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MANIERISMO
MANIERISMO
LA MANIERA
L’Italia del 1500 fu caratterizzata da unaprofonda crisi politica, economica e re-ligiosa.
In questo contesto anche l’attività ar-tistica fu notevolmente influenzata.L’immagine della Chiesa fu adombratadalla riforma protestante di Martin Lu-tero e dal saccheggio di Roma (1527)da parte dei Lanzichenecchi di Carlo V.
La disoccupazione e l’abbandono dellecittà erano il segno evidente della finedella supremazia politica e culturaleitaliana.
I nuovi protagonisti saranno Francia,Paesi Bassi e Inghilterra.
Il sacco di Roma, 1527
Martin Lutero
Baldassarre Peruzzi, Villa Farnesina ,Sala delle Prospettive
Raffaello Sanzio
La Trasfigurazione, ultima opera di Raffaello prima
della morte nella Pasqua del 1520 è l’opera simbolo
della crisi storica e dell’inizio del nuovo corso
1492 morte di Lorenzo il Magnifico, ago della bilancia nello scacchiere politico
italiano. In anni limitrofi, avvennero una serie di fatti di gravità epocale che
demolirono, il sistema di certezze che era stato alla base del mondo umanistico.
La presa di Costantinopoli (1453),
la discesa in Italia dell'esercito di Carlo VIII di Francia (1494), l'invasione di
Carlo V d'Asburgo con il suo esercito di mercenari tedeschi e spagnoli,
propriamente detti lanzichenecchi, culminata col Sacco di Roma del 1527
segnano duramente la società europea, e in particolare quella italiana,
inaugurando un periodo di guerre, instabilità e smarrimento, dove anche punti di
riferimento intoccabili come il papato sembrarono vacillare.
Nei fatti artistici italiani assumono una rilevanza particolare il 1498, anno
dell'esecuzione di Savonarola a Firenze, e il 1520, anno della morte di
Raffaello Sanzio a Roma, nonché la diaspora del 1527 degli artisti alla
corte di Clemente VII, dovuta al Sacco.
Il primo avvenimento segnò l'inizio della crisi politica e religiosa della città,
mentre i secondi due testimoniano rispettivamente la formazione e la diaspora
della scuola di allievi dell'urbinate, che diffuse il nuovo stile in tutta la penisola:
tra questi
Perin del Vaga a Genova e poi di nuovo a Roma,
Polidoro da Caravaggio a Napoli e poi in Sicilia,
Giulio Romano a Mantova nel 1524
Giovanni da Udine che rientra nella sua città
GianFrancesco Penni segue Giulio Romano a Mantova
Daniele da Volterra che segue Perin del Vaga,
Parmigianino a Bologna e Parma,
Rosso Fiorentino e Primaticcio che lavorano nel castello di Fontainebleau per il
re di Francia.
I
All'alba del 6 maggio 1527 un esercito di 18.000 mercenari
formato in gran parte da lanzichenecchi tedeschi, al
comando del conestabile Carlo di Borbone dà l'assalto alla
Città leonina, riuscendo a penetrare in Vaticano. I soldati
trucidano la milizia romana, la Guardia Svizzera a difesa del
Palazzo e della basilica di San Pietro, preti e monache, ed
anche tutti gli ammalati ricoverati presso l'Ospedale di Santo
Spirito, appiccano il fuoco a case, chiese e conventi,
lanciandosi in saccheggi e violenze. Una parte della
popolazione - circa tremila persone, in gran parte donne e
bambini - fa in tempo a rifugiarsi all'interno delle mura di
Castel Sant'Angelo, così papa Clemente VII, percorrendo il
Passetto di Borgo,
cerca di mettersi si mette in salvo mentre l’esercito invasore
che continua per sette giorni e sette notti le sue scorrerie in
una città di fantasmi. Convinti che i nobili romani abbiano
nascosto i loro tesori nelle viscere della città, i mercenari
iniziano a scandagliare le fogne; dopo alcuni giorni si
verificano i primi casi di peste tra i lanzichenecchi.
Dopo meno di una settimana l'epidemia dilaga a Roma,
giungendo a mietere vittime fin dentro le mura di Castel
Sant'Angelo. La fortezza tuttavia non cede e solo dopo un
mese di assedio, il 5 giugno una guarnigione imperiale
riesce a penetrar tenendovi prigioniero Clemente VII ed il
suo seguito.
Incisione da H. van Cleef,
Il passetto di Borgo con
Castel Sant'Angelo
Lanzichenecchi in parata (circa
1530)
Matthäus Merian,
Sacco di Roma 6 maggio 1527.
Acquaforteda Johann
LudwigGottfried,
Historische Cronica
MANIERISMO
Tra gli affreschi realizzati dal Romano nel palaz-zo è da ricordare la celebre Sala dei Giganti dovesono raffigurati i giganti figli di Urano fulminatida Giove per aver osato scalare l’Olimpo.
L’affresco riesce a mascherare le aperture dellasala creando una visione impressionante e “ca-pricciosa” (come la definì Vasari) che avvolge eatterrisce lo spettatore.
Sala dei Giganti, Palazzo Te, Mantova
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GIULIO ROMANO
Giulio Pippi, detto Romano perle sue origini (Roma 1499 - 1546),operò soprattutto a Mantovadove realizzò Palazzo Te per Fe-derico II Gonzaga e ne dipinsegli affreschi delle sale.
L’edificio ha pianta quadrata concorte interna e presenta un sololivello. Sul fronte si apre ungrande giardino recintato con-cluso da un’esedra.
Le facciate sono tutte diverse epresentano molte “licenze” dalleregole: timpani “spezzati”, trigli-fi scivolati verso il basso, concisovradimensionati etc.
Palazzo Te, Mantova
Secondo Vasari l'imitazione della "buona maniera”
doveva muoversi entro gli estremi della "regola"
(analogia) e della "licenza" (contraddizione): attraverso
la piena padronanza del disegno, del colore e della
composizione l'artista doveva districarsi tra le costrizioni
degli esempi esistenti, contraddicendoli con eleganza
per arrivare a nuovi esiti mai scontati.
La licenza va intesa come una continua ricerca di
grazie, eleganza e artificio, che porta ad esiti
decisamente innaturali, ma raffinatissimi. Espressione
tipica di questo stile è la figura "serpentinata", ossia un
modo di rappresentare il corpo umano contrapponendo
le membra in torsioni a vite, che esaltava l'espediente
classico del contrapposto. Scrive il trattatista Giovanni
Paolo Lomazzo nel 1584, che le figure semigliavano
"alle tortuosità di una serpe quando cammina, che è la
propria forma de la fiamma nel foco che ondeggia. Il che
vuol dire che la figura ha di rappresentare la forma de la
lettera S".
Applicato inizialmente da Michelangelo e poi
ampiamente riutilizzato, la figura serpentinata
rappresentava la "licenza" rispetto alla regola normale,
poiché le membra raggiungevano posizioni innaturali,
pur restando verosimili (per usare le parole di Vasari, la
"licentia che fosse ordinata nella regola”)
Michelangelo, Vittoria, 1532
MANIERISMO
Vi fuprg
L’uomo rinascimentale, che credeva fermamente di essere l’unico padrone del propriodestino, si trovò in una altrettanto profonda crisi spirituale.
Anche l’arte, che vive del sentimento stesso degli artisti, ne fu influenzata a sua volta.Da qui il nascere da parte degli artisti più freschi di un coro di “rimproveri” ai grandimaestri, che avrebbero avuto la colpa di fermarsi nella ricerca statica dell’equilibrio edelle pro- porzioni, anzichè dare sfogo in modo libero e naturale alle proprie idee e aipropri modi di sentire e manifestare i sentimenti.
pertanto uno svincolo dai dettami precedenti e i nuovi artisti oseguirono l’arte sull’ondadella fantasia, rinnegando le re- ole che avevano ricevuto in eredità dal Rinascimanto.
Pontormo, San Luca, 1525 Rosso Fiorentino, Madonna in trono tra due Santi, 1521
Tintoretto, Ultima cena, 1550
MANIERISMO
Questo movimento fu inizialmente sottovalutato, tan-to che gli studiosi del tempo lo giudicarono comeuna imitazione dei grandi artisti quali Michelangelo,Leonardo e Raffaello. Furono chiamati per questa ra-gione manieristi, perchè si rifacevano alla maniera,al gusto, allo stile dei loro grandi predecessori. Oggiquesta accezione negativa non esiste più.
I manieristi, questo è innegabile, furono i primi acomprendere che era in atto un cambiamento nellacoscienza collettiva, con una pronunciata incertezzadell’esistenza stessa. Per questa ragione i manieristiinventarono un nuovo linguaggio figurativo.
La corrente si intenderà poi conclusa con il Conciliodi Trento del 1563. In questa occasione fu chiestoagli artisti di raffigurare nelle opere soggetti semplicie di facile comprensione, esattamente il contrario diquanto i manieristi attuavano e continuarono a attua-re sino alle costruzioni figurative profane.
Pontormo, Madonna con Bambino, Sant’Anna e altri Santi, 1529
MANIERISMO
PONTORMO
Jacopo Carucci, detto Pontormo (Pontorme d’Empoli 1494 - Firenze 1557), nonostanteil carattere chiuso e scontroso, fu un arti- sta di grandi qualità, capace di conciliare laricerca volumetrica michelangiolesca con l’effetto luministico dello sfumato leonar-desco.
Le sue figure presentano spesso corpi al- lungati e teste piccole come nell’Alabardie-re (ritratto del giovane possidente fiorenti- no Francesco Guardi) del 1529.
L’adolescente si staglia davanti ad una fortificazione con il busto di tre quarti e il voltofrontale. La posa ricorda il Da- vid di Donatello ma le proporzioni se- guono il gustopersonale dell’autore.
Alabardiere, 1529
MANIERISMO
Celebre è la Deposizione (1526-28) dipintaper la Cappella Barbadori nella chiesa fio-rentina di Santa Felìcita.
La scena ha un’ambientazione priva dipro- fondità e prospettiva, e i personaggi,di- sposti secondo una tragicacomposizione teatrale, appaiono sospesiin aria.
Ogni corpo è esageratamente esile, snoda-to, allungato; le teste sono estremamentepiccole, accrescendo così l’impressione dislancio.
I colori presentano tonalità innaturali, glisguardi vagano in varie direzioni, le vestisi incollano ai corpi come calzamaglie e leombre sono leggere e inconsistenti.
Di questo dipinto Pier Paolo Pasolinirealiz- zò un celebre “tableau vivant” nelsuo film “La ricotta” del 1963.
Autoritratto dell’artista
Tableau vivant di Pasolini
MANIERISMO
Una simile atmosfera irreale e sospesa è presente nella “Visitazione” (1528), dipintocon- siderato il punto più alto del primo Manierismo. La scena mostra il saluto tra Mariaed Elisabetta ed avrebbe significati simbolici relativi alla necessità di riforma dellaChiesa. In odore di eresia, il quadro venne praticamente dimenticato dagli storicidell’epoca.
Quest’opera è stata ripresa dal video-artista Bill Viola nel 1995 ne “Il saluto”.
https://www.youtube.com/watch?v=bLBiWUXy-8c
Pontormo, VISITAZIONE, 1528-1530 circa Carmignano, Propositura dei
Santi Michele e Francesco
L'opera, non è citata da Vasari, viene di solito attribuita agli anni immediatamente successivi alla Cappella Capponi, per la stessa
componente innovativa. In una scura via cittadina, dove si riconoscono alcuni scarni edifici, non in scala con la rappresentazione in
primo piano (almeno per la metà sinistra), è ambientata la Visitazione di Maria a sant'Elisabetta, con le due donne che si scambiano
un abbraccio e un intensissimo sguardo alla presenza di due spettatrici dietro di esse. Di queste, una è anziana e guarda diretta negli
occhi dello spettatore, come fa anche la seconda, più giovane e a sinistra, ma con un sguardo più vacuo. Le donne formano quindi i
quattro pilastri di una sorta di parallelepipedo, illuminate con forza (a differenza dello sfondo) e ammantate di vesti dal colori
estremamente intensi e corposi: verdi petrolio, rosa e arancio. Originalissimo è l'intreccio di membra e di stoffe, lungo linee arcuate di
grande eleganza, e amplificate nei volumi. Curati sono gli effetti di contrapposto e rimandi, come tra le teste, ora di profilo, ora frontali,
delle coppie di donne in profondità (giovane-giovane e vecchia-vecchia, quasi uno sdoppiamento). Al movimento delle donne in primo
piano fa da contrasto l'immobilità e la rigida frontalità di quelle in secondo piano, prive di una qualsiasi partecipazione emotiva
all'evento, ma capaci di rendere l'atmosfera sospesa e malinconica, altamente spirituale.. La composizione si ispirò probabilmente
all'incisione di Dürer delle Quattro streghe (1497).
Dürer Quattro streghe
(1497).
Pontormo, Deposizione, 1526-28,
Firenze, Santa Felicita
Nel 1525 Ludovico Capponi affidò a Pontormo la
decorazione della cappella appena acquistata in
Santa Felicita, situata i Oltrarno a poca distanza dal
suo palazzo e destinata ad essere convertita in
cappella funebre per sé e la sua famiglia. Nella
cupoletta di architettura brunelleschiana affrescò un
Dio Padre perduto, del quale ci dà nota Vasari,
sull'altare la notissima Deposizione e sulla parete
ovest l’Annunciazione. Per i pennacchi dipinse
inoltre, coadiuvato dal Bronzino, i quattro tondi degli
Evangelisti.
I lavori, tenuti in gran segreto dall'artista che si fece
coprire appositamente da una protezione lignea,
vennero completati nel 1528. Come riporta Vasari,
l'opera venne quindi scoperta "con meraviglia di
tutta Firenze. Opera studiatissima da tutto il
Novecento, ha subito le più svariate letture,
assommando i più svariati contributi storici e critici.
Non godette però di fortuna immediata: Vasari non
apprezzò particolarmente la maniera di condurre
"senz'ombre e con un colorito chiaro e tanto unito,
che appena si conosce il lume dal mezzo" (le
mezzetinte) "e il mezzo dagli scuri". Nel Novecento
il mito di Pontormo come artista "maledetto",
misantropo e tormentato godette di particolare
successo.
La Deposizione in realtà (a ben guardare la croce non c’è) un Trasporto del Cristo al sepolcro o Compianto sul cristo morto
come si evince dalla presenza dei numerosi personaggi dolenti che si affollano attorno alla protagonista del gruppo, Maria
vestita d'azzurro. Sicuramente l'episodio del compianto doveva avere un importante ruolo, essendo la cappella dedicata
alla Pietà.
si tratterebbe comunque di una pietà "dissociata", dove cioè madre e figlio non sono uniti ma separati. L'unione in opere
d'arte di vari temi relativi ai momenti dopo la crocifissione era comunque già diffusa, si pensi ad esempio alla Deposizione
Borghese di Raffaello (1507), pure in quel caso un "trasporto" unito al "compianto".
La composizione è molto serrata, con undici personaggi uniti in un "nodo inestricabile di figure", come scrisse Adolfo Venturi,
formanti una sorta di piramide rovesciata. I gesti sono spesso enfatici, i volti dolenti, in modo da accentuare la tensione espressiva
In primo piano a sinistra due personaggi trasportano il Cristo morto procedendo in diagonale verso destra e verso il centro del
dipinto. Molti personaggi rivolgono lo sguardo verso l'esterno, dove si trovano i possibili spettatori, i trasportatori (interpretati come
angeli) non percepiscono il peso della salma, come dimostra il loro procedere in punta di piedi sembrano in attesa di spiccare il volo
fuori dal dipinto per portare il Cristo nelle braccia di Dio Padre già raffigurato nella cupoletta della cappella
Maria, occupa gran parte della parte centrale e destra col suo vaporosissimo manto, circondata da quattro donne. Essa ha il volto
tormentato e leva un braccio verso il figlio, arretrando, lungo la diagonale, come prima di uno svenimento, quasi a lasciare spazio
alla figura del figlio che procede; è seduta in posizione rialzata, come si intravede dalle gambe piegate che si intravedono al centro.
Verso di lei accorre una donna in primo piano vestita di rosa (la Maddalena?), con un fazzoletto di lino per asciugare le lacrime e
ritratta a figura intera, di spalle. A sinistra della Vergine si trova invece una testa di vecchia, che le rivolge uno sguardo preoccupato.
Dietro si trovano altre due presenze eteree.
Lo stile originale di P, crea una macchina
scenografica sospesa tra l'idea del
movimento e il blocco di un istante dove
tutto è sospeso, in una sorta di assenza di
gravità. Il colore si basa soprattutto sui
toni. Originalissimi sono i panneggi, ora
strettissimi a formare una seconda pelle,
oppure rigogliosamente abbondanti. Lo
spazio, a un occhio attento, è assottigliato
nella profondità, con uno sfondo celeste
che appare una quinta teatrale forse molto
più vicina di quello che voglia far sembrare
pastello ben coordinati di verdi, rosa e
azzurrini ed è caratterizzato da ricercati
cangiantismi, con le ombre ridotte al
minimo, intrise dalla luce abbagliante. La
stesura è compatta e smaltata. Una tale
visionarietà è stata spiegata come una
possibile rappresentazione del deliquio
attraverso gli occhi della Vergine.
Nel complesso comunque l'opera appare
caratterizzata da un sottile intellettualismo,
enigmatico e raffinato
Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo,
1544-45, Firenze Uffizi
MANIERISMO
ROSSO FIORENTINO
Giovan Battista di Jacopo, detto Rosso Fio-rentino (Firenze 1495 - Fontainbleau 1540),è noto soprattutto per la Deposizione diVolterra (1521). Pur essendo ispirata ad unomonimo dipinto di Filippino Lippi e PietroPerugino, la tavola del Rosso se ne distac-ca molto. La croce attraversa tutta la tavolae su di essa poggiano tre scale.
Lo spazio intorno è compresso dalle figuree i corpi sono scomposti e concitati mentreuno strano vento soffia solo sulla parte su-periore.
Una luce irreale illumina alcune figure.
Anche questo quadro ispirò Pasolini peruna scena del film “La ricotta”.
Lippi e Perugino, Deposi-zione dalla Croce, 1504-07
Tableau vivant di Pasolini
Rosso Fiorentino,
Deposizione,
1521 Volterra, Museo Civico,
La pala mostra un momento fino ad allora rappresentato raramente, la
discesa del corpo di Gesù dalla croce subito dopo lo stacco Matteo (27,
45; 57), momento in cui la terra viene avvolta da una fitta oscurità.
La scena è infatti ambientata al crepuscolo, con un delicato trapasso delle
luci serali dalla linea dell'orizzonte alla parte alta del dipinto. Mai
rappresentato prima e non descritto dai vangeli è il fatto del corpo di
Cristo che sembra essere sul punto di scivolare dalle mani dei suoi
soccorritori, che si affannano concitatamente per evitarne la caduta.
L'esplosione emotiva di questo episodio è combinata, nella parte inferiore,
con una forte spiritualità scaturita dalla ricca gamma di pose ed
espressioni degli astanti, tra i quali spiccano la Madonna ferita dal dolore,
la Maddalena inginocchiata e protesa verso di essa, san Giovanni piegato
dal dolore. La disposizione asimmetrica delle scale genera un moto
violento, accentuato dall'incertezza degli appoggi degli uomini che calano
il corpo di Cristo.
Simile per la forma della tavola e per le misure, oltre che per il tema, a
quella del Pontormo, tuttavia ne differisce profondamente per la
concezione.
Rosso ottiene il dramma per la volumetria angolosa che
sfaccetta le figure (si veda la Maddalena e la sua veste, la figura
più in alto di Nicodemo ecc.), per il movimento convulso di
alcuni personaggi, per i colori intensi prevalentemente
rosseggianti stagliati sulla distesa uniforme del cielo, con la
luce che incide da destra con forza, creando aspri urti
chiaroscurali. Tinte complementari sono spesso accostate, con
effetti cangianti, e si stagliano con forza gli effetti
"fosforescenti" nei punti di maggiore luminosità, rispetto allo
sfondo. La particolare stesura, con una sottile patina degli
impasti, rende qua e là visibili l'imprimitura e gli strati
sottostanti, rivelando talvolta curiose annotazioni autografe,
come le scritte relative ai colori da impiegare, poi cambiate
bruscamente in corso d'opera sulla spalla destra della donna in
primo piano, che poi è invece colorata di un rosa salmone, o
"azurro" nel panno del depositore più basso (che invece è
giallo) o nell’acconciatura di Maddalena.
Le deformazioni dei corpi e dei volti giungono all'estrema
esasperazione: il vecchio affacciato dall'alto sulla croce,
Nicodemo, ha il viso contratto come una maschera. I depositori
formano una sorta di circolo, complessamente articolato sui
piani in tre dimensioni delle scale, che asseconda la forma
centinata della pala, anche tramite il mantello di Nicodemo.
Sullo sfondo, al bordo dell'intenso blu lapislazzulo si
intravedono, piccolissimi, alcuni armigeri, simbolo della
perfidia e malvagità umana che ha condotto Cristo sulla croce. .
*Due luci colorate si dicono complementari quando, sommate
(sintesi additiva), danno come risultato una luce acromatica
(cioè grigia o bianca).Il concetto di colori complementari è
strettamente derivante dal concetto di tinte opposte. E
quest'ultimo poggia su precise basi fisiologiche e ottiche.
Giovan Battista di Jacopo di Gasparre,
detto il Rosso Fiorentino (Firenze 1495-
Fontainbleau 1540)
Come Pontormo, suo alter ego pittorico per
molti anni, fu allievo di Andrea del Sarto e
fu, sotto molti punti di vista, un ribelle alle
costrizioni classiciste ormai in crisi.
Partendo dalle costruzioni equilibrate del
suo maestro, ne forzò le forme esprimendo
un mondo inquieto e tormentato. Artista
originale e anticonformista, riscosse tiepidi
consensi a Firenze, a Roma prima di
rifugiarsi nella provincia umbro-toscana.
Da qui fece il grande passo, trasferendosi
alla corte di Fontainebleau, dove divenne
lo stimatissimo pittore di corte di
Francesco I di Francia, incarico già
ricoperto dal suo maestro Andrea del Sarto
e da Leonardo da Vinci. Assieme a
Francesco Primaticcio, che gli succedette,
portò oltralpe il gusto sofisticato ed elitario
della Roma clementina prima del Sacco,
diventando la scintilla che accese il
manierismo internazionale e la scuola di
Fontainebleau.
MANIERISMO
VIGNOLA
Jacopo Barozzi, detto Vignola (Vi-gnola 1507 - Roma 1573) è notosoprattutto per il “Sacro bosco diBomarzo” (1550-63), un giardino neidintorni di Viterbo.
Qui esprime tutti il gusto manieri-sta per il bizzarro, il capriccio e la li-cenza. Non regna più alcun ordine efra la natura selvatica sono inserititempietti, animali mostruosi, fonta-ne e statue colossali che appaionoimprevvisamente come se fossimoproiettati in una realtà fantastica, inbilico tra sogno e incubo.
MANIERISMO
TINTORETTO
Jacopo Robusti, figlio di un tintore dalqua- le prenderà il soprannome(Venezia 1518- 1594) andò presto a bottega da Tizianodove conosce il colore tonale, anche se ilsuo punto di riferimento era Michelangelo,soprattutto per il disegno.
Di fatto, però, Tintoretto non è debitorever- so nessuno dei due perchésvilupperà una sua modalità di uso delcolore per “accen- dere” di luce leimmagini.
Il suo uso della luce è nuovo e scenografi-co: la luce evidenzia i personaggi, li staccadal fondo e crea spazi fantastici e illusio-nistici. Per questo, dopo Tiziano, è consi-derato il pittore veneto più importante delCinquecento.
Nozze di Cana, 1561Autoritratto, 1548
MANIERISMO
La sua attività artistica, tutta svolta nella città lagunare, ha riempito Venezia di straordi-nari capolavori, la cui caratteristica maggiore è stata di essere altamente scenografici espettacolari, anche grazie alle dimensione sempre monumentale delle sue opere.
Queste enormi tele andarono a decorare alcuni dei principali e più rappresentativi edificidi Venezia, quali il Palazzo Ducale, la scuola e la chiesa di San Rocco, la chiesa di SanGiorgio Maggiore.
Crocifissione presso S. Cassiano, 1568 Sala del Maggior Consiglio, Palazzo Ducale, Venezia
MANIERISMO
La prima opera celebre è il“Miracolo dello schiavo libe-rato”, 1548.
Qui San Marco piomba sul-la scena con forte scorcio edinamismo, per liberare loschiavo che aveva osatopregare sulla sua tomba eche stava per essere marti-rizzato.
La luce irrompe scenografi-camente sul corpo disteso.
I particolari anatomici miche-langioleschi sono illuminatida una luce nuova e caricadi drammaticità.
MANIERISMO
L’uso magistrale della luce, dramma-tica e vibrante, si manifesterà appienonelle tele più tarde.
Una di queste, il “Ritrovamento delcorpo di San Marco”, (dipinta nel 1562per la Scuola Grande di San marco aVenezia), mostra un ambiente scuro,fortemente allungato dalla prospettivae illuminato da fonti di luce misteriose:quella proveniente dalla lastra solleva-ta sul fondo della sala e una che arrivada destra, in primo piano.
L’effetto finale è fortemente teatrale esuggestivo. Lo spazio appare quasi ir-reale e onirico.
MANIERISMO
Per la Scuola Grande di San Rocco, Tintoretto dipinge, tra decine di opere, un’immensaCrocifissione (1565), larga più di 12 m e alta più di 5. Il dinamismo e la teatralità sono evi-denti nel drammatico chiaroscuro della scena, nelle corde oblique degli aguzzini e nellaconcitazione dei movimenti in ogni parte della scena. I colori sono lividi, predomina unatonalità gialla che rende la scena carica d’angoscia.
MANIERISMO
Nel 1592 Tintoretto dipinge un’Ultima Cena per San Giorgio Maggiore a Venezia. Quispe- rimenta una prospettiva molto ardita: invece di rappresentare il tavolo in posizionefron- tale, lo colloca di lato in posizione di scorcio. In tal modo apre lo sguardo dellospettatore sul resto della stanza dove servi e locandieri si affaccendano in attività varie,come dove- va di solito avvenire in una taverna veneziana di quei tempi.L’attualizzazione temporale finisce per coinvolgere lo spettatore in una scena che glirisulta familiare e, quindi, più coinvolgente.
L’ambiente, dominato dall’oscuri- tà, è parzialmente rischiarato dalla luce dellampadario che crea ef- fetti molto realistici, lasciando in controluce la maggior partedelle
figure. Solo Gesù è intermanterischiarato dalla luce della suaaureola. Ancora più suggestivo èil fumo che proviene dalla lampa-da e che dà forma ad una serie diangeli trasparenti e fluttuanti cheosservano la scena dall’alto.
Correggio, Duomo di
Parma, 1524-34, part.
Maria ascendente; ai lati si
vedono Adamo ed Eva
Antonio Allegri detto il Correggio (Correggio1489 – 1534).
Assimilata la lezione dei grandi maestri Leonardo, Raffaello, Michelangelo e Mantegna Correggio inaugura un nuovo modo di
concepire la pittura elaborando un proprio originale percorso artistico, che lo colloca tra i grandi del Cinquecento si impone in terra
padana come il portatore più moderno e ardito degli ideali del Rinascimento.
Il sapiente uso prospettico si fonde con la dolcezza espressiva dei suoi personaggi sia nei dipinti sacri sia in quelli profani, il suo stile
fluido fatto di grazia e leggerezza, è luminoso coinvolgente emotivo: egli è il precursore della pittura illusionista con esiti che
preannunciano il barocco. I nuovi effetti del chiaroscuro creano l’illusione della plasticità con scorci talora duri e con audaci
sovrapposizioni. L’illuminazione e la struttura compositiva in diagonale gli permisero anche di ottenere un’efficace profondità spaziale
sia nei dipinti che negli affreschi. Le maestose pale d’altare degli anni venti sono di spettacolare concezione, con gesti concatenati,
espressioni sorridenti, personaggi intriganti, colori suadenti.
La luce, declinata secondo un chiaroscuro morbido e delicato, ne fa uno dei punti di non ritorno della pittura, capace di influenzare
movimenti artistici tra loro diversissimi dal barocco di Lanfranco e Baciccio al neoclassicismo come di Anton Raphael Mengs.
Correggio,
soffitto della
camera
della
Badessa
nel
convento di
San Paolo,
1519 ca,
Parma
Parte dell’appartamento personale della Badessa Giovanna da Piacenza era forse uno studiolo, o sala da pranzo (stoviglie incluse nella sala)
A base pressoché quadrata (circa 7x6,95 m), la camera è coperta da una volta a ombrello di gusto tardogotico, realizzata nel 1514 da Giorgio da Erba, e originariamente presentava arazzi alle pareti.
La volta vuole imitare un pergolato aperto sul cielo, trasformando quindi l'ambiente interno in un giardino illusorio. I costoloni della volta dividono ciascun spicchio in quattro zone, corrispondenti a una parete. Al centro
della volta si trova lo stemma della badessa, in stucco dorato, attorno al quale l'artista ideò un sistema di fasce rosa artisticamente annodate, cui sono legati dei festoni vegetali, uno per settore. Lo sfondo è un finto
pergolato, che ricorda e sviluppa i temi della Camera degli Sposi di Mantegna e della Sala delle Asse di Leonardo. Ciascun festone termina in un'apertura ovale dove, sullo sfondo di un cielo sereno, si affacciano gruppi
di puttini. In basso poi, lungo le pareti, si trovano lunette che simulano nicchie contenenti statue, realizzate con uno straordinario effetto a trompe l'oeil studiando l'illuminazione reale della stanza. La fascia più bassa
infine simula peducci con arieti, ai quali sono appesi teli di lino tesi, sostenenti vari oggetti (piatti, vasi, brocche, peltri...), altro brano di virtuosismo.Sulla cappa del camino, infine, Correggio dipinse la dea Diana su un
cocchio tirato da cavalli.
Parmigianino, La Stufetta di Diana e Atteone ,Rocca Sanvitale
Fontanellato (provincia di Parma), 1524
La Camera della Badessa o Camera di San Paolo è un ambiente dell'ex
Monastero di San Paolo a Parma, celebre per essere stato affrescato nel
1518-1519 dal Correggio. La decorazione comprende la volta (697x645 cm)
e la cappa del camino, ed è incentrata sul tema della dea Diana e delle
rispondenze filosofico-mitologiche.
La badessa Giovanna da Piacenza già nel 1514 aveva fatto
decorare dall’Araldi con impostazione quattrocentesca, una stanza del suo
appartamento privato con temi biblici e classicheggianti . Nel 1519 per
affrescare un'altra stanza attigua chiamò Correggio più giovane e
aggiornato.
Non è suffragata dalle fonti la conoscenza da parte di Correggio
dei recenti traguardi del Rinascimento romano, ma alcuni motivi della
Camera fanno pensare a una conoscenza abbastanza sviluppata di
Raffaello e di lavori come la Stanza della Segnatura e la Loggia di Psiche
(quest'ultima ancora in lavorazione). Anche una visita a Milano è stata
spesso richiamata dagli studiosi per spiegare le affinità del giovane
Correggio con il Cenaculo vinciano.
La decorazione completata nel 1520 inaugura con un capolavoro
un decennio a Parma. La Camera stessa segnò un nuovo traguardo
nell'illusionismo pittorico e venne ammirata e citata da pittori, fino a
Mengs. Nel 1524 la Camera venne chiusa incorporandola nella zona di
clausura del convento e se ne perse velocemente la memoria. Studiosi
come Panofsky, Gombrich, Calvesi si sono dedicati al senso recondito del
programma iconografico.
In primis Parmigianino, che stilò una sua personale e sottilmente polemica
risposta alla leggerezza soave del Correggio.
La presenza della dea Diana su un cocchio
tirato da cavalli (esclusi dal dipinto ad
eccezione di alcune zampe) ed armata di arco
e frecce fa riferimento al tema della Castità.
Lo stemma della badessa conteneva inoltre le
falci di luna, a rimarcarne il legame con la
dea. Diana svela qualcosa e rivolge allo
spettatore uno sguardo intenso: essa è il
punto di inizio e di fine dell'intera decorazione
pittorica a lei essa si riferiscono i putti che si
affacciano negli ovali, portando armi e trofei
di caccia.
Sull'architrave del camino si trova incisa una
frase latina: IGNEM GLADIO NE FODIAS,
ovverosia "Non disturbare la fiamma con la
spada". Si tratta di una frase di estrazione
classica che si riallaccia alle contese della
badessa con l'autorità ecclesiastica,
ribadendo la propria indipendenza a fronte
della volontà di soffocare quel centro
umanistico della sua cerchia ristabilendo una
più rigida clausura.
Sul carattere "lunare" della decorazione
scrisse una pagina Gombrich che
sottolineava la grande profusione di
conchiglie e di corni di stoviglie secondo
Vitruvio e altri autori, si otteneva
frastuonopercuotendo vasi metallici durante
le eclissi di Luna.
ll contenuto filosofico/letterario della decorazione della Camera si sviluppo soprattutto nella serie di sedici lunette, quattro
per lato, contenenti finte sculture classicheggianti a monocromo. Simulano nicchie bordate di conchiglie riverse.
Si tratta di un complicato insieme Fortuna o Nemesi, Minerva o Bellona o Venus armata, Le tre Grazie (i tre componenti
dell'opera), Apollo o Adone o la Virtus
La parete seguente (est) mostra: Genius (Acqua o Fuoco)Africa (Terra)Giunone castigata (Aria)Vesta (Fuoco o Acqua)
Seguono (sud):
Saturno o Vertumno o un filosofo Serapide o Ananke o il tempio di Giove Le tre Parche (le tre fasi dell'opera) Giove
fanciullo o Paride o Ino con Bacco fanciullo o Rea Silvia L'ultima parete (ovest) infine: Diana lucifera o Venere o Cerere
Satiro o Pan o Caos Purezza o Speranza o la CastitàVirgo pregnans (Castità) Esistono precise corrispondenze
simmetriche lungo le diagonali, passando quindi sempre attraverso il centro: la più evidente è quella delle tre figure (tre
Grazie/tre Parche), da cui si sono mosse le letture
Secondo Panofsky il concetto base della decorazione è la rappresentazione delle virtù della badessa (la "speculum
morale"), seguito dai quattro elementi ("speculum naturale") e dalle divinità ("speculum doctrinale").
Forse la badessa voleva qui mettere alla prova i propri ospiti in una sorta di locus dissertationis,
Correggio, Visione di San Giovanni Evangelista a Patmos, 1520-21
cupola della chiesa di San Giovanni Evangelista, Parma
Il successo della Camera della Badessa apre a
Correggio nuove importanti commissioni,
prima fra tutte la decorazione della chiesa di
San Giovanni Evangelista a Parma, dove il
pittore lavora alla decorazione dell’abside e
della cupola, dal 1520 al 1524.
Oggi resta la decorazione della cupola, con la
Visione di san Giovanni Evangelista a Patmos
, il tamburo, i pennacchi e il fregio, mentre
dell'Incoronazione della Vergine, già nella
calotta dell'abside, rimane solo un frammento
nella Galleria Nazionale di Parma.
Rispetto alla tradizione quattrocentesca, la
decorazione appare libera da partiture
architettoniche e organizzata per essere
guardata da due distinti punti di vista: quello
dei benedettini nel coro (gli unici che
potevano vedere la figura di san Giovanni) e
quello dei fedeli nella navata. Lo sfondato
adottato nella cupola simula un cielo aperto
con le monumentali figure degli apostoli a fare
da corona, seguendone il perimetro; san
Giovanni sembra risucchiato da un vortice
verso l’alto. Ogni riferimento ad elementi
architettonici scompare: si tratta di
un’architettura illusionistica costruita da
cerchi concentrici di corpi in scorcio sulle
nuvole la cui suggestione aumenta attraverso
l’ariosa pastosità delle cromie i cui esiti si
coglieranno pienamente nella pittura barocca.
Correggio, Assunzione della Vergine, cupola della cattedrale, 1526-30, Parma
Nel 1522 stipulò il contratto per la decorazione del coro e
della cupola della cattedrale di Parma iniziata solo attorno al
1524 dopo il termine dei lavori a San Giovanni. Nella cupola
è dipinta la scena dell'Assunzione della Vergine in cui una
moltitudine di angeli disposti in forma di vortice ascendente
accompagnano l'ascesa della Madonna su un cielo
nuvoloso. Qui le figure perdono l'individualità, diventando
parte integrante di una grandiosa scena corale, esaltata
dall'uso di tinte chiare, leggeri e fluenti che creano un
continuo armonico fino al punto di volta.
Come già in San Giovanni Evangelista, Correggio potenzia
qui l’effetto illusionistico libero da partiture: nella cupola è
dipinta la Assunzione ove una moltitudine di angeli disposti
in forma di vortice ascendente accompagnano l'ascesa su
un cielo nuvoloso. Le figure perdono ogni individualità, e
sono parte integrante di una grandiosa scena corale,
esaltata dall'uso di tinte chiare, leggere e fluenti che creano
un continuo armonico fino al punto di volta. Lo spazio è
occupato dal vortice dei corpi in volo con un effetto a spirale
mai visto in precedenza; gli angoli sono visivamente
annullati dal vortice di figure che si librano in aria, che
assimila anche la forma muraria.
In genere Correggio evitò di rappresentare precisi dettagli
iconografici, come i singoli attributi che avrebbero permesso
di identificare le figure di ciascun apostolo o ciascun santo,
o, scelta ancor più radicale, la tomba da cui la Vergine fu
assunta in cielo. Questa omissione, come è stato notato,
aveva in realtà lo scopo di coinvolgere nella visione della
cupola lo spazio concreto della chiesa sottostante,
permettendo ai fedeli di immaginare la presenza della tomba
nello spazio in cui si trovava l’altare e di percepire quindi la
continuità tra mondo terreno e reale e mondo divino
illusivamente finto dalla pittura
Al centro un abbacinante
scoppio di lume dorato
perfeziona la prodigiosa
apparizione divina di Gesù che
ha spalancato i cieli e si fa
incontro alla madre, proprio
come accadeva negli affreschi
di san Giovanni Evangelista La
composizione a spirale,
perfezionata da tutti gli
accorgimenti prospettici sia di
riduzione della scala delle
figure, sia di sfocatura nella
luce per i soggetti più lontani,
guida l'occhio dello spettatore
in profondità e accentua il
moto ascendente delle figure In
basso stanno infine i quattro
protettori di Parma nei
pennacchi
Il tamburo è occupato da un
parapetto illusorio, traforato da oculi
veri, lungo il quale stanno in equilibrio
una serie di angeli e gli apostoli. Dal
parapetto una spirale di nubi si
attorciglia in un crescendo di
sentimenti e di luce, con l'episodio
della nube su cui sale Maria, vestita
di rosso e blu spinta da angeli, alati e
apteri, verso la sua glorificazione
celeste.
Correggio, il ciclo degli Amori di Giove, 1530, luoghi vari
Francesco
Mazzola detto
Parmigianino,
Autoritratto
entro uno
specchio
convesso,
1524,
Vienna,
Kunsthistorische
s
Parmigianino, Affreschi mitologici, 1531-39,
Fontanellato, Rocca Sanvitale
Parmigianino, Tre vergini sagge e tre vergini stolte,
1531-39, Basilica della Madonna della Steccata, Parma
L'artista realizzò dopo diverse fasi solo il sottarco davanti all'abside
principale, quella dell'altare maggiore. Si tratta di una volta a botte
con quattordici lacunari decorati da rosoni in rame dorato.
Attorno ad essi ci trovano fastose cornici dipinte con conchiglie e
arieti come decorazioni, e una decorazione su sfondo rosso di
grottesche dorate, in cui si vedono aragoste, rane e altro, variamente
associabili ai quattro elementi
Alle estremità si aggiungono gli stemmi Montini, festoni (con melograni, alloro, carciofi, test d'aglio,
cipolle), granchi (guardando dall'ingresso verso l'altare, a sinistra), colombi (a destra). Infine,
idealmente in piedi sulla inea d'imposta, si trovano dipinte tre fanciulle per lato, quella centrale con le
braccia distese, quelle laterali con un braccio disteso in avanti e uno alzato lungo il profilo dell'arco.
Esse rappresentano le vergini sagge e le vergini stolte di una parabola di Gesù, infatti esse reggono,
con un'elegante ritmo nei gesti, due lampade accese (destra) e due spente (sinistra). Reggono in testa
vasi ricolmi di gigli
Lungo gli arco si trovano decorazioni geometriche dorate su sfondo
blu intenso e due coppie di finte nicchie per lato, contenenti figure
bibliche a monocromo: verso l'altare Adamo ed Eva, verso i fedeli
Mosè ed Aronne.
La congregazione della Steccata forniva la dote alle fanciulle povere
ma oneste, per questo il soggetto della parabola evangelica, a
sfondo nuziale, si adattava perfettamente. Le fanciulle dovevano
ricordare le dieci giovanette che ogni anno, scelte dai confratelli,
venivano omaggiate delle elemosine per costituire un'onesta dote,
sfilando in processione vestite di bianco per le strade cittadine. È
stato notato tuttavia che il numero delle vergini (sei invece di dieci)
non corrisponde a quello citato in Matteo (25-1-13) ipotizzando
diversi significati Fagiolo dell'Arco (1970) pensò a un'illustrazione
dell’Immacolata Concezione densa di risvolti esoterici (Parmigianino
si occupava di alchimia) mentre Battisti (1982) vi lesse una
contrapposizione tra Sinagoga e Ecclesia.
Più probabile è invece che l'artista si fosse ispirato al trattato di
liturgia di Guillaume Durand, intitolato Rationale Divinorum Ufficium,
il cui capitolo 39 del secondo libro contiene un rito di consacrazione
delle Vergini.
Esiste una stretta correlazione tra le parole e queste immagini,
rafforzata anche dai libri a natura morta, disegnati nel fregio
dell'affresco, sulla copertina di uno dei quali si leggono le iniziali "R.
D”.
L'opera è citata ampiamente da Vasari che la ricordò tra i dipinti di
piccolo formato che l'artista preparò per portare con sé a Roma, nel
viaggio del 1525. In particolare l'autoritratto doveva essere un biglietto da
visita delle capacità virtuose dell'artista, come lo stesso Vasari scrisse
affinché «gli facesse entratura ... agli artefici di professione..per
investigare le sottigliezze dell’arte, si mise un giorno a ritrarre se stesso,
guardandosi in uno specchio da barbieri, di que’ mezzo tondi. Nel che
fare, vedendo quelle bizzarrie che fa la ritondità dello specchio, nel girare
che fanno le travi de’ palchi, che torcono e le porte e tutti gl’edifizi che
sfuggono stranamente, gli venne voglia di contrafare per suo capriccio
ogni cosa. Laonde, fatta fare una palla di legno al tornio, e quella divisa
per farla mezza tonda e di grandezza simile allo specchio, in quella si
mise con grande arte a contrafare tutto quello che vedeva nello specchio
e particolarmente se stesso tanto simile al naturale, che non si
potrebbero stimare, né credere. E perché tutte le cose che s’appressano
allo specchio crescono, e quelle che si allontanano diminuiscono, vi fece
una mano che disegnava un poco grande, come mostrava lo specchio,
tanto bella che pareva verissima; e perché Francesco era di bellissima
aria et aveva il volto e l’aspetto grazioso molto e più tosto d’Angelo che
d’uomo, pareva la sua effigie in quella palla una cosa divina. Anzi gli
successe così felicemente tutta quell’opera, che il vero non istava
altrimenti che il dipinto, essendo in quella il lustro del vetro, ogni segno di
riflessione, l’ombre et i lumi sì propri e veri, che più non si sarebbe potuto
sperare da umano ingegno»
L'opera venne donata a papa Clemente VII poi regalata a Pietro Aretino,
nella cui casa la vide, da bambino, Vasari stesso. Passò poi allo scultore
vicentino Valerio Belli e, dopo la sua morte nel 1546, al di lui figlio Elio.
Tramite l'intermediazione di Andrea Palladio, l'autoritrattopassò nel 1560
a Venezia, allo scultore Alessandro Vittoria, che lo destinò in eredità
all'imperatore Rodolfo II. Arrivato a Praga nel 1608, venne poi trasferito
nelle raccolte imperiali di Vienna, dove venne esposto nella
Schatzkammer con attribuzione al Correggio. Dal 1777 si trova nel
museo viennese.
L'Autoritratto entro uno specchio convesso
olio su tavola convessa (diametro 24,4 cm), 1524
Vienna, Kunsthistorisches Museum.
La tavola mostra appunto il giovane artista che ritrae il suo volto al
centro di una stanza distorta dalla visione dello specchio convesso,
con in primo piano una mano appoggiata sul ripiano dove sta lo
specchio, che diventa oblunga e deforme, ma finissima nella stesura
pittorica. Si tratta della sinistra: la destra è probabilmente impegnata
coi pennelli. Un anellino d'oro è infilato al mignolo e la manica
plissettata è dipinta con veloci e sicure pennellate di bianco. Curioso è
anche l'abito, rappresentato a grandi linee con pennellate veloci e
sicure, una pelliccia da inverno padano, dalla quale sbuca il polsino a
sbuffo della camicia bianca di batista. I capelli sono curati, a caschetto,
il volto da adolescente (aveva ventun'anni), di angelica bellezza, come
scrisse Vasari.
La stanza mostra se non la ricchezza almeno l'agiatezza della famiglia:
un soffitto a cassettoni e una finestra "impannata", cioè copribile per
tre quarti da un panno per proteggere dal freddo e filtrare la luce come
si addiceva a uno studio di pittori. Non si vedono mobili, sintomo di una
certa austerità.
Negli studi sul manierismo, l'Autoritratto entro uno specchio convesso
è diventato una sorta di emblema di quel momento dell'arte, grazie alla
presenza della visione anamorfica. Varie letture, talvolta bizzarre, sono
state proposte sulla scia della sua fama e in base alla conoscenza
dell'interesse nell'alchimia dell'artista. In particolare Fagiolo dell'Arco vi
vedeva una rappresentazione dell'opus alchemico (1969-1970), con la
rotondità della tavola corrisponderebbe alla "prima materia", lo
specchio allo sperimentalismo alchemico e l'espressione alla
malinconia, tipica espressione del carattere dell'alchimista. Freedman
(1986) e Boehm (1986) vi lessero un ritratto dell'animo interiore. Oggi
queste interpretazioni sono considerate in genere troppo sottili,
confermando piuttosto la giustificazione vasariana dello sfoggio
virtuoso per l'"entratura" nella competitiva corte pontificia
Parmigianino,
Cupido fabbrica l’arco,
1533-35,
Kunsthistorishes Museum Vienna
Il fanciullo, tutto nudo, è voltato di spalle ruotando la testa verso lo spettatore,
mentre con un grosso coltello sta intagliando un arco da un ramo poggiato su
alcuni libri, declassati a bancone da lavoro, su cui il giovinetto appoggia anche
la punta del piede sinistro, col ginocchio piegato in avanti (forse allusione alla
prevalenza dell'eros sulla scienza). I capelli ricci e biondi sono raccolti da una
catennella dorata, ricordando un'acconciatura prettamente femminile. Evidenti
sono i risvolti erotici, dati dalle natiche dalla rotondità e morbidezza tipicamente
infantili ben in vista, nonché dalla pittura "a punti di luna", cioè dall'accento
lunare posto sulla carne nuda che si staglia statuaria sullo sfondo scuro.
L'attenzione nella metà inferiore del dipinto è attirata dai due putti che si
intravedono tra le gambe di Cupido, stretti in un abbraccio sporgendo a mezza
figura oltre il piano d'appoggio principale. Il maschietto alato, indirizza allo
spettatore uno sguardo di maliziosa complicità, stringe con forza la
femminuccia, che cerca di ribellarsi in una smorfia di rabbia molto ben
rappresentata, che sicuramente richiese un accurato studio dal vero. Egli le
blocca un polso e le afferra l'altro braccio, avvinghiandola a sé, in un gesto che
Vasari lesse, forse un po' forzatamente, come «uno piglia l'altro per un braccio e
ridendo vuol che tocchi Cupido con un dito, e quegli, che non vuol toccarlo,
piange mostrando aver paura di non cuocersi al fuoco d'amore». I due fanciulli
rappresentano forse le insidie dell'amore non corrisposto a cui Cupido,
fabbricando la sua arma, metterà presto rimedio. La coppia di amorini forse :
Anteros e Liseros (rispettivamente l'impulso maschile che dà forza all'amore e il
principio femminile che lo estingue), oppure l'Amor sacro e Amor profano, o
ancora gli opposti alchemici.
Essi prefigurano, stilisticamente, il gruppo degli angeli di sinistra nella Madonna
del collo lungo e appaiono come una riflessione sui putti del Correggio anche se
in uno spirito ormai lontano da quello così amabilmente spontaneo delle opere
suo maestro.
Parmigianino,
Madonna dal collo lungo, 1534,
Galleria degli Uffizi
Firenze
Parmigianino,Antea e Ritratto di Galeazzo Sanvitale,
1524, Napoli, Capodimonte
Dosso Dossi, Melissa, 1520 Galleria Borghese
Giovanni di Niccolò Luteri, detto Dosso
Dossi (San Giovanni del Dosso, 1486?
– Ferrara 1542).
Fu il principale artista attivo alla corte
ferrarese degli Este nel primo
Cinquecento, l'epoca dell'Ariosto, delle
cui evocazioni fantastiche fu un
suggestivo interprete. Alcuni dei suoi
motivi mitologici furono fonte di
ispirazione per i pittori emiliani del
primo Seicento come Annibale
Carracci. Nel 1510 si trovava a
Mantova, al servizio dei Gonzaga, e nel
1514 fu nominato pittore di corte a
Ferrara. In tale veste fu coinvolto nelle
principali imprese decorative di Alfonso
d'Este, quali i Camerini d'alabastro. A
lui è infatti attribuita la coreografia
generale dell'apparato decorativo, a cui
parteciparono da Venezia anche
Giovanni Bellini e Tiziano, negli ultimi
anni accentua i rimandi simbolici delle
sue opere dai soggetti molto elaborati.
Lorenzo Lotto,
Annunciazione,
1534
Recanati,
Museo Civico