l’unione europea 50 anni dopo project work di salvatore barresi [2007]

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SCUOLA SUPERIORE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE PROGRAMMAEMPOWERMENT, INNOVAZIONE E AMMODERNAMENTO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI DEL MEZZOGIORNO CORSO DI ECCELLENZA Euro P.A. Obiettivo 1 - Le Pubbliche Amministrazioni dell’Obiettivo 1 nei processi di formazione ed esecuzione delle Politiche comunitarie “L’UNIONE EUROPEA 50 ANNI DOPO CON PIU’ OPPORTUNITA’ E MENO FRONTIERE” Project Work Elaborato dal Docente di riferimento Dott. Salvatore Barresi Prof. Giuseppe Schiavone Ottobre 2007

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SCUOLA SUPERIORE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

PROGRAMMAEMPOWERMENT, INNOVAZIONE E AMMODERNAMENTO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI DEL MEZZOGIORNO

CORSO DI ECCELLENZA

Euro P.A. Obiettivo 1 - Le Pubbliche Amministrazioni dell’Obiettivo 1 nei processi di formazione ed esecuzione delle Politiche comunitarie

“L’UNIONE EUROPEA 50 ANNI DOPO

CON PIU’ OPPORTUNITA’ E MENO FRONTIERE”

Project Work Elaborato dal Docente di riferimento

Dott. Salvatore Barresi Prof. Giuseppe Schiavone

Ottobre 2007

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INDICE Premessa 3 1. LA NASCITA DEL SISTEMA COMUNITARIO 3 2. EVOLUZIONE DELL' INTEGRAZIONE EUROPEA 5 3. EVOLUZIONE POLITICA NELLA COSTRUZIONE EUROPEA 12 4. IL SENSO DI APPARTENENZA 15 5. UN BILANCIO A 50 ANNI DAI TRATTATI DI ROMA 16 6. GLI ERRORI DA NON RIPETERE 19 7. CONCLUSIONI 22 Bibliografia 25

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PREMESSA

Nell’anno del suo compleanno, pochi potrebbero sostenere che l'Europa sia una splendida cinquantenne. Nella primavera del 1957 viene firmato il Trattato di Roma viene al mondo la Signora Europa che oggi si presenta claudicante sostenuta dalle stampelle di ben ventisette Paesi che la fanno camminare. Svolgere una tesi sui 50 anni dell’Europa è stata una esperienza utile a comprendere qual è la cera identità. Infatti, si mostra con una carta d'identità che non dice quale sia la sua identità, mancando perfino l'innocente riferimento alle note «radici cristiane» nella Costituzione. E si esibisce con un paio di robusti corteggiatori che l'hanno nel frattempo ripudiata a colpi di referendum; s'allude agli ex ammiratori, e mai troppo ammiratori in verità, che si chiamano Francia, e Olanda.

E si affaccia, madama Europa, con una credibilità internazionale quasi inesistente. Basti il ricordare che l'Unione dei 27 non figura in quanto tale neppure al vertice dell'organizzazione planetaria per eccellenza; quel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che predilige avere a che fare con gli Stati in carne e ossa, non con la loro proiezione ideale o somma aritmetica che in mezzo secolo di promesse hanno fallito più di quanto abbiano mantenuto. Né è il caso di rimarcare, per carità di Continente, la vacuità della politica estera e militare espressa da quest'Unione degli incerti. E nel lavoro svolto si è voluto rimarcare quel senso di appartenenza e sulla identità che l’Europa dovrà assumere nell’ambito internazionale e nei confronti dei suoi cittadini.

Una Unione che, ogniqualvolta è stata chiamata a intervenire nelle aree bollenti della Terra, s'è spaccata e che solo nell’ambito economico l'Europa ha dato i migliori risultati di sé. Non dunque l'identità «una nella diversità», com'è scritto nel preambolo dell'ultimo e formale documento, e che non si è affatto propagata secondo le speranze (e la propaganda) riposte. Né ci si può appellare all'auspicio di una visione politica continentale e internazionale fragile e confusa. È invece l'aspetto commerciale, finanziario, monetario - in una parola: economico - il progresso riconoscibile e condivisibile di cinquant'anni di storia politica e pacifica europea.

Rispetto ad allora gli europei stanno meglio, molto meglio. Sotto il profilo istituzionale essi oggi costituiscono e sempre più possono costituire una rassicurante potenza economica. Ma cinquant'anni dopo, gli aspiranti europei non hanno alcuna intenzione di rinunciare alle proprie culture e tradizioni, al modo d'essere e di pensare da francesi, da tedeschi, da polacchi, da spagnoli e naturalmente da italiani in cambio di un europeismo che è diventato ideologia da sventolare nella grigia e periferica Bruxelles. Parafrasando, l'Europa è una pura espressione economica e senza retorica è una favola di una nuova patria che non c'è.

1. LA NASCITA DEL SISTEMA COMUNITARIO

Lo scenario dell’immediato dopoguerra è caratterizzato, in Europa, da due grandi questioni. Da un lato il problema del come ridare piena sovranità alla Germania occidentale, occupata dalle potenze vincitrici del conflitto mondiale, ma in un nuovo

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quadro di sicurezza per tutto il continente e, dall’altro, il delinearsi di una nuova, profonda divisione tra le potenze vincitrici del conflitto, con la conseguente divisione dell’Europa in due blocchi contrapposti: quello occidentale, sotto la protezione degli Stati Uniti e quello orientale, dominato dall’Unione Sovietica. E’ in questo contesto, oltre che nella necessità di rafforzare l’economia europea, attardata nel suo sviluppo industriale e distrutta dal conflitto mondiale, che si concretizza l’idea di stabilire un legame più stretto e più stabile tra alcuni Stati dell’Europa occidentale.

Sulla forma e sulle modalità d’unificazione dell’Europa vi sono tuttavia idee e progetti diversi. Vi sono coloro che propongono di creare sin dall’inizio una federazione di stati e coloro che ritengono più realistico puntare ad una confederazione di stati sovrani. Accanto a questi vi sono i cosiddetti “funzionalisti”, che preconizzano. il graduale avvicinamento delle economie nazionali da realizzarsi attraverso il progressivo trasferimento di compiti e funzioni, in determinati settori economici, dagli Stati nazionali ad organismi sovranazionali, indipendenti dagli Stati. Sostenitore dell’integrazione funzionalista è Jean Monnet che ispira la dichiarazione del ministro francese degli Affari esteri Robert Schuman. Il 9 maggio 1950 Robert Schuman nel mentre chiede l’approvazione formale al proprio governo, convoca presso il salone dell’Orologio del Quai d’Orsay di Parigi, una conferenza stampa nella quale rende pubblica la proposta di affidare la produzione franco-tedesca del carbone e dell’acciaio al “governo” di un’Alta Autorità, aperta agli Stati europei che vi avrebbero voluto aderire.

L’adesione di Conrad Adenauer, Cancelliere della “neonata” Germania Federale, è immediata e senza riserve: “accetto di tutto cuore”. A questa si aggiungono quella dell’Italia, del Belgio, dell’Olanda e del Lussemburgo. Il 18 aprile 1951, a Parigi, i rappresentanti dei sei Stati, firmano il Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, Ceca. L’adesione dell’Italia alla Ceca, affatto scontata, anche in ragione delle sue scarse risorse minerarie, si deve senza dubbio alla lungimiranza e al prestigio politico di Alcide De Gasperi che, in quella comunità pur settoriale, intravide la concreta possibilità di legare il destino dell’Italia a quello dell’Europa. Dopo la mancata ratifica da parte del Parlamento francese (30 agosto 1954) del Trattato Ced - Comunità Europea di Difesa, gli stessi sei Paesi convocano a Messina una nuova Conferenza intergovernativa, allo scopo di rilanciare il processo di integrazione europeo.

Il 1° e il 2 giugno 1955 si riuniscono così nella città siciliana i Ministri degli Esteri dei sei, i quali decidono di estendere a più vasti settori dell’economia il metodo applicato con successo al carbone e all’acciaio. Sono così individuati due ambiti: quello relativo alla creazione di un mercato comune e quello relativo all’energia nucleare per scopi civili. Il 29 ed il 30 maggio 1956, a Venezia, gli stessi ministri degli esteri dei sei Paesi approvano il Rapporto del Comitato integovernativo presieduto dal ministro degli Esteri del Belgio, Paul-Enri Spaak, decidendo, di comune accordo, di procedere con la predisposizione dei nuovi trattati. Il 25 marzo 1957 i plenipotenziari di Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi firmano a Roma, in Campidoglio, nella Sala degli Orazi e dei Curiazi, i Trattati istitutivi, rispettivamente, della Comunità economica europea (Cee) e della Comunità europea dell’energia atomica (Ceea o Euratom). Questi Trattati sono spesso indicati come “Trattati di Roma”. Con il termine “Trattato di Roma” al singolare si

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fa riferimento unicamente al Trattato Cee. I Trattati di Roma sono entrati in vigore il 1° gennaio 1958. Si completa così il sistema comunitario composto da tre Comunità: una generale, la Cee, e due settoriali, la Ceca e l’Euratom.

Gli obiettivi fondamentali della Cee sono l’integrazione progressiva dei mercati nazionali in un mercato comune delle merci e dei fattori della produzione – lavoro, servizi e capitali – e, a più lungo termine, la creazione di una organizzazione politica comune. Gli Stati membri affermano, infatti, di essere determinati a porre le fondamenta di un’unione sempre più stretta fra i popoli europei e di essere decisi ad assicurare mediante un’azione comune il progresso economico e sociale dei loro Paesi, eliminando le barriere che dividono l’Europa. Gli obiettivi intermedi sono:

1) la soppressione degli ostacoli, all’interno degli Stati membri, la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali;

2) la realizzazione di condizioni per una libera e leale concorrenza all’interno del mercato comune.

3) l’instaurazione di una tariffa doganale esterna comune;

4) il ravvicinamento delle legislazioni nazionali necessarie al completamento del mercato comune e l’armonizzazione della fiscalità;

5) lo sviluppo di politiche comuni nei settori dell’agricoltura, dei trasporti e della politica commerciale.

2. EVOLUZIONE DELL' INTEGRAZIONE EUROPEA

L' Unione Europea (UE), una famiglia di paesi europei democratici, i quali si sono impegnati a lavorare insieme per la pace e la prosperità , non è uno Stato che si propone di sostituire gli Stati già esistenti, ma è qualcosa di più rispetto alle altre organizzazioni internazionali. L' UE è qualcosa di unico. I suoi Stati membri hanno creato una serie d'istituzioni comuni, alle quali delegano una parte della loro sovranità in modo che le decisioni su questioni specifiche d'interesse comune possano essere prese democraticamente a livello europeo. Tale unione delle sovranità viene chiamata anche "integrazione europea". Un contributo particolare al processo d'integrazione dell'Europa è dato dal giurista israeliano Joseph H.H. Weiler.

Gli scritti del Weiler hanno segnato un momento importante della riflessione sulla realtà comunitaria con la lettura originale del principio di sovranità , premessa del processo di costituzionalizzazione, con la rappresentazione del principio di sovranazionalità e originalità della sua costruzione nell'orizzonte del sistema comunitario. Alle origini la storia della Comunità ha attraversato momenti di euforia federalista, la quale si calmò nel tempo, allorché congiunture difficili, fecero prevedere la volontà degli Stati nazionali. Si ebbe il voto contrario della Francia alla Comunità europea di difesa del 1954, la riduzione

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sostanziale del Ruolo della Commissione con il Compromesso di Lussemburgo del 1966, che restaurò il diritto di veto degli Stati su ogni decisione.

Fra il 1958 e il 1968 si ridussero sempre più gli spazi comunitari e si allargarono quelli intergovernativi. Le cose fortunatamente mutarono e con l'Atto unico del 1987, ampiamente esaminato dal Weiler, il ruolo della Commissione riprese vigore, e la sua forza e la sua competenza si manifestarono nel processo che portò al Trattato di Maastricht. La storia di questo periodo deve essere intesa come un intreccio di esigenze ora comuni ora diverse fra gli Stati e la costruzione comunitaria, intreccio che diede fisionomia al processo di costruzione della Comunità europea. Questo alternarsi di congiunture diverse , governate da principi diversi, seguirà il processo d'integrazione. Il contributo di Weiler, nel 1985, riuscì a dominare questo percorso contraddittorio, perché costituì un tentativo nuovo di pensare il processo comunitario. Egli introdusse alcune distinzioni che resero più chiaro un processo prima tortuoso organizzando i diversi momenti della sua storia, mettendo ordine nel disordine. Weiler cercò di sistemare l'intreccio e il contrasto tra “comunitario” e “intergovernativo” uscendo dal piano puramente giuridico-istituzionale: legò adesso la dimensione della storia politica; fece venire fuori le contraddizioni del processo e le potenzialità di sviluppo. L'idea centrale di Weiler è che il processo comunitario è contrassegnato da uno squilibrio fra sopranazionalità normativa e sovranazionalità decisionale, cioè fra diritto e politica .

C'è una costante crescita della sovranazionalità normativa e una permanente difficoltà di estendere la nazionalità decisionale limitata dagli Stati attraverso i loro veti. Questa definizione fu decisiva, fece comprendere molte cose; soprattutto che il processo comunitario era spezzato in due parti. E all'interno di questa distinzione il ruolo delle istituzioni mostrava la sua originalità , la crescita della sovranazionalità normativa, implicava la costruzione di un ordinamento fatto di norme superiori a quelle degli ordinamenti degli Stati. A questo proposito divenne decisiva la funzione della Corte di giustizia. Da passiva interprete dei Trattati, essa fece crescere il processo d'integrazione al di là della volontà dei Trattati e degli stessi Stati; si comportò come una istituzione politica affermando alcuni principi-chiave che il Weiler aveva già esaminato nei suoi scritti , soprattutto quello del primato del diritto comunitario sui diritti nazionali: principio questo che non esisteva nei Trattati , ma che fu accolto dalle Corti nazionali e segnò un momento decisivo nella costruzione di un ordinamento sopranazionale. Secondo il Weiler gli Stati e le Corti costituzionali nazionali non bloccarono l'iniziativa della Corte di giustizia , consentirono che andasse oltre la lettura dei Trattati, perché agli Stati interessava restare padroni della decisione politica sia per 1' individuazione dei contenuti normativi fondamentale, sia per la politica legata alla sovranità degli Stati e al loro ruolo internazionale. Gli Stati però non compresero che la Corte di giustizia lasciata libera in settori apparsi non influenti, diventava man mano capace di dare una fisionomia all' Europa in costruzione.

Ma questa discrasia tra politica e diritto, affermata e dimostrata dal Weiler, quando poteva reggere senza creare conseguenze regressive per la costruzione europea. E' fondamentale la tesi del giurista israeliano per cui, senza liberarsi della connessione fra politica e diritto, l 'integrazione europea non avrebbe fatto i passi che ha fatto ; senza la crescita del livello

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politico-normativo, che affermò il primato del diritto comunitario sui diritti nazionali, poco si sarebbe costruito; senza quel passaggio non si sarebbe formato uno spazio pubblico europeo retto da regole e norme. La Carta dei diritti fondamentali dell' Unione, di Nizza del 2000, introdotta nel Trattato costituzionale , nasce dall'azione della Corte di giustizia. Credo che la discrasia abbia avuto fine negli anni ottanta, quando la grande politica ha imposto di aggiungere l’ unione alla Comunità, d' avviare in linea di principio una politica estera di difesa comune, d'introdurre il principio della cittadinanza europea. Dai grandi eventi degli anni ottanta, fine del bipolarismo e allargamento dell'Europa verso est, il tema politico è tornato al centro. Si riproporrà una nuova discrasia tra diritto e politica? Forse no, ma centrale è stato il contributo di Weiler all'analisi della costruzione comunitaria. Tra le diverse visioni e i diversi tentativi di realizzare un’Europa di tipo Federale, merita di essere senz’altro ricordato il progetto di “Trattato di Unione Europea” meglio conosciuto come “Progetto Spinelli”. Altiero Spinelli, del quale nel 2007 ricorre il centesimo anniversario dalla nascita, già nell’agosto del 1941, in pieno conflitto mondiale, confinato dal “regime” nell’isola di Ventotene, scrisse insieme ad Ernesto Rossi il cosiddetto “Manifesto di Ventotene” “per un’Europa libera e unita”, delineando in modo assai lucido e lungimirante, un modello di tipo federale per l’Europa. Nel 1979 subito dopo la sua elezione nel “neonato” Parlamento europeo, legittimato dal voto popolare, Spinelli riuscì nel non facile intento di far nominare una Commissione parlamentare permanente con il compito di discutere e redigere il testo del “Trattato costituzionale dell’Unione Europea”.

Il testo che ne conseguì, conosciuto come “Progetto Spinelli”, fu approvato al Parlamento europeo il 14 febbraio 1984 con 237 voti favorevoli, 31 voti contrari e 43 astensioni. Nonostante i consensi e il grande successo politico ottenuto, la contrarietà di alcuni Paesi membri impedì che il “Progetto Spinelli” diventasse l’auspicato trattato costituzionale dell’Unione Europea. Tuttavia, il forte impatto che il “Progetto” ebbe, sia nell’opinione pubblica, sia su molti uomini politici e statisti europei, condizionò assai favorevolmente il processo di rilancio dell’integrazione comunitaria, aprendo la strada all’adozione dell’Atto Unico Europeo.

Il “Progetto Spinelli” fu anche approvato dai Parlamenti italiano, belga e tedesco. La realizzazione dell’integrazione economica è stata prevista in un percorso graduale (chiamato periodo transitorio) di tre tappe, di quattro anni ciascuna:

1) la realizzazione di un’unione doganale, vale a dire l’abolizione dei dazi doganali, all’interno del mercato comune e la fissazione di una tariffa esterna comune;

2) l’eliminazione delle restrizioni quantitative (contingenti) e delle misure di effetto equivalente, in modo da realizzare la libera circolazione completa delle merci;

3) la libera circolazione delle persone, in particolare dei lavoratori dipendenti, dei servizi e, in determinata una certa misura, dei capitali.

Diversi obiettivi sono stati conseguiti nei primi anni di attività e, in molti casi, prima della data prevista dal Trattato di Roma nel 1° gennaio 1970. L’unione doganale è stata

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raggiunta, ad esempio, il 1° luglio 1968, accompagnata dall’eliminazione dei contingenti e dalla libera circolazione dei lavoratori dipendenti. Tale libertà consente ad ogni cittadino comunitario, di accedere ad un impiego in altro Paese membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato.

Nel 1970, oltre all’IVA, sono state introdotte diverse misure tese a garantire un certo grado di armonizzazione fiscale in tutto il territorio comunitario. Negli anni successivi, nonostante i traguardi raggiunti, persistevano ancora diversi ostacoli agli scambi commerciali. Tutto ciò rendeva ancora incompiuto il mercato comune.

I maggiori problemi erano provocati: dal controllo delle persone e delle merci alle dogane interne; dalle diverse regolamentazioni tecniche nazionali gravanti sui prodotti; dal mantenimento delle imposte indirette a tassi così diversi da rendere lente e dispendiose le normali procedure commerciali. Ci si rese allora conto che per completare il mercato, occorreva imprimere una nuova accelerazione al processo di integrazione in corso, rimuovendo tutti quegli ostacoli che, di fatto, erano pregiudizievoli all’instaurazione di un vero mercato comune.

Occorreva cioè realizzare uno spazio economico molto simile ad un vero e proprio mercato interno. L’idea di arrivare ad un vero e proprio “mercato interno” venne sostenuta dai governi degli Stati membri che diedero il formale “via libera” al Consiglio europeo di Bruxelles, del marzo 1985, il quale fissò per la fine del 1992, la data per la realizzazione del mercato interno e chiese alla Commissione europea di sviluppare un calendario di attuazione del programma.

La risposta della Commissione europea prese la forma di un Libro bianco, che approvato nel giugno 1985, in occasione del Consiglio europeo di Milano, delineava circa 300 provvedimenti legislativi per il completamento del mercato interno, che le istituzioni comunitarie avrebbero dovuto adottare entro la data prevista del 31 dicembre 1992. Alla scadenza fissata, gli obiettivi principali erano stati raggiunti. Grazie al nuovo sistema di voto a maggioranza, più del 90% delle misure previste dal Libro bianco del 1985 erano infatti, state adottate.

Tra le misure più importanti si ricordano: la liberalizzazione di tutti i movimenti di capitali, l’abolizione del controllo delle merci comunitarie alle frontiere interne, l’abolizione dei controlli sistematici delle persone alle frontiere, gli enormi progressi compiuti per rendere più effettive le libertà di stabilimento e la libertà di prestare servizi, anche attraverso l’armonizzazione e il riconoscimento reciproco dei diplomi, l’accesso alle professioni regolamentate e non regolamentate, l’apertura del sistema degli appalti pubblici, dei sistemi bancari e assicurativi.

L’Atto Unico Europeo, costituisce la prima vera importante revisione del Trattato di Roma. L’Atto Unico, firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986, entra in vigore il 1° luglio 1987.

Tra le innovazioni più significative del trattato si segnalano:

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1 l’integrazione della nozione di mercato interno, ora definito come “uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali” e la cui realizzazione è soggetta ad una precisa scadenza: il 31 dicembre 1992;

2 il Parlamento europeo, eletto per la prima volta a suffragio universale nel 1979, assume ora il potere di cooperare con il Consiglio e la Commissione in diversi ambiti legislativi.

3 il Consiglio adotta le decisioni relative al mercato interno votando a maggioranza qualificata, e non all’unanimità.

4 la riforma dei fondi strutturali per una politica di coesione economica più stretta tra le regioni europee.

5 l’introduzione di norme in materia di politica dell’ambiente e di ricerca scientifica e tecnologica e di cooperazione in politica sociale

6 il Consiglio europeo, nato dalla prassi della cooperazione tra Stati membri e non previsto nel Trattato di Roma, è ora inserito nel corpo del trattato quale organo di indirizzo politico e di impulso all’azione della Comunità.

Il 7 febbraio 1992 i capi di Stato o di governo dei Paesi membri firmano, nella cittadina di Maastricht, nei Paesi Bassi, il Trattato istitutivo dell’Unione Europea (UE) che entrerà in vigore il 1° novembre 1993.

Il Trattato di Maastricht segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni sono prese nel modo più trasparente e più vicino possibile ai cittadini. Con il Trattato sull’Unione Europea, è istituita la cittadinanza dell’Unione Europea, vengono poste le basi per l’ unione economica e monetaria, e vengono altresì introdotte nuove competenze in materia di industria, sanità pubblica, educazione e cultura.

La volontà degli Stati membri di estendere l’azione della Comunità ad ambiti non solamente economici, è resa evidente anche dal cambiamento del nome dell’originaria Comunità economica europea ora sostituita dalla Comunità europea - Ce. Con l’Unione Europea si aggiungono il secondo e il terzo pilastro, cioè la competenza nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune - Pesc, e la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni - Cgai. E’ da questo momento che l’Unione Europea viene metaforicamente raffigurata come un tempio greco, sorretto da tre colonne (pilastri), dove il primo pilastro simboleggia le tre comunità Ce, Ceca ed Euratom e il loro funzionamento secondo il metodo comunitario (le decisioni sono adottate dalle istituzioni comuni), mentre il secondo, la Pesc e il terzo, la Cgai, funzionano attraverso il metodo integovernativo.

Con l’Unione Europea le Comunità non sono sostituite, ma associate, sotto un unico tetto istituzionale, alle nuove «politiche e forme di cooperazione». Una specifica disposizione

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del Trattato di Maastricht stabiliva la convocazione nel 1996, di una Conferenza intergovernativa con il compito di proporre alcune revisioni ai trattati in vista dell’introduzione dell’Euro e delle sfide del nuovo millennio. Si arriva così, il 2 ottobre 1997, alla firma del Trattato di Amsterdam, che entrerà in vigore il 1 maggio 1999.

Con questo nuovo trattato,

1) i principi di libertà, democrazia e rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo sono formalmente consacrati nell’ambito dell’Unione;

2) sono introdotti nuovi capitoli interamente dedicati all’occupazione, alla politica sociale e alla tutela dei consumatori;

3) le missioni umanitarie e per il mantenimento della pace rientrano nelle priorità dell’Unione. E’ istituito un nucleo di valutazione politica per l’individuazione delle zone a rischio.

4) è istituito l’Alto rappresentante della Pesc;

5) viene introdotta la possibilità di dar vita alle cosiddette “cooperazione rafforzate”. Ciò significa che alcuni Stati membri (almeno la metà), nel rispetto del quadro istituzionale comunitario, potranno dar vita a forme di integrazione più strette nelle materie di competenza non esclusiva dell’Unione;

6) L’accordo di Schengen sulla creazione di uno spazio senza frontiere interne è inserito nel corpo del Trattato;

7) Quasi tutti i settori del terzo pilastro vengono ricondotti al primo, cioè vengono sottratti al metodo integovernativo e ricondotti al metodo comunitario. Il titolo VI del TUE diventa “Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

Il Trattato di Nizza, il cui accordo fu raggiunto al termine della Conferenza intergovernativa tenutasi nella cittadina francese il 7 - 11 dicembre 2000, fu poi firmato nella stessa città, il 26 Febbraio 2001, ed entrato in vigore il 1° febbraio 2003.

Questo Trattato si è occupato principalmente delle riforme istituzionali necessarie per migliorare la “governance” e il buon funzionamento delle istituzioni europee in vista del più grande ampliamento della storia comunitaria: l’allargamento ai Paesi dell’Europa centrale e orientale. Il lavoro svolto a Nizza, pur rappresentando un passo in avanti, non è considerato sufficiente a garantire la governabilità dell’Unione e a far fronte alle sfide e alle responsabilità dell’Europa nel mondo. Il 7 dicembre dello stesso anno, sempre durante la Conferenza intergovernativa del vertice di Nizza, il Presidente del Consiglio, il Presidente del Parlamento europeo e il Presidente della Commissione europea, hanno proclamato solennemente la Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

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La Carta riunisce in un unico testo i diritti fondamentali dell’UE, avendo così il merito di rendere immediatamente visibili e fruibili tutti i diritti di cui può disporre il cittadino europeo. I diritti sono raggruppati in sei categorie, poste sullo stesso piano: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia. Gran parte dei diritti contemplati nella Carta erano già tutelati, nell’ambito dell’Unione Europea, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, in quanto principi fondamentali dell’ordinamento comunitario e conformi alle tradizioni comuni degli Stati membri. Ora con la Carta il riferimento vi è anche un esplicito riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Cedu, firmata a Roma il 4 Novembre 1950.

La Carta non è stata, però, inserita nel corpo del Trattato di Nizza e per questo non ha, in quanto tale, un valore giuridico vincolante. A Nizza è stato avviato anche un ampio dibattito sul futuro dell’Unione Europea. Così al Trattato è stata allegata una «Dichiarazione sul futuro dell’Unione» che evidenzia quattro temi fondamentali su cui riflettere:

1) la semplificazione dei trattati su cui si fonda l’Unione Europea;

2) la delimitazione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri;

3) lo status della Carta dei diritti fondamentali dell’UE

4) il ruolo dei Parlamenti nazionali nel funzionamento dell’Unione.

Nel 2001, nella cittadina belga di Laeken, i capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’Unione Europea, hanno convocato una “Convenzione europea”, cioè una grande “commissione” incaricata di preparare un testo di riordino dei trattati europei esistenti, composta dai rappresentanti dei governi degli allora quindici Stati membri e dei dodici Paesi candidati, dai rappresentanti dei rispettivi Parlamenti nazionali, dai rappresentanti del Parlamento e della Commissione europea, da tredici osservatori del Comitato delle regioni e del Comitato economico e sociale e da osservatori delle parti sociali europee.

Dopo 15 mesi di lavoro serrato, tra febbraio 2002 e giugno 2003, la Convenzione ha approvato, per consenso, un testo denominato «Progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa». Il progetto è stato consegnato alla Conferenza intergovernativa, a cui compete la decisione finale. I lavori della Conferenza intergovernativa si sono conclusi il 29 ottobre 2004 a Roma, con la firma da parte dei rappresentanti dei governi degli Stati membri del «Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa». Quest’ultimo Trattato, chiamato anche ” Costituzione europea”:

1) sostituisce l’insieme dei trattati esistenti con un testo unico, soddisfacendo così una sentita esigenza di semplificazione;

2) riduce sensibilmente il ricorso al voto all’unanimità nelle decisioni del Consiglio, rideterminando il peso degli Stati per le votazioni a maggioranza qualificata.

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3) incorpora la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea che, di conseguenza, assume pieno valore giuridico;

4) estende il coinvolgimento del Parlamento europeo nel processo decisionale dell’Unione;

5) istituisce un Ministro degli Affari esteri;

6) prevede una presidenza stabile del Consiglio europeo;

7) riconosce in un modo esplicito la prevalenza del diritto dell’Unione sul diritto nazionale;

8) prevede un diritto d’iniziativa legislativa popolare.

L’entrata in vigore della Costituzione è subordinata alla ratifica da parte di tutti gli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali. Diciotto dei ventisette Paesi membri dell’Unione hanno già ratificato il “Trattato costituzionale” ma, nei referendum tenuti in Francia e nei Paesi Bassi, il 29 maggio e il 1º giugno 2005, la maggioranza degli elettori ha votato “no” alla ratifica della Costituzione. A fronte di questi risultati, il Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005 avviò un periodo “di riflessione”, da utilizzare anche per dibattiti e chiarimenti. Il processo di ratifica da parte degli Stati membri non è quindi stato abbandonato.

Nel 2007, in occasione della celebrazione del cinquantesimo anniversario dei trattati di Roma, gli Stati membri adotteranno una dichiarazione politica per illustrare i valori e le ambizioni dell’Europa e per confermare l’impegno condiviso di produrre risultati concreti.

La Presidenza portoghese dell'Unione europea ha compiuto un passo importante verso il raggiungimento di quello che è l’obiettivo principale del suo semestre, vale a dire la stesura di un nuovo Trattato entro ottobre 2007. E' stata inaugurata a Bruxelles la Conferenza intergovernativa (CIG) 2007, il cui obiettivo è definire il testo che emenderà i principali Trattati in vigore. Seguendo, infatti, il mandato assegnato dal Consiglio europeo del 21 e 22 giungo scorsi, i rappresentanti dei 27 Stati membri saranno chiamati a redigere un nuovo Trattato di riforma del Trattato sull’Unione europea e del Trattato che istituisce la Comunità europea. Visto anche il carattere dettagliato dell’accordo raggiunto all’ultimo summit europeo, la rapidità dei lavori sarà uno dei principali tratti della CIG. Essa dovrebbe realizzare il suo obiettivo entro il 2007 in modo da garantire tempi sufficientemente lunghi per la ratifica del nuovo Trattato, che dovrà entrare in vigore prima delle prossime elezioni del Parlamento europeo previste per il giugno 2009. Come avvenuto per le precedenti modifiche dei Trattati, anche l’attuale CIG sarà condotta sotto la responsabilità generale dei capi di Stato e di governo dei 27, assistiti dai membri del CAGRE. È prevista inoltre la partecipazione di un rappresentante della Commissione e di tre membri del PE. Ad assistere i lavori fornendo il necessario supporto organizzativo sarà, come sempre, il Segretariato generale del Consiglio dell’Ue.

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Senza perdere tempo, la Presidenza ha già predisposto e fatto circolare un progetto di Trattato che sarà sottoposto alla discussione della CIG 2007. La parte centrale del testo è composta da 145 pagine, alle quali se ne accompagnano quasi altrettante (132) di protocolli e dichiarazioni (che in totale saranno rispettivamente 12 e 51). Confrontato con le 475 pagine del progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, respinto dai referendum francese e olandese e definitivamente abbandonato dall’Ue il mese scorso, il nuovo Trattato dovrebbe essere più piccolo, ma non sostituirà integralmente i Trattati precedenti, come intendeva fare la Costituzione. Per garantire la velocità e l’efficienza della CIG, la Presidenza è determinata a puntare sul carattere tecnico dei negoziati.

Secondo gli analisti, infatti, le trattative verteranno principalmente sugli aspetti giuridici, in modo da non aprire questioni su cui si potrebbero consumare rotture che potrebbero compromettere il consenso raggiunto sotto la Presidenza di turno tedesca. Sotto tale profilo, sembrano rassicuranti le ultime dichiarazioni del governo polacco che ha fatto un passo indietro rispetto alle richieste di rivedere l’accordo di giugno per quanto riguarda il meccanismo di voto. L’attenzione sarà altresì puntata sul governo britannico del neo-premier Gordon Brown, che vigilerà al rispetto delle “red lines” tracciate dal suo predecessore Tony Blair. “Dobbiamo agire velocemente ma con attenzione. È giunto il momento di completare questo lavoro e concentrare le nostre energie sulla presentazione di risultati concreti ai nostri cittadini”.

Queste sono le parole con cui il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, ha salutato l’apertura della CIG 2007. Nella sua precedente comunicazione al Consiglio, la Commissione aveva valutato positivamente l’accordo e il mandato conferito alla Conferenza. I punti contenuti in tale mandato sono irrinunciabili di fronte alla necessità di rispondere alle sfide di un mondo in cambiamento e di adeguare le istituzioni ed i meccanismi decisionali dell’Ue per garantire un’Europa più efficiente e più efficace ma, al contempo, più democratica e trasparente.

3. EVOLUZIONE POLITICA NELLA COSTRUZIONE EUROPEA

Il primo periodo, cioè quello costitutivo , è un esempio di come siano state divergenti le finalità e le considerazioni della politica e del diritto. Dal punto di vista giuridico è stato un periodo fondamentale che ha dato l'avvio ad una formazione dell’ ordinamento costituzionale ed ha gettato le basi per uno sviluppo federale dell’ Europa. Dal punto di vista politico, invece, questo periodo è da considerare il più basso della sovranità decisionale. In questo periodo la Corte di giustizia fissa i quattro principi che hanno dato inizio alla costituzionalizzazione dei trattati.

Nel campo politico, invece, si assiste ad un indebolimento delle strutture soprannazionali, e per alcuni aspetti si giunge quasi a livelli di ingovernabilità. Ma tra questi due aspetti esiste un equilibrio. Gli Stati presero il controllo del procedimento decisionale comunitario, malgrado il trattato prevedesse, forti elementi sopranazionali, e affidarono un ruolo chiave ad istituzioni, come la Commissione, la quale esercitò le proprie funzioni in modo indipendente dagli Stati membri e con lo scopo di perseguire l’ interesse della

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Comunità; tra le sue funzioni, varie, sono da annoverare il diritto esclusivo d’ iniziativa legislativa e il controllo sull’ applicazione ed esecuzione dei trattati e del diritto comunitario.

Il procedimento di adozione legislativo era sovranazionale, poiché il trattato prevedeva , dopo un periodo transitorio, il passaggio dal voto all’ unanimità a quello a maggioranza. Intanto si assisteva ad una lenta crisi della Commissione, ad un ruolo sempre crescente assunto dagli Stati e alla istituzione di nuovi organi come il Consiglio Europeo, che, pur non previsto dal trattato, assumeva un ruolo fondamentale nella determinazione dell’ agenda politica. La pressione degli Stati , per interessi nazionali, cresceva sempre più, fino ad esplodere con la crisi del 1995 e il compromesso di Lussemburgo, il quale affermava che, nel caso di decisione a maggioranza su interessi di uno o più Stati, i membri del Consiglio avrebbero dovuto raggiungere nel tempo un accordo comune. Con il quasi abbandono del voto a maggioranza la ricerca del consenso si rese più difficile.

Questi due sviluppi politico-giuridico sembrerebbero una contraddizione ; in realtà poggiavano su di un equilibrio: “l’ interpretazione del trattato in senso federale fatto dalla Corte, era bilanciata da uno sviluppo politico di tipo confederale”. Secondo il Weiler è stato il crollo della sopranazionalità decisionale a permettere agli Stati di accettare questo processo di costituzionalizzazione. Infatti con la sospensione del voto a maggioranza e l’ istituzione di nuovi organi intergovernativi si ridussero i rischi di questo sviluppo giuridico. L’elevato livello di integrazione simile a quello degli Stati federali avrebbe. dovuto indebolire gli Stati membri; invece questi ne uscirono rafforzati; in teoria sarebbe dovuto accadere il contrario, ma non è successo e questo in virtù dell’ unicità del sistema comunitario europeo e del suo equilibrio interno.

“Questa caratteristica - afferma il Weiler - aiuta a spiegare l’ unicità e la stabilità della Comunità... che ha conseguito un livello di integrazione simile a quello degli Stati federali classici... senza minacciare i propri Stati membri...”1. Il procedimento di adozione legislativo era sovranazionale, poiché il trattato prevedeva, dopo un periodo transitorio il passaggio dal voto all’unanimità a quello a maggioranza. Intanto si assisteva ad una lenta crisi della Commissione, ad un ruolo sempre crescente assunto dagli Stati e alla istituzione di nuovi organi come il Consiglio Europeo, che, pur non previsto dal trattato, assumeva un ruolo fondamentale nella determinazione dell’ agenda politica. La pressione degli Stati, per interessi nazionali, cresceva sempre più, fino ad esplodere con la crisi del 1995 e il compromesso di Lussemburgo, il quale affermava che, nel caso di decisione a maggioranza su interessi di uno o più Stati, i membri del Consiglio avrebbero dovuto raggiungere nel tempo un accordo comune.

Nel secondo periodo, considerato fase di stallo, si sviluppa un nuovo mutamento costituzionale che consente una vera espansione delle competenze. E' il vertice di Parigi del 1972 che introdusse un programma di espansione delle competenze della Comunità e il rinnovo di un sogno di un’Unione Europea. Ma il sogno fallì perché la Comunità non

1 Weiler “la Costituzione dell'Europa” , pg. 77

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raggiunse alcun accordo su questioni importanti , interessandosi di questioni secondarie. Nel vertice di Parigi si decise di applicare in modo sistematico l'ari. 235 (oggi 308) del trattato, il quale prevede che: “quando un’ azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere... uno degli scopi della Comunità, senza che il trattato abbia previsto i poteri di azione a tale scopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’ unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento, prende le disposizioni del caso”2.

4. IL SENSO DI APPARTENENZA

Il 2007 è l’anno del 50° anniversario dell'Europa. Questa potrebbe essere l'occasione per celebrare successi e risultati raggiunti ma anche per proiettare la nostra visione sui prossimi 50 anni di integrazione europea. Il 50° anniversario non è solo un momento celebrativo ma anche un'occasione per riflettere sull'identità che l'Europa dovrà assumere nell'ambito internazionale e nei confronti dei suoi cittadini. È vero che l'Europa è ed è sempre stata l' "Europa dei risultati". Libertà, pace, benessere, sicurezza, pari opportunità, solidarietà e protezione dei diritti umani e civili sono alcuni dei valori comuni attraverso cui è cresciuta un'Europa della speranza e delle opportunità.

Esiste un mercato comune, una moneta unica utilizzata in 13 Stati membri e stata fondata la potenza commerciale su un'economia sociale di mercato e su uno sviluppo sostenibile, creando una specifica "via europea”3. L'Unione europea ispira grande rispetto nell'ambito internazionale ed è in grado di esercitare un'influenza decisiva sul mondo, anche se la sua identità resta fragile. Sono in molti a identificare l'Europa come un continente alla ricerca di un obiettivo, senza avere un'idea chiara della meta da raggiungere. Quest'impressione è in parte dovuta all'interruzione del processo di adozione del Trattato costituzionale che avrebbe dovuto dare all'UE una presenza maggiormente identificabile a livello internazionale, un processo decisionale più snello e procedure più trasparenti, permettendo quindi ai cittadini europei di avere una visione più ampia della "loro" Europa. I successi attuali sono il risultato di una storia comune fatta di guerre, ma oggi le priorità devono essere costruite partendo da una nuova visione dell'Europa per una nuova generazione di europei che la guerra non l'hanno mai conosciuta.

La mondializzazione, il cambiamento climatico, la sicurezza e il fabbisogno energetico, l'immigrazione ma anche la trasparenza e la responsabilità verso i cittadini, figurano tra i temi più urgenti che dovrebbero costituire gli elementi innovativi di un nuovo trattato. I leader attuali devono adeguare il progetto dei padri fondatori alle realtà di un mondo moderno. "Ciò che unisce noi tutti è il senso dell'appartenenza all'Europa, come patrimonio comune di valori e di idee, di tradizioni e di speranze e come progetto di costruzione di un nuovo soggetto politico e istituzionale che possa far fronte alle sfide dell'epoca in cui viviamo e del prevedibile, futuro. (...) É tempo per l'Europa di uscire dall'impasse e non sarà possibile, dopo il grande allargamento senza una ridefinizione di

2 Weiler “la Costituzione dell'Europa” , pg.98 3 3 l'Unità, 19-03-2007, Editoriale di Margot WALLSTROM, vice-presidente della Commissione europea, “Quel senso di appartenenza”

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un quadro d'insieme dei suoi valori e dei suoi obiettivi e di una riforma dei suoi assetti istituzionali".4

Le parole del Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, pronunciate in seduta solenne nell'aula del Parlamento europeo il 14 febbraio scorso, racchiudono la posizione storica dell’Italia, Paese fondatore, attraverso il corso del processo di costruzione europea. È importante che l'Europa dovrebbe essere in grado di mantenere il suo ruolo storico e internazionale per, far, fronte alla sfida economica di un mondo globalizzato, per costruire una cittadinanza solida e per assumere le proprie responsabilità nei confronti dei cittadini. Come sarà possibile tutto questo? Tutto questo sarà possibile solo continuando e realizzando alcuni principi comuni fondamentali come l'integrazione, la coesione e l'inclusione. Tutti principi già decisi 50 anni fa e che oggi si può riproporre rinnovando il dibattito sul Trattato costituzionale per rafforzare le istituzioni europee raggiungendo i cittadini e contrastando ogni tendenza nazionale anacronistica.

5. UN BILANCIO A 50 ANNI DAI TRATTATI DI ROMA

Mercati integrati, euro forte, relazioni più solide tra gli stati: l'Europa è fatta, ma è ancora fragile e, politicamente, oggi è "morta". C'è ancora molto su cui lavorare, osserva a cominciare dalla politica estera comune. La situazione è abbastanza critica soprattutto nel definire la politica europea in rapporto agli Stati Uniti. È convinzione di tanti studiosi che l'Europa non sarà capace di costruire una politica estera, che in futuro noi possiamo arrivare, in quattro cinque anni a un trattato costituzionale, neanche ridotto, e non ritengono che saremo capace di avere una politica diversa da quella degli Stati Uniti.

Anche se il tema principale è un altro: come proteggersi e tutelarsi dal capitalismo mondiale proprio di fronte agli Stati Uniti. Negli anni 1945-1975, il mondo si è rapidamente sviluppato: la crescita era rapida, non c'erano crisi finanziare sistematiche, ma solo cadute. Dopo il '75, il mondo è profondamente cambiato: in Europa abbiamo iniziato ad avere lavoratori precari, disoccupati e poveri, la crescita si è indebolita e le crisi finanziarie si sono moltiplicate, con crisi anche violente; poi è venuta la crisi russa, la crisi del sistema monetario europeo, la crisi della new economy, ma sopratutto quella che ha fatto uscire tre monete (la peseta, la lira e la sterlina) dal Sme - per questo il fatto di poter adottare l'euro è stato formidabile, un miracolo.

Infine, c'è stata la crisi finanziaria asiatica. Ora, però abbiamo altri problemi: un massa di lavoratori precari e dì disoccupati e l'elettorato, in tutti i nostri paesi, si allontana dall'Europa perché crede che non serva a nulla, non la vede in condizioni di rispondere alle loro attese e questa non è una buona cosa. È importante, quindi, confrontarsi con il modello economico e finanziario degli Stati Uniti. A 50 anni dei Trattati di Roma tracciare un bilancio dell’Europa è difficile, nonostante i risultati già raggiunti, dall'euro alla riconciliazione tra gli stati, l'Unione è ancora fragile: non ha una politica estera e non sarà in grado di avere una Costituzione neanche tra cinque anni.

4 Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica italiana, discorso pronunciato in seduta solenne nell'aula del Parlamento europeo il 14 febbraio 2007.

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Oggi l'Unione europea è fatta, i mercati sono integrati e tutto, a livello economico e commerciale, si fa a livello europeo e non più solamente a quello dei paesi d'origine. Tutto questo è un grandissimo progresso. L’euro, soprattutto per i paesi che lo hanno adottato, ha messo al riparo l'Europa nel sistema mondiale ed è una protezione formidabile in questo momento. Questo è dovuto all'ottimo lavoro fatto in questa direzione. Anche la riconciliazione politica tra i paesi è stata fantastica: pensiamo ai rapporti tra francesi e tedeschi o alle relazioni tra rumeni e ungheresi. Insomma, l'Europa è una macchina formidabile. Ma ci sono anche molte cose che non si sono potute fare: non c'è una politica economica e finanziaria; l’Europa continua a non, avere una politica estera e il concetto di Europa politica è morto secondo me, ucciso poco alla volta dall'unanimità, necessaria in tutte le decisioni di politica estera. Ogni tanto ci si riesce, per questo oggi siamo abbastanza presenti in Medio Oriente senza armi e senza forze ma con la diplomazia.

Dal Manifesto di Ventotene alla bocciatura del Trattato Costituzionale: una crescita disomogenea. Adesso bisogna ripensare i rapporti con gli Stati Uniti e la Russia. Di storie dell'Europa comunitaria, dalla Ceca all'Unione, ne esistono tante. In genere sono noiose e destinate agli addetti ai lavori. Raccontare la Grande Avventura della costruzione europea come se fosse un romanzo, in effetti, non è facile. Sarebbe come pretendere di fare poesia descrivendo la progettazione e la costruzione di un'automobile o di un computer oggetti che hanno cambiato il mondo e la nostra vita, che producono sogni, ma che portano dentro di sé una complessità tecnica che alla maggior parte di noi sfugge, non interessa, appare arida e materia per il pensiero altrui: quelli che sanno e lavorano per noi.

Se dovessimo consigliare un libro che "spieghi" l'Europa come l'avventura che è stata e che è, diremmo di leggere l'autobiografia di un filosofo tedesco che si chiama Iring Fetscher, il quale, pur provenendo da una famiglia colta e antinazista, andò in guerra del tutto inconsapevole di assecondare così, comandando il reparto di artiglieria che gli era stato affidato, la storia dell'Europa com'era: il conflitto tra le potenze, l'inimicizia tra le nazioni, il fascismo e il totalitarismo. Quando ancora si contavano i morti e giravano per il mondo le prime immagini di Auschwitz, se ne andò su un'isoletta al largo della Provenza a studiare e a sognare il futuro insieme con i suoi coetanei francesi, dopo aver giurato,lui e gli altri, che non si sarebbero mai più sparati addosso.

Se dovessimo consigliare una biografia, sarebbe quella, più nota (ma comunque non abbastanza) di Altiero Spinelli dei suoi anni di esilio a Ventotene e del Manifesto che Spinelli, insieme con Eugenio Colorai ed Ernesto Rossi scrisse nel 1941, invocando l'unità dell'Europa proprio nel momento più duro della guerra, quando pareva che l'unificazione venisse imposta con le armi e con il sangue dall'esercito nazista che dilagava. Se dovessimo consigliare un'immagine, andremmo a cercare la foto in cui due grandi dirigenti politici, Frangois Mitterrand e Helmut Kohl, consumatissimi uomini di potere, si tengono ingenuamente per mano a Verdura, dove un milione di soldati tedeschi e francesi si ammazzarono sparandosi addosso nelle trincee della prima guerra mondiale. Forse è da qui che occorre ripartire per ragionare sull'Unione europea, il bilancio dei cinquant'anni passati, le prospettive dei prossimi.

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Sono passati pochi decenni dalla fine dei grandi massacri che per secoli hanno segnato l'Europa. Pochi decenni sono un nulla nella storia degli uomini Ma in questo briciolo di storia si è creata una realtà del tutto nuova che, per dirla nel modo più semplice, rende non solo impossibile ma impensabile che ci si possa far la guerra all'interno di quello strano, complicato, insoddisfacente, a volte frustrante, complesso di istituzioni che è l'Unione europea.

Mentre è possibile, e purtroppo ben più che pensabile giacché nei Balcani è accaduto, che in Europa, intesa nel senso geografico e non istituzionale, la guerra sia tuttora fra i conti da fare con la storia. Ancora, solo una quindicina di anni fa, a due passi da Trieste o chissà, domani, nel Kosovo o di nuovo in Bosnia. Adottare questa chiave di lettura aiuta molto poiché consente di rintracciare un fil rouge che è andato pian piano perdendosi, negli ultimi anni, tra gli egoismi, le paure e certe miserabili astuzie delle politiche nazionali e quella "stanchezza" dell'Europa, quel disincanto di cui emergono visibili tracce nei sondaggi, anche quelli commissionati da Bruxelles. La costruzione europea è stata sostanzialmente quattro cose: un processo di integrazione economia, dalla Comunità del carbone e dell'acciaio al mercato unico alla moneta unica; un processo di realizzazione di un modello sociale, che bene o male esiste ed è percepibile nonostante le resistenze e le mille obiezioni dei britannici e di quelli che Jacques Delois definì un tempo gli «ayatollah del liberismo» di tutte le nazionalità e tutte le scuole; un approfondimento della integrazione istituzionale, che è stato molto frenato ma che comunque alla lunga ha portato risultati con la creazione di ambiti sopranazionali di decisione politica; un allargamento che ha subito una forte accelerazione dopo la caduta del Muro di Berlino e dei regimi comunisti dell'est.

Se si cerca di guardare dietro le apparenze, si vedrà che gran parte delle difficoltà in cui, nelle varie fasi della sua storia, si è cacciata prima la Comunità e poi l'Unione è dipesa dalla mancata sincronia tra queste diverse esigenze. L'Europa è cresciuta à la carte (per dirla con un'espressione molto "in" a Bruxelles) rispondendo ora a questa ora a quella esigenza in un equilibrio variabile e sempre instabile con i governi dei paesi membri. E' mancata l'ossatura di una chiara percezione del senso politico dell'unità europea, la istituzionalizzazione (nel senso proprio della creazione di istituzioni) del grande valore politico della conciliazione postbellica L'Europa non è mai stata un disegno organico pensato come tale, nello stesso momento, con la stessa intensità da tutti i suoi protagonisti, a cominciare dagli Stati che aderivano al progetto. E' cresciuta disordinatamente. Forse perché la ritrovi, la sua anima, bisognerà in qualche modo tornare alle origini. Porre le grandi questioni che erano dentro il Manifesto di Ventotene, che nutrirono l'ottimismo del giovane Iring e furono la sostanza della riconciliazione franco-tedesca impersonata dal sentimentale ma onesto e coraggioso tenersi per mano di due grandi vecchi navigatori della politica europea.

La questione del "perché" dell'Europa, che va ben oltre le ragioni dell'economia, la questione della sua identità, che è ben altro l'affermazione della propria importanza nel mondo, la questione dei suoi confini, nello spazio e nelle competenze e del grado di democraticità con cui queste competenze vengono esercitate. Come amava dire il nostro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quando era presidente della Commissione

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istituzionale al Parlamento europeo, l'Europa deve ritrovare la capacità di «esprimersi in modo alto».

La discussione che sta faticosamente riprendendo intorno alla Costituzione (o al Trattato costitutivo, nella versione dei meno coraggiosi), della quale diamo qualche cenno qui sotto,è molto confusa, molto "Tecnica", decisamente poco appassionante, ma è almeno il segno che una qualche consapevolezza si sta facendo strada. I tempi della Storia non guardano, però, alle idiosincrasie dei governi, al dispiegarsi delle buone arti diplomatiche e neppure alla buona volontà e al lavoro di una presidenza di turno del Consiglio, per quanto impegnatissima come quella tedesca. La mancanza di Europa nel campo della politica estera e della sicurezza comune, nonostante i progressi fatti con una istituzionalizzazione restata però del tutto in mano ai governi nazionali, è un problema sempre più acuto in un mondo insidiato dai fondamentalismi, dal terrorismo e dai conflitti asimmetrici,tanto più complicato e multipolare rispetto agli anni della confrontation est-ovest. Lo schema che sembrò partorire dalla caduta del Muro di Berlino e dall'unificazione tedesca, un allargamento verso est in qualche modo guidato dalla Germania è clamorosamente in crisi e la creazione di rapporti speciali tra alcuni paesi dell'est e gli Stati Uniti (resi evidenti dalla decisione di accettare l'installazione dei sistemi antimissile) confonde in modo drammatico anche il sistema delle relazioni tra la UE e la Russia.

D'altronde un primo elemento dì crisi era stato introdotto proprio dai tedeschi, con la loro scelta di riconoscere con la Croazia il sovvertimento dell'ordine nei Balcani. E mentre si approfondiscono le diversità di giudizio sull'adesione della Turchia, sono prigioniere di una rete incredibilmente fitta e talvolta contraddittoria di sigle e di responsabilità le varie partecipazioni europee (Nato e non) alle missioni di pace e alle azioni di guerra. Insomma, la confusione è grande. Ma l'impressione è che, passando dalla storia dei cinquant'anni alle prospettive del futuro, l'Unione europea se vuole davvero essere all'altezza del suo ruolo, dovrà cominciare molto presto a discutere i suoi rapporti con gli Stati Uniti e con la Nato e a rivedere il sistema di relazioni con il mondo che si trova oltre i suoi fini orientali e meridionali: con Mosca (ma anche con l'Ucraina e la Bielorussia), con i Balcani occidentali. Con l'ispirazione delle origini e con una vera politica estera comune.

6. GLI ERRORI DA NON RIPETERE

Per dare un nuovo impulso al processo d'integrazione, per superare l'impasse della Costituzione e affrontare le sfide che la globalizzazione sta ponendo al nostro continente, i Capi di Stato e di governo dei 27 Stati membri si sono riuniti, nella primavere del 2007, a Berlino per celebrare i 50 anni dell'Unione europea. L'Europa riparte da Berlino. Nella capitale tedesca, in occasione dei 50 anni dell'Unione, i capi di stato e di governo dell'Unione hanno adottato una Dichiarazione destinata a sancire il rilancio della UE e la fine dell'impasse nella riforma istituzionale. Nella "Dichiarazione di Berlino" si fa appello alla difesa delle conquiste dell'Unione e al tempo stesso al "continuo rinnovamento dell'architettura dell'Europa in conformità all'evolversi dei tempi". "Cinquant'anni dopo la firma dei Trattati di Roma - è scritto nella Dichiarazione - noi siamo uniti nell'obiettivo di

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porre l'Unione europea, fino alle elezioni del parlamento europeo nel 2009, su una rinnovata base comune". Il documento - sul quale è stato raggiunto un faticoso consenso sul testo proposto dalla presidenza tedesca – è stato firmato dal cancelliere tedesco Angela Merkel, unitamente al presidente della Commissione europea Jose Manuel Barroso e a quello del parlamento europeo Hans-Gert Poettering.

La vigilia della firma è stata però caratterizzata da evidenti divisioni e difficoltà. Come dimostrano i documenti finali dei due più grandi gruppi politici europei diffusi al termine delle tradizionali riunioni del Pse e del Ppe. Neanche una parola sulla Costituzione europea nel testo dei popolari; grande enfasi sulla necessità di un nuovo Trattato in quella dei socialisti. Monta intanto la polemica sulle "radici cristiane" dell'Europa. Fa discutere il mondo politico italiano ed europeo il fermo richiamo del Papa sulla necessità di tenere nella dovuta considerazione queste radici. Un monito che ha investito prima Roma, aprendo un immediato dibattito politico, e che ha raggiunto con la stessa forza Berlino, dove i 27 cercano faticosamente di riallacciare le fila dell'integrazione proprio sulla base del Trattato costituzionale. Il Presidente del Consiglio Italiano, Romano Prodi, ha affermato: "Mi sono adoperato lungamente per introdurre il riferimento alle radici cristiane nella Costituzione europea non esserci riuscito non vuol dire però che il testo le disconosca. Ci sono momenti in cui bisogna chiudere con il passato. Ora serve una nuova laicità fondata sul dialogo". Per riprendere slancio, l'Europa deve innanzitutto capire le difficoltà, o gli errori, degli ultimi anni. Ce ne sono molti, ma mi limito a tre.

(1) L'Europa ha dimenticato il proprio passato. Il ricordo delle macerie della Seconda guerra mondiale e il desiderio di costruire un'area di pace e di stabilità sono stati, per anni, il motore della costruzione europea. Questo motore non c'è più, perché fortunatamente un conflitto europeo appare oggi assurdo. I cittadini europei hanno più difficoltà oggi a capire i vantaggi di stare insieme e di aderire a un progetto comune. Sembra che si siano dimenticati dei miglioramenti ottenuti grazie all'unificazione europea, anche quelli recenti. Eppure tutti gli indicatori, dalla crescita all'inflazione, mostrano che gli ultimi otto anni, cioè da quando c'è l'euro, sono stati nell'insieme migliori degli otto anni precedenti. Ad esempio, dal 1999 al 2006 sono stati creati nell'area dell'euro circa 13 milioni di posti di lavoro, contro meno di 3 negli otto anni precedenti. In Paesi come l'Italia, sembra che ci si sia dimenticati dell'inflazione a due cifre degli anni 70 e 80, degli alti tassi d'interesse, dei disavanzi pubblici in aumento, del debito pubblico più che raddoppiato negli anni 80, delle ripetute svalutazioni della lira, della crescita instabile, drogata dall'inflazione e dal debito. Vogliamo forse tornare indietro a quegli anni?

(2) L'Europa è stata troppo a lungo usata come capro espiatorio. Nonostante i miglioramenti ottenuti in questi anni, il disagio dei cittadini europei non può essere ignorato. A ben esaminarlo, però, questo disagio non è diverso da quello avvertito in altri Paesi avanzati, in Europa, Nord America o Asia, indipendentemente dalla moneta o dal sistema economico. Esso deriva dai grandi mutamenti che stanno avvenendo nel nostro pianeta, per effetto della globalizzazione e dell'innovazione tecnologica. Per affrontare queste sfide sono necessarie.

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(3) L'Europa ha smesso di pensare globale. I processi economici innescati dalla globalizzazione in atto stanno drammaticamente ridimensionando il ruolo dei Paesi europei. Nel 1980 la Germania, la Francia e l'Italia rappresentavano la 3°, 4' e 5' economia mondiale, rispettivamente, con circa il 6%, 5% e 3,5% del Prodotto lordo complessivo. In 25 anni queste quote sono scese progressivamente e, se proseguono le tendenze in atto, tra 25 anni i 3 Paesi, messi insieme, peseranno poco più del 6% dell'economia mondiale, quanto la sola Germania 20 anni fa, superati da Cina, India e forse altri. Se gli europei intendono governare, e non subire, i processi di globalizzazione nei settori del commercio, della finanza, dell’energia, e più in generale della politica internazionale, devono rendersi conto che le strutture decisioni nazionali non sono più adeguate. Solo attraverso il rafforzamento della capacità di azione europea, in particolare negli organismi internazionali, è possibile svolgere un ruolo leader.

Gli errori del passato mostrano la strada per il futuro: non dimenticare le radici, ma costruire sui successi ottenuti in questi 50 anni; non trasformare l’Europa in capro espiatorio delle nostre paure e fallimenti, ma dargli un ruolo per governare la globalizzazione5. Questo dovrebbe essere l’impegno dei 450 milioni di cittadini per dare un senso all’Europa dei prossimi 50 anni. Il fattore religioso nell’Europa contemporanea. Profondamente segnato da due grandi eventi storici, la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e l’attacco alle Torri gemelle a New York nel 2001, l’Occidente si è trovato a vivere questi anni in un clima culturale caratterizzato da una diffusa, anche se spesso vaga, ricerca del sacro. Questo fenomeno interessa in particolare l’Europa dove la dimensione religiosa dell’esistenza, fortemente posta in crisi dalla massificante propaganda antireligiosa nei Paesi dell’Est e dalla secolarizzazione dilagante che ha toccato le masse oltre che le élites nelle Nazioni dell’Ovest dell’Europa, la dimensione religiosa ha ripreso invece ad interessare sempre più la pubblica opinione.

Recenti statistiche attestano nel nostro Continente un risveglio della fede in Dio ed anche della rivendicazione dell’appartenenza identitaria alla cultura cristiana, anche se si distingue fra believing, belonging e behaving e cioè tra fede, appartenenza confessionale e comportamento etico6. Va subito notato che per alcuni – si tratta per la verità di una minoranza; la religione occupa uno spazio eccessivo nella vita pubblica: per essi qualsiasi riferimento al dato religioso suscita un rigetto, che talora è violento. Qualcuno ha scritto che il loro atteggiamento può essere paragonato a quello, nella corrida, del toro dinanzi al drappo rosso. Per loro far credito alla Chiesa Cattolica equivarrebbe a „ghettizzarsi” in un‘istituzione ormai superata e quasi in via di estinzione. Grazie alla vasta eco dei mass media, la cultura del secolarismo appare in Europa dominante e c’è chi si batte con ogni mezzo perché la religione sia considerata come una scelta meramente privata, ininfluente nella vita della società.

5 Lorenzo Binismaghi, membro del Comitato esecutivo della Banca Europea Centrale, Corriere della Sera, 22 marzo 2007, pag. 48, i 50 anni dell’Europa. 6 Il fattore religioso ed il futuro dell'Europa, CRACOVIA. Discorso pronunciato a Cracovia (Polonia), il 15 settembre, dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, all'Inaugurazione della sessione di studio su “Il fattore religioso ed il futuro dell’Europa”.

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A ben vedere, tuttavia, non appare per nulla facile separare l’esigenza spirituale dalle coscienze delle persone e dal senso comune. Inoltre, non è senza ostacoli il processo di secolarizzazione: se è vero infatti che talune forme di de-istituzionalizzazione della religione (believing without belonging) vanno diffondendosi in alcune zone dell’Europa, non avviene la stessa cosa altrove. In presenza di un fenomeno così complesso, che caratterizza l’epoca post moderna che stiamo vivendo, è legittimo domandarsi se ci si avvii verso la fine di un’Europa dove vaste e profonde sono la cultura e la spiritualità cristiana e se ci si debba preparare al trionfo della secolarismo. La domanda che riemerge è la seguente: “Quali sono in definitiva la portata ed il «valore aggiunto» che la religione – mi riferisco in primo luogo al Cristianesimo – possono apportare alla costruzione dell’Europa di oggi e di domani?”

Papa Benedetto XVI salutando i cinquanta anni dell'Europa ha ricordato che "serve equilibrio tra economia e società altrimenti rischia sotto il profilo demografico il congedo dalla Storia". L'Europa, dice il Pontefice nell'udienza ai vescovi riuniti a Roma per un Convegno sui Trattati europei, "ha percorso un lungo cammino" con la "riconciliazione" tra Est e Ovest, "arbitrariamente separati da una cortina di ingiustizia". "E’ sempre più avvertita l'esigenza di stabilire un sano equilibrio fra dimensione economica e sociale, attraverso politiche capaci di produrre ricchezza e di incrementare la competitività, senza trascurare le legittime attese dei poveri e degli emarginati"7. L'Ue salvaguardi "il diritto all'obiezione di coscienza ogni qualvolta fossero violati i diritti fondamentali", ha chiesto ancora il Papa affermando che l'Unione per essere "garante dello stato di diritto" e "promotrice di valori universali" deve "riconoscere con chiarezza" una "natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano". Il Papa invita i cristiani ad essere "presenti in modo attivo" nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, e ad "affiancare a tale impegno una efficace azione culturale". "Non piegatevi - li esorta - alla logica del potere fine a se stesso". In un'Europa che sembra voler negare la propria identità, "si inseriscono tendenze e correnti laicistiche e relativistiche, si finisce per negare ai cristiani il diritto stesso di intervenire come tali nel dibattito pubblico o, per lo meno, se ne squalifica il contributo con l'accusa di voler tutelare ingiustificati privilegi", ha detto ancora ai vescovi europei il Papa, esortandoli poi ad essere "presenti in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo". "Voi sapete - li ha incoraggiati - che avete il compito di contribuire a edificare con l'aiuto di Dio una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d'ideali e libera di ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo".

7. CONCLUSIONI

Mezzo secolo di pace, di libertà; di democrazia e di benessere. Sembra passata un'eternità dall'ultima guerra civile europea, dai suoi 4o milioni di morti, dalle sue devastazioni materiali e mentali. Due generazioni sono bastate a esorcizzare l'incubo, rimosso tanto da renderlo lontano, irreale. Come le guerre puniche, gli elefanti di Annibale sulle Alpi. La

7 Papa Bendetto XVI, marzo 2007, nell'udienza ai vescovi riuniti a Roma per un Convegno sui Trattati europei.

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riunificazione dell'Europa dopo la riunificazione della Germania, l'elezione di un Papa tedesco come un fatto del tutto normale dicono che l'Europa è guarita dalle ferite, ha messo a segno una success-story incredibile, senza precedenti. Ma dicono anche che per uscire dalla crisi di consenso popolare, di governabilità e di riformismo economico in cui oggi si dibatte, ha disperato bisogno di una nuova legittimazione ideale, identitaria e politica. Paradossalmente quella delle origini si è esaurita nell'ampiezza dei risultati raggiunti. Il mondo intanto è cambiato, la globalizzazione incalza, l'Europa è più necessaria che mai: ma in democrazia nessuna impresa umana può sopravvivere se non riesce più a convincere la sua gente.

I mutamenti introdotti a partire dal 1992 pongono l'Europa davanti a due nuove prospettive; quella unitaria e quella comunitaria. Queste due visioni, unitaria e comunitaria, hanno un medesimo punto di partenza; "condividono, dice il Weiler - un punto di partenza simile": "cercare una soluzione al tradizionale modello di relazione tra Stati nazione; modello che aveva generato scontri violenti, basti pensare alle due guerre mondiali. L' Europa cercò un nuovo modello che eliminasse i caratteri negativi degli Stati moderni. La visione unitaria prevede, attraverso tappe progressive d' integrazione sempre più stretta, una piena unione politica " sotto forma celi uno sorta di Stati Uniti d'Europa..., l'eliminazione dei nazionalismi degli Stati... , quindi la realizzazione di una unione politica organizzata su basi federali di governo8. La visione comunitaria si basa sulla condivisione della sovranità e sul riconoscimento della interdipendenza tra gli Stati. Questa visione non nega gli interessi nazionali, essi si aggiungono quelli della Comunità: una coesistenza, quindi, tra Stati e Comunità. L'Europa ha scelto di seguire la visione unitaria. Nel 2002 l'euro diventa realtà per 12 Paesi (oggi 13 con la Slovenia) insieme a una politica monetaria unica gestita da una Bce indipendente. Per convincete gli Stati a rinunciare alla sovranità esclusiva su moneta e infazione c'è voluto l'impensabile, la caduta del Muro di Berlino il 9 novembre dell'89 e poi la riunificazione tedesca, la resurrezione di Berlino capitale.

Uno shock per quasi tutti, soprattutto per la Francia di Mitterrand. La Germania di Kohl patteggia, l'Europa abbozza e incassa l'euro. Quel giorno la sua storia volta pagina: perché la riunificazione tedesca apre la strada a quella europea, ma soprattutto perché rompe l'equilibrio in seno all'asse franco-tedesco, la finzione della parità che era stato il motore nell'Unione. "Cresco ergo sum" diventa il mantra per affossare l'irrisolta crisi esistenziale francese senza più Grandeur. «La France c'est l'Europe» amava ripetere Mitterrand. Ormai invano. E così invece di riforme istituzionali prima e allargamento poi, si fa il contrario. Risultato: si esporta stabilità ma si importa instabilità. Nel maggio 2004 il big bang: entrano 8 ex-fratelli separati dell'Est, più Malta e Cipro. Poi nel 2oo7 Romania e Bulgaria. Troppe eterogeneità, troppe incomprensioni. Paradigmatiche le frattura su guerra in Iraq e liberalizzazione dei servizi. Si tenta di metterci una pezza con la Costituzione ma si sbaglia tutto, persino il nome magniloquante affibbiato all'ennesima riforma del Trattato.L'Europa intanto piomba nel torpore economico, i suoi cittadini temono tutto: disoccupazione e riforme, immigrati e liberalizzazioni, dumping sociale e fiscale, allargamento e globalizzazione. Sulla mitica dell'idraulico polacco" nel maggio

8 Weiler "la Costituzione dell'Europa", pg.157/158

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del 2005 inciampa la Costituzione in Francia. Poco dopo è no anche in Olanda. Ricomincia una fase buia: per decidere qualcosa a 27 ci vuole una media di due anni in un mondo globale che invece corre a rotta di collo. La riforma istituzionale è urgente ma per ora impossibile. Si spera di farla entro il 2009. In alternativa, o forse comunque, potrebbe staccarsi un nucleo di Paesi, la nuova Europa di pionieri alla ricerca di quell'unione politico-militare che finora è mancata ma che il mondo globale impone, se si vuole contare.

L'unione europea ha assicurato mezzo secolo di stabilità, pace e prosperità. Ha contribuito a migliorare il tenore di vita, a costruire un mercato unico europeo, ha introdotto una moneta unica europea, l'euro e ha consolidato la voce dell'Europa nel mondo. L'Europa è un continente con molte diverse tradizioni e lingue, ma condivide anche un patrimonio di valori comuni da salvaguardare. Essa dà impulso alla cooperazione tra i popoli d'Europa, promuovendo 1' unità nel rispetto della diversità e garantendo che le decisioni vengano prese il più possibile a contatto con i cittadini. Nel mondo del XXI secolo, caratterizzato da una sempre maggiore interdipendenza, diventerà sempre più necessario che ciascun cittadino europeo cooperi con i popoli di altri paesi in uno spirito di curiosità, tolleranza e solidarietà. Di buono ora c'è il ritorno della crescita economica, che di solito aiuta l'integrazione. Ma l'Europa non ha tempo da perdere. Perché, per dirla con Shakespeare, «se ancora una volta butterà via il suo tempo, poi sarà il tempo a buttarla via»9.

9 Corriere della Sera, 20-03-2007, Europa, un successo da rinsaldare. L'anniversario della firma di Roma suggerisce di accelerare la riforma istituzionale di Adriana Cerretelli

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BIBLIOGRAFIA

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50 anni d’Europa, Pubblicazione curata da Marcello Pierini, Europe Direct Marche, Università di Urbino “Carlo Bo” Luigi Marchegiani, CIDE Elisabetta Olivi, Rappresentanza della Commissione europea in Italia ISBN 88-901393-1-5 © 2007 Cide - Centro nazionale di informazione e documentazione europea, Roma.

Zygmunt Barman, “L’Europa è un’avventura”, Laterza, 2006.

Relazione Annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione Europea, 2006, Dipartimento Politiche Comunitarie, Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Archivi de: Il Sole 24 Ore, Il Corriere della Sera; La Repubblica

Joseph H.H. Weiler : “il sistema comunitario europeo”, il Mulino 1985.

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SALVATORE BARRESI - profilo professionale - Sociologo Economista, nato a Crotone il 2 giugno 1961, coniugato con 3 Figli. Giornalista e Saggista. DIACONO permanente Arcidiocesi di Crotone – S. Severina con studi di Teologia presso l’Istituto “Unus Magister”. Laureato in Sociologia indirizzo Economico in Logiche Sociali e Organizzative dell'Economia e del Lavoro alla Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo". Laureato in Scienze Industriali - indirizzo Economico Aziendale, Università Libera e privata di SERSI Herisau (CH); ha conseguito il Master WAUC World Association of Universities and Colleges e il Master in Europrogettazione presso la Venice International University promosso dall`AICCRE Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa. Ha conseguito il Master in Management delle Organizzazioni Non Governative e NON Profit dell'ASVI Agenzia nazionale per lo Sviluppo del Non Profit. E' Consulente di Direzione Certificato (CMC) riconosciuto dall'APCO Associazione Nazionale Professionale dei Consulenti di Direzione e Organizzazione Aziendale. Ha conseguito il titolo di Responsabile Uffici Stampa della Pubblica Amministrazione. Ha partecipato al Corso per imprenditori programma di formazione imprenditoriale del Comitato per lo Sviluppo di Nuova Imprenditorialità Giovanile - Ministero del Mezzogiorno. Ha frequentato il seminario di Formazione "Etica ed impresa per lo sviluppo sostenibile" Scuola d'Impresa di "Etica e Economia" di Bassano del Grappa Vicenza; il Seminario internazionale EBN European Business Network su Dèveloppement de la Qualità dans le Centres d'Entreprise et d'Innovation; il Seminario sugli strumenti di politica industriale nel contesto della programmazione negoziata, Cantiere Nord-Sud fare Patto. Ha conseguito numerosi attestati di frequenza a corsi di aggiornamento e specializzazione quale quello delle ISO 9000 - Vision 2000 presso Quaternaria Fita Confindustria; quello sugli impatti dell'Euro nella gestione operativa delle PMI presso la Deloitte Consulting, IBM, Confindustria; quello relativo al corso per Responsabili Progetti Integrati Territoriali del Formez Progetto Sprint; quello di Esperto Internazionalizzazione delle Imprese presso Formez/Ministero Attività Produttive e quello relativo al Master Campus Cantieri del Dipartimento della Funzione Pubblica per Alta Direzione di Province e Comuni.