumenti esistenti, tra cui la tratta di esseri umani, l’assistenza
alle popolazioni migranti nelle aree di confine, che sono “terra di nessuno”, e la creazione di
condizioni per i migranti rimasti bloccati in un cul-de-sac, come in Libia per esempio, per
tornare a casa.
In questo senso e palese che l’assistenza allo sviluppo flessibile, adattiva e innovativa
è nella posizione migliore per essere efficace nei contesti complessi, incerti e mutevoli degli
Stati fragili, come molti di quelli inclusi nell’EUTF.
È possibile che - al di fuori delle restrizioni degli strumenti di sviluppo tradizionali -
l’EUTF possa offrire un’opportunità per tale esigenza d’innovazione e addirittura di
sperimentazione, utilizzando i suoi progetti relativamente modesti, per provare nuovi modi
di lavorare su alcune delle complesse questioni che cerca di risolvere.
È incoraggiante che le misure insite nell’EUTF siano volte a superare la natura
altamente frammentata della pletora d’iniziative europee inerenti alle migrazioni, svolgendo
teoricamente un ruolo centrale nel passaggio verso un quanto mai necessario approccio più
coerente alla questione.
È risaputo infatti che le numerose misure europee per la gestione della migrazione
generino inefficienza amministrativa e mancanza di coerenza rispetto alle priorità e agli
obiettivi.
Le posizioni più estreme dei detrattori dell’EUTF immaginano che questo politicizzi gli
aiuti a proprio vantaggio per tenere sotto controllo le migrazioni, subordinando in questa
maniera gli aiuti allo sviluppo alle prestazioni dei Paesi terzi in funzione delle loro capacità
di arginare le migrazioni (condizionalità dell’aiuto) in termini di contenimento, gestione delle
frontiere, rimpatrio e riammissione. Secondo costoro infatti l’Europa e i suoi Stati Membri
avrebbero scelto di scendere a patti con Stati corrotti che non rispettano i diritti umani, al
fine di sfruttarne al massimo il capitale politico-elettorale derivante, rischiando però di
foraggiare un ciclo di abusi e di repressione particolarmente allarmante, che in ultima istanza
alimenterebbe comportamenti illeciti anziché limitarne gli effetti in codesti Paesi.
61
Preoccupa l’impatto che l’EUTF potrebbe avere sul mancato rispetto dei diritti umani,
se i progetti di contenimento dei flussi migratori insisteranno a prevedere una cooperazione
serrata con Paesi che commettono violazioni sistematiche dei diritti fondamentali.
Tutti sono consapevoli che nelle misure europee poste in essere il rispetto dei diritti
umani, che dovrebbe sostenere tali azioni, rimane teorico e si traduce giocoforza solo
raramente in pratica, in ragione della volatilità dei contesti in cui vengono applicate.
62
Raccomandazioni e conclusioni
Per il quadro finanziario pluriennale dal 2021 al 2027 la Commissione propone di
integrare l’EUTF nel bilancio normale. Ciò sarebbe coerente nel senso che la creazione del
Fondo era giustificata in termini di risposta a un’emergenza, ma le sfide sottostanti sono di
lungo termine. La fusione del Fondo nel bilancio normale garantirebbe inoltre al Parlamento
Europeo una maggiore supervisione.
Sebbene inizialmente concepito come uno strumento di finanziamento temporaneo per
le emergenze, l’EUTF ha il potenziale per diventare la norma per la politica migratoria
esterna dell’UE, fungendo da modello per l’integrazione sistematica di tutti gli interessi legati
ai processi migratori dell’UE in seno all’azione esterna europea.
La forma futura dell’EUTF deve tener conto delle interazioni con tre importanti processi
europei e internazionali: i negoziati in corso sul prossimo quadro finanziario pluriennale,
l’attuazione dello United Nations Global Compacts for Migration and Refugees e ancor più
il futuro della cooperazione euro-africana.
Il Fondo fiduciario dell’UE dovrebbe riflettere i principi della coerenza delle politiche
per lo sviluppo sostenibile e della complementarità tra tutti gli attori dello sviluppo ed evitare
contraddizioni tra obiettivi di sviluppo e politiche di sicurezza, umanitarie e di migrazione
Premesso che la migrazione irregolare in Africa è una questione ampia e complessa,
che richiede una pianificazione a lungo termine e risorse considerevoli, lo scopo primario
dell’istituzione dello EUTF e sia di assicurare la stabilità dei flussi migratori tanto nei Paesi
di transito quanto in quelli di origine, sia di affrontare le cause profonde della migrazione
irregolare, così da proteggere gli sfollati in Africa, quale risposta rapida, flessibile ed efficace
a una situazione considerata di emergenza, laddove non lo è.
Si tratta di una contraddizione in termini, poiché le cause profonde delle migrazioni
sono strutturali e non congiunturali, come invece la Commissione Europea superficialmente
travisa attraverso la precedente definizione, dimostrandosi in buona sostanza impreparata
di fronte al fenomeno migratorio. Tali cause – push factor – sono molteplici: conflitti,
repressioni politiche, mutamento delle condizioni climatiche, difficoltà economiche, non
ultima la volontà di migliorare le proprie condizioni di vita.
Al contrario numerosi studi hanno dimostrato che fornire aiuti allo sviluppo a Paesi
economicamente deboli nella speranza di ridurre l’immigrazione clandestina e
controproducente e può persino causare una crescita della spinta migratoria. Ciò suggerisce
la necessità di riorientare alcuni degli obiettivi dell’EUTF e principalmente la sua strategia.
63
Tecnicamente il Fondo mette insieme eterogenee risorse dell’UE con contributi
provenienti dagli Stati Membri ad esso dedicati. Dopodiché il Fondo destina tali soldi a
progetti da implementarsi nei Paesi africani target da parte di una pletora di attori intermedi,
in particolare ONG e agenzie ONU, soprattutto OIM86 e ACNUR87, oltre che dai medesimi
Stati Membri finanziatori, la cui gestione riguarda peraltro ben il quaranta per cento dei
progetti approvati.
Le istituzioni europee con l’introduzione dell’EUTF non fanno che aggiungere un nuovo
strumento ad altri preesistenti riguardanti sempre le migrazioni, complicando ulteriormente
il ginepraio di misure in essere dedicate alla gestione del problema migratorio.
Molte ONG, think-tank e studiosi indipendenti hanno espresso dubbi sul Fondo,
sostenendo che la creazione dell’EUTF non e altro che un’esternalizzazione della politica
migratoria dell’UE e della sicurezza allocata a Paesi terzi. Infatti l’incomprensibile mancata
copertura mediatica delle attività dell’EUTF, il suo agire “discretamente” verso l’opinione
pubblica europea insospettisce e suscita il dubbio che, se in molti venissero davvero a
sapere quante risorse vengono impiegate e in quale modo in Paesi la cui governance
critichiamo continuamente, l’ambiguità derivante metterebbe molti decisori politici in
difficoltà.
Secondo i suoi maggiori detrattori l’EUTF soffre di mimetismo: mentre la Commissione
Europea enfatizza il successo di rimpatri, riammissioni e reintegrazione, sostenendo che la
finalità sia quella di migliorare la situazione umanitaria nel Mediterraneo, altri ritengono che
l’EUTF contribuisca seriamente a spostare la frontiera fra Africa ed Europa non più in mare,
fra Italia e Libia, bensì nei Paesi di transito ovvero nel Sahara e nel Sahel, facendo venire
meno la separazione che notoriamente esiste fra ambito umanitario di gestione delle crisi
transitorie ed emergenziale e cooperazione allo sviluppo convenzionale di lungo termine,
creando una zona grigia intermedia di difficile interpretazione.
La cosa più preoccupante non è solo in termini di metodologia, quanto soprattutto di
rischi di azioni unilaterali che si palesano all’orizzonte ben oltre i criteri del partenariato fra
Africa ed Europa. A ben vedere i progetti EUTF non sono basati sui principi dello sviluppo,
bensì sulla negoziazione di interessi squisitamente ed esclusivamente europei, che
rischiano, in quanto tali, di condizionare l’aiuto a politiche migratorie restrittive. Oltre alla
questione della suddetta possibile condizionalità dell’aiuto al ribasso, il ruolo della società
civile dei donatori e dei beneficiari è ai minimi termini: così come a livello locale le
86 Cfr. https://www.iom.int/ 87 Cfr. https://www.unhcr.org/
64
organizzazioni della società civile sono marginali nelle decisioni politiche e usate come
semplici realizzatrici dei progetti, altrettanto si può dire delle ONG europee che li
implementano.
Infatti il finanziamento dell’EUTF viene ampiamente reindirizzato da altri strumenti di
aiuto dell’UE, incluso il Fondo Europeo di Sviluppo (FES), monitorato più attentamente88.
Ciò minaccia l’accountability89 e la trasparenza dell’iniziativa, correndo il rischio di escludere
le parti interessate africane nei processi decisionali. Peggio ancora, l’EUTF potrebbe non
offrire incentivi adeguati ai Paesi africani per cooperare, mettendo in discussione la sua
efficacia complessiva come strumento di sviluppo.
L’EUTF dovrebbe focalizzare maggiormente l’attenzione sui conflitti e le crisi
umanitarie che costringono le persone a fuggire, con l’obiettivo principale di salvaguardare
i diritti umani dei civili africani. Inoltre i finanziamenti stanziati tramite l’EUTF dovrebbero
essere sottoposti a un attento monitoraggio secondo gli standard del FES. Quanto alla
collaborazione con i governi dei Paesi di transito e di origine, sarebbe opportuno rivolgere
maggiori risorse sull’istituzione di rotte migratorie sicure e legali, potenzialmente attraverso
programmi di liberalizzazione dei visti, nonché tariffe ridotte sui trasferimenti per le rimesse.
Tali modifiche allineerebbero l’EUTF ai valori europei e lo renderebbero più marcatamente
come iniziativa di sviluppo.
Un’altra critica concerne lo sbilanciamento a favore della sicurezza frontaliera e sui
ricollocamenti delle persone attraverso uno spropositato finanziamento rivolto a progetti di
contenimento relativamente alla gestione delle frontiere, a iniziative anti-contrabbando e
all’incoraggiamento degli Stati africani ad accettare i rimpatri, grazie ai lauti finanziamenti
che sono loro accordati.
Forse le critiche sono esagerate, perché solo il quindici per cento dei progetti finanziati
dal Fondo si limita alla sicurezza, devolvendo dunque denaro alle forze di sicurezza
africane, comunque secondo alcuni da considerarsi sempre come una fonte di potenziale
conflitto in Paesi non democratici.
L’eterogeneità degli Stati africani in oggetto non aiuta a dirimere la complessità della
questione. In Somalia, Eritrea, Sud Sudan, Nigeria, Gambia, Guinea (in quanto Paesi
88 Il finanziamento dell’EUTF dovrebbe essere soggetto alle stesse regole di controllo, monitoraggio e gestione per i Paesi partner così come avviene per il FES e per tutti gli altri fondi europei di aiuto allo sviluppo. Il Parlamento Europeo dovrebbe poter controllare e supervisionare le attività del Fondo, così da garantirne la trasparenza, e allo stesso tempo i responsabili politici e la società civile africani andrebbero meglio integrati nei processi decisionali, a condizione di ingaggiarli sul terreno delle loro reali preoccupazioni ossia prevedere rotte migratorie legali e sicure, liberalizzare i visti per motivi di studio e lavoro, facilitare i trasferimenti finanziari delle rimesse.
89 I beneficiari e i donatori sono vicendevolmente responsabili per i progressi conseguiti per l’efficacia degli aiuti e per i risultati ottenuti in termini di sviluppo.
65
d’origine) e Costa d’Avorio, Mali, Senegal, Sudan, Etiopia e Marocco (in quanto sia Paesi di
origine sia di transito), esiste un notevole enfasi sulla cooperazione allo sviluppo, mentre
nei soli Paesi di transito (Libia, Niger, Ciad, Gibuti, Burkina Faso e Mauritania), l’enfasi sulla
gestione della migrazione e i progetti in materia di sicurezza sono maggiori, rappresentando
quasi la metà del bilancio loro assegnato.
I mezzi per gestire una migrazione più ordinata comprendono gli aiuti necessari per gli
insediamenti di rifugiati al fine di evitare trasferimenti secondari, ma soprattutto facilitare
l’accesso alla migrazione legale, non dunque fare il lavaggio del cervello alle persone che
intendono migrare, mascherandolo come forma di solidarietà internazionale. Alcuni critici
parlano di esternalizzazione delle politiche migratorie come espediente politico di quei
decisori che non sanno considerare l’immigrazione un’opportunità, bensì un problema.
Urge quindi prendere seriamente in considerazione i vettori della migrazione
irregolare, esplicitando una vera politica di azione esterna europea che ponga fine ai conflitti
in corso.
Tutte le azioni sostenute dall’EUTF dovrebbero contribuire in modo dimostrabile e
tangibile alla riduzione della povertà e al rafforzamento delle capacità di resilienza della
comunità oggetto dei progetti del Fondo specialmente nei Paesi di transito. Le aree in cui
tali azioni si sovrappongono alla prevenzione della migrazione forzata includono un
maggiore accesso ai servizi pubblici locali (sanità e istruzione), le pratiche di good
governance e le iniziative anticorruzione. Ulteriore assistenza umanitaria dovrebbe essere
diretta ai campi profughi nei Paesi di origine e di transito, in modo da attenuare i trasferimenti
(relocations) secondari.
Concludendo, sin dalla sua costituzione l’EUTF si presenta come uno strumento
controverso, in termini di finalità, metodi e attuazioni, giacché nato per sopperire a una
emergenza, che tale non si è rivelata. La fisionomia emergenziale del Fondo non potrà che
adeguarsi alla natura strutturale delle sfide, alle quali è chiamato a rispondere in funzione
del mutevole approccio dell’UE in materia di migrazione, sicurezza e sviluppo.
66
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NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SULL’AUTORE
Ce.Mi.S.S.90
Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.) è l'Organismo che gestisce, nell'ambito e
per conto del Ministero della Difesa, la ricerca su temi di carattere strategico.
Costituito nel 1987 con Decreto del Ministro della Difesa, il Ce.Mi.S.S. svolge la propria
opera valendosi si esperti civili e militari, italiani ed esteri, in piena libertà di espressione di
pensiero.
Quanto contenuto negli studi pubblicati riflette quindi esclusivamente l'opinione del
Ricercatore e non quella del Ministero della Difesa.
NOME E COGNOME AUTORE
Marco Massoni (PhD), africanista, è un analista politico indipendente
esperto di relazioni internazionali, docente universitario, consulente delle
Nazioni Unite, dell’Unione Europea e di numerosi think-tank.
90 http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pagine/default.aspx