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1 I Sette Sacramenti 2016 numero 3 - anno 9 - www.liturgiaculmenetfons.it Associazione Culturale “Amici della Liturgia” LITURGIA CULMEN ET FONS

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I Sette Sacramenti2016 numero 3 - anno 9 - www.liturgiaculmenetfons.itAssociazione Culturale “Amici della Liturgia”

LITURGIA“CULMEN ET FONS”

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n.3 - 2016 - LITURGIA CULMEN ET FONSwww.liturgiaculmenetfons.it

IN QUESTO NUMERO

3 I SETTE SACRAMENTI

don Enrico Finotti

10 LE DOMANDE DEI LETTORI

a cura della Redazione

11 CON I SACRAMENTI NON SI SCHERZA

mons. Nicola Bux

18 IL CANTO DELL’ASSEMBLEA NELLA

CELEBRAZIONE LITURGICA

maestro Aurelio Porfiri

______________________

LITURGIA “CULMEN ET FONS”

Rivista trimestrale di cultura religiosa a cura della Associazione

Culturale Amici della Liturgia via Stoppani n. 3 - Rovereto.

Registraz. Tribunale di Trento n. 1372 del 13/10/2008

Direttore Responsabile: Massimo Dalledonne.

Tipografia “Centro Stampa Gaiardo” Borgo Valsugana (TN)

Redazione: Liturgia ‘culmen et fons’ - Editrice FEDE & CULTURA

viale della Repubblica n. 15, 37126 - VR

REDAZIONE

d. Enrico Finotti, Sergio Oss, Marco Bonifazi, Ajit Arman, PaoloPezzano, Mattia Rossi, Giuliano Gardumi, Fabio Bertamini.

CONTATTI

Liturgia ‘culmen et fons’ - via Stoppani, 3 - 38068 Rovereto

(TN) - Posta elettronica: [email protected]

Telefono: 389 8066053 (telefonare dopo le ore 15.00)

RIVISTA ON-LINE: www.liturgiaculmenetfons.it

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LE IMMAGINI DI QUESTO NUMERO

Le immagini di questo numero della rivista sonotratte dalle opere di ROGIER VAN DER WEYDEN,pseudonimo di Rogier de la Pasture (Tournai, 1399 circa–Bruxelles, 18 giugno 1464), è stato un artistafiammingo, allievo di Robert Campin. Fu pittore ufficialedella città di Bruxelles e destinatario di commissionidei duchi di Borgogna e dei re di Castiglia. Ebbe rapporticon la Casa d’Este ed altri casati italiani come gli Sforzae i Medici. Rogier fu uno dei primi ad usare il supportodella tela a nord delle Alpi. Influenzò molti altri pittori deltempo.

In prima pagina: TRITTICO DEI SETTE SACRAMENTI(Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, Anversa). Isacramenti della Chiesa sono il frutto del sacrificioredentore di Gesù in Croce. Il trittico rappresenta unachiesa in cui vengono celebrati i sette sacramenti. Alcentro si erge, predominante, la croce. Ai piedi delCrocifisso, ci sono Maria affranta, sostenuta da Giovanni,e le pie donne. In fondo, un sacerdote celebrante,eleva l’ostia dopo la consacrazione, a indicare che ilsacrificio della croce viene riattualizzato nellacelebrazione eucaristica sotto le specie del pane e delvino. Nel riquadro di sinistra, che mostra una cappellalaterale, sono rappresentati i sacramenti del battesimo,della cresima, amministrata dal Vescovo, e dellapenitenza. In quello di destra, invece, vengonorappresentati i sacramenti dell’Ordine, amministratoancora dal Vescovo, del matrimonio e dell’unzione degliinfermi.Nelle pagine 4, 6, 9, 14, 16 particolari del Trittico deiSette Saramenti.

A pagina 11: DEPOSIZIONE DALLA CROCE, 1433-1435, olio su tavola – Museo del Prado, Madrid. La palaera la parte centrale di un trittico parzialmentescomparso. Secondo una testimonianza del 1574 nelleante laterali erano raffigurati, in una, i quattro evangelistie, nell’altra, una resurrezione. L’opera fu eseguita per lachiesa di Notre-Dame nella città belga di Lovanio, sucommissione della gilda dei balestrieri. L’apprezzamentoche essa riscosse fu subito molto grande, prova ne sianole innumerevoli copie che ne sono state tratte, a partireda quella realizzata già nel 1443, la più antica che siconosca, per la collegiata di San Pietro, sempre aLovanio, nota come Trittico Edelheere (di anonimo). Ilperno dell’opera è, ovviamente, la figura esangue delCristo, in posizione obliqua. La partecipazione fisica edemotiva di Maria è un invito e un modello per ognicredente a rivivere interiormente il Mistero della BeataPassione di Cristo per poi coglierne tutta la ricchezzadei frutti salvifici. Nessuno può immaginare quale fu ildolore sofferto dalla Vergine Maria durante la Passionedel Figlio. Chi potrebbe misurare l’oceano di angosciadella Vergine Madre? “E’ grande come il mare il tuodolore! Chi ti potrà consolare?” (Lam 2,13).Nelle pagine 18 e 20 (ultima pagina) particolari dellastessa opera.

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I Sette Sacramentidon Enrico Finotti

www.liturgiaculmenetfons.itLITURGIA CULMEN ET FONS - 2016 - n.3

Il tesoro della Chiesa

Qual è il tesoro della Chiesa?

I sette Sacramenti.

Che i Sacramenti siano il tesoro della Chiesa risultaimmediatamente evidente non appena si consideriche essi sono Cristo stesso, risorto e vivo, presentea noi oggi nell’atto di operare sacramentalmentela nostra Redenzione.

Se già Pio XII def inì la liturgia come il cultopubblico che il nostro Redentore rende al Padrecome Capo della Chiesa (PIO XII, Mediator Dei,20) ; e l’Anno liturgico come Cristo stesso, che vivesempre nella sua Chiesa e che prosegue il camminodi immensa misericordia da Lui iniziato… in questavita mortale… allo scopo di mettere le anime umaneal contatto dei suoi misteri…, perennementepresenti ed operanti… (PIO XII, Mediator Dei, 163),tanto più tale def inizione si addice ai setteSacramenti, che sono la punta di diamante diquell’azione misteriosa con cui Cristo opera in ogniazione liturgica e nella estensione dell’Annoliturgico.

Nessuno certo dubiterà che Cristo Gesù sia iltesoro della Chiesa, ora i Sacramenti sono la suaemanazione vitale, proprio come allora quandotutta la folla cercava di toccarlo, perché da luiusciva una forza che sanava tutti (Lc 6, 19). Eccoperché san Leone Magno poté affermare: Quantodel nostro Redentore era visibile è passato neiSacramenti (PL54, 398).

Inoltre se già in ogni Sacramento vi é la virtussalvif ica del Signore, nel santissimo Sacramentodell’Eucaristia Egli è presente in modo ‘vero, realee sostanziale’ (Cfr. Concilio tridentino), un modotanto singolare e misterioso, che suscita la nostraadorazione con un vero culto di latria.

Perciò i Sacramenti costituiscono il momento piùalto e più intenso della vita della Chiesa, che è lavita della Grazia soprannaturale, ossia quella Vitadivina che scaturisce dalla santissima Trinità e checi è comunicata, mediante il Verbo incarnato, nellapotenza dello Spirito Santo, in diversa misura esotto diversi aspetti, in relazione alla f inalità diogni Sacramento da Lui istituito.

I sette Sacramenti della Chiesa sono:

Il Battesimo

la Confermazione

l’Eucaristia,

la Penitenza,

l’Unzione degli infermi

l’Ordine

il Matrimonio.

Si distinguono in: Sacramenti dell’inizia-zione cristiana (Battesimo, Confermazionee Eucaristia); Sacramenti della guarigione(Penitenza e Unzione degli infermi);Sacramenti al servizio della comunione edella missione (Ordine e Matrimonio). Essitoccano i momenti importanti della vitacristiana. Tutti i Sacramenti sono ordinatiall’Eucaristia «come al loro specif ico f ine»(san Tommaso d’Aquino) [cf r. CCCCompendio n. 250].

Il termine ‘Sacramento’ (Sacramentum) è latraduzione latina del termine greco ‘Mistero’(Misterium). Quando si dice ‘mistero’ si intendeun evento mirabile, che si compie invisibilmentesotto il velo di realtà visibili, che al contempo nerivelano la presenza e ne nascondono le dimensionipiù intime e profonde.

Tali sono appunto i Sacramenti, che mediante segnivisibili comunicano all’anima effetti soprannaturaliinvisibili. Per questo essi sono opportunamentechiamati ‘i santi Misteri’ e sono totalmente pervasidal senso del ‘sacro’, ossia dalla percezione delladivina presenza e della potenza soprannaturaledella Grazia.

La maestà dei Sacramenti

I sette Sacramenti, infatti, non sono stati solamenteistituiti dal Signore, e in quanto tali rimandano aLui e al ricordo delle sue azioni, ma essi realizzano,qui ed ora, i suoi stessi atti salvif ici, oggi comeallora, diverso è soltanto il modo: allora il Signoreagiva direttamente, mediante il contatto vivo delsuo corpo, facendo udire la sua voce e mostrandoi suoi gesti corporei; oggi opera per la mediazionedei suoi ministri, che agiscono in persona Christicapitis. Tuttavia unica e attuale è la Sua presenza eidentico il contenuto delle sue parole e l’effetto dellasua Grazia.

Chi è pervaso da questa convinzione teologica entranei santi Misteri con riverenza e timore (Eb 12, 29)e non indulge ad alcuna banalità, anzi esige

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precisione in ogni cosa, nobiltà di linguaggio, diabbigliamento e di comportamento e il suo sguardointeriore ed esteriore è adombrato dalla divinapresenza come Mosè, che davanti al roveto ardenteudì queste parole: Togliti i sandali dai piedi, perchéil luogo sul quale tu stai è una terra santa! (Es 3, 1-6).

Ogni volta che entriamo nella divina Liturgiadovremmo sentir risuonare nel nostro spirito questesplendide parole:

Voi vi siete accostati al monte di Sion e allacittà del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste ea miriadi di angeli, all’adunanza festosa e

all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, alDio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portatialla perfezione, al Mediatore della Nuova Allean-za e al sangue dell’aspersione dalla voce piùeloquente di quello di Abele.

Perciò, poiché noi riceviamo in eredità unregno incrollabile, conserviamo questa grazia eper suo mezzo rendiamo un culto gradito a Dio,con riverenza e timore; perché il nostro Dio èun fuoco divoratore (Eb 12, 22-24. 28-29).

Questa percezione di fede ci off re il giustoatteggiamento interiore ed esteriore per disporciad una degna celebrazione dei Sacramenti esoprattutto del Sacrif icio eucaristico.

Qualcuno riduce la portata di questeconsiderazioni ricorrendo indebitamente a quellaconf idenza f iliale che il Signore raccomanda aisuoi discepoli quando afferma: Quando pregate,dite: Abbà, Padre! (Lc 11,2). Tale conf idenza,tuttavia, è propria soltanto del Figlio unigenito,della stessa sostanza del Padre, ed è concessa anoi, elevati al rango di f igli adottivi perl’accondiscendenza della Sua inf initamisericordia, come un ‘osare’ (audemus dicere),che non può mai diventare una pretesa, ma rimaneun dono da ricevere continuamente e sempre congratitudine, timore e tremore (Fil 2, 12). Già questofatto stabilisce la natura singolare di questaconf idenza divina, che mai depone la Maestà dellasua gloria e non consente che nessuno mai siprenda gioco di Dio, secondo le paroledell’Apostolo: Non vi fate illusioni; non ci si puòprendere gioco di Dio (Gal 6, 7). Oltre a ciò occorreribadire che la celebrazione dei santi Misteriimplica sempre il culto rivolto alla santissimaTrinità nel quale si accede al Padre luceinaccessibile (1Tm 6, 16), mediante il Figlio, santo,innocente, senza macchia, separato dai peccatoried elevato sopra i cieli (Eb 7, 26), nella potenzadello Spirito Santo fuoco divoratore (Eb 12, 29).E’ questo il senso e il tenore delle solenni liturgiecelesti descritte nell’Apocalisse e che ci aspettanonella visione della gloria. A queste si deve ispirarela liturgia terrena celebrata quaggiù ancora nelregime della fede. Esse sono quel modello, cheDio mostra sul monte f in dalla rivelazione a Mosèe che già nell’Antica Alleanza ebbero una timidae precaria realizzazione nella liturgia del Tempio.

Altri ritengono che le azioni salvif iche di Cristodebbano essere spogliate di ogni apparato ritualee liturgico col pretesto che il Signore operò lanostra Redenzione con atti di vita ordinaria comefu per la stessa morte sulla croce in un contestodel tutto profano f ino a consumarsi fuori dellacittà santa. In questa prospettiva equivoca nonpochi furono gli abusi liturgici e le profanazionidei Sacramenti. Si deve al contrario ricordare chefu proprio Cristo Signore a dare al Sacrif icio

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incruento della croce (l’Eucaristia) forma rituale ein tale forma lo comandò alla sua Chiesa: Fatequesto in memoria di me (1 Cor 11, 24-25). Anche ilSacramento fondamentale e necessario per averparte alla vita eterna, il Battesimo, è f in dal suoinizio un rito al quale Cristo stesso si sottopose eche esplicitamente ne comandò la celebrazione allaChiesa: Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo(Mc 16, 16).

Ecco perché la forma rituale, la solennità liturgicae il carattere sacro sono intrinsecamente necessarialla celebrazione dei Sacramenti. Esse sonoconformi con la volontà istitutiva del Signore ecoerenti con la perenne Tradizione Apostolicasempre viva nella Chiesa. Senza tali espressioni lapresenza e l’azione del Signore, che viene nelmistero insieme ai suoi Angeli e ai suoi Santi,subisce offesa e i ‘santi segni’ sono profanati.

Ed è proprio perché l’azione della Grazia divina,che scaturisce dal Signore presente ed operante, èinvisibile ai nostri occhi, che la Chiesa proteggequesti mirabili gesti con riti, simboli e preci, che neassicurino la nobile celebrazione e suscitino la giustavenerazione in tutti coloro che partecipano allacelebrazione liturgica, in primo luogo i sacriministri, ma poi tutti i fedeli secondo il loro ruolo ela loro responsabilità.

L’insondabile umiltà del Signore, che vollenascondere la Maestà della sua divina presenza edei suoi gesti salvif ici sotto il velo alquanto opacodelle realtà visibili per essere il Dio vicino, non puògiustif icare un trattamento superf iciale e indegnodi segni che sono Suoi e ai quali è legata la nostraeterna salvezza.

Lo stupore adorante verso i santi Misteri si cogliein modo mirabile nel noto canto eucaristico: Adorote devote latens Deitas, quae sub his f iguris verelatitas: tibi se cor meum totum subjicit, quia tecontemplans totum def icit. Qui il cuore credentetrova la sua più alta contemplazione e l’arscelebrandi riceve la sua più autentica formazione.

La profanazione dei Sacramenti

Contro questa visione teologica dei ‘divini Misteri’vi è il diffuso costume di richiedere i Sacramenti ecelebrarli come un fatto di costume, che può essereassunto senza un’adesione di fede e unacorrispondente coerenza morale conforme ai santiComandamenti. In tale clima chiunque puòaccedere ai Sacramenti e talvolta li pretende. La fedeè spenta, la pratica religiosa abbandonata da anni,la vita morale palesemente in contrasto con iComandamenti, ma comunque si mettono inagenda i Sacramenti come un evento di puraconvenienza sociale, di tradizione familiare e quasifolclore culturale. Inoltre un infausto e crescente

buonismo tende a concedere a chiunque iSacramenti della Chiesa, evitando ogni verif icadottrinale, spirituale e morale e riducendo in talmodo il Sacramento ad un rito di socializzazionee di superf iciale strumento di approccio conchiunque esprima una vaga religiosità.

Si comprende come tale atteggiamento contrasticon la natura soprannaturale dei Sacramenti e conla Maestà di Dio, che li adombra. Certamente nonè conforme col giusto rigore che da sempre haavuto la Chiesa nell’impostare l’Iniziazione aiSacramenti e nel discernere la preparazione dicoloro che li richiedevano.

In corrispondenza con questo accesso superf icialeai Sacramenti da parte di considerevoli masse difedeli in una società ormai scristianizzata, avanzaun concetto e una prassi pastorale, che induce isacri ministri ad abbassare la sacralità insita neiriti sacramentali e, mediante una indebitacreatività, a strumentalizzare venerandi riti e preci,che vengono trattati come libere espressioni in uncontesto soggettivo variabile e rielaborato volta avolta secondo l’estro del momento, la diversasituazione e la sensibilità dei presenti. Non più ilrispetto e la sottomissione obbediente al ritostabilito dalla Chiesa, conforme alla venerabile edinterrotta Tradizione, ma materiale di liberoimpiego per una ‘celebrazione’ attualizzata, liberae ‘incisiva’ sulla concreta ‘assemblea’ dei presenti.In tal modo non solo è colpita la legittimità di talirealizzazioni rituali, ma non raramente sorge ilserio interrogativo anche sulla stessa validità deiSacramenti in tal modo debilitati.

Dunque, di fronte alla grandezza soprannaturaledei ‘santi segni’ istituiti dal Signore e compiuti daLui nell’ ‘oggi’ della vita della Chiesa, si ergono duepericolose derive che pretendono erroneamente diimporsi:

- L’estesa secolarizzazione della società ritenutairreversibile e ormai insensibile ad ogni monito erichiamo alla conversione mediante l’adesioneall’intero dogma della fede giustif icherebbel’accesso ai Sacramenti di fedeli con una religiositàquanto mai vaga e del tutto relativistica riguardoai contenuti oggettivi del Depositum f idei. Lavisione storicistica considera ciò che succede unfatto ineluttabile e un’espressione della volontà diDio, per cui non si distingue adeguatamente traciò che Dio vuole (volontà divina) e ciò che Diotollera (permissione divina). In tale errataprospettiva si può arrivare a ritenere che fatti comeil secolarismo, l’apostasia di massa dalla fede, ilrelativismo religioso e morale, la crisi dellevocazioni, l’insensibilità ai valori assoluti, ecc. siano‘segni dei tempi’ in ordine alla volontà di Dio equindi sf ide da accogliere e interpretare. In realtàtutti questi eventi nefasti sono sì permessi da Dio,ma da Lui già condannati e tollerati per rispettoalla libertà umana. Egli attende il nostro

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ravvedimento e per questo usa pazienza. A noil’impegno di una più intensa ed umile preghieraunita ad una continua e seria conversione. Eccoperché siamo invitati ad attendere alla nostrasalvezza con timore e tremore (Fil 2, 12) e adentrare per la porta stretta perché larga è la portae spaziosa la via che conduce alla perdizione emolti sono quelli che entrano per essa; quantostretta invece è la porta e angusta la via checonduce alla vita, e quanto pochi sono quelli chela trovano! (Mt 7, 13-14). Il contrasto col viveremondano non può esimere la Chiesa dalrichiedere ai suoi fedeli l’adeguata preparazionedottrinale per l’adesione convinta al dogma dellafede, la sacralità nella celebrazione fedele dei ritisacramentali e la loro degna recezione. Questecondizioni sono intrinseca-mente richieste per ilrispetto della natura dei Sacramenti, perl’adorazione a Cristo Signore, che intimamente livivif ica con la sua Grazia, e per la loro eff icacia efruttuosità soprannaturale in ordine alla salvezza.

- Al contempo nel contesto del secolarismoimperante e in risposta ad una pastoralecertamente diff icile si è diffusa nei ministri sacrie nelle comunità cristiane la convinzione dellapresunta impossibilità di accettare e sottomettersiancora al diritto liturgico stabilito dalla Chiesa inluogo di una libera crea-tività, che valuta unica-mente il successo imme-diato e l’impatto psicolo-gico e sociologico.

In realtà l’azione dellaGrazia è connessa soltantoad una liturgia celebratasecondo le regole (2 Tm 2,5) e l’abbandono totale oparziale di tali regole,stabilite nei libri liturgici,espone sacerdoti e fedelialla possibile perditadell’influsso della Grazia,che soltanto una liturgiavalida e legittima garan-tisce. Non a caso la Chiesaprega: tu solo puoi dare aituoi fedeli il dono di servirtiin modo lodevole e degno(XXXI dom. per annum,colletta).

Possiamo così rilevarecome al basso livello diuna vaga religiosità ormailargamente diffusa, privadei contenuti oggettivi deldogma, corrisponda una‘pastorale’ di altrettantobasso livello che fonda séstessa non sul primato di

Dio e la conf idenza nell’azione soprannaturalecompiuta dal Signore, attualizzata nella fedeltà aiSacramenti come Lui li ha istituiti e la Chiesa licelebra, ma sulle povere forze umane e sulleprecarie ipotesi di ‘scienze’ ancora deboli ef luttuanti con prospettive forse immediate eapparentemente vincenti, ma in realtà eff imere edeludenti in quanto prive dell’ ‘ossigeno’ dellaGrazia.

Un nuovo ‘investimento’ su Dio

Come superare questa crisi alquanto radicata ecapillare nel tessuto ecclesiale, al punto da apparireirreversibile e talmente condivisa da scoraggiareogni tentativo di revisione?

Con un nuovo ‘investimento’ su Dio, il Padre delSignore nostro Gesù Cristo (Ef 1, 3), mediante uncoraggioso ritorno alla fede, accettata integral-mente nella sua pienezza dogmatica, senzariguardo al mondo e alle sue presunte conquisteumanitarie nella misura che fossero contrarie allaLegge eterna di Dio e alla divina Rivelazione. Intale orizzonte la Chiesa non deve temere diannunziare la Verità, ossia Cristo stesso che

afferma: Io sono la via, la veritàe la vita (Gv 14, 6). Essa nondeve ricercare il successo e lafacile compiacenza degliuomini, ma obbedire a Diopiuttosto che agli uomini (At 5,29) e compiere la sua missionecon lo sguardo unicamenterivolto a Lui, aff idando a Luisolo la conversione dei cuori el’eff icacia dell’opera di evan-gelizzazione e di santif ica-zione. Essa dovrà ripetere a sestessa la ben nota dichiarazionedell’apostolo Paolo: Se cercassiancora di piacere agli uomini,non sarei più servitore di Cristo(Gal 1, 10), che concorda colmonito dell’apostolo Giacomo:Chi dunque vuol essere amicodel mondo si rende nemico diDio (Gc 4, 4) e meditare as-siduamente le parole evan-geliche: Siamo servi inutili.Abbiamo fatto quanto doveva-mo fare (Lc 17,10). Solo cosìessa potrà con umiltà edeterminazione dire ancoraNon possumus davanti all’er-rore dottrinale e con caritàvirile e misericordia illuminata‘ammonire i peccatori’ per lasalvezza delle loro anime.Diversamente essa si troverà

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paralizzata dalla paura di non essere gradita almondo e si sentirà costretta ad una accondiscen-denza indegna che pur di conformarsi al pensierodominante non temerà, Dio non voglia, di tradireil suo Maestro e Signore (Gv 13, 13).

Il beato papa Paolo VI ci è maestro nel coniugareil dialogo ecumenico - ma anche il dialogo colmondo - con l’indefessa fedeltà alla Verità. Nelcongedare gli Osservatori delle altre Confessionicristiane intervenuti al Concilio EcumenicoVaticano II nell’udienza a loro concessa il 4dicembre 1965 ebbe ad affermare:

Voi state per partire. Ma non dimenticatequesta carità con cui la Chiesa cattolica romanacontinuerà a pensare a voi e a seguirvi. Non lacrediate insensibile ed orgogliosa, se essa sente ildovere di conservare gelosamente il ‘deposito’ chedalle origini porta con sé, e non l’accusate di averlodeformato e tradito, se nella sua secolare escrupolosa e amorosa meditazione vi ha scopertotesori di verità e di vita, a cui sarebbe infedeltàrinunciare. Pensate che proprio da Paolo, apostolodella ecumenicità, essa ha avuto la sua primaformazione al magistero dogmatico. E pensate chela verità tutti ci domina e tutti ci libera; ed ancheche la verità è vicina, molto vicina all’amore.

Abbiano tutti i nostri pastori e teologi la grazia diparlare ed agire secondo questo mirabile equilibrioper l’edif icazione dei fedeli!

‘Investire’ su Dio signif ica pure superaref inalmente il binomio ideologico ‘progressista -tradizionalista’ in favore del comune obiettivo dellaricerca della Verità. Se dalle due parti si tende allaricerca della Verità, diventerà del tutto ininfluenteessere ‘progressisti’ o ‘conservatori’. Se la Verità sitrova in un valore ritenuto del passato si recupereràil passato, se la Verità si manifesta in un valore‘nuovo’ lo si accoglierà di buon grado.

Un nuovo ‘investimento’ su Dio implica inf ine dellescelte coraggiose, precise e determinate, chedovrebbero maturare sempre più nella convinzionedei pastori e dei fedeli:

1. La Chiesa deve ritornare ad annunziare ilVangelo con l’ardimento e con la forza delle origini,quando gli Apostoli per bocca di Pietro potevanodichiarare con piena convinzione alle folle: Sappiadunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dioha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avetecrocif isso! (At 2, 36). Ciò esige il coraggio e lapreparazione dei sacerdoti e dei fedeli adaccogliere ed approfondire l’intero dogma dellafede senza indebiti silenzi e selezioni di parti.All’integrità, alla completezza e alla semplicitàdell’annunzio autentico della Parola di Diocorrisponde certamente l’intervento salvif ico dellaGrazia, che converte i cuori al di là di ogni

prospettiva e calcolo umano. Un annunzioaddomesticato e svilito da fanciulli sballottati dalleonde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina,secondo l’inganno degli uomini, con quella loroastuzia che tende a trarre nell’errore (Ef 4, 14) perdela sua forza soprannaturale e, sia il messaggio, cheil messaggero, perdono dinanzi a Dio il profumo diCristo (2 Cor 2, 15) e vengono gettati via e calpestatidagli uomini (Mt 5, 13). Infatti: Chi va oltre e non siattiene alla dottrina di Cristo, non possiede Dio. Chisi attiene alla dottrina possiede il Padre e il Figlio (2Gv 9). Il Catechismo della Chiesa Cattolica è unprovvidenziale strumento per assicurare, che l’uomodi Dio sia completo e ben preparato per ogni operabuona (2 Tm 3, 17). In esso le verità contenute nellasacra Scrittura si completano con quelle trasmessedalla sacra Tradizione e tutte ricevono il sigillo diquella giusta interpretazione, che viene data dalMagistero vivo e perenne della Chiesa. La recezionedei sette Sacramenti richiede, oggi più che mai, chei fedeli siano adeguatamente istruiti nella sacradottrina in misura della loro capacità e respon-sabilità. Non temano dunque i pastori a proclamare,né i fedeli a credere fermamente che: In nessunaltro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome datoagli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito chepossiamo essere salvati (At 4, 12).

Non meravigliamoci: la fermezza del dogma nonsconcerta soltanto la nostra epoca, ma turbò nonpoco gli stessi ascoltatori e discepoli di Cristo.Infatti, quando dopo il discorso eucaristico nellasinagoga di Cafarnao molti discepoli dissero alSignore Questo linguaggio è duro; chi puòintenderlo? (Gv 6, 60) già si anticipava quellaperenne diff icoltà della debole mente umana nelsostenere lo splendore del dogma rivelato, cheavrebbe accompagnato le successive vicende dellaChiesa. Ed anche il fatto che da allora molti dei suoidiscepoli si tirarono indietro e non andavano piùcon lui (Gv 6, 66) costituisce l’esordio delle troppee tristi defezioni degli eretici e scismatici, che hannooscurato il cammino storico del popolo di Dio. Mala Chiesa non deve temere. Proprio in questo fattoevangelico trova anche la risposta, l’unica che lapotrà risollevare in ogni diff icoltà. Essa, infatti, èsempre interpellata dal suo Signore con quelleparole apparentemente sconcertanti: Forse anchevoi volete andarvene? (Gv 6, 67). Ma, custodita dallapotenza divina, la Chiesa risponderà sempre con lerassicuranti parole di Pietro: Signore, da chiandremo? Tu hai parole di vita eterna! (Gv 6, 68).

2. La Chiesa deve conservare con assoluta fedeltà i‘Gesti’ istituiti dal Signore e trasmessi digenerazione in generazione dalla Tradizioneapostolica, i sette Sacramenti. Li deve difendere daogni riduzionismo o alterazione e li deve celebrarecon senso sacro e nobile forma. Tali ‘Gesti’ unitialla ‘Parola’ che li interpreta, non possono esserealla mercé dei privati, ma sono di esclusiva

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pertinenza della Chiesa, che li garantisce con autoritàsoprannaturale. Essi sono ricevuti dall’Alto econsegnati mediante la divina Rivelazione e nonpossono in alcun modo essere ‘costruiti’ volta a voltadalla fantasia dei fedeli o dalle situazioni contingentiin cui vengono celebrati. Benedetto XVI ebbeappunto a lamentare: “Il più grave impedimento peruna appropriazione pacif ica della rinnovata formaliturgica consiste nell’impressione che la liturgia siaora abbandonata alla propria invenzione”(RATZINGER J., La festa della fede, Jaca Book, 1990,p. 70, nota 8). La medesima cura con cui si rispettanoi termini linguistici assunti dalla Chiesa peresprimere, def inire e difendere il contenuto deldogma, deve essere impiegata verso i segni, i simbolie le parole che costituiscono i Sacramenti e neassicurano la reale trasmissione della vita di Grazia.Come il senso autentico del pensiero del Signore puòessere corrotto da un linguaggio teologicoimproprio, così l’eff icacia della Grazia può essereincrinata dall’alterazione soggettiva dei ritisacramentali ben def initi nella loro oggettività dalSignore e dalla Chiesa, sua sposa.

La ‘partecipazione attiva’ alle celebrazioni liturgichenon può mai percorrere la strada inf ida della‘costruzione soggettiva’ dei riti sacramentali, né daparte dei ministri, né da parte dei fedeli, ma consisteessenzialmente nella recezione cosciente ed umile enell’osservanza fedele del Diritto liturgico, così comela Chiesa lo ha trasmesso e sviluppato nellacontinuità con la perenne Tradizione liturgica. Comenon si inventa la fede, così non si inventano i mezzidivini della Grazia.

Ciò vale in modo assoluto per la parte di istituzionedivina, sulla quale la Chiesa stessa non ha alcunpotere, ma anche per quella di istituzioneecclesiastica, competendo soltanto all’autorità dellaChiesa def inire i riti. La Chiesa stessa inoltre indicanei libri liturgici le possibilità e le modalità diadattamento, che si ritenessero pastoralmenteopportune. Tuttavia tali indicazioni devono essererigorosamente rispettate e attuate con competenzae profondità spirituale.

In un’epoca di soggettivismo, di relativismodogmatico e morale, di sociologismo e materialismouna tale obbedienza e sottomissione ai Sacramentidella fede sembra impossibile a realizzarsi e latentazione di concedere qualcosa al mondo e alpensiero e costume dominante è forte. Tuttavia quista la sf ida posta davanti alla pastorale liturgica dellaChiesa. La scelta è ineluttabile e inderogabile:attingere eff icacemente alla Grazia o compro-metterla; avere la vita eterna o metterla a rischio.

La Chiesa da un lato deve obbedire sempre alcomando divino: Guarda, disse, di fare ogni cosasecondo il modello che ti è stato mostrato sul monte(Eb 8, 5); e dall’altro deve ripetere continuamente aisuoi f igli, talvolta riluttanti verso i Sacramenti, le

parole rivolte dai servi al lebbroso Naaman sdegnatocol profeta Eliseo e sul punto di andarsene: Se ilprofeta ti avesse ingiunto una cosa gravosa, nonl’avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto:Bagnati e sarai guarito (2 Re 5, 13).

3. La Chiesa, inf ine, nell’educare i suoi f igli edammaestrare tutti gli uomini, deve confrontarsi conle primissime parole evangeliche pronunziate dalSignore: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino(Mt 4, 17). Identiche sono quelle del Precursore (Mt3, 2). E ancora: Il tempo è compiuto e il regno diDio è vicino; convertitevi e credete al vangelo (Mc 1,15). Dello stesso tenore anche le parole di Pietro neldiscorso di Pentecoste in risposta alla domanda: Checosa dobbiamo fare, fratelli? (At 2, 37). E Pietrodisse: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzarenel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostripeccati…”. Con molte altre parole li scongiurava e liesortava: “Salvatevi da questa generazione perversa”(At 2, 38. 40).

L’odierna sf ida morale non può distogliere la Chiesadalla fedeltà a queste parole, certamente esigenti,ma colme di autentico amore per l’umanità decadutaa causa del peccato.

Se la Chiesa deve alzare la sua voce e ammonirecon le parole vigorose dell’Apostolo: Non illudetevi:né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati,né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, némaldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio (1Cor 6, 9-10), ciò lo compie col cuore di madre, chesuo malgrado deve annunziare la parola, insisterein ogni occasione opportuna e non opportuna,ammonire, rimproverare, esortare con ognimagnanimità e dottrina (2 Tm 4, 2) per la salvezzaeterna degli uomini. La salvezza delle anime è infattila sua suprema legge: Salus animarum suprema lex.E’ con l’animo colmo della misericordia del suoSignore, che la Chiesa parla ed esige. Non è la suauna posa di superbia, né una pretesa di dominio eneppure una cinica attestazione di insensibilitàall’abiezione e alle sofferenze umane, ma è piuttostocon una struggente apprensione materna che Ellaaccompagna i passi incerti di un’umanità, checontinuamente cade e tuttavia anela a risorgere.Come è possibile che si accolga di buon grado unadiagnosi anche grave di un medico sincero ecompetente riguardo al corpo e non si riconosca ilgrido desolato della santa Madre Chiesa, che daparte del Signore istruisce gli uomini sulle gravimalattie dell’anima, offrendo per di più i rimedisoprannaturali? Che giova infatti all’uomoguadagnare il mondo intero, se poi perde la propriaanima? (Mc 8, 36). Certo la Chiesa sa di non essereda più del suo Signore, perché un discepolo non èda più del maestro, né un servo da più del suopadrone (Mt 10, 33), e infatti, se molte volte ha lagrande gioia di udire da uomini toccati dalla Graziale parole di Zaccheo (Lc 19, 8), altre volte doveconstatare che altri uomini, dopo aver ascoltato

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l’annunzio, se ne vanno col volto triste come ilgiovane ricco (Mt 19, 22).

E’ il mistero insondabile della libertà umana!

Già presso la croce del Signore l’umanità si divise:da un lato la bestemmia, dall’altro la consegnaadorante: Gesù, ricordati di me quando entrerai neltuo regno (Lc 23, 42). E sappiamo bene che nelgiudizio f inale tale divisione sarà palese edef initiva: Venite, benedetti del padre mio, ricevetein eredità il regno preparato per voi f in dallafondazione del mondo… V ia, lontano da me,maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavoloe per i suoi angeli (Mt 25, 34. 41).

Il ricorso alla Grazia

Ed ecco le tre gravi sf ide che stanno davanti a noi:la sf ida dogmatica, la sf ida liturgica, la sf idamorale. Come affrontare un agone così tosto?Conf idando nella Grazia divina. Infatti: Nessunopuò venire a me, se non lo attira il Padre” (Gv 6,44)e: Senza di me non potete far nulla (Gv 15, 5). Unadottrina, un culto e una morale soprannaturalipossono essere accolte e realizzate soltanto colricorso ai mezzi soprannaturali:la fede viva e la frequenza aiSacra-menti. Senza l’interventodella Grazia ogni sforzo diventainsostenibile: né la ragionecomprende la Verità rivelata, néla religione accoglie i Misterisacramentali, né la morale è ingrado di capire e vivere iComandamenti divini. Se iSignore ha ritenuto di rendercipartecipi di una dottrina, unculto e una morale tantosublimi, ci dà anche l’intelligen-za per intenderli e la forza perviverli. Infatti: Sappiamo ancheche il Figlio di Dio è venuto e ciha dato l’ intelligenza perconoscere il vero Dio (1 Gv 5,20) inoltre Dio è fedele nonpermetterà che siate tentatioltre le vostre forze, ma con latentazione vi darà anche la viad’uscita e la forza per soppor-tarla (1 Cor 10, 13). La Chiesa sabene che davanti alla grandezzadelle rivelazioni (2 Cor 12, 7) nonpotrà mai dire: E’ acerba!, comedisse la volpe incapace dicogliere il grappolo d’uva, per-ché è consapevole di avere a suadisposizione gli infallibili stru-menti della Grazia: i Sacramen-ti, donde scaturiscono torrenti di

forza, della cui eff icacia coloro che vivono fuori dellaChiesa diff icilmente possono farsi una chiara idea(Pio XII, Discorso ai partecipanti al convegno del‘Fronte della famiglia’, 27 nov. 1951).

Certo la sacra Scrittura ci ammonisce in vista degliultimi tempi: Verrà giorno, infatti, in cui non sisopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito diudire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestrisecondo le proprie voglie, rif iutando di dare ascoltoalla verità per volgersi alle favole (2Tm 4, 3-4). Nonrichiamano queste parole anche quella confusionef ilosof ica, dottrinale, sociologica e morale, chestiamo attraversando?

Ma nel turbine della tempesta l’Apostolo ci offre pureuna chiara linea di condotta: Tu però vigilaattentamente, sappi sopportare le sofferenze, compila tua opera di annunziatore del vangelo, adempi iltuo ministero (2 Tm 4, 5); e san Cirillo di Gerusa-lemme nelle sue ‘Catechesi’ raccomanda: Io ticonsiglio di portare questa fede con te come provvistada viaggio per tutti giorni di tua vita e non prendernemai altra fuori di essa, anche se noi stessi, cambiandoidea, dovessimo insegnare il contrario di quel cheinsegniamo ora, oppure anche se un angelo del male,cambiandosi in angelo di luce, tentasse di indurti inerrore. Così “se anche noi stessi o un angelo dal cielo

vi predicasse un Vangelodiverso da quello cheabbiamo predicato, siaanatema!” (Gal 1, 8) [PG33, 519-523].

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Le domande dei lettoriA cura della Redazione

1. Oggi si sente parlare frequentemente di“inclusività”. Mi pare di capire che la parolasia una variante del termine “accoglienza”,delle diverse idee, posizioni culturali,tradizioni, ecc.. Un po’ come il “cercare ciòche unisce e non ciò che divide”. Anche isacerdoti parlano di “inclusività”, per esempioa proposito dell’ecumenismo e del dialogocon le altre religioni. Mi chiedo: fino a chepunto? E’ possibile mettere insieme idee deltutto opposte?

Il termine in questione ‘essere inclusivi anzichéesclusivi’ è certamente largamente usatosoprattutto in relazione alla massa delle opinionie dei comportamenti che oggi sembranotravolgere la società. Politici, sociologi edecclesiastici parlano di costruire ponti piuttostoche erigere muri. E’ il medesimo concettoespresso con altre immagini. Il clima di dialogosia ecumenico, sia interreligioso trova nel termine‘inclusivo’ un linguaggio idoneo al percorso versol’unità di tante componenti che con uncomportamento ‘esclusivo’ potrebbero suscitareattriti implacabili e incomprensioni maggiori.Indubbiamente anche Giovanni XXIII fu mossodalla carità evangelica nel raccomandare ciò cheunisce anziché quello che divide.

Tuttavia occorre argomentare su questo tema.Si pensi ad un altro binomio molto usato: aut-aut e et-et. Il primo è esclusivo: o-o; il secondo èinclusivo: e-e. In una visione superf iciale,conforme a gran parte dell’odierna mentalità,dovrebbe essere del tutto abbandonato l’aut-aute accettato unicamente l’et-et. Solo a questacondizione, si crede, si potrebbe costruire unaccordo sociale, culturale e religioso che rispondaalla situazione attuale di globalizzazione. In realtà,però, ambedue devono essere accolti con identicanecessità e dignità. Ma come comporre questobinomio, che raccoglie due particelle chesembrano escludersi a vicenda? Nel processo diricerca e determinazione della verità si devericorrere all’aut-aut. La verità, infatti, è una solae si oppone all’errore. Non è possibile comporreinsieme vero e falso, bene e male, Dio e il diavolo:Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustiziae l’iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre?Quale intesa tra Cristo e Beliar o qualecollaborazione tra un fedele e un infedele? Qualeaccordo tra il tempio di Dio e gli idoli? (2 Cor 6, 14-16). Essi sono radicalmente opposti e maipotranno accordarsi. Una presunta lororiconciliazione implicherebbe la negazione e il

tradimento della loro stessa identità: Guai a coloroche chiamano bene il male e male il bene, checambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, chedanno l’amaro per dolce e il dolce per amaro! (Is 5,20). Chiunque fa un uso sano della razionalità sa beneche il ‘principio di non contraddizione’ è im-mediatamente evidente ed è così basilare nellastruttura intrinseca del pensiero, che mai potrà essereritenuto superato. Ciò implicherebbe la negazionedella stessa razionalità e indurrebbe nella terribileconfusione del relativismo irrazionale, dove ognisicurezza crollerebbe e saremmo travolti dai vorticidell’eff imero nichilista. La Chiesa quindi nelle solennidichiarazioni dogmatiche, con la quali stabilisce inmodo def initivo i limiti tra la verità e l’errore, impiegal’aut-aut e lo esprime in formule precise, redatte contermini teologici, tecnici, essenziali e il più possibileinequivocabili. Anche negli altri atti del Magistero,la Chiesa, soprattutto quando espone questioni difede e di morale, adotta l’aut-aut per insegnare inmodo chiaro il dogma e difenderlo da falseinterpretazioni. Essa sa bene che solo la Veritàedif ica e libera, ma a prezzo di un continuocombattimento, che divide i f igli della luce dai f iglidi questo mondo (Lc 16, 8), secondo il monito delSignore: Non pensate che io sia venuto a portare pacesulla terra; non sono venuto a portare una pace, mauna spada (Mt 10,34). La spada di Gesù è quella dellaparola di Dio, che è viva, eff icace e più tagliente diogni spada a doppio taglio; essa penetra f ino al puntodi divisione della vita e dello spirito, f ino alle giunturee alle midolla e sa discernere i sentimenti e i pensieridel cuore (Eb 4,12). L’aut-aut dichiara questa lotta eimpedisce alla Chiesa di percorrere le strade inf idedi un relativismo irenico e di un pacif ismo eff imero.

Diversamente, entrati nell’orizzonte della verità erimanendo nel suo recinto sicuro, si dovrà ricorrerenecessariamente all’et-et per riconoscere e comporreinsieme tutti quei molteplici aspetti e quelle logichededuzioni, che formano il prisma variopinto e laricchezza insondabile della verità stessa, che è tuttaviapriva di ogni interna contraddizione e unita in ognisua parte da un’indefettibile coerenza, pur nel suoinarrestabile sviluppo. In tale contesto si svolge ilMagistero ordinario della Chiesa, che si caratterizzaper la genialità con cui sa comporre in unità ogniaspetto dell’unico dogma della fede, senza faciliriduzioni e nella complementarietà delle sue parti.Questo singolare equilibrio è il segno che distinguel’ortodossia cattolica da ogni altra dottrina settaria ederetica, che nell’ambito dell’unica e universale verità,impiega indebitamente l’aut-aut, eliminando partisostanziali del Deposito della fede. Ecco in che sensogiustamente si esalta l’et-et cattolico, rispetto all’aut-aut eretico. Insomma nessuna soppressione dell’una odell’altra particella, ma piuttosto chiarezzanell’assegnare il loro specif ico ambito di impiego enel determinare il loro proprio ruolo nell’itinerarioverso la verità.

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2. Da diversi decenni si mette l’accento sulla“Parola” e in parrocchia il gruppo della Parolaè il più prestigioso. Anche nella Messa laliturgia della Parola sembra essere la parte piùimportante al punto che spesso la liturgiaeucaristica scorre via come una questione diorologio. Sembra che i Sacramenti sianosecondari e molti li hanno dimenticati anchenella pratica. E’ questa la strada giusta, oppuresi deve ritornare a parlare anche dei Sacra-menti?

Innanzitutto è necessario intendere nel modo giustocosa si intenda per Parola di Dio. Essa è contenutanon solo nella sacra Scrittura, ma anche nella sacraTradizione e l’una e l’altra devono essere interpretatesecondo il Magistero perenne della Chiesa (cfr. DV10). Diversamente si cadrebbe nella visione riduttivaprotestante (sola Scriptura), che oggi è piuttostodiffusa anche fra i cattolici. Inoltre è necessarioricordare che l’integrità della stessa sacra Scritturaè stata salvata dal Concilio tridentino, che def inendoil Canone dei libri ispirati, contrastò la riduzioneprotestante, che escluse parte dei libri biblici, comequello della Sapienza e del Siracide, secondo il canoneebraico.

Certamente il rilievo dato all’ascolto liturgico dellaParola di Dio è una intelligente disposizione del

Concilio Vaticano II, frutto del movimento biblicoe liturgico degli ultimi secoli. Tuttavia non si credache la Chiesa in precedenza sia stata estranea allaParola di Dio, che ha sempre ispirato in tutti i secoli,pur con modalità diverse, sia il Magistero, sia lapredicazione. Si leggano in proposito i monumentaliDecreti dei Concili ecumenici e le grandi Enciclichedei Sommi Pontef ici e inoltre le omelie dei Padri,gli scritti dei Dottori della Chiesa, le visioni deimistici e la parte migliore della stessa predicazionepopolare.

La relazione della Parola con i Sacramenti èstrettissima, anzi possiamo dire che la Parolamanifesta la sua più intensa eff icacia proprio neiSacramenti ed essi realizzano il momento piùincandescente della Parola di Dio. Mai come nei setteSacramenti la Parola diventa infallibilmente eff icacee creativa. Si pensi agli effetti soprannaturali delleformule sacramentali, che sono la quintessenza dellaParola di Dio, qui ed ora operante la nostrasantif icazione. Contrapporre Parola e Sacramentoè un non senso, perché il Sacramento è la stessaParola in atto creativo nell’ordine della Grazia.Affermare che il def icit dei cattolici sia una minorconsiderazione della Parola e una eccessivavalutazione dei Sacramenti è totalmente erroneo, inquanto sono proprio i Sacramenti il verticeinsuperabile dell’eff icacia salvif ica della Parola di Dio.

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Senza di essi la Parola rimane priva della suapienezza operativa.

Quando il sacerdote dichiara: Io ti battezzo… Io tiassolvo… Questo è il mio corpo…, che altro dice senon la Parola del Figlio unigenito, che nella potenzadello Spirito Santo proclama e produce realmentele meraviglie della nuova creazione? Non è lamedesima Parola che Dio disse in principio: Fiatlux… et lux fuit?

Certo ogni volta che viene annunziata la Parola diDio un segreto flusso di Grazia pervade i cuori degliascoltatori, che sono chiamati alla fede e allaconversione. Ma dopo aver udito quel primoannunzio è necessario un secondo tocco dellaParola, che nel Sacramento ti dona ciò che prima tiaveva promesso: Chi crederà e sarà battezzato saràsalvo (Mc 16, 15). E’ nel Sacramento quindi che laParola ci rende partecipi della natura divina (2 Pt 1,4).

3. In occasione delle feste mi sono recata inchiesa per la confessione. Un giovane sacer-dote, del tutto secolarizzato, pretendeva che ipresenti si confessassero sedendo accanto alui in un comune banco della navata. Non c’èstato modo di ottenere un posto più idoneo eallora ho cambiato chiesa… Ma, dico, laconfessione non è un sacramento e dove stala sua dignità… e il rispetto per i fedeli?

Dobbiamo purtroppo riconoscere che troppo spessoi fedeli e le comunità cristiane si trovano a subireuna liturgia alquanto sf igurata dagli abusi, che noncorrisponde alla forma autentica stabilita dallaChiesa nei suoi libri liturgici. Il fatto provoca nonraramente un’accusa ingiusta al Concilio VaticanoII come causa di tali ambigue applicazioniliturgiche. In realtà è questo costume abusivo checolpisce il Concilio e oscura notevolmente la bontàe l’equilibrio della liturgia rinnovata. In particolaresi nota una superf icialità pericolosa nell’ab-bandonare i luoghi celebrativi stabiliti per l’ordinariaamministrazione dei Sacramenti, facendo diventarenorma l’eccezione.

Il Sacramento della Penitenza ha un suo specif icoe tradizionale luogo celebrativo, il Confessionale,che mantiene la sua validità, pur con l’attenzione arenderlo il più possibile idoneo ad una degnaamministrazione del Sacramento della Ricon-ciliazione. Esso non solo garantisce la riservatezzadel ministro e del penitente, consentendo lasegretezza e il riserbo, ma conferisce dignità sacraall’atto sacramentale. Non a caso la tradizione hadecorato con una mirabile arte il Confessionale,rendendolo luogo santo e specchio del misterosoprannaturale, che vi si celebra. E’ necessario quindiche il Sacramento sia amministrato nel luogo suoproprio e che il ministro indossi sull’abitoecclesiastico gli indumenti prescritti. La Confessione,

infatti, non è un dialogo amicale o un consultoterapeutico, ma un Sacramento, nel quale ilsacerdote in persona Christi accoglie conmisericordia, ascolta con carità, pronunzia ungiudizio, impone un itinerario penitenziale eassolve con autorità divina: Ricevete lo SpiritoSanto; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi ea chi non li rimetterete resteranno non rimessi (Gv20, 22-23). Tale mistero non può essere percepitoin un contesto spontaneistico e secolarizzato, manecessita dei segni specif ici del ‘sacro’, che rivelanoe richiamano esteriormente la presenza del Signoree del suo intervento di salvezza.

La grata, tanto vituperata da alcuni, mantienecomunque il suo valore nel rispetto dei sentimentie dello sguardo del penitente oltre che delsacerdote. Anch’essa può contribuire a creare quel‘velo’ che avvolge il mistero e che distoglie da unaconsiderazione troppo umana, sia del ministro cheassolve, sia del penitente che si accusa. La tendenzaa togliere ogni ‘velo’ nella santa liturgia nonrappresenta certo un progresso, ma conduce aduna crescente superf icialità, sia nel rapporto conDio e il suo mistero, sia nel rispetto della persona edell’insondabile segreto dell’anima.

Sarà quindi necessario, da un lato il restauro e l’usodei Confessionali storici in continuità con latradizione; dall’altro la realizzazione di nuoviConfessionali, che non siano unicamentefunzionali e confortevoli come un qualunque luogodi accoglienza, ma abbiano la forma e i segni propridi un luogo sacro, che suscita la preghiera,favorisce il silenzio, consente il gesto penitenzialedel porsi in ginocchio e permette di celebrare ilSacramento in modo conforme alle normeliturgiche.

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“Con i Sacramenti non sischerza”Intervista a mons. Nicola Bux

In relazione al tema di questo nostro numero dellarivista: La celebrazione dei Sacramenti, segnaliamoai lettori un recente libro di Monsignor Nicola Buxdal titolo: Con i sacramenti non si scherza, ed.Cantagalli, 2016. Il libro è avvalorato dalla prestigiosaprefazione di Vittorio Messori, che fra l’altro afferma:«Alla base di tutto quanto succede nella Catholicaormai da decenni, c’è […] quella “svolta antropo-centrica che ha portato nella Chiesa molta presenzadell’uomo, ma poca presenza di Dio”. La sociologiainvece della teologia, il Mondo che oscura il cielo,l’orizzontale senza il verticale, la profanità che scacciala sacralità».

A mons. Bux abbiamo rivolto alcune domande percogliere in ognuno dei sette sacramenti almeno unaspetto su cui riflettere e lavorare per una maggiorequalif icazione celebrativa. A Lui un cordialeringraziamento, sia per il dono del suo libro, sia perquesta intervista concessa alla nostra Rivista, che quiproponiamo ai nostri lettori.

DOMANDE

Con i sacramenti i fedeli sono messi «faccia afaccia» con Cristo. Cosa vuol dire?

In occasione del 50° della Costituzione liturgica delconcilio ecumenico Vaticano II, alcuni hannosostenuto che è cambiato il volto della Chiesa, perchéquesta avrebbe riscoperto una visione teologico-biblica che la liturgia precedente non aveva. Ma, bastaleggere i n. 5-7 della Sacrosanctum Concilium, peraccorgersi che si rifanno all’ Enciclica Mediator Dei,di Pio XII, la quale rilancia proprio quella visione,attraverso la ‘forma’ oggettiva della liturgia, ossia lecerimonie o riti che dir si voglia; questi termini,indicano l’ordine esigito dal rapporto dell’uomo conDio, supremo ordinatore, rapporto che si esprimemassimamente nel culto; l’ordine, l’ordo o rito, nonsta in piedi senza l’apparato giuridico-rubricale. E’curioso che si parli di rito anche per il processo civilee penale: la non osservanza delle procedure, lo rendeinvalido. Sant’Ambrogio è certo che nei sacramenti,di cui consiste essenzialmente la liturgia, noi stiamo‘faccia a faccia con Cristo’, perché attraverso i riti ele preghiere lo ascoltiamo, lo vediamo, lo tocchiamo,lo percepiamo e lo gustiamo mediante i nostri sensi,tramite i quali il nostro spirito è alimentato e vive.Chi sa di dover stare ‘faccia a faccia’ col Signore delCielo e della terra, come oserebbe disprezzare il

diritto divino e il diritto liturgico checostituiscono le sponde per non caderenell’idolatria?

Se i liturgisti, a cinquant’anni dal VaticanoII, ritengono che “il problema numero uno peruna recezione fruttuosa della riforma era e rimanetuttora quello della formazione a tutti i livelli”,vuol dire che questa non ha riformato, cioè ridatoforma alla forma di cui sopra, ma addirittura l’hade-formata qui e là, o per stare all’immagineproposta da Joseph Ratzinger, essa è stata unrestauro aggressivo, per cui abbiamo rischiato diperdere l’ “affresco” della liturgia romana. Laprima formazione del cristiano viene dalla stessaliturgia: se questa è deformata, essa non avviene.E si comprende pure la fatica dei preti, ai quali èstata demolita la sponda delle vituperate rubriche– il ritus servandus – che garantiva la formaoggettiva e si è preteso che i contenuti teologici,catechetici e pastorali della liturgia potesserougualmente fluire ed essere ritenuti ‘normativi’.La causa è nell’idea che il nuovo rito dovevaapparire completamente diverso dal precedente.La prova della necessità della ‘norma’ è data dalfenomeno che, anche i nuovi libri liturgici, hannoincuriosito, come gli antichi, per le novità rituali;così il serpente si è morso la coda.

Lo stare faccia a faccia con Cristo neisacramenti, in specie l’eucaristia, costituisce la vera‘partecipazione attiva’, che è data innanzitutto dallacoscienza d’essere parte del suo corpo, prima chedi svolgere una parte. Quando ci si duole degliabusi che si attribuiscono alla mancata forma-zione, si dovrebbe riflettere su questo.

Il battesimo è la «tessera» per il paradiso.Qual è oggi la sua maggiore criticità sulpiano celebrativo?

Talvolta – da un po’ di tempo sempre meno – simette in risalto l’invasione del secolarismo nellateologia e nella pastorale, quindi nella liturgiariformata dopo il concilio Vaticano II. I liturgistipostconciliari si sono illusi di aver ‘riconciliato’ laliturgia con le istanze della modernità, ed averlaintrodotta nella postmodernità; perciò ritengonoche le tendenze a ritornare al ‘passato’ – chericonducono a una prassi liturgica formalistica,scivolante nell’esteriorità e nello spettacolare – siidentif ichino con l’antica liturgia. Non si sonoaccorti che la nuova, dove la fanno da padronil’intrattenimento, l’animazione, il protagonismodi preti e laici, è ben più esteriore e spettacolare!Proprio questo ha f inito per mettere al centrol’uomo ed estromettere Dio, in nome deimutamenti antropologici. Così, proprio ilbattesimo è diventato il rito d’entrata nellacomunità, che è in parte vero, ma non nella Chiesacattolica, in terra e in cielo: se il battesimo non

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servisse a salvarsi, ad arrivare al Cielo, a cheservirebbe? Ecco, a mio avviso, il punto critico.

La cresima è «l’allenamento alla lotta nelmondo». Che cosa non va?

Lo Spirito Santo – è stato scritto – è il grande assentedalla teologia cattolica, anzi dalla liturgia, dovesarebbe entrato di soppiatto e per caso a conclusionedell’art 6 di Sacrosanctum Concilium. Questo slogandi teologi e pastori nasconde, a mio avviso, ladimenticanza dell’Incarnazione del Verbo, il nonvolere fare i conti con Gesù Cristo, l’unto di SpiritoSanto. Diceva Balthasar che lo Spirito non vuol quasiessere adorato, ma adorare in noi il Padre, per,con e in Gesù Cristo.

Si sa che all’origine della testimonianza darendere a Cristo nel mondo, a cui laConfermazione abilita, c’è lo Spirito, nella cui unitàsussiste la Chiesa cattolica. Ora, qualche storicodella liturgia, ritiene che la pluralità dei riti, e delleforme all’interno di uno stesso rito, non attentiall’unità della Chiesa. Questo è vero, se il rito e lesue forme esprimono la lex credendi della Chiesacattolica,altrimenti contribuiscono alla divisione.A questo son stati sempre molto attenti i Padri.Una cosa è l’unità del rito come quello romano,altra cosa sono le consuetudini che possono esserediverse all’interno di questa unità di fede che ilrito deve manifestare. Questo, afferma laCostituzione liturgica, è possibile quando non èin questione la fede (cfr Sacrosanctum Concilium37-38): a cinquant’anni di distanza, non è essa adessere in questione? Il passaggio di una ‘unitàliturgica’, per es. il Canone Romano, dall’Egitto aRoma, nel senso che è stata tradotta la paleo-anafora alessandrina; oppure, la ricezione a Romae Milano del memento dei morti, della liturgiacappadoce, attribuita a san Basilio,sono esempi di

arricchimento, solo perché illustrano l’unica fede.Proprio il timore che l’eresia – che porta poi alloscisma – arrivasse attraverso il rito, ha indotto laSede Apostolica, a istituzionalizzare la liturgia, nelsenso di regolarla giuridicamente, in modo darenderla normativa e ridurre il rischio diinterpretazioni ‘creative’ che potessero snaturarla.Non è scontato che i sacerdoti abbiano la capacitàmistica per comporre testi ‘cattolici’, cioè cheesprimano quella fede che “sempre, dovunque eda tutti” deve essere professata. La ragione sta nelfatto che il culto si chiama anche ‘liturgia’ perchéè azione del popolo, cioè un atto pubblico, nonprivato come una pratica di pietà; per questo lochiamiamo culto della Chiesa. Non è ‘f issismogiuridico’.

L’ eucaristia ci mette «alla Sua presenza». Vatutto bene? Dove intervenire per migliorare?

Si accusa l’antica liturgia di essere barocca, maquella attuale non è diventata rococò? Laprocessione offertoriale, con di tutto e di più inessa, e la colluvie di interventi e monizioni di pretie laici nella Messa e nei sacramenti, esprimono la‘nobile semplicità’ (Sacrosanctum Concilium 34)?E’ più teatrale la Messa in cui sacerdoti, ministri efedeli sono tutti orientati in modo composto versola Croce o l’Oriente, oppure quella in cui il pretecol microfono scende nell’assemblea come unconduttore televisivo? Se la liturgia del passato eraopus cleri, quella odierna lo è di meno? Se quellaavveniva nel silenzio ‘arcano e sacrale’, l’attuale nonè soggetta alla dittatura del rumore, con la vocealta – che non è lo stesso che ‘chiara’ – gli applausie l’ilarità? Altro che stupore,accoglienza, ado-razione e azione di grazie! Si è pensato di annullarela distanza tra Dio e l’uomo, demolendo la balau-stra tra presbiterio e navata, ma si può annullare ladistanza tra il cielo e la terra? Sì, se si riceve Gesù

Cristo Dio e Uomo, l’unico che rende attualela liturgia; no, se si ritorna al deismo, innome dell’indifferenza tra le religioni. Cosìnon va bene.

Poi, c’è chi sostiene che il ‘cerimoniale’sviluppatosi nel medioevo,abbia allontanatoi fedeli dalla comprensione della liturgia,favorendo l’interpretazione allegorica dei ritiche farebbe appello alla fantasia dei fedelipresenti (cfr E.Mazza,Vita pastorale, cit., p.59) al f ine di riconoscere nella maestositàrituale e del tempio, la maestà divina. Ma,non è la liturgia cristiana erede di quellagiudaica, quindi anche dei riti e del tempiodi Gerusalemme, che si svolgevano davantialla Shekinah, alla Presenza divina? Forse laliturgia odierna, con la ‘nobile semplicità’disdegna appunto la nobiltà che viene dalcerimoniale e dai luoghi di culto artistici?Epoi, per esprimere meglio l’obbedienza a Dio,aver adottato nella liturgia romana la

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genuflessione e le mani giunte, gesti dell’omaggiofeudale e della sottomissione al sovrano,non è unesempio di ‘inculturazione’ già nel medioevo? Siritiene, inoltre, che la devotio moderna sia peggioredella devotio antica, in quanto avrebbe sancito ildivorzio tra la preghiera personale e la liturgiapubblica, non solo, ma anche favorito l’allegorismoa partire dagli elementi visivi dei riti e appellandosialla fantasia. Ma, se il rito comunitario non favorissela preghiera personale,a cosa servirebbe? E poi, chiconosce le liturgie orientali, in specie bizantina, sache nel V secolo, Teodoro di Mopsuestia proponeval’interpretazione allegorica ispirata alla visione dellaGerusalemme celeste nell’Apocalisse. Perchèritenere che la pastorale della devotio moderna,imperniata “nel soddisfare l’obbligo di accostarsi aivari sacramenti”, non attingesse alla liturgia: nonha detto il Signore che chi non sarà battezzato nonsarà salvo? Non è un comando: “Fate questo inmemoria di me”? L’intimismo religioso o ildevozionismo, che la riforma liturgica postconciliareavrebbe superato, è rimpiazzato oggi dalla“creatività selvaggia” e “dal culto dell’emozione”.Dunque, la domanda da porsi è questa: parteciparealla liturgia è introdurre nel mistero? Se è così, lapreghiera personale è il segno dell’avvenuta entratain esso della persona.

La riconciliazione: «confessarsi per conver-tirsi». Ma quante insidie a questo sacramento!

C’è chi ha scritto che l’unica novità osservabile nellacelebrazione del nuovo rito del sacramento dellapenitenza, sembra la sua vistosa diminuzione.Tanto si è insistito sulla partecipazione attiva, chealla f ine si è perduto il principale atto dipartecipazione alla sequela di Cristo, che è laconversione.

La partecipazione attiva,passando per ritus etpreces, non è innanzitutto né soprattutto esterna,ma interiore perché mistagogia della fede. SanPaolo non poteva esprimerlo meglio che esortandoa offrire noi stessi in sacrif icio spirituale, nonconformandoci alla mentalità mondana (cfr Rm12,1), come postula la Mediator Dei e il movimentoliturgico che l’ha preceduta. Invece, è proprio delmodo odierno di impostare la liturgia, lapreoccupazione di far fare qualcosa ai fedeli. I ritie le preghiere sono la via e il mezzo dellapartecipazione, ma ciò a cui si partecipa è il ‘misterodella fede’: la morte e la risurrezione del Signore;alla morte e sepoltura col battesimo e il sacramentodella penitenza, e alla risurrezione con l’eucaristia.Se i biasimati medievali e i vituperati devotimoderni, non avessero avuto tale senso teologicodella liturgia, non avremmo avuto Francesco,Caterina, Ignazio, Teresa, Alfonso,Newman, ecc. Sì,a tale partecipazione si arriva con la conversione el’imitazione di Cristo: è questo il diff icile. Dunque,non si tratta di contrapporre esteriore ed interiore,perché “è l’azione rituale nella sua concretezza e

corporeità,il luogo della partecipazione integrale almistero”(M.Augé, Vita pastorale, cit.,p.63).

Senza la confessione dei peccati, che è lariforma permanente della nostra vita, diventaimpossibile “mettere in atto la riforma del VaticanoII”; e non “perché la nostra cultura liturgica è troppodistante da quella della Chiesa delle origini. Troppodiversa,” altrimenti saremmo di nuovo all’archeolo-gismo.

L’unzione degli infermi è «la benefica unzione»della Grazia. Sacramento dei malati obenedizione per tutti?

Se la riforma liturgica, dopo il Concilio, sia stataeffettivamente applicata, è una questionepermanente tra i liturgisti: sono insoddisfattidell’applicazione della stessa, perché, dicono, “ilpopolo non partecipa”. Sono arrivati anche adenunciare la mancata riflessione sulla dimensioneantropologica della liturgia, che avrebbe portato dauna parte alla negazione del rito e, dall’altra, al suoesasperato e feticistico f issismo. Che dire? Proprioil sacramento dell’unzione esalta questa dimensione– nonostante non la si chiami “estrema”, èugualmente raro vedere al capezzale del moribondoil prete – nel momento della debolezza corporea: èil sacramento per i deboli (in latino: inf irmus): gliinfermi. L’”Olio di consolazione” può esserepreceduto dalla confessione dei peccati e seguitodal Viatico; tale itinerario di guarigione, dimostra,senza ricorrere allo slogan “la liturgia è per l’uomoe non l’uomo per la liturgia”, che questa deve aiutarel’uomo ad arrivare a Dio, per ottenere la salvezza.

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L’ordine sacro «per consacrare il mondo». Undono dall’alto o un incarico sociologico?

Una visione e un esercizio del ministero – si èauspicato da taluno – meno sbilanciati sullacristologia e quindi sull’istituzione. Che vuol dire?Benedetto XVI scrive: “Il sacerdote è più che maiservo e deve impegnarsi continuamente ad esseresegno che, come strumento docile nelle mani diCristo, rimanda a lui. Ciò si esprimeparticolarmente con l’umiltà con la quale ilsacerdote guida l’azione liturgica, in obbedienzaal rito, corrispondendovi con il cuore e con lamente, evitando tutto ciò che possa dare lasensazione di un proprio inopportuno protago-nismo”(Sacramentum Caritatis 23).Il rito vainterpretato nel senso di adoperare le possibilitàdiverse offerte dal libro liturgico. Ma l’idea diadattarlo alle circostanze e ai partecipanti, hafavorito gli abusi e la cosiddetta creatività, e riduceil libro a un ‘copione’, contraddicendo l’oggettivitàdella liturgia pubblica e avvicinandola alladevozione privata di singoli e gruppi. Mi domando:non sono costoro a doversi ‘adattare’ alla liturgiadivina? L’adattamento è una idea tutta occidentale,estranea alle liturgie orientali: è l’uomo che si deveelevare a Dio, il quale già si è abbassato conl’incarnazione, la katabasi che la liturgiaripropone. La liturgia è la forma dell’incarnazionee redenzione del Signore, non una ‘performance’,o esibizione improvvisata. Proprio questa idea faeludere le norme, e disprezzare i diritti di Dio nelculto a lui dovuto, giungendo agli “abusi, anchedi massima gravità contro la natura della liturgiae dei sacramenti”(Istruzione RedemptionisSacramentum 4).Siamo alla situazione odierna.

Checché ne pensi qualche liturgistamodernista, il ritus per essere celebrandus deveessere servandus. Dice Gesù: “Chi è più grande:chi è a tavola o colui che serve?” Egli si è fattoservo e anche noi lo siamo e serviamo la liturgia,come indicano i termini usati: ministro, accolito,diacono. Invece, ha molto nociuto al servizio dellaliturgia, che questa debba essere “animata”; se laliturgia esprime l’obbedienza della fede, ha giàl’anima che è data dalla Presenza del Signore, e vaservita; questo ci rende f igli del Padre, come ilFiglio.

Qualcuno pensa che nella liturgia precedenteil Concilio, ci si rivolgesse a persone giàevangelizzate, sicché non ci fosse bisogno di gesti‘chiari’; in verità la liturgia è stata sempre unannuncio, ma nessun annuncio nella Scrittura è‘chiaro’, secondo le categorie razionali,e così laliturgia non può non essere “misteriosa”. Anche laliturgia attuale, sebbene la si ritenga in genereaccessibile e comprensibile, non è capita da molti.Certo, il popolo è una presenza accessoria rispettoal Protagonista, al quale è rivolta in def initiva laliturgia. Dunque, nessuna “cortina fumogena” è

stata interposta tra la liturgia e il popolo. Vero è,invece, che “la liturgia è come un albero, che èappunto cresciuto nel clima mutevole della storiamondiale, che ha conosciuto momenti di tempestae periodi di f ioritura, il cui sviluppo avviene dal didentro, dalle forze vitali dalle quali è germinato”(J.A.Jungmann, Eredità liturgica e attualità pastorale,Milano 1962, p 556-557).Il sacerdote,che porta nelsuo etimo il pref isso sacer, che sta a ricordare il donoricevuto dall’alto, deve appunto consacrare il mondoe non conformarsi ad esso.

Il matrimonio «elevato a sacramento». E’ an-cora un rito dove Dio è presente e operante?

E’ paradossale che, nel nostro tempo che vede ilformidabile attacco all’istituto matrimoniale, conl’impressionante diminuzione di matrimoni inchiesa, l’attenzione dei riformatori della liturgia, sisia concentrata sulle epiclesi nelle quattro formuledella benedizione nuziale, che inizialmente non loprevedevano. Penso sia imputabile, anche in questocaso, alla teoria dello Spirito Santo ‘grande assente’.E’proprio vero, che ridottasi la base imponibile deifedeli che frequentano la chiesa, si sono moltiplicatea dismisura le ‘istruzioni per l’uso’.

Mentre incombe il relativismo sulla verità dellacreazione dell’uomo e della donna, quindi sullaconcezione della coppia cristiana, mi sembra si debbainvece esaltare proprio l’elevazione a sacramentovoluta da nostro Signore, secondo il passo paolinodi Ef 5, che lo assimila al mistero del rapporto diCristo con la Chiesa. Senza nulla togliere allo Spirito

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Santo, che insieme al Padre opera la santif icazione inogni sacramento, qui è innanzitutto Cristo ad esserepresente, come alle nozze di Cana, per mostrare lanovità dell’amore coniugale: bere il suo sangue, il “vinonuovo” che ha portato all’umanità. Così, nelmatrimonio cristiano, la verità della creazione siunisce alla verità della redenzione, come insegnaGiovanni Paolo II.

I sacramentali: «l’estensione del senso sacra-mentale». Perché le benedizioni in una societàsecolarizzata?

Si dice che l’esperienza del sacro è ambigua, perchél’uomo per un verso ne è attratto, per un altro atterrito,vuoi avvicinarti e toccarlo, hai timore e desideriallontanarti: è il mistero che cogli quando chiudi gliocchi(etimologia del termine greco myo)e non quandoli apri; ma quando li apri, devono posarsi su unaforma(rito e parola) che riconducano al mistero. Ilsenso religioso dell’uomo di tutti i tempi e di tutte lereligioni, desiderava Dio e cercava un suo oracolo. Ilsacro era ambiguo al tempo dei pagani, è ambiguo intutte le religioni, ma non nel Cristianesimo: da quandoil Verbo si è incarnato, il sacro si è fatto incontrare edè presente – è il mistero – il Santo, ben separato dalmondo, nella sua grandezza si è fatto il Dio vicino.

Per questo, il Motu proprio SummorumPontif icum invita a celebrare il Novus Ordo “congrande riverenza in conformità alle prescrizioni”;infatti, il venire meno di tale riverenza e la necessitàdi riconquistarla, ha indotto a ricorrere al Vetus Ordo.La sacralità dipende dalla riverenza, come insegnaTommaso: “totus exterior cultus Dei ad hoc praecipueordinatur ut homines Deum in reverentia habeant”(S.Th.I-II, q.10 2, a.4 co): la celebrazione del cultodivino è ordinata soprattutto a inculcare negli uominila riverenza verso Dio. E’ questa l’ars celebrandi, che“deve favorire il senso del sacro e l’utilizzo di quelleforme esteriori che educano a tale senso,come, adesempio,l’armonia del rito, delle vesti liturgiche,dell’arredamento e del luogo sacro”(SacramentumCaritatis 40). La coscienza del mistero che vienecelebrato fa percepire il sacro, cioè la Presenza divina.Così abbiamo la vera liturgia, che nasce dall’atto difede e ad un tempo la nutre. Perciò, la Chiesa ha volutoestendere il senso sacramentale a molteplici aspettidella vita, per aiutare l’uomo a cogliere la vicinanza diDio: le benedizioni, gli esorcismi, le esequie, leprocessioni...Il profano si sottrae al sacro, ma siconfronta sempre con esso e se non è conquistato,tende a crearsi un suo cerimoniale, come si puòconstatare nell’inimmaginabile scristianizzazione checaratterizza l’Occidente. Purtroppo la secolarizzazioneha trovato sponda proprio nel neomodernismo cheha conquistato ampi settori della Chiesa. Nonostantetutto, però, il fenomeno della pietà popolare attesta laricerca del senso cristiano della vita, che è alimentatoe sorretto solo dai sacramenti e dai sacramentali.

I sacramenti, Maria e la vitasoprannaturale

“La Chiesa è prima di tutto un mistero,come ci ricorda fra l’altro la costituzionedogmatica Lumen Gentium del ConcilioVaticano II, il cui primo capitolo... La Chiesaè un mistero perché sotto le apparenzesensibili nasconde una realtà profonda, eprecisamente la vita divina della grazia. LaChiesa è un corpo vivente che ha una suavita, la vita soprannaturale della grazia,grazia da cui promanano le virtù sopran-naturali infuse, soprattutto le virtù teologalidella fede, speranza e carità.

In questo senso la Chiesa ha il suo mo-dello perfettissimo nella Beata VergineMaria. Nel capitolo VIII della Lumen Gen-tium, dove il Concilio parla della BeataVergine Maria madre e modello dellaChiesa, leggiamo, al n. 64, queste bellissi-me parole: «La Chiesa è essa pure la ver-gine che custodisce integra e pura la fededata allo Sposo, e a imitazione della madredel suo Signore, con la virtù dello SpiritoSanto, conserva verginalmente integra lafede, solida la speranza, sincera la carità».E poco più avanti, al n. 65, leggiamo: «LaChiesa, mentre persegue la gloria di Cristo,diventa più simile alla sua eccelsa figura,cioè alla Vergine Maria, progredendocontinuamente nella fede, nella speranzae nella carità». Per cui si può corret-tamente dire che la Chiesa vive di fede, disperanza, di carità. Ma c’è anche un altroaspetto della Chiesa.

La Chiesa infatti imita la Beata VergineMaria non solo nella sua integrità verginalee nella sua fedeltà al suo unico Signore,ma anche nella sua maternità. Sentiamoancora il Concilio: «La Chiesa, imitando laBeata Vergine Maria, diventa essa puremadre, poiché con la predicazione e ilbattesimo genera a una vita nuova eimmortale i figli, concepiti per opera delloSpirito Santo e nati da Dio».

Proprio così, la Chiesa è Madre. Non sidiceva un tempo «la Santa MadreChiesa»?; oggi purtroppo lo si sente diremeno. La Chiesa è veramente nostraMadre perché ci genera alla vita dellagrazia con il battesimo, perché ci nutre eci santifica con gli altri sacramenti, perchéci guida sulla via della salvezza medianteil suo insegnamento”. (da R. COGGI,Conversazioni sui sacramenti, I, ESD,Bologna 208, pp. 8-11)

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Il canto dell’assembleanella celebrazioneliturgicaMo. Aurelio Porf iri

Uno dei temi portanti della riforma liturgicasuccessiva al Concilio Vaticano II è stato quello difar partecipare più intensamente l’assemblea alcanto durante la celebrazione liturgica in nomedel concetto di partecipazione, così caro ai fautoridella riforma. Ora, certamente questo è unconcetto di grande importanza e lo scopo è anchenobile e va anche dovutamente coltivato.Purtroppo, come è avvenuto per altre cose, si èfatto di questa partecipazione non un concettopositivo, ma un’arma contro qualcos’altro, il coro,la cappella musicale, la musica facente parte delpatrimonio di musica sacra tanto esaltato dallostesso Concilio, il canto in lingua latina. Le maceriedi questo aspro confronto sono sotto gli occhi e,quel che è peggio, nelle orecchie di tutti.

Si partiva da un principio, esplicitato nel MotuProprio “Tra le sollecitudini” di san Pio X del 22novembre 1903. Questo principio così si enuncia:“Essendo, infatti, Nostro vivissimo desiderio che ilvero spirito cristiano rif iorisca per ogni modo e simantenga nei fedeli tutti, è necessario provvedereprima di ogni altra cosa alla santità e dignità del

tempio, dove appunto i fedeli si radunano perattingere tale spirito dalla sua prima edindispensabile fonte, che è la partecipazione attivaai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica esolenne della Chiesa”. Questa frase è stata citata ericitata da tutti, per avvalorare, secondo le lorointenzioni, il concetto che l’assemblea debba fare ilpiù possibile ad ogni costo. Ma in realtà, spesso si èomesso quanto seguiva a questa frase: “Ed è vanosperare che a tal f ine su noi discenda copiosa labenedizione del Cielo, quando il nostro ossequioall’Altissimo, anziché ascendere in odore di soavità,rimette invece nella mano del Signore i flagelli, ondealtra volta il Divin Redentore cacciò dal tempio gliindegni profanatori. Per la qual cosa, aff inché niunopossa d’ora innanzi recare a scusa di non conoscerechiaramente il dover suo e sia tolta ogniindeterminatezza nell’interpretazione di alcune cosegià comandate, abbiamo stimato espedienteadditare con brevità quei principii che regolano lamusica sacra nelle funzioni del culto e raccogliereinsieme in un quadro generale le principaliprescrizioni della Chiesa contro gli abusi più comuniin tale materia”. Certamente è molto menoconveniente citare questa seconda parte di quelparagrafo, in quanto va a cozzare contro la narrativacorrente sulla liturgia, per cui tutti devono faretutto, senza tener conto delle competenzespecif iche e delle possibilità di ognuno ed andandofatalmente a detrimento della dignità della liturgiastessa.

Siete mai stati innamorati? Avrete senz’altro provatoquello che tutti provano. Alla vostra amata o alvostro amato volete dare il meglio che potete, ilgioiello più elaborato, il libro più ricercato, la vestepiù preziosa. In questo amore è tutto il concetto

che circonda la pratica dellamusica sacra, quella di darequanto di più prezioso, elaboratoe ricercato per la gloria di Dio(in primis) e la santif icazionedei fedeli (in secundis). Ma no,secondo alcune interpretazionifalse dei dettati conciliari, oggidobbiamo pensare in primis allagloria dei fedeli spostando ilbaricentro della liturgia dallaoggettività del rito al sogget-tivismo più aperto e sfrenato.Purtroppo, quando si aprono leporte alla mediocrità, al cattivogusto, al pressapochismo innome del “popolo” (incolpevolee vittima di questa congiura dialcuni liturgisti intellettuali) poinon si riesce a tornare indietrofacil-mente. Anzi, come nelnostro caso, si va sempre più afondo.

Una bella riflessione del f ilosofoMarcello Veneziani, forse spiega

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Coloro che attiverannol’abbonamento aLITURGIA ‘CULMEN ET FONS’nell’anno 2017con un importo pari o superiorea 23,00 euroricevono in omaggioil testo di don Enrico FinottiLA LITURGIA ROMANANELLA SUA CONTINUITA’(Editrice Sugarco - pagine 352)Si prega di scrivere l’indirizzoin stampatello.

più di tanti discorsi il motivo per cui la mediocrità,al nostro tempo, prevale sulla bellezza: “Il guaio èche la bellezza sta, invece il brutto avanza, si muove,parla, fa. La bellezza è inerte, passiva, inerme,mentre il brutto avanza, incede, si agita. La bellezzaè un retaggio, un lignaggio, a volte una rovina,comunque declinata al passato o sperdutanell’antico, mentre la bruttezza è un linguaggio, unmodo di fare, di intendere e di volere, tra la tecnicae l’amministrazione. Questa è la nostra tragediaeconomica e metaf isica, estetica e sociale, urba-nistica e letteraria. Il bello è, il brutto diviene; ilbello posa, il brutto è in moto perpetuo. Il belloattiene alla sfera dell’essere ma non a quelladell’eterno e dell’immutabile. Il brutto, invece,attiene alla sfera del fare e del divenire, ed è virale,espansivo, progressivo” (Marcello Veneziani“Lettera agli italiani” 2015). In nome dell’incolpevolepopolo si è dato spazio alla mediocrità musicale dicui il popolo è vittima, non fautore.

Il Concilio ha sempre chiesto che ognuno parte-cipasse secondo le proprie possibilità, svolgendociò che gli era di competenza e basta. Ma voi sapetecome succede quando il servo vuole compiacere ilpadrone, si cerca sempre di strafare in modo cheil padrone si accorga del servo e magari lo pro-muova a posizioni che lo stesso servo ritiene piùconfacenti alla sua dignità. Quindi se il Papa dice1, il curiale cerca di fare 10, strafando e tradendoin def initiva quello che il Papa aveva chiesto.Guardate bene quale è la differenza fra quello chePapa Francesco dice e il modo in cui questo vienepoi interpretato in larghi settori della gerarchia edel clero. Si va spesso e volentieri molto oltre.

Il canto dell’assemblea non è concepibile senzaquello del coro. Il coro guida questo canto e locommenta con le abilità che vengono da lunghe

prove e studio. A volte l’assemblea lascia spazio alcoro per ascoltare, che non dimentichiamo, è unaltro modo di partecipare pure attivo. Se l’ascoltonon fosse considerato partecipare, dovremmopensare che durante l’omelia noi non partecipiamo.Quello che il Concilio ha chiesto, è di integrare dipiù l’elemento assemblea nell’ordito tradizionaledella musica sacra che si era centrata particolar-mente sulla cappella musicale. Non ha mai chiestodi mettere uno contro l’altro. Eppure questo è quelloche è successo e che succede, basta entrare in qua-lunque Chiesa o parlare due minuti delle esperienzedi direttori di coro che sono stati estromessi dalleParrocchie perché “impedivano” il canto dell’assem-blea, che poi signif ica permettere spesso e volentieriquattro volenterosi giovanotti con il microfono inposizione endoscopica di vociare alcuni cantiindegni della liturgia al suono di inadeguatechitarre. Praticamente questi hanno sostituito ilcoro ma senza poi, in realtà favorire il canto dell’as-semblea. E se l’assemblea avventurosamente canta,non ci si interroga mai sulla qualità di questapartecipazione. Partecipare per partecipare non è unsegno di qualità. Ci sono persone che per annimangiano insieme senza mai conoscersi. Cosa midice che quel cantare per anni e anni sempre glistessi canti inadeguati favorisca una vera e attivapartecipazione?Si rilegga il Concilio secondo l’ermeneutica dellacontinuità, cercando di capire che un conto sono idocumenti del Concilio e un conto sono altreavventurose applicazioni, pur se esse provengonoda documenti curiali a cui mi permetto di dire chedobbiamo un “ossequio critico”. Dobbiamo saperdistinguere quanto in esse si pone in continuità dellatradizione nell’unico soggetto Chiesa e quanto è soloil frutto di scuole, correnti, tendenze nefaste che sisono fatte strada anche nei sacri palazzi vaticani.

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