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“L’idrochinesi come approccio terapeutico alle lombalgie” Filippo Mariotti Tesi di Laurea in Fisioterapia Università degli Studi di Perugia 2004 1

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“L’idrochinesi come approccio terapeutico alle lombalgie”

Filippo Mariotti

Tesi di Laurea in Fisioterapia

Università degli Studi di Perugia

2004

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A tutti coloro che hanno creduto in me,

nel mio essere e nel mio divenire…

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INTRODUZIONE 5

CENNI STORICI 8

L’IDROCHINESITERAPIA: UN APPROCCIO RIABILITATIVO 11

ADATTAMENTO ALL’ACQUA COME PRIMO PASSO 12

LEGGI FISICHE 14

EFFETTI TERAPEUTICI 22

EFFETTI FISIOLOGICI DELL’IMMERSIONE NEI VARI APPARATI 30

INDICAZIONI E CONTROINDICAZIONI 33

SIGNIFICATO TERAPEUTICO 38

LE LOMBALGIE 40

LA LOMBALGIA 41

FATTORI DI RISCHIO 44

CLASSIFICAZIONE DELLE LOMBALGIE 46

ANATOMIA PATOLOGICA 48

FISIOLOGIA ARTICOLARE 55

I MUSCOLI DELLA REGIONE LOMBARE 60

PERCHÈ IL DOLORE COLPISCE IL TRATTO LOMBARE? 64

VARI APPROCCI RIABILITATIVI PER LA LOMBALGIA 71

COME IMPOSTARE IL TRATTAMENTO 73

VALUTAZIONE 74

OBIETTIVI 76

PRINCIPI DI TRATTAMENTO 85

IL RUOLO DEGLI AUSILI 88

CONCLUSIONI 91

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Page 4: “L’idrochinesi come approccio terapeutico alle lombalgie ... · prescrissero bagni di mare nel quadro di una climatoterapia marina agli albori. Questa tendenza si rafforza nel

“…Non mai già,chè sue virtudi accolse

tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,

e premendo il suo affanno a dar si volse

vita con l’acqua a chi col ferro uccise…”

Torquato Tasso, da La Gerusalemme liberata

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INTRODUZIONE

Il tirocinio effettuato durante il corso di studi nei vari servizi, mi ha permesso di

conoscere la complessità e la varietà del “pianeta” lombalgia. Tutte le lezioni

riguardanti questo argomento non sono bastate per capire che non esisteva una

lombalgia, ma che ogni persona affetta da tale sindrome algica avrà una

lombalgia “diversa” dalle altre, ognuna della quali con una propria modalità di

insorgenza, di manifestazione e con aspetti clinici peculiari. L’approccio a

questa patologia mi ha fatto capire che fra la diagnosi e la tecnica specifica ci

sono delle tappe ineludibili e costituite dall’impostazione di un progetto e

programma riabilitativo, ma soprattutto dall’individuazione di obiettivi

terapeutici da perseguire. Questi infatti fungono da collante fra le professionalità

coinvoltenel progetto per giungere “ad una presa in carico” effettiva del paziente

ed ad un intervento riabilitativo mirato.

La ricerca della causa prevalente del dolore, della disfunzione presentata, le

valutazioni posturali e funzionali ci devono guidare nella scelta fra le molteplici

procedure terapeutiche utilizzate per il trattamento delle lombalgie. Poche sono

supportate da studi randomizzati e controllati e le revisioni critiche effettuate su

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questi ne hanno messo in discussione l’efficacia delle terapie comunemente

adottate. È in questo contesto che si inserisce l’idrochinesiterapia, che pur non

essendoci ancora in letteratura molti studi che ne supportino l’efficacia, entra in

modo significativo nella rosa di strategie che il fisioterapista può utilizzare (in

modo elettivo od in associazione con altre)nel trattamento delle lombalgie.

Gli effetti dell’immersione, le leggi fisiche proprie del mezzo acqua, la

temperatura, le tecniche specifiche l’utilizzo degli ausili, provocano effetti

benefici come la riduzione-remissione del dolore, ripristino dei corretti

automatismi statici-dinamici con una migliore presa di coscienza di retrazioni,

blocchi, rigidità. L’attività in acqua sembra avere un risvolto positivo anche

sulla sfera emozionale del soggetto così tanto implicata nella genesi della

lombalgia. L’immersione in acqua mette a contatto il paziente con il proprio

corpo (dal quale il paziente si allontana a causa del dolore lombare e perciò è

vissuto come fonte di sofferenza quindi coinvolto il meno possibile) nella sua

globalità liberato dal vincolo fortissimo della gravità.

Questo lavoro vuole essere solo l’inizio di un percorso che mi piacerebbe

intraprendere per poi in futuro, avvalendomi della disponibilità mostratami

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Page 7: “L’idrochinesi come approccio terapeutico alle lombalgie ... · prescrissero bagni di mare nel quadro di una climatoterapia marina agli albori. Questa tendenza si rafforza nel

dall’equipe del C.O.R.I. , poter prendere parte alla strutturazione di uno studio

che fornisca dei dati da poter confrontare con altre esperienze.

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CENNI STORICI

Le tappe della filogenesi umana cominciano dall’acqua, da questo elemento così

comune,così diffuso,necessario per la vita e per vivere. Così dall’anfiosso al feto

umano, seguendo le leggi dell’antropologia fisica, della chimica, delle “scienze”

in genere, e rifacendoci all’ antropologia culturale, non è presuntuoso affermare

che è inscindibile il binomio che unisce l’acqua alla vita.

A volte considerata come una manifestazione divina, altre come una panacea ,da

sempre l’uomo sa che l’immersione nell’acqua calda attenua i suoi dolori. Infatti

le sorgenti termali sono state,prima, un luogo di culto dove si costruivano templi

o si andava in pellegrinaggio nella speranza di una miracolosa guarigione. I ro-

mani hanno realizzato in tutte le loro città terme con la duplice valenza di stabi-

limenti di cura e luoghi di esercizio, di rilassamento ed incontro.

Fin dal XVI° secolo sono stati costruiti per i feriti di guerra degli ospedali terma-

li, per arrivare, poi, attorno al XVIII° secolo, quando si è assistito allo sbocciare

di una concezione terapeutica dell’idroterapia.

Considerando l’acqua minerale come un medicamento,si cominciò ad analizzare

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Page 9: “L’idrochinesi come approccio terapeutico alle lombalgie ... · prescrissero bagni di mare nel quadro di una climatoterapia marina agli albori. Questa tendenza si rafforza nel

e codificare la sua utilizzazione, si pubblicarono osservazioni e parallelamente si

prescrissero bagni di mare nel quadro di una climatoterapia marina agli albori.

Questa tendenza si rafforza nel secolo seguente .Le stazioni termali si specializ-

zano, dapprima in ragione della composizione chimica delle loro acque, poi per

le tecniche originali che impiegano.

A metà del XX° secolo lo sviluppo della cinesiterapia evidenzia l’interesse per

le proprietà fisiche dell’acqua per trattare le affezioni dell’ apparato locomotore

ed in particolare, in quest’epoca, i postumi della poliomielite.

Il progressivo sviluppo e le conseguenti ricerche nel campo di quella ancor gio-

vane branca della medicina che è la riabilitazione, hanno connotato, in modo

sempre più convincente, la sua importanza come approccio terapeutico , sia

nelle patologie del sistema nervoso centrale, sia dell’ apparato locomotore.

Inserita in quest’ottica, l’acqua, non deve essere vista come ultimo rimedio dal

mistico potere, ma come elemento riabilitativo determinante per ottenere

prestazioni e comportamenti non altrimenti perseguibili in un ambiente condi-

zionato dalle leggi della forza di gravità. Inoltre l’idrochinesiterapia rappresenta

la possibilità, assolutamente innovativa per il riabilitatore,di poter sfruttare le ca-

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pacità, i benefici e le proprietà di un ambiente diverso, che esula dalle spietate

leggi fisiche, le quali rendono schiavo un individuo, qui sulla terra, della sua me-

nomazione, delle sue problematiche, dei suoi deficit, permettendogli così di spe-

rimentare, vivere e perseguire obbiettivi specifici di recupero con modalità e/o

tempi differenti rispetto alle tecniche utilizzate in palestra facilitando la riacqui-

sizione di competenze funzionali perse.

La piscina, allora, non può essere più concepita solo come una costruzione volu-

ta dall’uomo per l’agonismo od il proprio divertimento, ma come uno strumento

prezioso, una struttura tecnologicamente avanzata, che affiancato alla medicina,

ne supporta le evoluzioni e si adatta a tutte le esigenze.

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Page 11: “L’idrochinesi come approccio terapeutico alle lombalgie ... · prescrissero bagni di mare nel quadro di una climatoterapia marina agli albori. Questa tendenza si rafforza nel

L’IDROCHINESITERAPIA: UN APPROCCIO RIABILITATIVO

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ADATTAMENTO ALL’ACQUA COME PRIMO PASSO

L’acqua per una persona,”abituata alla vita terrestre” ,è una realtà esterna, un

nuovo ambiente da esplorare,conoscere e capire,nel quale deve e del quale deve

abituarsi.

Il processo adattativo è cruciale, perché è attraverso la simbiosi che si instaura

tra paziente ed acqua che si gioca gran parte della valenza terapeutica. È logico

che fattori influenzanti tale processo derivino in primis dalla storia e dalle

caratteristiche di ciascun paziente; così saper nuotare o meno, lo stato di salute,

l’età, le motivazioni, le aspettative,le problematiche psicologiche condizionano

la durata e la riuscita di tale processo.

Un paziente che si presenta la prima volta in una piscina terapeutica convive

con una situazione di incertezza. Non sa cosa lo aspetta, magari ha paura

dell’acqua, non conosce il terapista e neppure l’ambiente.

È qui che si decide la buona riuscita del trattamento. Il terapista deve accogliere

il paziente ,tranquillizzarlo,donare sicurezza i con propri gesti mai inconsulti ma

materni,accudirlo con la propria voce attraverso chiare e semplici parole

denotanto, pursempre, competenza e padronanza dei propri mezzi. Sempre

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rivolto alla ricerca della fiducia è utile spiegare come si svolgerà la seduta senza

appellarsi ad un gergo troppo tecnico ed incomprensibile. Seguendo la

propedeucità di fondo dell’approccio sequenziale, si può passare ,previa

raggiunta fiducia e convincimento del paziente, all’ingresso in acqua che verrà

effettuato fianco a fianco del terapista. Questa vicinanza è molto utile per

rassicurare il paziente, fargli capire , anche con la comunicazione non verbale,

che l’acqua non fa paura e che può essere vissuta come strumento di piacere

dove lasciarsi dolcemente. Il paziente desidera ed esige una rassicurante

protezione, sensazione trasmissibile dalla vicinanza, da un contatto continuo e

continuativo,dall’essere in grado di osservare il suo comportamento,ascoltarlo e

capire le sue esigenze; così come poi si riscontrerà anche nell’essere capaci di

adeguare le varie proposte di lavoro alle sue condizioni psico-fisiche oltre a

quelle derivanti dalla patologia dalla quale è affetto.

L’adattamento al nuovo ambiente, tramite un percorso unico e

personale,conferisce al soggetto la capacità di saper stare in acqua ed un assetto

acquatico sintomo di una raggiunta e matura acquaticità che, per molte persone,

già sancisce il passaggio da una condizione di malessere ad un di benessere.

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LEGGI FISICHE

L’elemento acqua ed un corpo in esso immerso, sottostanno a leggi fisiche che

Bisogna conoscere per poter usufruire edonisticamente ed a fondo delle peculia-

rità e delle potenzialità del corpo stesso immersovi e dell’ambiente acquatico co-

me mezzo riabilitativo.

Forza peso : è la forza esercitata dalla gravità terrestre su qualunque og-

getto avente massa. L’ attrazione verso il basso, in direzione del centro

della terra, detta peso del corpo è espressa dalla relazione:

F = m ∗ g

dove :

g → accelerazione di gravità, 9.81 m/s2

m → massa gravitazionale del corpo

Mentre la massa di un corpo, cioè la sua attitudine ad opporsi alle varia-

zioni del proprio stato di quiete o di moto,non dipende dal luogo in cui es-

so si trova, il peso di un corpo, invece, dipende dall’ accelerazione gravi-

zionale al quale è sottoposto.

Densità : tale grandezza fisica esprime la massa dell’unità di volume di

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una sostanza :

d = m / V

Nell’ acqua assume il suo valore massimo di 1 g /cm3 a 4°C , però rimane

costante con la profondità. Se la temperatura decrementa, raggiungendo un

valore prossimo agli 0°C ,anche la densità subisce una variazione,portandosi

gradatamente attorno a 0.92 g /cm3 del ghiaccio. Nel ghiacciole molecole di

acqua si dispongono in modo da occupare un volume maggiore rispetto a

quest’ultima, con la conseguenza di una minore densità che lo porta al

galleggiamento. Il corpo umano avente aria nell’apparato respiratorio oltre la

propria capacità residua, è caratterizzato da una densità media pari a 0.95g /

cm3 e perciò tende a galleggiare. Negli stati patologici si verifica una

modificazione della normale fisiologia umana che ne altera le funzioni e le

caratteristiche dei vari tessuti, organi, apparati. Quantitativamente la densità,

essendo un parametro fisiologico, in uno stato morboso, varia incrementando

il suo valore superando quello dell’acqua. Questo è riscontrabile in un individuo,

che, affetto da una patologia osteo -articolare o del sistema nervoso, immerso in

acqua affonda nelle componenti direttamente interessate dall’evento morboso.

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Peso specifico: è il peso dell’unità di volume di una sostanza:

ps = F / V

ovvero, la densità di una sostanza od oggetto riferita alla densità della acqua

pura. Negli stati patologici il peso specifico dei segmenti interessati cambia

proprio perché varia la densità ad essi correlata.

Pressione idrostatica: è la pressione che un fluido, per azione del proprio

peso, esercita sulla superficie dei corpi che vi sono immersi e sulle pareti di

ciò che lo contiene. Tale pressione è direttamente proporzionale al peso

specifico del liquido ed alla profondità di immersione.

Principio di Archimede: un corpo immerso parzialmente o totalmente in un

liquido riceverà una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del volume di

fluido da esso spostato. La forza peso del corpo immerso è perciò compensata

parzialmente da tale spinta ed allora sarà ridotta di una quantità equivalente alla

forza peso del volume del fluido spostato.

Forza di galleggiamento : questa è una forza che agisce dal basso verso l’ alto

avendo come punto di applicazione il centro di gravità dell’acqua spostata

detto centro di galleggiamento “C.ga ”(a).

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Pertanto in un corpo con peso specifico e densità, tali da consentirgli un

galleggiamento per il 50% del suo volume, questo avrà il suo centro di gravità,

“C.g” (b), al livello della superficie del liquido, mentre il suo “C.ga” sarà nel

centro della parte immersa.

Le due forze agenti sul corpo si equivalgono ma con verso d’azione opposto

sulla medesima verticale, ergo galleggia (c).

Se l’azione delle due forze non agisce sulla stessa direttrice il corpo tende a

ruotare.

“Cg” di un corpo in galleggiamento è sempre posto a livello della superficie

a b c

Il

dell’acqua,non cambiando posizione,mentre ciò che varia è il suo “Cga”, il quale

si sposterà in base alla porzione di corpo affondato ed alla sua inclinazione. Per

un corpo inclinato, immerso per il 50% del suo volume, la spinta idrostatica si

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opporrà alla forza di gravità ed alla rotazione riportandolo in galleggiamento.

Perciò un oggetto:

affonda → quando il peso specifico del corpo > peso specifico dell’acqua.

resta sospeso → quando il peso specifico del corpo eguaglia il peso specifico

dell’acqua.

galleggia → quando il peso specifico del corpo < del peso specifico dell’acqua.

i

la forza

che si oppone ai movimenti nell’ambiente acquatico.

Viscosità: rappresenta la resistenza che il fluido oppone agli scorrimenti de

suoi strati interni. Dipende strettamente dal liquido e dalla sua temperatura,

aumentando al diminuire di questa (a 0°C → 1.792 – a 20°C →1.005 ).

Tradotto nella pratica, la viscosità, è la resistenza all’avanzamento, cioè

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olto bassa,

alla viscosità del mezzo,

vece, se il corpo avrà una inerzia maggiore,la resistenza che contrasta il suo

Di conseguenza, se un corpo che si muove in un fluido con velocità m

la resistenza incontrata sarà principalmente dovuta

in

moto sarà imputabile, in parte alla viscosità, ma soprattutto alla pressione del

fluido che agisce perpendicolarmente alla direzione di spostamento. Infine, all

’avanzamento di un corpo in acqua, caratterizzato da elevata velocità, si opporrà

una resistenza generata esclusivamente dalla pressione del liquido contro lo

stesso dato che , in questa particolare situazione, la componente viscosità

diventa estremamente trascurabile.

Corollario di questo postulato è il concetto di angolo di attacco, determinato

proprio dalla resistenza all’avanzamento, che identifica l’angolo sotteso fra

l’asse longitudinale del corpo e la direzione del suo movimento.

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< è tale angolo > è la velocità d’avanzamento.

Scambi term

temp

na sola direzione, ovvero da oggetti con temperatura > verso quelli a

getto ad un altro o da un corpo ad un mezzo è l’origine dei

ici: sono la conseguenza del passaggio di calore da oggetti posti a

erature diverse. L’energia calorifera è obbligata a fluire spontaneamente in

u

temperatura < .

Le modalità col quale un corpo guadagna o perde calore dipendono da

meccanismi come la conduzione e la convezione. L’ avvicendamento di

energia da un og

meccanismi termoregolativi adattativi fisiologici. Nel sistema uomo, il calore in

eccesso prodotto attraverso processi metabolici, attività muscolare e trasporto

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ematico deve essere necessariamente ceduto per mantenere una temperatura

compatibile con la vita → 37°C .

Questo si concretizza attraverso le vie respiratorie e tramite la cute in modo

elettivo con la sudorazione.

Una persona immersa in acqua perderà calore per convezione e conduzione,

(ripristino, scambi termici con l’ambiente) ne è una

rispettivamente, cedendo calore al mezzo che, nella sua plastica dinamicità,

rinnovandosi continuamente

costante perdita e grazie alla capacità del fluido di essere conduttore di energia

calorifera (la conducibilità termica acquatica è 25 volte > dell’aria allora il

raffreddamento di un corpo è più celere nell’acqua ad una data temperatura che

alla medesima in una stanza ).

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EFFETTI TERAPEUTICI

Assumendo come prerequisiti fondamentali la conoscenza di tali leggi inerenti

al mezzo acqua si può, scendendo nel dettaglio , analizzare quali sono i reali

effetti terapeutici e fisiologici dell’immersione.

La pressione idrostatica e della spinta di galleggiamento nell’acqua derivante

dal principio Archimedeo,contrapponendosi alla forza di gravità, conseguono

l’importante effetto di far variare il peso del corpo immerso.

Il peso apparente di un corpo in acqua è uguale al suo peso al quale si deve sot-

trarre il valore della spinta di Archimede. Un corpo in totale immersione sarà

contraddistinto da un peso rappresentativo del 3% del suo reale. Passando a li-

velli di immersione sempre minori otterremo differenti misure quantitative della

forza peso.

La diminuzione del fattore peso ed il seguente decremento e/o assenza della

correlata forza di gravità, in particolare a livelli di acqua alta, portano ad una >

libertà di ampiezza del movimento e ad un minimo sforzo muscolare che

permette movimenti attivi anche quando sussiste una condizione di deficit di

forza e ad un abbassamento od assenza dei sintomi antalgici .

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Avremo perciò basi solide per lavorare sulla mobilizzazione passiva ed attivo

assistita, in scarico gravitario, sulla deambulazione e stazione eretta nonché,

variando appunto , il livello dell’acqua sulla rimessa in carico progressiva dello

stesso.

Alla luce delle facilitazioni sopra descritte, diventa prassi informare il paziente

che, una volta uscito dalla vasca terapeutica, si potrà trovare nella condizione di

percepire un gravoso senso di pesantezza dovuto alla ripresa degli effetti gravi-

tari e che potrà essere associato, nella peggiore delle ipotesi, ad una sensazione

di malessere ,del tutto simile ai “ capogiri ” .

Insistendo sempre col parametro pressione idrostatica, vediamo che può indurre

in un corpo immerso, una vasocostrizione dei vasi venosi superficiale che porta

ad implementare il ritorno venoso e parallelamente la circolazione linfatica faci-

litando il riassorbimento di eventuali edemi , liquido interstiziale e versamenti

articolari.

Questa inoltre, esercitando la sua azione in tutte le direzioni contro il corpo im-

merso, promuove un effetto mobilizzante ( micromasssaggio ) a livello dei tes-

suti superficiali quali cute, il muscolare e l’adiposo.

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Un altro suo effetto è sortito sulla componente recettoriale esterocettiva dove si

assiste ad una massiva stimolazione di tutte le strutture recettoriali cutanee che

si adoperano, adeguandosi alla nuova ed avvolgente situazione, per una più

dettagliata percezione del corpo nello spazio e del movimento che può produr-

re, modulando le sensazioni propriocettive e cinestesiche.

Infine, altro importante effetto dell’acqua legato ancora alla pressione idrostatica

è dato dall’aumento della pressione intraddominale. Questa sua variazione

determina una risalita del muscolo diafram-ma con conseguente incremento

del lavoro respiratorio concretizzato in una inspirazione più difficile, per un

lavoro da compiere contro resistenza, ed una espirazione agevolata.

Ulteriori applicazioni delle leggi già descritte inducono a tenere in notevole

considerazione il ruolo della resistenza idrostatica. Capendo il principio che la

regola

R = k S sen α V2

con k = coefficiente viscosità e densità del mezzo

S = superficie d’attacco del corpo in spostamento

α = angolo d’attacco (α = 90° la resistenza è massimale)

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V = differenza di velocità tra corpo e fluido

possiamo dedurre che un movimento lento non incontra resistenza apprezzabile,

anzi, riceve della spinta idrostatica e dai moti vorticosi attorno al segmento in

movimento, una facilitazione. Ogni tentativo, invece, di movimento veloce

provoca una resistenza esponenzialmente crescente. Dalla formula si può

espletare il concetto che sancisce come , aumentando la superficie dell’angolo

d’attacco, tramite ausili ,tavolette, ciambelle ed altri …si riesca ad aumentare il

lavoro muscolare per l’ innalzarsi della resistenza. Inoltre sfruttando la scia

generata da un corpo in movimento,è possibile, facilitare la deambulazione,al

contrario l’opposizione di una corrente d’acqua ne diventa una antagonista e

permette un lavoro contro resistenza.

Proseguendo nella descrizione delle facilitazioni e degli effetti conferiti dalla

acqua, dobbiamo spendere alcune parole sulla funzione sua antalgica ,

aspetto legato direttamente ad un parametro fisico molto variabile: la

temperatura (t).

E’ opportuno che questa vari solo di qualche grado, in difetto od in eccesso, ri-

spetto alla temperatura indifferente (la t del mezzo ambiente per la quale

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l’organismo mantiene la sua temperatura senza attuare meccanismi

termoregolativi fisiologici, ovvero, 26°C nell’aria e 31/32°C nell’acqua).

La termoregolazione entra in giuoco ogni volta che sussiste una discrepanza

termica fra la temperatura corporea e quella esterna. Quando un corpo è

immerso in acqua, contraddistinta da una t minore della corporea inizierà ad

attuare una serie di meccanismi di eccezionale efficacia concepiti per mantenere

rigorosamente i visceri della testa, del collo, dell’addome, a cui vanno aggiunti,

solo nell’esercizio fisico in ambiente caldo, le masse muscolari degli arti, alla

temperatura di 37°C.

Le coordinate termoregolative sono essenzialmente :

la temperatura cutanea in acqua è praticamente omogenea in tutto il corpo

ed eguale a quella dell’acqua

la conducibilità termica dell’acqua è 25 volte > che quella dell’aria, cioè

l’acqua sottrae ad un soggetto una quantità di calore 25 volte superiore di

quanto possa fare l’aria

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la conduzione del calore dipende dal gradiente cute-acqua ed è,

assieme alla convezione tramite il torrente circolatorio, la principale

dispersione di calore

la conservazione di calore in acqua dipende sostanzialmente dallo

spessore del tessuto adiposo sottocutaneo e dal livello di perfusione dei

muscoli degli arti

la temperatura minima dell’ acqua, alla quale un corpo immerso nudo (

con la sola testa emersa ) , in assoluto riposo, resiste per 3 ore senza che

insorga alcun brivido, è detta temperatura critica e varia da soggetto a

soggetto

Perciò, durante l’ immersione in acqua fredda con t < o = a 26°C , in condizioni

di riposo, prima dell’ insorgenza del brivido, si verifica una intensa vasocostri-

zione dettata anche dalla discreta attività dei termocettori specifici per le basse t

verso il centro termoregolatore che agirà, di conseguenza, stimolando una vaso-

costrizione di maggiore intensità a livello muscolare.

All’ estremo superiore di temperatura, cioè acqua calda con t > o = a 35°C ,

assisteremo al verificarsi di effetti opposti identificabili in vasodilatazione

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periferica che può generare un quadro ipotensivo e tachicardico e ad una

riduzione del tono muscolare e della sensibilità periferica che può determinare

un’ iperalgesia.

Per ottenere una condizione possibilmente vicina alla neutralità termica e, per di

più, sostenibile per un periodo relativamente lungo come quello di una seduta

terapeutica (attorno ai 45 minuti ) ,si auspica che la temperatura dell’acqua deb-

ba essere assimilabile a quella della cute,compresa tra 29°C e 32°C.

Al di la di tutto, giocherà un ruolo predominante l’attività svolta, le sue caratte-

ristiche di intensità e tipologia. Durante l’ esercizio la conservazione del calore

dipende solo dall’ adipe sottocutaneo essendo il muscolo abbastanza abbondan-

temente per fuso ( → l ’aumentata perfusione solleva la componente muscolare

dal ruolo di isolante termico che altrimenti ricopre in sinergia coll’ adipe sotto

cutaneo). Allora la produzione di calore durante il lavoro, ed il suo manteni-

mento sulla soglia fisiologica, dipende essenzialmente dall’ intensità dell’ eser-

cizio stesso, cioè dal consumo di ossigeno dell’ individuo perché la maggior

parte della energia prodotta dal metabolismo muscolare è convertita in calore e

non in lavoro meccanico esterno. Anche a t di acqua fredda, per qualche tempo,

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è possibile riuscire a mantenere la t corporea attorno al suo consueto valore,

soprattutto, se l’intensità dell’esercizio è sufficientemente elevata.

Seguendo questa relazione biunivoca, che lega temperatura dell’acqua ed

esercizio, si può procedere, nel pianificare la strategia terapeutica, adeguando

l’attività da svolgere alla temperatura o viceversa :

trattamento con mobilità trascurabile od assente → 28°C - 29°C

trattamento con lunga immobilità assoluta o relativa → 31°C - 33°C

trattamento di pazienti neurologici → sempre > o = 32°C ma < 35°C

Comunque, con t comprese nei loro valori intermedi, l’ acqua è un efficace

mezzo miorilassante con proprietà antalgiche con effetti cardiovascolari

indesiderati poco rilevanti. Nonostante questo, è buona norma per il fisiote-

rapista, richiedere al paziente una visita cardiologia, evitargli sforzi eccessivi e

non eccedere nella durata della seduta.

L’organismo, di fronte al cambiamento di alcuni parametri fisico-chimici indotti

dall’ambiente acquatico, risponderà, come riflesso adattativo, con modificazioni

di alcune sue specifiche funzioni concretizzate in determinati effetti fisiologici

che si ripercuotono nei diversi apparati.

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EFFETTI FISIOLOGICI DELL’IMMERSIONE NEI VARI APPARATI

Cardiovascolare : si registra un aumento della circolazione di ritorno e della

pressione ventricolare destra,del volume di eiezione, del rendimento cardiaco e

di un potenziamento del gittata pari ≅ 30% con conseguente diminuzione

della sua relativa frequenza. Questi effetti perdurano anche dopo l’immersione

come in un “allenamento allo sforzo ”.

Renale : è ridotta la produzione Adh ed Aldosterone con inevitabile aumento

del gradiente di Sodio e Potassio. Questo “ nuovo ” assetto fisiologico è

favorente la diuresi contribuendo all’abbassamento pressorio ed all’

eliminazione più efficace ed efficiente dei cataboliti. Anche gli effetti a livello

renale persistono dopo l’immersione.

Respiratorio : otterremo, per effetto della pressione idrostatica, un aumento

del lavoro di ventilazione e la riduzione del volume di riserva espiratoria.

Inoltre, è ipotizzabile, a causa dell’effetto termico dell’acqua, una riduzione

dell’evaporazione destinata alla termolisi.

Muscoloscheletrico : implemento della circolazione specifica dell’ apparato con

aumento dell’ apporto di Ossigeno e miglior smaltimento dei cataboliti loco-

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regionali, riduzione delle sollecitazioni articolari per minore od assente carico

ponderale.

SNC e SNP : effetto rilassante e analgesico specie per dolori cronici, sti-

molazione sensoriale amplificata con miglioramento percettivo dello

schema corporeo e della presa di coscienza di se stessi, maggiore coordi-

nazione motoria e dell’equilibrio.

Metabolismo osseo : la letteratura addita come effetto dell’acqua in questa sede,

un’azione preventiva e curativa contro i processi degenerativi e patologici che

si ipotizza dovuta all’aumento della densità ossea e del tasso di Calcio.

Infine concluderò riportando come l’idrochinesiterapia agisca efficacemente an-

che a livello psicologico. Decidere di intraprender un programma riabilitativo in

acqua prevede il mostrare il proprio corpo agli altri, così, una volta superata la

soglia del pudore è bassa in pazienti obesi o con menomazioni , si riscontra un

importante effetto euforizzante .

Le ragioni della comparsa di questa euforia possono avere connotazioni che

partono da riscontrabili concretezze sino a concetti metafisici.

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Le performance funzionali motorie in immersione migliorano, così il paziente è

momentaneamente liberato dal suo handicap e desidera muoversi .

Il paziente avverte una notevole sicurezza infusa da una ancestrale somi-

glianza tra bagno caldo e cavità uterina che vissuta dal subconscio si tramuta in

un rassicurante ricordo.

Il trattamento può essere vissuto come momento ludico.

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INDICAZIONI E CONTROINDICAZIONI

Il trattamento idrochinesiterapico può essere applicato a numerosi gruppi di

affezioni.

Indicazioni

Reumatologia

Gran parte delle affezioni articolari di origine reumatica che necessitano di una

mobilizzazione senza dolore, in modo da evitare sollecitazioni di pressione e

frizioni, trae vantaggio dal trattamento in acqua :

Rigidità articolari

Anchilosi post-traumatica ( compresa la loro prevenzione )

Lesioni artrosiche

Reumatismi infiammatori ( nell’artrite reumatoide fuori dalla pousséè )

Spondiloartropatie

Osteoporosi

Osteonecrosi

Algodistrofia

Algie vertebrali

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Neurologia

Oltre a fornire un notevole supporto alla rieducazione in ambito ortopedico,

l’acqua può diventare un mezzo utile per agire anche sulle alterazioni in ambito

neurologico :

Mielolesioni (soprattutto se incomplete )

Sindromi piramidali

Traumi cranici

Sindromi cerebellari

Patologie degenerative del S.N.C.

Sclerosi multipla ( fuori dalla poussée )

Miopatie

Neuropatie periferiche

Traumatologia ed ortopedia

L’applicazione in questo ramo medico della terapia in acqua è notevole

sfruttando appieno le potenzialità del mezzo per garantire una riabilitazione

funzionale dell’apparato muscoloscheletrico nelle seguenti patologie :

Fratture

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Protesi d’anca, ginocchio, spalla

Politraumi

Esiti di intervento chirurgici per :

ricostruzioni legamentose

meniscectomie

stabilizzazioni vertebrali

ernie discali

Distorsioni e lussazioni

Strappi muscolari

Lesioni tendinee e legamentose

Lombalgia – lombosciatalgia – lombocruralgia

Chirurgia

Come esiti di intervento di vario genere ,ad esempio chirurgia toracica ,

mastectomia ecc…..

Cardiologia e pneumologia

L’acqua ed i suoi giochi pressori forniscono un’ ambiente ottimale per il

riallenamento allo sforzo ed il miglioramento del rendimento cardiaco e della

funzione respiratoria riducendo le sgradevoli sensazioni di “ impaccio ”

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respiratorio e “ debolezza ” che migliorano la qualità della vita. Ci sono

esperienze di riabilitazione cardiologia effettuate in acqua con pazienti

monitorizzati tramite telemetria.

Psichiatria

La conoscenza del corpo nell’acqua,la liberazione motoria e verbale dovuta

all’immersione, il suo valore simbolico sono motivo per credere

nell’utilizzazione dell’idrochinesiterapia in tale ambito.

Controindicazioni

Le controindicazioni al trattamento non hanno sempre un carattere coercitivo ;

infatti ci sono stati patologici verso i quali il medico ed il terapista consigliano al

paziente la non pratica di questa metodica terapeutica finchè non si ha

guarigione o risoluzione delle stesse :

- infezioni cutanee

- congiuntiviti

- timpani aperti

- malattie infettive dell’infanzia

- piaghe da decupito ed ulcere cutanee

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- epilessia

- incontinenza urinaria

I divieti assoluti, invece, sono rappresentati da:

Scompenso cardiaco grave

Cardiopatia ischemica acuta od instabile

Aritmie

Catetere sovrapubico

Flogosi cardiaca acuta

Ipertensione grave

Insufficienza renale grave

Flebiti e tromboflebiti

Insufficienze respiratoria grave

Infezioni polmonari attive

Otite purulenta con perforazione del timpano

Incontinenza fecale

Patologia neoplastica in fase avanzata

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SIGNIFICATO TERAPEUTICO

In conseguenza delle leggi fisiche descritte, l’attività terapeutica dell’acqua

riesce ad esplicitarsi nell’esercizio in base alle seguenti modalità :

Migliora le capacità di reclutamento motorio e generalizzazione degli schemi

motori al di fuori dell’azione gravitazionale

Incrementa le informazioni tattili e pressorie che consentono di vicariale e/o

integrare quelle propriocettive al fine di recuperare in tempi più brevi lo schema

corporeo , le sue relazioni con lo spazio esterno ed i movimenti che si svolgono

in esso

Determina condizioni di lavoro più favorevoli nelle sindromi dolorose articolari

causa di squilibri posturali ed offre vantaggiose capacità di rilassamento e

recupero della motilità articolare limitando l’effetto algico che si realizza in

ambito gravitazionale

Permette di graduare il lavoro proposto in relazione alle variazioni della

profondità del mezzo acqua ed alle variazioni di temperatura e di intervenire

precocemente in patologie che richiedono un approccio progressivo del carico

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Favorisce la presa di coscienza delle reali possibilità di movimento ,

permettendo al paziente esperienze motorie non altrimenti possibili al di fuori

del mezzo acqua , annullando il serio rischio di cadute , inducendo quindi , un

positivo effetto psicologico che incrementi la spinta motivazionale al recupero

Diventa propedeutico ad attività sociali organizzate avendo valenza di strumento

ricreativo e consentendo di alternare quando è possibile , ai protocolli

riabilitativi, attività natatorie vere e proprie

Incrementa qualitativamente il trattamento , riuscendo ad ottimizzare i tempi di

recupero relativi alle patologie trattate

Stimola il sistema vascolare periferico, il ritmo respiratorio e l’apparato

urologico.

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LE LOMBALGIE

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LA LOMBALGIA

Le problematiche legate alla colonna, con ripercussioni globali nell’ individuo

affetto, etichettate comunemente come “ mal di schiena ”, rappresentano in Ita-

lia la prima causa di assenza dal mondo del lavoro e la seconda di invalidità

permanente.

La lombalgia, infatti, si ritiene che colpisca dal 60% all’ 80% degli adulti in

qualche momento della loro vita. Solo 2-3 adulti su 10 non ne hanno mai soffer-

to , mentre per il 40% degli italiani con più di 25 anni diventa ontogenetico. In-

fatti il 40% - 60% di una popolazione adulta intervistata afferma di avere avuto

un episodio di dolore lombalgico il mese precedente ( Nachenson 1996 ).

La sindrome lombalgica non è quindi solo prerogativa del paziente anziano, ma,

dati alla mano, la fascia di persone che ne sono più a rischio è quella compresa

fra i 35 e 45 anni diventandone così la causa più frequente di disabilità.

La sua incidenza è connotata da un indice dinamico crescente che ne fa una pa-

tologia in notevole aumento: negli USA infatti, tra il 1971 ed il 1981, l’ incre-

mento delle disabilità lombalgiche è stato 14 volte superiore rispetto alla cresci-

ta demografica, con un tasso di morbosità più elevato di qualsiasi altra malattia.

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In Svezia, dal 1952 al 1987, le disabilità permanenti esite da lombalgia sono au-

mentate del 6000% ( Nachenson 1996 ).

L’ impatto della patologia sulle assenze dal lavoro è molto rilevante. Nel Qué-

bec circa il 20% di tutti gli infortuni lavorativi è dovuto a problemi del rachide,

con dati analoghi riscontrati in Australia e in altri paesi considerati industrializ-

zati. Negli USA, quotidianamente, 10 milioni di persone sono assenti dal lavoro

messi fuori causa da dolori lombalgici con una perdita annuale per l’ industria

( per la ridotta produttività, assenteismo e perdita di guadagno ) di 14 miliardi di

dollari. Ogni anno in Gran Bretagna, il 4% dei lavoratori è costretto a cambiare

occupazione per questa patologia.

Nei paesi sviluppati è ormai una delle patologie per cui più spesso si ricorre a

visite e cure mediche con un impatto economico non trascurabile.

Sempre in Gran Bretagna per la lombalgia, nel 1993, sono stati spesi, dal siste-

ma sanitario, 480 miliardi di sterline da sommare ai 38 miliardi della mancata

produttività e ai 14 spesi per indennità di previdenza sociale. Negli USA ogni

anno si spendono per il mal di schiena più di cento miliardi di dollari l’anno in

parcelle mediche, inabilità e perdita di produttività.

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Eserciti di persone, alcuni ridotti alla disperazione, altri persino disabili, marcia-

no alla ricerca di un sollievo per ciò che li affligge., scoprendo poi che il dolore

derivantene è il risultato di un complesso ed ingarbugliato insieme di sintomi fi-

sici e basi psicologiche.

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FATTORI DI RISCHIO

La letteratura descrive numerosi fattori di rischio predisponesti la sindrome

lombalgica :

Fattori di rischio costituzionali

- patrimonio genetico

- età

- sesso : maggiore incidenza maschile

- statura : rischio aumentato nelle persone alte

- dimensioni del canale spinale : maggior rischio se questo è stretto

Fattori di rischio posturali

- atteggiamento rilassato

- alterazioni della lordosi fisiologica (iperlordosi, rettilineizzazione… )

- squilibrio anteriore o posteriore

- squilibrio frontale ( asimmetria del bacino, scoliosi )

Fattori di rischio legati all’occupazione

- postura seduta protratta, specie per chi passa molto tempo al volante

- postura eretta protratta, soprattutto se associata a flessione del tronco

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- movimentazione di carichi o loro frequenti sollevamenti, in particolare se in

flessione e rotazione contemporaneamente

- vibrazioni

Fattori di rischio legati allo stile di vita

- sedentarietà e sovrappeso

- attività ricreative eseguite predominantemente in flessione

- attività sportive che sottopongono la colonna a microtraumatismi ripetuti,

contraccolpi, rotazioni forzate, flessioni ed estensioni ripetute

- fattori psicologici connessi al disagio personale e/o professionale (recenti studi

dimostrano come le persone che ne soffrano di più od abbiano una sintomatolo-

gia enfatizzata siano depressi ed ansiosi )

Non va dimenticato che la lombalgia può essere la conseguenza nelle donne del-

lo stato di gravidanza (il 24% delle donne in gravidanza ha avuto almeno un epi-

sodio lombalgico).

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CLASSIFICAZIONE DELLE LOMBALGIE

Queste affezioni algiche possono essere classificate in base alla loro

correlazione con patologie specifiche o meno :

Meccaniche

da trauma ripetuto

( sovraccarico funzionale/microtraumi )

disfunzione discale reversibile

disfunzione discale irreversibile

disfunzione posturale

disfunzione posturale

disfunzione dinamica

disfunzione strutturale

da trauma improvviso

Dovute ad altro distretto

anca

sacro-iliaca

piriforme

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Dovute a patologia specifica

infiammatoria

infettiva

neoplastica

viscerale

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ANATOMIA PATOLOGICA

Il lamentato dolore di schiena può essere la conseguenza di alcune patologie con

eziopatogenesi diversa , ma che comunque agiscono producendo analoghi

sintomi ed alterando il livello della qualità della vita.

Lombalgia , lombosciatalgia , lombocruralgia

Sono quadri di sindromi dolorose ad alta percentuale di frequenza. Il principio di

causa per elezione è da identificare in alterazioni discali del rachide lombare ,ma

non solo.

Parleremo di affezione lombalgica se la sintomatologia è concentrata solo

nel’omologa regione ed è rappresentazione clinica di un processo riguardante

rigorosamente le strutture osteofibrose del rachide escludendo ogni

coinvolgimento radicolare. Nei casi di interessamento radicolare , alla sindrome

lombalgica verranno aggiunte desinenze come sciatalgia e cruralgia ad indicare

pure la compromissione delle medesime strutture nervose (nervo sciatico L5-S4

e crurale L3-L4 ).

Lombalgia

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Si registra con la maggior frequenza di incidenza rispetto alle altre sindromi

lombalgiche e colpisce, specie in età adulta , quelle professioni nelle quali il

rachide lombare è soggetto ad ingenti sollecitazioni e perciò maggiore usura.

Saranno espressione dell’esame obiettivo il dolore spontaneo lombare aumentato

nei tentativi di mobilizzazione del tronco ed alla digitopressione , la contrattura

delle masse muscolari paravertebrali e rigidità del tronco viziato in lieve

flessione anteriore o laterale. Il dolore è frutto dell’irritazione e compressione

delle componenti nervose del nervo seno-vertebrale di Luschka che servono

tutte le strutture osteofibrose lombari diventandone poi espressione clinica in un

quadro acuto o cronico. Il nervo di Luschka rappresenta il nervo sensitivo e

vasomotorio del canale vertebrale , dello spazio epidurale e della parete durale.

Dalla sua innervazione , costituita da una fitta rete di piccoli rami , dipendono

pertanto tutte le strutture e formazioni anatomiche del tratto. È quindi il nervo

responsabile del sintomo dolore nel quadro clinico di lombalgia. Il dolore può

essere più o meno intenso, la sua durata variabile fino a raggiungere alcuni mesi,

si accompagna ad una intensa rigidità che nell’acuzia costringe il paziente a letto

per qualche giorno. Caratteristica di questa sindrome algica è, oltre l’intenso

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dolore localizzato al rachide, la frequenza alle recidive (→ infatti viene riferito

con esplicita chiarezza da parte dei pazienti ,che episodi si verificano con una

frequenza media di 3 o 4 volte all’anno e che spesso sono indipendenti da

qualsiasi fattore individuabile ). I reperti radiografici,come pure accertamenti

elettro-diagnostici sono negativi.

Forma acuta : è determinata da traumi improvvisi,distorsioni, sforzi anche banali

che possono provocare distensione acuta dell’anulus o distorsione delle

articolazioni interapofisarie con dolori e contrattura esasperanti.

Forma cronica : rappresenta il protrarsi nel tempo di una acuzie . La loro origine

, per la maggior casistica , si imputa alla protusione dell’anulus in senso postero-

mediano,a quadri artrosici intersomatici ed interapofisiari, ad anomalie

congenite ed a squilibri statico-dinamici.

Lombosciatalgia e lombocruralgia

Parlerò di queste 2 patologie assieme , anche se l’essere coinciso può indurre ad

alcune manchevolezze, perché la loro eziopatogenesi , specie se relativa a

protusione discale , che avviene per entrambe, prevalentemente , in senso

postero-laterale, è la stessa ; poi per il loro esordio comune descritto da una

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sintomatologia periferica e successivamente lombare o viceversa, espressione ,in

ambedue i casi , di dolori lombari e/o da irradiazione nervosa.

Molte possono essere le cause di insorgenza , con alcune di più comune

distribuzione quali l’ernia discale, artrosi intersomatica e anomalie congenite

del rachide; rispetto ad altre come turbe vascolari , processi infiammatori

specifici od aspecifici ed anomalie del sacco durale.

Dell’ernia discale si può affermare che è il primo fattore in ordine di incidenza

che causi tali affezioni. Un disco intervertebrale compresso oltre il suo limite

fisiologico può danneggiarsi temporaneamente od irreparabilmente. Se il

legamento longitudinale comune posteriore è indebolito, come spesso succede

con l’invecchiamento, il nucleo polposo ,imprigionato in uno stato di

precompressione, può forzarlo parzialmente od infrangerlo. In risposta ad una

compressione più o meno intensa o ripetuta nel tempo , il nucleo polposo può

fuoriuscire dalle faglie di natura degenerativa createvisi oppure rompere le

barriere fibrose disposte dall’anello stesso. Il nucleo erniato normalmente

fuoriesce nella zona postero-laterale del disco ( → le migrazioni della sostanza

nucleare in avanti sono molto rare ,infatti il nucleo già giace allocato ,per sua

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genesi fisiologica, in posizione non centrale nel disco,bensì traslato

posteriormente come attratto dal legamento longitudinale comune posteriore )

più iporesistente della mediana visto il progressivo assottigliarsi dal centro ai lati

del legamento longitudinale comune posteriore in relazione all’aumento della

grandezza cranio-caudale delle vertebre in simbiosi con quello discale. La massa

protrusa così si dirige ,in rapporto alla forza espulsiva ed alle resistenze offerte

dalle strutture osteofibrose, al forame di coniugazione comprimendo la radice

nervosa ivi ospitata contro le strutture che determinano il canale. Ne consegue

una differente tipologia di protrusioni che determinano poi anche l’entità

dell’alterazione radicolare :

Ernia contenuta : il nucleo ha interrotto l’anulus, sporge nel canale e comprime

la radice ,però ancora è trattenuto dalle fibre profonde dell’anello e dal

legamento longitudinale comine posteriore.

Ernia protrusa : il nucleo ha perforato le fibre dell’anello ma in parte è ancora

contenuto dal legamento longitudinale comune posteriore non riuscendo a far

breccia completamente nelle strutture adibite a contenerlo ,quindi è ancora

trattenuto in sito.

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Ernia migrata : il nucleo polposo fuoriuscito riesce a perforare rispettivamente

le fibre dell’anulus ed il legamento longitudinale comune posteriore rimanendo

in contatto col suo punto d’origine solamente tramite un peduncolo oppure si

reperta come frammento espulso costituendo un corpo libero,appunto migrato.

La fase dell’alterazione radicolare,come quella derivante da altre forme

patologiche che dipingono lo stesso quadro sintomatologico,ma comunque tutte

comuni denominatrici sia della lombosciatalgia che cruralgia, può essere:

Irritativa : la protrusione danneggia lievemente la radice medesima,è tipica della

fase iniziale, la sintomatologia è rappresentata più che mai da dolore e lievi

parestesie in territorio periferico ben localizzato; talvolta possono comparire

ipereflessie.

Compressiva : l’erniazione permette che il nucleo comprima in maniera netta la

radice, il quadro clinico è aggravato da alterazioni muscolari e nervose per un

maggiore danno radicolare che si manifestano con deficit di sensibilità, motilità,

del trofismo e dei riflessi.

Paralizzante : sinonimo di interruzione funzionale radicolare, si manifesta,

raramente, talvolta in modo brusco ( ernia paralizzante ) con riscontro clinico

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tradotto in anestesia dolorifica e tattile (blocco della conduzione sensitiva ), con

comparsa di deficit muscolari, anche se spesso incompleti perché un muscolo

non è reclutabile solamente da una singola radice , nonché da areflessie.

Le conseguenze si concretizzano in dolore lombare spontaneo che aumenta alla

digitopressione (segno di Delitala e segno diValleix ) ed alla mobilizzazione, in

rigidità del tronco dello stesso tratto e contrattura muscolare , sintomatologia

periferica lungo il dermatomero corrispondente alla radice interessata palesata in

deficit di forza e/o motori,alterazioni dei riflessi e turbe della sensibilità.

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FISIOLOGIA ARTICOLARE

La colonna vertebrale compenetra in se funzioni meccaniche apparentemente

antitetiche espresse da parametri quali rigidità ed elasticità, ma mai così

armonicamente fuse come in questa struttura definita emblematicamente

struttura a “sartie” .

L’elasticità del rachide è risultante da molteplici articolazioni esistenti tra i

processi articolari superiori ed inferiori delle vertebre adiacenti. La struttura,

perciò, è in grado di deformarsi pur, allo stesso tempo , rimanendo rigida grazie

all’azione dei suoi tiranti muscolari.

La colonna è concepita, se osservata sul piano sagittale ,di 4 curvature,alternate

fra loro in concavità e convessità, la cui presenza ne aumenta la resistenza

strutturale secondo la legge :

R = n2 + 1

dove:

R→ resistenza totale del rachide

n → numero delle curve del rachide

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il corpo vertebrale è cilindrico ed è collegato agli altri a lui adiacenti dal disco

intervertebrale. Il canale vertebrale ,situato posteriormente, è costituito dai

peduncoli, che si originano dallo stesso corpo vertebrale , e dalle lamine che poi

si riuniscono tra loro in posizione mediana nell’apofisi spinosa. Da questo arco

posteriore ,il canale midollare, ospitante il midollo spinale, si sfioccano

lateralmente pure 2 processi detti apofisi traverse. La radice nervosa nasce

bilateralmente da una estroflessione del sacco durale dipartendosi attraverso i

peduncoli del canale midollare in un’apertura creata in avanti dal disco

intervertebrale, superiormente ed inferiormente dai peduncoli e posteriormente

dai processi articolari. Questo canale radicolare è conosciuto come forame di

coniugazione. La stabilità alla colonna è conferita dalla muscolatura che da

questa si origina, nella quale si inserisce e si compenetra. Altri elementi

stabilizzantisono le strutture fibro-legamentose rappresentate posteriormente dal

legamento interspinoso e sovraspinoso sulla spinosa, l’intertrasversario nelle

traverse,l’interapofisario a livello delle omonime articolazioni e dal legamento

giallo che unisce le lamine vertebrali (2) e funge da parete al canale midollare. Il

legamento comune posteriore ed anteriore si adagiano nelle rispettive porzioni

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del corpo vertebrale con andamento cranio-caudale per tutta la lunghezza

spinale. Il collegamento di questi legamenti è garantito ad ogni livello dal disco

intervertebrale. Il disco è formato dal nucleo polposo centrale, assimilabile ad

una biglia di gel trasparente idrofilo ( contenente per l’ 88% di acqua )

istologicamente costituito da fibre collagene, cellule simil condrociti,

connettivali e cartilaginee; e dall’anello fibroso che lo circonda , strutturato in

fasci fibrosi concentrici con decorso obliquo ed incrociato l’uno rispetto all’altro

di consistenza inestensibile che rappresenta un cuscinetto che presiede ai

movimenti della colonna e mantiene il nucleo sotto pressione. La struttura

discale, per sua natura , è già sottoposta ad una tensione di fondo che determina

uno stato di precompressione prima ancora che subisca qualsiasi sollecitazione.

Allorché un carico agisca sulla struttura spinale , assisteremo ad un fenomeno di

compressione assiale che genera un appiattimento del nucleo ed uno

schiacciamento del disco; ne consegue un aumento della pressione della

porzione centrale trasmessa poi lateralmente alle fibre dell’anello, costrette, a

loro volta, a sopportare una tensione maggiore. Invece durante i movimenti del

rachide il nucleo migra ,cioè cambia la sua posizione, adeguandosi alla

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distribuzione di tensione delle fibre dell’anello stesso ed alla geometria del

movimento. Perciò in una flessione di tronco,il nucleo traslerà posteriormente

sfruttandone il maggior spazio intervertebrale apertosi ; nell’estensione accadrà

l’inverso,così pure nell’inclinazioni laterali il nucleo procederà nel lato della

convessità della curva.

L’insieme di tutte le sollecitazioni sopportate dal rachide si ripercuotono a

livello discale spremendo il nucleo e forzando l’anello inflazionando la

fisiologica diminuzione idrica ,sia giornaliera che ontogenetica,che lo porterà

così ad uno stato d’ipoprecompressione. Generalmente il riposo restituisce la

morfologia funzionale del sito,specialmente se i carichi non sono continuativi e

particolarmente opprimenti.

La colonna presenta tratti ipomobili rispetto ad altri di maggiore mobilità, e

sono proprio questi ,nella specificità il cervicale ed il lombare , che sono più

frequentemente coinvolti in fenomeni degenerativi . Inoltre il tratto lombare è la

porzione di colonna nella quale viene a gravare la maggior parte del peso

sostenuto e sostenibile dall’individuo, come se il punto d’applicazione di tale

forza fosse concentrato nella suddetta zona ( L5-S1 sopportano ≅ i 2/3 del peso

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corporeo ), perciò assisteremo alla comparsa, più precocemente che in altri

distretti, di fenomeni legati all’invecchiamento.

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I MUSCOLI DELLA REGIONE LOMBARE

La muscolatura viene distinta in dinamica - fasica e statico - tonica. La

collocazione di alcuni gruppi muscolari nell’una o nell’altra classe varia nella

letteratura,però è univoco il significato funzionale attribuito loro dai diversi

autori.

Dinamica - fasica : serve per effettuare movimenti ampi ,è poco tonica e

fibrosa. La loro composizione consta ,in particolare , di fibre bianche lunghe di

tipo 2 perciò a rapida contrazione ed elevata tendenza all’affaticamento.

Statico - tonica : comprende i muscoli che generano piccoli movimenti di

aggiustamento posturale assolventi una funzione antigravitaria. Le loro fibre

sono rosse, fibrotiche e disposte in modo penniforme nei muscoli lunghi e corte

nei brevi. La loro contrazione è lenta appartenendo al tipo 1 e denotano scarsa

affaticabilità. La loro funzione è di trasmettere tensioni muscolari tra i 2 emilati

del nostro corpo attuando strategie di compenso sia locali che a distanza. Questi

muscoli durante la loro contrazione tendono ad accrescere la coattazione

articolare dei vari segmenti rachidei incrementandone la pressione intra-

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articolare, quindi una loro aumentata e protratta tensione può essere considerata

una causa ed un fattore di mantenimento del dolore lombare.

Nella fattispecie, senza appellarci a nessuna classificazione , avremo :

Muscoli posteriori

Muscoli del piano profondo o paravertebrali (costituiscono una massa

voluminosa che occupa le docce vertebrali ai lati delle vertebre stesse ) :

muscoli traversi spinosi

muscolo dorsale lungo

muscolo sacro lombare

muscolo epi-spinoso

muscoli del piano medio :

piccolo dentato posteriore ed inferiore

muscoli del piano superficiale :

gran dorsale

Muscoli latero vertebrali :

quadrato dei lombi

psoas

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Muscoli della parete addominale :

retti dell’addome

larghi dell’addome

traverso dell’addome

piccolo e grande dell’addome

Le molteplici azioni muscolari che intrevengono sul bacino non sono esplicate

soltanto dalla muscolatura toraco-lombare , ma intervengono anche altri muscoli

per determinare un assetto sagittale del bacino, potendolo poi modificare in

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iperlordosi , collegata ad una antiversione di bacino , ed una ipolordosi

relazionata invece ad un appiattimento della curva lombare coincidente con la

retroversione di bacino.

Una loro disarmonia, rispetto alla fisiologica condizione di equilibrio che

sussiste fra agonisti ed antagonisti , stressa le articolazioni od ingenera la

stimolazione di trigger-point provocando la spiacevole sensazione del dolore.

Perciò le azioni di questi muscoli ,aventi differenti modulazioni in base alla

conformazione posturale,che varia da individuo ad individuo, e dalla prevalenza

di alcuni gruppi rispetto ad altri , dovranno essere attentamente osservate nel

paziente lombalgico per poter procedere nell’impostazione di obiettivi di

trattamento personalizzati.

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PERCHÈ IL DOLORE COLPISCE IL TRATTO LOMBARE?

Per cercare di spiegare i perché dell’implicazione prevalente del tratto lombare

in quadri antalgici, oltre al tenere in meritevole considerazione gli aspetti finora

esposti, bisogna indagare ulteriormente circa l’anatomia funzionale del

segmento rachideo considerato.

Lo spessore del disco varia da livello a livello evidenziato in un suo incremento

nel senso cervici-sacrale che lo porta dai 3 mm di altezza registrati nel rachide

cervicale ai 9 mm del lombare con un intermezzo di 5 mm nella porzione

dorsale. Associato alla variazione in spessore del disco troviamo anche una

diversa grandezza dei corpi vertebrali, restando però sempre simili fra loro, che

evolve nella stessa direzione del cambiamento di spessore discale; così

partiremo da una vertebra di dimensioni ridotte nel tratto cervicale ,per assistere

ad un aumento del suo volume più si procede caudalmente,toccando il suo apice

a livello lombare dove la superficie più grande corrisponde a sforzi assiali più

intensi.

Confrontando le grandezze rilevate ci si accorge che la loro distribuzione è

direttamente correlata alla mobilità dei vari segmenti della colonna,come si può

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facilmente capire analizzando la nozione di proporzionalità dello spessore del

disco relazionato all’altezza del corpo vertebrale. I tratti del rachide presentano

un rapporto di 2/5 nella parte cervicele, 1/5 nel dorsale e 1/3 nel lombare. La

proporzione ci permette di stabilire come la mobilità della colonna sia più

importante in segmenti dove questa è di entità maggiore risultando perciò

maggiormente distribuita alle 2 estremità dell’asse vertebrale con una leggera

prevalenza per la regione cervicale. La diversità di spessore discale e delle

dimensioni vertebrali ai vari livelli,oltre che determinare rapporti non omogenei

di mobilità, è implicata nella differente dislocazione del nucleo che non si

colloca esattamente al centro del disco anche se è posto ad uguale distanza dal

bordo anteriore della vertebra e dal legamento giallo, ma si trova leggermente

retrocesso come se fosse attratto dal legamento posteriore all’indietro.

Il volume nucleare, anche esso, risulta diverso ai vari livelli vertebrali perché è

proporzionato alla grandezza del suo disco dovendo fungere, nella sua prigione

sottopressione tra i 2 piatti , da “ snodo sferico ” per le articolazioni

intervertebrali. Il nucleo, in una compressione assiale sopporta , una pressione

uguale alla metà della forza incidente aumentata della sua metà,mentre l’anello

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fibroso sarà gravato soltanto della restante forza scomposta ( → 25% della

forza, ovvero l’altra metà meno il 50% ), agendo così da distributore di

pressione in senso orizzontale sull’anello. Nella regione lombare , in particolare

a livello metamerico L5-S1 , la sola compressione verticale agente sul nucleo

dovuta unicamente alla forza di gravità nella stazione eretta, si ripercuote alla

periferia dell’anello con un valore “ pressorio ” di 28 kg/cm e di 16 kg/cm2. In

situazioni di sovraccarico tali valori aumentano.

Nella flessione le 2 forze raggiungono rispettivamente gli 87 kg/cm e i 58

kg/cm2, per incrementare ancora maggiormente nel tentativo di raddrizzare la

colonna passando a 147 kg/cm e 107 kg/cm2. Nonostante valori così alti , questi

non rappresentano la soglia liminare , ma è possibile assistere ad un loro

incremento se associati al movimento insiste un carico aggiuntivo. I nuovi valori

ora possono rasentare il limite di carico della struttura intervertebrale sino a

superarli raggiungendo così il punto di rottura.

Questi valori, pur senza nessun carico assiale ,non sono mai nulli,infatti il

nucleo esercita sempre una forza contro la sua teca contenitrice

inestensibile,determinando un permanente stato pressorio → stato di

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precompressione. È logico che questo sarà maggiore a livello lombare ,perché la

gravità indurrà ad un pressione assiale maggiore e perché il volume nucleare in

questa sezione è il più grande dell’intera colonna ; e ciò determinerà una perdita

maggiore della componente idrica del nucleo ed un diminuito spessore discale.

Questo suggerisce la presenza di un processo di disidratazione proporzionale al

volume del nucleo. Infatti applicando un carico costante ad un disco vertebrale ,

il suo spessore diminuirà in funzione del peso in base ad una relazione non

lineare ma esponenziale nel tempo.

Il recupero idrico del nucleo e del suo normospessore seguirà sempre la stessa

legge esponenziale regolante la sua diminuzione . Se però l’alternanza di carichi

e scarichi è reiterata e ad elevata frequenza, il disco non avrà tempo sufficiente

per recuperare completamente il suo spessore iniziale , così come accade se il

carico incombe a lungo protraendosi nel tempo. Un disco caricato allora

presenterà un graduale decremento spessorio relazionato all’entità del carico, ma

se a questo si aggiunge un improvviso ulteriore carico, si osserva , esperienza di

Hirish , che lo spessore del disco passerà da un minimo ad un massimo in un

secondo seguendo l’andamento di una curva oscillante. Ora , se il sovraccarico

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sostenuto, è troppo gravoso ,tale reazione può essere lesiva contro le fibre

dell’anulus.

Tutte queste forze applicate ai dischi, dalla forza peso della porzione di corpo

sovrastante , a quelle di eventuali carichi e sovraccarichi e quella del tono dei

muscoli paravertebrali , è prevedibile e scontato che, diventino tanto più

importanti quanto più si procede in direzione cranio-caudale andando ad

incidere soprattutto a livello L5-S1.

Il dolore lombare oltre che essere determinato esclusivamente da meccanismi

algogeni dei fattori meccanici, può avere altre eziopatogenesi, venendo

considerata la lombalgia una sindrome a genesi multifattoriale ( Negrini 1994,

Nachenson 1996 ). Il dolore prodotto è la trasduzione di un adeguato stimolo in

un impulso a livello dei nocicettori che sono attivati, appunto , da alcune

stimolazioni con determinate caratteristiche fisiche ( Lacerance 1990 ). Questa

stimolazione avviene per deformazione nocicettoriale indotta meccanicamente a

livello della struttura lombare inseguito a modificazioni osteoarticolari descritte

in precedenza, ma può derivare anche per irritazione chimica (sufficiente

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Page 69: “L’idrochinesi come approccio terapeutico alle lombalgie ... · prescrissero bagni di mare nel quadro di una climatoterapia marina agli albori. Questa tendenza si rafforza nel

accumulo di sostanze irritanti dovute a processi flogistici ). È ragionevole allora

considerare il dolore smembrato dalla sua unica interpretazione :

“ sgradevole esperienza sensoriale ed emotiva associata a danno tessutale, in

atto o potenziale, o desritta in termini di tale danno ” ( A.I.S.P. )

Dolore chimico : principalmente interiorizzato come dolore costante che quindi

non si attenua o scompare con le posizioni statiche anche se può diminuire con

un blando movimento. Nel compiere un movimento eccessivo tende ad

automantenersi.

Dolore meccanico : è percepito come dolore intermittente che si avverte dopo

movimenti o posizioni eccessive o protratte nel tempo, per scomparire al cessare

della forza applicata. Tende ad insistere costantemente se la deformazione

meccanica è permanente.

Questa distinzione però resta soltanto scolasticamente utile ,perché , come

emerge da studi concentrati attorno alle stimolazioni meccaniche sui nocicettori,

viene evidenziato che alcune batterie di recettori per il dolore rispondono solo a

minime sollecitazioni , mentre altre, denominate recettori “ dormienti ” , si

attivano esclusivamente dalla concomitante presenza dello stimolo meccanico e

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di quello chimico/infiammatorio; sottolineando così, come le 2 distinte tipologie

di stimolazione si amplifichino vicendevolmente interagendo in modo molto

stretto fra loro.

[→la radice nervosa affinché produca dolore

occorre di entrambe le stimolazioni

→il disco intervertebrale, nel 3° medio dell’

anulus, quando le strutture esterne sono

sollecitate da degenerazione discale , risente di

stimoli chimici e meccanici

→ la dura madre innervata centralmente ed attorno

alla radice risponde alle 2 stimolazioni]

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VARI APPROCCI RIABILITATIVI PER LA LOMBALGIA

“Dall’era delle macchinette all’era dell’esercizio ragionato”

Terapia fisica e massaggio

Rispecchia una concezione “arcaica” della rieducazione ,riferita ai primi anni

della riabilitazione italiana dove la terapia fisica strumentale,molto inflazionata,

imperniata su marconiterapia, radarterapia, ionoforesi, …… associate alle

varie forme di massaggio muscolare e riflessogeno costituivano l’approccio

riabilativo.

Cinesiterapia segmentaria

Questa proposta riabilitativa si affaccia nel panorama italiano negli anni 60 e

prevedeva elementi di mobilizzazione, rinforzo e allungamento muscolare,

rieducazione funzionale e posturale, ma rigidamente segmentari, anche se la

scelta degli esercizi era incentrata sulle caratteristiche morfologiche del

paziente.

Terapia manuale

Di origine tipicamente anglosassone ha portato alle prime tecniche incentrate sui

micromovimenti articolari,ma la poca seria divulgazione ha permesso che questa

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si separasse dal contesto riabilitativo,diventando una pratica distaccata

professata dalle più svariate categorie di manipolatori.

Approcci mezieristi

Una nuova concezione della riabilitazione è stata apportata dagli insegnamenti

di Mézières che portano al sorpasso di una visione segmentarla del disturbo

dell’individuo sostituito della necessità di un lavoro globale generante così un

approccio solistico.

Terapie psicomotorie

Gli aspetti più importanti di queste tecniche derivano dal considerare il disturbo

come l’epilogo di una disarmonia tonica ,percettiva , posturale , causata spesso

da un malessere globale della persona riguardante la sfera psico-fisica.

Terapie neuromotorie

Sono approcci indicati e nati per la rieducazione delle neurolesioni utilizzabili

anche per trattamenti ortopedici ( bobat, PNF e Perfetti ).

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COME IMPOSTARE IL TRATTAMENTO

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VALUTAZIONE

La valutazione accurata è una tappa fondamentale per poter impostare un

programma riabilitativo adeguato, all’interno di un progetto più ampio che

prenda in considerazione la globalità dell’individuo e la sua qualità della vita e

che porti il fisioterapista all’individuazione di obiettivi terapeutici. Da questi,

infatti, bisogna partire scegliendo la strategia terapeutica ( o più di una ) che

riteniamo più valida per quell’individuo e per quella fase della patologia.

Come primo punto è doveroso un colloquio con il paziente, infatti il

fisioterapista deve sapere come il soggetto vive il problema , come si è

modificata la qualità della sua vita, le sue abitudini, la sua attività lavorativa, il

dolore con le sue caratteristiche ( quando insorge , in che posizione compare ed

in quale diminuisce, la sede e se c’è irradiazione ), se assume farmaci e con che

frequenza, ma soprattutto cosa si aspetta dal trattamento.

Da questo colloquio potrebbe emergere anche la non disponibilità del paziente

all’ingresso in acqua che comunque dovrà essere rispettata.

È utile effettuare una valutazione così detta a “ secco ” perché in acqua non si

riescono a cogliere molti aspetti che una valutazione posturale accurata nei vari

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piani (frontale, sagittale ed orizzontale) può produrre. Inoltre molto importante è

la compilazione di una scheda , anche molto semplice , che ci aiuti ad inquadrare

le cause che dalla valutazione abbiamo ritenuto essere le scatenanti dell’entità e

del tipo di dolore , gli obiettivi, il progredire del trattamento, ma principalmente

la verifica del nostro agire rispetto a questo.

Come si può vedere dalla scheda,utilizzata nel servizio di idrochinesiterapia

presso il C.O.R.I. di Passignano, che si trova di seguito in allegato , per ogni

aspetto è prevista una parte che andrà compilata alla fine del ciclo di trattamento

come verifica dell’efficacia. Adesso si potrà pensare di perseguire come

approccio il trattamento in acqua ( e/o altre strategie terapeutiche ) sfruttando

,oltre che le pecularietà del mezzo, tecniche specifiche attuate dal fisioterapista.

L’applicazione di queste e l’unicità di ogni trattamento richiede necessariamente

la presenza del fisioterapista, con conoscenze specifiche, in acqua per “ sentire ”

il paziente ed adeguare il tipo di presa, per esempio , valutarne le tensioni e la

loro localizzazione. Sempre nella scheda dovrà comparire il grado di acquaticità

e la capacità del, paziente di interagire col mezzo. A questo proposito si farà una

valutazione specifica in acqua.

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OBIETTIVI

Abbiamo visto come sia forviante cercare una causa anatomica dato che spesso

ci troviamo difronte ad una causa funzionale; essendo poi una sindrome

multifattoriale, le varie cause ( postura scorretta, disfunzione discale ,

comportamento individuale , muscoli retratti…) interagiscano in maniera

diversa creando una specificità in ogni paziente ; quindi per attuare un

trattamento mirato dobbiamo chiederci quale è la genesi del dolore , da dove si è

originato e quali conseguenze ha portato , in quel “ momento ” e per quel

paziente. Si possono individuare alcuni obiettivi fondamentali :

Controllo, riduzione del dolore

Migliorare la distribuzione dei carichi

Ripristinare i corretti automatismi statici-dinamici

Recupero della funzionalità

Presa in carico da parte del paziente del problema ed educazione alla sua

gestione

Continuazione dell’attività lavorativa

Miglioramento della qualità della vita

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L’appropiatezza del trattamento in acqua nelle lombalgie è data anche dalla

possibilità , superata la primissima fase acuta , di impostare un trattamento

adeguato alla fase temporale della lombalgia. È certo che gli obiettivi sopra

descritti assumono diversa importanza in ogni sua fase (esempio: cercare di

correggere la postura di un individuo in presenza di dolore è improponibile in

quanto la postura analgica va sempre rispettata ).

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PRINCIPI DELLA PRATICA

La pratica è sostenuta da un metodico approccio sequenziale e propedeutico.

Queste tre parole descrivono perfettamente i fondamenti della tecnica

riabilitativa in acqua. La regola espressa dall’ A.S.P. ricalca lo sviluppo

ontogenetico dell’ individuo ed è presupposto per un ottimale e massimale

recupero funzionale. Nei trattamenti di idrochinesiterapia questo è il filo

conduttore di ogni proposta ; lo si ritrova già nello stabilire la durata della

seduta , che non sarà subito piena ed intensa ma si intensificherà piano

piano ; sottende alle varie proposte terapeutiche che inizieranno con un lavoro

da posizioni quadrupediche o statiche in galleggiamento, sino al raggiungimento

del pieno ortostatismo e dello sviluppo della sua componente dinamica (simu-

lando il processo di crescita di un bambino). Pure nelle difficoltà che caratte-

rizzano gli esercizi ritroviamo questo filo conduttore , si inizierà con facili

richieste per arrivare a gradi di difficoltà sempre maggiori anche applicando e

togliendo opportunamente resistenze fornite dagli ausili in dotazione. La

propedeuticità insita nell’approccio sequenziale mira ad ottenere l’interioriz-

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zazione delle varie proposte come conquista di un neo processo evolutivo in

atto, ricostituendo così il patrimonio motorio alterato o perso.

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PRINCIPI DI TRATTAMENTO

L’esercizio in acqua infonde al paziente un’ esperienza globale avvolgente

tutte le sfere del suo essere ( psicologica, intellettiva, sensoriale, motoria )

data da una genesi di modalità di percezioni diverse alle quali contribuiscono

una situazione avvolgente che abitua all’ ascolto del proprio corpo ed una

facilitazione motoria in sinergia ad un generale rilassamento che trasmettono

piacere e benessere . L ’ idrochinesiterapia sfrutta come principi del

trattamento, forvianti la proposta stessa , le facilitazioni che l’ acqua mette

a disposizione.

Tempestività di intervento:

E’ la conseguenza dell’ assenza della forza peso; i tempi di un recupero

funzionale sono anticipati facendo raggiungere più brevemente una certa

autonomia fortificando motivazioni ed aspettative che animano di entusiasmo il

percorso rieducativo.

Conoscenza delle potenzialità :

Il paziente in acqua prende coscienza delle sue possibilità motorie in atto e in

potenza. Nelle condizioni di assenza di dolore , o ipoalgesia, rilassatezza

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muscolare dettate dall’acqua stessa, il paziente può lavorare con ampiezze

articolari maggiori. La tridimensionalità del mezzo agisce anch’essa in

questa direzione. Permette di vivere la spazialità del movimento che

normalmente è racchiusa in confini dettati da complessi antalgici, struttturali, da

ipotonia e da alterazioni del normotono muscolare, troppo oppressivi nella

terapia a “secco”.

Interiorizzazione del movimento:

La tangibile stimolazione sensoriale che si ottiene in un corpo immerso, ci

porta a dire che è impossibile separare l’esecuzione di un esercizio dalla sua

nota di propriocettività; concetto enfatizzato poi dalla modalità esecutiva che

conferisce una maggiore interiorizzazione quanto sia più lenta l’esecuzione della

proposta stessa. Tale situazione permette al paziente di valutare gli errori nel

movimento ( se ci sono ), differenze tra le sue “parti sane” e le sue “parti

malate” apprezzandone la simmetria o scorgendone le eventuali asimmetrie,

focalizzare la propria attenzione sull’esecuzione del movimento vivendolo,

capendolo in quanto la condizione in cui esso si trova è di massima stimolazione

e facilitazione meccanica.

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Prevenzione e cura:

Il lavoro proposto in acqua , in particolar modo per la sua componente di scarico

ponderale si può utilizzare ai fini preventivi evitando, soprattutto in fase acuta

inconvenienti che possono rallentare lo svolgimento dell’iter riabilitativo.Le

precauzioni da prendere sono minime e se vengono compiute manovre “errate”

non hanno un notevole risalto, così microtraumatismi, infiammazioni,

versamenti articolari, dolore, sindromi da sovraccarico hanno un’incidenza

molto molto minore. La condizione di scarico impedisce che si attivi quel

meccanismo di difesa e protezione, che rende il movimento più limitativo

possibile per evitare il dolore, relegando le strutture coinvolte in atteggiamenti

coatti.

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IL RUOLO DEGLI AUSILI

Gli ausili sono parte integrante della piscina terapeutica e ricoprono un ruolo di

necessaria utilità all’interno del piano di trattamento idrochinesiterapico.

Il loro utilizzo non deve essere né stereotipato né tantomeno standardizzato, ma

debbono essere impiegati con sapienza vista poi la duplice azione assolta,

ovvero, sostitutori di alcune “prese” e, di ,variando la loro disposizione e

consistenza,nonché creandovici e sfruttandoli come “leve fisiche”,ottenere

facilitazioni e resistenze ( → aumento della difficoltà ).

Attraverso l’applicazione degli ausili è possibile soddisfare anche il principio di

sequenzialità propedeutica dell’approccio e del trattamento terapeutico.

Gli accessori utilizzabili in acqua possono essere molteplici,usati singolarmente

od in sinergia, in modo semplice, in base alla loro funzione, od originale

creandovecene di nuovi e diversi :

Salvagenti di resistenza regolabile che possono formare collane, bracciali,

cinture…

Tavolette

Tubi galleggianti e modellabili

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Tappeti galleggianti

Palloni

Pinne, racchette, pagaie

Dispositivi ad alette frenanti il movimento

Piani oscillanti

Braccioli o guanciali galleggianti

Cinture, braccioli, gambali conteneti piombo

Step

L’ampia possibilità di scelta permette innumerevoli soluzioni nel loro impiego

cercando un loro utilizzo lungi da una banale ed intuitivo uso animato di statica

stereotipia. L’ausilio, quindi, deve essere concepito e vissuto dinamicamente,

applicandolo in molteplici e più differenti situazioni e non sempre imperniato

delle medesime connotazioni d’uso, da vincolo assoluto a stimolo propiocettivo,

da resistenza a facilitazione, da stabilizzatore dell’assetto acquatico a suo

destabilizzatore, da mezzo ludico a pratica ed efficace presa per specifiche

manovre e/o esercizi.

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Tutto questo si realizza grazie alla possibilità di variare il loro volume, la loro

forma, la loro posizione, il loro numero e la modalità d’utilizzo.

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CONCLUSIONI

Terminata questa esperienza sarebbe ipocrita e lontano da qualsiasi logica

ritenermi abile ed arrivato ad una razionale conoscenza, sottesa tra principi e

pratica, dell’idrochinesiterapia perché la materia di studio è infinita ed in

continuo divenire. Un concetto però posso, ed anzi, sono in grado di poterlo

esprimere, perché credo che sia il valore aggiunto di questo inizio di esperienza.

Se dell’acqua si vogliono adottare le “regole” e cioè le leggi che concorrono a

farne uno strumento funzionale, volta per volta, coadiuvante o di impedimento

rispetto ad uno specifico movimento, ad una precisa funzione, eccola intesa

come strumento, mezzo ed addirittura ausilio terapeutico.

Se dell’acqua si vogliono utilizzare le caratteristiche specifiche messe assieme, è

conosciuta e studiata come ambiente terapeutico, cioè un setting ricco di

potenzialità generali, pronte ad essere abilmente sfruttate dal fisioterapista che

entra in acqua.

Il programma riabilitativo in acqua permette di cogliere dinamiche e risultati che

debbono essere poi assolutamente trasferiti “a secco”. La traduzione dell’idioma

acquatico è la specifica competenza del riabilitatore ,che riesce a cogliere ciò

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che l’acqua può offrire, come unica opportunità, per migliorare la qualità della

vita del soggetto disabile nel suo ambiente quotidiano.

Quindi, chi si serve dell’acqua solo come strumento, o solo come elemento, ma

soprattutto come ultimo rimedio, ovvero l’ultimo tentativo di un percorso

riabilitativo con scarso successo quando non si è ottenuta una risposta positiva

da altri approcci supportati da altre tecniche, rinuncia a vivere

l’idrochinesiterapia nella pienezza di una presa in carico globale. Sarebbe un

misero fallimento concepire la riabilitazione in acqua, come accade purtroppo in

molte realtà sanitarie, alla stregua di un qualcosa di aggiunto al pacchetto

riabilitativo e come isolato approccio terapeutico, ed infatti, sta proprio in questo

modus operandi il non rendere adito alla sua reale potenza terapeutica

condizionandone l’utilizzo nella comune pratica di tutti i giorni.

Coscienziosamente sono riuscito a comprendere, grazie alla seria disponibilità

mostratami dell’equipe del C.O.R.I. di Passignano, ed in particolare per merito

di Simone e Lorena, come l’idrochinesiterapia non si deve vivere come realtà

isolata,ma deve essere un elemento costituente di un programma riabilitativo più

ampio, che affianchi le altre tecniche e le supporti per raggiungere l’obiettivo

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finale prefissato facendo decadere la distinsione tra fisioterapisti con la muta e

senza in quanto siamo tutti parte di un modo di essere.

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