los melindres de belisa italiano
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opera di lope de vega letteratura spagnolaTRANSCRIPT
Testo italiano
Intervengono i seguenti personaggi
Tiberio
Lisarda
Eliso
Fabio
Una guardia
Uno scrivano
Belisa
Celia
Prudencio
Felisardo
Carrillo
Don Juan
Flora
Quattro servi
ATTO PRIMO
Tiberio e Lisarda.
TIBERIO Allora… si è tolta il lutto?
LISARDA È più di un anno che è morto
suo padre.
TIBERIO Così facendo
potremo dire che è frutto
della tristezza la gioia.
LISARDA Ma non lo sarà per me,
che ho perso un tale marito.
TIBERIO Oh, che vano sentimento!
LISARDA Vano? Dunque, non è giusto
che pianga il proprio marito
una moglie che ne aveva
gratitudine ed amore?
Non lo sai che anche gli uccelli
ne danno esempio? E che muta
la vedova tortorella
il canto in dolci lamenti,
e non si sposa di nuovo
se perde il proprio marito,
né siede su rami verdi?
TIBERIO E dove si va a sedere?
LISARDA Su un rovo, su un ramo secco.
TIBERIO Dal paragone che fai
sono come tortorelle
quelle che chiamo così;
per questo Dio mi perdoni,
ma penso che abbiano usato
un rovo come divano.
Tanto si mostrano inquiete:
sono sempre in movimento.
LISARDA Questo non riguarda me,
perché non ho mai preteso,
Tiberio, altra compagnia.
TIBERIO Ma veramente potresti,
che sei una vedova giovane,
e con ricchezze che han reso
bramosi, se tu volessi,
numerosi pretendenti.
LISARDA Con due figli?
TIBERIO Ma con dieci!
LISARDA Tu non mi conosci affatto.
TIBERIO Negherai quello che senti.
LISARDA Che? Centomila ducati
mi ha lasciato mio marito,
ma con due figli, che penso
vedere presto sposati,
e ritirarmi in campagna
con non più di una servetta
e uno scudiero.
TIBERIO Farai
quello che è giusto tu faccia,
perché sembri impensierita
di far sposare Belisa,
che già la sua età ti avvisa
e ha molti corteggiatori?
E don Juan, poi, è un uomo…
LISARDA Come posso far sposare
Belisa, e dove trovare
uomo tanto gentiluomo
e così ricco di pregi
come si immagina lei?
TIBERIO Insiste in queste stranezze?
LISARDA Ci sono donne insposabili,
donne talmente bizzarre,
da sprecare l’esistenza
a fare le capricciose
e annoiare tutti quanti.
E tardando nella scelta,
spesso rinunciano al meglio,
poi non resta che pregare.
TIBERIO Dunque, pensi che Belisa
si comporterà così?
LISARDA Beh, ha fatto il cielo cosa
più stancante e capricciosa,
od un omo che lei voglia?
Per la brama di denaro,
intelletto e bell’aspetto,
questa strada è un magazzino:
il signore genovese,
il portoghese dall’India,
il cartaio, il letterato,
il vecchio ricco, il soldato,
il bello, anche se non è…
Nemmeno uno le piace,
a tutti trova difetti.
TIBERIO Beh! Belisa mi perdoni,
ma sebbene arguta e bella,
non deve perdersi dietro
forme ingiuste d’arroganza.
LISARDA Tiberio, se vuoi parlarle,
provare a farle capire
che insiste in una follia,
oggi è bellissima e vispa,
che certe visite aspetta:
parlale.
TIBERIO Sono arrabbiato,
giuro che deve sposarsi,
la obbligherò se non vuole.
LISARDA Aspetta tre pretendenti:
chissà se le piaceranno.
TIBERIO La chiedono a tre per volta?
LISARDA Punta al denaro, Tiberio.
TIBERIO Si chiuda in un monastero.
Entri Belisa e la serva Flora.
FLORA Ti impediscono le grate
la veduta della strada,
se non ti è sembrato quello
col sauro un bel cavaliere,
aitante e di bell’aspetto.
BELISA Flora, quelle gelosie
agli occhi mi hanno colpito.
FLORA Come?
BELISA Mi hanno preso gli occhi
a legnate.
FLORA Che sciocchezze!
BELISA Ho accostato gli occhi al legno
e legnose sono state
che mi hanno preso a legnate,
ma mi sono vendicata.
FLORA E come?
BELISA Dalla custodia
ho estratto un bel coltello
e le ho prese a pugnalate.
FLORA Che sentono le mie orecchie!
Hai fatto fuori la grata?
BELISA Per lo meno ho fatto spazio
da dove poter guardare
chi andava per la via.
Ma ecco subito il castigo,
al posto del cavaliere
passò...
FLORA Chi?
BELISA Un venditore
d’olio.
FLORA L’hai guardato?
BELISA Certo,
l’ho guardato e mi ha macchiato
il vestito.
FLORA E ci è riuscito,
tu dietro la gelosia
e lui per strada?
BELISA Ah no?
Guardami bene.
FLORA Guardando
quello che vendeva l’olio
ti sei macchiata?
BELISA È successo:
puoi darmi un altro vestito,
e poi far vendere questo.
FLORA Guarda che è proprio pulito.
BELISA Sciocca, non ti ho detto già
che mi sento molto male
nel sentirmi contraddire?
Dio, un colpo spaventoso!
FLORA E come?
BELISA Il polso, la fronte
guardami… sto per morire!
Che febbre terrificante!
FLORA Non penso di contraddirti
in vita mia, che servirti
suscita amore e lealtà.
Di perdonarmi ti prego,
in ginocchio.
BELISA È già passata
la febbre.
FLORA Un po’ di calore
è rimasto?
BELISA Solo un po’,
ma si sta calmando già.
FLORA Tua madre e tuo zio.
BELISA Oh, Dio!
Li nomini a coppia!
FLORA Entrambi
ti stanno amando e servendo.
Escono Tiberio e Lisarda.
BELISA Porta subito il ricamo,
che non mi vedano in ozio.
FLORA Vuoi i merletti?
BELISA Sono cose
delicate, ma stancanti.
E fra così tanti spilli
ce n’è uno che le mani
mi ha ferito. Ahi! Mi fanno,
Flora, così tanto male
che non posso sopportarlo!
FLORA Guarda che non ti ho portato
il puntaspilli.
BELISA Hai capito
che non devi contraddirmi?
Porta subito una fascia
per riposare la mano.
Se ne va Flora.
LISARDA Persuaderla sarà vano.
TIBERIO È un’impresa così ardua?
Nipote!
BELISA Signore?
TIBERIO Lasci
il lutto davvero bella.
BELISA Almeno desiderosa
di servirti.
TIBERIO Vedo che
pensi alle nozze.
LISARDA Su, Flora!
Sedie e cuscini!
Esce Flora.
FLORA (Ecco qui
la tua fascia.
BELISA Che tessuti
pesanti si fanno adesso.
Riprendila, che mi fa
più fatica che sollievo.)
FLORA Ecco le sedie.
BELISA Sospetto
che vieni a farmi la predica.
TIBERIO Bene, se vuoi ascoltarmi
prendi un cuscino.
FLORA Vado
io.
Se ne va.
TIBERIO Ti parlo da padre.
BELISA Non portarmene uno verde,
che sedendomici ieri
mi è venuto mal di pancia.
TIBERIO Il verde ti ha fatto freddo?
BELISA Mi uccidono le sue erbe.
Esce Flora.
FLORA Ecco un cuscino per te.
TIBERIO Siediti, Lisarda, qui,
tu, nipote, accanto a me.
BELISA Quanto mi angoscia sedere
fra le nappe colorate!
TIBERIO Il motivo sto aspettando.
BELISA Perché mi sembra di stare
seduta in mezzo ai dottori.
TIBERIO Come va coi pretendenti?
BELISA Male, zio: non mi vanno.
TIBERIO Cosa non ami di loro?
BELISA I difetti.
TIBERIO Che difetti?
BELISA È venuto un letterato
calvo.
TIBERIO La calvizie conta?
BELISA Se fossi stata una donna
spirituale e santa,
e per vincere la carne,
grande nemico dell’anima,
avessi voluto un teschio
di notte dentro il mio letto,
ci sarebbe stato bene
un uomo calvo al mio fianco
LISARDA Era molto ricco.
BELISA Volli
cogliere l’occasione: era
senza ciuffo sulla fronte
e poi si girò di spalle.
LISARDA E l’ufficiale? Perché
lo hai lasciato?
BELISA Conta poco
mancargli un occhio?
LISARDA Che importa,
se lo mette di vetro?
BELISA Ora ti dirò il perché.
LISARDA Di.
BELISA Se quest’uomo giurasse:
“come i miei occhi ti adoro”,
e quello finto costasse
due reali, altrettanto
il mio amore stimerebbe.
E per di più, non potevo
chiamarlo occhi miei.
LISARDA Zitta!
BELISA Perché chiamarlo occhio mio
era bruttino.
TIBERIO Che arguzia!
LISARDA Che dirai del portoghese?
BELISA Che sul petto e sulla schiena
deve mettersi il cilicio.
LISARDA Non capisco.
BELISA Quella barba
nera, spessa e setolosa,
era mettermi sul viso,
e sulla bocca, un cilicio,
ed un morso sulla lingua.
LISARDA E quel cavaliere ricco
di quel posto de La Mancha?
BELISA Troppo grandi aveva i piedi.
LISARDA Questa è una grave mancanza?
BELISA No, madre, è sovrabbondanza,
ho temuto che, arrabbiato,
lui mi avrebbe seppellito
con una sola pedata.
Gli vidi le unghie un po’ nere,
non pretendo di cacciare
un gheppio dalle unghie nere.
LISARDA Forse non le aveva bianche
il cavaliere francese?
BELISA Non voglio essere Madama,
né chiamare lui Mosiur.
LISARDA Dimmi che difetti aveva
don Luis, giovane e bello,
il cui petto una lucertola
di Santiago adornava?
BELISA Taci, madre, mi spaventi!
Non dicono che le donne
abbracciano i loro sposi?
Con quella cosa sul petto
non l’avrei mai abbracciato.
TIBERIO Nipote, è così chiamata
quella croce colorata
che è una spada in realtà.
BELISA Bastava la somiglianza
per morire di paura.
Oh, Gesù!
TIBERIO Ma… stai svenendo?
Su, nipote, se nessuno
ti piace, e l’età appassisce
come il fiore, verrà il tempo,
per chi ce l’ha ma l’aspetta,
in cui poi si pentirà.
LISARDA Bussano?
FLORA Sì.
LISARDA Chi sarà?
Escono una guardia e uno scrivano.
GUARDIA Entriamo senza permesso.
TIBERIO Sempre le picche ce l’hanno.
GUARDIA I termini son scaduti.
Vedi, Lisarda, se vuoi
che pignori i beni a Eliso.
TIBERIO Sei in causa con Eliso?
LISARDA Non c’è modo di riscuotere
duemila ducati.
TIBERIO Basta,
che gli obblighi non ricorda,
come una donna ti tratta.
LISARDA È già da un anno che è morto
mio marito e non finisce
di pagarmi; ed ho taciuto
per l’amicizia passata
e per quella che ha di nuovo
con mio figlio don Juan.
TIBERIO Andateci e pignorate.
GUARDIA Andiamo, che sta vicino.
Se ne vanno.
TIBERIO Me ne voglio andare anch’io.
LISARDA Belisa è ancora svenuta.
TIBERIO Che succede?
BELISA Ho immaginato,
vedendoli con le picche,
che mi cavassero gli occhi.
TIBERIO Non gli occhi, ma i beni cavano.
[Entra Flora.]
FLORA Almeno tre pretendenti
aspettano.
LISARDA Dove?
FLORA In sala.
LISARDA Chi?
FLORA Fabricio.
BELISA L’ho già visto.
TIBERIO Che cosa non va in Fabricio?
BELISA Nella barba e sulla testa
ha certe moscacce bianche,
se ci sono tante mosche,
è che l’estate finisce.
FLORA L’altro è un medico.
BELISA Perfetto!
Col medico sempre in casa
penserò d’esser malata.
Mi fa un freddo da quartana!
Tremo! Ti, ti, ti! Gesù!
Forza, portatemi a letto!
TIBERIO (Se non fosse mia nipote
a schiaffi la prenderei.
LISARDA Oh Gesù, non l’ascoltare!)
Signorina, andiamo a messa,
e saluti ai pretendenti.
TIBERIO Dove andrete così presto?
LISARDA A San Geronimo andremo.
BELISA Ah no, madre!
LISARDA Perché mai?
BELISA Tiene ai suoi piedi un leone
che ogni volta mi spaventa,
e una, di certo, madre,
al viso mi salterà.
LISARDA Allora niente carrozza,
si va a piedi a San Michele.
BELISA Non conti il peso dei piedi
sommato a quello dell’anima?
TIBERIO Non verrò mai più a trovarti!
FLORA Ma, signora, i pretendenti.
BELISA Oh, Gesù! Che agitazione!
Su, dammi un bicchiere d’acqua!
Se ne vanno. Escono Eliso e Fabio, servo.
FABIO Per il tuo bene, prova il matrimonio,
che è ricca, bella e di buona famiglia.
ELISO Belisa si dimostra molto strana
perché non le piace niente di niente.
In città c’è una novità ogni giorno
su questa dama noiosa e seccante,
ne sono i capricci antipasti e dolci,
lenimento per i viandanti stanchi.
Mille cose ingigantiscono il vero,
com’è tipico del racconto: cresce
man mano che si narra, ed un concetto
vi aggiungono tutti quelli che narrano.
Dice che ogni uomo le fa paura:
non lo vuole né stupido né arguto,
se è alto, perché la misura avanza,
se è basso, perché manca.
FABIO Che buon gusto!
ELISO Ha rifiutato un uomo perché aveva
un neo sul viso, ed un cavaliere
solo perché aveva i capelli rossi.
FABIO Era giusto.
ELISO Perché?
FABIO Rosso malpelo.
ELISO Ad un bel pretendente disse un giorno,
vedendolo lindo come uno specchio:
“non per dormire questo mentecatto,
ma per mangiare va bene per piatto”.
FABIO Ad Alcorcón, famosa per la creta,
si può plasmare un marito Belisa.
ELISO Come fece Eva. Si prende gioco
degli uomini più belli e raffinati.
Entri Felisardo a spada sguainata.
FELISARDO C’è Eliso?
ELISO Felisardo!
FELISARDO Fate in fretta,
che un cavaliere…
ELISO Che dite?
FELISARDO …navarro
penso di avere ucciso, accompagnando
Celia, mentre ritornava dal Prado.
È uscita di mattina a passeggiare;
anch’io, l’ha seguita il cavaliere,
è tornata, e lui dietro, senza dare
segno di cedere, da uomo audace.
Le serve si sono arrabbiate, infine,
mentre io lo ero prima di loro.
Gli ho parlato, ha risposto e ha fatto un passo,
guardo, punto, colpisco... ed ecco fatto!
Le donne sono fuggite ed ho preso
per mano Celia, ed è…
ELISO Dove?
FELISARDO …alla porta.
ELISO Dentro, presto!
FELISARDO Celia, Celia!
Esce Celia.
CELIA Fratello!
FELISARDO Qui starai sicura e nascosta bene.
CELIA Tu dove vai?
FELISARDO Al Carmen.
CELIA Sarà vano,
stare qui senza te, nemmeno morta.
Se non c’è pericolo, perché vai?
E se anche qui c’è, perché mi ci lasci?
ELISO Ha ragione. Fabio, chiudi la porta,
che corri più pericoli per strada.
FABIO Vado.
Se ne va.
ELISO Celia starà nascosta qui,
e te, mentre rimedio cerchi o trovi.
CELIA Giusto, finché decidiamo qualcosa,
che i giovani che mi hanno visto entrare,
è sicuro che non diranno nulla.
ELISO Non temere, non se è gente d’onore.
Fabio torna.
FABIO Che sfortuna!
ELISO Che succede?
FABIO Le porte
che danno alla strada stavo chiudendo,
quando vedo arrivare la giustizia.
Chiamano, ed io, come non sentissi,
chiudo per dirvelo.
FELISARDO Cosa faremo?
ELISO Questa casa non ha zone nascoste,
né porte né finestre per uscire.
FABIO Signore, che ne dite del mio alloggio?
ELISO Ma cercando un uomo per omicidio,
neppure un angolo trascureranno
e di più non avendo aperto in fretta.
CELIA Ahimé!
ELISO Signora, non vi affliggete.
Proviamoci, almeno, con qualche astuzia.
Avevo nella mia casa due schiavi:
Pedro, che si occupava dei cavalli,
perché era già cristiano battezzato;
e Zara, una schiavetta di Granada.
Potete fingervi loro, che entrambi
sono nell’eredità. Felisardo,
va’ nella scuderia e sulla corda
che l’attraversa da una parte all’altra
troverai il vestito che per le feste
lo schiavo indossa. Mentre tu, signora,
in cucina, quello che indossa Zara.
Tu prendi la striglia, tu invece i piatti,
e nessuno vi riconoscerà.
FELISARDO Vado.
CELIA Anch’io.
Se ne vanno.
FABIO Giù ci stanno buttando
la porta.
ELISO Invece stupisce la flemma
che mostrano cercando un delinquente.
Scendi e di che stavo nel mio studio
con le carte e con i conti occupato,
e che nessuno finora li ha uditi;
e fermati a parlare quanto puoi,
perché abbiano modo di vestirsi.
FABIO Vado, e voglia il cielo che tutto fili
tanto liscio che restino ingannati.
ELISO Per sfortuna conoscerli potranno.
Se ne vada Fabio.
ELISO Tiranno amor, la cui idea tematica
ben ci mostra la libreria storica,
oscura scienza in lingua metaforica
della sfinge di Tebe enigmatica;
felice chi si ferma alla grammatica
e non arriva a logica e retorica,
perché chi meglio sa la tua teorica,
meno lo mostra in esperienza pratica.
Poiché equipari, amor, nella matricola,
i sapienti ed i selvaggi barbarici,
il mare e il fuoco, il gelo e la canicola,
sarò come Ulisse ad i canti magici,
ché vediamo nell’azione ridicola
principi dolci per finali tragici.
Entrino la guardia e lo scrivano, e Fabio.
GUARDIA Potrebbe vossignoria
avere lo stile adatto
a chi è?
ELISO Non l’ho saputo,
e credete che ce l’ho.
I conti di una tenuta
distraggono, ed io non sono
portinaio in casa mia.
GUARDIA Essendo una casa nobile,
sto per due ore alla porta,
e poi esce un servitore
arrabbiato e addormentato.
ELISO Ora si sveglia, la bestia
che non esce mai prima
dal letto, ma per favore,
questa incuria non intralci
le maniere della corte
degne di chi siete. Dite,
cosa comandate?
GUARDIA Bene,
questo si può definire
come stile di Madrid.
Non ricordate la causa
che fu fatta da Lisarda?
ELISO Sì certo! Avete ragione.
Nessun accordo, alla fine,
l’ha soddisfatta?
GUARDIA È finito
l’appello, come vedete;
non avete nessun margine,
tutto oramai è stato fatto:
vengo per prendervi i pegni.
ELISO Non ho nulla da obiettare:
Lisarda lo può eseguire.
SCRIVANO Potete darci il permesso?
ELISO Prego, Fabio vi darà
gli arazzi e l’argenteria,
e se manca, che potrebbe,
vi potremo soddisfare
con altri beni.
SCRIVANO D’accordo.
Andiamo.
Entrino con Fabio.
ELISO Stavo sbagliando,
perché essendo proprio io
quello che stanno cercando,
ho pensato a Felisardo.
Meglio che stiano così,
se per caso li trovasse;
che al debito prontamente
provvederò col denaro
che mi spetta a fine mese.
Ho fatto tardi la scelta,
che era meglio fare prima,
dato che se avessi chiesto
già la mano di Belisa,
ormai penso che sarei
marito dei suoi capricci,
che ogni mia vigliaccheria
per la sua natura è nata.
Voglio entrare, come è giusto,
a vedere i miei affari,
tempo ci sarà per chiedere
Belisa, e così cambiare
la querela in parentela,
e pagare ricevendo,
che il patrimonio è eccellente.
Ma è pure necessario
per riuscire a sopportare
una moglie capricciosa.
Entrino, ed escano Lisarda e Belisa e Flora.
LISARDA Quest’uomo è un capolavoro.
Perché non deve piacerti?
BELISA Quando ti vorrai sposare,
scegli uno come lui,
perché a me proprio non piace.
LISARDA Perché?
BELISA Perché ha raccontato
un litigio ed ha mostrato…
LISARDA Che cosa?
BELISA Un pugno posticcio.
LISARDA Che importa?
BELISA Signora, un uomo
che dovrebbe amare me,
lo deve avere posticcio?
E se proprio lo ha così,
deve esser tanto distratto
che per fare il valoroso
gli cada, quando racconta
le coltellate che ha dato
con il pugno della spada,
il pugno dalla camicia?
LISARDA Questi capricci, Belisa,
mi hanno proprio innervosito.
Non saprei a chi assomigli,
che io non ero capricciosa.
BELISA L’essere attenta e precisa
consideri capriccioso?
LISARDA Beh, dimmi che non lo è stato
rifiutare il cavaliere
toledano.
BELISA A spiegarti
proverò.
LISARDA Spiegami pure.
BELISA Aveva gli occhi grandi
e lo sguardo spaventato.
Guarda così da innamorato,
che farà quando è arrabbiato?
Va così tanto impettito,
che vidi in lui la figura
del Re don Pedro il Crudele,
che in San Domenico sta.
LISARDA Quello che ti presentai
ieri l’atro?
BELISA Gesù!
LISARDA Calma.
BELISA I baffi troppo calati
sopra la bocca gli vidi.
Ho immaginato che fosse
o un barboncino o un selvaggio,
oppure che gli servissero
come filtro per il brodo.
Se beve latte, sa già
come poterla colare.
LISARDA Ma chi ti accontenterà?
FLORA Un marito sott’aceto.
Escono la guardia e lo scrivano.
SCRIVANO Tutto è stato fatto bene.
GUARDIA Bene si è fatto.
LISARDA In che modo?
GUARDIA Tutto sta depositato,
e mi chiedono di darti
due pegni vivi che a forza,
sono stati prelevati.
LISARDA Pegni vivi?
GUARDIA Per davvero,
non ho visto in vita mia
due schiavi così belli.
LISARDA Mi hai fatto un gran piacere.
GUARDIA Uno è donna.
LISARDA Una donna
marchiata?
GUARDIA Non è marchiata,
ma puoi farle fare i marchi
come meglio credi tu.
Forza, Pedro e Zara, entrate!
LISARDA Belli, non c’è altro da dire.
Entrino Felisardo da schiavo e Celia.
GUARDIA L’ho presi, perché ho creduto
di renderti un gran servizio.
LISARDA Glieli compro tutti e due,
tanta grazia vedo il loro,
mille per entrambi, e a te
ricompensa, se li vende.
GUARDIA È molto; ma lo farà
per te e per me, e se vorrà
venderli, sarà contento
di poterti accontentare.
LISARDA Qualsiasi prezzo è giusto,
anche se è alto, per loro.
GUARDIA Ho molto da fare. Il cielo
ti protegga.
LISARDA Vado anch’io,
che è tua questa casa.
GUARDIA Ritengo che non sarà
necessaria la cessione
dei pegni.
LISARDA Lo credo anch’io.
GUARDIA Addio.
Se ne vanno [Lisarda, Belisa, Flora, la guardia e lo scrivano. Restano Felisardo e Celia].
FELISARDO Strano cammino
di sfortuna, se anche fosse
per maggior riguardo mio!
Perché in quest’abito e casa,
mentre la tempesta passa,
di proteggermi confido.
Ma, quando una qualche storia
di quelle che ha visto il mondo
ha avuto questo sviluppo
nel libro della fortuna?
Esiste un caso più strano
di un uomo che oggi a Madrid
è più nobile del Cid,
più libero di Bernardo,
che si vede schiavo e preso
come pegno d’escussione,
in un tempo non più lungo
di quel che abbiamo impiegato
a vestirci Celia ed io,
senza Jafer né Morato,
senza rispondere a questi
uomini né “sì” né “no”?
Io sto qui come un pazzo:
non so cosa mi accadrà.
CELIA Se mi potessi lagnare,
cielo contrario, di te
per il vestito che indosso,
se me ne dessi licenza,
perderei quella pazienza
che ti domando e vorrei.
Non mi lamento di me,
perché quello che è successo
è stato inganno e non colpa.
Ma, cosa potrà accadermi?
Che danno me ne verrà?
Tutto è servire otto giorni.
[Entrino Belisa e Lisarda.]
BELISA Dici bene, e tu potresti
parlargli.
LISARDA Se ne è convinto,
farò sì con il denaro,
che ceda, anche se non vuole.
Schiavo!
FELISARDO Sì signora?
LISARDA Attendi.
FELISARDO (Cosa mi attende se attendo?)
LISARDA Il tuo nome?
FELISARDO È Pedro.
LISARDA Cristiano?
FELISARDO Sì, per la grazia
di Dio (ma per disgrazia
mia ti ho per padrona.)
LISARDA Ti dispiace stare qui?
FELISARDO No (più mi dispiacerebbe
se nel carcere pagassi
quello che non devo a te.)
LISARDA Di dove sei?
FELISARDO Granata,
ma sono nato a Madrid,
da una schiava che sarebbe
regina, con più fortuna.
Il figlio di Carlo Quinto,
Juan de Austria, imprigionò
mia madre, ed io nacqui
lontano dall’Alpujarra,
da dove proviene lei,
e da un signore spagnolo,
bello e onesto come il sole.
LISARDA Che peccato! Che sfortuna!
BELISA Tu, schiava?
CELIA Io mi chiamo
Zara e voglio battezzarmi.
Di Orán sono, e farlo spero,
se rivedrò il mio padrone,
prima, signora, di un mese.
BELISA Anche qui, se lo vorrai.
Che belle donne ci sono
ad Orán.
LISARDA Questa lo è.
Flora, mostra la cucina
a Zara e quel che ha da fare.
Tu puoi venire a vedere
un pretendente.
BELISA Che bega!
Se ne vanno Lisarda e Belisa.
FLORA Su, Zara, vieni con me.
Tu, Pedro, visiterai
la scuderia.
FELISARDO Ci sono
altri schiavi?
FLORA No.
FELISARDO Non dico
per non servire.
FLORA Un lacchè
del figlio della signora
cura della sua carrozza
i cavalli, e a lui un baio.
FELISARDO Ha un figlio?
FLORA E molto bello.
FELISARDO Sta fuori?
FLORA No, sta nel letto.
Vede di notte una dama,
non si sveglia don Juan.
quasi ogni giorno si alza
a mezzogiorno; avrai
un padrone, se rimani,
fratello della ragazza,
che è un angelo di natura.
Ed io ti farò doni,
che il tuo aspetto lo esige,
ed il modo di parlare.
Di tutto quanto ho le chiavi.
Bevi vino? Mangi, di’,
maiale?
FELISARDO Penso di sì,
perché nacqui dove sai
(se non è che l’ho scordato
da ieri quando ho cenato.)
FLORA Che regali ti farò!
CELIA Loda il cielo, Pedro, se
ti faranno tanti doni.
FELISARDO (Senti, Celia…
CELIA Cosa c’è?
FELISARDO Tutto potrò sopportare,
non, però, la gelosia.)
Se ne vanno. Esce don Juan in camicia da notte, con i bottoni slacciati, abbottonandosi, e Carrillo, il lacché.
JUAN Hai sellato?
CARRILLO Sì, certo,
ma è già ora di mangiare.
JUAN C’è la messa?
CARRILLO Ci sarà.
JUAN Mi sono stancato ieri!
CARRILLO A ragione stanco sei.
JUAN Mi richiedono denaro,
dopo morti e svenimenti.
CARRILLO Molti scrivono rimedi
d’amore, mettendo come
il più leggero l’assenza,
e di seguito l’oblio;
altri, coi libri, la caccia,
le liti ed il divertente
gioco; e tutti dando modi
di distogliere il pensiero.
Chi con le stregonerie
vuol liberarsi d’amore;
chi con maggiore insistenza
in altri piaceri passa,
l’infelicità, signore.
Plinio disse di gettare
un amante – che molestia! –
là dove si rotolava
una mula, e che una bestia
ne imitasse così un’altra.
Ma questo fu per mostrare
che era una bestia chi ama,
non perché possa guarire
il letto di quella bestia
la malattia dell’amore.
Io sostengo che chiedere
sia il rimedio d’amore.
JUAN Dove sentisti la storia
che disse Plinio?
CARRILLO Signore,
si sono messi a tradurre
tanti uomini che mancano
d’ingegno, che ormai sappiamo
noi sciocchi quello che
fa lodare i saggi, e i loro
stessi nomi meritiamo.
Ne ho una traduzione,
e anche di Orazio e Lucano.
JUAN Tu conosci questi autori?
CARRILLO Ma se sono in castigliano,
che difficoltà c’è mai?
Il sauro già latineggia.
Sono là.
JUAN Mi fa piacere
che questi che il mondo elogia
cercano Orazio in latino,
e sta nelle scuderie.
Un lacchè già ti ha letto,
Orazio divino!
CARRILLO Io.
Ma davvero mi sorprendo
che stimi tanto te stesso
per il latino imparato;
se coloro che ti vedono
con la cappa e con la spada
in veste di latinista,
sempre sommerso dai libri,
dicono che volgarizzi.
JUAN Dunque l’ingegno e la scienza
sono i berretti ed i gradi
per Siguenza o per Valenza?
CARRILLO Nella plebe che si inganna
consiste la differenza:
spada sta per ignoranza;
berretto sta per cultura.
JUAN Oh, che buffo sillogismo!
CARRILLO Già sta nel volgo assodato.
JUAN Oh, che noioso ispanismo!
Se Lipsio con cappa e spada
gode di fama immortale;
e se sempre fu acclamato
don Ignigo de Mendoza,
che ha reso onore alla Spagna.
Mille esempi posso farti
con cui il volgo capirebbe,
se qui col volgo parlassi.
CARRILLO Ti devi lavare il viso?
JUAN Chiama Flora.
CARRILLO Aspetta un po’.
Se ne va il lacchè.
JUAN Scienza è saper che con ingegno ed arte
raggiunge un uomo, non manto e berretto,
che se tutta negli abiti si mette,
le mule avranno nella scienza parte.
Con la spada Cesare seguì Marte,
i commenti non ha coperto il Lete,
che chi ha due volte trentasette,
chi gli impedisce che uno ne scarti?
Ho visto Cicerone col cappello,
Senofonte armato. Lettere sante,
vi può tenere un nobile rampollo!
Oh tu, che grazie agli occhi vai avanti,
se Marte ha la spada e la penna Apollo,
fondili insieme in esperienze tante.
Entri con una brocca e un catino Celia, e Flora con un asciugamano.
CELIA Ecco qui l’acqua e il catino.
FLORA Ecco qui l’asciugamano.
JUAN Flora!
FLORA Che problema c’è?
JUAN Mai ho visto questa serva.
Voi servite? Oh, tempo ingrato!
FLORA Giustamente lo dirai
quando saprai che è una schiava.
JUAN Schiava, Flora? Addirittura?
FLORA In casa di Eliso stava.
Non l’hai vista?
JUAN Per niente.
FLORA È arrivata a garanzia
di un debito non saldato.
JUAN Solo l’averci pagato
così lo discolperà
di dover fare causa.
Bella schiava.
CELIA Sfortunata
è meglio dire, finora
che vi servo.
JUAN Ben pagato
debito! Acqua, signora.
FLORA Tanto ti piace la schiava?
JUAN Ne hai veduta mai
una più bella?) Più acqua,
versate, se siete pronta,
perché si calmi l’incendio
acceso dal vostro fuoco.
Oh, che occhi!
CELIA Riuscirebbero
a dar acqua, se mancasse.
JUAN Che mani ne sono degne?
Ma se si lavasse l’anima,
sarebbero gli occhi giusti.
Qua l’asciugamano, Flora,
benché non possa pulire
ciò che ora lascia impresso
una schiava che fa onore
alla più nobile dama.
Il colletto.
CELIA Ci andrò io.
JUAN Va’, Flora, a darglielo.
FLORA Vado.
JUAN Non tornare qui.
FLORA Va bene.
Se ne vadano entrambe.
JUAN Ho voglia di rivederla.
Da soli le parlerò.
Non ho visto questa schiava
ad Eliso. Senza dubbio
me la stava nascondendo,
che doveva dispiacergli
il desiderio degli altri.
Oh, quanto ne avrà sofferto,
se per caso è innamorato!
È stata una gran sfortuna!
Celia con un colletto in un cestino.
CELIA Ecco il colletto, signore.
JUAN E questo, signora, è il vecchio.
Questo colletto potreste
mettermelo per collare,
ma basterebbe un capello;
e questo quello che rendo.
CELIA Scherzate? Dovete metterlo.
Glielo metta.
JUAN Il collo mi imprigionate,
sento che mi incatenate.
I lacci sono catene.
CELIA Ma li credevo di stoffa.
JUAN Vi state proprio sbagliando!
CELIA E se le vostre catene
sono lacci, facilmente
vi potrete liberare.
JUAN La prigione del volere
è nell’immaginazione.
Non riesco a legare il collo;
su, stringetemelo voi.
Forza, non vi vergognate.
Legate la libertà,
che inizia ad essere vostra.
Vicino, legate il collo.
CELIA Lo farò perché obbligata
a servirvi, e in ciò vi servo.
Ma, chi vi confermerà,
ammesso che riesca a farlo,
che il colletto è ben legato?
Prendo uno specchio.
JUAN Non serve,
perché non esiste specchio
come questo volto in cui
vedo limpido cristallo.
Riflettano i vostri occhi,
perché in essi potrò dire
che nel sole mi son visto.
Legate.
CELIA Così va bene?
JUAN Alle vostre chiare stelle
desidero domandarlo.
Entri Felisardo.
FELISARDO Che bella scena, per Dio!
Se colpissi con la spada,
fra loro sarebbe uguale
sciogliere quanto tagliare.
JUAN Chi va là?
FELISARDO Io, signore.
JUAN Chi sei?
FELISARDO Sono uno schiavo
che da oggi è al tuo servizio,
per la Fortuna, che lodo
perché quanto vali so.
Ero di Eliso, ora tuo;
ma non son tuo né suo,
né so chi devo servire,
tanto che posso affermare:
Sono schiavo, ma di chi?
Sono entrato al tuo servizio
come pegno d’escussione;
ma esagera l’altro pegno,
che sta impegnato con me,
che potrei anche impegnarti.
L’ha amata il mio padrone.
Ho visto che ti ha abbracciato,
non è bene che lo faccia.
Ma, benché mi venga chiesto,
questo non lo dirò io.
JUAN Sei uno schiavo ben messo,
e sembri molto leale,
perché sei così geloso.
FELISARDO Zara, proprio un bell’inizio;
ti svaghi nella disgrazia.
CELIA Mi riprendi?
FELISARDO Perché no?
Il padrone mi ha ordinato
di riprenderti, e lo eseguo,
perché così faccio quello
che il padrone mi ordinò.
JUAN Non brontolarla, ti giuro,
schiavo, che non ne ha colpa.
E mentre risiede qui,
benché fu Eliso a comprarla,
fa’ conto che fu venduta.
Ne sono il padrone.
FELISARDO Ed io?
JUAN Anche tu mio.
FELISARDO Lo sono,
ma ho paura, signore,
del primo padrone mio,
che non dica che son suo.
Zara starebbe in cucina
assai meglio che qui.
CELIA E anche tu a prenderti cura
dei cavalli.
FELISARDO Per te, sto
in mezzo alle mangiatoie.
CELIA Ed io per te fra i piatti,
senza i regali di Flora,
villano, esempio d’ingrato.
JUAN Adesso basta, per Dio,
che entrambi siete ritratti
della nobile lealtà.
Servite allegri, credete
che vi tengo di gran conto
e che vi favorirò.
FELISARDO Se Zara sarà sincera,
nel giusto la riterrò.
JUAN A messa vado, che è tardi.
Se ne vada don Juan.
FELISARDO Presto cambi convinzione.
CELIA Che Dio ti benedica,
davvero te ne dispiaci?
FELISARDO Sono una pietra? Un diamante
o un amante? Sono un uomo
o una bestia? Un nobiluomo
o la bassezza in persona?
Tu, mille leghe da un uomo,
alla distanza – chi può
crederlo? – che si misura
con il nastro di un colletto?
Tu che metti lacci e nodi
al collo di un’altra testa,
non della mia, per farli
di corda alla mia gola?
Ah, Celia, Celia bella,
la donna è mobile qual piuma al vento!
Tu, appena giunta qui
per dare l’ultima prova
d’amore in tale disgrazia
che merita fama eterna,
fra le braccia…
CELIA Quali braccia?
FELISARDO Lasciami! Non mi fermare!
CELIA Ti sembra giusto scherzare
fra verità tanto amare?
Fermo e guarda dove siamo,
nella nostra stessa terra
sono una schiava e tu schiavo;
se del mio onore dubiti,
folle è l’offesa tua,
e del mio onore offesa.
Per te, Felisardo mio,
sono schiava: i tuoi sogni
mi hanno spinto a servire.
Se servo, cosa reclami?
Sono uscita con la serva
per dar acqua a chi vorrei
dare veleno. È un ragazzo,
m’ha detto dolci parole,
che facile è l’occasione,
polvere è l’uomo e la donna scintilla.
Desiderava il colletto,
l’ho portato e l’ho legato,
m’ha reso specchio, e l’ho fatto.
FELISARDO Vuoi che non mi dispiaccia?
CELIA No, perché al tuo arrivo,
dato che è vetro, e si rompe,
lo specchio è finito.
FELISARDO Meglio,
oh Celia, potresti dire
che la donna è come specchio
e che, mancando il padrone,
lusinga allo stesso modo
qualunque volto si accosti.
CELIA Basta ingiuste gelosie,
fallo per me, abbandona
le sciocchezze in tanto male!
FELISARDO Mi dispiace, se lo sono,
ma se negli occhi ritrai
il volto di qualcun altro,
sono sciocchezze che danno
salatissimi tormenti.
Ma già che nelle sventure
non è bene lamentarci,
dimmi, cosa devo fare
nelle molte che ci aspettano?
Dimmi, vuoi che stanotte
fuggiamo dove la Sorte
non abbia più il potere
di deriderci così?
Vuoi che ti porti via?
CELIA Dio sa se lo vorrei,
ma così mettiamo Eliso
in un notevole guaio;
perché come schiavi suoi
siamo qui, e dirà Lisarda
che è lui che ci nasconde,
o sarà lei a farci
cercare. È meglio star qui,
mentre la tempesta passa,
che per starcene nascosti,
non c’è casa come questa.
In più, la mia famiglia
mi cercherà, e non appena
uscirò con il vestito
mio, sarò conosciuta.
E per me, che più alta gloria
che stare dove son degna
del nome di schiava tua?
FELISARDO Giustamente mi consigli.
Ho visto lì i servitori
che stanno già apparecchiando.
Su, Celia, corri in cucina,
che potrebbero vederci.
CELIA Ti metterò in uno straccio,
se riesco a portarlo via,
qualche cosa da mangiare.
Anzi no, che mi sovviene
che Flora lo farà meglio.
FELISARDO Ora non fare la sciocca.
CELIA Chi ama, teme.
FELISARDO Chi ama,
crede.
CELIA Che vuoi che creda?
FELISARDO Che ti adoro, Celia mia,
che la costanza è la virtù dei forti.
ATTO SECONDO DE I CAPRICCI DI BELISA
Escono Belisa e Flora.
FLORA Dove porterà, Belisa,
tanta tristezza e disgusto?
BELISA Già, Flora, tutto il piacere
in pianto si è trasformato.
Posta ormai fine ai capricci,
cessata ormai l’arroganza,
il cielo mi sta punendo,
gli uomini lavano l’onta.
Compatiscimi, che sto
per uccidermi.
FLORA Non dire
che ci pensi.
BELISA Amica mia,
percorro un triste cammino,
che vivere più non posso,
perché in tanta avversità
tacere l’insania mia
è decidermi a morire.
Che aspetto? Che mi trattiene
dal metter fine alla vita?
FLORA Tu di te stessa omicida?
BELISA A darmi la morte giungo,
Flora, con tanti motivi,
che quando il mondo saprà
sopra che cosa li fondo,
dirà che avevo ragione.
Devo uccidermi. Tu, Flora,
dopo la morte potrai
vedermi il petto e scoprire
la ragione che ora taccio.
Perché scritta in un biglietto,
come chi muore per bando,
la terrò sul petto quando
mi ucciderà corda o spada.
Pensando sto, triste vita,
la tua fine: di spada,
rimarrò molto scomposta,
dissanguata e impallidita;
con la corda, sarò brutta,
la lingua grossa e contorta
la bocca, che non c’è morte
soave senza ferita;
col veleno diverrò
nera e gonfia; col salasso,
è morte rubata a Seneca;
dolcemente morirò,
che sarà cosa famosa
da filosofa morire,
e morendo di salasso
resterò pulita e bella.
Forza, chiamami un barbiere!
Dirò che voglio un salasso,
dopo togliermi potrò
la fascia fino a morirne.
Su, Flora, chiamane uno.
FLORA Cosa dici? Sei in te?
BELISA Deve uccidermi.
FLORA Ahimé!
BELISA Se ritardi, con la corda,
o con qualche brace accesa,
come Porzia.
FLORA Se lealtà,
se amore e sincerità,
se l’essere nata qui
meritano di sapere
il perché del tuo male,
questo e i miei occhi tristi
ti costringeranno.
BELISA No.
FLORA Allora uniamo le vite
e sia una sola morte.
BELISA Se ti impegni a che una sorte
ci equipari in due ferite,
ti dirò il mio male.
FLORA Te lo prometto.
BELISA Sta’ attenta,
vedrai che il perché è grande,
pari alla mia sventura.
Nata qui a Madrid,
Flora, per regalo
e gusto dei miei
ricchi genitori,
fra le loro braccia
con amore crebbi
che bambina ero
potendo sposarmi.
Piogge dalle Indie,
Indie dell’Oriente,
dove possedeva
mio padre due mali
in casa e forziere,
le perle e i diamanti,
argento da spendere,
oro per gioielli.
Con questo e l’amore,
spendevano molto
per il mio lusso,
e in ricchi vestiti.
Nemmeno Juan,
essendo studente,
spendeva nei libri,
e in paggi e lacchè,
quanto io in specchi,
in profumi e guanti.
Con queste pazzie
e la boria, mai
la mia famiglia
riuscì ad accasarmi.
Moltissimi soldi
che toccano a me
del gran patrimonio,
più che i pregi miei,
obbligano gli uomini
che per essi nascono,
a vedermi per
tentar la conquista.
Io con l’abbaglio
di tale ricchezza,
e forse ingannata
da ingegno e bellezza,
ho fatto i capricci,
assurdi capricci,
tali che a Madrid
son storie famose.
Una volta dissi
che avevo di carne
mani e volto, e il resto
di statua di santo,
che hanno tutto il corpo
coperto da vesti,
senza gambe e torso,
e senza sporgenze.
Non andavo a messa
dove sta dipinto
l’angelo che vince
le serpi infernali.
Presso San Cristoforo
forma di gigante,
mi presero spesso
grandi svenimenti.
Mai ho toccato,
nemmeno coi guanti,
l’acqua benedetta,
temendo annegare.
Mai sono uscita
se tirava vento,
e se mi coglieva
il vento per strada,
mille volte urlavo:
“Mi trascina l’aria!”
Mai vidi i tori
temendo che saltino,
nemmeno restando
dietro mille grate.
Il ponte di pietra,
benché il Manzanarre
sia un piccolo fiume,
non riesco a passare.
Montando in carrozza
ho mille reliquie
per scaramanzia,
segni della croce.
Mai ho mangiato
le prugne dei frati,
perché molti dicono
che nel corpo nascono.
Chiocciole nemmeno,
perché non puliscono
le loro casette
dai propri bisogni.
Mai ho voluto
che il sarto prendesse
le mie misure,
perché non mi abbracci.
Mai il calzolaio
sa quello che calzo:
scarpe di diverse
misure mi fa,
anche smisurate,
che chi mi corteggia
non dica che sa
le misure mie.
Mai ho voluto
giocare alle carte,
ché il segno di spade
il sangue mi gela.
Ma perché ti dico
le cose che sai,
che la mia lingua
non basta per dire?
In effetti, Flora,
con tali capricci,
rifiutando tanti
seri cavalieri,
ricchi, gentiluomini,
nobili, importanti,
insigniti molti,
molti con diverse
cariche di guerra
e uffici reali,
trovando difetti
a chiunque veda…
se dirlo non so
prima di morire,
che mi disonora
questa frenesia;
ma visto che devo,
di cosa ho paura?
Adoro uno schiavo,
pegno che una guardia
dette a mia madre.
Dio glielo chieda!
Oh Flora, non scherzo.
volevo salvarmi,
ho fatto attenzione,
ma è servito a poco
in questa prigione:
amor carceriere
castiga con morte
queste resistenze.
Non dormo né mangio,
né questi pensieri
e tormenti so
dove condurranno.
Io, che derisi
uomini così,
amo uno schiavetto.
Ma nessuno dica:
“quest’acqua non bevo”,
che il tempo i superbi
umilia, ed innalza
gli umili; e trasforma
i capricci in cose
gravi, ed arricchisce
i piccoli, e i grandi
impoverirà.
Dannato chi fece
leggi disuguali!
Ciò che il gusto sbaglia,
lo paghi l’onore.
FLORA Cosa ti risponderò?
Sento la stessa vergogna
che anche tu stai provando,
per non offenderti taccio.
Però non posso negarlo:
sembra una strana pazzia.
BELISA Non è forse sempre bella
la bellezza ovunque sia?
Smette di essere diamante
quello che nacque in miniera,
perché sta in indegne mani,
o perché lo copre il guanto?
Però, in fondo, se anche a te
è successo come a me,
non voglio certo incolparti,
al fine di discolparmi.
Quello che farò è morire.
FLORA Meglio cercare un rimedio.
BELISA Se non la morte, che mezzo
mi potrà porre rimedio?
FLORA Buttarlo fuori di casa.
BELISA Gli si è affezionata
mia madre, e la mancanza
potrà incrementarmi il fuoco.
FLORA Fallo marchiare o frustare,
abbruttiscilo in maniera
da detestarlo.
BELISA Che bestia
può detestare ed amare?
FLORA Pensa che adora la schiava,
se gelosia funziona.
BELISA Il cielo non ha creato
spinta più forte all’amore.
FLORA Qualcosa dovrai fare
BELISA Morire!
FLORA L’anima?
BELISA Solo
questo vince la passione
che mi fa odiare la vita.
Accetterò il consiglio,
farò marchiare lo schiavo,
come chi rompere vuole,
per non vedersi, lo specchio.
FLORA Tua madre!
BELISA Nasconditi!
Se ne vanno. Escono Eliso e Lisarda.
LISARDA Non devi obiettare niente:
devi darmi quegli schiavi,
benché tu sia contrario.
ELISO Dopo avermi pignorato,
mi togli con tale pena
quello che mi fa piacere?
LISARDA Sei un uomo d’onore
e te lo chiede una donna.
ELISO Anch’io chiedo qualcosa,
e perciò voglio servirti
facendo questo favore,
ma credi che sono tre
gli schiavi che ti darò.
LISARDA Come?
ELISO Anch’io lo sono,
e dopo saprai come.
LISARDA Se per caso tu pensassi
di sposarti con Belisa,
già conosci come è fatta.
ELISO So che è un intento impossibile,
però tu ne parlerai
da sola con lei.
LISARDA Certo.
Era qui e se ne è andata.
ELISO Dille questo e niente più,
conosci il mio lignaggio,
affinché in questa occasione
tu prenda nell’escussione
il pegno del matrimonio.
LISARDA Pedro e Zara sono miei.
Vado a parlare a Belisa.
Se ne va Lisarda.
ELISO Sono disposto a subire
le sue grandi follie.
Esce Felisardo da schiavo.
FELISARDO Mio carissimo Eliso.
ELISO Felisardo, amico, come
stai?
FELISARDO Di vederti aspetto
come la luce del giorno,
in questa oscura prigione.
ELISO Prigione con Celia?
FELISARDO È vero,
ma non ho la libertà
di dirle mezza parola.
Che si dice della lite?
Potrò uscire da qui?
Si pensa che sono in fuga?
ELISO Quel signore è ancora vivo,
fuori pericolo no.
E nemmeno tu, perciò
non pensare di uscire
da qui.
FELISARDO Quale atrocità!
ELISO Questo è il rifugio migliore.
FELISARDO Cercano Celia?
ELISO Anche lei.
Come sta Celia?
FELISARDO Sta bene,
solo un po’ preoccupata
per una serva che qui
si affanna a farmi favori.
ELISO Gelosa?
FELISARDO Mi ucciderebbe.
Se mi vedono con te
desteremo dei sospetti.
ELISO Esci di casa?
FELISARDO Di rado.
ELISO Addio.
Se ne va Eliso ed esce Lisarda.
LISARDA (Se questa angoscia,
Belisa, ti arreco, stai
certa che non proverò
a riparlarti di nozze.
Pedro!
FELISARDO Signora?
LISARDA Lo scopo
mio è palese affetto,
non ti sembri desiderio
di schiavo averti comprato…
FELISARDO Mi hai comprato?
LISARDA Eliso
ti ha venduto, e ti possiedo.
Non te lo ha detto?
FELISARDO Ha temuto
la mia pena, che è giusto.
LISARDA Non stai bene con me?
FELISARDO A me fa molto piacere
servirti, ma Eliso in fondo
è stato il primo padrone.
LISARDA Male mi ripaghi il bene.
FELISARDO Te ne sono molto grato,
per l’onore e il gran favore
che mi hai fatto.
LISARDA Mi devi
più di quanto pensi.
FELISARDO Frasi
brevi son segni d’amore.
LISARDA Provo per te molto affetto.
FELISARDO Signora, i miei ossequi.
Esce Celia.
LISARDA Questa è Zara?
FELISARDO È proprio lei.
LISARDA Zara, cosa vuoi qui?
CELIA Pedro, ti vengo a chiamare:
il signor don Juan lo vuole.
LISARDA Andate.
CELIA (Anche la padrona
inizia a farti favori?
FELISARDO Di nuovo gelosa?
CELIA Cosa
vuoi, se dai motivo?)
LISARDA Bene, qui conversazione?
FELISARDO (Celia, come sei strana!)
CELIA Ho chiesto a Pedro se vuole
insegnarmi la preghiera
che diceva l’altro giorno.
LISARDA Non la sai?
CELIA Non la so.
LISARDA Flora te la può insegnare.
Cagna, vattene in cucina.
CELIA (Ha un debole per lui,
ma saprò farmi valere.)
Se ne va Celia.
LISARDA Che pensieri sono questi
che su uno schiavo mi nascono?
Né è decente la pena,
né i pensieri sono onesti.
A me piacciono di lui
aspetto, volto e parole.
Frivolezze! Amore, fermo,
che di perdermi ho paura!
Esce Belisa.
BELISA Sapendo che Pedro è tuo
e che lo hai comprato a Eliso,
vengo a darti un buon consiglio.
LISARDA Sarà un capriccio tuo.
BELISA Dicono che è fuggitivo:
lo devi fare marchiare.
LISARDA Marchiare, figlia, quel volto?
BELISA Che importa? Non è di schiavo?
LISARDA Mi dispiace per il viso:
certo non merita un marchio.
BELISA A te sembra tanto bello?
LISARDA (Molto l’anima si svela.)
Che cosa mi può sembrare
di uno schiavo?
BELISA Da’ il consenso
per marchiarlo.
LISARDA È inopportuno
per poi poterlo vendere,
come chi con i vessilli
fa gli arazzi.
BELISA Perderai
lo schiavo.
LISARDA Sarebbe peggio
che marchiarlo, come dici?
Per capriccio, bontà tua,
marchieresti un viso bello.
BELISA Se sfocia nel dispiacermi
in tutto quel che ti chiedo,
il fatto di detestarmi
per amare il tuo Juan,
presto gli occhi ti diranno
se come lui son nata.
Apri, Flora, questo letto.
Fa’ presto, chiama il barbiere:
mi salassi, oggi muoio.
Subito, il medico chiama!
Presto vedrai se termino
la vita che mi hai dato,
se è meglio perdere me
che marchiare il volto a Pedro.
Se ne va Belisa.
LISARDA Che sospetto cambiamento!
Colei che solo un grido
chiamava delitto atroce
ha raggiunto tanta audacia
che vuol marchiare lo schiavo
più bello che il mondo ha visto?
O l’indole le è cambiata,
oppure ha un altro interesse.
Che crudeltà! Che pazzia!
Esce Tiberio.
TIBERIO Benché questi svenimenti
non preannuncino morte,
fanno, Lisarda, pietà.
Mai ho visto Belisa
tanto smorta. Che succede?
LISARDA Una sciocchezza, che lascia
del suo umore perplessi.
Si è fissata di marchiare
Pedro.
TIBERIO Allora? È schiavo vostro.
LISARDA L’ho comprato appena adesso
e già devo dimostrare
tanta crudeltà con lui?
TIBERIO Sapevi già com’è fatta.
Ma dacché non c’è motivo
di essere così crudeli,
puoi simulare i marchi;
che con un chiodo dipinto
accontenti tutti e due,
e non ferisci nessuno.
Che non è una cosa bella
darle tanto dispiacere,
se è luce degli occhi tuoi.
LISARDA Si possono fare in modo
che sembrino proprio veri?
TIBERIO Con molta facilità.
LISARDA Che mi debba minacciare
per ogni inezia Belisa!
Dunque, tu ti occuperai
di fingere i marchi.
TIBERIO Certo,
perché non le venga in mente
a questa pazza un oltraggio.
Arriva. Pedro!
Esce Felisardo.
FELISARDO Signore!
TIBERIO Va bene la nuova casa?
FELISARDO Certamente, grazie a Dio.
Tutti mi vogliono bene.
TIBERIO Non c’è dubbio, per Lisarda,
ma Belisa non direi,
ha ordinato di marchiarti,
e per lei lo farò,
benché mi dispiaccia molto.
FELISARDO Marchiarmi? Giuro su Dio,
che se qualcuno ci prova,
nonostante la lealtà,
dovrò togliergli la vita!
TIBERIO Lo stesso ordina alla schiava.
FELISARDO Qui finisce l’invenzione.
Io sono l’omicida
del cavaliere navarro!
Venite, sto qui nascosto.
TIBERIO Che dici?
FELISARDO Che sono l’uomo
che, sfoderata la spada,
uccise quel cavaliere.
TIBERIO (Lo fa impazzire il dolore
di marchiarlo.) Non ti marchio.
FELISARDO Fermi, che subito andrò
dove rischierò la vita.
TIBERIO Per accontentare lei
e impedire tanto orrore,
la lettera sarà finta:
voglio dipingere a entrambi
i chiodi con una tinta
che si tolga.
FELISARDO Raffigura
ciò che si può cancellare
e chiamami schiavo tuo.
TIBERIO Aspettami, Pedro, qui.
Se ne vada Tiberio ed esce Celia.
CELIA È andato Tiberio?
FELISARDO Sì.
CELIA Che vuole Lisarda?
FELISARDO Fuggo,
da lei, per darti gusto.
CELIA E Belisa?
FELISARDO Una cosa
nuova e molto complicata.
CELIA Dimmela subito.
FELISARDO Aspetta.
La sfortuna che ci segue
ci conferma come schiavi.
CELIA Come?
FELISARDO Ci marchiano oggi.
CELIA E cosa spiegherà mai
questa follia?
FELISARDO A Belisa
è nato questo capriccio.
CELIA Rivela a tutti chi siamo.
FELISARDO Non ce ne sarà bisogno,
perché con ferri dipinti
entrambi ci marchieranno.
Ed utili ci saranno
per restare sconosciuti,
che Eliso mi ha appena detto
che ci verranno a cercare.
CELIA Se non erro con il ferro,
li faccia davvero a me
chi porrebbe ferri a un volto
che già li tiene nell’anima,
di cui il viso sarà
la stampa.
Escono don Juan e Carrillo.
JUAN (Ma questi schiavi
non si separano mai!
CARRILLO Sono come una vocale
con l’accento.
JUAN È un gentiluomo.
CARRILLO E intelligente.
JUAN Anche questo?
CARRILLO Ti piacerebbe parlarci.
JUAN Sì, ma non mi può piacere
vederlo parlare a Zara,
se è bello ed intelligente.)
FELISARDO Giacché nessuno ci vede,
tu mi puoi abbracciare.
Si abbracciano.
CELIA Sempre i desideri miei
prevedi.
JUAN Che cosa fanno?
CARRILLO Si stanno abbracciando, credo,
se lo dico in castigliano.
JUAN Perché l’abbracci, villano?
CELIA Don Juan ci ha visti?
FELISARDO Sì!
JUAN Cane, in una casa illustre
fai questo?
FELISARDO Se tu pensi
che lo faccia per amore,
il tuo amore si sbaglia;
che perché mi ha appena detto
di volersi battezzare,
quello che devo a un cristiano
ho fatto nell’abbracciarla.
Se il cielo potesse scendere,
penso che l’abbraccerebbe,
e quel che farebbe il cielo
non è colpa sulla terra.
JUAN Vattene alle scuderie,
cane.
FELISARDO Perdona, signore,
sbaglio ad essere cristiano?
CARRILLO (È audace con le parole.)
Senti, Pedro!
FELISARDO Cosa vuoi?
CARRILLO Essere cristiani è giusto,
ma è molta cristianità
abbracciare le ragazze.
Vattene, e sappi che qui
non si abbracciano le schiave.
FELISARDO Ed è normale che il servo
ci provi insieme al padrone?
CARRILLO Sì.
FELISARDO Sì? Allora aspetta un po’.
CARRILLO Cosa farà questo cane?
Se ne va Felisardo.
JUAN Sappi, Zara, che è sbagliato
farmi impazzire di sdegno.
CELIA Posso amarti, se non sono
cristiana?
JUAN Dammi la fede
avendola.
CELIA Lo farò,
ma non con disonestà.
JUAN Cosa farai per me?
CELIA La moglie.
JUAN Sarebbe un’onta
per un nobile.
CELIA E per me
non è un’onta se mi arrendo?
JUAN Sei una schiava.
CELIA Ad Algeri
lo saresti pure tu.
JUAN Sono schiavo tuo.
CELIA Se,
come dici, tu lo fossi,
non avresti libertà
di privarmi dell’onore.
JUAN Ma mi obbliga l’amore.
CELIA A me, il sangue e la lealtà,
che là sono più onorata
che tu qui.
JUAN Fermati, aspetta.
CELIA Il vincermi è una chimera
a meno che non mi sposi.
Se ne vada Celia.
CARRILLO Chiuso.
JUAN Penso che se nella
sua terra è aristocratica,
in ciò che dice non sbaglia:
là fu ciò che sono qui.
Esce Lisarda.
CARRILLO Tua madre.
LISARDA (Benché finta,
è una cosa dolorosa
doverli fare marchiare.)
Sei Juan?
JUAN Al tuo servizio.
LISARDA Oggi che cosa hai fatto?
JUAN Son stato al Prado.
LISARDA Tu qui?
CARRILLO Ti faccio molta paura.
LISARDA Non fanno paura i pazzi?
JUAN Lascia perdere il “carretto”,
che devo parlarti.
LISARDA Dimmi.
CARRILLO (Nelle tue mani sono
un vero e proprio “carretto”.)
JUAN Questo schiavo che tieni in casa tua
è più amante che schiavo. Ed è un difetto
più del bere, che amore è più furente;
più del rubare, che l’amore ruba
anime, rubando lavoro al cielo;
più del fuggire, che potrebbe farlo
e perdersi il valore, e amore aspetta,
aspetta finché perde onore e vita
dopo che è perduta la libertà.
E così che tu lo venda sostengo,
che, infine, è troppo per essere schiavo.
LISARDA Che lo venda, don Juan?
JUAN Che tu lo faccia
subito, e visto che te lo consiglio,
non chiedere altro: rendilo a Eliso
e digli che vuoi solo la schiava,
se non vuoi venderlo a qualcun altro.
LISARDA Bene, dunque se è giusto che lo venda
o lo renda a Eliso, restino insieme
lo schiavo e la schiava, perché non voglio
tenere una schiava che è uno splendore.
Che l’amore è più furente del vino,
peggiore del furto, che anime ruba,
peggiore della fuga, perché aspetta
che si perdano vita, onore e beni.
JUAN La schiava non ti disturba, né oltraggia.
LISARDA E come mi può oltraggiare uno schiavo?
JUAN Abbracciando la schiava, per lo meno.
LISARDA L’hai visto tu?
JUAN Li ho visti abbracciarsi,
e Carrillo pure.
LISARDA Che testimone!
CARRILLO Vidi le braccia intrecciate e incrociate
come spadini sulle schiene tanto
che solo è mancato, come i fiamminghi,
dirsi: “froleche, froleche” nel tocco.
Quanto la pace di Francia importante,
come usano talvolta le colombe
inserire i becchi l’uno nell’altro
e dirsi galanterie nel collo.
LISARDA Sarà gelosia, don Juan. Non hai
donne, fuori di qui, libere e belle?
Lascia questa mora, che mora è;
non tentare di sedurla, che è colpa
che ci può costare i beni e l’onore;
che l’affronto di Pedro si castiga
con un rimprovero, e impedendo che
salga o passi per questi corridoi.
Se ne va.
JUAN Se ne è andata?
CARRILLO Con le scarpine e i piedi.
JUAN Che gioie mi dà mia madre!
CARRILLO Taci,
che in questo sei terribile anche tu.
Perché vuoi che venda Pedro, un uomo
intelligente, saggio e gentiluomo?
Esca marchiata sul volto Celia.
CELIA Mi appello per la ferocia
al supremo autor del cielo,
perché non c’è sulla terra
né rimedio né pietà.
JUAN Che crudeltà! Cos’è questo?
Per Dio, che ha sospettato
mia madre che amo Zara,
e l’ha marchiata sul volto
perché io detestassi
quello che amavo di lei.
È vero?
CELIA Sì che lo è.
JUAN Guardala bene.
CARRILLO Ne dubiti?
Perché ti alteri e ti turbi?
Suo è il danno che vedi;
che tu, per stare più calmo
e sicuro del tuo amore,
preferiresti piuttosto
sfigurare il suo volto,
invece di porre a rischio
la tua reputazione.
JUAN Lascia, Carrillo, che guardi
le guance le cui rose
macchiarono le severe
mani, che posso ben dirlo
tagli un feroce coltello
o leghi un moro ad Algeri.
Cielo rosato che adoro,
che comete nere sono
che sconsideratamente
eclissano i raggi d’oro?
Codeste rose incarnate
hanno dato un nero frutto,
che è guardare il sole a lutto
vederle in nero eclissate.
Ma, dacché sono bagnate
di tenebre, cessi il giorno
che dal suo oriente nasce;
venga la notte e la morte,
e un destino quella luce
finisca e la vita mia.
Chi su carta così bianca
ha scritto lettere tali
non poteva immaginare
che in essa devo riporre
l’anima, perché ne esca
quel marchio stampato in essa.
Vieni, non preoccuparti,
imprimi in me questo marchio.
CELIA Come osi avvicinarti?
JUAN L’amore mi dà il permesso
CELIA A me no la crudeltà
di tua madre.
JUAN È sicuro,
tu mi metti in condizione
di fare una sventatezza.
Aspettate, rose pure,
farò in modo che l’oltraggio
della bellezza colpisca
chi vi opacizza e sfiorisce,
e sarà sentenza scritta
per chi vi pretende morte.
Andiamo, Carrillo.
CARRILLO Dove?
JUAN Devo sposarla, perché
se prima era così bella,
lo è più ora che è marchiata.
CARRILLO Non puoi, non è cristiana.
JUAN Farò soffrire Lisarda.
CARRILLO L’oltraggio non ti spaventa?
JUAN Un pazzo non è codardo.
CARRILLO Ascolta, pensaci, aspetta.
JUAN Non aspetta amore irato!
Se ne vanno. Celia sola.
CELIA Don Juan ha creduto che
i marchi siano veri,
e sono false chimere
nate dalla gelosia.
Felisardo è così bello,
che affascina in ogni veste:
Belisa, Lisarda e Flora
lo amano tutte in tal modo!
Chi da un capriccio credeva
nascesse novità tale?
Esce Felisardo marchiato sul volto.
FELISARDO Tu sei qui?
CELIA Sì, non vedi?
Come qua sei salito?
FELISARDO L’amore mi dà il permesso:
mi ha messo ai piedi le ali.
Come ti donano i marchi!
CELIA Sono in nome tuo, amore,
anche se don Juan ha fatto
un eccesso nel vedermi.
FELISARDO Come?
CELIA Il suo sentimento
tanto è cresciuto oramai
che se stesso ucciderà,
o ucciderà sua madre.
FELISARDO Povero me, che pasticcio
ha combinato l’amore!
Ma noi ne usciremo,
che l’essere in salvo qui
mi costringe a sopportare
l’oltraggio del tuo volto.
CELIA Perché, tesoro, se amore
mi ha dato firma e livrea?
Oggi son tua, e lo sanno
tutti e cinque i sensi miei:
si rallegrano le orecchie,
e anche la bocca e le mani.
Perché né esilio né oblio
ti neghino la vittoria,
dalla roccaforte gli occhi
i marchi stanno osservando.
E tu che senti dei tuoi?
FELISARDO Mi vergogno se non sono
come vorrebbero i tuoi,
essendo la loro impronta.
Anche i miei occhi vedono
e la mia bocca loda
i marchi, e una lite atroce
si è scatenata fra loro:
che dei chiodi, essendo tuoi,
si vantano tanto gli occhi,
che sentendosi onorati
vorrebbero farli propri.
La bocca dice che stanno
più vicino e che son suoi,
ma nella dolce questione
gli stessi marchi potranno
porre pace se li uniamo.
Abbracciami e me ne andrò.
CELIA Vieni amore, l’alma teme.
Si abbracciano. Esce Belisa, e Flora.
BELISA Arriviamo proprio in tempo!
Cane, ma non ti hanno detto
di non fare un solo passo
sulla scala?
FELISARDO Non l’ho fatto
senza ragione: richiedo
ciò che per me è necessario,
e che qui riceverò.
BELISA È necessario abbracciarsi?
FELISARDO Siamo già marito e moglie.
BELISA Da quando?
FELISARDO Da quando entrambi
siamo stati sfigurati.
I marchi abbiamo congiunto
per restare sempre insieme.
BELISA Dunque può un uomo cristiano
sposarsi con una mora?
FELISARDO Già è cristiana, solo manca
la vostra autorizzazione.
Battesimo e matrimonio
potete fare in un giorno.
BELISA Tu lo vuoi?
CELIA Lo vorrei,
gli illustri natali miei
si coronano con Pedro,
perché da parte di padre
è cavaliere, e di madre,
benché sia mora, pure.
BELISA Mettiti, infame, lì dentro;
tu, cane, scendi di là.
CELIA Perché ti arrabbi così?
BELISA Entra, barbara.
CELIA Sto entrando.
Se ne va Celia.
BELISA E tu, cosa aspetti qui?
FELISARDO Che tu temperi il rigore.
BELISA L’amore potrebbe farlo,
se tu ne fossi capace.
Vieni qua, Pedro.
FELISARDO Signora?
BELISA Ti è dispiaciuto marchiarti?
FELISARDO Essendo il volto la parte
che di più il rispetto onora,
che più venera la vista,
sa Dio se mi dispiace,
e più sapendo che è stato
per colpa di chi onorarmi
potrebbe.
BELISA Io?
FELISARDO Chi altro?
BELISA Don Juan.
FELISARDO È per gelosia.
BELISA Il dolore è già passato?
FELISARDO Voglia Dio che finisca
anche quello dell’oltraggio!
FLORA Ferma, ti stai perdendo.
BELISA Flora, l’anima mi incanta
la bellezza di quel volto.
FLORA Ora bello?
BELISA Sono i marchi
nèi che fanno più bello
quello che imbruttisce i volti
degli schiavi meno belli.
Che castigassero i cieli
così i miei capricci!
Lo schiavo mi fa morire,
la schiava mi ingelosisce!
Flora, che brutto consiglio
mi desti! Essendo marchiato,
al bene ho chiuso la porta.
FLORA Per questo l’ho consigliato,
avresti potuto fare
un oltraggio al tuo onore.
BELISA L’amore farà qualcosa
per calmare l’ansia atroce.
Come toccherò una mano
dello schiavo?
FLORA Che bellezza!
Eri tu la capricciosa?
BELISA I capricci sono vani
quando arriva amore a forza.
Flora, inventati qualcosa,
non perdiamo l’occasione.
FLORA Un folle ardire ti spinge!
Fingi di svenire, in braccio
ti farò portar di là.
BELISA Sarà una grande invenzione.
Gesù! Gesù!
FLORA Che succede?
BELISA Una zanzara mi ha punto
un dito, e come se fosse
un fulmine svengo e muoio.
FELISARDO Per una zanzara?
FLORA (Bello
quest’imbroglio!) Non sapevi
dei suoi capricci? È morta.
FELISARDO Morta?
FLORA Sta’ sicuro che
non torna in sé per tre giorni.
Prendila in braccio, che io
non la potrò sollevare.
FELISARDO La devo portare in braccio
proprio io?
FLORA E perché no?
FELISARDO Vado, farò ciò che dici.
FLORA Vedrò se viene qualcuno.
Vase Flora.
FELISARDO È un brutto svenimento.
Dunque, sarò una barella
e porterò questa morta.
Mentre la tiene in braccio esce Celia.
CELIA Dove vai in questa maniera?
FELISARDO Quest’immagine di morte,
priva di vita e respiro,
vado a mettere sul letto,
che Flora me l’ha ordinato
perché ha perso i sensi qui,
e, di fatto, mi è padrona.
CELIA E senz’altro perché ormai
tu le devi voler bene.
FELISARDO Per l’amor del cielo, Celia!
Ma non vedi come sta?
CELIA Ah, Felisardo crudele!
Tu di me così geloso,
ed io a te, ingrato,
estremamente fedele.
Io sì che giustamente
sono gelosa, perché
mi offendi.
FELISARDO Sto, Celia mia,
secondo il travestimento,
facendo il mio dovere:
non ti sto offendendo in altro.
Questa sciocca capricciosa
ha detto in questa occasione
che per colpa di un insetto
è sul punto di morire.
Mi hanno detto di portarla.
CELIA Non ti permetto nemmeno
di toccarla.
FELISARDO In questo stato,
devo abbandonarla qui?
CELIA Per farmi contenta, sì,
ma non se scontenti te.
Dovevo vederti un’altra
donna fra le braccia?
FELISARDO È morta.
CELIA Morta?
FELISARDO Non è una certezza?
CELIA Allora tienila e falla
a pezzi.
FELISARDO Farei bene,
perché tanto mi detesta
quanto mi adora e mi apprezza
sua madre, che, volendo,
i suoi possedimenti
mi darebbe da gestire,
ed aspetto di ingannarla.
CELIA Male vedo il nostro bene.
Ferrati, soltanto errati
i nostri passi saranno?
Che fine il tempo darà
a eventi tanto infelici?
FELISARDO Ora ti metti a pensarci?
Non vedi che sono stanco?
CELIA Lasciala, e vieni in silenzio
a trattare il nostro caso
in camera mia, che
non chiederanno di te.
FELISARDO Basta, la lascerò qui.
CELIA Andiamo.
FELISARDO È priva di sensi.
[Entra Flora.]
FLORA Fra dolori e gelosie,
alla fine ho fatto in modo
che riesca a mettere fine
a tanti capricci il cielo.
Chi ogni uomo guardasse
capricciosa disprezzava,
con lo schiavo ha vendicato
chi aveva offeso, e ignorando
la bassezza dello schiavo
vuole toccargli la mano.
Si alza Belisa.
BELISA Che cosa mormori invano,
se conosci la potenza
dell’amore impetuoso?
FLORA Gesù, signora! Tu qui?
BELISA Dammi la mano e saprai
il perché.
FLORA Strano rigore!
Ti ho lasciata in braccio a lui,
e non ti ha portato via?
BELISA Ahi, Flora, quelle braccia
non sono fatte per me!
Quando te ne sei andata,
ed io giuntagli al petto
restavo in adorazione,
dando sfogo ai desideri,
ora toccando la mano,
ora col viso sul collo,
come se lo svenimento
fosse padrone di questo,
entrò Zara, e nel guardarlo
fece da freno geloso,
arrestò la nave mia,
che teneva il vento in poppa.
Stavo fra le sue braccia
col corpo, ma i piedi a terra;
e, sebbene mi pesasse
vederli entrambi gelosi,
gradivo l’offesa mia;
e per restargli sul petto
pregavo Dio di fare
durare quel dispiacere.
Chi vide o sentì d’amore
tale intrigo e labirinto
come me, che, da svenuta
per finta, ho udito la stessa
gelosia che originavo
in chi la provò davvero,
e ha svelato chiaramente
i più curiosi segreti
che storie e favole hanno?
FLORA Ah, signora! Che hanno detto?
BELISA Lo chiamava Felisardo,
e non Pedro, mentre lui
Celia la chiamava.
FLORA Come?
BELISA Celia, e non Zara.
FLORA Gesù!
BELISA Dunque, dai loro racconti,
dai lamenti e le paure,
ho capito, se non sbaglio,
che questi non sono schiavi.
FLORA Per forza stai sbagliando.
BELISA Mi sbaglio, Flora?
FLORA Altrimenti,
come avrebbero permesso
o retto la marchiatura?
Ma ho visto l’altro giorno,
nell’entrare nella stanza
di Pedro, un manto di tela;
però mi ingannò, dicendo
che uno schiavo l’ha rubato
e poi nascosto lì.
BELISA Di tela?
FLORA E di qualità.
BELISA E se questo è un cavaliere,
che per disgrazia è finito
in una triste vicenda?
FLORA Se non fosse per i marchi,
dubbi non avrei.
BELISA Cosa
faremo?
FLORA Dissimulare.
BELISA Sì, ma fuggiranno ed io
sarò perduta, e di più
se è Felisardo e non Pedro.
FLORA Per evitare che fugga:
male posso consigliarti.
BELISA So già come fare.
FLORA Come?
BELISA Presto, chiamami Carrillo.
Esce Carrillo.
FLORA Non serve, sta già arrivando.
BELISA (Amor lo porta per me).
CARRILLO Dove arriverà la furia
dell’amore? Bravi sono
don Juan ad assoggettarsi
e Lisarda ad insultare!
La madre piange e promette
di sposarsi per castigo,
lui, la schiava, per farla
soffrire.
FLORA Che c’è, ruffiano?
CARRILLO Oh, segretaria crudele
della ninfa capricciosa!
Quella che si glassa e loda,
che vedendo sulla carta
un san Giorgio disegnato,
si spaventò della serpe
FLORA Guarda che sta qui!
BELISA Se io,
Carrillo, avessi mostrato
un capriccio nel vederti,
che serpe più spaventosa?
CARRILLO Perdona, non è una cosa
che rivela in me malizia,
provami al tuo servizio
per vedere quanto valgo.
BELISA Fammi un piacere.
CARRILLO Comanda.
BELISA Ho visto, Carrillo, indizi
che Pedro vuole fuggire.
In più, è tanto sfacciato
che è arrivato a entrare in camera
di Zara, e non va permesso.
Va’ da un fabbro, e fatti fare
un collare ed un bastone.
CARRILLO Non te ne preoccupare,
signora, che proprio ieri
un consigliere vicino
ad uno schiavo lo ha tolto;
andrò a chiederglielo io.
BELISA Mettiglielo di sorpresa,
con l’aiuto di altri servi
della casa.
CARRILLO Porterò
un valoroso lacchè
con i baffi impomatati,
uomo di più libertà
che un cocchiere.
Se ne va.
BELISA Sii veloce,
che in questo modo vivrò
con maggiore sicurezza
mentre cerco di scoprire
se è Pedro o è Felisardo.
FLORA Chissà come andrà a finire.
BELISA Per forza una fine avrà.
Escono Lisarda e don Juan e Tiberio.
LISARDA A me parli così? Per la memoria
di vostro padre, presto capirete
come mi vendicherò su di voi.
TIBERIO Calma, sorella, è giovane don Juan,
infondo, è tuo figlio.
LISARDA Non lo è.
BELISA Che succede, don Juan?
JUAN Le tue chimere,
che nostra madre dà la colpa a te.
Chi avrebbe marchiato una bella schiava?
Crudeli si fanno i tuoi capricci.
BELISA A te cosa importa?
JUAN Mi importa molto,
che è mia moglie.
LISARDA Oh infame! Dalla bocca
ti esce tale oltraggio del tuo sangue?
TIBERIO Lo dice per rabbia, che non è uomo
don Juan da oltraggiare il nostro lignaggio.
JUAN Parlo sul serio, zio.
TIBERIO Zitto, pazzo.
LISARDA Fermi tutti: se don Juan è deciso
a volersi sposare con la schiava,
io voglio sposarmi con lo schiavo.
La metà dei beni è mia.
TIBERIO Va bene,
sei pazza anche tu. Ti meravigli
se Juan ti assomiglia?
LISARDA Non c’è buon senso
con i figli insolenti, spudorati
e ribelli. Oggi faremo i conti:
non pensi quel villano che gli tocchi
la legittima intera, che in un anno
mi ha speso in debiti, lussi e piaceri
disonesti, cinquemila ducati,
cinque? perfino più di settemila.
JUAN Se pensavi di sposarti e volevi
abbandonarci, senza intrighi puoi
sposarti con chi già hai progettato,
che mia sorella ed io vivremo
insieme più onorati che con te.
TIBERIO Vattene, che sei uno svergognato.
Questo è il modo di trattare una madre?
JUAN Vi stimo come si rispetta un padre.
Esce Felisardo.
FELISARDO Questo si può sopportare?
È forse giusto?
TIBERIO Che cosa?
FELISARDO Non basta avermi marchiato
senza tentare la fuga,
addirittura ordinate
il collare e le catene?
LISARDA Non l’ho ordinato.
BELISA Io sì.
FELISARDO Ma di che cosa mi accusi?
BELISA Madre, se ne vuole andare;
me l’ha detto Zara.
LISARDA Cane!
Pronti! Catene e collare!
Esce Carrillo, e quattro servi.
CARRILLO I ferri sono già pronti
e la gente valorosa.
LISARDA Metteteli al fuggitivo.
SERVO Su, Sancho! Con molta forza,
dicono che è vigoroso.
LISARDA Incatenatelo, e andiamo.
FELISARDO Che tremenda confusione!
TIBERIO Non ne vedo la ragione.
BELISA Io la vedo benissimo.
Se ne vanno e restino con Felisardo i servi.
FELISARDO Forza, cani!
CARRILLO Allora, pensi
di difenderti?
FELISARDO L’ingiuria
il mio valore non soffre,
ma che siate gente vile.
Lo spingono a schiaffi y lo legano, e alla fine a terra gli mettono il collare.
FELISARDO Troppi, alla fine ho ceduto.
SERVO 2 Arrenditi, Maometto!
FELISARDO (Cielo, chi mi adora prende
su di me questa vendetta?)
SERVO 3 Su, cagnaccio, sta’ tranquillo!
SERVO 4 Martella bene.
CARRILLO È ben messo,
e non se lo toglierà
facilmente.
FELISARDO Adesso posso
dire che è arrivato il male
all’estremo che poteva.
SERVO Già sa che è venuto il giorno
di essere franco e sincero.
CARRILLO Entrate in questa taverna.
Delle olive porterò,
non finiremo a digiuno.
SERVO 2 Io servirò da lume.
Se ne vanno e resta solo Felisardo con il collare chiuso.
FELISARDO Crudele amor, atroci vessazioni
dopo tanto scompiglio e tanta pena?
A che serve alla gola la catena
di chi mai rifuggì le prigioni?
Ferro, per premio, dai alle passioni?
Empio padrone, l’eccesso mi aliena
la punizione supera la pena,
e quando servo bene, mi imprigioni.
Che alloro, amore! Bella preda afferri!
In un soggetto fermo al mutamento,
rancore, lacrime, collare e ferri.
Penso che mi sarà da ammonimento
che, avvicinando ai miei occhi i ferri,
del motivo non giunga al pentimento.
ATTO TERZO DE I CAPRICCI DI BELISA
Escono Eliso e Lisarda.
LISARDA La rabbia, Eliso, reprimi.
ELISO In che guerra lo vincesti,
Lisarda, che lo trattasti
come un barbaro bottino?
Il collare ad uno schiavo
onorato, e appena tuo?
Che gli farai fra un mese?
LISARDA Questa folle idea è nata
a mia figlia la pazza,
per paura che fuggisse.
ELISO Ma puoi rimproverarla.
Dio, Lisarda, ha trovato
un bel padrone lo schiavo
dal benessere che aveva!
Un giorno tu scoprirai
chi è.
LISARDA Ne lodo le doti
e do la colpa a Belisa.
ELISO Che sfizio è marchiare un uomo
che se ne sapessi il nome,
benché l’aspetto ti avvisi,
ti muoveresti a pietà?
Ora va’ a rimproverarla.
LISARDA Lo terrò in palmo di mano.
ELISO Trattate bene chi tanto
lo merita e forse un giorno…
LISARDA Allora, dimmi chi è?
ELISO So che fra poco saprai
che cosa soffre chi ama.
LISARDA Mi metti in gran confusione.
ELISO Non devi chiedermi altro.
Presto, Lisarda, saprai
importanti cambiamenti
LISARDA Amore! Se fosse vero
il sospetto che ho avuto,
oggi a questo finto schiavo
dichiaro la volontà.
Se ne va Lisarda, ed esce Carrillo, lacchè.
CARRILLO Non so chi può sopportare
donna così fastidiosa.
ELISO Che succede?
CARRILLO Poco o niente.
Niente si può definire
quello che è soltanto vento:
i capricci vento sono...
ELISO Non per la passione mia,
anche se il vento è elemento
che in fuoco suole mutarsi,
di tal vento è il mio fuoco.
CARRILLO Mi dispiace, sei cieco.
ELISO Premesso che gelerebbe
nei capricci quest’amore,
come gelo di quel fuoco
tutto divampo e ne soffro.
CARRILLO Se non andassi, signore,
tanto in fretta per Tiberio,
belle cose ti direi.
ELISO Sono di Belisa?
CARRILLO Sappi
che alla fanciulla Belisa,
quella che una caramella
spezza in due per mangiarla,
alla quale vidi fare,
per aver visto una rana,
due salassi in un’ora,
sono presi svenimenti
che, come il sole dai raggi,
mostrano che ama lo schiavo.
E standosene svenuta,
devono chiamarlo o muore.
E tutto para nel fatto
che la bambina glassata
prende la mano allo schiavo,
e dice che il cuore sente
sollievo grazie alle unghie.
ELISO Molto lodo la virtù
di Pedro, che è medicina
di Belisa, se non è
che ad amare si dispone
quello che non può volere.
CARRILLO Perché no? È un uomo?
ELISO Sì,
in fondo uno schiavo è un uomo.
CARRILLO Beh, se non lo intralcia il nome,
sta certo di quel che dico
che ho osservato che la adora,
anche se si finge stanco
di essere sempre occupato
a curare la signora.
Ma è uomo ed è amato,
lei bella, lui giovane.
Non mangiare questo cibo
tanto da bestia sarebbe,
che l’unghia le avrebbe dato
un maggiore giovamento.
Non vedi che cambiamento
in chi la fenice rara
scambiava per una gazza,
e il più bello per villano?
ELISO Castigo del cielo è.
CARRILLO Dice bene chi sostiene
che non c’è scelta peggiore
di quella delle bizzose!
Desideri qualcos’altro?
ELISO Addio.
CARRILLO Addio.
Se ne va.
ELISO Non posso
credere che mi tradisca
un amico che stimavo!
Lo merito, Felisardo?
Mi tradisci in questo modo?
Possibile che, scordata
Celia, tu voglia Belisa?
Esce don Juan.
JUAN È rimasto qui?
ELISO Tu sei
nobile, amico, onorato?
JUAN Eliso mio!
ELISO Don Juan!
JUAN Che schiava è questa che qui
mandasti?
ELISO (Bene!)
JUAN (Ahimé!)
ELISO (Sembrano tutti d’accordo
per rovinarmi l’onore.)
A te piace?
JUAN E così tanto
che mi spavento che viva
un uomo dopo che è morto.
Me la potresti lasciare?
Me la venderesti?
ELISO (Certa
e veloce la vendetta
sarà per questo cammino)
La ami?
JUAN Mai nella vita
mi ero visto in questo triste
stato; tanto che ho pensato,
se dimentico chi sono,
vedendola riluttante
a cedere, di sposarla;
e non appena sarà
consorte, darmi la morte,
o fuggire dove mai
sarò visto da nessuno.
ELISO Giacché a servirla ti spinge
amore, e pazzo ti rende,
solo posso dirti che
è donna tanto importante
che non le nascesti al pari.
JUAN Non è turca?
ELISO Adesso dirti
chi è lei proprio non posso.
Basti dirti che indovini
se combini il matrimonio.
JUAN Posso sposarmi con lei?
ELISO Me ne vado per non dirti
chi sia.
JUAN Aspetta.
ELISO Non posso,
ho paura di dir troppo,
te ne parlerò più tardi.
Se ne va Eliso.
JUAN Non invano ti adoravo,
– bene dell’anima mia! –,
perché l’anima avvertiva
ciò che io non sapevo.
Che bellezza! Che fortuna!
Esce Lisarda.
LISARDA Che bellezza? E che fortuna?
JUAN Perché il cielo mi darà
una speranza sicura,
di esser stato Pigmalione,
perché è diventata donna
quella che ieri era pietra
per la fama e per l’onore.
Madre, sono già sposato,
non chiedetemi con chi,
che so che vi piacerà,
se Eliso non mi ha ingannato.
Preparate, madre mia,
casa e gioielli a una nuora,
che se il sole avesse figli,
si vanterebbe di lei.
Riposerete, signora,
dell’ansia del mio stato,
il cielo moglie mi ha dato.
Non domandatemi adesso
chi, né per chi, né perché:
il chi, è il bene che ho veduto;
il per chi, sarà per me;
il perché, perché l’ho amata.
E sarà in questa maniera
come e quando finirà:
come, come sa l’amore,
quando, quando Dio vuole.
Se ne va.
LISARDA Che enigmi, che assurdità
son questi? Che folle errore
dei consigli dell’amore?
Però tutte sono strade
per venire a conoscenza
che son falsi questi schiavi.
Oh pensieri temerari,
prendiamo una decisione.
Questo schiavo è un cavaliere:
se l’adoro, cosa aspetto?
Esce Belisa, furiosa, e Celia e Flora tenendola.
BELISA Chiamate quel cane moro
dal quale aspetto rimedio.
Presto, presto, che mi opprime
il cuore violentemente.
LISARDA Che succede?
CELIA La passione
che la schiaccia, e la costringe
ai mancamenti che vedi.
BELISA Chiamate Pedro, nemiche.
LISARDA Figlia, che cosa ti affanna?
Cos’è?
BELISA Non vede cos’è
questa forza del sentire,
questo forzato tacere?
CELIA A chiamare Pedro andrò.
BELISA Non tu; può chiamarlo Flora.
FLORA Allora vado.
Se ne va.
CELIA (Che piaccia
a Felisardo star qui!)
BELISA Madre, si affligga per me.
LISARDA Cosa c’è?
BELISA La morte aspetto.
LISARDA Cosa senti?
BELISA Un non so che
che mi colpisce nel cuore
con una certa passione
che si sente e non si vede.
Ho nel cuore un insettino,
che mi scava e mi fa male,
come un granello di sale,
ma anche più piccolo credo.
Ho il cuore così bambino,
che piange per ogni cosa.
Madre bella, madre mia,
senta, guardi che la sgrido
perché non mi ha accontentato.
LISARDA Triste, che ti posso fare,
dato che il cuore si deve
con epittime curare?
Spendi i miei averi in giacinti,
in perle, oro e coralli.
BELISA Non vede che questi mali
sono di tipo diverso?
Madre, mi faccia una culla,
dove dondolare il cuore,
che dorma nella passione
che mi affligge e mi disturba.
Compri per me un pastorello
e le scarpette dorate,
mangi confetti dipinti.
LISARDA Vaneggi?
BELISA Parli pianino,
o penserà che è il babau.
CELIA Sarà quel cuore di prima
con le scarpe ed il pastore.
(Che capricci!)
Escono Flora e Felisardo.
FELISARDO Sto impazzendo.
FLORA Porta pazienza, che sei
medico della fanciulla.
FELISARDO Devo stare dietro a lei,
avendo tanto da fare?
Siamo messi proprio bene!
Chi i cavalli pulirà?
LISARDA Possiamo lasciarli soli.
CELIA (Per lo meno mi nascondo.)
LISARDA Siediti su questa sedia.
E tu, Pedro, va’ a parlarle.
FELISARDO Ma come posso curarla?
Mi sorprende il tuo inganno.
Sono forse la gran bestia?
Che la cura con le unghie?
LISARDA E per te questo è un disturbo?
FELISARDO Che bel medico vi danno:
la vostra salute è in mano
a chi accudisce i cavalli.
LISARDA Hai una grande virtù.
Ora potete lasciarli.
Flora, pensa alle faccende,
io parlerò a Tiberio.
Se ne vanno Lisarda e Flora, e si nasconda Celia.
CELIA (Cielo, sono qui nascosta,
fa’ che questo inganno intenda.)
FELISARDO Su, dato che sono qui,
che devo fare?
BELISA La mano.
FELISARDO (Ti capisco, amor tiranno;
ma cosa vuoi da me?
Adoro Celia, detesto
questo capriccio e mi arrabbio.)
Già la vostra mano ho preso.
BELISA (Aiuto, amore, non fiato.)
FELISARDO Mi vergogno che tocchiate
la mano tanto callosa,
che per strigliare i cavalli
è diventata così.
BELISA Mi dà benessere, Pedro.
FELISARDO Se benessere vi do,
come si spiega il collare?
A far del bene miglioro?
Perché così mi trattate,
se il vostro medico sono?
BELISA Perché se tu te ne vai,
senza di te morirò.
FELISARDO A quale schiavo innocente
marchi e collare hanno messo?
BELISA Gesù! Stringimi, su, presto,
e non chiedermi discolpa.
Qui, qui, che dolore forte!
FELISARDO Che succede vostra grazia?
BELISA Che grazia concederei
a chi neppure favori
chiede.
FELISARDO Cioè?
BELISA Non lo so.
Mi entrano delle cosine
dentro gli occhi, piccoline,
che appena il sole le vede;
entrano attraverso gli occhi,
e con dolce alterazione
vanno a pizzicare il cuore.
FELISARDO Che pena!
BELISA Per loro.
FELISARDO Provo
più pena per me, con questo
collare per colpa vostra.
BELISA Questo no deve inquietarti,
anch’io per te lo porto.
(Che ho detto? Che sto facendo?
Ero pazza, e sono sciocca.)
Che disgrazia! Sono morta!
Stringi questa mano, presto!
FELISARDO È svenuta. Ma è possibile?
Sarà stata la vergogna;
è facile da capire
che tipo di male abbia.
Povero me, che farò?
Che rimedio le darò?
Esce Celia.
CELIA Un rimedio le può dare
vostra grazia.
FELISARDO Io? Come?
CELIA Chi le ha concesso la mano,
cosa può negarle ormai?
FELISARDO Che sentimento insensato!
CELIA Insensato, ma non frivolo.
Felisardo! Cosa fai?
Non credere che starò
dove mi provocherai
senza regole e sfrenato.
Don Juan mi ama e farò in modo
che tu mi veda con lui.
FELISARDO In culpa morte darai
chi per la tua si vede
in tante persecuzioni.
Questa pazza capricciosa,
tesoro mio, è bramosa
che ne intenda i desideri.
E senz’altro perché sa
o sospetta quel che sono.
Mi costringono a star qui:
sono medico per forza.
Mi ha afferrato questa mano,
ed il diamante che vedi
mi ci ha messo. Non restare
arrabbiata con me invano,
che io te lo presento
come tributo che l’anima,
del suo vano squilibrio,
rende alla tua bellezza.
Prendi il diamante, tesoro,
e va’, che non torni in sé.
CELIA Devo andarmene? Nemmeno
per tutto l’oro del mondo!
Prenditi il tuo diamante.
FELISARDO Vorresti che uscissi io?
CELIA Sì, che se sviene d’amore,
troverà in te la pietra
e in me la disillusione.
FELISARDO Vado, che è legge per me
ciò che vuoi.
Se ne va Felisardo.
BELISA (Cosa sento?
Che aspetta il mio tranello?)
Fuori di qui! Sono morta!
CELIA Cosa succede, signora?
BELISA Nube della mia gioia
e del sole che ravviso!
Madre, madre! Flora! Gente
di casa! Su, forza, servi!
Esce Lisarda, Flora, Carrillo.
LISARDA Che succede? Tristi pene?
Un capriccio o un accidente?
BELISA Non è un capriccio.
LISARDA Cos’è?
BELISA Ora vedrete chi sono
gli schiavi, e se è giusto dare
loro il castigo che chiedo.
Conoscerete il diamante
che comprai per cento scudi.
CARRILLO Di’ di più, stiamo pendendo
dalle tue labbra, muti.
BELISA Ero qui svenuta, e Zara
mi si avvicina alla mano
e prende il mio diamante.
CARRILLO Oh, cagna simulatrice!
Mostra la mano.
LISARDA Tu, Zara,
ti metti a fare la ladra?
CELIA Signora…
CARRILLO Zitta, cagnaccia!
FLORA Ladra! Chi l’avrebbe detto?
LISARDA Che scusa puoi fornire?
BELISA Se non la dai a Carrillo,
se chiedi di perdonarla,
se non ordini torture,
dammi subito per morta.
LISARDA Carrillo.
CARRILLO Signora?
LISARDA A te
la do.
Se ne vanno Lisarda e Flora.
CARRILLO Lascia fare a me.
CELIA Signora…
BELISA Deve bruciare.
[Se ne va Belisa.]
CARRILLO Vostra grazia, come vede,
si trova in mio potere.
CELIA Allora, che vuoi fare?
CARRILLO Questo adesso lo vedrà.
Si spogli.
CELIA Ma sei in te?
CARRILLO Cagna, ringrazi che piacque
alla fortuna che un boia
nobile trovasse in me,
e sappia che ci saranno
frustate e grasso bollente.
CELIA Sei un uomo?
CARRILLO Sì, lo credo.
CELIA Sai che sono una donna?
CARRILLO Questo adesso lo vedremo.
Si spogli.
CELIA (È venuto il tempo
di parlare.) Felisardo!
CARRILLO Dà vano fiato alle trombe.
CELIA Felisardo, sposo mio!
CARRILLO Con Maometto sarà.
Basta.
Esce don Juan.
JUAN (Dovessi anche andare
a Roma, nel mio errore
insisterò. So chi è.)
CELIA Don Juan!
JUAN Che sta succedendo?
CARRILLO Quando saprai, vedrai
che ho motivo e permesso.
Il diamante che Belisa
dall’orafo comprò ieri
l’ha rubato questa cagna,
sì, quella dagli occhi onesti.
Mi hanno detto di frustarla,
io, come vedi…
Sguaini la spada.
JUAN Cane!
Ad un angelo?
CARRILLO Signore.
Se è un angelo, sta’ tranquillo,
perché se spiriti sono
come vedi, senza corpo,
non posso averla oltraggiata.
JUAN Villano, ti ucciderò!
CARRILLO Tiberio! Lisarda! Flora!
Belisa!
CELIA Basta, vi prego,
che era un ordine davvero.
JUAN Per voi, signora, smetto.
Che furia, che crudeltà,
che invidia è questa? Occhi belli,
vendicatevi sui miei,
colpitemi con la spada.
Eccola. Datemi mille
morti: le merito tutte.
CELIA Signore, fatemi spazio,
che ho paura di Lisarda.
Lasciate stare, signore;
se vi trovano con me
soli, senza testimoni,
ci saranno nuove prove.
Fatemi andare in cucina,
cedete.
JUAN Aspetta.
CELIA Non posso.
Se ne va Celia.
JUAN Che crudeltà! Mi sorprendo
che mi sfuggiate, se giungo
mentre un infame lacchè,
obbedendo ad un comando
di una donna, che mi è madre,
tenta un tale sacrilegio
contro un’immagine fatta
così perfetta dal cielo?
Giacché sarà mia moglie,
vi disinganno, e così
presto da meravigliarvi
e non trovare rimedio.
Esce Tiberio, e Lisarda.
TIBERIO Don Juan, che stai dicendo?
JUAN Ascoltate ciò che dico,
visto che siete coloro
a cui devo rispetto.
Qua avete lasciato un uomo,
che, se non fuggiva, avrebbe
pagato il prezzo opportuno
per la folle sfrontatezza,
affinché frustasse Zara.
Ma sappiate che non voglio
che nessuno metta mano
su mia moglie.
LISARDA Che cosa?
JUAN È mia moglie.
TIBERIO Sarebbe
meglio portarti, don Juan,
all’istante al manicomio.
JUAN Non sono pazzo, Tiberio.
TIBERIO E può parlare così
un uomo saggio e sensato?
Pazzo, villano, insolente,
stavo per prenderti…
JUAN Calmo!
TIBERIO …a schiaffi, per colorarti
di vergogna il volto, visto
che da te non arrossisci .
JUAN Parla con rispetto, che
se non fossi mio zio…
Se ne va don Juan.
TIBERIO A me?
LISARDA Lascialo, ti prego,
perché se vuole sposarsi
con la schiava, voglio anch’io
sposarmi con uno schiavo.
TIBERIO Cosa vuoi?
LISARDA Vendicarmi.
Tutti i beni voglio dargli.
Oggi Pedro sposerò,
perché non sopporto più
la sfrontatezza di Juan
e i capricci di Belisa.
TIBERIO Sei sciocca quanto loro.
Ma voglio dirti un rimedio
che funzioni con entrambi
per calmarne la pazzia
e metter loro paura.
LISARDA Come?
TIBERIO Lisarda, a Madrid
vive un certo cavaliere
che si chiama Felisardo,
che sembra in ogni dettaglio
questo Pedro, schiavo tuo,
che, se messi accanto, credo
che chi meglio li conosce
non li riconoscerebbe,
avendo un vestito uguale.
Dato che i marchi di Pedro
sono falsi, ed il collare
si può mettere e levare,
fallo vestire elegante
in segreto in casa tua
e di’ che viene a vederti,
con me, che me ne interesso.
E fingendo la scrittura
del matrimonio trattato,
spaventandoli e frenando
i desideri dell’uno
ed i capricci dell’altra.
LISARDA Buono mi sembra il consiglio,
ma potranno ravvisare
che è Pedro.
TIBERIO Persino meglio,
perché penseranno pure
che con inganno segreto
dai a uno schiavo gli averi.
LISARDA Sì, ma prima è necessario
istruire Pedro in tutto.
TIBERIO Vado a parlargli.
LISARDA Va’ pure.
Oh, cielo, senza sapere
come, ho trovato rimedio.
Sospetto che questo schiavo
sia proprio il cavaliere.
Mi dispongo a nozze finte
con questo raggiro, mentre
io davvero mi sposo,
perché, se all’anima credo,
chi non dubita che Pedro
sia questo Felisardo?
Se ne vanno ed escono Belisa e Flora.
BELISA Porta qui delle candele.
FLORA Le ho preparate, signora.
BELISA Porta uno scrittoio, Flora.
FLORA Vuoi scrivere?
BELISA Sì e no,
perché se voglio affidare
le mie idee alla carta,
quale penna scriverebbe
sentimenti tanto strani?
FLORA Com’è andata la questione
di Zara che ti ha angosciato?
BELISA Io ho finto di svenire,
per dare all’anima forza,
quando mi ha dato la mano,
gli ci ho riposto il diamante.
FLORA A Pedro?
BELISA Perché potesse
capirmi così il villano;
ma non mi volle capire,
e quando è giunta gelosa
quella schiava rigorosa,
quel demonio o quella donna
che nascosta ci guardava,
lui le ha dato il diamante,
immaginando che io,
Flora, fossi lì svenuta.
Io, con la giusta rabbia
nata per il loro amore,
finsi che mi derubasse
lei, come un indennizzo.
Eppure non l’ho spuntata
con il castigo previsto.
FLORA Don Juan ha avuto la colpa
che non la abbiano frustata.
Però guarda che ti sbagli
pensando che Pedro intenda
il tuo amore, perché
si tutela, che soltanto
a segni ti sei esposta.
E in amore disuguale,
se non scegli i mezzi giusti
per proteggerlo e mostrarlo,
mai verrà a conoscenza
del tuo amore.
BELISA Se io,
Flora, sapessi che Pedro
fosse chi penso che sia,
credo che avrei il coraggio
di dirgli in quale rigore
mi tiene il geloso amore.
FLORA Sempre la luce del giorno
fugge il nobile pudore.
Notte è già, l’oscurità
dà per ogni libertà
il doppio della licenza.
Parlagli nel buio, e digli:
“Pedro, son io, ti amo”.
BELISA Tengo presenti i capricci
che ho avuto fino ad ora.
Però se per castigarmi
l’amore ha permesso questo,
se gli oppongo resistenza
armi gli darò per darmi
la morte. Ma, sai cosa
fare quando arriva Pedro,
perché possa superare
questa vergogna? Far finta
che pulendo le candele,
Flora, una ti si spenga.
FLORA Sì, però l’altra?
BELISA Nessuna
luce accesa rimarrà,
che quella dell’intelletto
inoltre dovrò offuscare
affinché possa riuscire
a svelare ciò che penso.
Ma ritirati da qui,
che questi sono gli schiavi.
Al telone. Esce Celia, e Felisardo.
FELISARDO Questa determinazione,
Celia, mi disturba molto.
CELIA Fermati e pensaci bene.
FELISARDO Io mi voglio scoprire,
non vedo perché aspettare
che presto o tardi il castigo
di oggi mettano in atto,
e che un villano lacché
metta la mano sugli occhi
che in luce sfidano il sole.
CELIA Ma prima pensaci bene.
FELISARDO Che devo aspettare se
mi hanno appena raccontato
che il cavaliere navarro
è andato alla prima messa,
come fa chi partorisce?
Ed inoltre sono stanco
delle pene che ho sofferto.
Mangio male, dormo peggio,
indosso questo collare,
che se non fosse per te
mai lo avrei accettato.
Ieri – pensa che vergogna! –,
mi hanno fatto andare al fiume.
CELIA Guarda, Felisardo mio,
che la fortuna comincia
da un avvenimento ostile
e ne seguono altri mille.
Riconosco la viltà
dell’abito, ed i travagli;
ma considera che in me
non è minore la pena.
FELISARDO Allora è meglio soffrire?
CELIA L’anima dice di sì.
Esci dalla stanza adesso,
che c’è lì Belisa.
BELISA Aspetta,
Pedro.
FELISARDO Devo lavorare.
CELIA Aspetta.
FELISARDO Arrivo tremando.
BELISA Non andartene, che quando
mia madre se ne andrà
devo parlarti.
CELIA Ahimé!
FELISARDO Che cos’hai?
CELIA Non lo vedi?
FELISARDO Gelosia.
CELIA Sono forse
di pietra?
FELISARDO Pensa, tesoro,
per tutto l’oro del mondo
dirò a tutte quante no.
Escono Lisarda e Tiberio.
LISARDA Questo dicono!
TIBERIO È don Juan
giovane, non mi sorprendo.
LISARDA Di più mi ha detto Carrillo.
TIBERIO Cosa?
LISARDA Si è messo d’accordo
con i suoi amici pazzi
di rapire questa schiava.
FLORA (Non puoi parlargli ora,
che ci sono testimoni.)
BELISA (Zitta, che l’amore sa
trovare il sistema giusto.)
FLORA (Allora esegui il rimedio,
perché si calmi il dolore.)
BELISA Flora!
FLORA Sì, signora?
BELISA Avvisa
le candele.
FELISARDO (Questa pazza
le candele sporche avvisa.)
FLORA (L’amore è tutto prudenza.)
BELISA L’hai uccisa?
FLORA Per tagliarla
bassa, ho ucciso la candela.
BELISA Non sai farlo?
FLORA Non so
avvisarla e so ammazzarla,
che chi ammazza non avvisa.
Con quest’altra accenderò.
BELISA Aspetta, e ti insegnerò
come si avvisa.
FLORA (Oh, che risa!)
Hai ucciso anche quest’altra.
LISARDA Che succede?
TIBERIO Siamo al buio.
LISARDA Come?
FLORA Le candele abbiamo
ucciso per avvisarle.
LISARDA (Questa è una buona occasione
per arrivare allo schiavo.)
BELISA (Ora voglio dichiararmi,
ora svelo il mio amore.)
FELISARDO (Mentre accendono le luci,
voglio avvicinarmi a Celia.)
CELIA (Nessuno può ostacolarmi
fra chi vuole il mio male,
mi avvicino al mio amore.)
Vadano a poco a poco, Belisa da sua madre, Celia da Flora, e Felisardo da Tiberio.
LISARDA Tesoro mio! Mi ascolti?
BELISA Che vuole un amore fermo
se non che anche tu l’ascolti?
Felisardo a Tiberio.
FELISARDO Amore! Non arrabbiarti
per questa pazza richiesta.
TIBERIO Dici a me queste parole?
FELISARDO Dunque non sei convinta?
TIBERIO Credo proprio che Juan
farà qualunque follia.
FELISARDO Quelle di Belisa penso
che più pena mi daranno.
Celia a Flora.
CELIA Tesoro, ti ostini a farmi
ingelosire?
FLORA Chi è?
CELIA Chi sarà mai? Non vedi?
FLORA (Che bizzarro malinteso.)
CELIA Fallo per me, non parlarle.
FLORA A chi non devo parlare?
Lisarda a Belisa.
BELISA Non osavo dichiararmi,
ma ora niente impedisce
di dirti quello che penso.
LISARDA Dio sa quel che ho passato
per aver dissimulato
la forza del mio strazio.
Felisardo a Tiberio.
FELISARDO Mi vuoi dare la mano?
TIBERIO Darti la mano? Perché?
FELISARDO Non adirarti, non è
la tua ira in mano mia.
TIBERIO Su, candele! Che succede?
Lisarda, non riconosco
né vocaboli né voce.
BELISA Rischio la reputazione!
Dammi una mano.
LISARDA Ed entrambe.
FELISARDO Non vuoi darmi la mano?
TIBERIO Su, candele!
Esce Carrillo con una torcia, illuminando don Juan.
CARRILLO Dove vai?
JUAN A fare il pazzo, per Dio.
Che fate tutti così?
TIBERIO La luce stiamo aspettando.
BELISA (Con mia madre parlavo;
e con questo ho detto tutto.)
LISARDA (A mia figlia ho svelato
di amare lo schiavo mio;
ed anche lei mi ha detto
di aver la stessa premura.)
FELISARDO (Stavo parlando a Tiberio
e gli facevo la corte.)
TIBERIO (Ciò che prima non capivo,
perché pensavo a Lisarda,
era che Pedro, lo schiavo,
amoreggiava con me.)
CELIA (Oh notte, madre di errori!
Adesso mi rendo conto
che amoreggiavo con Flora.)
LISARDA Perché vieni come un greco
a incendiare Troia?
JUAN Dammi
la mia sposa, signora,
che questa notte la devo
portare dove vedrai
che, se tu sposarti vuoi,
anch’io voglio sposarmi,
che più ammissibile è.
LISARDA Va’, Flora, e rinchiudi Zara.
JUAN Rinchiudere?
TIBERIO Ascolta e pensa.
JUAN Chi pensa con la passione?
LISARDA Anche tu, Pedro: con Flora
sorveglia Zara.
FELISARDO D’accordo,
perché ciò che fa don Juan
è cosa ingiusta, signora.
JUAN Anche tu, cane?
FELISARDO Io sono
cane di questo orto solo,
e mentre guardo la porta
e sto in sua difesa,
nemmeno saltando i muri,
entrerete e coglierete
il frutto che pretendete
e vuole quel pazzo amore.
Che in questo orto ho seminato
una verde aspettativa,
nella vendetta vedrete
quello che farò per lei.
Se il cane ferito scorda
ogni padrone, vedrete
che cane vi morderà:
rabbioso è amore geloso.
Flora e Felisardo portino via Celia.
JUAN Lasciate che questa folle insolenza
castighi in questo barbaro villano.
TIBERIO Don Juan, fermo, guarda che non è giusto
che di sangue, età e giudizio tu perda
il rispetto.
JUAN Non sono stato vecchio;
ma tu giovane sì, e sai che può
fare follie l’amore da giovani.
Ed io non so lo stretto cammino
in cui mi metterebbe il dovere.
LISARDA Non rispondergli, trattalo da pazzo.
JUAN Dammi mia moglie.
BELISA Anche se ho taciuto,
non mi manca, fratello, il dispiacere
dovuto a una simile sfrontatezza.
Che sposa deve darti?
JUAN Sposo Zara.
BELISA Zara, una schiava?
JUAN Dato che la chiedo,
so chi è.
BELISA Se sai qualcosa in più
di ciò che tutti sappiamo di questa
turca, agisci da saggio, e come nobile
soddisfa all'esterno i tuoi bisogni.
JUAN Se vi porto qui chi vi dirà quello
che dico, che direte?
TIBERIO Se qualcuno
che abbia credito, ci disingannasse,
e ci sembrasse giusto il matrimonio
con una donna che ha sul viso un marchio,
io stesso te la darò stanotte.
JUAN Va’, Carrillo, e chiama Eliso. No aspetta,
andiamo insieme, che perfino il padre
porterò qui.
CARRILLO Signore, cosa fai?
Per Dio, che offendi il tuo lignaggio.
JUAN Infame, vuoi che ti uccida?
CARRILLO Questa
luce non ti mostra l’insensatezza?
JUAN L’amore è luce.
CARRILLO Lo ammetto, ma guarda
che questa torcia illumina con questa
cera, e di lei si alimenta; guarda
che poi, girandola verso terra,
la stessa cera che le dà la vita
è quella che la uccide e la confonde.
JUAN Un filosofo lacché, voglia il cielo
che ti tagli le gambe! Va’ per primo.
CARRILLO Che luce illuminerà un cieco amante?
Se ne vanno Carrillo e Juan.
TIBERIO Buona occasione, Lisarda, mi sembra
perché tu faccia il falso matrimonio.
LISARDA Muoviti, e fa che Pedro si trasformi
in Felisardo, e che all’appuntamento
venga, che calmerò i miei figli.
TIBERIO Vado, che riconoscerlo sarà
difficile senza marchi e collare
e con l’abito elegante che ho pronto.
Se ne va Tiberio.
LISARDA (Con quest’inganno ingannerò Tiberio,
poiché pensa che punisca i figli,
mentre voglio sposarmi con un uomo
che oramai ha solo di schiavo il nome.)
Sai dove va Tiberio?
BELISA Forse a chiamare le guardie?
LISARDA Tu non sai che mi sposo?
Non hai inteso il mistero?
BELISA Tu ti sposi?
LISARDA Questa notte
lo aspetto all’appuntamento.
BELISA E chi è?
LISARDA Un cavaliere.
Già va Tiberio in carrozza
per venire qui con lui.
BELISA Ci vuoi dare un tormento?
LISARDA Tormento? Presto vedrai
se non lo provo per lui.
Voi mi date il tormento
coi vostri pazzi capricci,
vorreste cavarmi gli occhi
dopo che vi ho messi al mondo.
Mi avete sfinito ormai:
tu, con questi capriccetti,
mangiando gesso ed argilla,
sempre occlusa e salassata,
e l’altro disobbediente,
chiedendo lussi e gioielli,
e versando a piene mani
l’oro, e senza calcolare
gioco, cavalli, puttane…
Ed ora vuole sposarsi!
Ma tutto adesso è finito:
non è più tempo di scherzi.
Basta con la madre dolce,
non piango né mi consumo.
Anche fosse di uno schiavo,
sarà una cosa più onesta.
Essendo giovane, voglio
avere chi pensi a me:
sono ricca.
BELISA Hai ragione,
ma ascoltami.
LISARDA Sto ascoltando.
BELISA Madre, madre mia,
di me ti lamenti
perché capricciosa:
è la verità.
Facevo i capricci,
così sono nata;
ma lascia alle giovani
i fiori d’aprile.
E voi, signora,
che potreste stare
fra gli aristocratici
nipoti del Cid,
che al sei o al sette
(anche settemila)
vi è toccato l’asso,
e lo nascondete,
le età confondete
e come me siete,
per cambiare in lussi
le gramaglie e il velo.
Se all’ebano nero
che sul capo vidi,
aggiungono i tempi
dei fili d’avorio,
frivolo mi sembra
sposarsi così.
E prima di me,
infame pensiero,
che dite vendetta.
Madre! Riflettete
che, se sbadigliate,
segnale di sonno,
queste debolezze
scaricate a me;
con carne e appetito,
cercate prezzemolo.
L’erbetta del prato
vi ha fatto grugnire;
avete nitrito:
l’ha udito il ronzino.
Inventate scuse
per non digiunare.
A festa finita,
si mangiano avanzi;
volete un compagno,
inquieta vivete,
non esiste rosa
che non abbia spine.
I pezzi d’argilla
che dite di me
vi fanno da blocco:
volete morire.
Fate come chi
ad un gatto dice
con la bocca: “va’”,
e con gli occhi: “vieni”.
Sembrate formica;
la vecchiaia, infine,
vi ha messo le ali,
ridere farete.
Congratulazioni,
se così sarà.
Però riflettete,
e questo ascoltate:
se è vecchio anche lui,
unirete insieme
due monti freddi:
che vita infelice!
Se lui è un ragazzo,
dovreste sapere
che fune sarete
di un equilibrista,
coi piedi a momenti
vi si appoggerà
per far mille salti
nell’aria leggera.
Con i vostri averi
mangerà pernici,
vestirà di tela
qualche serafino.
Lo faranno Adone
dee di Madrid,
che i migliori alfieri
mutano in pedine.
Al cuore vi parlo;
ma voi a me, che?
A chi vuole fare,
a che serve dire?
Escono Tiberio e Felisardo molto elegante, senza collare e marchi.
TIBERIO Potete entrare sicuro,
che mi hanno dato il permesso.
FELISARDO Ancora non oso entrare.
TIBERIO Ma fatelo ricordando
che risponderete al nome
di Felisardo.
FELISARDO (Che strano!
Al vero nome mi dice
di rispondere.)
LISARDA Ci vuole
pazienza.
BELISA Contraddirai
la tua reputazione.
Lo sto vedendo e non credo
che ti sposi.
TIBERIO È già arrivato
lo sposo.
BELISA (Cielo, che vedo?
Non è Pedro?)
FELISARDO Benché sia
guidato dal desiderio,
dico che il tuo valore
ha portato il mio amore.
LISARDA Mille volte benvenuto,
son io la fortunata
nel meritarvi, signore.
TIBERIO Si siedano gli sposini.
BELISA Tiberio.
TIBERIO Che cosa vuoi?
BELISA È vero che son sposati?
TIBERIO Sposati no, non turbarti,
ma sono promessi, penso.
BELISA Questo non è Pedro?
TIBERIO Chi?
BELISA Pedro, lo schiavo di casa.
TIBERIO Sei impazzita?
BELISA Anche tu.
Come? Si sposa con Pedro
mia madre?
TIBERIO Guarda bene,
perché questo è un cavaliere
che si chiama Felisardo.
BELISA Voglio osservarlo con calma.
Certo che è lui. Che aspetto?
TIBERIO Osservalo meglio prima,
che Pedro è schiavo marchiato
sul volto.
BELISA Hai ragione,
mi hai disingannato,
anche se potrebbe darsi
che si sia tolto i marchi.
TIBERIO Come, se li ha nella carne?
Questa è una cosa da pazzi,
per tale sarai presa.
Escono Flora e Carrillo.
FLORA Dio, che il cielo mi assista.
Com’è bello il fidanzato!
CARRILLO Non ho visto in vita mia
una faccia tale e quale
a quella del nostro schiavo.
BELISA Flora.
FLORA Signora?
BELISA Ho finito
questa pazienza oltraggiata.
Non è Pedro?
FLORA Sì, signora,
gli somiglia molto.
BELISA Flora,
va’ a chiamare Pedro adesso.
FLORA Anche un cieco lo vedrebbe.
Suppongo che tua madre
ami la forza e il valore
dello schiavo, e che ti imbrogli.
BELISA Cane, se si è innamorata
mia madre, e una pazzia
tale permette il suo onore
perso, non credere di
oltraggiarmi il sangue: tocca
a me farti fuori. Spazio!
FELISARDO Cosa succede?
LISARDA Una figlia
pazza che non ho rinchiuso.
Portatela via! Fuori!
BELISA Non sono pazza, tu sì,
che con un cane ti sposi.
FELISARDO Che tristezza!
BELISA Triste tu,
se di me ti prendi gioco.
Esce Celia vestita molto elegantemente, con uno scudiero e il manto.
CELIA Arrivo al momento giusto.
TIBERIO Questa dama è la madrina.
FELISARDO Vi ho tenuto questo posto,
benché per pegno divino
quello dell’anima cedo.
LISARDA Sedetevi qui, signora.
BELISA Ma non è Zara, la schiava?
Cagna…
TIBERIO Legate la pazza!
CELIA Signora, chi è l’insolente?
LISARDA Non la ascoltate, scusate,
perché a forza di capricci
è sempre molto turbata.
BELISA Non è Zara? Che succede?
Ma, Zara, perché acconsenti,
essendo moglie di Pedro,
che si unisca a mia madre?
CELIA Per i capricci ha perduto
la testa?
BELISA Ma cosa accade?
Non sarei più una donna,
se io non mi vendicassi.
Cani, cosa fate?
FELISARDO Servi,
tenete là questa pazza!
BELISA Mia madre sposa Pedro?
Escono don Juan e Prudencio, padre di Celia, Eliso e la giustizia.
JUAN In casa c’è un matrimonio;
prego, starete nascosti.
FELISARDO Ah Celia, copriti! Tuo
padre ti viene a cercare.
ELISO Dov’è Felisardo?
FELISARDO (Questo
è Eliso, che cosa aspetto?)
GUARDIA Chi è Felisardo qui?
FELISARDO Sono io. Che volete?
GUARDIA È questo?
ELISO È lui.
FELISARDO Tu, Eliso,
porti le guardie?
ELISO Ed è il giusto
castigo di un falso amico.
FELISARDO Io falso?
ELISO Non è chiaro,
se dato che ho chiesto io
di sposarmi con Belisa,
la sposi, come si dice
e come l’abito mostra?
FELISARDO Io?
ELISO E chi se non tu stesso?
E per rivelare il tuo
tradimento, non ne è indizio
averti lasciato come
schiavo, marchiato e venduto,
perché non fossi arrestato
per il passato delitto,
e ritrovarti vestito
da sposo, ricco e elegante?
FELISARDO Se scopri che questo è vero,
per l’inganno ti permetto
che la spada che mi uccida
tu la prenda fra le mie.
BELISA Perché neghi, Felisardo,
quel che sarà come è stato?
Con me ti sei sposato,
oggi ti sposi con me.
FELISARDO Io con te?
BELISA Neghi? Flora
e Carrillo lo hanno visto.
ELISO Villano, neghi quel che hanno
visto due testimoni?
LISARDA Loro non dicono il vero,
che Belisa sta fingendo
invidiosa del marito
mio; così te la do,
Eliso, perché la sposi,
perché Felisardo è mio.
Celia si scopre.
CELIA Calma, signore, che io
lo ritengo mio sposo.
Son io la vera moglie,
lo dica lui.
FELISARDO Lo dico.
PRUDENCIO È Celia?
JUAN Sì, proprio lei.
PRUDENCIO Don Juan, vi chiedo perdono
della parola che ho dato.
JUAN Tutto il sentimento mio
si placa, perché mi vedo
beffate madre e sorella.
E se Eliso è cavaliere,
lo supplico che a Belisa
dia la mano.
BELISA D’accordo.
Scusa per lo sdegno chiedo,
e a Celia del trattamento;
che Felisardo quest’oggi,
attuando il sogno suo,
non soffre più del castigo.
Se ci sarà la prigione,
voglio aiutarlo e aiutarvi
con il denaro.
GUARDIA Signori,
quel cavaliere ferito
sta bene. Solo rimane
far fare loro la pace.
FELISARDO Vada Tiberio e negozi
che sia il nostro padrino.
TIBERIO Verrà, ed io lo sarò
di Flora e del buon Carrillo.
LISARDA Io, giacché non mi sposo,
dando al servirvi principio
do fine.
BELISA Quanto ai capricci,
senato, chiedo perdono.
FINE.