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COLLEZIONE ABRUZZESE DIRETTA DA. PASQUALE FABBRJ IJ-KANOE3CO SA.VIN1 Lungo la straòa ferrata Òa Giulianova a Teramo -^ sloriche e5 aneòofiiche) SERIE 11. NUM. 3 -; G. FAliBKL -

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COLLEZIONE ABRUZZESEDIRETTA DA. PASQUALE FABBRJ

IJ-KANOE3CO SA.VIN1

Lungo la straòa ferrataÒa Giulianova a Teramo -^

sloriche e5 aneòofiiche)

SERIE 11. N U M . 3

-; G. FAliBKL -

FRANCESCO SAVIKÌ

mi':&:i.

Lungo la straòa ferrataÒa Giulianova a Teramo

(Note storiche eò aneòottiche)

CASA EDITRICE G. FABBRI, TERAMO-ROMA

i • el giugno del 1884. fra il lieto saluto delle po-polazioni della provincia di Teramo si inaugu-rava, solennemente il tronco ferroviario, - rimastodolorosamente, e forse per una deplorevole incuriadei nostri maggiori, tuttora tronco, ed unico tronconella provincia, ~ che allaccia Teramo alla linea fer-roviaria così detta adriatica, attraversando ridentiplaghe e facendo capo a Giulianova.

Fu allora che, nella comune gioia, il comm.Francesco Savini, che, oggi, per la sua dottrina èprecipuo vanto di questa nostra terra, d'Abruzzo y

diede alle stampe, pregato da egregi nostri concittadini consci del valore già allora vastamente di-mostrato dal Savini, questa succinta e chiara rac-colta di notizie storìche ed aneddotiche sulla stradaferrata Giulianova-Teramo.

« Qualche tempo fa, — diceva l'autore nellabreve prefazione apposta alla prima edizione di queste notizie —pensando alcuni di dare alla luce nel-l'occasione dell'apertura dell» WWOW strada ferrata

. e -che da Giulianova mena a Teramo, un breve itine-rario tecnico storico de' luoghi che su quella vias'incontrano, ebbero la stranezza di addossare a meil peso d'illustrarne la parte storica ed aneddotica.

« Io Vaccettaì ma con l'intenzione di fornir sol-tanto una porzione della materia grezza al laveròdi que' valentuomini.

« Scombiccherato dunque alla meglio il fatto miolo porsi a chi me ne aveva dato l'incarico; maquella buona idea sfumò, siccome accade a tantealtre sue sorelle de' nostri giorni ed io rimasi conlo scartafaccio in mano che naturalmente buttai inun canto.

« Or ecco in questo mese, come un, fulminea del sereno, ci sorprende tutti la buona no-vella, che ormai aspettavamo non più in qua diSettembre, dell'apertura di questa benedetta stradaferrata, ed io, ricordatomi che possedeva una cosanon dico buona, ma opportuna al caso, mi pigliaila bega di cavarla dal buco, e, così come si trovava,di mandarla al palio.

« Ma vedi capriccio cWè il mio; un lavoro cosìabborracciato e buono solamente come materialeper l'abortito Itinerario, io ho il coraggio di pre-sentartelo in veste sì disadorna e scompigliata.

« Ma che vuoi, amico lettore ?« Da una parte il tener pronto lo scritto mi ten-

tava, dall'altra l'imminenza dell'inaugurazione del-la nuova strada non mi conceda spazio a peniten-za e molto meno ad acconciarlo in abito da festa,cosi io, senza pensarvi su più oltre, lo consegnai altipografo.

« Se dunque, caro lettore, queste ragioni ti gar>

- 7 -bano e tu degna di letttwa questo soritterello; seno, mandalo a far compagnia alle tante altre scon-ciature che infestano oggi il mondo letterario ».

Lo scritto invece, andato a ruta allora, ed as-sai apprezzato da quanti sentono il culto per i pa-trii ricordi, è divenuto via via raro, fino ad essereoggi addirittura introvabile poiché quelle poche bi-blioteche private che lo posseggono, lo tengono gelo-samente custodito.

Abbiamo creduto quindi far cosa grata ai no-stri lettori, ripubblicando queste note, tanto più oheil venerando storico, ci ha eonoess0 l'altissimo ono-re, di che noi lo ringraziamo, di rivedere le bozzedi stampa, apportando alla prima edizione, quellemodificazioni siano pur brevi, che ha ritenuto op-portuno, date le nuove luci, che massimamente peropera del comm. Savini stesso, si son fatte su molti punti che nel 1884 presentavano incertezze.

P. F.

Lungo la straòa ferrataòa G i u l i a n o v a a T e r a m o

dsI1E

I

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L'occhio di chi sulle ali del Tapore tra-versa l'amenissimo piano, che si stende

dal Salinello al Tordino e in mezzo a cuisorge la ridente altura di Giulianova, è col-pito dalla vista di una torre la quale postalunghesso la strada e ad un chilometro circaa settentrione dalla stazione di Giulia, signo-reggia maestosa quel piano. Essa di foggiaquadrata e fornita di quadruplice scarpa, dimerli e di piombatoi tuttora ben conservati,richiama alla memoria i tempi degli sbarchidei corsari sulle sponde adriatiche. Allor-quando nella metà del secolo XVI i paesimarittimi delle nostre contrade erano conti-nuamente minacciati dalle rapine e dalle vio-lenze di quei pirati, il Viceré di Napoli perla Spagna Conte di Toledo o, come altri sto-rici vogliono, 'il Duca di Alcalà, munì le im-boccature dei nostri fiumi (Vibrata, Salinello,Tordino, Vomano) di siffatte torri. Pose inol-tre in ciascuna di queste dei militi ed, una.

1- 12 -

colubrina, la quale coi suoi colpi doveva av*visare la costa dell'approssimarsi di qualchenave sospetta. Quella, che qui additiamo allosguardo del viaggiatore, è appunto la Torredel Sa lineilo,

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II

Quasi a cavaliere della descrìtta Torre esulla stessa eminenza di Giulianova fan

bella mostra di sé la Chiesa ed il Conventodi Nostra Donna detto dello Splendore. Taletitolo proviene dalla pia tradizione dell'appa-rizione, tra mille splendori di luce, della S.Vergine, accaduta in quel luogo ai 22 apriledel 1557 e narrataci dalla Cronica del San-tuario scritta nel seguente secolo dal P. Ca-pitilo Priore di questo.

I pii Giuliesi tosto vi eressero una chiesaed un Convento pei Celestini, il quale ultimofu quindi nel vegnente secolo XVII ingran-dito sotto gli auspici! del Duca d'Atri GiosiaIII di Acquavi va, che inoltre alle nuove fon-damenta appose la prima pietra e a sue spesenel tempio fece innalzare i cinque altari chetuttora vi si veggono. Altri oggetti preziosidi culto donarono le Duchesse Francesca Oa-racciolo, moglie del suddetto Giosia ed Eleo-nora Spinelli, sposa di Gio: Girolamo II. peraver questa partorito il suo primo figliuolo inGiulia,

Ogni anno, il 22 aprile ed ogni sabato ilDuca con tutta la sua Corte andava a ve-nerare la Vergine dello Splendore.

Nel 3^,07 ne furono scacciati i Celestini-ed ora poctji Cappuccini e la divozione sem-pre viva dei Giuliesi mantengono in questoSantuario fiorente il culto di Nostra Donna.

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eccoci alla Stazione di Giulianova edtreno si ferma nel piano sottoposto

a quell'ameno paese. Questo deve la sua fon-da/ione ed il suo nome a Giuliantonio Ac-quaviva Duca di Atri, il quale intorno al1470 vi trasferì gli abitanti del prossimo S.Flaviano, mezzo diruto dal Turbine ìtellorumet Calo graviore come ha la lapida scritta dalcelebre Campano, ed ora posta all'ingressoorientale di detta borgata.

Domina tutta questa la vasta Cupola dellaChiesa matrice di S. Flaviano, monumentocon singolare ardire fatto elevare dal predettoGiuliantonio, da architetto il cui nome restaignoto.

Di fianco a questo tempio e verso il marefu murato il palazzo ducale, ora in parte ro-vinato e in parte servente a varii usi, il quale,per parecchi secoli albergò gli Acquavi va eserbò un prezioso tesoro per la storia deinostri lughoi, l'Archivio ducale fino al 1798,

1 li -iiel quale anno andò in preda alle fiammeappiccatevi dai Francesi, allora invadenti ilEegno di Napoli.

IV

Alla stazione di Giulianova si lascia lagrande linea della strada ferrata meri-

dionale che corre da Bologna ad Otranto esi prende il nuovo tronco di quella che mettecapo a Teramo.

Percorso poco più di un chilometro, siscorgono in alto a destra alcuni avanzi chesono quelli del romano Castrum novum, dettonel medio evo San Fiumano e che fu abban-donato, come sopra si è narrato, intorno al1470. Lo stesso epiteto di novum ci addimo-stra esservi preesistito un altro castello, ciòche conferma il fatto del rinvenimento diopere embriciate al di sotto dei musaici ro-mani.

Del primitivo Castrwm si può attribuirela fondazione a qualcuno dei popoli che oc-cuparono il Pretuzio nei tempi anteriori aiRomani, siccome furono i laburni, i Siculi,gli Umbri, gli Etruschi, ma a uiuno di questicon certezza, essendo in ciò varie le opinionidegli storici.

Del novum invece, che dopo Interamnia(Teramo) fu la prima città (civitas la chiamainfatti la Tavola Peutingeriana) del Pretuzio,

- -18 -parlano Plinio, Strabene e Tolomeo; « tfitoLivio c'informa che divenne inoltre coloniaromana.

Tre grandi strade romane passavano aCastro: la Salara, la Metella e la Eaussa, dallaquale ultima probabilmente partivasi un ramoper Interamnia.

Vi fioriva altresì il commercio marittimo,ed argomento ne è il porto, di cui si continuaa parlare nelle nostre carte fino al secolo XII.Provano ancora l'importanza di Castro gliavanzi di colonne, di capitelli, di pavimantimarmorei, di urne cinerarie e di bagni conqualche superstite musaico.

Il tempo preciso, in cui Castro prese il no-me di S. Flaviano non si conosce, certo è

che nel secolo IX questa seconda denomina-zione era in uso, siccome si ha da un docu-mento del' 897 pubblicato dall' Ughelli nellaItalia Sacra (In Aprutin.}, e ciò dovè accaderesenza dubbio per la traslazioue del SacroCorpo di S. Flaviano da Costantinopoli aCastro, compiuta appunto nel suddetto secolo,giusta la comune opinione dei nostri storici.

Notevole nei secoli di mezzo era il tem-pio che serbava le ceneri del celebre Patriarcadi Costantinopoli, e moderni e valenti scrit-tori ne hanno discorso, siccome il Guidobaldi

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ed il Salazaro. Esso ebbe donazioni da Prin-cipi e da Vescovi e persi uo da Carlomagnonel secolo Vili, come mostra un documentodell'Ughelli, e fu sempre considerato nellaDiocesi apvutina come seconda Chiesa dopola Cattedrale di Teramo.

Di questo vetusto edilìzio nulla- rimaneoggi, si disputa anzi sulla sua precisa situa-zione; bensì nel medesimo S. Flaviano siserba tuttora un prezioso cimelio appartenutoall'antico e che consiste in un reliquario ar-genteo del 400 di squisito magistero.

VI

Un'altra Chiesa non meno memorabile dellaprecedente e che si presenta nel suo

prospetto, a sinistra dei viaggianti per la viadi Teramo sulla china del i'eminenza suddetta,è quella di S. Maria a Mare, chiamata vol-garmente dell' Ammuziata.

È anch'essa antichissima, sebbene la piùremota ed insieme certa menzione non vadaoltre 1108; ma sopratutto notevolissima è laporta maggiore riccamente ed artisticamenteintagliata probabilmente nello stesso secoloXII, e nella quale sono specialmente da os-servarsi i 18 quadretti con bassorilievi allu-sivi che corrono in giro sotto l'arco maggioree che hari dato materia di varie iuterpreta-zioui 8: dotti illustratori di questo tempio.

VII

In quanto alla storia di Oastel 8. Flavia-110 diremo che essa ci narra soltanto eventi

guerreschi o feudali. Così sappiamo che essodopo essere stato soggetto, nel secolo XIIimmediatamente alla Contea d'Abruzzo e neisecoli XIII e XIV in parte al Eegio Dema-nio ed in parte (il suburbio) ai Vescovi diTeramo (nel 1346 fu infeudato a Ludovicodi Tarante) fu dato nel 1382 in feudo agliAcquaviva, perciò intitolatisi conti di S.Flaviano.

In questa famiglia restò poi sempre finoall'estinzione del ramo primogenito dei Du-chi di Atri nel 1755, eccetto tre (se mal nonci apponiamo) brevi interregni nel 1390 92,cioè, quando se l'ebbe Luigi di Savoia Vice-re degli Abruzzi, nel 1362-64 in cui appar-tenne al celebre condottiero Matteo di Cupiiae nel 1708-25, nel qual periodo restò, sotto ilmoderno nome di Giulia, sequestrato nellemani della Casa d'Austria, alla cui domina-zione nel Regno di Napoli s'erano mostratipoderosamente avversi gli Acquavi v;i.

Vili

Fra gli avvenimenti guerreschi compiutisiin codesti siti accenneremo il furioso as-

salto sebbene infruttuoso che ebbero a patire

le mura di S. Flaviano nel I'<i89 dai baroniabruzzesi ribelli a Carlo II. d'Angiò, parteg-gianti per Pietro d'Aragona e capitanati daGualtieri di Sellante. Ma il più. celebre fu labattaglia dei 27 Luglio 1460 combattutasi conincerto esito tra i migliori capitani del temposulle sponde del Tordino e sotto le mura di8. Flaviano e narrata dal Fontano, dal Corio,dal Sansovino e dal Muratori. Il partito diEenato d'Angiò, aspirante al possesso delEegno di Napoli, aveva affidato le sue armial famoso lacopo Piccinino, mentre le gentidel re Ferdinando d'Aragona erano coman-•date da Federico di Montefeltro e da Ales-sandro Sforza. Questa battaglia recò moltedevastioni a S. Flaviano, che da queste nonpiù. si riebbe, finché gli abitanti non trova-rono una migliore sede nella nuova Giuliacirca un decennio dopo.

IX

M a tra i monumenti dell'antico S. Fla-viano ove porremo noi il Castello dei

suoi Conti, sì ricco di popolari leggende egià sede della più potente casata del Tera-mano? Esso, di cui non si hanno sicure tracce,dovè probabilmente ergersi sul punto più ele-vato di quella eminenza che oggi dicesi Ter-ravecchia, che abbonda di ruderi qui sopradescritti, avanzi della distrutta borgata. Or si

sa da tutti che ad ogni vecchio edilizio, èmassime agli sdruciti merli di una rocca feu-dale la fantasia popolare appicca la frangedi racconti terribili, misteriosi e talvolta an-che ridicoli, i quali non pertanto hanno spes-so il fondo di storica verità e quasi semprestretta relazione con le tradizioni popolari dialtre genti, siccome gli studii su di esse, orain voga, abbondantemenle dimostrano. Non èa dire poi se ai descritti ruderi manchi ilcorredo di simili tradizioni. È bene quindi,anche per l'utilità di siffatti studii, che noiraccogliamo le nostre. Notiamo frattanto chela più parte di queste si riannoda sulla per-sona di Giosia Acquaviva Duca di Atri, mor-to nel 1462, come quegli che fra i tre di suafamiglia, che furono signori di Teramo, tennepiù a lungo e più fortemente, che non fecerol'avo Antonio e il padre Andrea Matteo, ildominio di quella città. Narriamo dunque que-sti aneddoti siccome ci venne fatto udirli dallaviva voce del popolo e con tutte le inverosi-miglianze che sogliono accompagnarli. Unamattina il Duca (così indeterminatamente ilvolgo) andò a confessarsi presso i frati di uncerto convento; ma il guardiano, subitamentesmarritosi all'insolita richiesta, corre a con-sultarsi co' suoi confratelli. Tra questi si fatosto avanti il cuoco col mestolo in mano e,incoraggiando il superiore, si profferisce eglipronto alla bisogna e va ad assidersi nel con-

fessionario, ove aspettava il Duca. Questi m*cominciò l'accusa e le diceva grosse, ma ilmonaco gliele menava tutte buone; ad esem-pio: si professava colpevole di aver violatodelle donne e 11 buon laico gli rispondeva cheaveva con ciò arrecato a quelle graud'onore,quando poi rilevò di essere poco credente, ilnuovo confessore senza sgomentarsi lo rassi-curò dicendogli: « Oh! questo non è nulla, cicrederete in appresso ». Finalmente venuto ilmomento dell'assoluzione, il frate, trattosi didentro il manico il mestolo e brandendolosul p^o penitente a foggia di croce, ma senzache ei se ne avvedesse, pronunziò tra i dentiquesta nuova formula: « A te non importa, io11 on me ne curo, ti do l'assoluzione col cuc-chiaio pei maccheroni ». Ed il Baca mandatoassolto a quel modo si dovè partire pago del-l'indulgente frate — Ora dal convento pas-siamo al castello. — In una bella serata esti-va splende la luna sulle brune mura di que-sto ed il lago sottoposto s'increspa al lievesoffto dello zefflro e s'inargenta ai- raggi del-l'astro notturno. Il Duca sta al verone a go-dersi il fresco in compagnia di chi si credevauna sposa novella venuta a rendergli l'omag-gio debito giusta un diritto creduto dal po-polo. Ma sul più bello si sente egli ad untratto afferrar per le gambe da chi ei stimavadonna che era invece lo sposo così camuffatoe precipitar giù nelle onde del lago. Questo

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racconto ha però il suo fondamento storiconell'uccisione del Duca Andrea Matteo Acqua-viva, padre di Giosia, seguita in Teramo nel1407 per opera dei Melatini appunto per ca-gione di onore offeso, tanto più che il trave-stito della leggenda vuoisi un membro diuna famiglia discendente dai Melatini sud-detti. Anche il lago vien descritto dal Muziicome posto a pie del castello di Giosia inTeramo, ove si suppone accaduto Por narratoaneddoto. — Siamo ora alla sala da pranzodel Duca, ov'è apparecchiata una suntuosis-sima mensa, senza che però vi si scorga al-cuna vivanda; solo squisiti vini brillano ac-canto alle ricche stoviglie e una filza di carteè posta sopra un piatto. Arriva intanto uninvitato con ai fianchi alcuni fidi del Signoree senza tanti preamboli si sente ricantar daquesti, o mangiare quella minestra o saltarequella finestra. La minestra era quella filzacontenente un processo, che quell'invitato, ungiudice, aveva avuto l'ardimento d'instruirecontro il Duca e che poi, meschinello, dovèper crudele vendetta ingoiare. — Sentiamoneadesso un'altra ancor più crudele ed incredi-bile. Il Duca ebbe bisogno di un cappellonuovo ed affidò ad un tale l'incarico di com-prarglielo in una città vicina. Costui nel ri-torno imbattessi in un amico ch'ebbe vaghez-za di vedere il cappello ed inoltre la bizzariadi porse]o un niomepto in capo, Trascorsi pcn

- 22 -chi giorni da che il Duca aveva avute il nuovooggetto, fé' chiamare chi glielo aveva acqui-stato e mostrandogli sopra un tavolo, orribilea dirsi, una testa umana recisa con sopra uncappello, domandogli se riconoscesse quellatesta e quel cappello. E quei tosto ravvisòcon orrore il capo dell'amico suo, che per unistante aveva portato il cappello ducale. —Corre pure tra il popolo la novella che chiun-que passasse sotto la finestra del castello delDuca, quando questi vi fosse affacciato, do-vessa lì fermarsi col naso in aria, finché nonavesse da lui la licenza di proceder oltre. —11 racconto che segue tramanda un certo odoreda non doversi davvero porre sotto il nasodel delicato leggitore; ma per dar saggio al-tresì degli aneddoti ridicoli, citiamolo: Dopoun lauto desinare messer lo Duca faceva ilchilo tranquillamente sullo spianato del ca-stello, allorché gli venne veduto due villaniche di colà passavano. Egli li chiama a sé ecomanda ad un di loro di metter giù in suapresenza qualche cosa inesprimibile; queglisi schermisce in mille modi dal far ciò, il Du-ca vieppiù lo stringe, finché il compagno lopersuade dicendogli: « Da gusto al signore »Cede quei alla fine e compie l'opera e allorail Du^a rivoltosi all'altro gl'ingiunge d'ingol-larla. Non ci fu verso; lo -sciagurato, incal-zato a sua volta dal compagno a « dar gustoal Signore » dovè adempiere l'incredibile co-

ir•m

- 23 -mando. — Questa ohe viene è ancor pia mar-chiana. Il Duca da lungo tempo s'era datotutto all'ascetismo e non faceva che frequen-tar chiese e snocciolare avemmarie. Ciò ac-cadeva perché ei voleva rassicurare del can-giato tenor di vita un suo capitai nemico,che per tema dell'ira ducale aveva mutato(ii^lo. Questi rimase alla pania e tornò in pa-tria. Allora il Duca, avutolo nelle mani, glidisse eoa empia frase; « Mi hai fatto consu-mare uno staio di particele, gaglioffo, ma allafine hai dato nella rete». Segue ora un altroaneddoto non men badiale ed al tutto incre-dibile. Siamo ancora alla profanazione delSantuario. Il Duca curioso un giorno di sa-pere a quali dei famigliar} e vassalli toccassel'onor delle fusa torte per parte delle loromogli, ordinò al suo cappellano e confessordi queste che, allorquando a lui e ai detti fa-migliar! amministrasse la santa comunione,raddoppiasse l'amen della forinola dinanzi aquelli che di siffatto onore si trovassero in-signiti. Se non che il prete intonava a tuttiquell'antifona tra le più grandi meravigliedel Duca e venuta la volta di questo, an-che a lui scoccò il doppio Amen. Bi vollecascar dalle nuvole ed attaccò un sagrato. Mail cappellano di rimando fra i denti: « Nonc'è per O.... che tenga, anche tu sei del belnumero » — Ma basta degli aneddoti, chenon tutti §011 <ìa. narr-irs,i al pubblico colto e

- 24 -gentile e molti di essi vi richiamano alla me-moria le strane e crudeli follie dei Viscontie Sforza palesateci dai cronisti milanesi e dialtri signorotti italiani di que' tempi.

X.

Ma il castello di S. Maviano non è solrifiorito dalla feconda fantasia popolare

di simili novelle; esso è ricco altresì di fatticertamente storici. Qui invero tra i Melati nidi Teramo ed il Conte Antonio A cquaviva fumacchinato nel 1390 l'assoggettamento a co-stui di quella città che fu poi il seme ditante sventure e di tanto sangue, siccomenarrano gli storici teramani; qui fu delibera-ta dal duca Giosia nel 1430 l'impiccamento ditredici partigiani di Teramo, de' quali si diràappresso al luogo di 8. Maria dell'Arco; quipure maturò lo stesso Duca nel 1458 l'ucci-sione di uno dei tre messi teramani seguitasulle sponde del Votnano nel mentre si reca-vano a Napoli per ottener da Ferdinando diAragona la liberazione della loro città dal do-minio degli Acquaviva. Di qui pur movevanoper le loro molteplici imprese guerresche ilDuca Audrea Matteo Signor di Teraino e Vi-cario Pontificio di Ascoli, ed il figliuol suoGiosia che pur, tra le sue crudeltà, del restonon rare a' tempi suoi, fu vigoroso d'intellettopolitico e pieno di valqr guerriero e finì di

- 25 -peste a Celiino nel 1462 assediato dalle gentidi Ferdinando di Aratoria, di cui s'era fattoribelle. Le mura di questa rocca videro ancornascere o almeno crescere il Duca Giulianto-nio del suddetto Giosia, edificatore della nuo-va Giulia e strenuo capitano che perì glorio-samente nel 1481 assediando i Turchi in O-tranto, e il Duca Andrea Matteo III, nato daGinliantonio, non men valoroso nel maneggiodella spada che nell'uso della penna ed ami-co del Summonte, del Sannazzaro. ecc. Inomaggio alla verità storica chiuderemo que-sto paragrafo dicendo che se tra gli Acqua-viva v'ebbe de' crudeli e sanguinarii, de' qualiinvero in que' secoli non era penuria in Ita-lia, vi splendette una pleiade troppo più nu-merosa di personaggi insigni nella gloria, dellearmi e nella fama delle scienze e delle let-tere non meno che nelle più eminenti dignitàecclesiastiche e civili.

XI

Ma il treno mosso rapidamente dal vaporenon ci ha certo dato tutto l'agio neces-

sario a leggere le suddette storielle e noi, fat-ta già la curva sulla sponda sinistra del lor-dino, proprio sul teatro della battaglia del1460 di sopra accennata, ci troviamo, costeg-giando sempre quel fiume da una parte e dal-l'altra la strada rotabile da Giulia a Teramo,

- 26 -a vista dì due grandi ruderi posti al chilo-metro 4. e al di là di questa strada. Sonoavanzi di antichi sepolcri, da cui gli scrittoridi cose nostre hanno argomentato, sebbene amò d'ipotesi, l'esistenza di una via romanatra Interamnia e Cast min novum, 1) e de' qualiv'avea maggior copia nal secolo del Campano(XV), che gli accenna in questa foggia: « Extraurbera sepulcra, lapidesque itinerarii ». Que'nudi ruderi dominanti il bel piano di Giulianon potevano non destar nella fantasia popo-lare immagini di fate e di giganti. Se fossi-mo in Germania vi andrebbero unite tetre leg-gende di diavoli e di streghe: in Italia inve-ce, ove com'è limpido il ciclo così è serenal'immaginazione, siffatte rovine danno argo-mento a leggènde più liete. Così il nostro po-polo chiama quelle vecchie tombe « I passidel gigante Orlando » e vi fabbrica sopra laseguente fiaba. A' tempi delle fate viveva ilgigante Orlando, il quale era sì colossale cheil suo passo mirurava la distanza interposta

1) Questo notizia divenne certo nel 1873, allorchépresso Porta Collina rifilo scavarsi le fondamenta delnuovo palazzo pel Ministero delle Finanze, fu scovertauna lapide dottamente illustrata dal Hnlson, (Not degliscavi, 1896 pp. 87-99) la quale prova che la via Cecilia(diramazone della Salaria) esisteva già nel 117 avantiCristo e che da essa, fra il miglio ?8 e il 12'J, distacca-vasi una via laterale per Teramo " Jntaramnium vor-SUB,, cojne iyj si Jegge,

- 27 -tra l'uno e l'altro de' suddetti ruderi (sarà di200 o 300 metri). Un così enorme personaggioavrà fatto tremar la terra e gli abitanti diquesta; ma no: egli fioriva ne' beati tempi incui « etiam summi viri arabant terram » e sicontentava di lavorare il suo campo, postoappunto in queste contrade. Venuta la sera,egli scioglieva i buoi dal suo aratro, mettevaquelli ne' due taschini del panciotto e que-sto nelle tasche della giacchetta, e con que'gingilli addosso gli era agevole, mercé i suoipassi giganteschi, tornarsi ogni notte in Boina,dove avea stanza.

XII

Mentre noi audiam così novellando, la lo-comotiva ci ha già spinto tra il 6. ed

il 7. chilometro ove scorgiano a destra e pro-prio a ridosso della via rotabile un poggetto,nomato di S. Maria dell'Arco per esservi giàstata sopra una chiesina di questo titolo. Talluogo è memorabile ne' fatti storici delle fa-zioni degli Antonellisti e dei Melatiniani, chenel secolo XV riempivano la città di Teramodi stragi e d'incendii. Siamo nel 1430, allor-ché il Duca d'Atri Giosia di Acqua viva, dapochi anni signore di Teramo per opera deisuddetti Melatiniani e stanco di quegli ecci-dii, deliberò con terribil rimedio e degno intutto del fiero animo suo, far rinascere in Te-

• 28 -ramo la perduta pace. Chiamò egli quindinella cittadella della saddetta città alcunicapi Antonellisti, ch'erano stati assicurati atornare in patria a quell 'uopo con salvacon-dotto. Ciò arrecò indicibile disdegno ai Me-tinisti, che stimavano ormai abbattuto persempre l'avverso partito, e in particolar mo-do poi al loro c;ipo, Angelo di Cola Creilo,che si fece uscir di bocca queste audaci pa-role riferite dal Muzii nel patrio dialetto:« Orsù basta ci sta messo ti scacciare. » lidetto fu riportato ali'Acquaviva, che pensòvendicarsene a suo modo, ponendo a opera unferoce mezzo che valesse insieme e a torreogni cagione di dissidio e a incutere tal ter-rore negli animi, da impedire ogni ulteriorescoppio di ire partigiaue. Egli dunque, ognicosa dissimulando e dicendo di aver delibe-rato un modo efficace da ristabilir la concor-dia fra tutt'i cittadini, chiamò pel dì seguen-te all'imprudente parlar del Crollo in S. Fla-viano, ora Giulianova, da una parte il dettoCrollo con dodici suoi compagni, e dall'altraalquanti Antonellisti. Andarono infatti am-bedue le schiere in 8. Flaviano e Giosia lefé' porre in separati alloggiamenti, ma, giuntala mezzanotte, i tredici Melatinisti furono co-stretti a levarsi e ad incamminarsi sulla stra-da che menava a Teramo: pervenuti nelle vi-cinanze della sunnominata Chiesa di S. Ma-ria dell'Arco (sui cui ruderi esiste oggi qua

casa rurale dei Giordani di Teramo) su tre-dici forche, all'uopo erette su quell'altura, fu-rono tutti senz'nitro impiccati. Frattanto gliAntonellisti, nulla sapendo dell'accaduto, spun-tato il giorno si presentarono a Giosia, il qua-Jìe, senza permetter loro alcuna parola sulla^ragione di quella chiamata, benignamente gliIncorniate, dicendo loro soltanto, che per laJpa conoscerebbero il tutto e che per l'avve-

ìre tenessero la lingua in bocca. Si poserosi perciò senz'altro in cammino e a mezzoviaggio, si accorsero davvero di che si trat-va: arrivati iu Toraino non altro risponde-

a chi premurosamente gli interrogava,non uno stringere di labbra con due dita

pella mano. I parenti poi degli uccisi a quelli«he gli spronavano a vendetta, diceano: « Ohe

ivogliamo far noi che siamo spennati? » come^uccelli cioè a cui fossero state tarpate le pen-ne. Tal nome servì poi in seguito a chiamarei Melatinisti, mentre l'altra fazione degli An-

• tonelisti mutò pure l'antico nome in quellodi maszaclocclii. DÌ questa ultima denomina-zione non si conosce bene la causa; però unnostro moderno storico suppone derivare essada quei bastoni forniti iu cima di grosse te-ste, detti presso noi maszaclocche, delle qualicome armi erarisi probabilmente serviti gliAntonellisti nel lo frequenti lotte con gli av-versari. Di questo tragico avvenimento restatuttora una memoria in Teramo: uno degli

- 30 -Antonellisti, tornato sano e salvo in patria ètutto ancor pieno del terrore inspiratogli dallaveduta catastrofe, volle appiccare alle muradella sua casa, stabil memoria del consigliodell'Acquaviva, cioè del tenersi bene la linguain bocca. A tal fine fece egli scolpire sur unapietra due teste in profilo guardante»! l'unal'altra, con le lingue tirate fuori e trafitte daun compasso e con sopravi scritto in un car-tello; a lo parlare agi mvsura. La casa e lapietra veggonsi ancora intatte verso il mezzodella strada di Porta Romana in Teramo adestra di chi cammina verso la Porta.

XIII

Mentre l'immaginazione del viaggiatore èancor colpita dai tristi ricordi di que'

tempi feroci, il treno si arresta alla primastazione che incontrasi sul nuovo tronco eche chiamasi di Mosciano S. Angelo dal no-me del ridente paese che le torreggia a fian-co sur un ameno colle. Questo borgo, al pardi Giulia, fé' sempre parte, eccetto brevi in-terruzioni, de' vasti feudi degli Acqnavivaedanzi con la lapida tutt'ora esistente nella torredella sua matrice di 8. Angelo ci fornisce laprova più antica e più autentica che fin dal1397, che è l'epoca segnata nell'epigrafe, gliAcquaviva usarono il titolo di Buchi d'Atri.La torre, costrutta in bella e semplice formae i cui merli ci additano lo scopo precipuo

- ài -della difesa dei .suoi elevatori (gli abati beuedettini), servo tuttora a regger le campaneed è annoverata tra i monumenti d'arte nondispregevoli della provincia di Tèramo dalProf. Vincenzo Biodi (Mommi, abruzz.)

XIV

Nel tempo stesso, in cui noi teniam fissolo sguardo sul vago paese di Mosciano,

si presenta a quello un altro ridentissimo al-tipiano, posto alquanto al disotto di quel pae-se un po' verso Giulia e coronato da un edi-ficio sacro, donde si gode una delle più. bellevedute della regione teramana. Esso è la Chie-sa col Convento dei SS. Sette Frati, eretta suiruderi di un Fano romano, ed è ricordata findal secolo X siccome soggetta ai Benedettinidi Monte Cassino e immediatamente ai Pre-posti di S. Liberatore a Maiella. I monaci vigodevano anche il dominio feudale del Casa-le che v'era attorno e del prossimo territorio.Nel secolo XVI, partitisene i Benedettini, furestaurato il convento ad uso dei Minori Os-servanti per opera probabilmente del suo Com-mendatario Cardinale Ottavio Acquaviva Ar-civescovo di Napoli, munifico fondatore disacri edifizii in Napoli, Atri ed altrove. Po-scia la Prepositura de' SS. Sette fratelli (figlidi S. Felicita) fu sempre Commenda dei Car-dinali di casa Acqua vi va fino alla morte del-

- 32 -l'ultimo di loro nel 1788. II patronato altresìsin dal secolo XV appartenne a quella casa edurovvi fino al 1755, anno dell'estinzione delramo ducale di Atri. I minori osservanti vistettero fino ai nostri tempi ed ora la chiesaè affidata alla custodia di uno di que' fratied il Convento è in poter del Comune diMosciauo.

'XV

Fatta breve fcosta alla stazione di Mosciano_ il treno ripiglia rapido il suo cammino esempre più si addentra nella deliziosa e fe-race vallata del lordino, che divide quasi inmezzo il Pretuzio, nome antico della presenteDiòcesi di Teramo. Il Batinus di un testo >diPlinio (Hist. natur. lib. 3, oap. 13) divenneTrwtiiiwm e Turdinum ne' bassi tempi e Tar-dino nei più moderni; le sue sponde, e mas-sime la sinistra, son ricche di bella e variacoltura ed il viaggiatore erudito, mirandostìinpre all'intorno abbondanti oliveti e belleviti, rammenta i praetutia vina lodati da Pli-nio (lib. 14, cap. 6), annoverati da Dioscoride(lib. 5, cap. XII) tra quelli che praestant inItalia e i vitifero* agvos còlti dalla laboriosagioventù pretuziana cantata da Silio Italico(lib XV) Ora i nostri vini non hanno certola fama che godevano presso i Komani ed iGreci, ma il sempre crescente commercio de'

tnedesimi 0 la più razionale coltura ehe co-minciasi ad adottare per le nostre viti gio-veranno a far riacquistare a quelli l'anticareputazione. Abbiamo avuto appena il tem-po di dir ciò, che la locomotiva, fatti pochiminuti di strada, si arresta un'altra volta allaseguente stazione di Notaresco, posta peròsul Comune di Mosciano e propriamente sullacontrada di Selva dei Colli, ove siamo entratipassando il precedente ponte sul Bevano.Negli scorsi secoli era questa contrada divisain tre feudi: Colli, Spellino o Spoltino e Selvapana, siccome ci prova la mostra feudale av-venuta sotto i Normanni sullo scorcio del se-colo XII. Di Spoltino anzi restano ancoraavanzi romani consistenti in ammattonati aspinapesce, dolii, tegole, lucerne e monete, apochi metri a nord-ovest della Chiesa di S.Pietro detto perciò ad Spoltinum, della qualesi hanno memorie fin dal 1188 in una bolladi Clemente III. Gli Acquaviva di questi trefeudi fecero un solo, cui fu dato il nome diSelva de' Colli e che si estese dal suddettoBovano fino a Fossaceca, il cui ponte si passaimmediatamente dopo la stazione di Notaresco.Anche da questa il viaggiatore può scorgereun avanzo di sepolcro romano posto a destrae al di là della strada rotabile sulla spondadella prossima gora di mulino, e che servì alpar degli altri come indizio della strada roma-na del fiatino ai nostri storici (vedi sopra $ 11).

XVI

Se il viaggiatore vorrà qui scendere, vedrà,fattti pochi passi, in mezzo ad un tron-

co di strada rotabile volgente diritto al Tor-dino una stela di pietra mezzo cerosa dalleinteperie; non la prenda per carità per unsepolcro etrusco; giacché essa, con caratteriormai poco visibili, gli dirà che quel troncodi via mena a Notaresco, ove si arriva dopoaver guadato il fiume 1) e percorsa la collinasoprostante per circa sei chilometri. Questacollina e le contigue conponeano l'antico fe-udo di Oantalupo. Ne' secoli XII, XIII e XIVappare esso diviso in tre: Oantalupo, Blpa-grimaldi e Oordesco, e gli Acquaviva, che lipossedettero dalla metà del secolo XIV finoalla loro estinzione nel 1755; ne fecero unosolo, il quale ebbe anche in tempi più viciniil nome di Grasciano, che è oggi l'unico vil-laggio superstite sopra i detti tre territorii efaciente parte del comune di Notaresco.

XVII

Quest'ultimo paese è ora Comune e Man-damento e si disse già ne' bassi tempi

Lotaresco probabilmente da un Lotario suo si-gnore. Notisi però che anche oggi il popolopiù rozzo fa sentire, nel pronunziare il nome,

1) Da alcuni anni vi è un ponte in fabbrica.

l'antica iniziale. Ne abbiamo le prime notizie,già s'intende, feudali, come accade quasi sem-pre degli altri paesi della regione, nello scor-cio del secolo XII, quando appare dipenden-te da un Borello di Celiino. Nel secolo se-guente, e proprio nel 1279, sono baroni di Lo-taresco Arpino di Camarda e i Monaci del vi-cino Propezzano; dipoi Notaresco entra nelgran novero dei feudi di casa Acquavivà e viresta fino all'estinzione di questa nel 1757.

XVIII

Rifacciamo ora la strada e, discendendodall'erta, torniamo alla stazione di No-

taresco. Fatto buon tratto s'incontra la terza,che serve a Eipattone ed a Sellante, ne' qualipaesi conduce un tronco di strada rotabileche veggiamo a destra subito dopo aver per-corso uà paio di chilometri da essa Stazione.C'imbattiamo pria col picciol villaggio diEipattone, la cui robusta torre già feudale euna delle pochissime superstiti della nostraregione, attrae tosto i nostri sguardi. Essa cirammenta i suoi antichi baroni, primo tra'quali la storia ci presenta Attone Todino chedette ancora il nome alla terra: Ripa Actonis,e che comparisce nella celebre mostra dei feu-datarii ordinata dai Re Normanni negli ultimianni del secolo XII. Gli Acquavivà, i solitipadroni di quasi tutte le nostre contrade feu-

dalì, cominciano ad 'apparire, sebbene in-sieme con altri, signori di Eipattoue nell'altramostra del 1279 e quindi internamente ne'secoli seguenti insino all'estinzione del ramoducale di Atri accaduta nel 1757, eccettopochi anni degli ultimi del secolo XVI, ne'quali quel castello appartenne agli Scornatied ai Valignani di Ohieti.

XIX

Eccoci intanto a Sellante, ove arriviamo dopoun'ora di carrozza dalla stazione di Bel-

lante-Bipattone. Sellante nella citata mostradel secolo XII appare anch' esso soggetto alsunnominato Attone Todino, nel secolo se-guente appartenne a quel Gualtieri di Bei-lante che nel 1279 fu capo, siccome dicemmoal §8, dei baroni teramani ribelli a Carlo IIdi Angiò. Nel 1353 questo feudo, uno dei piùimportanti del Teramano, è già fregiato deltitolo di Contea ed è goduto da Pietro Sal-vacossa di Napoli. Non molto dipoi ne diven-gono, al solito, signori gli Acquaviva, chenel secolo XVI se ne intitolano Marchesi: di-sciolto il Marchesato e venduto per pagare icreditori di Giuseppe Acquaviva, Arcivescovodi Tebe, Io possedettero prima i Eiario nel1645 con titolo di Baroni, indi i Cattaneo diGenova dal 1647 al 1698, allorquando ritornòagli antichi possessori, i Buchi di Atri, chelo tennero fino alla loro estinzione nel 1755.

- sf. .xx

Ma lasciano i monti e ripigliamo il nostroviaggio nelle comode carrozze celere-

im-nte trasportate dalla forza del vapore sul-l'amena valle del Tordino. Toccato appena ilchilometro 16 scorgiamo a sinistra, pochi metridistante, un casolare imbianchito di fresco edi meschino aspetto, che cela però venerandemine ancora visibili or fanno pochissimi anni.Essi rammentano una delle più antiche epotenti Badie benedettine dei nostri luoghi,quella cioè di 8. Nicolo a Tordino detta co-munemente anche oggi di S. Atto. Nel 1004fu fondato il Monastero e addossato alla giàesistente Chiesa di S. Nicolo da un nobilechierico teramano Trasmondo. Il primo suosuperiore fu S. Attone o Atto, il cui corpofu venerato per parecchi anni in apposito se-polcro nella suddetta chiesa; da lungo tempoperò è perduta la memoria di esso e perfinodel suo luogo. Il cenobio sempre soggetto aMontecassino anche dopo il 1150, quando isuoi capi ottennero il titolò di Abate, edindarno due anni innanzi i Vescovi diTeramo avevano contrastato il possesso delmonastero agli Abati di Montecassino. Il Gat-tola (Hist. cassin. p. 196) lo appella celebre ene novera gl'immensi beni; la sua decadenzaincominciò nella metà del secolo XV, allorchéCompaiono gli abati Con)mandatarii. Ultimo

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di questi fu il Cardinale Latino Orsini, ilquale nel 1473 donò generosamente al Capi-tolo della Cattedrale di Teramo i vasti terri-torii di S. Atto. Abbandonato così il mona-stero, la sua caduta divenne più rapida, sicchéda lunghissimo tempo non se ne scorgeva piùtraccia. La Chiesa, perché ravvivata dal culto,durò più a lungo ed ancor sullo scorcio delpassato secolo vedeasi il suo bel portone dimarino; ma finì in tutto di minare nel 1808.Ciò nonostante, fino a pochi anni fa vecle-vansi ancora i ruderi dell'abside e del cam-panile ed altresì un angusto ingresso dellaantichissima cripta. Ora tutto è barbaramentericoperto da un nuovo fabbricato eretto nien-temeno che ad uso di stalla. Ecco la sortecomune a molti edifizii sacri delle nostrecontrade; eppur son essi monumenti dellareligione e dell'arte dei nostri antenati e ri-cordano l'attività di quei monaci, che oggi èmoda di maledire e che pur tanto giovaronoal dissodamento delle nostre allora abbando-nate terre e alla conservazione di tesori let-terarii e di documenti cotanto preziosi per lanostra storia. E, nel caso nostro, valgano aprovar ciò i tre benedettini cenobii che in unbrevissimo tratto della strada da noi percorsas'incontrano: S. Angelo di Mosciano, i SS.Sette Frati e S. Atto. Nei documenti difattia loro appartenenti e raccolti da storici no-stri e di Monti-cassino abbondano ]e menzioni

- 39 -dei tanti villaggi che fiorivano loro intornoe che in parte rovinarono ed in parte ancorsassistono, siccome Fora florida borgata diMosciaoo che andò a poco a poco sorgendosotto il dominio e gli auspicji insieme deimonaci di S. Benedetto. Gli abitanti di queivillaggi erano appunto i coltivatori che, sottola guida di essi, rendevano fruttifere le terred'intorno. Frattanto a fianco di questi gli ar-tefici innalzavano i bellissimi templi e le loromagnifiche porte, di cui restano ancora al-cune, siccome quelle di S. Maria a Mare(v. sopra § 6.) e di S. Maria di Propezzanopresso Notaresco, per dimostrare a quantaeleganza e finitezza era salita-la nostra scul-tora ornamentale ne' secoli XI e XII. Dopoquest'ultima epoca l'arte nostra vien meno;giacché strappata la regione teramana, perla violenta conquista de' Normanni, dal Pi-ceno e aggregata al nuovo Regno di Napo-li, decaddero i grandi istituiti monastici, al-lora i soli che tenevano accesa la face dellescienze e delle arti, e in loro vece si tesepiù fitta la rete degl'innumerevoli signorottifeudali tutt'altro che fautori della prosperitàagricola e civile della contrada, e questa fuavvolta miserabilmente nelle spire della mo-narchia feudale dei Ee di Napoli, la quale cirapì all'arte ed alla civiltà della restante Italia.La nostra piccola regione non potea certo conJe proprie forile liberarsi da quelle strette e

- 40 -dovè perciò decadere; ma pur vi rimaserocerte tendenze e certi costumi, siccome lamitezza degli animi, l'aspirazione a miglioriforme civili ed il sistema agrario della mez-zadria, i quali valgono a dimostrare che, lenostre genti ancor dopo sette secoli serbanol'attitudine a maggiore civiltà e floridezzache non sieno le presenti.

XXI

Ma lasciamo siffatte^ considerazioni, che larapidità del nostro cammino non ci cou-

sente di continuare e torniamo in carreggiata.Patti appena tre chilometri dopo la Valle diS. Atto, ci arrestiamo un'altra volta allaquarta stazione di Oastellalto-Cauzano. Qui sivede tosto a sinistra una strada rotabile che,bipartendosi poco oltre il Tordino, mena perla sinistra a Oastellalto e per la diritta aGanzano che è molto più lontano del primoborgo e non si scorge dalla Stazione. InveceOastellalto torreggia sul fiume e domina sem-pre, senza che mai si , perda di vista, tuttala strada da Giulia a TVamo. Nel medio evoera esso chiamato Oastelvecchio Trasmondoprobabilmente dal nome del suo primo notobarone Trasmondo de Castro vetere che ap-pare nella celebre mestra feudale normannadel secolo XII tra i baroni deprimo ordine,perché possidente direttamente in nome del

- 41 -Be. I suoi discendenti mantennero il domi-nio del castello, quantunque diviso con altrifino alla seconda metà del secolo XIV. GliAcquaviva nella mostra del 1279 comincianoa comparirvi come parziali feudatari e lo ten-nero poi interamente hisiuo alla fine delloro ramo ducale di Atri accaduta nel 1755.

XXII

Ed ora pel tronco di strada sutnmenzio-nato, che al di là del Tordino volge a

destra facciamo l'erta e raggiungiamo la cimadel monte coronato dal bel paese di Ganzano edonde l'occhio spazia per uno dei più vastiorizzonti del Teramano. Il primo feudatario,che di tal castello si nomini, è un Mattaleouefattoci noto dalla più volte citata mostra feu-dale del secolo XII. Gli Acquaviva insiemecon parecchi altri n'erano, già signori nel1279; tennero più tardi l'intero [dominio diGanzano, fino a che intorno alla metà delsecolo XVII venne esso in potere degli spa-gnoli Alarcon y Mendozza. Marchesi dellaValle siciliana, in cui restò sino all'abolizio-ne de' feudi decretata nel regno di Napolidal re Giuseppe Buonaparte nel 1806.

XXIII

Quasi a vista della Stazione di Ganzanosi diparte a destra dalla via di Teramo

un.» strada rotabile cbe? dilungandosi per lo

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spazio di dieci chilometri, conduce a Campii.E uno di quei paesi sorti, al pari dei soprad-detti Mosciano, Bollante e Notaresco, duranteil periodo detto dai nostri sforici delle in-castellazioui, allorquando cioè nei secoli IXe X gli abitanti de' luoghi aperti erano co-stretti delle feroci incursioni dei Saraceni astringersi insieme in gruppi di case ed a chiu-derle entro mura atte alla difesa. Campii ne'tempi della stretta'feudalità era soggetto aibaroni e nella mostra, tante volte mentovatadel secolo XII, appare imediatamente sottopo-sto al Conte Eoberto di Abruzzo, ch'era ilpiù potente tra tutti i feudatarii del Eegno.Nel 1271 vien nominato come suo signoreun Ardoinone di Averio; pochi anni dopoottenne la demaniale libertà che godè finoall'anno 1538, in cui entrò a far parte degliStati farnesiani perché donato da Carlo Valla sua figlia naturale Margherita moglie diOttavio Farnese, Duca di Parma. Campii eb-be tale sorte fino al 1754, quando Ee CarloIII, per essere erede dell'ultima dei Farnese,lo riunì al resto del Eegno di Napoli. Pursotto quel dominio godè esso prospero statoa paragone delle sue prossime contrade ge-menti sotto il giogo della signoria spagnola;ed ebbe anzi nel 1600 l'onore di essere erettoa sede vescovile, la quale durò di fatto finoal 1804, quando morì l'ultimo vescovo, e didiritto insino al 1818? allorché pel Concordato

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tra Pio VII e Ferdinando I di Napoli, quel-la sede fu abolita e riunitone il territorio al-la diocesi di Teramo. Della prosperità iliquesto paese nel Medio-Evo e nel secolo XVIresta ancora qual monumento il bel palazzocomunale eretto probabilmente nel secoloXIV, rifatto nel 1521 e restaurato in questiultimi anni.

XXIV

Fatta questa breve digressione per Campii,torniamo alla Stazione di Castellalto-Caù-

zano, e, percorso qualche centinaio di metri,col treno passiamo sul lungo ponte di Fiu-micino, che serve al doppio passaggio dellalocomotiva e degli altri veicoli. Subito a de-stra scorgiamo su graziosa collsnetta il vil-laggio di Nepezzano. Un'iscrizione romana,riportata dal Delfico ( Interamnia pretuz.), ciammonisce che questo fu fondo privato leforse pur vico romano detto Nepntianum, Nelmedio evo seguì la sorte degli altri territoriiTeramani e fu feudo dell'illustre famiglia DiMelatine di Teramo sullo scorcio del secoloXII. Mancano altre notizie fino alla metàdel secolo XIV, allorquando veggiamo talvillaggio annesso al Comune di Teramo, dicui poi sempre ha fat to parte. Un graziosopoggetto a cavaliere della strada rotabile perTeramo, detto Colle Sfarino, era una volta

. 44 -coronato dal castello feudafcale di Nepezzano edi esso rimangono ancor a flor di terra le mine.

XXV

Frattanto ci andiam sempre più avvicinan-do alla mèta del nostro breve viaggio;

arrivati dunque al terzo chilometro contandoda Teraruo, ci vediamo soprastare a destrauna collina col villaggio detto Colle Atter-rato a basso (giacché un po' più. verso l'in-terno ve n'ha un altro detto: « ad alto » ).Qui sotto si scorgono i ruderi dell'antichis-simo cenobio, probabilmente cassinese, di SBenedetto in Carterula ricordato in un docu-mento dell'886 in una bolla di Anastasio IVdel 1153, ove appare territorio del Vescovodi Terarao. Come feudo altresì di questo celmostra il celebre Catalogo normanno del se-colo XII. Il castello poi di Carticula, nomeproveniente forse da Carterula, è citato in unatto del 1065. L'odierna campestre chiesa diCarteccUa (S. Maria) trovasi oggi un pò piùinnanzi e proprio a sinistra Dell'entrar dellungo ponte sul fosso Cartecchia ed è note-vole per una festa religiosa popolare ch'iviha luogo ogni terza domenica di Settembre,con concorso di molti teramani.

XXVI

Frattanto il treno, toccando rapidamementejl suo tei'miue, si ai-resta all'elegante ed

Ornata Staziono di Teramo sulla sponda si-nistra della Vezzola che proprio qui sboccanel Tovdiuo dopo esser passato sotto i mae-stosi archi di un magnifico ponte moderno.Nelle nostre carte del secolo IX essa appel-lasi Beczola o Vecsola ed è dal Delfico (Inte-ratnnia pretuz.) creduta l'Albulata di Plinio.Nel tempo stesso siamo a vista della città diTeramo, dell'antica Interamnia Pretuttiorum,della quale daremo un breve cenno storico.

Fu essa nei tempi preromani sede dellapiccola repubblica degli Interamniti, come cinarra Frontino; ne parlano ancora Tolomeo,Tito Livio, Plinio. Venuta in potere dei Eo-mani, intorno al secolo V di questi, godèprima il diritto di Municipio e più tardicadde nella condizione di Colonia romana emilitare. Do'po la guerra della lega italica,ottenne la cittadinanza romana insieme conle altre città combattenti e fu aggregata colPiceno alla tribù Velina: per decreto poi diAugusto fu ascritto il Pretuzio, territorio cor-rispondente a quello della presente diocesi diTeramo, alla quinta regione cioè al Piceno.Dopo la caduta dell'Impero romano e le in-vasioni dei Barbari, ebbe esso nome e formadi contea aprutina e andò soggetto al ducatodi Spoletofìuo a che non ne fu divelto in for-za della conquista normanna intorno allametà del secolo XII; d'allora in poi seguìsempre le sorti del Regno di Napoli. Sotto

- 4é -il riguardo degli eventi feudali dipese Tera-mo dal proprio Vescovo, il quale a poco apoco, siccome avveniva in molte altre cittàd'Italia, venne cedendo i suoi diritti nellemani dei magistrati cittadini; ma ciò nono-stante pur rimase qualche larva di potestàvescovile in città fino all'abolizione dei feudinel 1806. La sede a prati ria è antichissima evuoisi anche d'instituzioue apostolica; certanotizia però nou se ne ha prima del secoloVI. Poco dopo cha Teramo cadde sotto la do-minazione dei re normanni, ebbe a patire daun congiunto di questi e ad essi riballe, ilConte di Lol'etello, l'incendio e la distruzione;fu poro tosto riedificata dai proprio VescovoGuido II. Si resse poi quasi sempre coi suoimagistrati munic ipal i e col regio Capitanosotto gli auspici del Vescovo e la guarenti-gia della libertà demaniale. Se non che, fa-cendo parte del più feudale Stato d'Italia, noupotea mancare nei suoi annual i qualche pe-riodo di Signoria feudale. Soggiacque difattiTeramo nella fine del secolo XIV, dopo aversubito il giogo biennale de! patrio tirannelloAntouello di Valle, a quello degli AcquavivaDuchi di Atri: l'uccisione d'uà di costoro,compiuta iti Teramo nel 1407 dai suddetti diMelatine, sospese per breve tempo il loro do-ni nio. Nel secolo XV fu la città preda del-le sanguinose fazioni molatinista e auto-neltisra e patì a vicenda la Signoria dei ce-

lebri condottieri Braccio da Montone e Fran-cesco Sforza e da ultimo di Giosia di Acqua-viva Duca d'Atri, il quale la mantenni» finoal 1461, allorquando i teramani, favoriti daglieveuii guerreschi di allo-a, abbatterono a fu-ror di popolo la cittadella eretta da Gios'a escacciarono per sempre dalla loro città gli Ac-quaviva. Tentarono più volte questi di ria-cquistarla, ma i Teramani, e difendendosi conle armi e riscattando la loro libertà col de-naro versato nell'erario imperiale, pervenneroa serbarla immune pel tempo avvenire. Ciò inquanto alla storia feudale; in quanto poi aquella amministrativa diremo che la regioneTeramana dopo essere stata compresa, per ladivisione in nove provincie o Giustizierati delEegno fatta dall'imperatore Federico II nelprincipio del secolo XIII, in quella di Abruz-zo corrispondente all'attuale territorio dei treAbruzzi, fé' poi parte dell'Abruzzo ultra quan-do il Ka Carlo d'Angiò spartì un'altra voltanel 1273 in cifra ed ultra flitmen Piscariae l'an-tica provincia di Federico II. Teramo soltantonel 1684 divenne sede della Regia Udienza,avendo però comune il Preside con Ohieti:ebbe infine un Preside proprio nel 1787 e fud'allora in poi capoluogo della provincia delprimo Abruzzo ulteriore e sede degl'Intendenti,dei Governatori e dei Prefetti, che la gover-narono con queste varie denominazioni daitempi del re Gioacchino Murai fino ai nostri,

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xxvii

Teraino ha scarsi monumenti antichi e me-dievali, ma prima di additarne al viag-

giatore i principali che trovatisi entro le suemura, gli accenneremo i luoghi storici chestanno di fronte ed ai lati della Stazione, oveora siamo. L'antica Interamnia aveva ne' tem-pi della sua floridezza ricco il suburbio dinotevoli editìzii, come tempii, bagni; ma noiciteremo gli avanzi delle sue tenne, perchéci stanno qui sulla destra, nelle piane dettedel Vescovo e propriamente nelle contradedella fonte della Eegina. Furono fatte sca-vare dal Delfico (il citato autore àelYlnteram-miu prelusili) nel 1789 e i tre bei busti mar-morei dei tempi di Eliogabalo, che ivi si tro-varono, serbansi oggi nel piccolo Museo ci-vico. Levando un po' lo sguardo a noi dinan-zi e al di là della Vezzola, scorgiamo sulpiano pósto avanti la porta Madonna un va-sto fabbricato comprendente la Chiesa di S.Maria delle Grazie e l'antico convento dei Mi-nori Osservanti, ora occupato dagli uffizii delDistretto mlitare della provincia. Prima delsecolo XV era un monastero ed aveva il ti-tolo di 8. Angelo delle Donne: nella metà diquel secolo le monache furono trasferite en-tro la città in S. Anna, e qui vennero i Mi-nori Osservanti, da' quali furon riedificato ilConvento ed ingradita la Chiesa, entro cui si

- 49 -Custodisce un'antica statua della Vergine as^rai Cenerata dai Teramani. I nostri occhi va-gando all'intorno si arrestano naturalmentesulle vecchie e mezzo diroccate mura dellacittà, che ora però vanno perdendo ^coi re-stauri la loro fisonomia. Queste che miriamoson l'unico avanzo di tutta l'antica^ cinta; viresta altresì un sol bastione quantunque tut-to smerlato; eppùr quelle misere cortine sontestimoni della prodezza patria de' Teramanie della gelosa cura, con cui mantenevan lecivili libertà, ma il piccone moderno, vagopiù di abbellire sgombrando e appianando ilterreno, che di rispettare i ruderi venerandidell'antichità, le ha quasi'tutte abbattute. Edi fatti esse ci rammentano il lungo assediodi sei mesi sostenuto nel 1443 dai teramanicontro le armi di Giosia Acquaviva, vogliosodi sottometterli di nuovo alla sua spada feu.dale; egli però, soccombente alla potenzadegli eserciti di Alfonso di Aragona, dovèpartirsene a mani vuote; l'altro più celebredel 1521, che fu l'ultimo sforzo dell'ambizionedegli Aquaviva contro la demaniale libertàdi Teramo e che costò tanti atti di abne-gazione, tanti sacrifizii ed ardimenti descrittidal Muzii; l'assedio fu sciolto nella notte so-pra i 21 Novembre di detto anno inopinata-mente dai 5,000 Acquaviviani e la pia tradizio-ne e la testimonianza di tutti i nostri sto-rici attribuiscono tale liberazione a miracolo

- SO -

del protettore della città S. Berardo, di cuiancora si celebra l'anniversario. Si potrebbealtresì citare la difesa (se questa non fossestata fatta più dai Eegalisti montanari che daicittadini) del 1798 compiuta dietro le mura oc-cidentali contro i Francesi invasori del Regno.

XXVIII

Ma è tempo alfine di entrare in città edosservare i precipui monumenti romani

e medievali. Ai primi son da ascriversi, pertacere dei tanti avanzi di pavimenti mar-morei e a musaico e degli altri frammentidi romana scoltura sparsi qua e la per lecase, gli avanzi notevolissimi dell'anfiteatroesistenti nel largo di S. Bartolorneo nellecantine di una privata abitazione, quelli delteatro visibili ancora nell'orto del Seminario 1)la collezione delle iscrizioni romane muratenel cortile del Palazzo municipale e finalmen-te il piccolo Museo ove additiamo all'occhiointelligente del viaggiatore alcuni frammentidi statue e vasi, di cui taluni di bellissimo la-voro. Fra gli edizii del Medio Evo sono daammirarsi la parte ancora superstite dell'an-tichissima Cattedrale nell'attuale Chiesa di

1) Dopo (e scoperte nel 1916 delle Frons scenae in-nanzi la Chiesa di S. B;utoiotneo quelli), che si è cre-duto anfiteatro sino allora, è da dirsi un Teatro e quelloreputato T'entro nell'orto del Seminario deve dirsi piut-tosto un Odeum, piccolo teatro destinato alla musica,

- SI -S. Anna de' Pompetti, la porta riccamentescolpita della chiesa di S. Francesco comu-nemente detta di sauto Antonio, l'esterno diquesta e dell'altra quasi simile Chiesa di S.Domenico (ora quartiere militare), e la portadi S. Anna a Bitetto, oggi occupata dal sun-nominato Museo civico trasferito da parecchianni e riordinato in una casa comunale nelCorso di S. Giorgio (nella stessa è anche laPinacoteca municipale pure ultimamenteordinata e catalogata); tutte queste opereappartengono alla fine del secolo XII e alprincipio del seguente. Bellissima, tra le fab-briche di questa epoca, appare la porta mag-giore del Duomo incrostata di musaici, doyutaal celebre Adeodato della scuola dei Cosmati diRoma per munificenza del Vescovo Arcioni an-ch'esso romano, e compiuta nel 1332. L'internodella chiesa, corrispondente allo stile della por-ta efatto edificare dallo stesso prelato, fu sven-turatamente rinnovato a foggia alquanto ba-rocca dal Vescovo de' Eossi, e con plauso de'cittadini, nella prima metà del secolo XVIII,allorquando la mania di distruggere i bei mo-numenti gotici e lombardeschi continuavaancora a dominare in Italia. Degnissima altresì dell'osservazione del visitatore è l'elegante,svelto ed insieme maestoso campanile di essoDuomo elevato nel secolo XIV fino alla parteottagonale; questa e la sovrapposta piramidefurono fluite nel 1483 insieme con la canj.

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pana maggiore, del peso di 11000 libbre, fusadal francese Mccola di Langres. Ma un verotesoro serbasi nella sagrestia di questa cat-tedrale ed è il paliotto d'argento adorno distatuine ad alto rilievo e di preziosi smalticon figure ed ornati. Esso è d'immenso pregio,non pel metallo di cui è ricco tutto, ma pelcorretto e finito magistero del suo arteficeche fu l'abbruzzese Niccolo dfGuardiagrele, co-me prova l'iscrizione del 1438, che ivi si legge,

Ponendo qui termine alle notizie storiche,facciamole seguire, a mo' di conclusione, daqueste di genere tecnico che ci fornisce ilGiornale de' Lavori pulftlici.

« La nuova strada ferrata Ginlianova-Te-ramo ha la lunghezza di m. 25,967, ed è divi-sa nell'andamento plani metrico in m. 21,133,95di allineamenti, ed in m. 3,93305 di tratti incurva con raggio minimo di m. 250 limitata-mente ad una sola curva al distacco dallastazione di Giulianova.

; La pendenza massima adottata nell'alti-metria è del 25 per mille, limitata però a solimetri 600.

L'armamento della strada è formato conrotaie del tipo Vignole in acciaio Bessemerdella lunghezza di 9 m. e del peso di Chilo-grammi 27606 per metro corrente, giusta ilil secondo tipo economico.

Lungo la linea si incontrano quattro sta-zioni ed una fermata, denominate; Mosciano,

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Notaresco, Oastellalto-Canzano, Teramo e Bel-lante-Ripattoni. Poco dopo si aggiunsero lefermate di Eepezzano fra Teramo e Castellaloe di Colle Raneseo fra Mosciaao e Giulianova.

Per l'alloggio del personale di sorveglian-za della strada, furono costruite n 17 case can-toniere, delle quali 15 doppie e due semplici.

La continuità delle strade ordinarie at-traverso la ferrovia è mantenuta mediante 62passaggi, cioè: 3 per strada provinciale 8 perstrade comunali e 53 per strade campestri.

Le opere d'arte costruite lungo la nuovaferrovia sommano a 116, e di queste le piùimportanti sono:

1 ponte in 17 luci di m. 8,45 caduno;1 ponte in 11 luci, delle quali 9 di m. 20

e 2 di m. 12; 5 ponti a volta della luce dim. 15;

1 ponte a volta in 2 luci di m. 12 caduno;3 ponti della luce rispettiva di m. 8, 9

e 10;Le altre opere consistono in 104 fra acque-

dotti e ponticelli di luce varia fra 0,80 e m.6,00 ».

In quanto alla spesa totale essa oltrepassadi poche migliaia i 3,000,000 di lire italiane.

1314

151617

17

1824

» 25

1 N D J C É

I. Torre al Salinello pag. 11II. Chiesti e convento dello Splendore. » 12

III. Giulia/nova con la Chiesa di S.Flaviano e col palazzo ducale. .

IV. Castrimi novum e sue rovine . . .V. Castel 8. Flaviaiio cou la Chiesa

principaleVI. S. Maria a Mare

VII. Cenni storici feudali su S. FlaviauoVili. Avvenimenti guerreschi ivi com-

piutiIX. Castello dei suoi Conti e tradizioni

popolari che vi si collegano . . .X. Fatti storici del medesimo . . .

XI. Antichi sepolcri e passa del Gi-gante Orlando

XII. S. Maria dell'Arco e le fazioni te-ramane » 27

XIII. Mosciano e la sua torre . . . . » 30XIV. Chiesa e Couveuto de' SS. sette

Frati » 31XV. Valle del Tordi no e Selva de' Colli. » 32

XVI. Cantalupo e Grasciano » 34XVII. Notaresco » 34

XVIII. Eipattone » 35XIX. Bel lante » 36XX. Sant'Atto . . . . » 37

XXI. Castellalto » 40XXII. Ganzano » 41

XXIII. Campii » 41XXIV. Nepezzauo » 43XXV. Cartecchia » 44

XXVI. Cenni storici su Teramo . . . . » 44XXVII. Suoi monum en t i esterni . . . . » 48

XXVIII. Suoi monumenti interni . . . . » 50