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MANTOVA Una città nata dalle acque Attorniata su tre lati da laghi, anticamente modificati a difesa della città, Mantova sorge quasi magicamente da quelle acque, che una leggenda attribuisce alle lacrime della profetessa greca Manto. Il rapporto di Mantova con l’acqua è strettissimo: il fiume Mincio, i laghi, il canale medievale chiamato “Rio” sono parte della tradizione popolare e della cultura della città. L’acqua è necessaria per la sopravvivenza, essendo componente fondamentale di tutti gli organismi viventi, ma l’uomo l’ha saputa sfruttare in molti altri modi. Essa garantisce la fertilità del suolo e permette le coltivazioni; consente il trasporto di persone, materiali e manufatti; fornisce energia per mulini e torni; chimicamente funziona da solvente e da agente reattivo; spegne gli incendi; consente la costruzione di barriere di difesa; ospita flora e fauna selvatiche che possono aiutare il sostentamento; dalle sponde dei fiumi si estrae argilla per materiali edili e vasellame; ci si può anche divertire o rinfrescare dall’afa. Come spesso accade, l’uomo ha trovato anche aspetti più foschi, come trasformare le vie d’acqua in fogne e discariche, o usare l’acqua nelle torture per eretici e dissidenti. L’acqua sa anche essere crudele , come la natura di cui fa parte: ospita insetti e microrganismi portatori di malattie, le ondate di piena distruggono tutto quanto incontrano, trabocchetti insidiosi nascondono il pericolo dell’annegamento. Tutto questo Mantova lo ha conosciuto, come più recentemente ha vissuto la crescita dell’attenzione verso l’ambiente: i suoi laghi sono tuttora tra i luoghi più inquinati d’Italia , ma la tutela della natura è diventata uno degli obiettivi di questa, come di altre, comunità.

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MANTOVA Una città nata dalle acque

Attorniata su tre lati da laghi, anticamente modificati a difesa della città, Mantova sorge quasi magicamente da quelle acque, che una leggenda attribuisce alle lacrime della profetessa greca Manto. Il rapporto di Mantova con l’acqua è strettissimo: il fiume Mincio, i laghi, il canale medievale chiamato “Rio” sono parte della tradizione popolare e della cultura della città.

L’acqua è necessaria per la sopravvivenza, essendo componente fondamentale di tutti gli organismi viventi, ma l’uomo l’ha saputa sfruttare in molti altri modi. Essa garantisce la fertilità del suolo e permette le coltivazioni; consente il trasporto di persone, materiali e manufatti; fornisce energia per mulini e torni; chimicamente funziona da solvente e da agente reattivo; spegne gli incendi; consente la costruzione di barriere di difesa; ospita flora e fauna selvatiche che possono aiutare il sostentamento; dalle sponde dei fiumi si estrae

argilla per materiali edili e vasellame; ci si può anche divertire o rinfrescare dall’afa. Come spesso accade, l’uomo ha trovato anche aspetti più foschi, come trasformare le vie d’acqua in fogne e discariche, o usare l’acqua nelle torture per eretici e dissidenti. L’acqua sa anche essere crudele , come la natura di cui fa

parte: ospita insetti e microrganismi portatori di malattie, le ondate di piena distruggono tutto quanto incontrano, trabocchetti insidiosi nascondono il pericolo dell’annegamento.

Tutto questo Mantova lo ha conosciuto, come più recentemente ha vissuto la crescita dell’attenzione verso l’ambiente: i suoi laghi sono tuttora tra i luoghi più inquinati d’Italia , ma la tutela della natura è diventata uno degli obiettivi di questa, come di altre, comunità.

Henry Wadsworth Longfellow

Stradano: Canto XX

La terra di Virgilio

L’epitaffio (anonimo) posto sulla tomba del sommo poeta latino Virgilio (70-19 BCE), la più antica gloria mantovana, recita:

Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces

Mantova mi generò, la Puglia [*] mi prese, Napoli mi trattiene; ho cantato pascoli, campagne, condottieri [**]

[*] La Puglia, dove Virgilio morì, era allora chiamata Calabria

[**] Riferendosi alle sue opere maggiori (Bucoliche, Georgiche, Eneide)

Secondo Virgilio, il fondatore di Mantova sarebbe stato Ocno, figlio della profetessa greca Manto e di Tiberino, un’antica divinità italica delle acque legata, come tradisce il nome, al fiume Tevere. Ne accenna nella sua opera maggiore, l’Eneide, come leggiamo con la traduzione di Annibal Caro.

Eneide, Libro X

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Ille etiam patriis agmen ciet Ocnus ab oris, fatidicae Mantus et Tusci filius amnis, qui muros matrisque dedit tibi, Mantua, nomen

Ocno poscia venia, del tosco fiume e di Manto indovina il chiaro figlio, che te, mia patria, eresse

Saltiamo in avanti di 13 secoli, alla Divina Commedia, canto XX dell’Inferno, per trovare Virgilio in compagnia di Dante. Siamo nell’ottavo girone, quello dei fraudolenti, per la precisione nella quarta bolgia , che ospita indovini, astrologi e falsi profeti: la loro punizione è trovarsi la testa girata all’indietro, per aver

voluto, in vita, sfidare Dio guardando troppo “in avanti”, nel futuro.

Tra essi c’è una delle rare peccatrici dantesche: si tratta, ancora una volta, di Manto, qui dannata insieme al padre Tiresia, anch’egli indovino. Viene accettata la versione di Stazio (Tebaide), che riporta come Manto vagato lungamente, dopo la morte del padre, per sfuggire al tiranno tebano Creonte. Alla fine del suo peregrinare si fermò presso il Mincio, dove sorse Mantova che proprio da lei prenderebbe il proprio nome. Vicino a Mantova (in un villaggio chiamato Andes, l’odierna Pietole) nasceva Virgilio, che nella finzione dantesca interviene per descrivere la terra natia (là dove nacqu’io).

In realtà l’origine di Mantova sembra essere etrusca, ed il nome deriverebbe dalla divinità funebre Mantus.

Ocno, anziché il figlio di Manto, sarebbe il principe etrusco (noto anche come Bianore) che fondò la città; oppure potrebbe essere una storpiatura del nome di un’altra divinità infernale, Orco. Quindi Virgilio è almeno in parte corretto, attribuendo a Mantova un’origine “toscana”, regione storicamente associata agli Etruschi.

Quello che segue è la descrizione di Mantova che Dante fa pronunciare a Virgilio; la traduzione in inglese risale al 1867 ed è opera niente meno che del poeta americano Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882), grande appassionato e divulgatore di Dante. Fondò con alcuni amici il circolo “Dante Club”, che sarebbe poi divenuto l’odierna “Dante Society”.

Dante, Inferno, Canto XX

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Manto fu, che cercò per terre molte; poscia si puose là dove nacqu’io; onde un poco mi piace che m’ascolte. Poscia che ‘l padre suo di vita uscìo e venne serva la città di Baco, questa gran tempo per lo mondo gio. Suso in Italia bella giace un laco, a piè de l’Alpe che serra Lamagna sovra Tiralli, c’ha nome Benaco. Per mille fonti, credo, e più si bagna tra Garda e Val Camonica e Pennino de l’acqua che nel detto laco stagna. Loco è nel mezzo là dove ‘l trentino pastore e quel di Brescia e ‘l veronese segnar poria, s’e’ fesse quel cammino. Siede Peschiera, bello e forte arnese da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, ove la riva ‘ntorno più discese. Ivi convien che tutto quanto caschi ciò che ‘n grembo a Benaco star non può, e fassi fiume giù per verdi paschi. Tosto che l’acqua a correr mette co, non più Benaco, ma Mencio si chiama fino a Governol, dove cade in Po. Non molto ha corso, ch’el trova una lama, ne la qual si distende e la ‘mpaluda; e suol di state talor essere grama. Quindi passando la vergine cruda vide terra, nel mezzo del pantano, sanza coltura e d’abitanti nuda. Lì, per fuggire ogne consorzio umano, ristette con suoi servi a far sue arti, e visse, e vi lasciò suo corpo vano. Li uomini poi che ‘ntorno erano sparti s’accolsero a quel loco, ch’era forte per lo pantan ch’avea da tutte parti. Fer la città sovra quell’ossa morte; e per colei che ‘l loco prima elesse, Mantüa l’appellar sanz’altra sorte.

Was Manto, who made quest through many lands, Afterwards tarried there where I was born; Whereof I would thou list to me a little. After her father had from life departed, And the city of Bacchus had become enslaved, She a long season wandered through the world. Above in beauteous Italy lies a lake At the Alp’s foot that shuts in Germany Over Tyrol, and has the name Benaco. By a thousand springs, I think, and more, is bathed ‘Twixt Garda and Val Camonica, Pennino, With water that grows stagnant in that lake. Midway a place is where the Trentine Pastor, And he of Brescia, and the Veronese Might give his blessing, if he passed that way. Sitteth Peschiera, fortress fair and strong, To front the Brescians and the Bergamasks, Where round about the bank descendeth lowest. There of necessity must fall whatever In bosom of Benaco cannot stay, And grows a river down through verdant pastures. Soon as the water doth begin to run No more Benaco is it called, but Mincio, Far as Governo, where it falls in Po. Not far it runs before it finds a plain In which it spreads itself, and makes it marshy, And oft ‘tis wont in summer to be sickly. Passing that way the virgin pitiless Land in the middle of the fen descried, Untilled and naked of inhabitants; There to escape all human intercourse, She with her servants stayed, her arts to practise And lived, and left her empty body there. The men, thereafter, who were scattered round, Collected in that place, which was made strong By the lagoon it had on every side; They built their city over those dead bones, And, after her who first the place selected, Mantua named it, without other omen.

[È Virgilio che parla, accennando a Manto] È la maga di Tebe, che vagò a lungo, e si fermò nel luogo dove io nacqui; perciò vorrei che mi ascoltassi un po’. Quando suo padre lasciò la Terra e la città di Bacco [Tebe] fu fatta schiava, per lungo tempo vagò per il mondo. Sotto le montagne che separano dalla Germania [Lamagna] sopra il Tirolo [Tiralli] giace un lago chiamato Benaco. L’acqua che vi si ferma proviene da molti fiumi, tra la città di Garda, la Val Camonica e le Alpi [chiamate Pennine ai tempi di Dante]. In mezzo al lago c’è il confine tra Trento, Brescia e Verona, dove i vescovi di ciascuna di esse potrebbero dare la benedizione [è il punto del lago dove le tre province si incontrano]. Più a valle sorge Peschiera, fortezza in grado di

proteggere Verona da Bresciani e Bergamaschi, e dove le acque defluiscono dal Garda nel fiume Mincio [Mencio] che scorre fino a Governolo [Governol], dove si getta nel Po. Dopo un breve percorso il fiume

incontra una depressione [lama] dove si apre e diventa palude, spesso malsana [grama] nel periodo estivo. Lì passò la crudele fanciulla [Manto, secondo Stazio, faceva sacrifici umani] , vide questa terra dura nel pantano, senza abitanti, incolta e brulla; lì, per fuggire l’uomo, restò con i servi per fare le sue magie, lasciandovi alla morte il suo corpo. Gli uomini che vivevano lì intorno si riunirono in quel luogo ben difeso, per l’acqua che vi ristagna attorno. Costruirono una città sulle sue ossa, e in onore di colei che per prima aveva scelto il luogo, la chiamarono “Mantua” senza ricerca di presagi [come era abitudine quando si fondava una città].

Ecco che Mantova sorge in una depressione malsana: non una gran presentazione per un luogo che, in effetti, deve parecchi inconvenienti ai suoi laghi, in particolare, fino dall’antichità, zanzare e afa.

Le opere idrauliche di Mantova

Come abbiamo visto, perfino Dante nomina le paludi del Mincio. Tali acque, nel corso dei secoli, furono regolate con la creazione dei laghi di Mantova, tre dei quali sono tuttora esistenti. La storia idrografica di questi laghi è un perfetto esempio di interazione tra processi naturali e interventi umani.

Nel periodo etrusco probabilmente il Mincio si univa con il Tartaro nel Veronese, e sboccava nel Mar Adriatico, poco più a Nord del Po. Il percorso attuale, fino al Po di Governolo, sarebbe dovuto all’intervento, in epoca romana, di Quinto Curio Ostilio (ritenuto anche il fondatore e l’eponimo della città di Ostiglia), o, secondo altre fonti, alla disastrosa piena dell’Adige (la “rotta della Cucca” del 589). L’esistenza, nel Medioevo, di un bacino lacustre intorno a Mantova è testimoniata dalle ricerche di uno dei decani degli ingegneri idraulici moderni, il cremonese Elia Lombardini (1794-1876), che ne trovò menzione in un documento dell’XI secolo.

L’attuale sistemazione delle acque del Mincio intorno a Mantova risale all’intervento dell’ingegnere bergamasco Alberto Pitentino, chiamato nel 1189 dal podestà Attone di Pagano per mettere in pratica quanto i Mantovani desideravano: mantenere intorno alla città una fascia d’acqua che già si formava in modo naturale durante le piene del Mincio, ma che tendeva a sparire nei periodi di secca. Pitentino bonificò le paludi organizzando anche un sistema di difesa della città, in modo da circondarla completamente con quattro laghi: Superiore, di Mezzo, Inferiore e Paiolo. Il transito era assicurato da ponti, due dei quali - il Ponte dei Mulini e il Ponte di San Giorgio - al giorno d’oggi sono ancora esistenti, pur se completamente rimaneggiati nella struttura. Pitentino progettò anche la Chiusa di Governolo, per proteggere Mantova dalle piene del Po; tale chiusa fu restaurata nel 1608 e completata con una conca di navigazione, grazie all’ingegnere mantovano Gabriele Bertazzolo (1609-1618). Il lago Paiolo fu successivamente prosciugato (tra il 1750 e il 1905) per ridurre i pericoli delle piene e consentire nuovi sviluppi urbanistici: al suo posto sorge ora un quartiere chiamato, non a caso, “Valletta Paiolo”. Nell’attuale idrografia mantovana, il Mincio arriva da ovest, forma i laghi attorno a tre lati della città, poi ricomincia il suo corso in un alveo denominato “Vallazza”, prima di restringersi proseguendo verso sud per poi incontrare la sua destinazione finale, il Po.

Il fiume Mincio

Il Ponte dei Mulini distrutto e ricostruito

Il Ponte dei Mulini A nord della città Pitentino fece costruire la diga dello Zappetto, che tuttora costringe le acque ad un salto di circa 4m attraverso due scarichi: il primo, regolabile , è posto sotto l’estremità nord dell’argine ed è detto Vaso di Porto (per la gente il Vasarone); il secondo, all’estremità meridionale , è chiamato Vasarina. Fu così possibile controllare le acque del Mincio in entrata, riducendo gli impaludamenti, e consolidare il bacino lacustre, che poteva quindi essere usato per la difesa militare della città. Furono formati due laghi sul lato ovest di Mantova, il Superiore e il Paiolo , così chiamato per la sua forma. Il salto d’acqua consentiva il funzionamento di una serie di 12 mulini, che nel 1229 furono aggiunti alla diga: questo spiega il nome di Ponte dei Mulini dato all’opera, e di Porta Mulina dato all’accesso settentrionale alla città. La sistemazione del Lago Superiore fu completata con un argine semicircolare attorno al 1842. Il ponte fu distrutto dai bombardamenti durante la II Guerra Mondiale; sistemato l’argine e la strada soprastante, furono anche sostituite le due chiuse. I mulini, invece, non esistono più, così come la copertura della strada.

Laghi, ponti e canali di Mantova

Il Ponte di San Giorgio in un particolare della “Morte della Vergine” di Andrea Mantegna (Madrid, M useo del Prado)

Alluvione del 1917

La sponda del bucato, ieri e oggi

Il Ponte di San Giorgio Questo ponte collega la città con il borgo omonimo. Fu costruito sulle rovine di quello chiamato “della Cipata”, dal nome dell’insediamento sito sulla sponda orientale del Lago Inferiore, anticamente noto come “Corno della Cipata”, ai giorni nostri “Lunetta”, per la sua forma arcuata. Inizialmente in legno, fu ricostruito con 33 arcate in muratura, venendo così a separare tra i laghi di Mezzo e Inferiore, che prima di allora

formavano un unico bacino. Fu poi munito, nel XVII secolo, di un ponte levatoio che consentiva il passaggio delle imbarcazioni. All’inizio del XX secolo il ponte era divenuto inadatto alle esigenze del tempo: le interruzioni del traffico per il passaggio dei natanti, le continue riparazioni, la stretta carreggiata, i pericoli delle piene resero necessario un

intervento eccezionale, che fu deciso dopo la disastrosa piena del 1917. Tra il 1921 e il 1922 vennero interrate le arcate e rimosso il ponte levatoio: terra, rottami e asfalto (tutto trasportato a mano con carriole) ne fecero una grande diga, completata da un argine semicircolare, riducendo a 40 metri l’apertura tra i due laghi, e permettendo di allargare e innalzare la soprastante carreggiata. Nel corso della seconda guerra mondiale il ponte venne fatto saltare dalle truppe tedesche; fu sostituito con una struttura in tralicci di ferro, che fece poi posto ad una nuova arcata in cemento armato.

Il Rio Sempre in età comunale venne tracciato il Rio, un canale che taglia in due la città, collegando il lago Superiore a quello Inferiore. Fungeva da via commerciale, raggiungendo le pescherie, le macellerie e le oreficerie poste ai margini del centro cittadino. Inoltre permetteva alle donne un facile accesso alle acque per la lavatura dei panni (“bugada”, da cui il loro nome di “bugadere”). Il canale fornì acqua ai cittadini, ebbe la funzione di “fossa” e divenne il nuovo confine della città. Oggi si possono ammirare solo alcuni tratti del Rio, perché la maggior parte del canale è stata ricoperta da strade. Le antiche pescherie furono progettate da Giulio Romano e costruite nel 1536 su uno dei ponti del Rio. Di questo periodo rimane il ricordo nei toponimi, come via Pescheria e via Orefici.

Porto Catena Il Rio, prima di terminare nel Lago Inferiore, formava una conca che separava i quartie ri di S.Nicolò e di S.Martino. Questa insenatura era probabilmente già usata nel XIII secolo, anche se i porti commerciali della città erano quelli dell’Ancona di S.Agnese e di Cittadella, più a Nord, sulle opposte sponde del Lago di Mezzo. Allora si chiamava Porto degli Scoli, nome poco elegante, ma che deriva dal suo essere il terminale

di tutti gli scarichi cittadini che finivano nel Rio. Il porto divenne quello principale a partire dal 1353 (quando venne interrata l’Ancona di S.Agnese), come testimonia l’esistenza di una chiesetta costruita su palafitte, eretta nel 1355 e definitivamente demolita nel 1798. Chiuso di notte con una pesante catena, prese da questa il nome attuale. Gli scarichi dei continui lavori di bonifica, dragaggio e consolidamento dell’area, depositati nei secoli sulla sponda meridionale del porto, diedero origine ad un ampio spiazzo, che venne chiamato Anconetta, per distinguerlo dall’antica Ancona. L’attuale darsena risale al 1899, in un periodo nel quale Porto Catena era il più grande porto fluviale

italiano, tanto da prendere il nome di “Nuova Genova”, che per decenni fu dato anche a tutta l’area circostante. Nel XX secolo, però, il porto iniziò a rivelarsi obsoleto, perdendo sempre più di importanza. Nel secondo dopoguerra ci fu un periodo favorevole, grazie all’uso quasi esclusivo che del porto faceva la vicina Società Ceramica Mantovana, per l’arrivo dei rifornimenti di argilla e l’imbarco dei manufatti. Ci fu perfino un progetto per portare i tre laghi a livello, ma l’alluvione del 1951 pose fine a questo sogno, dando anche inizio ad un triste declino di Porto Catena, che si sarebbe completato all’inizio degli anni ‘60. Svendute le costosissime e ancora nuove gru, smantellata la Ceramica, il porto rischiò di essere cancellato: per un periodo ospitò motonavi turistiche, oggi rimane in vita grazie ad alcuni circoli nautici che vi hanno sede.

Il Lago Paiolo Nel XVII secolo una forte inondazione del Mincio depositò un’enorme massa di detriti, rischiando di trasformare nuovamente i laghi in paludi. Oltre alla bonifica dei bacini principali, si prese il provvedimento di prosciugare il lago Paiolo a sud-ovest, anche per incanalare il sempre più pesante traffico stradale verso la città; fu anche aperta una porta detta Pusterla (piccola porta) e modificata la cinta muraria , trasformando l’esistente camminamento militare in strada pubblica.

Residui del lago Paiolo

Porto Catena oggi

Porto Catena ieri

François de Chasseloup

Il vecchio e il nuovo ponte ferroviario sulla Diga Masetti

La diga Masetti Per le acque in uscita la storia fu molto più complicata. Pitentino stesso ridusse l’alveo del fiume per completare i laghi di Mezzo e Inferiore. La sistemazione della zona fu oggetti di studio anche da parte di Bertazzolo, ma il progetto decisivo fu quello dovuto al mantovano Agostino Masetti (1806) e successivamente al marchese Francois de Chasseloup-Laubat, architetto e generale del Genio nell’esercito francese, distaccato in Italia nel 1809. Il progetto iniziale di Masetti era un intervento sulla chiusa di Governolo. Chasseloup propose invece la costruzione di una diga alla fine del Lago Inferiore. Oltre a regolare il flusso del Mincio e la navigazione, si sarebbero protetti i manufatti della diga dello Zappetto dalle piene del Po, e facilitato l’approdo delle barche al Porto Catena di Mantova durante le magre. Questa diga venne chiamata dalla gente “saslup”, storpiando in dialetto mantovano il cognome del progettista. Il progetto iniziale non venne completato, anche a causa della restaurazione austriaca: i lavori si trascinarono per decenni, proseguendo più speditamente nel neonato Regno d’Italia, ma non furono completati che nel secondo dopoguerra. Nel 1960, infatti, furono apportate le ultime modifiche idrauliche: un canale detto Diversivo, un fornice protettivo più a valle, e un impianto idrovoro.

Ancora Elia Lombardini ricorda il progetto presentato da Luigi Dari (genero di Masetti) nel 1828, in un intervento registrato nel “Giornale dell’Imperiale Regio Istituto Lombardo di Scienze, Lettere ed Arti” (Volume 5):

La sempre crescente altezza delle piene del Po regurgitanti nella città di Mantova con immenso danno delle proprietà e della salute di quella popolazione e della numerosa guarnigione che vi soggiorna, richiamarono gli studj delle persone d’arte onde porvi riparo. L’ingegnere Luigi Dari, coltivando l’idea del suocero di lui, direttore Masetti, esposta in un rapporto del 1807, presentò nel 1828 un progetto d’avviso per deviare il Mincio da Governolo, portandolo a sboccare in Po presso Serravalle. Per tal modo si verrebbe ad abbassare di oltre metr. 1,70 la piena di regurgito del Po in Mantova. E siccome un effetto analogo avrebbesi anche per gli stati del fiume maggiormente depressi, ripromettevasi egli di bonificare gran parte delle gronde palustri del lago inferiore di Mantova e di migliorare cosi anche la condizione dell’aria.

Si nota l’insistenza sulla condizione dell’aria, secondo la persistente teoria miasmatica, che ancora nel XIX secolo attribuiva la diffusione delle malattie contagiose all’inalazione di aria “malsana”. Una spiegazione plausibile in casi come la tubercolosi, anche se in realtà non erano i cattivi odori la causa delle epidemie, ma l’inalazione di microrganismi espulsi da lle persone ammalate. Al contrario, non era ancora stato compresa la diffusione di malattie come il colera (trasmesso attraverso l’ingestione di acque infette), la peste (trasmessa da pulci) o la febbre gialla (trasmessa da zanzare). D’altra parte, i microrganismi erano ancora sconosciuti, e sarebbero passati alcuni decenni prima che i lavori epocali di John Snow, Henry Whitehead e Louis Pasteur facessero luce sui meccanismi del contagio.

Vasarone

Vasarina

Canale Diversivo (a sud della città)

Opere idrauliche a Mantova

Fornice di Formigosa (a sud della città)

Canale Diversivo (a nord della città)

Flora

Le rive del Mincio presentano piante d’alto fusto come pioppi, salici, querce, ontani, platani e gelsi; i margini del fiume e dei laghi sono occupate prevalentemente da canne palustri e carici, mentre le acque dei laghi ospitano ninfee, castagne d’acqua e fiori di loto. L’acqua del Mincio viene anche usata nelle risaie.

Salici, querce e ontani hanno grossi apparati radicali, e risultano utili nel consolidamento del terreno e delle sponde del fiume.

Pioppo (Populus Nigra)

Il pioppo è uno dei pochi esempi di arboricoltura da legno in Italia: flessibile e resistente, viene infatti impiegato per vari usi come la fabbricazione di fogli e pannelli di compensato, cassette da imballaggio, carta, fiammiferi. Preferisce il terreno umido, ed ha una crescita rapidissima: il ciclo di coltivazione dura tra i 9 e i 12 anni (in natura, il pioppo vive fino a 400 anni). Nel Mantovano ci sono circa 9000 ettari di pioppeti, con una resa annuale di circa 15 t/ha.

Gelso (Morus Alba) Questo albero ha avuto per secoli una notevole importanza nell’economia della zona: delle sue foglie, infatti, si nutre il baco da seta, i cui bozzoli vengono bolliti o essiccati per essere dipanati in lunghi fili di seta (dai 300 ai 900 metri per bozzolo). Attualmente nuovi materiali plastici hanno ridotto di molto l’uso della seta; il residuo mercato di questa fibra è in mano alla Cina

quercia ontano salice

Baco da seta e bozzolo

Platano (Platanus Occidentalis)

Anche tra i mantovani, pochi sanno che questo albero, un ibrido tra specie asiatiche ed americane, non è una specie autoctona: è così onnipresente nel paesaggio che sembra sia sempre stato in queste zone. Viene usato soprattutto a scopo ornamentale in ambienti urbani in quanto resistente all’inquinamento e alle potature, con l’unico svantaggio di avere foglie grandi e dure, che ostruiscono il drenaggio. Una delle tante leggende sul platano racconta che l’albero, dopo aver nascosto nel suo tronco il serpente dell’Eden, fu punito da Dio che gli fece assumere le caratteristiche della pelle di serpente.

Ninfea d’acqua (Nymphaea Alba) Questa pianta è presente in tutte le acque stagnanti d’Europa. Spesso viene confuso con il fior di loto, come tradiscono il nome arabo ”nenufar” (loto blu) e il comune, quantunque errato, appellativo di “loto bianco”; per gli inglesi il nome comune è “Giglio d’acqua”. Contiene alcaloidi (nufarina, ninfeina) che ne consentono l’uso tradizionale come sedativo (e per alcuni, afrodisiaco).

Castagna d’acqua (Trapa Natans) La castagna d’acqua (a sinistra) cresce nelle acque paludose di Eurasia e Africa. I frutti,

chiamati in dialetto “trigoi” perchè ricordano la forma del cappello tricorno, sono commestibili: molto ricchi di amido, venivano consumati come farina o arrostite. Il nome latino “calcitrappa” (cardo) ha dato origine al nome scientifico della pianta “trapa” e alla somigliante arma medioevale (a destra), chiamata in inglese “caltrop”, in italiano “piede di corvo” o “tribolo”.

Fior di loto (Nelumbo Nucifera) Questa pianta asiatica viene introdotta nel lago Superiore nel 1921, grazie ad una giovane laureata in Scienze Naturali, Maria Pellegreffi, il cui intento era di impiegarne i rizomi in forma di farina, come avveniva nell’Estremo Oriente. Ma ciò non avvenne, e le piante hanno finito per infestare i laghi mantovani, quello Superiore in particolare, togliendo spazio alle altre piante col l’ombra delle sue enormi foglie, chiamate in dialetto “caplas” (cappellacci). Ancora oggi la comunità spende grosse cifre per i periodici sfalci necessari a limitarne l’eccessiva proliferazione. Esiste un progetto che prevede di sfruttare i fiori di loto per la fitodepurazione di un tratto di lago, così da creare il “lido di Mantova”: un tratto di spiaggia con un bacino balneabile. Per molti si tratta di pura utopia.

Il riso Canali e fossi del Mincio sono stati in parte trasformati in risaia. Le aziende del settore, tradizionalmente chiamate “pile”, danno il nome alla particolare ricetta mantovana del “riso alla pilota”, bollito con la copertura di un panno, che assorbe il vapore: il riso rimane asciutto, lasciando il solo grasso di maiale ad ammorbidirlo.

Flora ed artigianato

Nel Mantovano, in particolare nei comuni di Rivalta e Porto Mantovano, l’economia delle canne fu molto fiorente fino agli anni ‘50. Oggi l’economia della canna ha perso importanza e quindi le canne palustri e le carici, non più sfruttate dall’uomo, crescono senza controllo.

Canna palustre (Phragmites Australis o Phragmites Communis) In passato le canne, abbondanti sulle sponde del Mincio e dei laghi, venivano tagliate a mano, poi bruciate o usate per produrre manufatti, come piccole imbarcazioni, recinzioni, ombraie e coperture, perfino case. Le canne, che raggiungono anche i cinque metri d’altezza, venivano raccolte a mano, legate in fasci da 60/70 kg e trasportate su caratteristiche barche ad un solo remo, e durante l’estate accatastate su tralicci (detti ”cavai”), per l’essiccazione, che precedeva la lavorazione. Affiancate e legate con un cordino di cotone o altra fibra, se ne ricavavano stuoie dette “arelle”, usate come tende o coperture leggere; altrimenti potevano essere pressate in mattoni, tegole o intere pareti.

Trasporto e deposito delle canne

Canneti sulle sponde del Mincio e dei laghi

Carice (Carix Elata) Numerose specie di carici (in dialetto, “caresa”) vivono lungo le sponde del Mincio e dei laghi, insediandosi su terreni temporaneamente o permanentemente allagati. Si tratta di grandi piante erbacee con foglie lineari dai margini taglienti e durissime: non sono ambite dagli erbivori, e proprio per essere sottili e resistenti, sono sempre state usate nell’artigianato. Il carice si raccoglieva in giugno e si sceglievano le foglie più lunghe, che venivano legate in mazzi. Dopo averle pulite con i rastrelli, venivano asciugate all’aria, per poi essere attorcigliate in piccole funi formate da un numero medio di 10-30 foglie. Oltre ad essere usare come corde, potevano essere usate per coprire damigiane e fiaschi, impagliare sedie e panche, intrecciare cesti e cappelli, legare il frumento o i rami delle piante. Queste tradizioni sono quasi scomparse con l’industrializzazione degli anni ‘50 e ‘60, e sono mantenute in vita da qualche anziano per hobby, ma anche da alcune imprese artigiane alla ricerca di materiali naturali.

Essiccazione e lavorazione del carice

Parete e mattone di canne

Fauna

L’ambiente palustre ospita, tra i mammiferi, soprattutto roditori. Uno di essi fa parte del famigerato elenco UNESCO delle 100 specie di organismi alieni più pericolosi (quelli che hanno provocato i danni maggiori nei nuovi habitat in cui l’uomo le ha introdotte). Si tratta della nutria (Myocastor Coypus), noto anche come “castorino”, in origine allevato per la sua pelliccia. Da alcuni esemplari liberati o fuggiti si è sviluppata una numerosissima popolazione, che provoca danni incalcolabili all’agricoltura ma anche, con le sue incredibili gallerie, a terreni e argini. Meno devastanti risultano i “classici” distruttori, il ratto delle chiaviche (Rattus Norvegicus) e il topolino delle risaie (Micromys minutus).

Gli uccelli presenti sono classiche specie dell’ambiente palustre. Si annoverano germani reali, gallinelle d’acqua, folaghe, tuffetti, martin pescatori, aironi (sgarze, nitticore, aironi bianchi, aironi grigi) e gabbiani. I cigni, originari di Cipro e introdotti dall’uomo come attrazione turistica, creano un squilibrio al corpo d’acqua poiché si riproducono senza controllo e arricchiscono l’ambiente di grandi quantità di sostanze organiche e inorganiche. Tra i rapaci troviamo esemplari di falco pescatore, falco di palude e dell’onnipresente nibbio bruno.

L’unico di questi uccelli acquatici che viene usato in cucina è il germano reale (Anas platyrhyncos), presente in numerose ricette, spesso a base di frutta.

Germano reale in natura (a destra, il maschio) e in cucina

Roditori: ratto delle chiaviche, topolino delle risaie, nutria

Nitticora (Nycticorax Nycticorax) Martin pescatore (Alcedo Atthis)

Airone cenerino (Ardea Cinerea)

Cigno reale (Cygnus Olor)

Falco di palude (Circus Aeroginosus) Nibbio bruno (Milvus Migrans)

Falco pescatore (Pandion Haliaetus)

Folaga (Fulica Atra)

Gallinella d’acqua (Gallinula Chloropus)

Tuffetto (Tachybaptus ruficollis)

Sgarza (Ardeola Ralloides)

Gabbiano (Larus michaellis)

Airone bianco (Casmerodius Albus)

Gli uccelli del Mincio e dei laghi

Pesca

La pesca è, comprensibilmente, una tradizione anche mantovana, anche se i pescatori di professione (l’ultimo dei quali potrebbe essere stato il mitico “Magio”) non solcano più i laghi di Mantova sulle loro barchette verdi. Si pesca soprattutto alla lenza, ma del pesce dei laghi di Mezzo e Inferiore è proibito il consumo alimentare, a causa dell’inquinamento delle acque: ciò non impedisce agli appassionati di organizzare, sulle sponde dei laghi, numerose gare di pesca sportiva.

Altri strumenti da pesca sono la bilancia (balansa) e la nassa, diabolica trappola a camere dalla quale i pesci, una volta entrati, non escono più, è chiamata in dialetto bartavel (in italiano bartavello, o bertovello).

Il più pregiato pesce delle acque locali è il luccio (Esox Lucius), principe dei predatori delle acque dolci italiane (almeno fino all’introduzione del siluro). La gente del Po ha sempre preparato ottime ricette a base di questo pesce, dalle carni appetitose: nel Mantovano si preferisce il “luccio in salsa”, rigorosamente accompagnato da fettine di polenta abbrustolita. È un pesce internazionale: tre lucci adornano infatti lo stemma della città finlandese di Haukipudas, situata nell’Ostrobotnia settentrionale .

Quasi scomparso dalle acque mantovane è un altro predatore, il pesce gatto (Ictalurus Melas), anch’esso gradito in umido, oppure fritto.

Il cavedano (Squalius Cephalus), pescato più per la sua combattività che per le carni, è chiamato in dialetto “cavasin”, ed è per i mantovani sinonimo della persona avara, data la sua discutibile abitudine di cibarsi di

rifiuti organici, compresi quelli umani.

L’anguilla (Anguilla anguilla ) è un migratore formidabile. Tutte le anguille nascono nel Mar dei Sargassi, e le femmine sessualmente mature, in autunno, iniziano un incredibile viaggio verso questa destinazione. L’istinto è talmente forte che le anguille chiuse in laghi o stagni tentano di raggiungere fiumi e mari strisciando per terra come serpenti. Una volta in mare, poi, subiscono variazioni

Strumenti da pesca: bilancino, canna da lancio, nassa

Haukipudas

Cavedano

Predatori: luccio e pesce gatto comune

Luccio in salsa

morfologiche: gli occhi aumentano di dimensioni e l’apparato digerente si atrofizza. Non hanno infatti più la necessità di nutrirsi, dato che, una volta deposte le uova nell’Atlantico, muoiono. I nuovi nati (almeno quelli che sopravvivono) fanno il percorso inverso, arrivando dopo circa 3 anni nell’esatto luogo da dove la madre era partita. Questo pesce è quasi scomparso dalle acque mantovane, ma non dalle cucine, soprattutto per la vigilia di Natale , quando si prepara, preferibilmente marinato ma a volte anche fritto.

Esistono altre specie non autoctone infestanti, ma ormai familiari nelle acque mantovane. Il persico sole (Lepomis Gibbosus) è una specie importata dagli USA nel XIX secolo; ben adattata alle nostre acque, nelle quali è diffusissimo, ne vengono mangiati solitamente i filetti, ottimi con le verdure più varie. I mantovani lo chiamano, più semplicemente, “pesce sole”.

Anche la carpa (Cyprinus Carpio), pescata più per le sue notevoli dimensioni che per le carni

non eccelse, non è originaria di queste zone: fu introdotta in Italia dagli antichi Romani. Anch’essa fa parte delle 100 specie aliene più pericolose dell’elenco UNESCO.

Altre prede per i pescatori sono la scardola (Scardinius erythrophthalmus), detta in dialetto “scarva”, e l’alborella (Alburnus alburnus), detta “aola”.

L’anguilla in acqua e marinata

Pesce sole

Carpa

Un gruppo di scardole e un’alborella

Immagini di pesca sul Lago di Mezzo

Nelle acque sono presenti poi anfibi (rane e raganelle ), rettili (bisce d’acqua, innocue per l’uomo), molluschi e crostacei, il più famoso dei quali è la caridina italiana (Palaemonetes antennarius), un piccolo gambero di fiume chiamato in dialetto “saltare l”, spesso presente nelle padelle mantovane.

La stessa fine fa spesso la rana comune (Rana Esculenta).

A causa della carenza di ossigeno delle acque, le specie ittiche più sensibili stanno diminuendo (luccio e persico), mentre le anguille sono già praticamente estinte. Ma anche tra pesci e crostacei ci sono i “nuovi nemici”, recentemente introdotti dall’uomo, che stanno alterando l’equilibrio ambientale delle acque italiane.

Uno di questi, anch’esso membro dell’elenco UNESCO, è il siluro del Danubio (Silurus Glanis), disastroso esempio di invasione ambientale, che da circa 50 anni sta minacciando di estinzione altri predatori come il luccio e il pesce gatto. Privo di nemici naturali, si nutre di pesci di tutte le dimensioni, ma anche di rane, uccelli e piccoli mammiferi. Anche il gambero rosso della Louisiana (Procambarus Clarckii), introdotto in Italia per la qualità delle sue carni, sta creando numerosi problemi ecologici. Instancabile predatore, è una grave minaccia per pesci e crostacei.

Il “Saltarel” in acqua e in padella

Gli invasori: pesce siluro e gambero rosso della Louisiana

La rana in acqua, nel risotto e fritta

L’argilla del Mincio

La lavorazione dell’argilla è un importante capitolo della storia di Mantova. Le sponde dei laghi, ma soprattutto quelle della Vallazza, sono ricche di un’argilla di pregiata qualità (detta “terra creta”), che veniva raccolta e lavorata in loco. Sulla sponda sinistra del Mincio, a sud della Vallazza, si può ammirare un casolare dell’800 con un forno ancora visibile vicino alla riva: è l’antica fornace dei Morselli, famiglia che per generazioni produsse mattoni, impastando l’argilla a mano e cuocendola proprio in quel forno a legna.

Oltre ai laterizi, la tradizione artigianale sviluppò anche una ricca produzione artistica di oggetti decorati (soprattutto piatti, brocche e soprammobili). La tecnica chiamata “ceramica graffita mantovana”, sviluppata nel primo Rinascimento, ha rischiato di essere abbandonata per gli alti costi della lavorazione manuale : rimane in vita grazie a pochi laboratori artigianali, che producono piccole opere d’arte.

Si parte dall’argilla , impastata con acqua e pressata, e che, una volta cotta, diventerebbe rossa (come mattoni e tegole). In questa lavorazione, invece, viene coperta con uno strato di “ingobbio”, una pastella composta da terra bianca in polvere, sciolta in acqua. Una volta secco, l’ingobbio viene lavorato con un punteruolo per creare forme e disegni. Dopo una prima cottura, si procede alla coloritura del manufatto: anche in questo caso i colori sono composti con polveri di terra sciolte in acqua. Si passa all’invetratura, consistente nella copertura per immersione in una vernice trasparente, a base di silice e piombo. Questa pellicola, in una seconda cottura a 1000° che dura circa due giorni, ha lo scopo di “vetrificare”,

divenendo lucida e compatta, allo scopo di evidenziare i colori e formare uno strato protettivo.

La Ceramica di Mantova La zona dell’Anconetta, sul Lago Inferiore, ha sempre ospitato forni e fornaci per la cottura dell’argilla. Una prima cooperativa, la “Società dei forni Hoffman”, venne costituita nel 1860, ma fallì nel 1874. Il 18 Gennaio 1901 nacque la Società Anonima Ceramica Mantovana, che conobbe un notevole successo, non solo localmente, aprendo una succursale perfino ad Alessandria d’Egitto. L’argilla arrivava a Porto Catena da Formigosa su barconi detti “bürc” (burchi, costruiti in legno) o “gabarre” (in metallo)., poi veniva trasportata ai forni su carriole che portavano anche 150 kg di materiale . La Società costruì poi un trenino per agevolare il trasporto. L’argilla veniva lavorata a mano e messa negli stampi per la cottura. La Ceramica occupava un’area vastissima (65000 mq), nella quale vennero inglobate alcune vie del quartiere, e anche l’antica chiesa sconsacrata di S.Marta, che era stata usata come polveriera. Con 3 fornaci da 16 forni ciascuno, era una gloria dell’industria mantovana. Negli anni ‘60, però, la Ceramica era solo un ricordo, con i suoi grandi edifici usati come officine e magazzini, per finire nell’abbandono generale.

La Vallazza Antica fornace Morselli

Il degrado della vecchia Ceramica

Burchio

L’industria mantovana

Sulle sponde orientali dei laghi di Mezzo e Inferiore sono nate, nel secondo dopoguerra, imprese che hanno segnato la trasformazione da una società prevalentemente agricola ad una industrializzazione di massa. In quegli anni di sviluppo il sogno industriale sembrava avere il cielo come limite : sono poi venuti tempi difficili, tra inquinamento, lotte sindacali e processi, ma alcune di queste realtà, a volte con altri marchi, sono ancora presenti.

Belleli Questa azienda nacque nel 1935 quando due giovani artigiani – Rodolfo Belleli e Amedeo Bisi – iniziarono a costruire impianti termici. Nel 1948 la società si sciolse, quando Rodolfo Belleli decise di fare il salto di qualità verso nuovi orizzonti industriali: nasceva così un colosso internazionale, in grado di fornire centrali nucleari e piattaforme petrolifere in tutto il mondo. Negli anni ‘80 e ‘90, quando Rodolfo Belleli aveva passato il controllo della società ai figli, una serie di manovre sbagliate portarono il gruppo ad una profonda crisi. Ora, sotto la proprietà del gruppo Exterran, la fabbrica produce impianti petroliferi, energetici e di fertilizzazione. Nel segno di una tradizione millenaria, sfrutta tuttora il Mincio come via d’acqua, trasportando manufatti di oltre 1000 tonnellate fino al mare Adriatico.

Cartiera Burgo La produzione inizia nel 1902 con la cellulosa; nel 1962, con l’installazione della “macchina continua”,

viene avviata la produzione di carta da stampa per quotidiani. La collocazione in un’area di grande bellezza paesaggistica ha portato attenzione particolare all’armonia e al design: la realizzazione del nuovo edificio (1962) venne infatti affidata al grande Pietro Nervi. Notevole espressione di architettura industriale; è famosa per le sue forme caratteristiche, costituite da catenarie e travi di sostegno a “ponte sospeso”, e richiama tuttora studiosi e visitatori da ogni parte. In tempi successivi, con il crescere della coscienza ambientale, lo stabilimento è stato inserito nel Parco del Mincio. Ora, oltre alla produzione di circa 150000 tonnellate annue di carta, è entrato in funzione un

termovalorizzatore che, bruciando i fanghi di processo e depurazione, produce energia per la rete nazionale.

IES Questa raffineria nasce come ICIP nel 1946, su idea e iniziativa del conte Carlo Perdomini. Nel 1953 passa sotto il controllo della società francese OMNIUM (confluita poi nella Compagnie Française des Petroles-CFP) che avrebbe poi usato i marchi OZO, AQUILA e TOTAL. Nel 1963 viene realizzato l’oleodotto che porta il greggio da Porto Marghera a Mantova, e nel 1969 la raffineria si arricchisce di nuovi impianti tra cui quelli per la produzione delle benzine. Nel 1994 la ICIP diventa IES (Italiana Energia e Servizi) , e dal 2007 fa parte del Gruppo ungherese MOL.

MONTEDISON / ENICHEM La società Edison inizia nel 1956 i lavori per un nuovo stabilimento petrolchimico a Frassine. Inizialmente produce soda caustica e cloro, oltre a materie plastiche tra cui l’onnipresente polipropilene isotattico, meglio noto con il marchio registrato di Moplen®, la cui invenzione portò il premio Nobel in Italia, al chimico Giulio Natta. Anche questa industria deve fare i conti con la crisi ambientale , provvedendo all’ammodernamento delle produzioni e all’avviamento di nuovi impianti con moderne tecnologie proprietarie. Ora opera sotto il marchio Polimeri Europa ed ha aggiunto servizi per la gestione e distribuzione dell’energia.

ITAS Questa azienda, costituita nel 1939, opera nel settore della trafileria di acciai speciali. Lo stabilimento copre un’area di 38.000 mq, ed è tuttora un’importante realtà nella produzione di acciai per cemento armato e fili per molle (comprese quelle dei nostri materassi), materiali che esporta in tutto il mondo.

L’inquinamento

Mantova è una città dalle acque e dall’aria fortemente inquinate, che rendono problematica la sopravvivenza delle zone umide, oltre a costituire un grave pericolo per la salute degli abitanti. Sotto accusa sono gli scarichi del Lago di Garda, ma in primo luogo quelli dell’industria mantovana: uno studio ASL di una decina di anni fa individuò, tre i residenti nel raggio di 2 km dall’inceneritore (allora Enichem), un’incidenza del sarcoma enormemente superiore alla norma. Per questo ed altri tumori, come linfomi e leucemie, sono stati individuati come agenti composti chimici come cloruro di vinile , diossina , amianto, benzene e stirene, tutti presenti nelle acque mantovane. L’avvelenamento delle acque e dell’ambiente è lo spettro che Mantova si trova a fronteggiare dopo decenni di scarichi industriali, con gravi perdite di vite umane. Altri studi sono stati effettuati, e sono tuttora in corso azioni legali e processi per accertare la responsabilità di quelle morti. La storia del “petrolchimico”, è lungi dall’essere risolta: nell’anno 2010 i tribunali se ne sono occupati, ed un nuovo procedimento è previsto per il 2011.

La cosa non sembra finita qui. Sui giornali locali e su numerosi blog Internet, anche in tempi recenti, compaiono notizie preoccupanti: ne l 2007 e nel 2009, per esempio, sono stati segnalati ammassi di acqua schiumosa e maleodorante nei pressi dal canale di scolo della cartiera Burgo. Altre volte sono stati segnalati rifiuti smaltiti in modo illegale nelle acque del Mincio, e le organizzazioni di volontariato che effettuano la pulizia delle sponde dei laghi trovano annualmente quintali di rifiuti e rottami.

Fare dei giudizi è problematico, e questo studio non è abbastanza approfondito per consentirlo : ci sono già feroci battaglie legali sull’argomento. Chi vuol farsi un’opinione potrebbe fare una passeggiata sulle rive dei laghi di Mantova. Secondi molti, comunque , quella per l’ambiente è una lotta di tutta la comunità, dove echeggiano ombre di politica e interessi miliardari, nel tentativo di salvare il ricordo della città dei nostri antenati, etruschi, galli o lombardi che fossero.

La difficile convivenza tra le industre e le acque di Mantova

Ombre della vecchia Mantova

Fossa Magistrale (residuo del Lago Paiolo)

Porta Mulina con la strada coperta

Ponte dei Mulini e donne al lavaggio

Rio

Antica chiesa di San Domenico Gli scariolanti