lectio sacra famiglia rossano - parrocchiarossano.it · il vangelo che ci viene presentato per la...
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Lc 2,41-52
41I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". 49Ed egli rispose loro: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?". 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. 51Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Il vangelo che ci viene presentato per la festa della Sacra Famiglia, colto nella sua
descrizione letteraria, si presenta un po' caotico. Ma che razza di famiglia è una che perde
un ragazzino di dodici anni ed un figlio che non avvisa i genitori se vuole restare a
Gerusalemme? Quando regnava la banalità o stupidità biblica, per giustificare questo
episodio si ricorreva ad una spiegazione pietosa: le carovane erano due, una di donne e
una di uomini. Gesù, che non aveva ancora fatto il rito del bar mitzvàh, perché non aveva
compiuto i tredici anni; poteva quindi essere in una o nell'altra carovana ed è per questo
che la madre lo pensava dal padre e viceversa. La tensione che si crea è grande.
Come spesso capita la tensione è dovuta a Gesù adolescente. Maria e Giuseppe fanno
fatica a comprenderlo, non lo capiscono. Gesù, dal canto suo, non fa niente per facilitare le
cose, ed il dialogo con i genitori, da come appare nei vangeli, è piuttosto complicato. Se
Gesù venisse a confessarsi oggi, direbbe, come meccanicamente dicono i nostri ragazzini;
"Ho disubbidito ai genitori" …. Qui Gesù, altro che disubbidienza …. non si aggrega alla
carovana e si rifugia nel tempio di Gerusalemme, probabilmente sotto il portico di
Salomone o nella bellissima stanza chiamata לשכת גזית Lishkat ha-Gazit "delle pietre
squadrate".
In questa famiglia, usando un linguaggio dei nostri giorni, possiamo dire che, accanto alla
grande santità, si coglie un'aria di tensione e d'inquietudine. Inquieto è Giuseppe, che
non vede rispettata la sua autorità; inquieta Maria, che non comprende questo figlio;
inquieto Gesù, che mal sopporta le pretese dei genitori.
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In ebraico, famiglia si dice "Casa יִת e questo rileva ,(ebr. Bet'ab) " ָאב del padre ָּב֫
adeguatamente il carattere patriarcale; essa è, infatti, sottomessa all'indiscussa, autorità del
capofamiglia.
Al tempo di Gesù, non esiste neppure il concetto di "genitori", soltanto un " ָאב ab" (padre)
e una " ֵאם em", (madre). Seppure entrambi concorrano alla nascita del figlio, lo fanno con
funzioni completamente differenti e non equiparabili per importanza: il padre è colui che
produce il seme da cui si svilupperà il feto; il ruolo della madre è solo di ricevere questo
seme, nutrirlo e poi partorirlo, ma senza mettere qualcosa di "suo"; svolge, né più né
meno, la funzione di un'incubatrice. Ecco perché il nascituro è "tutto suo padre",
"discendenza" solo paterna; per la madre non si tratta di discendenza, ma solo di
"figliolanza". I figli non hanno alcun diritto, solo doveri; come le donne, non rientrano
nelle categorie di persone per le quali si benedice e, negli elenchi degli abitanti, vengono
sempre uniti agli schiavi ed agli imbecilli.
Il figlio deve solo obbedire, e questa sua obbedienza ai genitori ha lo stesso valore di un
dovere religioso; l'onore verso i genitori Dio lo equipara, infatti, all'onore reso alla sua
stessa Persona. Almeno fino ai tredici anni, quando il ragazzo compie la maggiore età
religiosa (rito del bar mitzvàh) e il padre può finalmente smettere di occuparsi di lui,
benedicendo per questo il Signore: "Benedetto sei 'tu Signore che mi hai esonerato dalla
responsabilità di questo figlio".1. Ma fino a tale età, se non vive sottomesso, la Bibbia
suggerisce di usare maniere forti (Dt 21,18-21): "Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta"
(Sir 30,1); "piegagli il collo in gioventù e battigli le costole finché è fanciullo" (Sir 30,12).
I rabbini insegnano:
"Chi risparmia i castighi al proprio figlio gli dà una cattiva educazione e alla fine sarà odiato da
lui... Così David non ammonì in tempo suo figlio Abshalom e non lo domò; ed egli prese una cattiva
strada, diventò nemico del padre, gli fece guerra e lo costrinse a camminare scalzo e piangente..."2
3Non risulta che Giuseppe abbia dovuto usare la frusta con Gesù, ma i vangeli apocrifi,
meno preoccupati di turbare l'immagine della "sacra famiglia", qualche tirata d'orecchi la
riportano: "Quando vide quello che Gesù aveva fatto, Giuseppe lo prese con furore per l'orecchio".
E naturalmente non si contano i rimproveri che Gesù, ragazzo difficile, ha ricevuto:
"Giuseppe lo rimproverò dicendo: perché fai di sabato cose che non ci è lecito fare?". 1 Ber. r. 43,10 2 Shem r., 1 3 Ps. Mt., 27,1
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Ma questa volta ha passato il segno: l'ha fatta tanto grossa da far ricordare a Giuseppe le
parole del Talmud, in cui Dio, a proposito del figlio che affligge i suoi genitori, dice: "Ho
fatto bene a non abitare con loro, perché se avessi abitato con loro Io stesso sarei stato afflitto!"
L’angelo Gabriele quando annunziò al sacerdote Zaccaria la nascita del figlio aveva detto
la sua missione, il suo compito, sarebbe stato quello di Ricondurre il cuore – il cuore che è la
sede delle scelte operative, della riflessione, della mente – dei padri verso i figli. E’ una
citazione dell’ultimo versetto del libro del profeta Malachia, che però continuava: E il cuore
dei figli verso i padri. Luca non è d’accordo. Non sono i figli che devono comprendere i
padri, il passato, ma sono coloro che rappresentano il passato, i padri, che devono aprirsi
verso il nuovo. E’ quello che i genitori di Gesù non hanno compreso. E’ quanto stiamo
leggendo nella pericope domenicale scelta per la Sacra Famiglia.
I suoi genitori … caratteristica di questo brano è che l’unico con il nome è Gesù. Qui si parla
di genitori, poi di padre e di madre, e questo è già un primo indizio di lettura. Quando
l’evangelista omette il nome significa che, al di là dello spessore storico, intende
raffigurare dei personaggi rappresentativi con i quali è possibile identificarsi.
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
Nonostante le forti esperienze che Maria e Giuseppe hanno fatto dello Spirito, le tradizioni
religiose sono talmente forti che quando si radicano nell’intimo delle persone, le rendono
quasi impermeabili all’azione dello Spirito Santo, e per quanto l’uomo si apra all’azione
creatrice di Dio, l’influenza dello Spirito nella loro vita è lenta. E’ quello che succede in
Maria e Giuseppe, continuano con le tradizioni. La tradizione, pur con tutte le sue
bellezze, rischia di inchiodare la persona al passato e di non farle più fare nessun passo.
Non solo: "Quando Gesù, ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa".
L'obbligo di partecipare al pellegrinaggio, scattava ai tredici anni, ma loro portano Gesù
quando è ancora dodicenne. Qui l’evangelista vuole vedere un riferimento della figura di
Gesù nel profeta Samuele, grande personaggio della storia di Israele. Nelle Antichità
Giudaiche di Giuseppe Flavio4 si legge: "Samuele aveva dodici anni allorché iniziò a profetare".
Trascorsi i giorni previsti, almeno tre, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo
Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Questo appare
inverosimile,: come fanno due genitori a perdere il loro unico figlio? E perché Gesù non
avvisa i genitori di questo suo desiderio?
4 Libro V:348-4 - 4
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Non solo, quando poi – vedremo tra poco – i genitori lo rimproverano, il figlio, anziché
scusarsi, attacca, aggredisce quasi verbalmente i propri genitori, li rimprovera.
Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i
parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Torna di nuovo - per tre volte sarà nominata la città santa – il polo d’attrazione per questa
famiglia che ha la sede del tempio, la sede di Dio, dove si pensava risiedesse Dio. A
questo riguardo, apriamo una breve parentesi. In ebraico Gerusalemme si può dire i due
modi:
Ιεροσόλυμα – Ierosolima. Indica la città solo in senso geografico יְרּוָׁשַליִם
ם .Ἱερουσαλήμ, Ierusalem. Indica la “città santa”, in senso religioso e tradizionale יְרּוָׁשַל֫
Qui si parla sempre con il secondo concetto, quello legato alla tradizione, dove tutto è
immutabile, statico ed eterno. Obbedisce solo ad una logica: "Si è sempre fatto così e si deve
fare così"! Questo espediente letterario, ci conferma il forte attaccamento di Maria e
Giuseppe alle tradizioni dei padri … che Gesù abbandonerà definitivamente.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri.
Portico di Salomone
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Quindi trovano Gesù nel portico di Salomone, o nella famosa "stanza dalle pietre
squadrate", dove si insegnava la legge: lui seduto, installato. Il centro significa che è una
figura importante, come si legge nel libro del Siracide 24,1-2: "La sapienza loda se stessa, si
vanta in mezzo al suo popolo." Gesù rappresenta e concretizza, quindi, l'immagine della
sapienza divina. Cosa fa Gesù nel Tempio con gli scribi? "Li ascoltava e li interrogava. E tutti
quelli che lo udivano erano pieni di stupore - il termine greco adoperato dall’evangelista
(ἐξίστημι existémi) indica una meraviglia irritata da parte di questi maestri - per la sua
intelligenza e le sue risposte. Luca non lesina qualche piccola stoccata d'ironia: Gesù li
interroga, ma anche … risponde. Sembra quasi che non lasci tempo a questi maestri di
ribattere alle sue affermazioni.
Al vederlo restarono stupidi, ἐκπλήσσω ekpléssó - i genitori sono sconcertati, sconvolti - e
sua madre gli disse … Ecco il primo errore compiuto dalla madre. Per indicare il termine
“figlio” adopera un termine greco - Τέκνον teknon - molto caro all’evangelista che indica
“colui che ho partorito”, cioè qualcuno sul quale ho dei diritti, ho un potere.
“Perché ci hai fatto questo?” Ed ecco il secondo errore, “Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti
cercavamo”. Il rimprovero della madre è quello dell’Israele fedele che ha tentato con tutti i
mezzi di integrare Gesù nel suo passato nazionale e religioso. “Tuo padre” sottolinea il
vincolo legale e la forza della tradizione e ricorda a Gesù il ruolo di Giuseppe nella sua
educazione e nel suo comportamento di fronte alla Legge. Non riescono a concepire che il
Messia possa separarsi dalla tradizione che loro rappresentano.
La risposta di Gesù è bruciante, e senz’altro la madre ha ripensato alla profezia di Simeone
nel tempio, quando aveva detto che una spada – la spada è immagine della parola di Dio –
avrebbe trafitto la sua vita. Perché la risposta di Gesù è così secca? Perché, mentre tutti
quanti ascoltano Gesù, loro non lo ascoltano. Per i genitori è il figlio che li deve ascoltare,
non loro che devono ascoltare il figlio. Le uniche parole che Gesù rivolge in tutto il
vangelo di Luca alla madre sono parole di rimprovero. Il padre, nella cultura semitica, non
è solo quello che da la vita, bensì colui che da gli insegnamenti secondo la tradizione
ebraica con tutte le norme e regole da seguire.
Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate – quindi è qualcosa che dovevano aver
capito, che dovevano sapere - che io devo occuparmi … Il verbo “dovere” (δεῖ) è un verbo
tecnico adoperato dagli evangelisti che indica il compimento della volontà divina. “Devo
occuparmi delle cose del Padre mio?” Chiamando Dio “Padre mio”, Gesù si rende
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indipendente dai suoi e spezza l’integrazione con la cultura religiosa di Israele che essi
hanno cercato di trasmettergli. Nell’incomprensione dei “suoi genitori”, Luca anticipa già
l’incomprensione di cui sarà oggetto da parte di tutti: capi di Israele, popolo, discepoli,
parenti e conoscenti. Gesù mette in chiaro che lui non segue i padri (Abramo, Isacco,
Giacobbe … Mosè ecc.), cioè il passato, ma segue il Padre, si apre al nuovo. Non è l’erede
delle tradizioni di Israele, trasmesse dal padre, ma il testimone visibile dell’amore
universale del Padre. I genitori ancora questo non l' hanno compreso. Quindi: la parola di
Gesù è come una spada che attraversa la vita di Maria.
Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro καὶ αὐτοὶ οὐ συνῆκαν τὸ ῥῆμα ὃ ἐλάλησεν
αὐτοῖς. Quest’atteggiamento di Gesù è incomprensibile. L’evangelista in questo brano in
cui – ripeto – i genitori vengono rappresentati in maniera anonima, vuole far comprendere
la frustrazione di Israele che non è riuscita a capire il tipo di messia che Gesù è. Ha
riconosciuto in Gesù il Messia, come i genitori riconoscono in Gesù il figlio venuto da Dio,
ma non lo comprendono, perché pensano che debba seguire la tradizione, invece Gesù
abbandona la tradizione per creare qualcosa di nuovo.
Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso. Ed ecco il finale che è anche
l’inizio della progressiva crescita di Maria che la porterà da essere madre di Gesù a
diventarne la discepola. Sua madre custodiva 5διατηρέω tutte queste cose nel suo cuore,
esattamente la reazione che ha avuto dopo la visita dei pastori.
Con la visita dei pastori Maria si è trovata di fronte all’amore universale di Dio rivolto
anche a quelle categorie che ne erano escluse. Maria non comprende, però non rifiuta la
novità. Questa è la grandezza di Maria. Pur trovandosi di fronte a delle novità che non
riesce a capire, non le rifiuta e ci riflette.
E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Ecco di nuovo, come
all’inizio, nella cifra dodici c’era l’allusione al profeta Samuele, l’evangelista conclude di
nuovo con la citazione dello stesso profeta6 che, anche lui, cresceva in grazia davanti a Dio e
davanti agli uomini.
Perché questo riferimento a Samuele? Perché l’evangelista ha preso come modello la
madre Anna, una donna sterile che, per un intervento divino, riesce a diventare madre, e il
suo canto di lode sarà la base per il canto di lode di Maria, il Magnificat.
5 συμβάλλουσα* in Lc 2,19 6 1Sam 2,21.26
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Siamo a Gerusalemme nella festa più importante: la pasqua. I circa trentamila abitanti,
dentro e fuori le mura, si preparano ad accogliere i quasi centomila pellegrini che ogni
anno salgono nella città santa per la festa di Pesach.
E' la più importante delle tre grandi feste agricolo - religiose che la Legge ordina di
festeggiare in Gerusalemme.
Non ancora adulto o "bar-'onashim" (non ha compiuto i tredici anni), Gesù va ugualmente
insieme al padre e alla madre in pellegrinaggio a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
Giuseppe e Maria non hanno mai mancato di salire nella città santa per la festa; questa
volta, però, portano anche il figlio. E' uso comune, infatti, far partecipare anche i ragazzi
dodicenni al pellegrinaggio, per abituarli al compimento del precetto che diviene
obbligatorio l'anno seguente. Nel primo pomeriggio del dieci di Nissan (marzo-aprile),
dopo aver partecipato con gli altri paesani alla cerimonia in sinagoga per chiedere
protezione durante il pellegrinaggio ed aver pregato: "O Eterno Dio e Dio dei miei padri,
degnati di assistermi in questo viaggio", partono anch' essi da Nazareth. A tappe, in quattro
giorni percorrono i 141 chilometri che separano Nazareth da Gerusalemme.
Qui giunti vengono subito travolti dal clima di festosa, allegra confusione che si respira
nella città santa. Allegria che viene alimentata da generose bevute di buon vino,
considerato uno dei modi per osservare il terzo precetto da adempiersi nella festa di pellegrinaggio
"e gioirai nella tua festa" (Dt 16,14). Come espressamente consiglia il Talmud: "L'uomo è
obbligato a rallegrare i suoi figli e i suoi familiari nella festa di pellegrinaggio. Per mezzo di che cosa
li rallegra? Col vino"7
Giuseppe e Maria sono così presi dalla festa, dalle cerimonie, dalle danze, dagli acquisti
degli immancabili "ricordo di Gerusalemme", dai saluti e dalle chiacchiere con i parenti e
conoscenti, da non aver tempo di occuparsi di Gesù: i figli non hanno da parte dei genitori
alcun riguardo o attenzione; e Gesù ne approfitta. Rimane a Gerusalemme quando tutti
ripartono. Giuseppe e Maria non se ne accorgono … i figli sono considerati un niente e
perché Gesù dovrebbe costituire un' eccezione?
Solo dopo un giorno di viaggio, ormai distanti una trentina di chilometri da Gerusalemme,
cominciano a rendersi conto che Gesù non è più con loro.
7 Pes. B.
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Non l'hanno visto a pranzo... mangerà da qualche parte... non è una preoccupazione... si
arrangérà... arriverà... Invece Gesù proprio non si vede. così devono tornare a
Gerusalemme per cercarlo.
Il cielo di primavera, carico di nubi, non sarà mai scuro quanto il volto di Giuseppe:
"questa volta...". Le feste sono da poco terminate e la città brulica ancora di gente. Durante
la Pasqua Gerusalemme arrivava a circa centocinquantamila persone. Dove cercarlo? Tre
giorni di angoscia e di inutili ricerche. I “tre giorni” di continua ricerca indicano che lo
cercarono ovunque, eccetto nella direzione presa da Gesù. Trovarono Gesù in una scuola
del Tempio, “seduto in mezzo ai maestri/dottori”, cioè, non come un discepolo (non si
dice che era seduto ai piedi dei maestri ebrei) e nemmeno come uno di loro (insegnavano
“seduti”); era come al centro di una discussione intavolata tra colleghi, a base di domande
e risposte. Gesù, invece di assistere alle cerimonie, era andato al Tempio per discutere con
i rabbini che rappresentavano l’insegnamento tradizionale, competendo con loro sulle
conoscenze delle tradizioni di Israele.
Maria ripensa alla "spada" che le trapassa il cuore (Lc 2,35). Finalmente Gesù viene
rintracciato. E' con un misto di angoscia, di rabbia, di sollievo e di meraviglia che Maria,
vedendolo al centro di un' animata discussione teologica sotto i portici del Tempio, lo
ammonisce: "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io angosciati, ti cercavamo!" (Lc
2,48). Gesù non accetta il rimprovero. Alla madre, che gli ricorda il quarto comandamento
replica con il primo (Es 20,1-12). E passa lui a rimproverare i genitori. Lo fa con parole
tanto dure, da meritarsi molto più di una tirata d'orecchie da parte di Giuseppe. "Perché mi
cercavate?".
Poi quasi a rafforzare il rimprovero, esprime meraviglia per la loro ignoranza; dovrebbero
sapere bene come stanno le cose e invece dimostrano di ignorano: "Non sapevate?".
Non l'avete ancora capito? "Io devo occuparmi delle cose del Padre mio". Gesù sottolinea con
forza il "mio". Maria si è sbagliata. E Gesù glielo ricorda: suo padre non è Giuseppe ("tuo
padre ed io ..."). E' un Altro. Ed è bene che se lo ricordi. E lo ricordi anche Giuseppe: Gesù
non ha alcun obbligo verso la sua famiglia. Lo ricorderanno sì; ma senza capire. "Ma essi
non compresero le sue parole" (Lc 2,50). Chi è mai il loro figlio Gesù? Si è trattato di un'
impennata giovanile o sarà, invece, un atteggiamento duraturo? I suoi genitori non
condividono in tutto il comportamento così singolare di questo giovane; Maria però
immagazzina nella sua memoria esperienze e ricordi (cfr. 2,19) di cui non riesce a
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comprendere il significato; la menzione di “sua madre” all’inizio, al momento
dell’incontro, quando formula il rimprovero (2,48b), e, alla fine, allaccia la
domanda/rimprovero con la registrazione del ricordo della risposta di Gesù; Maria, pur
non comprendendola, non vi si oppone, ma la conserva nel suo cuore in attesa del
momento in cui il resto di Israele, che essa rappresenta come “madre” del Messia,
accetterà e aderirà ad un Messia che non è soggetto alle tradizioni paterne, ma che ha Dio
come unico Padre. Maria, donna che cresce nella fede, ha un atteggiamento che esprime lo
stupore ma anche lo sviluppo della fede che si apre nell’intelligenza del mistero. Gesù
rivela che l'assomigliare a Dio è la condizione essenziale per realizzarsi nella vita, per un
cammino di condivisione nella famiglia e nelle comunità. L’assomiglianza al Padre è ciò
che ci rende fratelli e sorelle, c’insegna a obbedirci l’un l’altro, ad ascoltarci l’un l’altro e a
riconoscere l’uno nell’altro il progetto di Dio. In questo clima si creano le condizioni per
crescere “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” e camminare insieme.
Giuseppe, legato alle sue tradizioni, spera solo che arrivi al più presto il primo sabato del
tredicesimo anno, quando Gesù indosserà per la prima volta, lo scialle della preghiera
ebraica, il "tallit"; finalmente potrà benedire YHWH per avergli tolto ogni responsabilità su
questo strano ragazzo. E tornano insieme a Nazareth.
Gesù ripensa a ciò che ha visto a Gerusalemme, a quel che si è sentito dentro, a cosa lo
abbia spinto a contestare apertamente i sacerdoti e i teologi. E' rimasto probabilmente
sconvolto quando ha visto cosa avviene nel Tempio. Ne aveva già sentito parlare da altri
pellegrini tornati al paese, ma per la prima volta in vita sua ha potuto assistere alla
carneficina di animali sacrificati: agnelli, vitelli, colombe, tutti sgozzati in onore di YHWH!
Un fiume di sangue per la soddisfazione di Dio.
Abituato al sereno culto familiare di Nazareth, fatto solo di benedizioni, in pacifica
armonia con la creazione, un dodicenne come Gesù sarà rimasto sconcertato dal culto
sanguinolento del Tempio, a Gerusalemme; da questo mondo gerarchizzato, codificato,
mummificato, da queste pompose liturgie, tanto appariscenti quanto inutili. Cosa avrà
pensato Gesù di quel culto che tentava di esprimere un valore che non aveva, da questo
voler caricare di senso religioso gli atti più ordinari della vita, per tentare di raggiungere
un Dio che la stessa religione rende sempre più lontano e inaccessibile. Nel piccolissimo
villaggio di Nazareth mai il rabbino, né tantomeno l' arcisinagogo, hanno preteso di fare
da intermediari tra i fedeli e YHWH. Qui invece opera un clero suddiviso in rigide
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gerarchie, che mantiene la gente a debita distanza da Dio: si erge a unico mediatore tra la
folla dei fedeli e YHWH, del quale perfino il nome, avvolto di mistero, viene invocato di
nascosto nel Santuario. Parlare con Dio è qui privilegio di un solo sacerdote; mentre a
Nazareth può farlo tutta la comunità.
Gesù, continuatore di quella protesta nata già ai tempi di Mosè e Aronne con Core (il
primo anticlericale della Bibbia, che in nome dei diritti di tutto il popolo, denunciò la
dittatura dei due fratelli), contesta anch'egli la legittimità di tutto ciò: "Tutti siamo sacerdoti,
un popolo sacerdotale. Come si permettono alcuni di mettersi al di sopra di altri?" (Nm 16,3; cfr.
Es 19,6). E in nome della Scrittura, "quello che è del Padre suo", rifiuta non solo i sacrifici
cruenti, il culto, il sacerdozio ma appellandosi ai profeti, anche l'esistenza stessa del
Tempio. Mentre il tempio era teatro di un servizio divino di carattere gerarchico - sacrale,
celebrato da sacerdoti e da leviti, la sinagoga rappresenta invece l'elemento democratico
dell'ebraismo. Qui il servizio divino era condotto da laici e non dai sacerdoti discendenti
da Aronne... ". Nella Bibbia si vede chiaramente come Dio sia contrario alla costruzione di
un Tempio, ai riti, ai sacrifici: "Tu vuoi costruirmi una casa per abitarvi? Ma io non abito in una
casa e mai ho chiesto di edificarmene una!" (2 Sam 7,5-6). Qualcosa si è spezzato.
Il Gesù che torna a Nazareth non è lo stesso di prima; "le cose" del Padre suo gli bruciano
dentro: un fuoco che è venuto a incendiare la terra (Lc 12,49). Lo rattrista non riuscire a
trasmettere questa fiamma ai suoi genitori, così come non c'è riuscito con i maestri del
Tempio. E' l'inizio della rottura radicale con la famiglia, la religione, la patria. Maria
medita nel suo cuore. Suo figlio è lo scandalo e la fonte di pettegolezzi de paese. Non si è
ancora sposato ed ha trent'anni. A questo punto Gesù lascia la madre, i parenti, la casa …
e va a Bethabara da Giovanni, per poi iniziare il suo personale cammino.
A cura di padre Umberto