losurdo domenico - nietzsche e la critica della modernità

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«La tragica grandezza del filosofo, il fascino e la straordinaria ricchez- za di suggestioni di un autore capa- ce di ripensare l'intera storia del- l'occidente e di collocarsi, ben al di là dell'attualità, sul terreno della 'lunga durata', tutto ciò emerge pienamente solo se, rinunciando a rimuovere o a trasfigurare in un innocente gioco di metafore le sue pagine più inquietanti o più repu- gnanti, lo si osa guardare in faccia per quello che realmente è, il più grande pensatore tra i reazionari e il più grande reazionario tra i pen- satori».

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LE ORME . .

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Dornenico LOSURDO

Niemche. Per una biogrt$h poatica

manifesto gibrij

Page 5: Losurdo Domenico - Nietzsche e la critica della modernità

O 1997 manifestolibri srl Vi Tomacelli 146 - Roma

ISBN 88-7285-124-6

Realizzazione grafica: Studio Idea

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NIETZSCHE E LA CRITICA DELLA MODERN~A

1. La crisi della civiltà da Socrate alla Comune di Parigi

2. Critica della «civilizzazione» e delegittimazione del moderno

3. Dalla negazione della coscienza storica alla sua radicalizzazione . 4. Otium, lavoro e schiavitù

5. orale del gregge, morale dei signori e doppiezza

6. Politica ed epistemologia

7. Rivoluzione francese, «rivoluzione» socratico- platonica e «rivoluzione» ebraico-cristiana

8. Radicalità, «inattualità» e incrinature del progetto reazionario

9. Eterno ritorno, volontà di potenza e annientamento dei malriusciti

10. Metafora e storia

Note

Nota bio-bibliografica

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1. LA CRISI DELLA c n m . ~ A DA SOCRATE ALLA COMUNE DI PARIGI

Apparsa agli inizi del 1872, La nascita della tragedia, che segna il debutto filosofico di Nietz- sche, non può essere compresa senza la Comune di Parigi e la guerra franco-prussiana che immediata- mente precedono la sua pubblicazione. La corri- spondenza e i frammenti del tempo chiariscono in modo inequivocabile con quanta intensità sia stata vissuta la nuova ondata rivoluzionaria al di là del 'Reno e quanto dolorosa e indelebile sia l'impronta da essa lasciata. Alla notizia dell'incendio del Lou- vre da parte degh insorti, <<fui per alcuni giorni com- ,

pletamente distrutto dai dubbi e sopraffatto dalle lacrime: tutta l'esistenza scientifica, filosofica e arti- stica mi apparve un'assurdità, se un solo giorno poteva annientare le più meravigliose opere d'arte, anzi interi periodi dell'arte»l. Successivamente, la notizia si rivela falsa, ma ciò non modifica uno stato d'animo, liricamente espresso da un frammento di qualche anno dopo: «Autunno - sofferenza-stop- pie-licnidi, asteri. Lo stesso quando giunse la notizia del preteso incendio del Louvre - senso dell'autun- no della civiltà. Mai un dolore più profondo»2.

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Il bilancio storico-teorico della Comune di Parigi è così formulato in un paragrafo centrale del- la Nascita della tragedia: a causa dell'«ottirnismo», la civiltà va incontro ad unY«orrenda distruzione»; la «fede nella felicità terrena di tutti» fa tremare la società <<fin nei più profondi strati», seminando lo scontento in «una classe barbarica di schiavi», che, sedotta da idee utopistiche, awerte ora «la sua esi- stenza come un7ingiustizia» e esplode in rivolte incessanti. Rispetto a tale ondata distruttiva non può costituire una diga il cristianesimo, degradato ormai a «religione dotta», e cioè con seguito scarso e decrescente tra le masse popolari, e che, soprat- tutto, risulta esso stesso contagiato dallo «spirito ottimistico» del presente3. I1 cristianesimo «pela- gianizzato» e dimentico del peccato originale che pesa sull'esistenza umana è già denunciato da Schopenhauer, cui Nietzsche, in questi anni, attri- buisce il merito di avergli «tolto dagli occhi le ben- de dell'ottimi~mo»~. Epperò il giovane filosofo comincia a spingersi molto oltre su questa strada, mettendo decisamente in discussione nel suo com- plesso la religione dominante in Occidente, in cui, sia pur coniugata al futuro, in una dimensione ultraterrena, svolge un ruolo troppo importante l'i- dea di felicità per tutti.

I1 rimedio non può essere individuato neppu- re nella grecità, se questa continua ad essere letta

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Nietzrche e la critica della modernità

alla maniera dei neo-classicisti, come sinonimo di imperturbata e imperturbabile serenità. Tale inter- pretazione coglie in realtà un solo aspetto, quello apollineo, testimoniato in primo luogo dalla scultu- ra. La tragedia e la musica ci mettono invece in pre- senza di una diversa e più profonda dimensione. Con le spalle al muro e costretto a rivelare una verità che avrebbe preferito tenere nascosta, Sileno, seguace di Dioniso lacera i luccicanti veli apollinei e mette a nudo l'abisso dell'esistenza: «Stirpe misera- bile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irrag- giungibile: non esser nato, non essere, essere nien- te. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto». Tale verità dionisiaca assume un'e- spressione trasfigurata e trasognata nell'arte apolli- nea, la quale svolge una funzione anche socialrnen- te benefica nella misura in cui aiuta l'uomo a sop- portare «i terrori e le atrocità dell'esistenza». Ma dimenticare questo fondo oscuro e terribile sareb- be come valutare i tormenti del martire cristiano a partire dalla sua «visione estaticad. L'intensità tra- gica e dionisiaca del mondo greco trova una sua potente espressione nel Prometeo di Eschilo che, distruggendo la visione del progresso propria di «un'umanità ingenua», mette in evidenza «l'intero flusso di dolori e affanni» che già comporta l'inven-

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DOMENICO LOSURDO - zione del fuoco6. Il significato politico di tale mito viene ulteriormente precisato in un testo coevo alla Nascita della tragedia; «L'awoltoio che divora il fegato al fautore prometeico della civiltà» proclama una volta per sempre una verità, che pure «suona crudele»: «la schiavitu rientra nell'essenza stessa della Folle si rivela allora la pretesa della felicità terrena per tutti che sempre più caratterizza il mondo moderno.

Epperò, la celebrazione acriticamente illumi- nistica e progressistica di Prometeo e l'oblio del- l'awoltoio (e di Sileno) sono già iniziati in terra gre- ca. «L'uomo dionisiaco» sa che non è possibile «mutare nulla nell'essenza eterna delle cose», com- prende che «ridicolo o infame» è ogni sogno di palingenesi sociale e politica, la pretesa di rimettere «in sesto il mondo che è fuori dei cardini»8. Ma con Socrate vediamo «l'uomo teoretico~~ e l'«ottimista teorico» sviluppare la sua «fede nell'attingibilità della natura delle cose»1° e pretendere di «correg- gere l'esistenza»". Non c'è più posto per l'arte e la tragedia, che anch'essa comincia, con Euripide, a divenire raziocinante. Alla grecità tragica e dioni- siaca subentra ora quella alessandrina, la quale riposa su un'insanabile e rovinosa contraddizione: come ogni civiltà, «ha bisogno, per poter esistere durevolmente, di una classe di schiavi; ma essa, nel- la sua concezione ottimistica dell'esistenza, nega la

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Nietuche e la d i c a della modernità

necessità di una tale classe» e proclama invece la "dignità dell'uomo" e la "dignità del lavoro"'*, get- tando così le premesse per l'incessante e rovinoso ciclb rivoluzionario, per le successive ondate di rivolte servili, che dilaniano la Francia e l'Europa. Bisogna dunque vedere in Socrate (e nel suo pen- dant letterario che è Euripide) «il punto decisivo e il vertice della cosiddetta storia u n i ~ e r s a l e » ~ . Comincia ora a divenire chiaro il significato della Nascita della tragedia. Avrebbe potuto tranquilla- mente portare come titolo o sottotitolo: La mz'si del- la civiltà da Somate alla Comune di Parigi. Si tratta cioè di un testo al cui centro è la Kulturkritik, una tradizione di pensiero profondamente radicata in Germania e che con Nietzsche conosce un'estrema radicalizzazione. La resa dei conti con l'«irrequieto e barbarico trambusto e turbinio che si chiama ora "il presente"»14 deve iniziare dal filosofo greco che incarna l'ottimismo e la cui influenza si è «allargata sulla posterità fino a questo momento, anzi per ogni avvenire, simile ad un'ombra che diventa sem- pre più grande nel sole della sera»15.

Conviene subito osservare che la Kulturkntik di Nietzsche non ha nulla dell'abbandono nostalgi- co e inerte. Non solo è battagliera ma, in questo momento, guarda fiduciosa alla possibilità di radi- cale trasformazione del presente. È un aspetto sot- tolineato con forza e con autorevolezza, dati i rap-

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DOMENICO LOSURDO

porti di stretta amicizia col filosofo, da ENNi Roh- de, che, nel recensire La nascita della tragedia, dichiara: «L'autore invita tutti quelli che vivono nel- la diaspora, tristi e memori dei tempi passati, a rin- novata speranza»16. E qui diviene evidente l'influen- za esercitata dall'altro grande avvenimento politico del tempo su un'opera maturata - osserva la Prefa- zione - «fra i terrori e le grandezze della guerra appena scoppiata»17, quella guerra cui non a caso il filosofo ritiene di dover partecipare come volonta- rio nelle file dell'esercito prussiano, abbandonando momentaneamente l'insegnamento universitario impartito nella neutrale città svizzera di Basilea. Assieme alla sconfitta della Francia, «i cannoni della batta& di Worth», sotto il cui tuono inizia ad esse- re scritta La nascita della tragedia1*, segnano la liqui- dazione della modernità al tempo stesso banausica e rovinosa iniziata con Socrate e annunciano «l'immi- nente rinascita dell'antichità», «la rinascita tedesca del mondo ellenico»19. La grecità tragica non è mor- ta del tutto. Essa può conoscere una nuova giovi- nezza. Lo dimostra la musica di quella sorta di novello Eschilo che è Wagner, il quale mette fine al predominio esercitato dall'opera maturata tra i popoli latini e intrecciata coi «movimenti sociahstici», in quanto essa stessa riposante sull'as- surdo presupposto dell'«uomo buono primitivo», dei suoi «diritti» e delle sue «prospettive paradisia-

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Nietrsche e la cri~ica della modernità

che», realizzabili una volta che sia stato portato a termine il mutamento delle istituzioni20. Ma lo dimostrano anche Schopenhauer, «il filosofo di una ridesta classicità, di una grecità germanica [...l, di una Germania rigenerata»21 e Kant, il quale ultimo, evidenziando i limiti e conflitti della ragione, si rive- la anche lui del tutto estraneo alla superficialità razionalistica e ottimistica. In questa medesima chiave viene letto L ~ t e r o ~ ~ , critico implacabile di una ragione e di una visione del mondo armonicisti- ca e quindi risuonante di motivi o di echi dimisiaci.

Anche al di fuori dell'ambito propriamente culturale, il vittorioso esercito tedesco ha rivelato l'«antica salute germanicax «Su tale base è possi- bile edificare: possiamo di nuovo sperare! La nostra missione tedesca non è ancora finita! Mi sento più animoso che mai, perché non tutto è rovinato sotto il livellamento e l'"eleganza" france- se-ebraica, né sotto l'avido affaccendarsi della vita d i "oggigiorno"». È vero, come ha rivelato la Comune di Parigi, «la nostra vita moderna, anzi tutta la vecchia Europa cristiana e il suo Stato, ma soprattutto la "civilizzazione" (Civilisation) latina ora dappertutto imperante, rivela il male incredibi- le da cui è afflitto il nostro mondo»23; ma già emer- gono e forse sono all'opera le forze capaci di con- trastare tutto ciò. I1 contrasto tra banausicità otti- mistica da una parte e spirito' dionisiaco dall'altra,

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' tra alessandrinismo e visione tragica della vita, si configura in questo momento come contrasto tra Francia e Germania. I1 paese dell'illuminismo e della rivoluzione è anche3 luogo della Civilisation. In contrapposizione a tutto ciò un inno scioglie La nascita della tragedia all'cessenza tedesca» (deut- sches Wesen), owero al «nocciolo puro e forte del- l'essenza tedesca», al «nocciolo nobile del caratte- re del nostro popolo»: in Germania, «civilizzazio- ne» e modernità sono solo un fenomeno passegge- ro e superficiale che mal copre l'intima «attitudine dionisiaca di un popolo» e di cui è possibile sba- razzarsi una volta per sempre con l'«espulsione dell'elemento neo latino^^^. Si tratta di un processo già iniziato con le guerre antinapoleoniche, ulte- riormente sviluppatosi con la nuova e decisiva vit- toria riportata sulla Francia e che ora è chiamato a spazzar via definitivamente «la visione del mondo liberale-ottimistica», la quale affonda le sue radici nelle dottrine dell'illuminismo francese e della rivoluzione, e cioè in una filosofia piatta e anti- metafisica, del tutto anti-germanica e autentica- mente romanica»25. E, dunque, nella «lotta contro la civilizzazione» (Civilisation) e la modernità alla Germania «rivolta alla civiltà» (Kultur) ed erede della Grecia tragica spetta una missione: lo «spirito tedesco» è in qualche modo il «salvatore», la «forza redentri~e»*~.

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Nietzsche e h critica della modernità

In questo momento, nel pantheon degh autori chiamati a ridar vita alla grecità tragica in terra tede- sca non può essere assunto Goethe, investito in una certa misura dalla polemica contro l'immagine sere- na e puramente apollinea di quella splendida stagio- ne storica: neppure lui è riuscito a «forzare la porta stregata che conduce alla montagna incantata elleni- ca», a «penetrare nel nocciolo della natura ellenica e a stabilire una durevole lega amorosa fra la cultura tedesca e la cultura greca»27. Decisamente escluso dal novero dei numi tutelari della lotta contro la «frivola divinizzazione del presente»28 i Hegel: il confronto con la sua filosofia, letta e denunciata come la legittimazione della modernità, è al centro delle Considerazioni inattuali pubblicate tra il 1873 e il 1876.

2. CIUTICA DELLA <<CIVILIZZAZIONE>> E DELEGITSIMAZIONE DEL

MODERNO

I1 filosofo secondo cui ognuno è «figlio del proprio tempo»29 non può non essere il bersaglio principale di Nietzsche che, nella sua denuncia della barbarie del presente, cerca interlocutori solo in «coloro che non si sentono cittadini del proprio tempo»30. Con la sua «cultura conforme al tempo», tutta all'insegna dell'«utilità» e del «guadagno» e tesa a conseguire un'«estensione» senza precedenti

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in modo da avere «il maggior numero possibile di impiegati intelligenti» e di rispondere alla crescente burocratizzazione e massificazione della società, con la sua celebrazione dello Stato e delle istituzioni politiche, che omologando e livellando, nessun posto lasciano al «genio», con tutti questi motivi Hegel esprime la modernità persino nel suo compi- mento ultimo e più ripugnante. Cancellando o met- tendo in crisi la distinzione tra schiavi e signori, la diffusione della «cultura generale» è il presupposto del «comunismo»31 e stimola comunque l'avvento di una società che è solo, per fare ricorso al linguag- gio usato più tardi, «brulichio di formiche» e «intruglio plebeo»32. Hegel, peraltro, non si limita ad esprimere il presente; pretende anche di legitti- marlo sul piano della filosofia della storia mediante la tesi della razionalità del reale. In tal modo, invi- tando a inchinarsi dinanzi al fatto compiuto e disto- gliendo quindi la Germania dal compito di ripropo- sizione della grecità tragica, egli sviluppa un'in- fluenza sommamente anti-educativa e corruttrice tra la gioventù tedesca. L'educatore per eccellenza è invece Schopenhauer, coerentemente impegnato nella denuncia della sua epoca, «quella falsa, vana, e indegna madre>?.

Oltre che nel filosofo particolarmente caro all'autore delle Considerazioni inattuali, il disagio per la modernità e lo sgomento dinanzi d o spettro

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Nietzsche e la critica della modernità

dello Stato-alveare o formicaio sono ben presenti, sia pure con intensità e modalità diverse, in larghi settori della cultura europea del tempo. Si pensi in primo luogo a Burckhardt, collega più anziano di Nietzsche all'università di Basilea, e impegnato anche lui a denunciare il crescente involgarimento del mondo. Sono gli anni in cui «predominio della mediocrità», affogamento degli individui «nella fol- la» e crescente prevaricazione delle «tendenze» e degli «istinti d d e masse» sono oggetto dell'accora- ta lamentazione di John Stuart Mili, il quale a tutto ciò contrappone l'«uomo forte e di cui va riconosciuta «la libertà di indicare la via» alla comu- ne umanità. Sono gli anni in cui Tocquede esprime l'angoscia per il profilarsi di una «società livellata», costituita «di api e di castori», nel cui ambito, spen- tisi «splendore» e «gloria», di pari passo con l'esten- dersi della «civilizzazione» e il prevalere degli inte- ressi meramente materiali procede il dileguare o l'e- marginazione degli «uomini eminenti» e dei «gran- di geni»34. In questo medesimo Jima spirituale pos- siamo collocare Nietzsche, il quale, con enfasi tutta particolare, allo spettacolo ripugnante del presente contrappone la «metafisica del genio» e la denuncia di ogni &ione della storia che «democratizza i dirit- ti del genio»35.

E, dunque, ciò che caratterizza il giovane filo- sofo non è il tema bensì, in primo luogo, la radicalità

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con cui esso è sviluppato. Intanto, la modernità vien fatta iniziare con Socrate. Soprattutto, se negli auto- ri liberali precedentemente citati è ben chiara la consapevolezza dell'irreversibilità del processo sto- rico (che si tratta semmai di contenere o incanalare verso esiti più favorevoli o meno catastrofici), in Nietzsche, invece, è messo in discussione anche tale presupposto. Riconoscere e legittimare la presunta «potenza della storia» significa inchinarsi «in guisa cinesamente meccanica [...l a ogni potenza, sia poi questa un governo o un'opinione pubblica o una maggioranza numerica^'^. E particolarmente signi- ficativo l'avverbio usato, chinesenhaft; negli anni successivi i cinesi diventeranno il simbolo dell'ope- raio umile, servizievole e servile, del nuovo tipo di schiavo di cui i signori hanno bisogno. La tesi della razionalità del reale e del processo storico rappre- senta il medesimo culto della maggioranza nwneri- ca che si esprime nella democrazia e nella crescente presenza e pressione delle masse e dei servi. Questi ultimi, che fanno già sentire il loro peso quantitativo sul piano più propriamente politico, finiscono con l'ottenere un prezioso e inaccettabile riconoscimen- to anche sul piano della filosofia della storia, grazie ad una visione che esclude in anticipo qualsiasi pre- tesa di recedere al di qua dei risultati del mondo

. moderno. Per conferire credibilità ad un progetto così

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N i e t d e e la critica della modernità

ambizioso qual è quello di Nietzsche, non basta la denuncia dell'intrinseca natura «servile» degli aapologeti della storia»37, e del carattere irrimedia- bilmente «filisteo», cioè banausico e plebeo, della ragione cui essi si richiamano. È necessario mettere in qualche modo in crisi e decostruire le categorie di storia e di ragione. Già La nascita della tragedia alla «cosiddetta storia universale»38 e all'«enorme bisogno storico della cultura moderna» contrappo- ne il mito senza il quale «ogni civiltà perde la sua sana e creativa forza di naturad9. «Sull'utilità e il danno della storia» s'interroga poi la I1 Inattuale che, dopo aver denunciato con parole di fuoco l'«eccesso di storia»40 e «la religione della potenza storiografica~~l, propone «l'antistorico e il sovra- storico» come «rimedi naturali al soffocamento della vita da parte della storian4*. Contro la «malat- tia storica»43, anzi contro la «cultura storica» in quanto tale, questa «specie di innata c a n i z i e ~ ~ ~ col- pevole di distruggere il mito e di paralizzare ogni energia creativa, Nietzsche agita ancora una volta il modello impareggiabile della Grecia tragica: «Là troviamo anche la realtà di una cultura essenzial- mente antistorica e di una cultura nonostante ciò o piuttosto a causa di ciò indicibilmente piena e ricca di vita»45.

Accanto alla contrapposizione del mito a ragione e storia, emergono ora motivi nuovi e più

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interessanti. La tesi della razionalità del reale e del processo storico viene contestata in nome anche della «morale», la quale esige che si nuoti «contro le onde della storia» e della modernità: «che i molti vivano e che quei pochi [geni] non vivano più, non è nient'altro che una brutale verità, ossia un'irrime- diabile stupidaggine, un goffo "è proprio così", di contro d'imperativo morale "non dovrebbe essere cosi". Sì, di contro alla morale! »46. Ma la novità più importante è un'altra. La II Inattuale intanto fa notare che ci sono modi tra loro assai diversi di rico- struire lo svolgimento della storia, ma, soprattutto osserva che «l'origine della cultura storica [...l deve essere essa stessa riconosciuta storica mente^^^. Per esprimerci in termini logici, Nietzsche fa ricorso all'argomento autori£l&sivo per confutare o mettere in crisi la coscienza storica di cui si alimenta e mena vanto la modernità.

3. DALLA NEGAZIONE DELLA COSCIENZA STORICA ALLA SUA RADICALEZAZIONE

Non ci si può più limitare a contrapporre il mito alla mediocrità massificata del presente. anche per il fatto che è ormai caduta in crisi la piattaforma politico-ideologica della Nascita della tragedia. I1 quadro storico è sensibilmente mutato. Dileguato è per il momento il pericolo di un dilagare al di fuori

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Nietz.de e la critica della modernità

della Francia della Comune di Parigi e della «classe barbarica di schiavi»: la Terza Repubblica si è con- solidata. Semmai, una preoccupazione nuova si affaccia all'orizzonte: «Come i Greci infierirono sul sangue greco, così oggi gli Europei infieriscono sul sangue europeo»48. Da questo frammento di Uma- no, troppo umano (1878-9) emerge con chiarezza che ad essere paragonata alla Grecia è ora l'Europa, di cui conviene preservare l'unità. Non bisogna per- dere di vista il fatto che, pur volontario nel corso del conflitto con la Francia, Nietzsche esprime subito il suo disappunto per l'«attuale guerritedesca di con- quista», appena cominciano a delinearsi i piani d'annessione dell'Alsazia-L~rena~~. L'iniziale ade- sione del filosofo alla politica di Bismarck neppure per un momento è motivata da passione sciovinisti- ca. E, comunque, subito dopo il trauma della Comune di Parigi, una lettera ad un amico osserva che «al di là della lotta fra le nazioni, ci ha atterrito quella testa dell'idra internazionale che improvvisa- mente si è sollevata con tanta mostruosità ad annun- ciare ben altre lotte future»50. In tale prospettiva, non può che risultare rovinosa la gallofobia dei nazional-liberali tedeschi che, minacciando di far riesplodere il conflitto coi vicini d'oltrereno e di dissanguare in lotte fratricide l'Europa e quel che resta di aristocrazia e classi dirigenti, rischia di aggravare di nuovo il perikolo rivolizionario.

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DOMENICO, LOSm

Per un altro verso, amara è la delusione del filosofo per il fatto che non si sia realizzata nessuna delle speranze di rigenerazione suscitate dall'awen- to del Secondo Reich. Incentrata com'è, o come appare, su un Reichstag eletto a suffragio universale (maschile), la Germania non costituisce un'dterna- tiva alla modernità né sul piano politico né su quello economico. Anzi, proprio qui lo sviluppo capitali- stico si presenta con una carica particolare di volga- rità e di affanno. Per di più, essa si è messa all'avan- guardia in tema di obbligo scolastico e di diffusione dell'istruzione, agli occhi del filosofo sinonimo, come sappiamo, di «comunismo». Il presunto pae- se-baluardo della lotta contro la rivoluzione è in realtà quello in cui più forti si presentano l'organiz- zazione sindacale e il movimento femminista, e più radicata e capillare la presenza del partito operaio. Sono gli anni in cui Engels formula la tesi secondo cui la funzione d'avanguardia rivoluzionaria svolta dalla Francia sino alla Comune di Parigi tocca ora alla Germanias1. A questa sorta di covo di idee moderne e sowersive Nietzsche comincia a guarda- re con un disprezzo e un odio tanto più profondi quanto più esaltate erano le speranze in precedenza riposte nella missione della nuova Grecia.

Non è più possibile continuare a leggere il confiitto Francia-Germania come antitesi tra civi- lizzazione e autentica civiltà owero tra modernità e

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Nietz.de e la critica della modernità

auspicata rigenerazione «tragica». Contro ogni gal- lofobia e contro la pretesa di contrapporre tradizio- ni nazionali ridotte a stereotipi senza rapporti reci- proci, Umano, troppo umano sottolinea la profonda influenza di Rousseau su Kant, Schiller e Beetho- ven. Non ha senso il tentativo dei nazional-liberali di considerare estraneo alla storia della Germania il morbo rivoluzionario. Anzi, man mano che si radi- calizza la critica del cristianesimo come movimento plebeo e sowersivo, essa non può non investire in particolare il paese di Lutero, della Riforma e della guerra dei contadini. Ora risulta più'evidente che mai l'inconciliabilità del richiamo della Nascita della tragedia al tempo stesso a Dioniso e al teorico della negazione della volontà di vivere (Schopenhauer), d'antichità classica e a Lutero, l'intrinseca contrad- dittorietà dell'irnmagine di una Germania erede al tempo stesso della grecità tragica e della Riforma. Alla parabola rovinosa della modernità dev'essere contrapposta una ben diversa tradizione culturale che, sempre prendendo le mosse dalla grande sta- gione ellenica, include ora il Rinascimento (nell'am- bito del quale l'antichità classica sembra rivivere) e non esclude neppure l'illuminismo.

Bisogna però subito dire che quest'ultima cor- rente di pensiero, ben lungi dall'essere letta come la preparazione ideologica della rivoluzione francese, viene a questa decisamente contrapposta: si tratta di

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liberare e «purificare» l'ill&inismo dalla sua inna- turale «mes~olanza» col «grande movimento rivolu- zionari~»~*. Con la sua «natura moderata», Voltaire è il grande antagonista di Rousseau e dello «spirito ottimistico della Rivoluzione» contro il quale biso- gna continuare a gridare: «Ecrasez l'infime! »53.

Tale parola d'ordine può ben essere utilizzata nella lotta sia contro il cristianesimo che contro il sociali- smo, entrambi caratterizzati da una fede supersti- ziosa, da un fanatismo morale e missionario, contro cui può ben fungere da antidoto l'illuminismo, il quale ulthno si fa beffe anche della bigotteria teuto- mane e luterana dei nazional-liberali tedeschi. È questo il filo conduttore di Umano, troppo umano, Aurora (1881) e La gaia scienza (1882)) le opere del periodo impropriamente chiamato illuministico. Incolmabile è ormai la distanza rispetto a Wagner; assai remoto appare anche Schopenhauer, nella cui negazione della volontà di vivere continuano ad echeggiare «l'intera concezione del mondo e il sen- timento dell'uomo medievali e cristiani»54.

Tutto ciò comporta un nuovo atteggiamento nei confronti della storia e dell'indagine storica. Abbiamo visto La nascita della tragedia evocare il terribile pericolo rappresentato per la civiltà da una «classe barbarica di schiavi» che avverte la sua con- dizione come un7«ingiustizia». Le opere del perio- do «iUuministico» si propongono di relativizzare e

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Nietz.de e la critica della modernità

rendere «oggetto di sospetto» per l'appunto i «sen- timenti superiori» cui fa appello l'eversione ple- bea55. A tal fine, prezioso può risultare il contributo di Montaigne e dei grandi moralisti francesi, i quali hanno il merito di mettere a nudo il lato oscuro del- la natura umana e di confutare la tesi cara a Rous- seau e ai rivoluzionari della bontà originaria del- l'uomo. Ma decisiva risulta l'indagine storica. Ora la modernità non è più da Nietzsche condannata come sinonimo di superfetazione storica; le parti sembrano persino rovesciarsi. Abbandonati i pre- cedenti discorsi relativi al «danno della storia», Umano, troppo umano addita la «mancanza di sen- so storico» come «il difetto ereditario» dei filosofi e intellettuali del tempo: «Non vogliono capire che l'uomo è divenuto e che anche la facoltà di cono- scere è divenuta [...] Tutto è divenuto; non ci sono fatti eterniP. Intrecciandosi con l'indagine psico- logica, la coscienza storica è chiamata a investire il lato più intimo della natura umana, quello dove si annidano i «sentimenti nobili» cui fanno appello gli schiavi in rivolta e i sentimenti ignobili che essi rim- proverano ai loro nemici. Si tratta dunque di rico- struire la genesi e lo sviluppo «dell'amore; della cupidigia, dell'invidia, della coscienza, della pietà, della crudeltà~~'. Ne risulta non solo un recupero ma un'ulteriore radicalizzazione della coscienza storica che ora investe temi ed emozioni fino a quel

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momento immersi in un'aura di irnmota eternità. È bene, tuttavia, non perdere di vista il centro di tale indagine: essa mira «a sondare e a scalzare un'anti- ca fiducia, sulla quale noi filosofi, da un paio di rnil- lenni, eravamo soliti edificare come sul più sicuro fondamento [...l, la nostra fiducia nella morale»58, quella morale sempre più nettamente individuata come la piattaforma ideologica dell 'eversi~ne moderna. A questo punto, non può non subire un profondo mutamento il giudizio precedentemente espressp su Kant: l'autore della Critica della ragion pratica rinvia ora anche lui ad un Medioevo che si tratta di liquidare.

Ben lungi dal comportare una conciliazione con la modernità, la svolta «illuministica» e «storici- stica» si propone di conferire un fondamento più rigoroso alla sua delegittimazione. Abbiamo appena visto che si tratta di rimettere in discussione «un paio di millenni di storia». Già la II Inattuale si chie- de: <<Che cosa possono mai significare un paio di millenni (o in altri termini, il tratto di tempo di 34 vite umane successive, calcolate in 60 anni ciascu- na), perché sia possibile parlare all'inizio di un tale tempo ancora di "gioventù" e alla fine di "vecchiaia dell '~rnanità"?»~~ Nel tentativo di strappare qual- siasi legittimità morale e di filosofia della storia alla parabola rovinosa iniziata con Socrate, l'indagine storica di Nietzsche comincia ad assumere la carat-

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Nietzsche e la critica della modernità

teristica della «lunga durata» che conserverà sin all'ultimo. La radicahtà del progetto controrivolu- zionario comporta un radicale rimpicciohento del tempo storico trascorso, breve istante di una vicen- da che, nei suoi tempi lunghissimi o smisurati, appa- re ancora tutta da scrivere.

4. OTiWM, LAVORO E sCI-IIAVITÙ

Non è dunque una fatalità dinanzi alla quale inchinarsi il mondo moderno, marchiato dalla mancanza di otium e quindi di auientica cultura. Quando, ironizzando sulla nuova «dignità» attri- buita al lavoro, insiste sul fatto che in ogni civiltà sana esso è sinonimo di volgarità e di infamia, Nietzsche può richiamarsi ad una tradizione che continua in qualche modo ad essere vitale ben al di là dell'antichità classica. Basti pensare a Grozio, il quale sussume il lavoro in quanto tale sotto la cate- goria di seruitus, limitandosi poi a distinguere tra seruitus pe~ecta (la schiavitù propriamente detta) e servitus imperfetta (propria sia dei servi della gleba sia dei mevcenavii o al aria ti)^^. Ancora nell'ambito del primo liberalismo, la separazione dal lavoro continua a lungo a definire la libertà e l'esistenza umana nella sua pienezza: per questo solo i benefi- ciari dell'otium sono chiamati a godere dei diritti politici. Anche la polemica di Nietzsche contro la

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diffusione dell'istruzione («Se si vogliono degli schiavi - e di essi si ha bisogno - non si devono educare come padroni»)61 ha dei precedenti tutt'al- tro che remoti: è in termini analoghi che ~ h d e v i l -

. le condanna i progetti di impartGe l'istruzione alla «parte più meschina e povera della nazione», desti- nata per sempre a svolgere un «lavoro sporco e simile a quello dello schiavo»62. Eppsrò, il liberali- smo fa i conti con gli sviluppi della società indu- striale e con l'irrequietezza e il peso crescente delG masse nella vita politica. Dopo il '48, vediamo Gui- zot formulare la tesi secondo cui «la gloria della civilizzazione moderna consiste nell'aver compreso e messo in luce il valore morale e l'importanza sociale del lavoro», che ormai <<è dappertutto in questo mondo>>63. Una visione simile a quella già vista nell'autore e statista francese si diffonde anche in Germania, e, con riferimento al messaggio impe- riale indirizzato il 17 novembre 1881 da Guglielrno I al Reichstag, La gaia scienza ironizza: «L; regale cortesia dell'espressione "siamo tutti lavoratori" sarebbe stata, anche sotto Luigi XIV, un cinismo e un'indecenza». E la medesima opera ribadisce la validità del modello greco e antico: «Un uomo di buoni natali nascondeva il suo lavoro quando le necessità lo costringevano a lavorare. Lo schiavo lavorava oppresso dal sentimento di fare qualcosa di spregevole. "La nobiltà e l'onore sono soltanto

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Nietz.de e la critica della modernità

nell'otium e nel bellum", così suonava la voce del- l'antico pregiudizio»64 .

Nietzsche respinge con sdegno gli sviluppi della società industriale e del liberahsmo. Un testo coevo d a Nascita della tragedia accusa i liberali di accodarsi a socialisti e comunisti nell'odio dell'aantichità classica», fondata sul franco ricono- scimento della necessità di affidare il lavoro ad una classe di schiavi, la cui terribile condizione rende «possibile a un ristretto numero di uomini olimpici la produzione del mondo del17arte» della civiltàb5. La civiltà è da paragonare ad «un vincitore gron- dante sangue, che nella sua marcia trionfale trasci- na come schiavi i vinti al suo carro», i quali ultimi, in condizioni normali, risultano accecati da «una forza benefica» che impedisce loro di prendere coscienza delle catene che li tengono avvintibb. Si comprende che, per un autore così fascinoso, gli interpreti siano propensi a considerare tale tema una semplice metafora. È bene allora precisare il quadro storico in cui si collocano la vita e la rifles- sione di Nietzsche. La sua giovinezza cade nel mez- zo della guerra di Secessione: siamo portati a pen- sare a quel che Tocqueville riferisce a proposito della situazione del Sud degli Usa, dove pene seve- re proibiscono di insegnare agli schiavi a leggere e scrivere e dove il valore tenuto in maggior conside- razione dai padroni bianchi è l'otium, mentre «il

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DOMENIO LOSURDO

lavoro si confonde con l'idea di schiavitù»67. Ne& anni successivi, alla cancellazione della schiavitù nella repubblica nord-americana corrisponde la cancellazione della servitù della gleba in Russia, ma forme di servaggio o semiservaggio persistono nei due paesi. L'Inghilterra, che nel 1833 ha abolito la schiavitù nelle sue colonie, procede poi, negli anni '70 e '80, al blocco navale delle coste dell'tifrica orientale per impedire la persistente tratta dei neri in direzione soprattutto del Brasile che abolisce la schiavitù, e il relativo commercio degli schiavi, solo nel 1888, l'anno in cui ormai volge al termine la vita cosciente del filosofo. Infine, è da tener presente che, mentre giustificano la loro espansione in nome dell'abolizione della schiavitù nelle colonie, le gran- di potenze sottopongono gli «indigeni» a rapporti di lavoro servili.

Non mancano nell'opera di Nietzsche gli echi diretti di tale vicenda storica. Un frammento accen- na sprezzantemente a Beecher-Stowe, l'autrice della Capanna dello zio Tom, il celebre romanzo abolizio- nista che tanta eco ha in Europa e nella stessa Ger- mania68. Umano troppo umano osserva che tutti desiderano l'«abolizione della schiavitù»; eppure bisogna ammettere che «gli schiavi sotto ogni ri- guardo vivono più sicuri e più felici del moderno operaio e il lavoro degli schiavi è ben poca cosa rispetto a quello dell 'operaio~~~. Di nuovo, siamo

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rinviati alla guerra di Secessione e all'aspro dibattito che la precede e accompagna: a insistere sul fatto che la condizione degli operai liberi non è migliore di quella degli schiavi, a contrapporre la schiavitù salariata, descritta con implacabile durezza di toni, alla schiavitù vera e per lo più mistificato- riamente immersa in un'ovattata atmosfera patriar- cale, ad agitare tale argomento sono i difensori della schiavitù nera, i quali spesso amano richiamarsi alla splendida fiorituia delL Grecia antica, impensabile senza la presenza di quel benefico istituto, tanto odioso agh occhi degh abolizionisti.

La giustificazione della schiavitù continua ad esser un punto fermo anche nel periodo «illumini- stico~. La gaia scienza non lascia dubbi in proposito: «Laddove si esercita un dominio, esistono masse: laddove esistono masse, ivi c'è un bisogno di schia- vitù». Certo, la guerra di Secessione è ormai alle spalle, e Nietzsche ben si rende conto della diffi- coltà o impossibilità di reintrodurre in Occidente la schiavitù propriamente detta. Questa presuppone una distanza radicale tra signori e servi, i quali ulti- mi devono sentire i primi come una «razza superio- re»; disgraziatamente, il mondo moderno e «la famigerata volgarità degli industriali dalle mani grassocce» operano una rovinosa omologazione. Non resta allora che ricorrere all'introduzione di una «nuova schiavitù», di un «nuovo tipo di rap-

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porto schia~istico»~~. Due sono le possibili strade: o sono cinesi (questo popolo caratterizzato dalla «maniera di vivere e pensare che si conviene a labo- riose formiche»71) e altre «popolazioni barbariche asiatiche ed africane» a dover costituire, in seguito a colonizzazione o immigrazione, la forza-lavoro ser- vile dell'Europa e del mondo civile, oppure ci si dovrà proporre di fare della classe operaia europea qualcosa di «tipo cinese»72.

Siamo così poco in presenza di una semplice metafora che suggestioni analoghe a quelle appena viste le ritroviamo in Renan, secondo il quale la «razza conquistatrice», la «nobile» europea «razza di padroni e di soldati» è chiamata a impegnare nei lavori più duri e negli «ergastoli» o la «razza della terra» costituita dai neri owero la «razza di operai (la razza cinese)» per «natura» dotata «di una mera- vigliosa destrezza di mani e quasi del tutto priva del sentimento de l l '~nore»~~. Sono gli anni in cui, per fare un esempio, le compagnie americane procedo- no alla costruzione della impervia linea ferroviaria destinata a consolidare la conquista del Far West mediante l'importazione dalla Cina di 10,000 coo- lies. La guerra di Secessione è terminata: per dirla con Engels, si cerca di surrogare la schiavitù nera formalmente abolita con la «schiavitù camuffata dei coolies indiani e cinesi»74.

Fino all'ultirno, Nietzsche continua a insistere

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sul fatto che la civiltà presuppone l'otium da un lato e la schiavitù in una qualche forma dall'altro. Con riferimento al ruolo della Gran Bretagna nella cam- pagna abolizionista, dichiara che ad opporsi al «fat- to» indiscutibile della «schiavitù» e della sua neces- sità è la maledetta ipocrisia, il «maledetto can t ingle- se-europeo>>75.

5 . MORALE DEL GREGGE, MORALE DEI SIGNORI E <<DOPPIEZZA>>

Abbozzata nel periodo «illuministico», l'inda- gine storica sull'origine dei «sentimeriti nobili» cui fanno appello le rivolte servili trova la sua più com- piuta formulazione in Al di là del bene e del male (1886) e in Genealogza della morale ( 1887). Ben lun- gi dall'essere animati dai sentimenti di giustizia che esibiscono, gli schiavi sono in realtà mossi da invi- dia, ressentiment, rancore, spirito di vendetta. Una terribile carica di violenza è presente già nella rivo- luzione cristiana che, a dispetto della mite parvenza delle prediche evangeliche, minaccia terribili pene per l'eternità a tutti i suoi avversari; e tale carica di violenza diviene poi mondanamente esplicita nelle successive ondate di rivolta s e d e . Certo, violenza viene esercitata o minacciata da entrambe le parti in lotta, ma come diversamente essa si configura nei due casi! Quella propria dei signori e dei benriusciti

. è «attiva», è solo l'estrinsecazione schietta e sponta-

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nea di una forza vitale, la quale gode di se stessa e affronta e abbatte gli ostacoli che le si frappongono. La violenza dei servi e dei malriusciti è invece «reat- tiva», mira all'awelenamento dell'esistenza e della felicità di coloro che sono oggetto della sua invidia e del suo «odio insaziabile»; in quanto scaturisce da falliti smaniosi solo di generalizzare il loro fallimen- to, questo secondo tipo di violenza procede con rag- giri e falsità, cerca di colpire i benriusciti intossican- doli con il senso del peccato e risucchiandoli in uria desolazione che ora è l'esistenza mondana in quanto tale76.

A partire dalla predicazione evangelica, una terribile cappa di piombo pesa sull'Occidente, la cui gioia di vivere risulta ormai intorbidita e awelenata. Nella coscienza morale e nello stesso imperativo categorico kantiano continua ad esprimersi un terri- bile retaggio di furore teologico e di «crudeltà» che sottopone a impietosa vivisezione l'interiorità del soggetto, tormentandolo con la condanna della car- ne e il sentimento angoscioso del rimorso. D'altro canto, il senso del peccato fa tutt'uno con l'istinto gregario che impedisce lo sviluppo di individualità veramente autonome e compiute. A tutto ciò, Nietzsche contrappone una nuova morale, che è poi la ripresa di una morale calpestata dalla tradizione ebraico-cristiana. In Cosiparlò Zarathustra (1883- 85) il protagonista, simbolo di una cultura e di una

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saggezza di vita disgraziatamente estranee all'Euro- pa, sembra pronunciare una sorta di contro-discor- so delle beatitudini: «Io vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene! Sono awe- lenatori. Lo sappiano 'o no./Spregiatori della vita sono, moribondi e loro stessi avvelenati, di cui la terra è stanca: vadano dove vogliono». Emerge qui una critica del tema della valle di lacrime ancora più radicale di quella che si può leggere nella tradizione di pensiero che dalla sinistra hegelian? conduce a Marx; ed è una critica che in Nietzsche trova accenti di grande intensità filosofica e lirica: «Dacché vi sono uomini, l'uomo si è rallegrato troppo poco: questo solo, fratelli, è il nostro peccato originale!». Awelenatore della vita, il senso tormentoso del pec- cato esprime al tempo stesso una carica rovinosa di violenza e di odio: «la crudeltà era la voluttà di que- st'anima» che disprezzava il corpo. La liquidazione di tale eredità comporta un'emancipazione gioiosa e felicemente dilagante: «E nella misura in cui impa- riamo a rallegrarci meglio disimpariamo a far male ad altri e ad escogitare il male»77. Lasciatisi alle spal- le Schopenhauer e Wagner, Nietzsche celebra «il paganesimo goethiano vissuto con tranquilla coscienza»78 e lo celebra prendendo le difese del grande poeta dagli attacchi velenosi della «Gema- nia delle vecchie zitelle, acida d'ipocrisia morale»79.

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Enorme è la carica dirompente di questi temi nei confronti dell'ideologia dominante. Ma sarebbe precipitoso leggere in essi una teoria dell'emancipa- zione. L'evidenziamento del carattere intrinseca- mente crudele e violento dell'imperativo morale e categorico mira a dimostrare, come più tardi chiari- sce lo stesso filosofo, che esso, ben lungi dall'essere «"la voce di dio nell'uomo"», è «l'istinto della cru- deltà che si volge all'interno appena non può più scaricarsi al19esterno». Resta fermo il fatto che la crudeltà è «uno dei più antichi e ineluttabili fonda- menti della civiltà»80; e dunque, se è comprensibile «che gli agnelli nutrano avversione per gli uccelli rapaci*, grottesca e anzi mossa da un calcolo astuto e vendicativo è la pretesa dei primi, cioè dei falliti della vita, di «imputare d'uccello rapace il fatto di essere uccello rapace»81.

D'altro canto, il fascinoso «paganesimo» che già conosciamo non è universalizzabile. La morale può essere declinata solo al plurale: c'è quella dei signori owero dei «conquistatori» e quella dei servi, e quest'ultima è bene che continui a stimolare sacri- ficio, rassegnazione e sentimenti gregari. Solo in tal modo la civiltà, un carro che esige l'incatenamento degli schiavi, può continuare a svilupparsi. Il senti- mento di disagio per questa legge inesorabile, se nelle classi inferiori è il ressentiment, nelle classi . superiori è la compassione, la quale spesso s'intrec-

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cia col sentimento di colpa istillato nei benriusciti dalla vendetta dei falliti. E come il ressentiment è l'i- nizio della rivolta degli schiavi, così la compassione è l'inizio dell'abdicazione delle classi superiori al ruolo di comando che naturalmente compete loro. Ressentiment e compassione non solo non hanno nulla di nobile ma sono decisamente perniciosi: essi costituiscono due momenti, in basso e in alto, della crisi della civiltà. Il risultato in cui sfocia l'indagine storica e psicologica sull'origine dei sentimenti morali è la decapitazione morale delle dvolte servili: la questione sociale di cui tanto si ciancia è solo l'in- debita colpevolizzazione dei benriusciti da parte dei falliti della vita i quali, nel gonfiarsi con roboanti ideali e parole, non fanno altro che dar sfogo al loro istinto di vendetta.

È Nietzsche stesso a respingere, con forza e in modo inequivocabile, la lettura in chiave individua- listica della sua «genealogia della morale»: «La mia filosofia mira alla gerarchia, non ad una morale individualistica. Il senso del gregge deve dominare nell'ambito del gregge, ma non straripare al di là di esso. I reggitori del gregge hanno bisogno di una valutazione profondamente diversa delle proprie azioni». Al pari della «morale collettivistica», anche quella «individualistica» ha il torto di far valere parametri egualitari, rivendicando la «medesima libertà» e la medesima spregiudicatezza per tutti8*.

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La potente carica demistificatoria indubbiamente sprigionata da tale filosofia non è allora in contrad- dizione con la celebrazione, presente già negli scrit- ti giovanili, della «salutare incoscienza», della «sana sonnolenza», del «sonno sano e ristoratore» in cui è immerso ed è bene che continui ed essere immerso il popolos3, gli strumenti di lavoro che, con la loro docile obbedienza e il loro ordinato fun- zionamento, devono rendere possibile lo sviluppo della civiltà.

Nel corso degli anni, la critica del cristianesi- mo si fa sempre più penetrante e aspra, ma senza mai smarrire la sua intrinseca doppiezza, Ancora immediatamente prima dell'irrompere della notte della follia, Nietzsche ribadisce: «Noi irnmoralisti e anti-cristiani vediamo il nostro vantaggio nel fatto che la Chiesa continui ad esistere»84; è «nell'istinto di coloro che dominano (si tratti di individui o di classi) patrocinare ed esaltare le virtù grazie alle quali gli assoggettati risultano maneggevoli e devoti»; in questo senso, «anche i "signori" possono divenire cristiani»85. Se anche il cristianesimo è sino- nimo di ressentiment, resta il fatto che le Chiese pos- sono almeno incanalare tale sentimento in modo da renderlo politicamente e socialmente inoffensivo: «"Io soffro: qualcuno deve averne la colpa" - così pensa ogni pecora malaticcia. Ma il suo pastore, il prete asceta, dice a essa: "Bene così, la mia pecora!

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Qualcuno deve averne la colpa: ma sei tu stesso questo qualcuno, sei unicamente tu ad averne la col- pa - sei unicamente tu ad aver colpa di te stesso! " . . . Questo è abbastanza temerario, abbastanza fal- so: ma se non altro una cosa in tal modo è raggiunta, in tal modo, come si è detto, la direzione del ressen- tinzent . . . è mutata»86.

Abbiamo visto Nietzsche affermare l'impossi- bilità di declinare la morale al singol'are. Ciò vale in un certo senso anche per la storia. È solo una fin- zione il soggetto unitario che di solito le viene attri- buito: l'umanità non ha fini comuni, «non progre- disce, non esiste neppure»87. Partito, come molti dei suoi contemporanei, dalla denuncia del ciclo rivoluzionario che va dal 1789 al 1848 e dai movi- menti proto-socialisti sino alla Comune di Parigi, il filosofo sottopone a critica serrata le principali categorie teoriche di tale tradizione: uomo in quan- to tale, progresso storico, égalité. Per questo, non ' può certo sentirsi a suo agio nella mediocrità e pavidità della piattaforma nazional-liberale. Strauss non è in grado di scrollarsi di dosso neppure le idee che più immediatamente rinviano alla rivoluzione francese, come dimostra il fatto che, nella sua determinazione della morale, continua a far ricorso

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all'idea della «specie», e cioè ad un «concetto di uomo [sotto il quale] vanno aggiogate le cose più disparate, per esempio il Patagone e il maestro S t r a u s ~ » ~ ~ .

La categoria di uomo in quanto tale è stretta- mente connessa a quella di égalité, la quale continua a stimolare rovinosi sconvolgimenti: «"L'uguaglian- za della persona"» è il presupposto del «sociali- s m o ~ ~ ~ , che però incorre in un errore colosssale pre- supponendo «che molti uomini siano "persone"». In realtà, «i più non sono nessuna persona», bensì semplici «portatori, strumenti di trasmissione»90. Con la sua «agitazione individualista», il socialismo mira a «rendere possibili molti individui»91, ma quel- la di «individuo» non è in alcun modo una caratteri- stica che competa ad ogni essere umano in quanto tale: la civiltà e il dominio presuppongono «un biso- gno di schiavitù» e «dove c'è schiavitù, gh individui non sono che Non ha alcun senso voler appiattire in un'unica categoria individui in senso forte e strumenti di trasmissione (gli schiavi).

A sortire l'effetto di arbitraria semplificazione e omologazione della ricchezza del reale, non è solo il concetto di uomo universale, è il concetto in quanto tale. Già La nascita della tragedia, con deri- mento alla disputa scolastica sugli universali e citan- do e sottoscrivendo l'opinione di Schopenhauer, dichiara che «i concetti sono gli uniuersalia post

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rem»; «i concetti generali [sono] un'astrazione della realtà», mentre il concreto è dato dal «particolare e individua le^^^. Sin dagli scritti giovanili, la resa dei conti con il movimento rivoluzionario avviene anche sul piano epistemologico. La liquidazione dell'egualitarismo presuppone la liquidazione del «realismo»: ogni concetto ha il torto di «trascurare ciò che vi è di individuale e di reale», di «porre un segno di uguaghanza tra ciò che è disuguale»94. Del tutto privi di fondamento risultano allora i diritti dell'uomo dalla rivoluzione francese proclamati in nome dell'aesangue entità astratta "uoho"», questa «pallida finzione universale»95. Come il concetto, .

anche l'égalité rivendicata dai rivoluzionari dimenti- ca la massima nominalistica che impone: «Mai ren- dere eguale l'ineguale»96.

La lotta contro la rivoluzione è anche la lotta contro una visione «realistica» della ragione: «Ci siamo ribellati contro la rivoluzione . . . Ci siamo emancipati dall'atteggiamento reverenziale nei con- fronti della raison, dallo spettro del XVIII secolo»97. - Non a caso, Descartes, «il padre del razionalismo» è anche il «nonno della rivoluzione»98. Per un verso, a partire dal periodo «illuministico», Nietzsche si richiama alla scienza per liquidare, in nome della causahtà della natura e dell'innocenza del divenire,

4' . # ogni visione morale del mondo. Per un altro verso, la scienza risulta fondata su concetti colpevoli essi

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stessi di rendere uguale il disuguale e che quindi esprimono, sul piano epistemologico, la medesima tendenza al livellarnento espressa dalla norma mora- le sul piano etico e dall'idea di uguaghanza sul piano politico. Prima ancora che nella predicazione evan- gelica, la rivolta servile si manifesta già nelle «coltel- late» plebee insite nel «sillogismo» s o ~ r a t i c o ~ ~ , owero in una dialettica che sconfigge le buone maniere e il pathos della distanza dell'aristocrazia e tutti unisce e omologa sul terreno di una presunta comunità della ragione. La «magia del concetto» diviene irresistibile in Platone che, a tale riguardo, dà prova di fanatismo: cos'è il mondo delle idee se non una forma di venerazione e divinizzazione del concetto?100 Col suo razionalismo, e dunque col suo culto dell'universalità, Socrate (maestro di Platone) è il primo dei «quattro grandi democratici», assieme a Gesù, Lutero e Rous~eau~~l. Un benefico antidoto all'universalismo della morale e della ragione può essere l'arte: «La scienza e la democrazia fanno tutt'uno (checché ne dica il signor Renan), certa- mente come fanno tutt'uno l'arte e la "buona società"»lo2.

Nella liquidazione del concetto di uomo in quanto tale finisce con lo sfociare la stessa dissolu- zione da Nietzsche operata del soggetto. I pochi cui compete la qualifica di individuo sono in realtà una pluralità di individui; non ha senso voler attribuire

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ad un sostrato unico e immutabile nel tempo la grande molteplicità di azioni e comportamenti in cui si esprime una vita. Alla decostruzione della categoria di universalità mira anche l'insistenza sul carattere inevitabilmente prospettico della cono- scenza. Non c'è un soggetto teoretico che possa essere astratto dalle sue pulsioni vitali, dalla sua volontà di potenza e dai giudizi di valore che espri- me. In questo senso, come la morale così anche la conoscenza non può che essere declinata al singola- re. Dileguati l'illusione o l'inganno di norme e con- cetti comuni, emerge la realtà irriducibile della volontà di potenza. È la vita in quanto tale ad essere al tempo stesso sinonimo di ottica prospettivistica e di volontà di potenza, sempre peculiare e non suscettibile di valutazione morale, e che può essere negata o messa in discussione solo da coloro che nutrono «un principio ostile alla vita». Assieme a «cosa in sé» e «conoscenza in sé», il prospettivismo liquida ogni preteso ordinamento etico del mondo e sancisce l'innocenza del divenirelo3.

7. RIVOLUZIONE FRANCESE, NUVOLUZIONE>> SOCRATICO-PLATO- NICA E <<RIVOLUZIONE>> EBRAICO-CRISTL4NA

Ma quando è propriamente iniziata la parabo- la rovinosa della modernità? Nell'indagine delle più remote origini della rivolta servile s'impegnano con

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particolare accanimento il Crepuscolo degli idoli (1889) e L'Antimisto (redatto anch'esso nell'imme- diata vigilia dell'insorgere della follia, ma pubblica- to solo nel 1895). In primo luogo bisogna mettere in stato d'accusa il cristianesimo: nel «concetto del- l'uguaglianza delle anime difionte a Dio» è da vede- re «il prototipo di tutte le teorie della parità dei dinttin, quelle che poi si sono espresse politicamen- te nella rivoluzione francese e nel movimento socia- listalo4. Se per un verso il cristianesimo rappresenta il momento in cui giunge a compimento la sower- sione di un'antichità classica interiormente malata, per un altro verso esso si configura come una rivol- ta servile già d'interno del mondo giudaico, «una rivolta contro la Chiesa ebraica [...l, contro la gerarchia della società - non contro la sua corruzio- ne, ma contro la casta, il privilegio, l'ordinamento, la formula; fu l'incredulità negli uomini superiori». In tale prospettiva, Gesù appare come un «santo anarchico che chiamò il basso popolo, i "reietti" e i "peccatori", i Ciandala d'interno dell'ebraismo, a contraddire l'ordine dominante - con un linguag- gio, se si deve prestar fede ai Vangeli, che ancor oggi condurrebbe in Siberia». Egli «era un delin- quente politico, nella misura in cui erano possibili delinquenti politici in una società assurdamente impolitica~. Ma l'ebraismo, contro cui Cristo e, soprattutto, Paolo si ribellano, è esso stesso il risul-

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N i e t d e e la critica della modernità

tato di una degenerazione e contaminazione servile. Ben altra cosa è l'ebraismo pre-esilico: «In origine, soprattutto all'epoca del potere regio, anche Israele si trovava nel giusto, vale a dire nel naturale rappor- to con tutte le cose. Il suo Javè era l'espressione del- la coscienza del potere, del piacere di sé, della spe- ranza riposta in sé: ci si attendeva da lui vittoria e salvezza, con lui si confidava nella natura, che essa desse ciò di cui il popolo ha bisogno - soprattutto la pioggia. Javè era il Dio d'Israele e di conseguenza Dio della giustizia: è questa la logica di ogni popolo che ha la potenza e una buona coscienia di essa». 11 momento di svolta è rappresentato dalla sconfitta e dall'esilio: in queste circostanze si sviluppa un'altra rivoluzione rovinosa, di cui sono protagonisti gli «agitatori sacerdotali» che, per la prima volta, avanzano l'idea di un «"ordinamento etico del mondo"» e sottopongono a radicale trasformazio- ne il concetto stesso di Javè: essi «ormai interpreta- no ogni buona ventura come premio, ogni calamità come castigo per una disubbidienza a Dio, per il "peccato"». A questo punto, la morale subisce un processo di autonomizzazione, snaturalizzazione e superfetazione; essa «non è più l'espressione delle condizioni di vita e di sviluppo di un popolo, non è più il suo più profondo istinto vitale, bensì è dive- nuta astratta, è divenuta l'opposto della vita». In tale negazione della vita si riconoscono i falliti della

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vita che, col loro zelo morale, lanciano una sorta di «"malocchio"» e maledizione contro i ben riusciti, contro coloro che vivono con gioia una condizione ormai oggetto di riprovazione morale105. È con gli «agitatori sacerdotali», quindi coi profeti ebraici, poi con quegli «agitatori cristiani» che sono i «Padri della Chiesa»lob che inizia il ciclo di rivolta servile e di attentato alla vita, il quale abbraccia oltre due millenni di storia.

In terra greca, tale svalutazione dell'al di qua, col rinvio ad un'immaginaria trascendenza owero al mondo delle idee e col primo emergere di una visio- ne morale del mondo, trova la sua espressione in Socrate e Platone: in fondo, il platonismo non è altro che una forma di «cristianesimo per il popolo». C'è un rapporto tra le due tradizioni sov- versive, quella ebraico-cristiana e quella che si svi- luppa in terra greca? «Quando Socrate e Platone presero le parti della virtù e della giustizia, furono ebrei, o non so cosa altro»lo7. La dialettica e la sua ironia, questa «forma di vendetta plebea» la vedia- mo all'opera sia nella decadenza greca che tra gli ebrei108. Si può persino formulare un'ipotesi: «Pla- tone, andò forse a scuola dagli ebrei»lo9. È un dato di fatto che l'antichità classica, la Roma su cui riesce a trionfare la religione ebraico-cristiana, è già una «Roma giudaizzata». Siamo quindi in presenza di un unico gigantesco ciclo storico. Dopo aver conse-

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Nietzsche e la critica del& modernità

guito una decisiva vittoria prima con ]la Riforma e poi con la rivoluzione francese, «Giudea»llo conti- nua ad essere ispiratrice in qualche modo dello stes- so movimento socialista il quale, coi suoi sogni di palingenesi sociale, non fa altro che continuare ad agitare «l'indegna frase ebrea del cielo sulla terra»"'.

Dall'evidenziamento della linea di continuità che caratterizza il millenario ciclo di rivolte servili scaturisce una carica demistificatrice in una duplice direzione: da un lato dilegua l'aura di innocenza politica e di sacralità che circonfohde religione ebraica e cristiana, dall'altro si vede negato il carat- tere laico e scientifico che pure ama attribuirsi il movimento rivoluzionario e socialista, il quale ora appare come teologia superficialmente secolarizza- ta. Ebraismo e cristianesimo si caratterizzano per il loro antropocentrismo piccino e vanesio che, rispetto all'antichità classica e ad altre culture extra- europee, rappresenta una terribile regressione: «Come si può fare tanto chiasso delle proprie pic- cole imperfezioni, come fanno questi omuncoli pii! Nessuno se ne dà pensiero; tantomeno Dio». E invece, nell'ambito del Vecchio e soprattutto del Nuovo Testamento, ogni piccolo miserabile preten- de di essere oggetto di attenzione dell'intero ordi- namento universale e del suo creatore: «questa gen- te sminuzzola le sue cose più personali, le sue stupi-

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daggini, tristezze e oziose preoccupazioni, come se l'in-sé delle cose fosse tenuto a darsene cura»l12. L'antropocentrismo continua ad essere ben presen- te nella rivoluzione francese che, con la sua teoria dei diritti dell'uomo, non solo colloca al centro del- l'universo il mondo umano ma, nell'ambito di que- st'ultimo, attribuisce centralità e dignità di fine in sé anche agli esseri più mediocri e miserabili. È solo un nome diverso per il vecchio buon Dio ogni «pre- sunto ragno etico-finalistico celato sotto il grande tessuto e reticolo della causalità»l13; ma tale ragno è per l'appunto il filo conduttore della fede progressi- sta e rivoluzionaria in un processo del mondo ten- dente a realizzare la felicità per tutti e l'armonia uni- versale. All'opera vediamo la stessa concezione del tempo che sembra aver conseguito o sta per conse- guire il suo fine ultimo, la sua plenitudo: «Il "giudi- zio finale" t...) è la rivoluzione come se l'aspetta anche l'operaio socialista, soltanto pensata un po' più lontanm114.

8. RADICALITA, «INATTUALITÀ» E INCRTNATURE DEL PROGETTO FEAZiONAiUO

Questa impietosa rilettura della tradizione rivoluzionaria finisce con l'assumere toni «inattuali» proprio in virtù del suo radicalismo e della sua ampiezza di respiro. Il compito, anzi la missione di

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Nietzsche e la d i c a della modernità

salvare la civiltà e l'Europa i nazional-liberali tede- schi lo affidano alla Germania, al paese della Rifor- ma, cui attribuiscono il merito di aver ridato inti- mità e vitalità ad un cristianesimo che rischia di divenire esangue nella Roma dei papi rinascimentali e paganeggianti. È proprio questo, agli occhi del filosofo, il crimine capitale di Lutero il quale, nel- l'infondere nuova vita ad un religione intrinseca- mente sovversiva, costituisce il punto di partenza della prima grande ondata di rivoluzione plebea e servile che scuote l'Occidente. Senza Lutero non è pensabile la Guerra dei contadini owero là solleva- zione dei servi della gleba, e non è neppure pensabi- le la rivoluzione puritana in Inghilterra. Ben più robusto che negli ideologi nazional-liberali è il senso storico in Nietzsche, il quale parla della Riforma come di un movimento plebeo «tedesco e ingle- se»ll5 e fa riferimento a Cromwell e ai «livellato- ri»l16. Dall'Inghilterra partono poi quei dissidenti religiosi che svolgono un ruolo non trascurabile nel- la rivoluzione americana. Attraverso molteplici mediazioni, un unico ciclo conduce da Lutero agli sconvolgimenti in Francia: è una tesi che possiamo leggere già in Hegel e, nella seconda metà dell'otto- cento, in Engels; il fatto che essa ora si ripresenti, con un giudizio di valore rovesciato, non toglie nulla al suo antagonismo nei confronti dell'ideologia dominante. È semmai interessante notare che tale

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ciclo viene ora ulteriormente prolungato: ad essere in prima fila nell'agitazione abolizionista è quella che Al di là del bene e del male definisce «una razza di ex-puritani»l17.

A sua volta, sd'idealismo tedesco ha lasciato tracce profonde la rivoluzione francese. Nietzsche richiama ripetutamente l'attenzione sull'entusia- smo manifestato per tale avvenimento da Kant. Ma, al di là di questa o quella presa di posizione politi- ca, c'è da fare una considerazione di carattere gene- rale. La tesi della filosofia classica tedesca come pendant teorico della rivoluzione francese, questa tesi, enunciata da Hegel e ben presente in Marx e Engels, si ripresenta in qualche modo anche nel grande pensatore reazionario, sia pure con un giu- dizio di valore ancora una volta diverso e contrap- posto. Nietzsche denuncia «le due farse nefaste, la rivoluzione e la filosofia kantiana, la pratica della ragione rivoluzionaria e la rivoluzione della ragion "pratica"». I1 sovversivismo è «comune a ogni morale e alla Su un piano teorico più generale, se la morale «tratta come nemici colo- ro che detengono il potere, i violenti, i "signori" in genere» e i «dominatori» e la «loro volontà di potenza», mentre invece incoraggia «l'uomo comu- ne»l19, allora è chiaro che la denuncia del carattere eversivo e plebeo della morale non può non investi- re in modo privilegiato Kant e la Germania: in que-

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Nietzscbe e la critica della modernità

sto senso «i Tedeschi sono canaille~~*~. Tale canaille si fa sentire anche nell'agitazione

antisemita che proprio in Germania è particolar- mente virulenta. In nome del cristianesimo, l'ideolo- gia dominante mette in stato d'accusa non solo socialisti, comunisti e anarchici, ma gli stessi ebrei, denunciati come sovversivi per lo meno sul piano religioso e culturale. E invece, pur essendo un criti- co implacabile del giudaismo nel suo complesso, Nietzsche vede in esso uno stadio meno avanzato della malattia rivoluzionaria rispetto al cristianesi- mo. Assurdo e repellente risulta l'antisemitismo, per il fatto inoltre che esso, nelle sue invettive contro la finanza e contro le posizioni di prestigio professio- nale e di potere occupate dagli ebrei, non fa altro che esprimere il ressentiment dei falliti della vita contro i benriusciti, contro l'aristocrazia o che resta di essa. Quel «socialismo degli imbecilli» che, secondo la celebre definizione di August Bebel (discepolo e collaboratore di Engels), è l'antisemiti- smo, vien condannato da Nietzsche con un atteggia- mento carico di disprezzo sia nei confronti degli ,

imbecilli che del socialismo in quanto tale, tanto piii ,. che, per il filosofo, c'è un legame organico e costitu- tivo tra l'ideologia in questione e la sua base sociale, costituita da gente fallita sotto ogni punto di vista, A

compreso quello intellettuale. Agli occhi dei nazional-liberali, Lutero è

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DOMENICO ~ U R W

anche il protagonista della riscossa nazionale tede- sca. Ma, a partire da un osservatorio così elevato, che mette in discussione più di due millenni di sto- ria, non può non apparire meschina, assurda e con- troproducente ogni esaltazione e agitazione sciovi-

. nistica. Questa presuppone e accelera ulteriormen- te la massificazione del mondo moderno. Anche a tale proposito, si rivela il superiore senso storico del filosofo il quale è ben consapevole che la categoria di «nazione» presuppone il dileguare o disgregarsi di un antico regime fondato su una insuperabile contrapposizione castale, e quindi incapace di esprimere qualsiasi comunità, compresa quella nazionale. La Germania impegnata nella resistenza anti-napoleonica puzza di sowersivismo a Nietz- sche che sottolinea il carattere plebeo e di massa di tale movimento, il suo tentativo di mutuare dai gia- cobini il modello della guerra di popolo, diretta ora contro un eroe, cui il filosofo attribuisce il merito di aver ristabilito l'ordine in Francia recidendo la testa d'idra rivoluzionaria. Richiamandosi a Lutero, alla resistenza antinapoleonica e poi alla guerra franco- prussiana, i nazional-liberali tedeschi si atteggiano a campioni della lotta contro una latinità corrotta e corruttrice; ma, rispetto d'Impero guglielmino che rivendica la sua missione imperiale in nome della gerrnanicità cristiana e protestante, come superiori devono apparire agli occhi dell'autore del17AntZcri-

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Nietzrche e ka m5ica della modernità

sto i paesi nella cui cultura e nei cui costumi ancora è possibile awertire l'eco della grande stagione pagana e rinascirnentale!

Nel Nietzsche maturo, la Germania assurge a simbolo della più repellente modernità. Con un rovesciamento radicale rispetto alla Nascita della tragedziz, ora è semmai il carattere pervicacemente e irriducibilmente plebeo, moderno e democratico della tradizione culturale e politica tedesca a stimo- lare la sua antitesi più radicale: «Non sarei possibile senza una razza di natura contraria, senza Tedeschi, questi Tedeschi». Esclusivamente nell 'ibito di tale prospettiva possono avere una qualche giustificazio- ne storica i vari movimenti eversivi sviluppatisi in Germania o che in essa hanno trovato il loro luogo d'elezione: «Persino il cristianesimo diventa neces- sario: solo la forma suprema, più pericolosa, più seducente del no alla vita ne sfida la suprema affer- mazione: me»121.

Non solo rispetto all'Impero guglielmino Nietzsche risulta inattuale. La nostalgia dell'otium sfocia da un lato nella rivendicazione della schiavitù, dall'altro nella denuncia della società capitalistica in cui la divisione del lavoro penetra sempre più profondamente nell'ambito delle stesse classi domi- nanti. È illuminante a questo proposito un frammen- to degli anni '80: «La schzizvitù del presente: una bar- barie! Dove sono coloro per cui gli schiavi lavorano?

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Non ci si deve sempre attendere una contempora- , neità delle due caste reciprocamente complemen-

tari»; l'«incapacità all'otium» ha contagiato le stesse classi dominanti122. Lo stanno a dimostrare gh Usa, dove più a lungo, per quel che riguarda l'occidente, ha resistito la schiavitù propriamente detta, e dove,

. tuttavia, prima e in modo più radicale che in ogni altro paese ha trionfato la «spasmodica frenesia del lavoro»123. Sicché, l'appassionata celebrazione del- l'otium è sì il vagheggiamento di un mondo ormai sopraffatto dalla modernità, ma anche, al tempo

-' t' * stesso un'anahsi critica straordinariamente ricca del- .' ' la penetrazione della divisione del lavoro in ambito

Culturale, con la conseguente perdita della percezio- ne e del bisogno della totalità e con la riduzione del-

, Yattività intellettuale a semplice artigianato e a pro- ..' ' d u h n e parcellizzata, condotta con spirito gregario

- incapace di esprimere un minimo di criticità. r r $ L . + . . .,,, . L'inattualità produce talvolta effetti decisa-

:v :* %- me>te paradossali. Pronunciata com'è a partire da . un osservatorio così elevato e così remoto rispetto al

presente, la critica a tutto campo della modernità è , -* senza dubbio la liquidazione senza appello della

' 'democrazia e della «demolatria», ma anche la .I-

denuncia di quella sorta di società dello spettacolo ,, . , , che si va delineando e dell'uso che essa fa della psi- " " .cologia delle folle (una disciplina non a caso alla

- a ."vigilia della sua esplicita teorizzazione ad opera di

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Niettrche e la critica della modernità

Gustave Le Bon). È ciò che sembra emergere della furibonda polemica contro Wagner e la sua musica che non solo è principalmente teatro, «quest7arte di massa per eccellenza», ma un teatro che richiede la presenza di «massa» e non di «individui», che tutti trasforma in «popolo, gregge, femmine, farisei, bestie elettorali, membri di patronati, idioti - wagneriani», e dove «anche la coscienza più perso- nale soggiace all'incantesimo livellatore del gran numero»

Ancora. Nietzsche condanna il cristianesimo in nome dell'inseparabilità di schiavitùe civiltà; sen- nonché, l'espansione coloniale (e la conseguente sottomissione in massa degli «indigeni» a rapporti di lavoro servili o semiservili) viene promossa in quegli anni sbandierando la necessità della diffusio- ne della religione cristiana e della civiltà: «In questo momento» - osserva Ecce homo - «l'imperatore tedesco chiama suo "dovere cristiano" liberare gli schiavi dell'Afri~a»!l~~. E non è tutto. Con grande lucidità, il filosofo sottolinea che l'«"abolizione del- la schiavitù", questo presunto contributo alla "dignità dell'uomo", è in realtà l'annientamento di una stirpe profondamente diversa», portata avanti mediante un «sotterramento dei suoi valori e della sua felicità», mediante un'operazione tesa alla distruzione preliminare de117identità culturale del popolo da ~oggiogarel~~. In questo senso, «l7aboli-

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zione della schiavitù» è un'abbaghante parola d'or- dine funzionale d'abbellimento ideologico di un programma politico che in realtà ~i~n$ca-<<~ualcosa di completamente diverso (persino opposto!)», e cioè dell'etn~cidiol*~.

Ed ecco l'ultimo paradosso. A partire dal- l'ambizioso progetto reazionario già visto di indivi- duare e divellere una volta per sempre le radici rovinose della modernità che da due millenni deva- sta l'occidente, la I V Inattuale definisce sprezzan- temente il cristianesimo come un semplice «fram- mento di antichità orientale»lZ8, dimostrando così di condividere il pathos esaltato dell'Europa e del- l'occidente che costituisce un elemento centrale dell'ideologia dominante nel suo tempo (e non solo nel suo). Sennonché, la denuncia di quanto di orientaleggiante vi sarebbe nella storia dell'occi- dente evidenzia la labilità dei confini tra Occidente e Oriente ovvero tra civiltà e barbarie. Tanto più che proprio l'Occidente è il luogo in cui ha imper- versato la tradizione religiosa ebraico-cristiana, la più sowersiva e la più rovinosa fra tutte. Essa ha distrutto «la salute e la gagliardia di razza» in primo luogo dell'Europa, nell'ambito della quale rientra- no anche gli Stati Uniti; l'ideale ascetico, che in quella tradizione gioca un ruolo centrale, «può venir definito la vera fatalità nella storia sanitaria dell'uomo europeo»129. È infine da notare che la

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Nietrrche e la d i c a della modernità

condanna delle contaminazioni «orientali» dei due millenni di storia «occidentale» colloca tale «fram- mento» in una vicenda dai tempi lunghissimi o smi- surati, finendo così oggettivamente col ridicolizza- re, come espressione di provincialismo di corto respiro, ogni forma di eurocentrismo.

Gli effetti paradossali dell'inattualità si molti- plicano a causa di un fattore ulteriore. Abbiamo detto dell'accafiimento con cui Nietzsche intende perseguire, sin nelle sue più remote origini, la tradi- zione rivoluzionaria. Bisogna però subito aggiunge- re che questa viene messa in stato d'accusa a partire dai suoi elementi di debolezza indagati con grande lucidità e con un fiuto straordinario. Vivendo in condizioni materiali di ristrettezza, per ragioni anche di soprawivenza, le classi subalterne sono costrette a sviluppare quella che Adam Smith defi- nisce la «morale austera», caratterizzata dalia glori- ficazione del lavoro e del sacrificio, dalla diffidenza e ostilità nei confronti del lusso e della libertà ses- suale e spirituale proprie della «morale liberale* delle classi dominanti130. È questa «morale auste- ra», carica di invidia e di frustrazioni, che Nietz- sche vede agire nei movimenti plebei di rivolta, da Gesù a Lutero, da Rousseau sino ai socialisti del suo tempo. Anche qui non c'è spazio per distinzio- ni: il filosofo conosce il movimento socialista soprattutto attraverso l'antisemita Duhring e igno-

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ra invece Marx e Engels i quali, assieme alla società capitalistica, sottopongono a critica implacabile la pretesa di dare una «vernice socialista» all7«asceti- smo cristiano» ovvero al17«ascetismo universale», pretesa di cui si fanno portatori movimenti che, risentendo dell'angustia delle condizioni di vita della loro base sociale, esprimono spesso, nono- stante la loro carica di ribellione, tendenze o aspetti «reazionari»131, E, dunque, Nietzsche liquida l'in- tera tradizione rivoluzionaria mettendo in eviden- za, e generalizzando e assolutizzando, i suoi tratti «reazionari».

Ad ogni tappa della parabola rivoluzionaria il filosofo contrappone la maggiore ricchezza cultura- le e il maggior equilibrio del regime di volta in volta rovesciato. Paragonato a Voltaire o Montaigne fa una pessima figura Rousseau e lo stesso vale per Lutero nel confronto con Erasmo e il Rinascimento; rispetto poi agli autori dell'antichità classica, Gesù e gli «agitatori cristiani [...l chiamati Padri della Chie- sa» sono come «l'"esercito della salvezza" inglese» rispetto a Shakespeare e agli «altri "pagani"» che esso pretende di combattere. Ma il cristianesimo rivela la sua povertà e rozzezza anche se paragonato all'ebraismo: «per il Vecchio Testamento, tutto il mio rispetto!»; in esso sono presenti «grandi uomi- ni» e «un paesaggio eroico». Tutt'altra cosa è «il "NUOVO Testamento7'» (non a caso, messo da Nietz-

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Nietvche e IB critica della modernità

sche tra virgolette), dove si agita «piccola gente di provincia» affetta da ossessione maniacale per le «proprie piccole imperfezioni»13*.

Non solo sul piano propriamente culturale, anche su quello morale e antropologico, gli espo- nenti del vecchio regime si rivelano superiori rispetto ai rappresentanti del nuovo, immancabil- mente falliti e fanatici: «Savanarola, Lutero, Rous- seau, Robespierre, Saint-Simon» sono tutti «spiriti malati» owero eepilettici dell'idea» che tuttavia «agiscono sulla grande massa - i fanatici sono pitto- reschi, l'umanità preferisce vedere gest!colamenti piuttosto che ascoltare ragioni»133. Ogni movimen- to rivoluzionario o di radicale rinnovamento della società sembra implicare una qualche fede in un futuro migliore; per mettere in moto le forze neces- sarie all'auspicato mutamento, un progetto di una diversa società non può non esprimere anche una forte tensione morale e sprigionare una carica in qualche modo missionaria. Se si addice alla classe dominante, o meglio ai suoi membri più equilibrati e illuminati, lo scetticismo condannerebbe alla ras- segnazione o all'impotenza le classi subalterne. Poco propenso a distinzioni o giustificazioni, Nietzsche traccia una linea di continuità dal Credo quia ahsurdum di Tertulliano alla fede del movi- mento socialista nella palingenesi sociale. Hanno un valore paradigmatico ed esemplare i termini in

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Domico Losumo

cui il filosofo descrive il contrasto tra romanità e cristianesimo: da una parte Pilato, il quale dichiara di non sapere cos'è la verità, dall'altra Gesù che con essa pretende di identificarsi1j4; da una parte la «nobile e frivola tolleranza» di Roma, che ha al suo centro «non già la fede, ma la libertà dalla fede», dall'altra «lo schiavo» che «vuole l'incondizionato, comprende solo il tirannico, anche nella morale» e che nella «sorridente noncuranza» dei padroni vede un insulto alla sua sofferenza: «L,'"illumini- smo" suscita la rivolta»lj5.

9. ETERNO RITORNO, VOLONTA DI POTENZA E ANNIENTAMENTO DEI MALRIUSCITI

L'emancipazione dalla religione e dai suoi surrogati viene celebrata con accenti di soave sedu- zione: «Abbiamo lasciato' la terra e ci siamo imbar- cati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spaile - e non è tutto: abbiamo tagliato la terra die- tro di noi». Siamo così «nell'orizzonte dell'infini- to», un orizzonte fascinoso, ma privo di valori con- sacrati, di certezze, di punti di riferimento, e quindi inquietante sino alla disperazione; in questo senso, «non c'è niente di più spaventevole dell'infinito». Rinunciatario e vano sarebbe, tuttavia, voler proce- dere a ritroso: «Guai se ti coglie la nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà - e non

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N i e t d e e la critica della modernità

esiste più "terra" alcuna!»136. Essa è dileguata con la morte di Dio, annunciata prima dalla Gaia snen- za e poi da Cosiparlò Zarathustra. A partire da que- ste pagine e da questi temi, Nietzsche è stato spesso letto come il teorico o il profeta dell'individualismo post-moderno, cioè di un individualismo che ha ormai tagliato i ponti con la «terra» della teologia e della filosofia della storia, con la finitezza dell'uni- verso pre-copernicano e pre-darwiniano. Ma è inte- ressante vedere dove va a sfociare la critica del mes- sianismo e di ogni forma di teologia o filosofia della storia: «il cristiano vive nella speranza» e con lui «la grande moltitudine degli ~ch iav i» l~~an t ich i e moderni, sedotti dalla predicazione evangelica ovvero da quella socialista. Tale fiduciosa attesa vie- ne liquidata, mediante la contrapposizione alla visione unilineare del tempo, propria della tradizio- ne ebraico-cristiana, della tesi, mutuata dall'anti- chità classica, dell'eterno ritorno dell'identico. E così Nietzsche sembra voler ritornare ti1 punto di partenza. Nello sforzo di mettere in discussione se non cancellare due millenni di storia, passa dalla denuncia del «danno della storia per la vita» alla radicale storicizzazione del sapere. Questa investe da ultimo il sentimento della speranza e la visione unilineare del tempo su cui esso si fonda, e tale visione viene prima relativizzata mediante l'eviden- ziamento della sua genesi storico-sociale (le illusio-

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ni e pretese dei reietti che si agitano nel mondo ebraico-cristiano), e poi messa definitivamente h o - ri causa con la tesi o con il mito dell'eterno ritorno dell'identico. La fuga a ritroso dalla catastrofe della modernità e dalla notte che incombe sulla civiltà mette infine capo alla riscoperta del meriggio paga- no dell'innocenza del divenire e dell'eterno ritorno: prive di ogni senso appaiono ormai le rivendicazio- ni avanzate alla realtà politico-sociale in nome della morale e di pretesi valori universali; persino sul pia- no cosmologico non c'è più posto per le speranze di redenzione o di mutamento delle classi subalter- ne ovvero degli schiavi incatenati o da incatenare al carro della civiltà.

A questo punto, la condanna dell'apocalittica cristiana e socialista si configura come la condanna di ogni trascendenza, religiosa o rivoluzionaria che sia: con la loro attesa del «giudizio finale», cristiani e socialisti si servono dell'al di là, celeste o monda- no che sia, per «insozzare l'al di qua» e «condanna- re, calunniare, insozzare la società»138. Insozzando l'al di qua e contrapponendo ad esso un al di là o comunque un fine, un «mondo vero» che svaluta il presente e il terreno, il movimento che dal cristiane- simo conduce al socialismo sfocia inevitabilmente nel nichilismo, di cui però non è consapevole quella tradizione, abbarbicata alla ricerca di un senso oltremondano che non c'è. Condotto invece al suo

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Nietzrche e h critica della modernità

compimento e inteso come consapevole e finale dis- soluzione di ogni retaggio metafisico e teologico, «come negazione di un mondo vero, di un Essere» e come recupero pieno e gioioso del senso della terra, il nichilismo è sinonimo di liberazione e «potrebbe essere un pensiero divino>P9. Al tema del nichili- smo, delle sue diverse forme e del suo possibile superamento, passando attraverso piani di lavoro sempre nuovi e incessanti ripensamenti, Nietzsche vorrebbe dedicare quella che sembra talvolta consi- derare la sua opera principale, La volontà dipoten- za, che non a caso, però, rimane incompiita. E, tut- tavia, traspare con sufficiente chiarezza l'altra faccia della «trasvalutazione dei valori». Il superuomo di cui Zarathustra auspica e profetizza l'avvento dopo la morte di Dio recupera sì il senso della terra e del- la gioia terrena calpestato da una tradizione mille- naria ma afferma anche una volontà di potenza che è l'essenza stessa della vita e che può essere tanto più priva di scrupoli per il fatto che illusione e inganno si è rivelata ogni morale declinata al singo- lare, ogni comunità etica capace di unire gli uomini, anzi ogni discorso facente riferimento all'uomo in quanto tale. Zarathustra, «il senza Dio», «questo anticristo e antinichilista, questo vincitore di Dio e del nulla», redime sì «dal grande disgusto, dalla volontà del nulla, dal nichilismo» e spazza via gli «ideali ostili alla vita, calunniatori del mondo», ma

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per lasciar spazio a «spiriti fortificati da guerre e vit- torie» e che non awertono disagio o senso di colpa per la loro «sublime malvagità»140. Il cristianesimo rivela di essere affetto da ripugnante «odio contro la terra e il terrestre» anche per il fatto che vorrebbe «spezzare ogni forma di autodominio, di virilità, di spirito di conquista, di bramosia di potere» e pre- tenderebbe «di conservare e di mantenere in vita», anzi persino di celebrare, «questa eccedenza di casi mal riusciti», questo «residuo di tarati, di malati, di degenerati, di essere difettosi, di necessari sofferen- ti» che l'umanità, come «ogni altra specie animale» e anzi più di qualsiasi altra, necessariamente produ- ce141. D'altro canto, cos'è il nichilismo della tradi- zione cristiano-socialista se non una «morale della compassione» che, ostinandosi a rivolgere la sua sollecitudine a ciò che è degno di perire, finisce col negare la vita?14*

La «sana crescita della specie» esige l'amputa- zione o il sacrificio dei «malriusciti, deboli, degene- rati». Ostinandosi a volerli salvare, cristianesimo e socialismo perdono di vista le esigenze dell'«alleva- mento complessivo» della specie e si lasciano così guidare da un «altruismo», che è la maschera in realtà dell'«egoismo di massa dei deboli». Come il primo, anche l'ultimo Nietzsche sembra fare appel- lo alla morale: «L'autentica filantropia esige il sacri- ficio a vantaggio della specie», mentre il rifiuto di

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Nietzrche e la &a della modernità

tale sacrificio rappresenta l'«estrema immora- l i t à ~ ~ ~ ~ ; <<la selezione nella specie, la sua pu- rificazione del cascame» è «la virtù per eccellenza»; «si devono amputare le membra malate - ecco la prima morale della società»; «la società è un corpo nell'ambito del quale a nessun membro è lecito essere ammalato»144. Coloro che accecati dal mito del progresso, per rispetto superstizioso dei «mate- riali di rigetto e di scarto» che ogni processo vitale inevitabilmente comporta145 e per «compassione nei confronti della povera gente», vorrebbero aboli- re le «calamità» o le presunte calamità che ;ffhggo- no l'umanità, si macchiano della grave colpa di opporsi alla «grande economia del l ' In ter~»l~~, si rendono colpevoli di «delitto contro la vita», anzi, di «delitto capitale contro la vita»14'.

Ora la tradizione rivoluzionaria è accusata di sviluppare non una morale gregaria, ma, al contra- rio, una morale che assolutizza l'individuo. Col cri- stianesimo «il singolo è diventato così importante che non è più possibile sacrificarlo: dinanzi a Dio tutte le "anime" sono uguali. Ma ciò significa mette- re in questione, nel modo più pericoloso, la vita del- la specie». Una tale religione «ha indebolito la forza di sam$care uomini», esigendo che siano risparmia- ti «tutti i sofferenti, i diseredati, i malati» e bloccan- do con ciò la necessaria «selezione»148. Negli ultimi anni di vita cosciente del filosofo, centrale diviene il

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tema della resa radicale dei conti con coloro che mettono in pericolo l'esistenza ordinata della civiltà e la vita stessa. Si deve alfine procedere all'«annien- tamento di milioni di malri~sciti»l~~, bisogna «an- nientare con occhio divino e senza impacci»150; «qui non ci possono essere patti: qui bisogna distruggere, annientare, far guerra»151. E ancora: «I deboli e i malriusciti devono perire [...l E a tale scopo si deve essere loro anche d'aiuto»152; il necessario e benefi- co «attentato a due millenni di contronatura e deturpamento dell'uomo» comporta «l'inesorabile annientamento di ogni elemento degenere e parassi- t a r i o ~ l ~ ~ .

Sinistre suonano tali dichiarazioni, ma è bene collocarle nel loro contesto storico. I l filosofo esige la «castrazione» per i del inq~enti l~~, «per i malati cronici e nevrastenici di terzo grado», per i «sifilitici»: bisogna insomma impedire la procrea- zione «in tutti i casi in cui un figlio sarebbe un delit- to» e «mettere un figlio al mondo» sarebbe «peggio che togliere una vita»155. Sono gli anni in cui un cugino di Danvin, Francis Galton, (noto a Nietz- sche e da lui citato con favore)156, lancia l'ceugeneti- ca» che subito riscuote grande successo, in partico- lare negli Usa il paese che in questo momento si distingue nella realizzazione pratica delle misure di questa nuova «scienza». Sotto la spinta di un movi- mento sviluppatosi già alla fine dell'Ottocento, tra il

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Niet.z.de e la d i c a della modernità

1907 e il 1915, ben tredici stati americani emanano leggi per la sterilizzazione coatta, cui devono sotto- stare, secondo la legislazione dell'Indiana (lo stato che per primo si muove in tale direzione), «delin- quenti abituali, idioti, imbecilli e violentatori». Non mancano coloro che, ritenendo tali misure insuffi- cienti, enfatizzano la sterilizzazione in primo luogo come misura di profilassi sociale, cui dovrebbero sottostare i poveri e vagabondi abituali e, più in generale, le classi inferiori e tendenzialmente crimi- .&l57 .

Nietzsche si pronuncia inoltre per l7«annien- tamento delle razze decadenti>P8. Anche in tal caso è bene precisare il quadro storico. Alcuni anni pri- ma che il filosofo tedesco scriva il testo qui citato, un teorico del social-darwinismo come Ludwig Gurnplowicz riferisce il fatto, ritenuto owio e paci- fico, per cui, in determinate condizioni, «& uomini della giungla e gli Ottentotti» vengono considerati e trattati «in quanto "esseri"(Gesch6pfe) che è lecito sterminare come la cacciagione del bosco»; a com- portarsi in tal modo sono persino «i Boeri cristiani»159. D'altro canto, alla pratica dell'espan- sione e del dominio coloniale del tempo rinvia lo stesso Nietzsche allorché giustifica (o celebra) la «"barbarie" dei mezzi» dai conquistatori impiegata «in Congo o dove che sia»: la necessità di mantene- re «la signoria sui barbari» esige la liquidazione del-

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la consueta «sdolcinatezza europea»160. L'aunosfera culturale e politica della fine dell'ottocento è carica dell'idea o della tentazione del ricorso a misure «eugenetiche» che, nel caso delle popolazioni colo- niali, confinano pericolosamente col genocidio.

10. METAFORA E STORIA

Nietzsche ha costantemente, e a ragione, sot- tolineato la propria cinattualità~. Questa, però, non è sinonimo di estraneità al proprio tempo. Finiscono col fare grave torto ali'autore che pure dicono di venerare coloro che pretendono di isolar- lo dal contesto storico e politico, immergendolo in un bagno di innocenza. È una semplice metafora la celebrazione della schiavitù come fondamento ine- liminabile della civiltà? Dobbiamo supporre che il filosofo sia del tutto ignaro del dibattito che divam- pa nel suo tempo e attorno a lui su questo concreto istituto giuridico? E di che mai sarebbero la metafora-la rivendicata «castrazione» dei delin- quenti e l'auspicato «annientamento della razze inferiorin? Si è talvolta voluto leggere, in modo metaforico e innocente, la volontà di potenza come arte. Ma questa in Nietzsche non solo ha una fun- zione eminentemente politica, ma può esprimere anche una terribile carica di violenza. Un ruolo di primo piano nel «rovesciamento dei valori» domi-

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Nietucbe e la d c a della modernità

nanti possono svolgere «certi artisti insaziabilmente ambiziosi, che lottano inesorabilmente e assoluta- mente per i diritti speciali degli uomini superiori e contro 1"'animale del branco"». D'altro canto, i grandi uomini chiamati a farla finita coi dogmi della «"parità di diritti"» e della «"pietà per tutti quelli che soffrono"» devono dar prova di una «volontà artistica di altissimo ordine» 161.

In realtà il filosofo ha un senso storico e politi- co nettamente più robusto degli odierni rappresen- tanti dell'ermeneutica dell'innocenza. Se ne awede subito un grande storico come Burckhaidt, il quale così scrive all'ex-collega d'insegnamento universita- rio: «In fondo Lei insegna sempre stona e, in questo libro, ha aperto alcune stupefacenti prospettive sto- riche»; «ciò che soprattutto comprendo della Sua opera sono i giudizi storici e, in particolare, i Suoi sguardi sul tempo storico». Ben lungi dall'irritarsi per tali giudizi che lo collocano in un terreno allo- trio rispetto alla pura filosofia, poesia, metafora, Nietzsche si sente così lusingato che per un attimo sembra ~ersino accarezzare l'idea di tornare all'in- segnamento universitario, questa volta nella veste di storico. Così commenta, scrivendo a Lou Salomé, la prima delle due lettere di Burckhardt qui citate: «Forse mi vedrebbe volentieri come successore sul- la Sua cattedra»162. D'altro canto, nell'inviare al grande storico di Basilea Al dz' là del bene e del male,

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il filosofo vi acclude una lettera: «Non conosco nes- suno che abbia come Lei una tale massa di presup- posti a me comuni»163. Owiamente, non bisogna sovraccaricare di significati quelle che in parte sono espressioni di circostanza; e, tuttavia, dà da pensare il fatto che, in altra occasione, Nietzsche dichiari di essere «passato attraverso la scuola di Tocqueville e Taine»16", col quale ultimo è in rapporti epistolari improntati a reciproca stima. Burckhardt, Taine, Tocqueville: i tre storici hanno in comune la critica della tradizione rivoluzionaria.

Il filosofo non solo rivolge costante attenzione alla storia, ma legge questa in termini di «lotta di ceti e di classi» (Stande- und Clas~enkampfil~~, con una definizione che fa pensare a quella celeberrima di Marx, anche se nel primo caso le classi finiscono col ridursi schernaticamente e talvolta naturalistica- mente, al di fuori di una concreta dialettica storica, a quella dei signori e degli schiavi. E tuttavia, nell'irn- pegno a leggere il conflitto di classe, comunque inteso, anche nella morale, nella religione, nella scienza, nel «sillogismo» socratico, nell'arte, e persi- no nell'«attuale sociologia» e nell'«attuale musi- ca>P6, nel procedere in tal modo, Nietzsche è in un certo senso più radicale e più radicalmente politico dello stesso Marx il quale ultimo, sia pur tra oscilla- zioni e contraddizioni, sembra collocare la scienza in una sfera almeno parzialmente trascendente il

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N i e t d e e la d i c a della modernità

conflitto. Il filosofo così spesso interpretato in chia- ve metaforica non solo pensa in termini profonda- mente politici, ma si pone anche il problema degli strumenti necessari per il conseguimento degli obiettivi enunciati: aspira eplicitarnente ad un «nuo- vo partito della vita» ch7egh invita a «creare» in fun- zione per l'appunto della «grande politica»,167 carat- terrizzata dal disprezzo per la meschinità sciovinisti- ca e provinciale della «piccola politica» nazional- liberale e dalla consapevolezza che la contraddizio- ne principale, la quale attraversa pervasivamente e in profondità ogni manifestazione culturale e attor- no alla quale tutto ruota e deve ruotare, è quella tra signori e servi. In questo senso, ben lungi dall'essere irnpolitico, Nietzsche è da considerare semmai totus politicus.

Dobbiamo allora interpretarlo, in virtù della sua celebrazione della schiavitù e del suo appello all'annientamento dei malriusciti, come il profeta del Terzo Reich? In tale direzione sembrano muove- re Lukiics e, più recentemente, un autore, pur di contrapposte idee politiche, qual è Ernst Nolte. Non a caso, a proporre tale lettura sono un interpre- te profondamente imbevuto di cultura storica owe- ro uno storico di professione, due autori dunque poco propensi a ridurre la dura corposità delle pre- se di posizione politica ad un innocente gioco di metafore. E tuttavia, saltando a pié pari il tempo

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storico in cui vive e si colloca l'autore indagato, tale lettura rischia di collocarsi sul terreno della contrap- posizione di metafora a metafora. Da un punto di vista strettamente metodologico, non è poi così rile- vante la chfferenza tra colui che interpreta la filoso- fia di Nietzsche come la metafora o la profezia del- l'universo concentrazionario hitleriano e colui che l'interpreta come la metafora o la profezia dell'indi- viduo post-moderno, ormai libero dai ceppi della religione, della morale e della filosofia della storia. Comune d'una e d'altra interpretazione è l'astra- zione dal tempo storico che qui invece abbiamo cer- cato di precisare. Piuttosto che leggere frettolosa- mente nel cantore del superuomo il profeta del Ter- zo Reich, si tratta di esaminare i rapporti che inter- corrono tra un pensatore pur così «inattuale» e la cultura e l'ideologia del proprio tempo e altresì i rapporti (i momenti di continuità e rottura) che intercorrono tra la cultura e l'ideologia dellyOtto- cento e quella propria del nazismo (un'attenzione tutta particolare dev'essere rivolta d a storia dell'eu- genetica e dell'ideologia coloniale).

Nell'interpretare Nietzsche, non ha senso neppure contrapporre come unicamente significati- vi i motivi fascinosi a quelli repugnanti, o questi a quelli, nell'ambito di una lettura comunque al tem- po stesso eclettica (perde di vista il rigore e l'unità di fondo del pensatore) ed arbitraria (procede sovra-

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N i e t d e e la d i c a della modernità

namente nelle sue scelte ed amputazioni). A stimo- lare certe parole d'ordine oggi francamente rivol- tanti è quella stessa radicalità del progetto reaziona- rio che stimola per un altro verso una forte tensione demisuficatrice e risultati teoretici di grande rilievo. La tragica grandezza del filosofo, il fascino e la straordinaria ricchezza di suggestioni di un autore capace di ripensare l'intera storia dell'occidente e di collocarsi, ben al di là delllattualità, sul terreno della «lunga durata», tutto ciò emerge pienamente solo se, rinunciando a rimuovere o a trasfigurare in un innocente gioco di metafore le siie pagine più inquietanti o più repugnanti, lo si osa guardare in faccia per quello che realmente è, il più grande pen- satore tra i reazionari e il più grande reazionario tra i pensatori.

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Lettera a C. v. Gersdorff del 21 giugno 1871, in Nietzsche Briefwechsel. Kritische Gesamtausgabe, a cura di G. Colli e M.. Montinari, De Gruyter, Munchen-Berlin-New York 1975 sgg., vol. 11, 1, p. 204; trad. it. in F. N r m s c ~ ~ , Epistolario d i Friedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano, 1976, vol. 11, p. 195. Sia per i testi di Nietzsche che per quelli di altri autori di volta in volta fatti intervenire, non si dà notizia deile modifiche eventualmente apportate aile traduzioni italiane utiliz- zate.

Nachgelassene Fragmente 1875-1879, in F. N I ~ C H E , Samt- liche Werke. Kriiische Studienausgabe in 15 Banden (d'ora in poi KSA), a cura di G. Colli e M. Montinari, De Gruyter-DTV, Mun- chen-Berlin-New York 1980, vol. VIII, p. 504, trad. it. in Opere d i Friedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano, 1972 sgg. vol. IV, 3, p. 285. ' Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste der Musik, in KSA vol. I, p. 1 17, trad. it. in Opere d i Friedrich Nietzsche, cit., vol. 111, l , pp. 120-1.

Lettera a H. Mushacke deli'll luglio 1866, in Nietzsche Briefwechsel. Kritische Gesamtausgabe, cit., vol. I, 2, p. 140, trad. it. in Epistolario diFnednCh Nietzsche, cit., vol. I, p. 441.

5 Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste der Musik, cit., p. 35, trad. it, cit., pp. 3 1-2.

Ivi, p. 69, trad. it. cit., pp. 68-9. Der griechisch Staat, in KSA, vol. I, p. 767, trad. it. in Ope-

re diFriednCh Nietzsche, cit., vol. III,2, pp. 226-7. Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste der Musik, cit., p.

57, trad. it., cit. p. 55. Ivi, p. 98, trad. it. cit., pp. 99-100.

lo Ivi, p. 100, trad. it. cit., p. 102. l1 Ivi, p. 89, trad. it. cit., p. 90. l2 Ivi, p. 117, trad. it. cit., p. 120. l3 Ivi, p. 100, trad. it. cit., pp. 101-2. l4 Ivi, p. 102, trad. it. cit., p. 104.

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l5 Ivi, p. 97, trad. it. cit., p. 98. l6 Si veda la recensione pubblicata sulla ((Norddeutsche All-

gemeine Zeitungm del 26 maggio 1872, trad. it. in NIETLSCHE, ROH- DE, WILAMOWITL, WAGNER, La polemica sull'arte tragica, a cura di F. Serpa, Sansoni, Firenze 1972, p. 207.

17Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste der Musik, cit., p. 23, trad. it. cit., p. 19.

l8 Ecce homo, La nascita della tragedia, af. 1. l9 Nachgelassene Fragmente 1869-1874, in KSA, vol. VII, p.

353, trad. it. cit. in Opere d i Fnedri'ch Nietzsche, cit., vol. 111, 3, parte I, p. 363.

Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste der Musik, cit., p. 122 - 3, trad. it. cit., pp. 126-7.

21 L'appunto è riportato in F. N i m c ~ a , Werke und Bnefe. Historisch-kritische Gesamtausgabe a cura di H. J. Mette e K. Schlechta, Beck, Munchen 1933 sgg., vol. IV, p. 213.

Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste der Musik, cit., p. 147, trad. it. cit., p. 153.

23 Lettera a C. v. Gersdorff del 21 giugno 1871, cit., pp. 203- 4, trad. it. cit., p. 194.

24 Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste der Musik, cit., pp. 146,149 e 154, trad. it. cit., pp. 152-3, 155 e 161.

25 Der griechische Staat, cit., p. 773, trad. it. cit., p. 234. 26 Nachgelassene Fragmente 1869-1874, cit., p. 385, p. 429 e

p. 43 1, trad. it. cit., parte I, p. 402 e parte 11, pp. 14 e 16. 27 Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste der Musik, cit.,

pp. 129 e 13 1, trad. it. cit., p. 135 e 134. Ivi, p. 149, trad.it. cit., p. 155.

29 Grundlinien der Philosophie des Rechts, in G. W . F. H ~ c s ~ , W e r k e in zwanzig Banden, a cura di E. Moldenhauer e K. M. Michel, Suhrkamp, FrankfurdM. 1969-1979, vol, VII, p. 26, trad. it. Laterza, Bari 1954, p. 167.

30 Unzeitgema$e Betracht~n~en, 111, in KSA, vol. I, p. 339, trad. it. in Opere di Friedricb Nietzsche, cit., vol. 111, 1, p. 361.

"Nachgelassene Fragmente 1869-1874, cit., p. 243, trad. it. cit., pp. 247-8.

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I iVietz.de e la critica della modernità

32 Also sprach Zarathustra. in KSA, vol. IV, p. 357, trad. it. in Opere diFnedn'ch Nietz.de, cit., vol. VI,l, pp. 349-350.

33 Unzeitgemge Betrachtungen, 111, cit. p. 362, trad.it. cit., p. 387.

34 Cfr. D. LOSURDO, Hegel e la libertà dei moderni, Editori Riuniti, Roma 1992, pp. 331-335.

35 Ueber die Zukunfi unserer Bildungsanstalten , in KSA, vol. I , pp. 700 e 666, trad. it. in Opere di Friednch Nietzsche, cit., vol. III,2, pp. 146 e 107.

36 Unzeitgemi$e Betrachtungen, 11, in KSA, vol. I , p. 309, trad. it. in Opere di Friednch Niet.de, cit., vol. III,2, p. 328.

37 Unzeitgema$e Betrachtungen, 11, cit., p. 3 10, trad. it. cit., p. 329.

~ Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste der Musik, cit., p. 56, trad. it. cit., pp. 54-5. .

39 Ivi, pp. 145-6, trad. it. cit., pp. 151-2. 40 Unzeitgemaj9e Betrachtungen, 11, cit., p. 305, trad. it. cit.,

p. 324. 41 Ivi, p. 309, trad. it. cit., p. 328. 42 Ivi, p. 331, trad. it. cit., p. 352. 43 Ivi, p. 329, trad. it. cit., p. 350. 44 Ivi, p. 303, trad. it. cit., p. 321. 45 Ivi, p. 307, trad. it. cit., p. 325. 46 Ivi, pp. 310-1, trad. it. cit., p. 329- 330. 47 Ivi, p. 306, trad. it. cit., p. 324. 48 Umano, troppo umano, I , af. 442. 49 Lettera a Franziska e Elisabeth Nietzsche del 12 dicembre

1870, in Nietzsche Briefwechsel, cit., vol. 11, 1, p. 164, trad. it. in Epistolario di Friedrich Niet.z.de, cit., vol. 11, p. 158.

50 Lettera a C. v. Gersdorff del 21 giugno 1871, cit., p. 203, trad. it. cit., p. 195.

51 Cfr. F. ENGELS, Prefazione (1875) a Der deutsche Bauern- krieg, in K. MARX - F. ENGELS, Werke, Dietz-Verlag, Berlin, 1955 sgg., pp. 515-7.

52 I1 viandante e la sua ombra, af. 22 I. 53 Umano, troppo umano, I, af. 463.

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DOMENICO LOSURW

La gaia scienza, a f . 149. 93 Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste der Musik, cit.,

pp. 106-7, trad. it. cit., pp. 108-9. 94 Ueber Wahrheit und Luge im auJ?ermoralischen Sinne, in

KSA, vol. I , pp. 879-880, trad. it. in Opere di Friedrich Nietzsche, cit., vol. III,2, pp. 359-60.

95 Aurora, af. 105. % Crepuscolo degli idoli, Scorribande di un inattuale, a f . 48. 97 Nachgelassene Fragmente 1885-1887, cit., p. 514, trad. it.

cit. vol. VIII, 2, p. 159. 98 Al di là del bene e de male, af. 191 99 Crepuscolo degli idoli. Il problema Socrate, a f . 7 . 'O0 Nachgelassene Fragmente 1885-1887, cit., p. 112, trad. it.

cit., vol. VIII, 1, p. 100. 'O' Nachgelassene Fragmente 1885-1 887, cit., p. 348, trad. it.

cit., vol. VIII, 2, p. 10. 'O2 Ivi, p. 347, trad. it. cit., p. IO. 'O3 Ivi, p. 189, trad. it. cit., vol. VIII, 1, p. 179. 'O4 Nachgelassene Fragmente 1887-1889, cit., p. 424, trad. it.

cit., p. 214. 'O5 LJAntimisto, af. 27 e af. 25. lffi Genealogia della morale, 111, af . 22. 'O7 Nachgelassene Fragmente 1887-1 889, cit . , p. 33 1, trad. it.

cit., pp. 120-21. 'O8 Crepuscolo degliidoli. Il problema Socrate, af. 7. 'O9 Nachgelassene Fragmente 1887-1889, cit., p. 264, trad. it.

cit., p. 54. "O Genealogia della morale, I , af.16. 11' Nachgelassene Fragmente 1869-1874, cit., p. 121, trad. it.

cit., p. 118. "* Genealogia della morale, 111, af. 22. "3 Ivi, af. 9. Il4 Crepuscolo degliidoli. Scorribande di un inattuale, af. 34. "5 Genealogia della morale, I , af. 16.

Al dilà del bene e del male, a f . 46 e 44. "7 Ivi, af. 228.

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Nietde e L d i ca della modernità

118 Nachgelassene Fragmente 1887-1889, cit., p. 444, trad. it. cit., p. 233.

'l9 Nachgelassene Fragmente 1885-1 887, cit., p. 214, trad. it. cit., vol. VIII, 1, p. 203

120 Ecce homo. Il caso Wagner, af. 4. 121 Nachgelassene Fragmente 1887-1889, cit., p. 641, trad. it.

cit., p. 411. 122 Nachgelassene Fragmente 1882-1 884, in KSA, vol. X, p.

296, trad. it. in Opere diFnedntrch Nietzsche, cit., vol. VII, 1, parte I, p. 282.

123 La gaia scienza, af. 329. 124 Nietzsche contra Wagner, in KSA, vol. VI, p. 419-20, trad.

it. in Opere diFnedn'ch Nietzsche, cit., vol. VI, 3, pp. 392-3. lZ5 Ecce homo. Ilcaso Wagner, af. 3; cfr. anche Nachgelassene

Fragmente 1887-1889, cit., p. 643, trad. it. cit., p. 41% Analoga ironia in Nietzsche contra Wagner. Dove va collocato Wagner.

126 Nachgelassene Fragmente 1885-1887, cit., pp. 437-8, tr. it. cit., vol. VIII, 2, pp. 89-90.

127 Nachgelassene Fragmente 1887-1889, cit., p. 62, trad .it. cit., vol. VIII, 2, p. 271.

128Unzeitgema$e Betrachtungen, IV, in KSA, vol. I, p. 446, trad. it. in Opere di FriednCh Nietzsche, cit., vol. IV, 1, p. 19.

129 Genealogia della morale, 111, af. 2 1. 130 A. S M I ~ , An Inquity into the Nature and the Causes of t k

Wealth of Nations,1775-6; I11 ed. 1783 (citiamo dalla ristampa, Liberty Classics, Indiana~olis 1981, deli' ed. di Glasgow), p. 794, trad. it. Mondadori, Milano1977, p. 782.

l'' K. MARX-F. ENGELS, Manifest der kommunistischen Partei (1848), in Werke, cit., vol. IV, p. 484 e p. 489, trad. it. cit., vol. VI, p. 508 e p. 514.

'j2 Genealogia della morale, 111, af. 22. 133 L'AntimiSto, af. 54.

Ivi, af. 46. 135 Al di là del bene e del male, af. 46. La gaia scienza, af. 124.

u7 Aurora, af. 546.

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DOMENICO LOSURDO 138 Crepuscolo degliidoli. Scom%ande di un inattuale, af. 34. ' j 9 Nachgelassene Fragmente 1885-1887, cit., p. 354, trad. it.

cit., vol. VIII, 2, p. 16. 140 Genealogia della morale, 11, af25 e 24. 141 Al di là del bene e del male, af. 62. 142 Genealogia della morale, pref., 5. 143 Nachgelassene Fragmente 1887-1889, cit., p. 471, trad. it.

cit., p. 258. 144 Ivi, p. 413, trad. it. cit., p. 203. 145 Ivi, p. 87, trad. it. cit., vol. VIII, 2, p. 293. 146 Ecce homo. Perché sono un destino, af. 4. 14' Nachgelassene Fragmente 1887-1889, cit., pp. 471 e 417,

trad. it., cit., pp. 258 e 207. 148 Ivi, p. 218-9, trad. it. cit., p. 10-11. 149 Nachgelassene Fragmente 1884-1885 , cit., p. 98, trad. it.

cit., p. 86. 150Nachgelassene Fragmente 1885-1887, cit., p. 31, trad. it.

cit., vol. VIII, 1, p. 23-4. Nachgelassene Fragmente 1887-1889, cit., p. 220, trad. it.

- cit., p. 12. 15* L'Antirristo, af. 2. 15' Ecce homo. La nascita della tragedia, af. 4 .

Nachgelassene Fragmente 1885-1 887, cit., p. 479, trad. it. cit., vol. VIII, 2, p. 129.

155 Nachgelassene Fragmente 1887-1889, cit., pp. 401-2, trad. it. cit., vol. VIII, 3, p. 191.

I1 filosofo lo cita con favore in due lettere a F. Overbeck (Sils, 4 luglio 1888) e A. Strindberg (Torino, 8 dicembre 18881, in Nietzsche Briefwechsel, cit., vol. III,5, p. 347 e p. 508.

15' Cfr. A. E. FINK, Causes of Crlme. Biological Theories in the United States 1800-1915 (1938), Perpetua, New York 1962, pp. 188-210.

158Nachgelassene Fragmente 1884-1 885, cit., p. 69, trad. it. cit., p. 59.

159 L. GUMI~LOWICZ, Der Rassenkampf Soziologische Untersu- chungen, Wagner'sche Universitatsbuchhandllung, Innsbruck

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Nietache e la mtica della modernità

1883, p. 249. Nachgelassene Fragmente 1885-1 887, cit., p. 47 1, trad. it.

cit., vol. VIII, 2, p. 120. 161 Nachgelassene Fragmente 1884-1885, cit., pp. 581-2, trad.

it. cit., p. 261-2. 16* Lettera di Jacob Burckhardt a Nietzsche del 13 settem-

bre 1882 e del 26 settembre 1886, in Nietzsche Bnefwechsel. cit., vol. vol. 111, 2, p. 288 e vol. III,4, pp. 221-2; per la lettera a Lou Salomé del 16 settembre 1882 vedi ivi, vol. 111, 1, p. 259.

16' Lettera a Burckhardt del 22 settembre 1886, in ivi, vol. III,3, pp. 254-5.

Lettera a F. Overbeck del 23 febbraio 1887, in ivi, vol. III,5, p. 28.

165 Nachgelassene Fragmente 1885-1887, cit., p. 493, trad. it. cit., vol. VIII, 2, p. 140.

Nachgeiassene Fragmente 1887-1889, cit., p. 220, trad. it. cit., p. 12.

Ecce homo. La nascita della tragedia, af. 4.

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NOTA BIO-BIBLICGRAFICA

FNEDRICH raEmaE. LA VITA

Nato a Rocken in Sassonia il 15 ottobre 1844. Studia filologia classica a Bonn e a Lipsia. In quest'ultima città s'im- batte casualmente nei Mondo come volontà e rappresentazione e ne ricava un'impressione straordinaria. A soli 24 anni viene chiamato a ricoprire la cattedra di fdologia classica all'univer- sità di Basilea, dove conosce il grande storico Jacob Burckhardt che lo influenza profondamente coi suoi studi sul- la cultura greca. A questo stesso periodo risale l'amicizia con Richard Wagner (già conosciuto nel 1868) e con Cosima von Biiiow che vivono a Tribschen sul Lago dei Quattro Cantoni. Nel 1879, per ragioni di salute ma anche di irrequietezza spiri- tuale, Nietzsche abbandona l'insegnamento universitario. Ini- zia così un periodo di vagabondaggio da una città all'alte, da una pensione all'altra, tra la Svizzera, l'Italia e la Francia meri- dionale, d a ricerca di una guarigione che non arriverà mai. Nel 1882, conosce Lou Salomé, una giovane russa, fascinosa, colta e spregiudicata, la quale non manca di dispiegare un profondo effetto anche sul filosofo, che, innamoratosi, le pro- pone il matrimonio. Ma la donna preferisce unirsi a Paul Rée, amico e discepolo di Nietzsche. Il lungo vagabondaggio ini- ziato nel 1879 si conclude dieci anni dopo a Torino. Il 3 gen- naio del 1889, il filosofo cade preda d d a follia. È affidato alle cure prima della madre (a Naumburg) e poi della sorda che lo conduce a Weimar. Qui Friedrich Nietzsche muore il 25 agosto 1900, senza potersi render conto del successo mondia- le che ormai arride d a sua opera.

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Dopo i primi lavori a carattere propriamente filologico, La nascita della tragedia dallo spirito della musica, pubblicata nel 1872, rappresenta il momento di passaggio daila filologia d a filosofia. Tale contaminazione scatena la furibonda reazio- ne di Wiiamowitz (un giovane destinato a conquistare cele- brità mondiale nel campo degli studi suil'antichità classica) che stronca il libro come efilologia del futuro». Tra il 1873 e il 1876 Nietzsche pubblica le Considerazioni inattuali: le ultime due, la terza e la quarta, sono dedicate d'opera rispettiva- mente di Schopenhauer e Wagner, i due essenziali punti di riferimento di questo periodo. La rottura con entrambi divie- ne evidente con la pubblicazione, nel 1878, di Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi (dedicato a Voltaire nel cen- tenario della sua morte), cui poi si aggiungono Opinioni e sen- tenze diverse (1879) e Il viandante e la sua ombra (1880), due appendici successivamente raccolte assieme per costituire il secondo volume di Umano, troppo umano. Seguono Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali (1881) e La gaia scienza (1882): sono le opere del cosiddetto periodo «illuministico». Con la pubblicazione di Cosr'parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno (1883-1885) inizia un periodo di produzione che diviene via via più intenso e febbrile man mano che volge al termine la vita cosciente del filosofo. Nel 1886 esce Al di ki del bene e del male. Preludio di una filosofia dellamenire. È del- l'anno successivo la Genealogziz della morale. Uno scritto pole- mico. .Nel 1888 vedono la luce Il caso Wagner. Un problema per amatori di musica e Il crepuscolo degli idoli. Ovvero come si filosofa col martello. Anche Lantioisto è pronto per le stampe e pressocché terminati sono Ecce homo (uno schizzo di auto- biografia intellettuale) e Nietzsche contra Wagner. Verranno

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Nietzrche e la cri'tica della modernità

pubblicati rispettivamente nel 1895, nel 1908 e nel 1889. In alto mare restano i progetti relativi a quella che Nietzsche, tra ripensamenti e ritorni, sembra considerare la sua opera princi- pale: La volontà dipotenza verrà pubblicata in prima edizione nel 1901 e, in seconda edizione, notevolmente ampliata, nel 191 1, a cura di Peter Gast (il musicista amico e discepolo del filosofo) e di Elisabeth-Forster-Nietzsche (la sorella del filo- sofo).

EDIZIONI

Werke. Kritische Gesamtausgabe, a cura di G. Colli e M. Montinari, De Gruyter, Berlin-New York, 1967 sgg.

Shtliche W d e . Kritische Studienausgabe in 15 Bandez, a cura di G. Colli e M. Montinari, De Gruyter-DTV, Miinchen- Berlin-New York 1980 (è un'edizione che si differenzia d d a precedente solo per la sua agilità o maneggevolezza).

Nietzsche Briefwechsel. Kritische Gesamtausgabe, a cura di G. Coili e M. Montinari, De Gruyter, Munchen-Ber- h -New York 1975 sgg.

Der Ville zur Macht. Versuch einer Umwertung aller Werte, ausgewahlt und geordnet von Peter Gast und Elisa- beth Forster Nietzsche, Kroner, Stuttgart 1964.

IN TRADUZIONE ITALiANA

Opere di Friedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi Milano 1972 sgg.

Epistolario di Friedrich Nietz~che a cura di G. Coiii e M. Montinari, Adelphi, Milano 1976 (2 vol.).

La uolontà dipotenza. Nuova edizione italiana a cura di M. Ferraris e P. Kobau, Bompiani, Milano1994.

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1 l '

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!A TAWA DI BLBLImECA

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MANiFESlOVIDW VHS

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W I U O M

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I GRANDI DISCOII IN UBRUUA

G. Adams, Per la pace in Irlando, 1995 Y. Arafat, Lo fewa e la pace, 1996 M. Bskunin, Tre confmze suìl'rtna~bia, 1996 L.A. Blanqui, Autodi/esa di un m>oluzionario, 1995 B. Bonuet, Orazione/unebreper ilprincipe di Condé, 1996 A. De Gasperi, L'lfalia atlantica, 1996 A. De TocqueviUe, Discorso w l diritto al h r o , 1996 F. Douglass, L'indipendenza e la schiavitù, 1995 J.M. Keyna, L'assurdifd deisamfici, 1995 J.F. Kennedy, La nuova/rontim, 1997 A. Labriola, L'universifd e la libertà della scienza, 1996 N. Mandela, Lo vioknza e la legge, 1995 J. Monroe, 11 mantyesto dell'impmo americano, 19% G.A. Nasser, Lo rivoluzione in Egitto, 19% M. Robapierre, Sulgoverno rappresentativo, 1995 F. D. Rooxveit, Il discorso del Ntw Deal, 1996 Saint-Just, Virrù e terrore, 1996 Saint-Just, Virtù e Tenore, 1996 Wei Jingsheng, Rivoluzione r democrazia, 1996

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L.LI.Y.H~.

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finito di stampare nel mese di febbraio 1997 per conto della manifestolibri - roma

dalia grafica ripoli - tivoli

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