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Le Général de la Moricière fervant catholique mettant son épée au service de Pie IX

Battaglia di Castelfidardo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Giovanni Gallucci - La battaglia di Castelfidardo palazzo comunale di Castelfidardo

Data 18 settembre 1860 Luogo Castelfidardo (AN) Esito vittoria delle truppe sabaude Modifiche territoriali L'Umbria e le Marche entrano nel Regno d'Italia

Georges de Pimodan Christophe Lamoricière Enrico Cialdini Manfredo Fanti 10.000 39.000 88 morti, 400 feriti e 600 prigionieri morti: 55 truppa e 6 U feriti: 173 truppa e 11 ufficiali

Nella battaglia di Castelfidardo, il 18 settembre 1860, si scontrarono gli eserciti del Regno di Sardegna e quello dello Stato Pontificio. La battaglia si concluse con la vittoria dei piemontesi; le truppe papaline superstiti si asserragliarono nella piazzaforte di Ancona e furono definitivamente sconfitte dall'esercito sardo dopo un difficile assedio. Conseguenza diretta della vittoria piemontese fu l'annessione al Regno di Sardegna delle Marche e dell'Umbria. La battaglia di Castelfidardo è considerata spesso come l'episodio conclusivo del Risorgimento italiano; in effetti solo dopo essa fu possibile proclamare la nascita del Regno d'Italia, il 17 marzo 1861[1]. Le cause dello scontro Il Regno di Sardegna, con la Seconda Guerra d'Indipendenza, aveva annesso la Lombardia. Nei mesi successivi, in seguito a plebisciti, anche l'Emilia-Romagna e la Toscana erano entrate a far parte dei domini di Vittorio Emanuele II. Dopo pochi mesi, Garibaldi, con la spedizione dei Mille, aveva liberato tutto il meridione d'Italia; le regioni meridionali erano però separate da quelle settentrionali dalla presenza dello Stato Pontificio. Vittorio Emanuele II decise allora di intervenire con il proprio esercito per annettere Marche ed Umbria, ancora nelle mani del papa. La conquista delle due regioni centrali aveva dunque lo scopo di unire il nord e il sud d'Italia. Non si poteva certo ancora pensare ad un annullamento totale dello stato del papa, al quale, secondo i piani del re, sarebbe stato lasciato il Lazio. Due eserciti in marcia forzata I due eserciti che presero parte alla battaglia si radunarono l'uno in Romagna (quello sardo), l'altro nel Lazio (quello pontificio), ma avevano lo stesso obiettivo: giungere nella piazzaforte di Ancona. I pontifici volevano asserragliarsi nella città adriatica perché là avrebbero potuto resistere per mesi attendendo rinforzi da parte delle potenze cattoliche europee; i piemontesi volevano impedire proprio questo. Cominciarono così due marce forzate: ciascun esercito si concedeva poche ore di riposo notturno per arrivare prima dell'altro. L'esercito pontificio era composto da circa 10.000 volontari che, rispondendo all'appello del papa, provenivano da Francia, Irlanda, Austria ed altri paesi cattolici d'Europa; lo comandava il francese Lamoricière, supportato dal valoroso Georges de Pimodan. Le truppe del papa dal Lazio mossero verso Narni e proseguirono per Spoleto, Tolentino e Macerata cercando di raggiungere più celermente possibile la piazzaforte di Ancona. L'esercito piemontese, forte di 14.000 uomini provenienti da tutta Italia, era al comando del generale Fanti; le truppe dalla Romagna si divisero in due tronconi. Uno marciò lungo la costa e a Pesaro[2] incontrò una forte resistenza pontificia per opera del tenente colonnello Giovanni Battista Zappi[3][4][5][6][7][8][9][10], l'altro avanzò pure verso sud, ma passando a ridosso degli Appennini attraverso Urbino. I due tronconi si riunirono a Jesi, attraversarono Osimo e quindi si diressero verso Ancona. La battaglia Prima di giungere ad Ancona, i piemontesi fecero un'ultima tappa a Castelfidardo, dove installarono il loro campo nella frazione delle Crocette, a 25 chilometri dalla loro meta finale. Alcuni soldati in ricognizione scopersero però al di là del fiume Musone le truppe pontificie, anch'esse accampate nella zona in attesa di trasferirsi nel capoluogo marchigiano. Iniziarono le prime schermaglie e il Generale Lamoricière, consapevole del fatto che il suo esercito era inferiore di numero, sapeva di non avere molta speranza di vittoria. Sfruttando il fatto che il grosso dell'esercito piemontese era ancora all'oscuro della presenza dei pontifici, decise subito di dividere le sue truppe in tre gruppi. Il primo gruppo, diretto da de Pimodan, doveva impegnare le truppe italiane in modo da consentire agli altri due, capitanati da Lamoricière, di proseguire verso Ancona, dove le forze pontificie si sarebbero potute rinchiudere in attesa di rinforzi da parte delle potenze cattoliche. Gli uomini al comando di Georges de Pimodan dovevano quindi sacrificarsi tra Castelfidardo e Loreto, sulle pendici del colle del Montoro e nella vallata del Musone, per favorire le truppe di Lamoricière. Tutto andò secondo i piani: mentre Lamoricière, non visto dagli italiani, con le sue truppe era già arrivato a Numana, sulla strada di Ancona, nel frattempo gli uomini di Georges de Pimodan, al grido di "Viva il Papa!" stavano impegnando seriamente gli ignari piemontesi, guadagnando terreno palmo a palmo, casa colonica per casa colonica. Il grosso dell'esercito sabaudo era ancora accampato alle Crocette. Quando Cialdini venne a conoscenza della presenza dei pontifici, inviò tutte le sue truppe, che al grido di "Viva il Re!" rovesciarono la

situazione di iniziale vantaggio pontificio. Una alla volta, tutte le case coloniche già conquistate da Georges de Pimodan cadevano nelle mani dei piemontesi. Le sorti dello scontro subirono un rovesciamento a causa di una decisione davvero inaspettata di Lamoricière. Egli, resosi conto che le truppe lasciate a combattere stavano per subire una disfatta totale, decise di tornare a sostenere Georges de Pimodan che, già ferito più volte, stava battendosi valorosamente nonostante la situazione disperata. Questa fu una decisione sorprendente: sarebbero bastate poche ore di marcia e sarebbe stato possibile rinchiudersi dentro alla piazzaforte di Ancona, ma più che alla strategia Lamoricière pensò alla lealtà di de Pimodan e al fatto che non se la sentiva di sacrificarlo[11]. Così Lamoricière tornò sul campo di battaglia; de Pimodan però era stato già ferito a morte e spirava nell'ospedale da campo piemontese. Secondo alcune fonti sarebbe stato Cialdini in persona ad assisterlo negli ultimi istanti e a raccoglierne le volontà[12]. Secondo altre fonti Lamoricière riuscì a dare l'estremo saluto a de Pimodan, che gli disse: "Generale! Combattono da eoi, l'onore della Chiesa è salvo!"[13] Dopo alcune ore di battaglia, le truppe del generale Cialdini sconfissero disastrosamente l'avversario; i reduci, tra cui lo stesso Lamoricière, frettolosamente e disorganizzatamente ripiegarono verso Ancona passando, per non correre il rischio di essere catturati, per gli impervi sentieri del promontorio del Conero. Epilogo: la presa di Ancona Lamoricière e i soldati pontifici superstiti arrivarono quindi ad Ancona, dove si asserragliarono insieme alla guarnigione austriaca già presente in città come forza di occupazione per volontà del papa sin dal 1849. Cominciò presto l'assedio disperato: la città fu circondata dal lato di terra terra dai generali Manfredo Fanti ed Enrico Cialdini, mentre davanti all'imboccatura del porto c'era la flotta condotta dall'ammiraglio Persano. Ora si giocava il tutto per tutto: in gioco c'erano ideali opposti ed inconciliabili. I volontari papalini (francesi, irlandesi, slovacchi, polacchi...) lottavano per sostenere il dominio temporale del papa, ritenuto da essi necessario corollario del potere spirituale; gli Austriaci combattevano per impedire all'Italia di esistere come nazione, cosa che avrebbe comportato il rischio della disgregazione dell'Impero Austriaco; gli Italiani dovevano riunificare le terre liberate da Garibaldi con quelle annesse in seguito alla Seconda Guerra d'Indipendenza, altrimenti avrebbero avuto una nazione spezzata a metà. Ancona dopo un'accanita resistenza austriaca e pontificia, il 28 settembre 1860 fu presa dal mare con un'ardita manovra navale che portò all'esplosione della batteria della Lanterna che difendeva il porto e alla quale era agganciata la catena che ne chiudeva l'imboccatura. Solo il giorno dopo, però, 29 settembre, alle ore 14, a Villa Favorita sede del comando italiano, i pontifici firmarono la resa. Dopo tre giorni, il 3 ottobre alle 5 del pomeriggio, sbarcò nel porto di Ancona il re Vittorio Emanuele II accolto da una città in festa, ornata di centinaia di bandiere tricolore. La folla accorsa nelle strade percepiva la storicità del momento, che fu decisivo per la costruzione dell'unità d'Italia[14]. In città il re accolse le deputazioni delle varie province delle Marche e dell’Umbria che chiedevano l'annessione; rimase in Ancona sette giorni, per poi rimettersi in cammino verso Teano, dove Garibaldi avrebbe lasciato nelle sue mani tutto il Meridione appena liberato. Con la vittoria di Castelfidardo e con la successiva presa di Ancona, il regno di Vittorio Emanuele II poté includere le Marche e l'Umbria: il 4-5 novembre dello stesso anno un plebiscito segnava, in modo pressoché unanime[15] la volontà dei marchigiani e degli umbri di entrare nel Regno, sancita con Regio Decreto del 17 dicembre. L'annessione di queste regioni fu fondamentale per permettere di unire in una sola entità territoriale le terre prese da Garibaldi e quelle annesse in seguito alla Seconda guerra d'indipendenza. La Battaglia di Castelfidardo permise quindi che, di lì a poco, venisse proclamata solennemente la nascita del Regno d'Italia: il 17 marzo 1861. Monumenti commemorativi Nel 1910, in occasione del cinquantenario della battaglia, si decise di erigere a Castelfidardo un monumento nazionale per eternare il ricordo dell'evento. L'opera fu commissionata allo scultore Vito Pardo e ricorda i caduti di entrambi gli schieramenti. L'inaugurazione avvenne il 18 settembre 1912 alla presenza del Re Vittorio Emanuele III; oratore ufficiale fu Arturo Vecchini. Il monumento, sulla cima di una collina, è immerso in un rigoglioso parco di alberi sempreverdi ed è circondato da una cancellata artistica. Nei pressi della Selva di Castelfidardo, uno dei luoghi della battaglia, si può visitare l'ossario ove riposano i soldati caduti di entrambi gli schieramenti. Fu costruito a partire dal 1861, per raccogliere degnamente le spoglie precedentemente sepolte nella nuda terra e disperse in tutto il teatro degli scontri. I soldati del re e quelli del papa sono in avelli separati, in base alla posizione occupata durante il combattimento: verso il mare i pontifici e verso la collina di Montoro i piemontesi. Nei dintorni dell'ossario sono presenti targhe di pietra che ricordano, nei luoghi in cui sono realmente avvenuti, i più salienti episodi del combattimento; ciò rende possibile ricostruire sul campo le varie fasi della battaglia e gli spostamenti delle truppe pontificie e piemontesi e permette inoltre di identificare le case coloniche nei pressi delle quali tanto si combatté. A Castelfidardo è presente anche un Museo del Risorgimento, che raccoglie interessanti cimeli e documenti relativi alla battaglia. Curiosità

• Le truppe pontificie venivano definiti con disprezzo "barbacani".[16][17] • La battaglia di Castelfidardo è ricordata nella toponomastica di moltissime città d'Italia. Tra esse Torino, Padova, Roma, Busto Arsizio, Ancona, Chiaravalle, Falconara Marittima, Osimo, Senigallia, Barbara, Recanati, Cingoli, Loreto, Jesi, Catanzaro, Civitanova, Firenze, Vicenza, Cagliari, Ravenna, Poggibonsi, Terni, Pesaro, Vittoria, Barcellona Pozzo di Gotto, Bologna, Castel San Pietro Terme, Imola, Castelvetrano. Note

1. ^ Paolo Pierpaoli - 2500 anni: le grandi battaglie nelle Marche Fornasiero editore - Roma 2004; Autori vari - Ai vittoriosi di Castelfidardo ristampa del 2002 del numero speciale della rivista Picenum edita in occasione del cinquantenario della battaglia; Massimo Coltrinari - La giornata di Castelfidardo 18 settembre 1860 vol. III edito nel 2008 a cura della Fondazione Ferretti, Italia nostra e Lions club 2. ^ 11 Settembre 1860 finisce il governo pontificio. 3. ^ Per una biografia del generale Zappi, vedasi Enciclopedia Cattolica, vol. 12, p. 1779 4. ^ Un ritratto del generale Zappi si trova presso l'archivio della biblioteca comunale di Imola, vedi Album n. 9: Raccolta fotografica imolese. Ritratti e ricordi di personaggi, p. 5. 5. ^ [1] 6. ^ [2] 7. ^ [3] 8. ^ [4] 9. ^ [5]

10. ^ [6] 11. ^ Paolo Pierpaoli - 2500 anni: le grandi battaglie nelle Marche Fornasiero editore - Roma 2004; Massimo Coltrinari - La giornata di Castelfidardo 18 settembre 1860 vol. III edito nel 2008 a cura della Fondazione Ferretti, Italia nostra e Lions club 12. ^ Josepho Paschalio Marinellio - De Pugna ad Castrumficardum 13. ^ Antonio Bresciani - Olderico, ovvero lo zuavo pontificio - 1862 - vol II 14. ^ Mario Natalucci - La vita millenaria di Ancona vol. III, Città di Castello, Unione arti grafiche, 1975 ; www.altezzareale.com 15. ^ Marche: favorevoli 133 807, contrari 1 212. Umbria: favorevoli 97 040, contrari 380. Regno d'Italia - Plebisciti 1860, 1866, 1870 16. ^ [7] 17. ^ [8] Bibliografia

• Autori vari Il marchese Giorgio Pimodan, generale della Santa Sede, morto nella battaglia di Castelfidardo. Roma, H. Gigli, 1860. • Autori vari - Ai vittoriosi di Castelfidardo ristampa del 2002 del numero speciale della rivista Picenum edita in occasione del cinquantenario della battaglia • Guido Bozzolini, Le forze armate sarde a Castelfidardo Italia Nostra Castelfidardo. • Padre Antonio Bresciani, Olderico, ovvero il zuavo pontificio Roma 1862. • Massimo Coltrinari, La vigilia della battaglia di Castelfidardo - 17 settembre 1860, Italia Nostra Castelfidardo, aprile 1961. • Massimo Coltrinari, Le manovre che determinarono la battaglia di Castelfidardo - 18 settembre 1860, Italia Nostra Castelfidardo. • Giuseppe Pasquale Marinelli, De pugna ad Castumficardum, poema in versi latini dell'umanista cameranese (1793-1875) • Lucio Martino, L'11 settembre della Chiesa. Intrighi, brogli e crimini per l'annessione di Umbria e Marche. L'assedio

di Ancona e la battaglia di Castelfidardo, Eidon Edizioni. • Paolo Pierpaoli - 2500 anni: le grandi battaglie nelle Marche Fornasiero editore - Roma 2004. • Romano (pseud.); Narrazione delle battaglia di Castelfidardo e dell'assedio d'Ancona. Italia, 1862. • Marchese de Segur, I martiri di Castelfidardo • Stato maggiore del Regio Esercito, Ufficio Storico, La battaglia di Castelfidardo Roma 1903 • Attilio Vigevano; La campagna delle Marche e dell'Umbria. Roma, Stab. poligrafico, 1923. Altri progetti

• Wikimedia Commons contiene file multimediali su Battaglia di Castelfidardo Collegamenti esterni

• Informazioni dal comune di Castelfidardo • Fondazione Ferretti • Eugenio Paoloni. «Castelfidardo, la battaglia «dimenticata» dai vincitori.», Corriere della Sera, 20 dicembre 2010. URL consultato in data 10 gennaio 2011. Il monumento nazionale delle Marche

Charles-Marie-Augustin de Goyon

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Naissance 13 septembre 1803 Nantes (Loire-Inférieure)

Décès 17 mai 1870 (à 84 ans) Paris

Arme Cavalerie

Grade Général de division (1853)

Années de service 1821 - 1868

Conflits Campagne d'Espagne (1823) Expédition de Rome

Commandement 2e Dragons École de cavalerie de Saumur Camp de Lunéville Armée d'occupation de Rome 6e Corps d'armée

Distinctions Légion d'honneur (Grand-croix) Médaille militaire, etc...

Autres fonctions Sénateur du Second Empire Conseiller général de Plouha Président du conseil général des Côtes-du-Nord

Famille Famille de Goyon

Charles-Marie-Augustin, comte de Goyon, né à Nantes (Loire-Inférieure), le 13 septembre 1803, et mort à Paris le 17 mai 18701, est un militaire et homme politique français du XIXe siècle. Fils de Michel-Augustin de Goyon, il fut aide de camp de Napoléon III et sénateur du Second Empire. Biographie Charles Marie Augustin était le fils de Michel-Augustin, vicomte de Goyon, préfet napoléonien puis gentilhomme de la chambre du roi Charles X, et d'Antoinette Hippolyte Pauline de La Roche-Aymon. Sa mère, la comtesse de Goyon, avait été dame (1815-1825) de S.A.R. madame la Dauphine ; sa grand'mère maternelle, la marquise de La Roche-Aymon (demoiselle de Beauvilliers), avait été dame de la reine Marie-Antoinette ; toutes deux avaient partagé les infortunes de cette malheureuse reine; arrêtées avec elle aux Tuileries, elles furent conduites à l'Abbaye, puis dans d'autres prisons. Entré à l'école spéciale de Saint-Cyr en 1819, il en sortit en 1821 comme sous-lieutenant au 17e régiment de chasseurs à cheval, fit la campagne d'Espagne (1823) et fut détaché comme officier d'ordonnance auprès du lieutenant-général marquis de La Roche Aymon (son oncle maternel), commandant la 10e division du 4e corps en Catalogne, et il reçut la croix de chevalier de l'ordre de Charles III d'Espagne, comme témoignage de satisfaction de ses services. Monarchie de Juillet Successivement lieutenant au 1er cuirassiers (cuirassiers de la Reine, 1825), capitaine au même régiment (4 juillet 1830). Au mois d'août de la même année, il quitta le service actif, et se fit mettre en réforme sans traitement, « la position de sa famille à l'égard de l'ancienne dynastie lui en faisant un devoir d'honneur et de gratitude

2. » En 1832, croyant avoir assez satisfait aux devoirs de la reconnaissance, le comte de Goyon crut pouvoir et devoir reprendre une carrière qu'il aimait et qui avait été celle de son choix, et il fut nommé capitaine au 4e hussards. Le général comte de Goyon avait épousé, le 16 novembre 1836 à Paris, Henriette-Oriane de Montesquiou-Fezensac. En 1838, il fut attaché auprès de l'ambassadeur en Espagne, Raymond de Montesquiou, 2e duc de Fezensac, son beau-père. Il n'y reste que quelques mois, et eut l'honneur, en rentrant en France, d'être chargé d'une mission assez importante de la part de Sa Majesté la reine Christine qui, en témoignage de sa satisfaction, le fit commandeur de l'ordre d'Isabelle la Catholique. Vingt ans plus tard, à Rome, ses services appréciés

dans la ville sainte le firent nommer par Sa Majesté Isabelle II, reine d'Espagne, grand-croix du même ordre. À la fin de la même année 1838, il regagna son corps. Promu major au 1er hussards le 15 janvier 1839, il fut fait chevalier de la Légion d'honneur le 28 avril 1841, passa au 12e dragons en qualité de lieutenant-colonel (1843) et fut appelé (1845) au commandement du 2e régiment de cette arme. Deuxième République Peu de temps après la révolution de Février 1848, ayant été appelé à Paris avec son régiment, le colonel de Goyon put rendre encore des services signalés, au 15 mai, lorsque l'Assemblée nationale fut envahie par une « horde de factieux

2 », et l'on peut dire que c'est grâce à l'énergie qu'il déploya dans ces graves circonstances et de sa promptitude d'action qu'il parvint à rétablir l'ordre menacé. Durant la répression des sanglantes journées de Juin, on trouve le 2e dragons partout : à l'Assemblée nationale, à la Bastille, dans le faubourg Saint-Antoine, à la barrière du Trône. « Le 2e de dragons reçut à cette occasion des récompenses bien méritées ; et son chef, qui était chevalier de la Légion d'honneur depuis

le 28 avril 1841, fut nommé officier du même ordre par un décret spécial du 28 juillet 1848, relatant ses services.2 » En 1850,

le 9 janvier, M. de Goyon refusa le grade de général de brigade que l'opinion publique lui décernait et que le prince-président voulut lui donner. Il demanda comme faveur de rester à la tête du 2e de dragons auquel tant de liens l'attachaient, au moins tant que ce régiment resterait à Paris. C'est pour cette raison que son brevet de 15 avril 1850, ne lui fut remis que le 19, veille du départ de son régiment pour Lyon. Le 24 avril 1850, le général de Goyon fut investi du commandement en chef l'école de cavalerie de Saumur. Il fit faire à l'école des progrès qui ont été continués par ses successeurs. C'est dans l'exercice de ce commandement qu'il fut créé commandeur de l'ordre du Christ de Portugal en témoignage des soins qu'il avait donnés l'instruction militaire de jeunes officiers portugais qui lui avaient été confiés. Aide de camp de Napoléon III Le 12 février 1852, le comte de Goyon ayant été appelé à l'honneur de faire partie des aides de camp de l'Empereur, il dut, en raison de cette position nouvelle abandonner en mai son commandement de l'école de cavalerie, d'autant plus que, le 19 avril de cette même année, il fut nommé commissaire extraordinaire du gouvernement pour les détenus politiques « de nos crises révolutionnaires2 ». Ayant à juger près de 600 malheureux, plus ou moins égarés ou perdus, « il s'attacha à appliquer les principes de haute sagesse du Prince-Président, qui, comme toujours, voulait que la défense fût libre,

que le repentir fût apprécié, et qui rappelait sans cesse qu'il ne voulait pas d'orphelins politique, ni que les intérêts des enfants

fussent compromis par les fautes des parents.2 » M. de Goyon siégeait à Bicêtre, où, les détenus de 40 départements lui avaient

été amenés. Ils rendirent hommage à sa justice et à son humanité dans une lettre ou Prince-Président que Son Altesse a bien voulu lui remettre. Le général de Goyon eut l'honneur d'accompagner le Prince-Président dans son voyage en Sologne, et dans son voyage de 1852 dans le centre, au sud et à l'ouest de la France. En 1853, lorsque le duc de Gênes (en) (Ferdinand de Savoie (1822-1855)) vint en France, le général de Goyon fut mis par l'Empereur à la disposition de S.A.R. qui, satisfaite de son service auprès d'elle et le voyant déjà commandeur des saints Maurice et Lazare, lui remit le grand cordon du même ordre. En septembre 1853, le général de Goyon fut envoyé, comme chef d'une mission, auprès de Sa Majesté l'empereur d'Autriche (François-Joseph Ier), pour assister aux grandes manœuvres du camp d'Olmütz (en Moravie) ; il fut reçu avec la plus grande distinction, ainsi que les officiers placés sous ses ordres. Cette mission emprunta un intérêt particulier à l'arrivée de l'empereur de Russie (Nicolas Ier) au camp d'Olmutz au moment même où la campagne de Crimée (1853-1856) se préparait. Le général revint en France vers la fin d'octobre, et l'Empereur satisfait de ses services dans cette mission, le nomma général de division par décret du 3 novembre 1853. En 1854, le général de Goyon fut nommé commandant de la division active de cavalerie à Lunéville (camp de Lunéville), où il eut l'honneur de recevoir Sa Majesté Napoléon III à son retour des eaux de Plombières, en août 1856. L'Empereur, après avoir assisté aux grandes manœuvres, aux établissements de camps et aux applications du service en campagne, daigna exprimer sa haute satisfaction au commandant supérieur du camp et aux troupes placées sous ses ordres, et la prouva en remettant de nombreuses récompenses. C'est pendant ce commandement que le général de Goyon fut appelé à l'honneur de représenter l'Empereur, lors de l'inauguration de la statue élevée par la ville Nancy à son grand citoyen, le général Drouot, et qu'à l'occasion du passage de S.A.I. l'archiduc Maximilien à Lunéville et à Nancy, il reçut, en souvenir de sa mission de 1853 en Autriche, la croix de commandeur de l'ordre autrichien de Léopold. Vers 1856, le général possède l'Hôtel de Roquépine, au no 31 de la rue d'Astorg, Paris VIIIe. Armée d'occupation de Rome Il quitta son commandement quand il fut nommé, le 5 octobre 1856, au commandement de la division d'occupation à Rome (1856 - 28 mai 1862), en remplacement du général de Montréal , alors admis au cadre de réserve pour limite d'âge. Le général de Goyon considéra son commandement comme devant être toujours la manifestation du respect et du dévouement de la France et de son chef pour le souverain pontife, que les armes françaises avaient rétabli sur le trône de Saint-Pierre. Il s'assura promptement toute la confiance de Sa Sainteté, qui, dès le 10 juin 1857, le nomma grand-croix de son ordre de Pie IX. C'est en 1858, que sous son commandement et sa direction, les fortifications nouvelles de Civita-Vecchia furent commencées, et terminées en 1859. Le Saint Père visita en 1859 ces travaux importants, œuvre des officiers du génie et des soldats de la ligne français. Il en témoigna sa satisfaction par des récompenses accordées aux directeurs et conducteurs des travaux, et ordonna même qu'une inscription gravée sur une plaque de marbre blanc, et connaître à la postérité l'ouvrage des soldats français. On sait l'élan que les succès français en Italie provoquèrent dans les États du Pape et le délire qu'excitèrent les nobles proclamations de Milan et autres lieux. Les sujets du Saint-Père voulaient répondre à l'appel fait à leur patriotisme ; cette excitation des esprits amena de nombreuses démonstrations qu'il fallait ou empêcher ou arrêter, car le but avoué d'honorer la France couvrait des projets hostiles au gouvernement papal que les soldats français devaient soutenir et faire respecter. La position du général de Goyon était extrêmement difficile, puisque comme aide de camp de l'Empereur et comme officier général français, il ne pouvait qu'applaudir à « notre gloire acquise en Italie2 », et devait cependant, dans l'intérêt du pouvoir qu'il était chargé de soutenir, contenir tous les élans, pour n'avoir pas à les réprimer par la force. D'autre part, il eut des démêlés fréquents avec le pro-ministre aux armées des États du pape Pie IX, M. de Mérode. Mais son attitude fut approuvée à Paris : il fut promu grand officier de la Légion d'honneur, le 8 août 1858. Le Sénat romain, reconnaissant, décerna au général de Goyon, par un vote unanime, et avec l'autorisation du Saint-Père, sous la date du « 6 août de l'an de la fondation de Rome 2613, et de l'ère chrétienne 1859 », des Lettres de la noblesse romaine de l'ordre le plus élevé, en l'inscrivant au Livre d'or du Patriciat romain (Livre d'or de la noblesse capitoline). Le Souverain Pontife fit plus : il autorisa le sénat à étendre à la femme de M. de Goyon et à leurs enfants les mêmes honneurs du Patriciat romain. L'empereur, en daignant récompenser la division d'occupation de ses services pénibles et si difficiles depuis 1859, éleva, par décret du 12 mai 1860, le général de Goyon à la dignité de grand-croix de l'ordre impérial de la Légion d'honneur. Au mois de juillet 1860, le général de Goyon avait reçu

l'invitation de se rendre à Paris, mais il ne put le faire que plus tard. Avant de quitter Rome, il alla présenter ses hommages de respectueux dévouement au Saint-Père qui, pensant qu'il ne reviendrait pas, lui remit son portrait en cadeau. Le général partit pour la France. Le gouvernement pensant que, d'après l'effectif de l'armée pontificale (voir : Zouaves pontificaux), on pouvait réduire la division d'occupation au commandement d'un général de brigade, le général de Goyon fut invité à reprendre son service d'aide de camp de l'empereur, et à quitter son commandement, par lettre en date du 24 août 1860, extrêmement flatteuse, puisqu'elle lui exprime les remerciments du gouvernement pour les services qu'il a rendus durant sa mission à Rome. Le général de Goyon se rendit alors au conseil général de son département (Côtes-du-Nord), puis dans sa terre de Bretagne. A peine y était-il installé, qu'il fut appelé à Paris pour y recevoir des ordres. Il partit en toute hâte le 10 septembre, et le 12 au matin, il était chez le ministre de la Guerre, qui lui confirma ses prévisions et lui remit le décret qui, à la date même de ce jour, l'investissait de son ancien commandement, mais avec un effectif double de celui qu'il avait auparavant. Le général accepta avec empressement l'appel fait à son dévouement, heureux d'aller se consacrer encore au service d'une cause qui lui est chère. Le 15 septembre, il prit la mer à Toulon, emmenant avec lui le 7e de ligne, une batterie d'artillerie et un escadron du 4e de hussards. Le 18, il débarquait à Civita-Vecchia ; il partit immédiatement pour Rome, et se rendit au Vatican. « Mais, hélas !

tout le mal était fait2 ». Il trouva le pape livré à la plus profonde douleur, venant de recevoir la nouvelle du « désastre de

Castelfidardo » (18 septembre 1860). La confiance que le général de Goyon devait inspirer rendit le calme au Souverain Pontife, et il s'occupa tout de suite de sauvegarder sa position, qui était très menacée, car les Piémontais occupaient la province de Viterbe entière, ainsi que le nord de celle de Civita-Vecchia. Le 5 octobre, la seconde division placée sous ses ordres arriva à CivitaVecchia, et, son débarquement opéré, elle se rendit à Rome, où elle arriva le 9. Le même jour, car il ne fallait pas perdre de temps, deux colonnes furent mises en mouvement : une sur Viterbe, l'autre sur Velletri. Les Piémontais furent obligés de faire place aux troupes françaises, qui venaient rétablir les autorités pontificales, qui s'étaient retirées forcément devant l'invasion italienne. La situation était délicate ; il fallait ne pas engager le drapeau français et surtout ne pas le compromettre ; l'attitude devait être énergique et prudente. À ces difficultés s'en joignirent promptement d'autres, celle de la retraite sur le territoire pontifical de l'armée napolitaine venant du Garigliano. Cette armée, épuisée, forte de 15 à 17 000 hommes de toutes armes, ayant 40 pièces de canon, se retirait sous l'égide de l'armée française, qui dut la préserver des poursuites dont elle était l'objet par terre et par mer. Le roi des Deux-Siciles, touché des soins donnés avec tant d'empressement par l'armée française à ses malheureux soldats, envoya au général de Goyon la grand'croix de l'ordre de Saint-Janvier. En octobre 1861, le général de Goyon fut appelé de nouveau à Paris, et l'Empereur apprenant que comme commandant les divisions d'occupation, il avait à ajouter aux nombreux devoirs de sa situation si tendue, les exigences du commandement d'une division, daigna, le 6 novembre, à Compiègne, l'appeler au commandement en chef du corps d'armés d'occupation et lui donna sous ses ordres un second général de division, qui prit le commandement divisionnaire qu'il exerçait. Le général de Goyon retourna à Rome, où le souverain pontife le complimenta avec effusion sur sa nouvelle position, et reprit ses fonctions qui se continuèrent avec peut-être moins de difficultés, puisque tout ce qui pouvait être fait, militairement parlant, ayant été réalisé, il n'y avait plus qu'à maintenir et conserver. L'année 1862 vint, « et tout le monde se rappelle le conflit diplomatico-militaire soulevé en mars (voir : Urbano Rattazzi#Le gouvernement du 3 mars 1862), à l'occasion d'une sérieuse prise d'armes, justifiée par les menaces et les menées hostiles des jours précédents, conflit qui dura plus de deux mois

2. » Ce grave incident fit appeler une dernière fois le général à Paris, où il arriva le 22 mai. Au Sénat impérial L'Empereur, après l'avoir entendu avec bienveillance, l'honora de son approbation, consacrée par le décret du 25 mai qui l'éleva à la dignité de sénateur, et surtout par la note insérée dans le Moniteur du 26, qui relate le décret précité.Le général de Goyon a été reçu au Sénat avec une bienveillance si marquée, qu'appelé le 28 mai par le tirage au sort à faire partie du premier bureau, il en fut immédiatement nommé président, fonctions qu'il accepta avec une reconnaissance d'autant plus profonde, que ses éminents collègues voulurent bien lui dire que c'était un témoignage d'approbation de sa conduite à Rome. Le Sénat a fait plus encore en nommant, par élection générale, le comte de Goyon, l'un de ses vice-secrétaires. Il vota à la chambre haute avec les bonapartistes catholiques. Nommé (2 mars 1867) commandant du 6e corps d'armée (Toulouse), il fut placé, l'année suivante (novembre 1868) dans la réserve, par la limite d'âge, après avoir vainement réclamé d'être maintenu dans l'activité comme ayant exercé à Rome un commandement en chef. Elu par le canton de Plouha, il présida le conseil général des Côtes-du-Nord du 26 août 1861 au 20 septembre 1870[réf. nécessaire]. De 1869 à 1870, il dirigea la Société de Secours aux Blessés Militaires (S.S.B.M.), devenue depuis 1940 la Croix-Rouge française. Mort à Paris le 17 mai 18701, il fut inhumé auprès de ses parents au cimetière de Montparnasse, division 1. Titres

• 2e Vicomte de Goyon (12 octobre 1852) : o Confirmé dans la transmission des titres et majorats de vicomte héréditaire par arrêté ministériel du 12

octobre 18523 ; • 1er Comte de Goyon (17 septembre 1865)

o Confirmé ensuite dans le titre de comte héréditaire (porté par ses ancêtres) par lettres patentes du 17 septembre 1865, avec transmission en faveur de son fils puîné3.

o Ces lettres patentes confirment aussi le décret impérial du 2 juillet 1864, portant rétablissement du titre de duc de Feltre, en faveur de l'aîné des ses fils lors de sa majorité, et succession éventuelle s'il venait à décéder sans postérité masculine, pour son frère cadet. Elles établissent enfin la faculté de réversions de deux titres (duc de Feltre et comte de Goyon) sur une seule tête au cas où il n'existerait qu'un seul représentant mâle, mais avec la même règle d'hérédité et de séparation desdits titres pour les enfants de ce titulaire et de transmission nouvelle dans l'ordre de primogéniture3.

• Le Sénat romain, reconnaissant, décerna au général de Goyon, par un vote unanime, et avec l'autorisation du Saint-Père, sous la date du « 6 août de l'an de la fondation de Rome 2613, et de l'ère chrétienne 1859 », des Lettres de la noblesse romaine de l'ordre le plus élevé, en l'inscrivant au Livre d'or du Patriciat romain (Livre d'or de la noblesse capitoline).

o Le Souverain Pontife fit plus : il autorisa le sénat à étendre à la femme de M. de Goyon et à leurs enfants les mêmes honneurs du Patriciat romain.

Décorations

• Légion d'honneur1 : o Chevalier (28 avril 18412), puis, o Officier (28 juillet 18482), puis, o Commandeur (25 juin 1849), puis, o Grand officier (8 août 1858), puis, o Grand-croix de la Légion d'honneur (12 mai 1860) ;

• Médaille militaire1 (20 août 1863) • Chevalier de Malte4 (ou « Ordre de Saint-Jean-de-Jérusalem5 ») ; • Chevalier de l'Ordre de Charles III d'Espagne (1823) ; • Ordre d'Isabelle la Catholique :

o Commandeur (1838), puis, o Grand-croix (1858) ;

• Grand-croix de l'Ordre de Pie IX (10 juin 1857) ; • Grand-croix de l'Ordre de Sainte-Anne de Russie ; • Grand-croix de l'Ordre de Saint-Janvier des Deux-Siciles (1860) ; • Ordre des Saints-Maurice-et-Lazare :

o Commandeur, puis, o Grand-croix (1853) ;

• Commandeur de l'ordre du Christ de Portugal (vers 1850-1852) ; • Commandeur de l'ordre autrichien de Léopold (1856).

Union et postérité Fils aîné de Michel-Augustin, vicomte de Goyon (1764-1854), préfet napoléonien puis gentilhomme de la chambre du roi Charles X, et d'Antoinette Hippolyte Pauline de La Roche-Aymon (1773-1825), le général comte de Goyon avait épousé, le 16 novembre 1836 à Paris, Henriette-Oriane/Auriane (16 novembre 1813 - Paris † 15 juillet 1887 - Château de Prunoy, département de l'Yonne), fille du général de division et pair de France Raymond de Montesquiou, 2e duc de Fezensac, et de Henriette Clarke (fille de Henry Jacques Guillaume Clarke, duc de Feltre, maréchal de France).

• De son mariage sont nés cinq enfants, savoir : o Marie-Mathilde-Henriette (1837 † 27 juin 1912 - Paris VIIIe), comtesse de Courcy , mariée en 1857 avec

Philippe Marie André Roussel, comte de Courcy (1827-1887), dont postérité ; o Marie-Philippine-Antoinette-Charlotte (1839 † 12 décembre 1929 - Pau), baronne Séguier, mariée, le 6 août

1856 à Paris, avec Antoine 1832-1929), 3e baron Séguier , magistrat, dont postérité ; o Marie-Victoire-Ida (3 mai 1842 † 16 décembre 1851) ; o Charles-Marie-Michel

6 (14 septembre 1844 - Chantenay-sur-Loire (Loire-Inférieure) † 1930), 3e duc de Feltre (décret du 2 juillet 1864), 3e vicomte de Goyon (24 mars 1872), 3e comte de Goyon (1918), attaché d'ambasade, sous-lieutenant de hussards, député des Côtes-du-Nord (1876-1885), marié, le 5 juin 1879, avec Léonie de Cambacérès 7 (1858-1909), dont :

� Auguste (17 juillet 1884 - Château de La Roche-Goyon, Noyal8 † 8 mars 1957 - Paris), 4e duc de Feltre, président de la chambre d'agriculture des Côtes-du-Nord (1924)8, mariém le 21 octobre 1933 à Paris, avec Helen Seton (1893-1983), dont :

� un fils, 5e duc de Feltre, marié deux fois, dont : � Postérité ; o Aimery-Marie-Médéric

9 (13 mars 1849 - Paris † 5 mai 1918 - Paris), 2e comte de Goyon (décret du 17 juin 1865), attaché d'ambassade, député de Guingamp, marié avec Mlle de Raigecourt-Gournay, dont :

� Jeanne Marguerite Marie Thérèse (9 mars 1882 - Paris † 14 janvier 1980), mariée, le 29 juin 1904 à Paris, avec Joseph de Séguier (1872-1940), dont postérité ;

� Oriane (31 juillet 1887 - Hyères † 26 novembre 1926 - Vernon) ; Bibliographie : Ouvrage utilisé comme source pour la rédaction de cet article

• « Goyon (Charles Marie Augustin, comte de) » , dans Robert et Cougny, Dictionnaire des parlementaires français, 1889 [détail de l’édition] ;

• Vicomte Ludovic de Magny, Le nobiliaire universel : ou, Recueil général des généalogies historiques et veridiques des maisons nobles de l'Europe, vol. 9, Institut Heraldique, 1866 [lire en ligne];

• R. Martin et Jean Tulard (dir.), Dictionnaire du Second Empire, Fayard, 1995; Notes et références

1. ↑ a, b, c et d Notice no LH/1183/83 [archive], sur la base Léonore, ministère de la Culture 2. ↑ a, b, c, d, e, f, g, h, i et j Vicomte Ludovic de Magny, Le nobiliaire universel : ou, Recueil général des généalogies

historiques et veridiques des maisons nobles de l'Europe, vol. 9, Institut Heraldique, 1866 [lire en ligne [archive]] 3. ↑ a, b et c Vicomte Albert Révérend (1844-1911), Armorial du Premier Empire : titres, majorats et armoiries concédés

par Napoléon Ier, vol. 3, Paris, (4 vol. in 2) Au bureau de L'Annuaire de la noblesse, 1894 [lire en ligne [archive] (page consultée le 16 nov. 2009)]

4. ↑ Nicolas Viton de Saint-Allais, L'ordre de Malte : ses grands maîtres et ses chevaliers, L'auteur, 1839 [lire en ligne [archive]]

5. ↑ Indicateur du nobiliaire toulousain : L'état présent de la noblesse du ressort de la Cour impériale de Toulouse en 1868, Durand et Cie, 1868, 143 p. [lire en ligne [archive]]

6. ↑ « Goyon (Charles-Marie-Michel de), Duc de Feltre » , dans Robert et Cougny, Dictionnaire des parlementaires français, 1889 [détail de l’édition] [texte sur Sycomore [archive]]

7. ↑ Léonie de Cambacérès (1858-1909), Fille de Louis, comte de Cambacérès (1832-1869), auditeur au Conseil d'État (1855), député de l'Aisne (1857-1863), chevalier de l'Ordre de l'Étoile polaire de Suède.

8. ↑ a et b

« D'abord « Roche-Tanguy », puis « château Le Denays », le château a pris le nom de Roche-Goyon au XIXe siècle. Il

est construit en 1728 avec des réemplois d'une bâtisse du XVIe siècle. Quatre membres de la famille de Goyon,

propriétaire du château, se distinguent au XIXe siècle :

1. Augustin, comte de Goyon, est préfet des Côtes-du-Nord pendant la première Restauration. 2. Charles, son fils, est nommé aide de camp de Napoléon III en 1853, puis président du conseil général en

1861 et sénateur en 1862. Il devient duc de Feltre par décret impérial en 1866, et est élu député des Côtes-

du-Nord de 1876 à 1889. En 1892, il achète le fort La Latte. 3. Suit Auguste, élu président de la chambre d'agriculture des Côtes-du-Nord en 1924. »

Source Château de La Roche-Goyon, [archive] Noyal sur fr.topic-topos.com. Consulté le 31 mai 2011

9. ↑ « Goyon (Aimery de) » , dans Robert et Cougny, Dictionnaire des parlementaires français, 1889 [détail de l’édition]

Articles connexes

• Liste de personnes nées à Nantes ; • Liste de Saint-Cyriens par promotion ; • 17e régiment de chasseurs à cheval ; • 1er régiment de cuirassiers ; • 4e régiment de hussards ; • 1er régiment de hussards parachutistes ; • 12e régiment de dragons ; • 2e régiment de dragons – nucléaire, biologique et chimique ; • École de cavalerie de Saumur ; • Sénat (Second Empire) ; • 6e corps d'armée (France) ; • Canton de Plouha ; • Conseil général des Côtes-d'Armor ; • Croix-Rouge française ; • Liste de personnalités enterrées au cimetière du Montparnasse ; • Liste des grands-croix de la Légion d'honneur ; • Ordre de Sainte-Anne ; • Ordre des Saints-Maurice-et-Lazare ; • Ordre de Pie IX ;

Liens externes

Sur les autres projets Wikimédia : • « Charles-Marie-Augustin de Goyon », sur Wikimedia Commons (ressources multimédia)

• Notice no LH/1183/83, sur la base Léonore, ministère de la Culture ; • Données généalogiques sur :

o Charles Marie Augustin de Goyon sur roglo.eu. Consulté le 23 mai 2011 ; o Charles M Augustin DE GOYON sur gw1.geneanet.org. Consulté le 23 mai 2011 ;

Tombe des La Roche-Aymon / Goyon (cimetière de Montparnasse, division 1) Statue du général Drouot, cours Léopold à Nancy. Henriette Auriane de Montesquiou Fezensac (1813-1887).