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ANNALI 2003 22 1. L’OSSIDIANA E LA SUA DIFFUSIONE N el periodo Neolitico il Mediterraneo ha rappresen- tato una importantissima area di scambi commer- ciali per le popolazioni preistoriche e a partire da tale pe- riodo molti complessi culturali del nostro Paese presenta- no associazioni con manufatti ricavati dal nero vetro vul- canico a frattura concoide chiamato “ossidiana”, nome an- tichissimo già citato da Teofrasto (327-288 a.C.) e, più tar- di, da Plinio, nel suo “Naturalis Historia del 1° secolo d.C., che ne attribuisce la paternità ad un certo Obsidius il qua- le per primo avrebbe trovato tale materiale. L’ossidiana è una vulcanite vetrosa formatasi per rapi- do raffreddamento di magma effusivo a composizione di solito molto acida. L’ossidiana quindi sostanzialmente è un vetro opaco in massa ma trasparente sui bordi di scheg- ge sottili, ha frattura concoide ed è di solito di colore nero o grigio, ma può essere anche verde, azzurrognolo o ros- sastro. È molto facile da scheggiare e quindi particolarmente adatta a fabbricare strumenti sottili e taglienti, per questi motivi era un materiale particolarmente ricercato dalle po- polazioni preistoriche e costituiva un prezioso elemento di scambio. Oltre che per le sue qualità trancianti l’ossidiana è sta- ta apprezzata anche per la sua attitudine ad essere lavora- L’ossidiana diffusa nel mondo antico proveniva soprat- tutto dalle regioni insulari italiane ma affioramenti consi- stenti erano localizzati anche nei Carpazi, in Anatolia, nel Caucaso, nella Penisola Arabica e nell’Etiopia oltre che nelle isole di Gyali e Melos nelle Cicladi (Tav. n. 1). Nell’area del Mediterraneo centro occidentale quindi è stato constatato che soltanto nelle formazioni vulcani- che di alcune isole prospicienti la Penisola (Sardegna, Li- pari, Pantelleria e Palmarola) è presente ossidiana “in situ” in compattezza tale da essere utilizzata per trarre manu- fatti, pertanto gli oggetti ossidianici rinvenuti nelle stazio- ni preistoriche del continente italiano provengono teori- camente in senso assoluto dalle cave insulari. Ciò implica il raggiungimento di una evoluta scienza della navigazio- ne presso le genti preistoriche che utilizzarono quel ma- teriale dovendo, in certi casi, attraversare estesi bracci di mare aperto per raggiungere i giacimenti di ossidiana. Poiché, come vedremo in seguito, si conoscono vari metodi fisico-chimici per individuare la mutevole strut- tura del vetro vulcanico, è stato possibile riconoscere le fonti di approvvigionamento delle popolazioni preistori- che del Continente e quindi seguire la diffusione dell’os- sidiana il cui commercio dovette assumere grande impor- tanza a partire dal Neolitico fino all’Età dei Metalli inol- trata. Sulla base di numerose analisi è stato quindi possibile LE VIE DELL’OSSIDIANA DALLE ISOLE AL CONTINENTE: APPROVVIGIONAMENTO, DIFFUSIONE E COMMERCIO. IL CASO DELLA SABINA E DELLAVALLE DELL’ANIENE PIERO CERULEO Tav. n. 1 - ta facilmente e per la bel- lezza della sua superficie nera lucida che ha indot- to le antiche popolazioni neolitiche a conferirle a volte poteri magici. Questo materiale per- tanto poteva essere con- siderato, secondo il luogo e secondo l’epoca, un be- ne di consumo corrente o un oggetto di prestigio o infine di magia. MAPPA DEL MEDITERRANEO, DEI CARPAZI E DEL MEDIO ORIENTE CON L’INDICAZIONE DELLE FONTI GEOLOGICHE DELL’OSSIDIANA (DA WILLAIMS- THORPE 1995)

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ANNALI 2003 22

1. L’OSSIDIANA E LA SUA DIFFUSIONE

Nel periodo Neolitico il Mediterraneo ha rappresen-tato una importantissima area di scambi commer-

ciali per le popolazioni preistoriche e a partire da tale pe-riodo molti complessi culturali del nostro Paese presenta-no associazioni con manufatti ricavati dal nero vetro vul-canico a frattura concoide chiamato “ossidiana”, nome an-tichissimo già citato da Teofrasto (327-288 a.C.) e, più tar-di, da Plinio, nel suo “Naturalis Historia del 1° secolo d.C.,che ne attribuisce la paternità ad un certo Obsidius il qua-le per primo avrebbe trovato tale materiale.

L’ossidiana è una vulcanite vetrosa formatasi per rapi-do raffreddamento di magma effusivo a composizione disolito molto acida. L’ossidiana quindi sostanzialmente èun vetro opaco in massa ma trasparente sui bordi di scheg-ge sottili, ha frattura concoide ed è di solito di colore neroo grigio, ma può essere anche verde, azzurrognolo o ros-sastro.

È molto facile da scheggiare e quindi particolarmenteadatta a fabbricare strumenti sottili e taglienti, per questimotivi era un materiale particolarmente ricercato dalle po-polazioni preistoriche e costituiva un prezioso elementodi scambio.

Oltre che per le sue qualità trancianti l’ossidiana è sta-ta apprezzata anche per la sua attitudine ad essere lavora-

L’ossidiana diffusa nel mondo antico proveniva soprat-tutto dalle regioni insulari italiane ma affioramenti consi-stenti erano localizzati anche nei Carpazi, in Anatolia, nelCaucaso, nella Penisola Arabica e nell’Etiopia oltre chenelle isole di Gyali e Melos nelle Cicladi (Tav. n. 1).

Nell’area del Mediterraneo centro occidentale quindiè stato constatato che soltanto nelle formazioni vulcani-che di alcune isole prospicienti la Penisola (Sardegna, Li-pari, Pantelleria e Palmarola) è presente ossidiana “in situ”in compattezza tale da essere utilizzata per trarre manu-fatti, pertanto gli oggetti ossidianici rinvenuti nelle stazio-ni preistoriche del continente italiano provengono teori-camente in senso assoluto dalle cave insulari. Ciò implicail raggiungimento di una evoluta scienza della navigazio-ne presso le genti preistoriche che utilizzarono quel ma-teriale dovendo, in certi casi, attraversare estesi bracci dimare aperto per raggiungere i giacimenti di ossidiana.

Poiché, come vedremo in seguito, si conoscono varimetodi fisico-chimici per individuare la mutevole strut-tura del vetro vulcanico, è stato possibile riconoscere lefonti di approvvigionamento delle popolazioni preistori-che del Continente e quindi seguire la diffusione dell’os-sidiana il cui commercio dovette assumere grande impor-tanza a partire dal Neolitico fino all’Età dei Metalli inol-trata.

Sulla base di numerose analisi è stato quindi possibile

LE VIE DELL’OSSIDIANA DALLE ISOLE

AL CONTINENTE: APPROVVIGIONAMENTO,

DIFFUSIONE E COMMERCIO.

IL CASO DELLA SABINA

E DELLA VALLE DELL’ANIENE

PIERO CERULEO

Tav. n. 1 -

ta facilmente e per la bel-lezza della sua superficienera lucida che ha indot-to le antiche popolazionineolitiche a conferirle avolte poteri magici.

Questo materiale per-tanto poteva essere con-siderato, secondo il luogoe secondo l’epoca, un be-ne di consumo corrente oun oggetto di prestigio oinfine di magia.

MAPPA DELMEDITERRANEO,DEI CARPAZI E DELMEDIO ORIENTECON L’INDICAZIONEDELLE FONTIGEOLOGICHEDELL’OSSIDIANA(DA WILLAIMS-THORPE 1995)

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tracciare carte che indicano le vie di espansione e di dif-fusione di questa preziosa materia prima.

Tuttavia la dinamica della distribuzione geografica del-l’ossidiana nei vari giacimenti dell’area mediterranea nonè dettata solo da motivi geografici, cioè dalla vicinanza del-le fonti di approvvigionamento, ma occorre prendere inconsiderazione anche fattori culturali e sociali che ne pos-sono aver condizionato il commercio e la diffusione nel-l’antichità.

In questa sede analizzeremo la diffusione dell’ossidia-na, con particolare riferimento a quella laziale, ipotizzan-do e ripercorrendo alcune delle numerose “Vie dell’ossi-diana” che tanta importanza ebbero per le popolazionipreistoriche a partire dal neolitico e vedremo come il pro-spetto che ne risulta rivela una serie sorprendente di con-tatti, commerci e scambi, anche a lungo raggio, moltocomplessa ed impensabile fino a pochi anni fa.

Dopo sporadiche segnalazioni da contesti epipaleoliti-ci, lo sfruttamento dell’ossidiana inizia con l’avvento delNeolitico, all’apparire delle prime comunità agricole.

L’attivazione di questi scambi è certamente legata allemaggiori capacità marinare dei nuovi gruppi umani cherendono più agevole il collegamento tra le principali fon-ti del Mediterraneo occidentale e la costa.

Assente o sporadica nei siti neolitici più antichi a cera-mica impressa, l’ossidiana diviene ben presto, a partire dalNeolitico medio, un materiale prezioso, ma diffuso anchein quantità cospicue fino ad avere nei territori più vicinialle fonti una netta prevalenza sulla selce, come ad esem-pio in Calabria dove raggiunge, a volte, quote fino al 90%dell’insieme litico.

Anche in aree lontane dalle fonti geologiche, quali adesempio la Romagna ed il Fucino, i manufatti in ossidianaraggiungono a volte percentuali spesso vicine al 10% dellostrumentario litico.

Ma l’ossidiana, così come la pietra verde, la selce, ilquarzo e la steatite fu solo una delle molte materie primeutilizzate dalle comunità neolitiche che, adattandosi allerisorse locali, svilupparono fin dall’inizio efficienti sistemidi approvvigionamento. Questi materiali, a partire dalNeolitico, attraversarono il mare passando di isola in iso-la, vennero trasportati sulla terraferma, risalirono e scese-ro i fiumi e valicarono la catena appenninica. Circuiti re-gionali, reti di scambio su lunga distanza e sistemi di rifor-nimento locale collegavano villaggi anche lontani grazie adun apparato non sofisticato ma capillare ed efficiente.

L’analisi della circolazione di questi oggetti consentequindi di evidenziare i contatti intercorsi tra le varie co-munità preistoriche e rende visibile l’esistenza di vere eproprie frontiere culturali fra le diverse aree non solo del-la penisola ma di intere regioni del Mediterraneo.

L’uso dell’ossidiana per ricavarne utensili declinò conl’avvento dei metalli ma l’ossidiana continuò ad essere ap-prezzata per gli oggetti ornamentali come vasi, ciotole, ba-cili, piccoli tavoli e statuette votive.

Famoso, ad esempio, è il tavolino da toletta con iscri-zioni ricavato in ossidiana etiopica, rinvenuto a Bogazkoy,capitale dell’antico regno ittita in Turchia, dono del farao-

ne egiziano Chian del XVI sec. a.C. al re ittita allora ami-co.

Lo studio, quindi, dello sfruttamento delle fonti di os-sidiana e di come esso sia cambiato nel corso del tempo cidà informazioni molto preziose sull’evoluzione del siste-ma socio culturale delle diverse popolazioni preistorichedurante l’arco del Neolitico, Eneolitico ed Età del bronzo.

Inoltre è anche rilevante per l’esame del più antico po-polamento delle isole del Mediterraneo e ci permette dianalizzare più compiutamente quel particolare periododella storia evolutiva dell’uomo che coincide con la tran-sizione dal modo di vita basato sulla caccia e raccolta aquello basato sull’agricoltura e sull’allevamento, con l’in-troduzione di scambi su lunga distanza, della specializza-zione delle attività e con lo sviluppo della differenziazionesociale di comunità sempre più complesse (Tykot 1996,2000 b).

2. GLI STUDI SULLA PROVENIENZA

DELL’OSSIDIANA

I primi studiosi che affrontarono lo studio delle ossi-diane italiane si avvalevano solo di metodi comparativi vi-sivi per poter individuare l’origine del vetro vulcanico.

Si basavano quindi solo su analogie macroscopiche, sul-l’esame di alcuni caratteri fisici e sull’aspetto esteriore deimateriali confrontandone il colore, la lucentezza, le inclu-sioni macroscopiche, la compattezza della materia prima,la dimensione dei manufatti, ecc.

Naturalmente tali metodi erano approssimati e quindipoco attendibili e non sempre utilizzabili.

A partire dagli anni 60 si è avuto un notevole progres-so nello studio della provenienza dell’ossidiana con l’in-troduzione di nuovi metodi scientifici e sono state svilup-pate tecniche analitiche capaci di individuare il giacimen-to geologico di origine corrispondente ad un artefatto ar-cheologico.

Lo sviluppo dei metodi di ricerca ha permesso non so-lo di identificare l’isola, o comunque le fonti di prove-nienza ma anche di distinguere in ogni isola tra le diversecolate geologiche.

I nuovi metodi di studio applicati sono numerosi ecoinvolgono molte discipline scientifiche e ne vengono dicontinuo introdotti di nuovi.

Alcuni studiosi (Cornaggia Castiglioni et al. 1963) sisono avvalsi di metodi petrografici, fisici e chimici. In par-ticolare è stato tenuto conto del grado di cristallinità del-l’ossidiana (elevato - medio - basso): ciò ha permesso adesempio di distinguere nettamente le ossidiane di originesarda da tutte le altre sia per l’elevato grado di cristallinità,sia per la presenza dell’associazione albite-biotite.

Altre indagini, svolte nello stesso intento, hanno avutocome base alcune costanti fisiche (come il peso specifico)oppure sono state effettuate ricerche attorno al punto dirammollimento ed alla perdita alla calcinazione dei pro-dotti.

Sono state altresì compiute, con buoni risultati, analisispettrografiche per rilevare la presenza di tracce di ele-menti rari o accessori (Caan et al. 1964).

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Quest’ultimo metodo (specialmente per quanto con-cerne le determinazioni riguardanti la presenza del fosfo-ro e del manganese unite a quelle di contenuto in ferro)ha fornito indicazioni promettenti consentendo abbastan-za agevolmente di attribuire ai vari manufatti italiani esa-minati una indicazione assai precisa sulla provenienza del-la materia prima con la quale furono fabbricati.

In seguito Belluomini e Taddeucci (Belluomini et al.1970) si interessarono della determinazione dell’abbon-danza isotopica dell’Uranio e del Torio in campioni pro-venienti dalle quattro località insulari prossime alla peni-sola in cui è accertata la presenza in posto dell’ossidiana(Lipari, Palmarola, Pantelleria, Sardegna), nonché, sem-pre gli stessi Autori (Belluomini et al. 1971), volsero l’at-tenzione, in analoghi campioni ossidianici, verso degli ele-menti minori (boro, fluoro, rubidio, stronzio, ittrio, niobio,zirconio, ecc.) per identificare le differenze delle ossidia-ne secondo la provenienza.

I valori ottenuti permisero di confrontare l’età del ma-teriale ossidianico reperito nelle stazioni preistoriche conquello dei giacimenti di materia prima e stabilirne quindila provenienza.

Infine, negli stessi anni, altre ricerche dirette a deter-minare l’età delle ossidiane, furono attuate con il metodoK-Ar (Belluomini et al. 1970b) e con quello delle traccedi fissione (Arias Radi et al. 1972).

Sono così state determinate con il metodo K-Ar le etàdi alcune tipiche ossidiane del bacino Mediterraneo ope-rando su campioni provenienti dalla Sardegna e dalle Iso-le di Palmarola, Lipari e Pantelleria.

I valori ottenuti per le età sono:

Sardegna (cava di Uras) 3.0 ± 0.2 M.A. (Milioni di anni)

Palmarola 1.6 ± 0.2 »

Le altre ossidiane (Lipari e Pantelleria) sono risultateindatabili con questo metodo in quanto troppo giovani eprive di Ar radiogenico.

Un’altra datazione realizzata dai ricercatori dell’Uni-versità di Roma in collaborazione con i Laboratori Uni-versitari pisani (Bigazzi et al. 1971, 1973, 1976), ha rive-lato, avvalendosi del metodo delle tracce di fissione, i se-guenti valori:

Sardegna 3.1 ± 0.300 M.A.

Palmarola 1.7 ± 0.300 »

Pantelleria 0.135 ± 0.016 »

Lipari 0.021 ± 0.004 »

In seguito i ricercatori si sono accorti di dover intro-durre un fattore di correzione per cui l’ossidiana di Urasdovrebbe essere datata a circa 5.0 M.A. (Bigazzi et al.1976).

Ulteriori ricerche, effettuate tra la fine degli anni 70 el’inizio degli anni 80, hanno proposto numerosi metodianalitici ed archeometrici per risalire alle aree di prove-nienza delle ossidiane archeologiche ma molti di essi uti-lizzano metodologie distruttive o particolarmente sofisti-cate e costose (Spettroscopia Ottica di Emissione, Spet-troscopia di Assorbimento Atomico, Fluorescenza a raggi

X, Attivazione Neutronica, Tracce di Fissione, Microson-da Elettronica, Spettrometro al Plasma, ecc.).

Altre ricerche hanno invece proposto metodi più sem-plici, più economici e soprattutto non distruttivi. Tra diessi citiamo il Metodo di idratazione dell’ossidiana e laMetodologia analitica non distruttiva in Fluorescenza X.

Il metodo dell’idratazione nella datazione dell’ossidia-na fu introdotto nel 1959 dai Geologi Friedman e Smith(Friedman et al. 1959).

Tale metodo può essere usato in due modi: come unmetodo di datazione relativa per determinare se un ma-nufatto è più vecchio o più giovane di un altro, oppure co-me un metodo di datazione assoluta dove è prodotto uncalendario di date (a.C. o d.C.)

Tale metodo è basato sul fatto che nella lavorazione diun blocco di ossidiana si genera sul manufatto prodottouna superficie fresca. L’ossidiana contiene circa il 0,2% diacqua. Quando un pezzo di ossidiana è fratturato assorbedall’atmosfera acqua che penetra all’interno del manufat-to. Ciò si traduce in una idratazione che si diffonde inprofondità nel tempo. Tale idratazione si prolunga fino ache il contenuto dell’acqua raggiunge il 3,5 %: questo è ilpunto di saturazione.

Lo spessore raggiunto dall’idratazione può essere iden-tificato al microscopio in una sezione sottile tagliata nor-malmente alla superficie del manufatto. Analizzando quin-di la profondità raggiunta dall’idratazione si riesce a sape-re quando fu creato il manufatto di ossidiana.

Di introduzione più recente è la metodologia analiticanon distruttiva in Fluorescenza X (Crisci et al. 1994) chepermette di risalire alle aree di origine delle ossidiane uti-lizzate per la fabbricazione dei manufatti rinvenuti negliscavi archeologici. L’analisi è condotta su campioni inte-gri. L’origine dei manufatti archeologici è determinata con-frontando la loro composizione chimica con le rocce pre-levate direttamente dagli affioramenti geologici.

A tutt’oggi l’analisi ad attivazione neutronica e la fluo-rescenza ai raggi X sono le tecniche geochimiche più co-muni e sicure nell’identificazione della sorgente geologi-ca dell’ossidiana ma anche il metodo delle tracce di fissio-ne è usato spesso e con successo.

Gli studi dei ricercatori italiani, in un momento in cuianche all’estero si sono sviluppate sofisticate metodologiedi fisica nucleare, hanno portato un significativo contri-buto alla conoscenza delle ossidiane italiane e dell’età del-la loro messa in posto.

Con l’introduzione dei numerosi metodi scientifici so-pra indicati è stato così possibile identificare la colata diprovenienza dei manufatti ossidianici rinvenuti nei varigiacimenti archeologici peninsulari.

Si è constatato che in molte località sono presenti os-sidiane provenienti da più fonti diverse, per cui si è in pre-senza di fenomeni di interferenza e di sovrapposizione didifferenti aree di diffusione che rispondono non solo a cri-teri geografici ma che dipendono anche da altri fattori cheintervengono in vari modi alla definizione delle zone di in-fluenza. Si può pensare al maggiore o minore pregio dellamateria prima, alle modalità del commercio, alle difficoltàdel trasporto, alla recettività del mercato ed alla concor-

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l’introduzione di animali domestici e di piante o la circo-lazione di nuove idee e credenze religiose.

Infine la possibilità di determinare la provenienza del-l’ossidiana, come peraltro di qualunque altro materiale ar-

(De La Marmora 1840). Lo Studioso infatti, tra l’altro,scrive: “...si può prendere un sentiero incassato, che con-duce alla cime del Monte (Monte Arci, n.d.r.) verso la Tre-bina. Lungo il sentiero il viaggiatore ha qualche volte l’im-

Tav. n. 2 - MAPPA DELLA DIFFUSIONEDELL’OSSIDIANASECONDO G. CAMPS(DA CAMPS 1976)

Tav. n. 3 - ALTRA MAPPA DELLA DIFFUSIONEDELL’OSSIDIANA SECONDOG. CAMPS (DA CAMPS 1985)

renza più o meno massiccia dialtri materiali lavorabili.

Peraltro è da considerare l’i-potesi che l’ossidiana fosse solouna delle tante materie primetrasportate e che veniva com-merciata insieme ad altre mercideperibili delle quali non è ri-masta traccia.

Inoltre i cambiamenti crono-logici della distribuzione dell’os-sidiana constatati attraverso l’a-nalisi archeologica di siti constratigrafie corrispondenti a lun-ghi periodi di frequentazionehanno permesso di rilevare l’e-voluzione delle diverse strategiedi approvvigionamento nel tem-po e di conseguenza i diversicontatti e scambi tra le variegenti contemporanei ad altricambiamenti come ad esempio

cheologico, ci permette di stabilire sia il puntodi partenza che quello di arrivo della catena ope-ratoria (chaine operatoire) e ci permette quindidi esaminare in grande dettaglio i comporta-menti intermedi, dall’acquisizione della materiaprima alla sua lavorazione al suo uso e al suoscarto e di ricavare di conseguenza una grandequantità di dati.

E così, seguendo le tracce delle ossidiane dalluogo di estrazione fino ai villaggi ove diventanoutensili ed altri manufatti, è stato possibile rico-struire le vie commerciali di questo antichissimoe cruciale periodo della storia economica e so-ciale dell’uomo ed è stato quindi possibile trac-ciare mappe della diffusione del vetro vulcanicoindividuando così alcune delle molte “Vie del-l’ossidiana” dell’antichità. (Tavv. n. 2 e n. 3).

3. LE PRIME RICERCHE SULLE

OSSIDIANE IN ITALIA

Già Alberto Ferrero Conte di De La Mar-mora nel diciannovesimo secolo si era interessa-to alle ossidiane sarde ed alla loro provenienza

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pressione di camminare sui cocci di una vecchia fabbricadi bottiglie nere tante sono numerose le scaglie di un ve-tro nero vulcanico che è chiamato Ossidiana”.

Altri studiosi (G. Spano, P. Mantovani, D. Lovisato, L.Pigorini, T. Zanardelli solo per citarne alcuni), a cavallodel diciannovesimo secolo e nella prima metà del ventesi-mo, avevano studiato le ossidiane sarde ma lo avevano fat-to considerando il loro contesto archeologico e non inte-ressandosi eccessivamente della provenienza della mate-ria prima.

L’industria litica di manufatti in ossidiana in ambito eu-ropeo è argomento di ricerca dal 1875; infatti risalgono atale data i primi studi fatti sulle ossidiane preistoriche(Minà Palumbo 1875).

A quei tempi non vennero fatti studi adeguati per laclassificazione petrografica dei manufatti e per la indivi-duazione della loro provenienza geologica.

Il Colini per primo evidenziò il legame tra i manufattiin ossidiana rinvenuti nelle varie località italiane e l’esi-stenza di traffici commerciali che ne avevano permesso ladiffusione in ampie aree della Penisola dai luoghi di origi-ne (Colini 1899). Egli affermava che il vetro vulcanicoproveniva da Pantelleria, le Isole Eolie, Ischia, Procida, iCampi Flegrei, l’Arcipelago Ponziano e dalla Sardegna.

La localizzazione delle fonti di materia prima già allo-ra era quindi conosciuta come ristretta a poche aree delbacino mediterraneo, tuttavia nell’elenco erano incluse an-che località che fornivano materia prima inadatta alla la-vorazione.

Solo alla fine degli anni 40 il problema dell’origine del-l’ossidiana fu affrontato con metodi analitici più precisi escientifici e Malvolti opera un primo tentativo di distin-zione analizzando il peso specifico e l’indice di rifrazionedella roccia escludendo così alcune località erroneamenteindicate precedentemente come fonti.

Tuttavia fu Buchner, seguito da Radmilli, che, nel suolavoro sui giacimenti e sulle industrie ossidianiche in Ita-lia, analizzando le reali possibilità di lavorazione offertedalle varie ossidiane del Mediterraneo occidentale, per pri-mo arrivò all’esatta definizione degli effettivi giacimenticoncludendo che l’ossidiana atta alla lavorazione, in Italia,si trova solo a Pantelleria, Lipari, Palmarola e presso Mon-te Arci in Sardegna (Buchner 1949, Radmilli 1954).

Sulla scorta del De Fiore, che aveva precedentementestudiato le isole Ponziane dal punto di vista preistorico (DeFiore 1920, 1921), Buchner, dopo una accurata esplora-zione dell’isola di Palmarola, concluse che i giacimenti diossidiana si potevano ridurre soltanto a tre: Lipari, Mon-te Arci e Pantelleria, poiché il giacimento di Palmarola perla piccolezza dei nuclei, non poteva gareggiare con gli altricentri (Buchner 1949).

Ricerche successive hanno smentito tali ipotesi dimo-strando come invece anche le ossidiane di Palmarola eb-bero larga diffusione nel continente durante il neolitico.

Radmilli inoltre osservò che il commercio dell’ossidia-na di quest’isola era poi reso poco agevole anche dallamancanza di sorgenti d’acqua potabile, la quale, specie nel-la preistoria, costituiva la condizione indispensabile per 1ostabilirsi di un abitato umano; concluse che “...pertanto si

può, tutt’al più, pensare a uno sfruttamento del giaci-mento dall’esterno” (Radmilli 1954).

Negli anni 50 Puxeddu compì una indagine dettagliatadella zona del Monte Arci in Sardegna dove era già cono-sciuto il fatto che l’ossidiana era presente in situ ed iden-tificò così quattro giacimenti, undici centri di raccolta, set-tantaquattro officine e centocinquantasette stazioni prei-storiche (Puxeddu 1958).

Si era alfine chiarito il problema dell’origine dell’ossi-diana sarda: il più importante centro irradiatore dell’ossi-diana fu quindi il Monte Arci e partendo da questa loca-lità il prezioso vetro vulcanico si diffuse in tutta l’isola,varcò il mare e giunse nel continente italiano.

Questa supposizione fu confermata dalle scoperte fat-te da Lilliu nell’isola di S. Stefano nell’arcipelago dellaMaddalena che costituisce l’anello di congiunzione tra laSardegna e la Corsica (Lilliu 1957, 1959).

In quest’isola, nei pressi della Cala di Villamarina, inun riparo sotto roccia furono rinvenuti 200 oggetti litici equelli di ossidiana costituiscono il 71% (142 oggetti) del-l’insieme litico mentre gli altri sono di quarzo, granito eporfido.

Gli antichi frequentatori di Santo Stefano erano dun-que con ogni probabilità dei corrieri del prezioso minera-le che, come afferma Nougier, trasportavano dalla Sarde-gna in Corsica attraverso le Bocche di Bonifacio, usandopiroghe di legno identiche a quelle tuttora in uso pressole popolazioni indigene di Fajoute, nel Senegal, o imbar-cazioni leggere di canne, simili ai “fassoni” coi quali i pe-scatori lavorano ancora oggi negli stagni di Cabras, lungola costa occidentale sarda, a pochi chilometri in linea d’a-ria da Monte Arci (Nougier 1976).

Inoltre nell’isoletta di Cavallo, presso Bonifacio, Fertonrinvenne l’ossidiana in due località diverse (Ferton 1899).

Anche nell’Arcipelago toscano, ed esattamente nell’i-sola di Pianosa e nell’isola d’Elba, furono trovati dei nu-clei particolarmente grossi e manufatti in ossidiana.

I rinvenimenti di ossidiana, grezza e lavorata, nell’isoladi S. Stefano, nell’isola di Cavallo, in Corsica e nelle isole diPianosa e d’Elba costituiscono il filo conduttore che salda,in modo abbastanza chiaro, la corrente della espansionedell’ossidiana fra la Sardegna e il continente italiano.

Radmilli ritenne certo il commercio dell’ossidiana sar-da con la vicina Corsica e probabile con la Francia (oggisappiamo con certezza che molta ossidiana sarda è statatrovata in Provenza) e stranamente negò la possibilità delcommercio dell’ossidiana sarda con la Liguria (Radmilli1953-54) mentre Bernabo Brea, già dal 1947, prendendoin esame il commercio delle ossidiane del neo-eneolitico,non escludeva la presenza di ossidiana sarda nella Liguria(Bernabò Brea 1947).

Più o meno nello stesso periodo lo stesso Autore stu-diava le ossidiane di Lipari e ne individuava le principalizone di diffusione in Italia centro meridionale (BernabòBrea et al. 1956).

Un notevole passo avanti nella conoscenza della pro-venienza dell’ossidiana è stato fatto a partire dagli anni 60con l’utilizzo dei nuovi metodi scientifici che hanno por-tato a notevoli ed importanti risultati, permettendo di ac-

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certare, con sempre minore margine di errore, le localitàove il prezioso vetro vulcanico era estratto.

Contemporaneamente alle ricerche sull’origine del-l’ossidiana, un numero sempre maggiore di reperti venivarecuperato negli scavi archeologici in tutta l’Italia conti-nentale rendendo così evidenti le tracce di un antico e fio-rente commercio di tale materia prima con meccanismi discambio non solo locali ma anche regionali, aprendo quin-di nuove prospettive agli studiosi.

A tal proposito segnaliamo che in un importante re-cente studio sulla quantificazione e sulla interpretazionedei dati di provenienza dell’ossidiana, Tykot ha analizza-to i dati di oltre 2700 manufatti rinvenuti in siti insulari econtinentali dell’Italia e della Francia meridionale investi-gando la dinamica spaziale e temporale ed il ruolo econo-mico e sociale dell’ossidiana giungendo a nuove ed inte-ressanti conclusioni sull’approvvigionamento, sulla distri-buzione e sul commercio dell’ossidiana (Tykot 1996).

Alcune delle ipotesi e delle conclusioni a cui è giuntoTykot sono riportate nel presente studio.

4. LE FONTI DELL’OSSIDIANA IN ITALIA

Come accennato, nel Mediterraneo centro occidenta-le l’ossidiana si rinviene solo sulle isole, analizziamonequindi le varie fonti geologiche.

L’ossidiana della Sardegna

Le ricerche compiute da numerosi studiosi mostranoche esistono almeno nove fonti geologiche sarde di ossi-diana, delle quali sicuramente cinque furono sfruttate nel-l’antichità e queste ultime sono state denominate: SA-SB1-SB2-SC1-SC2 (Tykot 2002).

Tutti questi giacimenti si trovano lungo le falde delMonte Arci che si eleva a sud-est di Oristano, ai marginidella piana del Campidano di Torralba e che dista dalla co-sta poco più di 10 km in linea d’aria.

Generalmente non è possibile differenziare ad occhionudo l’ossidiana proveniente dai giacimenti sardi ma le di-verse proprietà meccaniche ed alcune caratteristiche visi-ve, come ad esempio la lucentezza o l’assenza di inclusio-ni ed impurità potrebbero aver influenzato lo sfruttamen-to nel tempo dei singoli giacimenti.

Le informazioni sui giacimenti sfruttati nell’antichitàe sulla distribuzione delle ossidiane che da essi provengo-no possono essere riassunte come segue (Tykot 1992):

– Il tipo di ossidiana SA si presenta in situ pressoConca Cannas, a nord-est di Uras. È nera e vetrosa e spes-so molto traslucida e appare in forma di noduli con il dia-metro medio di cm 10-15.

In Sardegna questo tipo di ossidiana è stato ritrovatoin circa 40% dei manufatti fino ad ora analizzati. In Fran-cia e nell’Italia settentrionale, il tipo di ossidiana SA è de-cisamente il tipo di ossidiana sarda più comune (85%), main Corsica esso rappresenta meno del 5% dell’ossidianaanalizzata.

– Il tipo di ossidiana SC si trova in situ a Punta Piz-zighinu, a sud di Perdas Urias. Questo tipo di ossidiana ap-pare più comunemente in depositi secondari vicino a San-ta Pinta, sotto Perdas Urias, e probabilmente anche a norde ad ovest di Su Varongu. L’ossidiana di tipo SC è nera,spesso è meno vetrosa di quella di tipo SA, ma appare inblocchi di cm 30. Il tipo di ossidiana SC è il materiale piùcomune in Sardegna ed in Corsica e anche se è stato ri-trovato nel continente esso vi è presente in quantità mi-nori dell’ossidiana di tipo SA.

– Il tipo di ossidiana SB può essere trovato sui pen-dii occidentali del Monte Arci, vicino a Santa Maria Zuar-bara. Materiale lavorabile è stato ritrovato in situ pressonumerose altre località che includono le zone del MonteSparau Nord, Cuccuru Is Abis, Cuccuru Porcufurau, Pun-ta Su Zippiri, Bruncu Perda Crobina e Su Paris de MonteBingias. Sono stati osservati blocchi grandi fino ad 1 m.

L’ossidiana di queste zone è nera e tende ad essere ve-trosa come quella di tipo SA, ma meno traslucida e spessocon accenni di grigio. Nonostante i numerosi giacimentilocali di ossidiana, sembra che il tipo di ossidiana SB siastato usato raramente in Sardegna, visto che rappresentasolo il 5% dei manufatti analizzati.

Analisi chimiche e visive da 61 siti in Sardegna indica-no che tutti i giacimenti di Monte Arci furono utilizzatinei siti neolitici della regione oristanese ma che l’ossidia-na dei tipi SA e SC fu molto più comunemente sfruttata.

In Sardegna, così come in Corsica, l’ossidiana tipo SA èpresente in più della metà dei siti, seguita dal tipo SC pre-sente in circa il 30% dei siti.

L’uso diverso dei diversi tipi di ossidiana, sia in Sarde-gna e in Corsica che nel continente, è molto significativoe ci rivela l’esistenza di un florido e diffuso commercio delprezioso vetro vulcanico con diversi meccanismi di scam-bio locale, regionale e con il continente.

È possibile che tali antichi commercianti possano avertrasportato il tipo di ossidiana SA direttamente nel Golfodi Oristano da dove sulle loro primitive e fragili imbarca-zioni hanno navigato verso Nord, passando per la Corsicaverso la costa toscana o direttamente verso la Liguria.

Il tipo di ossidiana SC presente sulla parte orientale delMonte Arci, potrebbe anch’esso essere stato trasportatoverso il Golfo, ma sembra che sia stato distribuito princi-palmente attraverso una estesa rete sulla terraferma.

Il tipo di ossidiana SB sembra che sia stato usato sololocalmente in Sardegna, ma anch’esso era accessibile aicommercianti marittimi e probabilmente quindi anch’es-so deve essere stato commercializzato, anche se non in ma-niera così intensa come gli altri due tipi di ossidiana.

Per quanto riguarda l’ossidiana sarda, è documentatanel Neolitico dell’Italia settentrionale sin dalle prime fasi.È infatti presente ad esempio nei livelli a ceramica im-pressa delle Arene Candide e della Grotta Pollera (Thor-pe et al. 1979).

È presente nell’Italia centrale nelle grotte del Fontino, asud nella grotta del Beato e a nord in quella del Leone e aMasseria Uliveto per diffondersi poi ampiamente nell’Ita-lia settentrionale ed in Francia meridionale. Non sembra

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essere arrivata in maniera significativa lungo le coste orien-tali della Penisola, anche se è presente in 24 dei 25 siti anord del Po (Tykot 1996).

L’ossidiana di Lipari

A Lipari le grandi colate di ossidiana sono concentratenel quadrante nord-orientale dell’isola; le più antiche usa-te dall’uomo neolitico sono quelle della Punta di Spara-nello e del Vallone del Gabellotto a nord di Canneto, lealtre colate sono quelle della Forgia Vecchia e delle Roc-che Rosse.

Vi sono numerose prove che lo sfruttamento dell’ossi-diana cominciò prima che l’arcipelago fosse abitato sta-bilmente, non si potrebbe spiegare altrimenti la presenzadi manufatti in ossidiana di Lipari in depositi tardo-meso-litici o proto-neolitici lungo le coste settentrionali della Si-cilia e lungo le coste tirreniche della Calabria.

Evidentemente superare il braccio di mare che circon-da l’arcipelago non doveva costituire un ostacolo insor-montabile per i navigatori pre-neolitici.

Il primo insediamento umano a Lipari risale alla fasedi Stentinello, documentato nell’abitato di Castellaro Vec-chio, sul lato occidentale dell’isola, datato alla prima metàdel IV millennio a.C. ed è legato allo sfruttamento del-l’ossidiana che acquisterà importanza fondamentale neimomenti successivi durante tutto il IV millennio a.C. Intale periodo l’ossidiana è documentata abbondantementenei siti vicini della costa calabrese ove costituisce talora il90% dell’industria litica presente.

L’enorme quantità dei nuclei e degli scarti di lavora-zione trovata nei villaggi neolitici delle isole Eolie riflettel’intensità e lo sfruttamento di questa industria che fiorìattraverso tutto il Neolitico, ma principalmente nel Neo-litico superiore e cominciò a perdere importanza nell’E-neolitico per estinguersi nel Bronzo medio.

Infatti dopo la metà del III millennio a.C. si impone sulmercato l’uso dei metalli ed il commercio dell’ossidianasubisce una grossa crisi che si manifesta con una fase di de-cadenza economica e di diminuzione demografica.

Tuttavia negli ultimi secoli del III - inizi del II millen-nio a.C. l’ossidiana è ancora molto diffusa mentre il me-tallo è praticamente assente fra i reperti dei siti archeolo-gici eoliani.

Nella successiva età del Bronzo l’instaurarsi di intensirapporti commerciali e culturali con il mondo egeo dà ini-zio ad un lungo periodo, durato circa mezzo millennio, dirinnovata prosperità per le popolazioni eoliane: il com-mercio dell’ossidiana scompare ma è sostituito da quellodell’allume che si estrae nelle cave di Vulcano e che è mol-to richiesto in Oriente per conciare le pelli.

Secondo alcuni studiosi l’ossidiana di Lipari arrivavadirettamente lungo le coste del sud Italia. Negli insedia-menti continentali la materia prima veniva lavorata e quin-di scambiata, sia come materia prima che come prodottofinito, con i villaggi dell’entroterra.

Dagli insediamenti costieri della Calabria l’ossidianaraggiungeva non solo i villaggi più vicini dell’entroterra maanche quelli del Tavoliere pugliese come Masseria LaQuercia, Passo di Corvo e Masseria Bellavista.

Un’altra via di distribuzione fu probabilmente quellache da Lipari raggiungeva via mare le coste della Campa-nia e poi, attraverso il Passo di Ariano, il Tavoliere ed il re-sto della Puglia.

Un’altra serie di rotte commerciali raggiungeva le co-ste centrali adriatiche (Catignano vicino Pescara), i villag-gi del Nord Italia e le caverne del Finale ligure.

Le genti delle Eolie scambiavano il loro prezioso vetrovulcanico con altre merci, ad esempio selce, ceramica epietre verdi per fabbricare asce levigate.

L’ossidiana di Lipari si è diffusa quindi sia lungo la co-sta occidentale tirrenica che quella orientale adriatica del-la Penisola e sembra essere esclusiva nelle regioni più me-ridionali, ben attestata sul versante adriatico e presente an-che nelle regioni più settentrionali.

È documentata in Sicilia ed in un numero sempremaggiore di stazioni calabre con percentuali a volte moltoelevate nell’ambito dell’industria litica.

In Sicilia a Grotta dell’Uzzo vi è una continua e signi-ficativa presenza durante il Neolitico della ossidiana diPantelleria mentre nel resto dell’isola l’ossidiana provienequasi interamente da Lipari.

A Poggio Olivastro (Viterbo) i primi quattro manufat-ti trovati nella prima stagione di scavi provengono da Li-pari ma nessuno dei rimanenti 213 manufatti trovati in se-guito proviene da Lipari.

È documentata in insediamenti, sia in grotta che all’a-perto, della Basilicata e della Puglia, in villaggi abruzzesi emarchigiani e lungo la costa alto adriatica fino al Carsotriestino.

È documentata in Italia settentrionale fino alla valle delPo, in Liguria e nella Provenza. Infine è documentata aMalta e nel Nord Africa.

Tuttavia nell’Italia centrale la sua distribuzione non èuniforme in quanto sono state accertate infiltrazioni di os-sidiane provenienti dall’area pontina che rompono il pre-dominio dei materiali liparesi.

L’ossidiana di Pantelleria

L’ossidiana fu sicuramente uno dei motivi di popola-mento dell’isola fin dal VI millennio a.C. (date C14 cali-brate) quando si assiste allo sfruttamento delle colate convere e proprie officine di lavorazione del vetro vulcanicoe con la sua esportazione verso la Sicilia, Malta (a partiredal 4000 a.C.), Lampedusa, Tunisia ed Algeria.

L’ossidiana da Pantelleria solo raramente è stata iden-tificata a Nord della Sicilia, un singolo pezzo è stato tro-vato in un contesto del Neolitico antico a Villa Badessa(Pescara).

Raggiungere Pantelleria richiede una navigazione a ma-re aperto maggiore di ogni altra fonte di ossidiana nel Me-diterraneo ma apparentemente questo non fu un ostaco-lo in quanto ossidiana da Pantelleria si trova abbondantein Sicilia fin dall’inizio del Neolitico antico.

Per le sue caratteristiche chimiche e fisiche l’ossidianadi Pantelleria si può differenziare visivamente dalle altreossidiane del Mediterraneo.

Intense ricerche compiute nel 2000-2001 hanno por-tato alla localizzazione di tre distinte colate di ossidiana

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sia a Balata dei Turchi che a Salta La Vecchia. Altra ossi-diana è stata trovata in situ presso Lago di Venere ma nes-suna ossidiana lavorabile è stata identificata a Gelkhamar,così come affermato da Francaviglia (Francaviglia 1988)essere la quinta fonte di Pantelleria.

Due officine litiche furono inoltre localizzate a Balatadei Turchi (Tykot 2002).

Le analisi chimiche effettuate sui manufatti archeolo-gici in ossidiana dimostrano che il filone superiore di Ba-lata dei Turchi fu il più comunemente usato.

Come Palmarola, Pantelleria non fu abitata durante il

mosferici e dalla violenza del mare fino a giungere alla for-mazione delle singole unità isolane così come le vediamooggi (Tav. n. 4).

Così lo scenario che si dovette presentare all’uomopreistorico, che timidamente cominciava ad avvicinarsi al-l’arcipelago, doveva essere molto simile all’attuale (Foton. 1).

La documentazione archeologica ci permette di direche le tre isole vennero abitate per lo meno a partire dalNeolitico e la ragione di tale precoce stanziamento è da ri-

Tav. n. 4 - LE ISOLE PONZIANE - I.G.M. 1:100.000, FOGLIO 159

Foto n. 1 - LE ISOLE PONZIANE VISTE DALL’ACROPOLI DEL CIRCEO:da sinistra SI VEDONO ZANNONE, PONZA E PALMAROLA.In primo piano a sinistra SI VEDE UN TRATTO DELLE MURACICLOPICHE

Neolitico quindi la presenza di os-sidiane di Pantelleria in Italia e ol-tre avvenne probabilmente perscambio mediato e non per com-mercio diretto.

L’ossidiana di Palmarola

Il fenomeno della formazionedelle isole di Ponza, Zannone e Pal-marola ebbe inizio circa 200 milio-ni di anni fa.

Tralasciando le vicende che sisono susseguite nelle varie ere geo-logiche, giungiamo all’era Quater-naria quando non esistevano le sin-gole unità isolane bensì una unicapiattaforma lavica che a poco a po-co venne demolita dagli agenti at-

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cercare nella estrazione, lavorazione e smercio dell’ossi-diana.

Abbiamo già accennato alle ricerche effettuate da DeFiore (De Fiore 1920), Blanc (Blanc et al. 1953), Buchner(Buchner 1949), Radmilli (Radmilli 1954, 1963, 1975)ed altri studiosi, i quali, in presenza di manufatti ossidia-nici reperiti nell’area pontina, erano giunti alla conclusio-ne che la materia prima usata dall’Uomo preistorico perrealizzare tali oggetti provenisse unicamente dal giaci-mento di Palmarola. Nelle altre Isole pontine infatti nonvi sono formazioni naturali di vetro vulcanico utilizzabilee le ossidiane che vi si rinvengono, sono state “portate’ daPalmarola.

Buchner riteneva che il deposito di detriti sulle pendi-ci di Monte Guarniere, segnatamente a Punta Vardella,nell’Isola di Palmarola, fosse il luogo per elezione dove inepoche preistoriche si effettuavano i prelievi di ossidiana.

Egli pensava che la materia prima non si allontanassedall’area prossima all’arcipelago pontino e che, caso mai,venisse esportata già tagliata in lamelle.

I numerosi sopralluoghi effettuati a partire dagli anni70 nell’isola pontina da Marcello Zei e dallo scrivente (ri-percorrendo con natanti di modeste dimensioni la proba-bile rotta degli antichi navigatori) hanno appurato che ungiacimento più facilmente accessibile esiste sulle pendicisud-occidentali di Monte Tramontana, proprio dove la for-mazione di roccia effusiva scende fino al mare, in corri-spondenza dell’estremità settentrionale di Cala Maestra,approdo ben più sicuro di quello di Punta Vardella.

Tali osservazioni coincidono con quelle di Radmilli ilquale, nella sua prima edizione della Preistoria d’Italia,presenta una bella fotografia dell’isola di Palmarola in cor-rispondenza di Cala Maestra (Radmilli 1963).

Anche qui sono presenti detriti e frammenti ossidiani-ci evidenziati da azioni dinamiche, meteoriche e marine,lungo il pendio nord dell’insenatura e fra i ciottoli della ca-la.

Altri detriti ossidianici sono presenti nella piccolaspiaggia esistente sul versante orientale dell’isola, fra loscoglio Spermaturo e Punta delle Brecce.

Sull’isola sono rari e incerti gli oggetti ossidianici in-tenzionali. Buchner ne segnala soltanto due, Radmilli ac-cenna alla presenza di ceramica preistorica.

Da parte nostra abbiamo riscontrato soltanto sporadi-camente la presenza di schegge laminiformi forse prodot-te intenzionalmente.

Per quanto concerne la convinzione di alcuni Autoriche l’ossidiana di Palmarola non venisse esportata allo sta-to grezzo, gli studi, effettuati negli anni 80 e 90, sui ma-teriali degli insediamenti di Selva Piana e dei Casarini neipressi del Circeo e delle altre stazioni continentali vicine,hanno dimostrato che i nuclei hanno dimensioni e patineanaloghe. Certo che un’intensa lavorazione veniva effet-tuata a Ponza e a Zannone come lo dimostrano gli stru-menti, le innumerevoli lamelle e le schegge ritrovate inqueste isole.

A Ponza furono localizzate stazioni a ossidiana conframmenti di ceramica preistorica a Punta del Fieno sulversante settentrionale del Monte della Guardia, ai mar-

gini del dirupo che domina Chiaia di Luna e perfino sul-l’isolotto di Gavi alla estremità settentrionale dell’isola.

L’aspetto dei manufatti ricorda in parte quello deglioggetti di Selva Piana e di Casarini. Anche a Ponza gli stru-menti sono tratti da nuclei di modeste dimensioni e sonopresenti strette lamelle senza ritocco o con ritocchi mar-ginali di vario tipo.

Nei giacimenti isolani vengono segnalati anche nume-rosi strumenti ben definiti, come bulini, raschiatoi, pun-te, punteruoli, ecc., che non troverebbero riscontro nellestazioni continentali.

Purtroppo non è stato possibile procedere a confrontidiretti e ci si è dovuti basare sulle descrizioni, piuttostosommarie, di questo interessante materiale in ossidiana re-perito in tempi ormai lontani nell’isola di Ponza.

Un dato tuttavia discorda in maniera evidente: a Ponzaè presente anche abbondante ceramica preistorica se purminutamente frammentaria e logora, materiale invecescarso nelle altre località dell’Agro pontino che hanno re-stituito ossidiana.

Ma si deve anche tener presente la diversa natura delterreno che ingloba i reperti e l’influenza che l’intensa an-tropizzazione ha esercitato sulla conservazione dei sitipreistorici continentali.

Per quanto concerne l’isola di Zannone si osservano in-vece analogie più strette con gli insediamenti continenta-li. Infatti è assente la ceramica e prevalgono lamelle fram-mentarie e schegge di rifiuto di piccole e piccolissime di-mensioni.

Radmilli osservava tempo addietro che “...le antichegenti dedite al commercio di ossidiana si fermavano a Pal-marola solamente il tempo necessario per prelevare dalgiacimento l’ossidiana che veniva poi trasportata nell’Iso-la di Zannone dove la presenza di una sorgente d’acquapermetteva una sosta più lunga durante la quale la pre-ziosa materia prima veniva lavorata e i manufatti, affidatialle primitive imbarcazioni, venivano trasportati nel pun-to più vicino del continente, cioè al promontorio Circeo”(Foto n. 2).

Le ossidiane di Palmarola rifornivano l’area centraledella Penisola essendo presenti sia sul versante tirrenicoche adriatico con irradiazioni verso sud fino a Cassano Io-nio (Hallam et al. 1976 p. 107) e a Grotta S. Angelo (Co-senza) (Tykot 1996) e a nord fino in Liguria (WilliamsThorpe et al. 1979, p. 89). Anzi sembra che in una ampiaporzione della costa tirrenica, corrispondente alla Cam-pania ed al Lazio, le ossidiane di Palmarola avevano l’e-sclusiva su quelle di Lipari che invece compaiono più anord in Toscana (ad es. all’Argentario), in Umbria a Grot-ta Bella (Hallam et al. 1976, p. 106) e verso nord in Ligu-ria, nella valle del Po ed, in misura più ridotta, in Franciameridionale.

Nel Nord Italia l’ossidiana di Palmarola oltre che vicinoa Trieste è stata documentata anche alle Arene Candide,al Ghiaione (sito del neolitico medio vicino Parma) e aFornace Cappuccini presso Faenza (Ravenna) (Tykot et al.1997).

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Foto n. 2 - L’APPRODO DI TORRE PAOLA CON ALL’ORIZZONTE L’ISOLA DI PALMAROLA

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5. LA DIFFUSIONE DELL’OSSIDIANA

NELL’AREA PONTINA E NEGLI ALTRI

SITI DEL LAZIO

Con la costituzione, alla fine degli anni ’70, del Cen-tro Studi per l’Ecologia del Quaternario (CSEQ), direttoda Marcello Zei, che stabilì la propria base operativa a S.Felice Circeo, le indagini nell’area pontina si intensificaro-no e nel 1981 venne data notizia di una nuova stazionepreistorica caratterizzata dalla presenza di numerosi ma-nufatti ossidianici, in località Selva Piana, nei pressi dellesponde meridionali del lago di Sabaudia (Malpieri et al.1981).

Il giacimento di Selva Piana, dove sono presenti nucleiossidianici grezzi e lavorati, schegge di ravvivamento egrande quantità di stacchi di rifiuto, ci rivela oggi che an-che nelle stazioni continentali erano presenti attive offici-ne per la lavorazione di questa materia prima.

La presenza di ossidiana nei giacimenti preistorici delterritorio era già stata riscontrata sporadicamente nei con-testi litici a prevalenza di materiale siliceo, ma la notevolequantità di vetro vulcanico della stazione di Selva Pianaindusse i ricercatori ad indagare sulla provenienza di que-sta materia prima, a individuarne i luoghi di lavorazione ea seguirne la diffusione nelle aree continentali.

Intanto nuovi reperti ossidianici (generalmente rap-presentati da microlamelle, scheggioline, nuclei e qualchefoliato) venivano alla luce anche a Pantano Marino pressoS. Felice Circeo, (Selvaggi 1979), nella zona de “La Batte-ria” (Monte Circeo), nei pressi della fonte di Lucullo pres-so Sabaudia, (Zei 1979), a Colle S. Martino presso Terra-cina (Selvaggi et al. 1984) e a Chiancarelle sul Lago diFondi (Zei 1983).

Ma la scoperta più importante durante le successivecampagne di ricerca è quella attinente il giacimento som-

merso di fronte alla penisoletta dei Casarini sul lago diPaola, dove l’ossidiana sotto forma di materia prima, nu-clei, lamelle, strumenti vari e foliati di eccellente fatturaappare in maniera molto significativa.

Il materiale recuperato ha consentito agli studiosi di af-fermare che il contesto archeologico dei Casarini apparecome il più significativo dell’area laziale tirrenica centro-meridionale. Questo vasto territorio, che si identifica ingran parte con la pianura pontina, mentre aveva rivelatocopiose concentrazioni di manufatti del Paleolitico medioe del paleolitico superiore (Radmilli 1975) prima dellascoperta del giacimento dei Casarini non aveva restituitoun’associazione di tanti elementi di età neolitica.

Qualche confronto è possibile con i materiali di Pon-za, Zannone, Lido di Lavinio, Selva Piana, Pantano Marino,Colle San Martino, La Batteria.

Al di fuori dell’area pontina il vetro vulcanico, prove-niente da Palmarola e verosimilmente dalle stazioni di smi-stamento prossime al Circeo, fu reperito sporadicamentenel Lazio costiero centro-meridionale e, in notevole con-centrazione, nelle “lontane” località di Setteville di Gui-donia (Ceruleo 1982) e delle Caprine, sempre a Guido-nia (Guidi et al. 1993).

Esame dei materiali pontini e confronti

I materiali di Ponza, Zannone e Lido di Lavinio, pub-blicati in tempi assai lontani, sono oggi difficilmente re-peribili per un riesame critico.

Tuttavia per quanto concerne Ponza, possiamo ricor-rere alle notizie pubblicate agli inizi del secolo dal De Fio-re quando l’isola, sotto il profilo paletnologico, era ancoraquasi interamente da esplorare (De Fiore 1920).

L’Autore aveva reperito a Punta del Fieno “schegge escheggioni di lavorazione d’ossidiana” e “frammenti inde-

finibili di stoviglie grossolanecon numerosi coltelli (si trat-ta di lamelle n.d.r.) e cuspididi freccia”.

La descrizione che DeFiore ci ha lasciato del mate-riale fittile si attaglia benecon quella dei manufatti ce-ramici recuperati ai Casarini.Anche a Ponza, insieme aiframmenti d’impasto grosso-lano senza tracce di decora-zioni figurano manufatti diimpasto più fine e rossicciocon qualche motivo orna-mentale che De Fiore, se purcon qualche esitazione, asse-gna all’epoca romana; unadiagnosi analoga a quella ipo-tizzata per alcuni materialidei Casarini.

Ma la correlazione più si-gnificativa fra i Casarini ePonza si può fare per le ar-

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mature di freccia (foliati) presentinelle due località prevalentementenei tipi che il De Fiore distinguevain “punte di lancia” (tipi F5 ed F6della lista Laplace: foliati bifaccialie a base troncata) e “punte di frec-cia” (tipo F7: foliaceo peduncola-to) (Laplace 1964).

Un dato discordante, ma ovvio,é quello della materia prima con laquale sono stati realizzati i foliati,rappresentata a Ponza quasi total-mente da ossidiana e ai Casariniprevalentemente dalla selce.

Purtroppo non abbiamo datistatistici completi dei ritrovamen-ti di Ponza, né sappiamo dove éconservato il materiale a suo tem-po raccolto, ma il De Fiore, purnon essendo un paletnologo, ha ilmerito di averci lasciato una sug-gestiva descrizione dei manufatti edei luoghi esplorati avanzando peraltro moderne ipotesi sulla distri-buzione ed il commercio dell’ossi-diana di Palmarola.

Pertanto malgrado il lungotempo trascorso abbiamo potutofare gli anzidetti confronti che citorneranno utili per le nostre argo-mentazioni sui legami culturali frale genti neolitiche stanziate nell’a-rea circumlacustre di Paola e quel-le isolane. Relativamente più re-centi sono le già citate ricerche di

ignorando il grande numero di analoghi esemplari in ossi-diana raccolti 35 anni prima dal De Fiore.

Per quanto attiene le isole di Zannone e Palmarola pos-siamo contare sulle notizie dei già citati Friedlaender e DeFiore nonché sugli studi di Buchner e Radmilli che si era-no avvicendati sulle isole quasi contemporaneamente ne-gli anni 49 e 50.

Secondo questi Autori a Zannone l’industria su ossi-diana é presente in varie località dell’isola (segnatamentenella parte centrale e a ponente dei ruderi del convento).Si tratta per lo più di rifiuti di lavorazione e di qualche og-getto finito di piccole dimensioni; piuttosto rare le lamel-le.

Secondo Radmilli l’isola di Zannone rappresentava unatappa, giustificata dalla presenza di una sorgente, per legenti neolitiche provenienti da Palmarola e dirette versoil continente. A Zannone gli antichi commercianti d’ossi-diana avrebbero sostato per sbozzare il materiale che inseguito, come prodotto semilavorato, sarebbe finito nellestazioni di smistamento dell’area continentale pontina.

Tutti gli Autori sono concordi nell’affermare che a Pal-marola sono estremamente rari i manufatti di vetro vul-canico e questo fatto é sorprendente in quanto in quest’i-

Buchner nelle isole pontine (Buchner 1949). Con un suolavoro del 1949 sulla scorta delle pubblicazioni di De Fio-re e di Friedlaender (Friedlaender 1900), Buchner riper-corre le località isolane che avevano restituito manufattidi età neolitica con prevalente presenza di ossidiana.

Egli ci dà notizia di nuove concentrazioni di materialein diverse località del versante settentrionale del Montedella Guardia, ai margini dei sentieri che si diramano daquesto rilievo, in una zona alta prospiciente la spiaggia diChiaia di Luna e nella zona di Le Forna.

Con una breve descrizione Buchner illustra l’industrialitica quasi totalmente ossidianica, reperita nelle predettelocalità.

Anche questo Autore ha notato la significativa presen-za di lamelle d’ossidiana talora con presenza di ritocco edi numerosi tipi di strumenti fra cui punte, punteruoli ebulini. Rara e poco significativa la ceramica.

Per Buchner, che vede nel contesto litico di Ponza unadiretta discendenza dalle industrie del Paleolitico superio-re, gli unici oggetti tipicamente neolitici sono costituiti dal-le cuspidi di freccia con peduncolo reperite a Punta delFieno: egli però segnala solo esemplari di foliati in selce

Tav. n. 5 - INDUSTRIA LITICA IN OSSIDIANA DALLE ISOLE PONTINE (DA RADMILLI 1954)

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Tav. n. 6 - INDUSTRIA LITICA IN OSSIDIANA DALLE ISOLE PONTINE (DA RADMILLI 1954)

potendo in quell’epoca disporre didati geochimici e radiogenici eglinon può che avanzare ipotesi basa-te su osservazioni visive macrosco-piche.

Più tardi numerosi studiosi sioccuparono della diffusione del-l’ossidiana dai giacimenti isolaniverso le località continentali cer-cando metodi obbiettivi di analisiper riconoscere l’origine del vetrovulcanico rinvenuto nelle stazionipreistoriche della penisola.

Un notevole impulso agli studiè stato dato, come già accennato,dalla scoperta da parte di Zei e deimembri del CSEQ dell’insedia-mento ad ossidiane di Selva Piana(Malpieri el al. 1981) e dalla sco-perta più recente dell’insediamen-to dei Casarini, presso Sabaudia(Ceruleo el al. 1987).

Il sito di Selva Piana è stato sco-perto verso la fine degli anni 70. Èsituato alle falde del versante set-tentrionale del Monte Circeo, suun pianoro leggermente digradanteverso il lago di Sabaudia (o di Pao-la).

La stazione preistorica ha resti-tuito manufatti sia in ossidiana chein selce ma la caratteristica pecu-liare del giacimento è l’alta per-centuale dell’ossidiana (circa 3/4del totale dell’industria assom-

sola esiste l’unico giacimento d’ossidiana allo stato natu-rale dell’arcipelago pontino.

La memoria di Radmilli sulle Isole Pontine e il com-mercio d’ossidiana nel continente durante il neo-eneoliti-co (Radmilli 1954) è ancora oggi un puntuale riferimen-to per chi si accinge allo studio di quell’epoca della nostraPreistoria caratterizzata dall’impiego del nero vetro vul-canico.

Come si è detto Radmilli, dopo aver descritto i giaci-menti allora noti delle Isole Pontine e in particolare i ri-sultati delle sue indagini a Zannone e a Palmarola (Tavv.n. 5 e 6), accenna ai ritrovamenti di ossidiane fatti da al-cuni ricercatori nella zona del Circeo e in altre aree piùlontane.

Fra questi manufatti, di cui si hanno purtroppo pochenotizie ma che egli ebbe modo di esaminare, sono fre-quenti le piccole lamelle non ritoccate come a Zannone esi osservano alcune analogie morfologiche con la materiaprima di Palmarola.

Radmilli intuisce il significativo rapporto fra le gentiisolane e quelle stanziate lungo la costa continentale delLazio e in altre zone dell’Italia peninsulare, ma è eviden-te che disponendo di scarso materiale di confronto e non

mante a 2.199 elementi con 1.598 manufatti in ossidianae 521 in selce, questi ultimi rappresentanti il 24,59% deltotale) piuttosto rara nelle altre stazioni preistoriche di su-perficie dell’agro pontino.

Il complesso litico di Selva Piana si presenta come unaindustria tendente al microlitismo con prevalenza di ossi-diana e con elementi piuttosto monotoni caratterizzati dauna notevole prevalenza di lamelle non ritoccate quasisempre frammentate (Tav. n. 7).

Analogo aspetto mostrano le ossidiane di Pantano Ma-rino I e II (Selvaggi 1979). Anche in queste località il vetrovulcanico si presenta sotto forma di piccoli elementi di dé-bitage con prevalenza di microlamelle frammentate. Laselce tuttavia qui prevale sull’ossidiana. A Pantano Mari-no II il rapporto è esattamente di 2/1 in favore della selce.

Ai Casarini, come vedremo in seguito, invece il rap-porto selce-ossidiana è all’incirca pari al 50%.

La presenza, a Selva Piana, di materia prima non uti-lizzata, di nuclei e ravvivamenti e di numerose schegge dirifiuto suggerisce l’ipotesi che l’ossidiana venisse lavoratasul posto e che ci si trovi quindi in presenza di una offici-na per la lavorazione dell’ossidiana e forse di un centro dismistamento di tale materia prima lavorata.

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Le analisi effettuate presso l’Istituto di Geochimica del-l’Università di Roma utilizzando il metodo della determi-nazione degli elementi minori con la spettrometria di fluo-rescenza da raggi X hanno permesso di accertare che le os-sidiane rinvenute nel giacimento di superficie di Selva Pia-na provengono dall’Isola di Palmarola.

Poiché a Selva Piana non fu reperita ceramica associa-ta all’industria litica è difficile dare una attribuzione cro-nologia e culturale all’insieme preistorico. Gli Autori han-no avanzato l’ipotesi che si tratti di un insediamento diepoca neolitica in senso lato dove persistono elementi ditradizione mesolitica ed hanno datato l’insediamento inun tempo compreso tra 4.500 e 5.500 anni dai nostri gior-ni.

Le varie correnti culturali della ceramica impressa pre-sentano associazioni di strumenti silicei con manufatti os-sidianici. A Masseria La Quercia, come a Selva Piana, l’os-sidiana è associata a trapezi e a elementi di falcetto in sel-ce. Anche nelle correnti culturali della ceramica dipinta(Passo di Corvo, Capri, Scaloria) vi è presenza di ossidianafra un’industria litica che comprende molti tipi presenti aSelva Piana (lamelle ritoccate, incavi su lame, bulini, pun-te).

Nella cultura di Ripoli lamette ritoccate, denticolati,troncature, geometrici, punte, rari bulini, grattatoi in selcesi associano – con maggior frequenza nei livelli più recen-ti – a manufatti di ossidiana. Ed ancora associazioni fra ma-nufatti silicei ed ossidianici si hanno nella cultura della La-gozza, in quella di Serra d’Alto e in quella di Diana dovel’ossidiana, come in molte stazioni preistoriche sarde, rap-presenta la materia prima più importante per l’economiadelle antiche popolazioni locali.

Nell’Eneolitico si hanno lame in selce e in ossidiana

ni e mesolitici di datazione relativamente tarda, come Mo-lella di Sabaudia e Riparo Blanc mostrano alcuni temi ti-pologici che si riscontrano nello strumentario litico di Sel-va Piana.

In questi giacimenti – che possiamo considerare fon-damentali per la Preistoria recente dell’area pontina – so-no presenti forme microlitiche caratteristiche, tuttavia l’os-sidiana non compare o è presente solo sporadicamente neilivelli immediatamente superiori.

Il giacimento preistorico della penisola dei Casarini(Ceruleo et al. 1987) è situato su una lingua di terra chesi spinge in direzione N.O. del lago di Paola in corrispon-denza del versante meridionale.

Una componente significativa dell’economia di questacomunità era rappresentata dal commercio dell’ossidianadi Palmarola presente ai Casarini nelle varie fasi di lavora-zione, dagli elementi grezzi di materia prima ai nuclei ed aisupporti rappresentati da schegge, lame e lamelle fino aglistrumenti finiti.

Il vetro vulcanico pare irradiarsi da questo centro e daquello vicino di Selva Piana (distante, in linea d’aria, circa500 m.) in molte località del Lazio e di altre zone dell’I-talia centro meridionale fino alle regioni adriatiche conpunte nell’Italia settentrionale e nella vicina Iugoslavia(Tiné 1983).

Come tutte le popolazioni preistoriche vissute in que-sta regione, anche le genti neolitiche s.l. dei Casarini uti-lizzarono i caratteristici ciottoli silicei presenti in posto nel-l’area pontina per realizzare il loro strumentario litico che,come si è detto, risulta integrato significativamente da ma-nufatti d’ossidiana.

Si tratta di un’industria che tende nel complesso, ne-cessariamente, al microlitismo anche se figurano oggetti di

Tav. n. 7 - INDUSTRIA LITICA DI SELVA PIANA (DA MALPIERI ET AL. 1981)

- Industria litica di Selva Piana. Manufatti di ossidiana (nn. 1-8, 13, 14, 16, 18);manufatti di selce (nn. 9-12, 15, 17)

nella cultura di Piano Conte, inquella di Ortucchio, nelle stazionisicule (Castelluccio) e nel ricorda-to Eneolitico della Sardegna (Rad-milli 1975).

Tuttavia i confronti fra questisiti eponimi e la stazione di SelvaPiana, basati esclusivamente sullaconsistenza delle caratteristiche dialcuni elementi litici e ossidianici,non sono totalmente indicativi.

Ogni cultura presenta infattiproprie caratteristiche rivelate edespresse dalla ceramica, dai manu-fatti d’osso o di corno, dagli orna-menti, dalla presenza di macine,macinelli, asce di pietra levigata,foliacei ed eventualmente manu-fatti di metallo (rame).

Le culture leptolitiche che daqualche anno vengono messe in lu-ce nel territorio pontino, potrannoforse fornire la chiave per una at-tribuzione più verosimile del com-plesso di Selva Piana.

Infatti i complessi epigravettia-

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medie dimensioni come alcuni strumenti su lama ben ri-finiti; è rappresentata da 1457 manufatti silicei e 1479 diossidiana.

Risalta nel contesto complessivo dell’industria litica,una gran copia di lamelle (21.68% del débitage), preva-lentemente di ossidiana, che, pur assumendo in uno stu-dio strettamente tipologico significato di semplice sup-porto (o di débitage), non possono non aver avuto unaprecisa valenza strumentale.

La presenza di lamelle d’ossidiana non ritoccate é sta-ta sempre accertata nelle stazioni preistoriche di età neo-litica s.l. dell’area pontina: a Pantano Marino (San FeliceCirceo) (Selvaggi 1979), nei pressi della Fonte di Lucullo(Sabaudia) (Zei 1979), a Colle San Martino (Terracina)(Selvaggi et al. 1984).

Una sorprendente analogia nel numero delle lamellenon ritoccate si riscontra fra il complesso ossidianico deiCasarini (330 manufatti) e quello di Setteville di Guido-nia (323 manufatti) (Ceruleo 1982). Ma anche in localitàpiù lontane dalle cave d’ossidiana e dai luoghi di smista-mento del vetro vulcanico figurano le immancabili lamel-le non ritoccate, talora quale unico elemento di quella ma-teria prima.

Si citano, tra gli altri, i seguenti giacimenti preistorici(Thorpe el al. 1979):

– Arene Candide (Savona): “...in un contesto a cera-mica impressa 2 belle la-me e 5 frammenti,... inlivelli del Neolitico Tardoun totale di almeno 14lamette...”

– Alba (Cuneo): “...un nucleo d’ossidianaa lame...”

– Isolino di Varese (Varese): “...da un livello a cerami-ca tipo Lagozza 6 lamenon ritoccate e 3 scheg-ge... da un livello a cera-mica dei vasi a boccaquadrata 2 lame non ri-toccate... nel museo diVarese vi sono altre 35lame ed un nucleo...”

– Rocca di Manerba (Brescia): “...un unico piccolo fram-mento di lama...”

– Grotta G. Perin (Vicenza): “...una unica piccola la-ma...”

– Casarico di Marcaria (Mantova): “...9 lame di ossidiana...”

– S. Polo d’Enza (Reggio Emilia): “...40 pezzi d’ossidiana...la maggior parte sonopiccoli frammenti di la-ma...”

- Chiozza (Modena): “...2 frammenti di la-ma...”

– Villa Agazzotti (Modena): “...2 piccole lame...”

– Fiorano (Modena): “...3 piccoli frammenti dilama...”

– Pescale (Modena): “... su circa 950 pezzi diossidiana oltre 813 sonolame nelle quali il ritoccoè raro...”

– Villa Persolino (Ravenna): “...10 lame...”

– Grotta della Tartaruga (Trieste): “...3 pezzi inclusa una la-ma...”

– Vlasca Jama (Trieste): “...4 pezzi tra cui una la-ma...”

– Riparo di Monrupino (Trieste): “...2 lame ed una scheg-gia...”

– Grotta dell’Orso (Trieste): “...una lama...”

– Grotta dell’Ansa(Trieste): “...una lama...”

– Grotta dell’Onda (Lucca): “...un numero di lame...”

– Grotta del Leone (Pisa): “...lame...”

– La Romita di Asciano (Pisa): “...una lama...”

– Grotta Pollera (Savona): “...3 lame...”.

Le lamelle non ritoccate d’ossidiana quindi, presenti avolte anche solo con 1 o 2 elementi non ritoccati in giaci-menti preistorici lontani fino ad oltre 500 km. dalle caveisolane e dai centri di smistamento, dovevano avere qual-che particolare proprietà di carattere cultuale che oggi cisfugge.

La produzione delle tante monotone lamelle e microlamelle potrebbe avere infatti avuto una funzione privile-giata per la realizzazione di strumenti destinati a pratichedi medicina di ispirazione magico-religiosa, per operazio-ni di tatuaggio, scarnificazione rituale, circoncisione ecc.

Si noti che ai Casarini le lamelle non ritoccate di selcesono rappresentate soltanto da 16 pezzi, pari al 4.8% diquelle ossidianiche .

Infine anche i foliati presenti in numero notevole(55,82% dello strumentario) caratterizzano questa indu-stria che, al momento, non trova sicure correlazioni congli altri complessi della regione medio-bassa tirrenica.

La ceramica, generalmente d’impasto grossolano, figu-ra con qualche frammento di sagome sferiche privo di de-corazione e qualche ansa a nastro semplice e a foro circo-lare, una presa ellittica e alcune fuseruole (Guerreschi elal. 1985).

La fauna é rappresentata da Ovis vel Capra, Bos tau-rus, Equus caballus, Sus scropha(?), Cervus elaphus.

Il contesto di faune domestiche e, in minor misura, sel-vatiche ci suggeriscono come l’economia di questa popo-lazione fosse prevalentemente agricolo-pastorale integra-ta da attività venatorie.

Tali faune ben si collocano nel quadro paleoambienta-le che il diagramma pollinico della Mezzaluna ci rivela frale datazioni di 4.730 ± 60 e 6.450 ± 120 degli Autori olan-desi (Kamermans el al. 1985).

Da notare infine la presenza di due reperti umani fracui un molare superiore destro assai usurato che rivela abi-tudini alimentari connesse verosimilmente con l’assun-zione di prodotti vegetali coltivati.

Per quanto concerne un confronto esauriente fra gli al-tri contesti a ossidiana sopra ricordati e il giacimento del-

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la Penisola dei Casarini possiamo fare le seguenti conside-razioni:

– il sito archeologico dei Casarini è indubbiamente il piùinteressante per la quantità e la varietà tipologica deglistrumenti;

– le condizioni di giacitura del materiale archeologicohanno consentito una buona conservazione dei manu-fatti, specialmente dei supporti lamellari altrove quasisempre frammentati da agenti atmosferici e da azionimeccaniche (arature, calpestio di uomini ed animali);

– il limo lacustre ha protetto altresì i reperti paleontolo-gici che hanno contribuito a darci informazioni sui si-stemi di sussistenza delle genti neolitiche che vissero aimargini degli stagni costieri, altrove l’acidità dei terre-ni distrugge quasi sempre i resti faunistici;

– la tipologia dell’industria litica appare significativamenterappresentata da una peculiare presenza dei foliati, stru-menti che nelle altre stazioni laziali figurano sporadica-mente;

– la ceramica, anche se scarsa, figura in modo più vario econsistente che altrove;

– sono presenti elementi culturali come piccole asce vo-tive, una macina, elementi di falcetto e frammenti dioggetti ornamentali che le altre stazioni a ossidiana nonhanno restituito se non eccezionalmente;

– l’ossidiana è presente in tutte le forme di passaggio, dal-la materia prima ai manufatti ben rifiniti e al regolaredébitage lamellare da farci ritenere di trovarci in pre-senza di una grande officina di lavorazione del vetrovulcanico di Palmarola e forse della più importante sta-zione di smistamento dell’ossidiana verso i grandi centripreistorici dell’interno.

me la fabbricazione di armi per offesa-difesa ovvero ma-nufatti di scambio.

Più modeste concentrazioni di ossidiana furono accer-tate sul Promontorio Circeo fra Punta Rossa e la Batteria(fortilizio francese dei primi anni dell’Ottocento), ai mar-gini di una piccola insenatura che poteva consentire l’ap-prodo a imbarcazioni di modeste dimensioni.

Proprio davanti, sull’orizzonte, si staglia l’Isola di Pal-marola e ci troviamo forse nel punto geograficamente piùvicino all’Isola Pontina.

I manufatti reperiti sono totalmente di ossidiana salvouna piccola ascia votiva in steatite frammentata (Museodel Parco Nazionale del Circeo). Questo manufatto èidentico ad un oggetto reperito ai Casarini.

Compaiono le immancabili lamelle non ritoccate an-ch’esse frammentate.

Oltre Punta Rossa altri piccoli oggetti di ossidiana dianalogo aspetto si raccoglievano fino a qualche tempo fasul sentiero che conduce al Riparo Blanc, nella zona dellacava d’Alabastro. Nello stesso sedimento del Riparo, scon-volto nei livelli superiori da azioni di disturbo da parte diuomini o animali, compare l’ossidiana sotto forma discheggioline e microlamelle.

Elemento di notevole valore cronologico assume unascheggia di vetro vulcanico rinvenuta sotto uno scheletroin connessione appartenente ad un individuo inumato ne-gli strati superiori del deposito. L’ossidiana ci permette distabilire che la sepoltura non può essere che coeva o po-steriore all’arrivo in loco del vetro vulcanico e quindi piùrecente dell’età epipaleolitica che caratterizza il RiparoBlanc nel suo contesto archeologico più significativo.

Tuttavia ricordiamo che rari elementi in ossidiana so-no sicuramente presenti in complessi mesolitici italiani(vedi Arma dello Stefanin in Liguria e Perriere Sottano in

Dall’insieme degli elementisopra descritti gli Autori in-quadrarono l’insediamento inun momento centrale del Neo-litico italiano.

Ci troviamo infatti in pre-senza di popolazioni sedenta-rie ad economia agricolo-pa-storale come lo dimostrano lamacina, gli elementi di falce,l’aspetto di molti manufatti li-tici e le faune domestiche. Sitratta peraltro di genti giàesperte nella scienza della na-vigazione e dedite in manierasignificativa al commercio del-l’ossidiana.

Le numerose e varie arma-ture di freccia talora ben rifini-te, ci suggeriscono infine l’esi-stenza di una pratica venatoriaintegrativa al sistema di sussi-stenza, non escludendo laeventualità di altre ipotesi, co-

Tav. n. 8 - MAPPA DEGLI INSEDIAMENTI NEOLITICI CON OSSIDIANA NEI PRESSI DEL CIRCEO:1 - PUNTA ROSSA 2 - LA BATTERIA 3 - RIPARO BLANC4 - SELVA PIANA 5 - CASARINI 6 - LA BOTTE7 - FONTE DI LUCULLO 8 - PANTANO MARINO

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Foto n. 3 - LA ZONA PEDEMONTANA A NORD DEL PROMONTORIO CIRCEOTRA IL MONTE ED IL LAGO DI SABAUDIA OVE SONO I SITI DI SELVAPIANA, CASARINI E LA BOTTE

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Sicilia) pertanto la presenza della scheggia di ossidiana neilivelli mesolitici del Riparo Blanc andrebbe riesaminatapiù attentamente.

Altri elementi d’ossidiana compaiono frammisti aicomplessi di superficie Gravetto-epigravettiani e Epipa-leolitici della Fonte di Lucullo (Zei 1979), Colle Parito(LT) (Liboni 1981) e più a Nord a Torre del Giglio (LT)e nel territorio di Nettuno (Roma) (ricerche ancora inedi-te).

Radmilli segnala “un bel discoide di ossidiana prove-niente dalla parte quasi superficiale del deposito entro laGrotta Iolanda di Sezze” (Radmilli 1963 p. 228).

Altri siti del Lazio centro-meridionale nei dintorni diRoma hanno restituito ossidiana in quantità più o menorilevante. Ricordiamo:

Alla Solforata, su di un pianoro nei pressi dell’attualebacino carbosolfidrico vicino alla via Laurentina, sono sta-ti raccolti in ricerche di superficie un centinaio di manu-fatti in ossidiana per la maggior parte nuclei, schegge e la-mette. All’epoca della pubblicazione del lavoro erano incorso analisi spettrografiche per determinare la prove-nienza di tali materiali (Bietti Sestieri 1978, Petrassi 1983-84).

Nel Lazio meridionale nella zona immediatamente asud del Fosso di Malafede, in varie località del Lido di La-vinio (Zei 1953), e ad Acilia (Malatesta et al. 1957) sonostate raccolte ossidiane e cuspidi di freccia attribuibili ge-nericamente ad età neo-eneolitica;

Nella Pianura Pontina mancano praticamente dati re-lativi all’età neolitica fatta eccezione per pochissime zonedove sono presenti ossidiane che non superano comunquemai le poche unità.

Verso sud una discreta concentrazione di vetro vulca-nico compare a Colle San Martino (Terracina) e a Chian-carelle sul lago di Fondi (Selvaggi E. et al. 1984), localitàche abbiamo già ricordato in questo lavoro.

Per trovare una concentrazione più intensa di ossidia-na, sicuramente proveniente da Palmarola, occorre spin-gersi molto più a nord, nei pressi della ricordata località diSetteville di Guidonia nella Valle dell’Aniene, dove, ai

Selva Piana e dei Casarini, nonché con quello più lontanodi Setteville di Guidonia.

Il sito di La Botte dista poche centinaia di metri sia daquello di Selva Piana che da quello della penisola dei Ca-sarini (Tav. n. 8) (Foto. n. 3). Questo fatto ci suggerisce al-cune considerazioni.

Come detto l’ossidiana veniva estratta dai giacimentidi Palmarola, successivamente veniva trasportata nella vi-cina isola di Zannone dove, a giudicare dalla quantità dirifiuti di lavorazione, si procedeva alla lavorazione inten-siva del materiale che veniva sia sgrossato che rifinito.

La ragione della presenza delle officine litiche a Zan-none va ricercata, come già osservato, nella presenza disorgenti di acqua dolce che consentivano uno stanzia-mento permanente.

Bisogna inoltre tenere presente che la tecnica nauticadi tali popolazioni non permetteva il trasporto di notevo-li quantità di materiale e pertanto era conveniente sotto-porre il prezioso vetro vulcanico ad una prima sgrossaturae lavorazione per poter trasportare la maggiore quantitàutile di materiale commerciabile.

Quindi l’ossidiana raggiungeva la terraferma, princi-palmente le zone del Circeo, dove veniva stoccata e sot-toposta ad ulteriore lavorazione nei grossi centri indivi-duati nella zona compresa tra il versante Nord del MonteCirceo e le sponde meridionali del Lago di Sabaudia ovesono situati appunto i centri di Selva Piana, La Botte e deiCasarini.

Da questi grossi centri di accumulo, di ulteriore lavo-razione e smistamento il vetro vulcanico veniva poi distri-buito nel resto della Penisola per via mare e per via terra,attraverso le numerose “Vie dell’ossidiana”.

Altri siti nel Lazio

Oltre ai siti pontini già citati nei paragrafi precedenti,numerosi altri siti nel Lazio hanno restituito materiali inossidiana (Bietti Sestieri 1984).

Nel territorio di Roma ricordiamo (Anzidei 1984):

1) Castel di Guido: 1 scheggia ed 1 lamella ritoccata inossidiana;

margini dell’antico bacino delle AcqueAlbule, compaiono i resti di quello chefu un antico insediamento di età neo-litica s.l. (Ceruleo et al. 1987).

Anche qui, come a Pantano Mari-no, prevale la selce ed è rara e mal con-servata la ceramica. I confronti con imanufatti di Selva Piana sono sorpren-denti specialmente a livello dei nucleie del débitage lamellare.

Infine a La Botte, presso il Lago diSabaudia sono state raccolte quasi unmigliaio di ossidiane concentrate inun’area di circa 650 mq. La mancanzadi ceramica permette solo una data-zione genericamente neolitica del sito(Malanchini 1980).

Sarebbe interessante confrontaretali materiali con quelli dei vicini siti di

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2) Riserva Capanna Murata: industria su lama in selce edossidiana;

3) Tenuta di Torre Nuova: ceramica impressa nel tipo co-siddetto cardiale ed industria su selce ed ossidiana;

4) Unità Anagnina: Neolitico medio con punte di freccia,diverse lame di ossidiana ed un’accetta frammentatain serpentino.

5) Tenuta della Perna: Ceramica di impasto fatto a manoed industria litica su lama. Si segnala altresì il rinveni-mento di un cuspide di freccia e di una lametta in os-sidiana.

Di tutti i materiali sopra riportati non è stata indicatala provenienza geologica dell’ossidiana.

Sempre nel territorio di Roma ricordiamo i siti di Ca-sali di Porta Medaglia, Quadrato di Torre Spaccata, Le Ca-prine e Setteville (Guidonia).

L’insediamento di Casali di Porta Medaglia è stato in-dividuato nel 1982. Il sito è posto tra la via Laurentina ela via Ardeatina a circa 15 km a sud est del centro di Ro-ma (Baiocco et al. 1987).

L’industria litica è caratterizzata da una rilevante pre-senza di lamette, schegge e piccoli nuclei di ossidiana. L’os-sidiana compare con 29 manufatti, pari al 20% circa ditutta l’industria litica.

In questa località sono inoltre presenti dei materiali ce-ramici, fra cui un’ansa molto simile a quelle reperite ai Ca-sarini

Le analisi spettrografiche effettuate su 7 campioni han-no permesso di identificare la provenienza del materialevulcanico oltre che dalla vicina isola di Palmarola (5 cam-pioni) anche da Lipari e da Monte Arci (1 campione cia-scuno).

I materiali rinvenuti permettono di inquadrare il com-

Fig. n. 1 - INDUSTRIA IN OSSIDIANA DALL’INSEDIAMENTO DISETTEVILLE DI GUIDONIA:

– PRIMA RIGA IN ALTO: NUCLEI;– SECONDA, TERZA E QUARTA RIGA: LEMELLE;– QUINTA RIGA: SCHEGGE;– SESTA RIGA: NODULI DI OSSIDIANA NON LAVORATI

plesso nell’ambito del Neolitico superiore, corri-spondente in termini di cronologia assoluta ad unperiodo compreso tra la seconda metà del quarto egli inizi del terzo millennio a.C.

Infatti l’insediamento di Casali di Porta Medagliapresenta un alto grado di affinità con contesti riferi-bili ad un momento avanzato della cultura di Ripoli.

L’insediamento neolitico di Quadrato di TorreSpaccata è situato a circa 10,5 km a SE di Roma inun’area compresa tra le vie Tuscolana e Casilina. Imateriali rinvenuti possono essere confrontati conquelli di complessi del Neolitico recente che pre-sentano elementi caratteristici delle culture di La-gozza, di Diana e di Ripoli che trovano riscontri inmolti contesti italiani tra cui la grotta delle AreneCandide e la grotta dei Piccioni di Bolognano.

L’industria litica, che secondo l’Autrice veniva la-vorata sul posto, presenta manufatti in selce ed ossi-diana (diverse lamelle alcune delle quali con margi-ni ritoccati) e le analisi effettuate per quest’ultimaindicano una provenienza da Lipari e Palmarola (An-zidei 1987).

Il sito delle Caprine di Guidonia è situato ai mar-gini del Bacino delle Acque Albule ed ha restituitouna serie molto importante di materiali provenien-ti da vari periodi della preistoria a partire dall’epi-gravettiano fino all’età del bronzo recente.

Il complesso neolitico presenta della ceramicaimpressa inquadrabile in quella riconosciuta in am-bito medio-tirrenico mentre è presenta anche cera-mica impressa del tipo di quella attestata a Fonta-nelle e a Tricalle, nel versante medio adriatico.

Anche la ceramica figulina è ben rappresentataed è collegabile a quella delle facies adriatiche delNeolitico medio di Catignano e del Neolitico supe-riore di Ripoli.

L’industria su ossidiana è ben attestata ma nonsono state effettuate analisi per determinare la pro-venienza geologica dei materiali rinvenuti (Guidi etal. 1993).

L’insediamento neolitico di Setteville di Guido-nia fu individuato dallo Scrivente nel 1980 (Ceru-

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melle costituiscono la stragrande maggioranza del débita-ge rappresentando il 47% del materiale studiato.

Gli strumenti finiti sono poco attestati e rappresenta-no solo il 5% dell’insieme litico (Fig. n. 1).

La scarsa presenza di strumenti può facilmente con-cordare con la produzione lamellare, già sufficientementetagliente. Notevole anche la presenza di nuclei e di nodu-li di ossidiana non lavorati che ci indicano come la mate-ria prima venisse lavorata sul posto. Questo fatto ci pro-pone l’interpretazione del sito come di un’area adibita al-la lavorazione della materia prima che poi veniva distri-buita nei siti limitrofi e lungo la valle dell’Aniene ove sonostati reperiti sporadicamente manufatti in ossidiana.

Finora non è stato possibile sottoporre i materiali ossi-dianici di Setteville ad analisi di laboratorio per indivi-duarne la provenienza geologica.

Tuttavia ad un esame visivo macroscopico l’ossidianadi Setteville ricorda molto da vicino quella di Palmarola,in particolare quella che caratterizza la fonte “secondaria”della spiaggia di Cala di Porto. Accanto a questa materiaprima è stata notata la presenza di un numero minore dimanufatti ottenuti da una ossidiana diversa per tessitura otipo di cortice. Tale fatto particolare potrebbe essere do-vuto alle modalità di reperimento della materia prima in-serite in una efficace rete di scambi facenti capo a fontigeologiche diverse.

La rarità finora constatata di ceramica unita alle pecu-liarità dell’industria rivela una arcaicità dell’insediamentomolto significativa nel quadro del neolitico laziale.

Il giacimento di Setteville è il primo dell’area internalaziale che ha restituito una così abbondante quantità dimanufatti di ossidiana. La valle dell’Aniene ha costituitoda sempre una via di transito che metteva in comunica-zione la pianura laziale con le regioni interne appennini-che ed adriatiche, permettendo quindi contatti e scambifra genti di tradizioni diverse come lo denuncerebbe ap-

punto la notevole presenza di ossidiana molto ricercata inquell’epoca.

Risalendo l’Aniene, lungo la sua valle o nelle sue vici-nanze sono stati rinvenuti sporadici elementi di ossidianain vari siti:

– Nella Tenuta Scavizzi presso Tivoli: sul pianoro sovra-stante Grotta Polesini, Radmilli raccolse numerose os-sidiane e cuspidi di freccia (Radmilli 1953);

– Grotta Polesini: alcune lamelle in ossidiana (comunica-zione personale) (Fig. n. 2);

– Colle S. Angeletto (ai margini del Bacino delle AcqueAlbule): 2 lamelle di ossidiana su 12 manufatti liticineolitici (Ceruleo1985) (Fig. n. 2);

– S. Cosimato: 5 elementi in ossidiana su un totale di 71manufatti litici (Ceruleo 1982) (Fig. n. 2);

– L’Immagine di Oricola: 2 elementi di ossidiana su untotale di 37 manufatti litici attribuibili parte al muste-riano e parte al neolitico (Ceruleo 1982);

– La Botte (Riofreddo): 1 lamella di ossidiana (Ceruleo1982);

– Le Morra a Subiaco: 1 elemento in ossidiana (comuni-cazione personale).

Nel resto della bassa Sabina l’ossidiana sembra esserepiù rara. Ricordiamo 1 elemento in da Cretone (comuni-cazione personale) ed un frammento di piccola lama di os-sidiana dai dintorni di Forum Novum (Filippi 1979).

Una delle tante vie dell’ossidiana:

la Valle dell’Aniene

La presenza di ossidiana in quantità notevole a Sette-ville di Guidonia e la supposizione che il sito possa esserestato un centro di lavorazione e smercio della preziosa ma-teria prima ci suggerisce una delle tante vie dell’ossidianache dall’isola di Palmarola veniva trasportata ai più vicini

Fig. n. 2 - INDUSTRIA IN OSSIDIANA DA SITI LUNGO LA VALLEDELL’ANIENE:– PRIMA RIGA IN ALTO: COLLE S. ANGELETTO;– SECONDA RIGA: S. COSIMATO;– TERZA RIGA: GROTTA POLESINI PRESSO PONTE LUCANO

leo 1982). È situato su di un pianoro tufaceo pressoil Fosso del Cavaliere, affluente di sinistra dell’Anie-ne, ai margini dell’antico bacino delle Acque Albu-le, oggi profondamente alterato nella morfologia ori-ginaria e a poca distanza dal fiume Aniene.

L’area un tempo doveva offrire condizioni di vi-ta privilegiate alle antiche genti del villaggio.

La peculiarità del sito è dovuta al fatto di avererestituito un numero considerevole di manufatti li-tici di cui circa 1.703 elementi in selce e 765 ele-menti in ossidiana. Pochi insediamenti continentalihanno restituito finora una così considerevole quan-tità di manufatti in ossidiana.

La ceramica è presente con pochi elementi, circa30, tra cui 4 anse a nastro ed 1 sottocute. La cerami-ca è poco tipica e molto frammentata per cui è dif-ficile allo stato attuale delle ricerche darne una attri-buzione precisa.

L’industria litica in ossidiana è stata studiata re-centemente (Rossetti et al. 1999).

Come negli altri siti pontini sopra descritti le la-

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siti costieri del Circeo, quali Selva Piana, Casarini e La Bot-te dove veniva sottoposta ad una prima selezione e forseanche lavorazione e da qui veniva distribuita nei vari sitinei dintorni di Roma sino a Setteville ed alle Caprine. Daqueste località, risalendo la valle dell’Aniene ed altre valliappenniniche, ricalcando percorsi antichissimi che furonopoi ripresi in epoca storica dalle strade consolari romane,gli antichi mercanti di ossidiana, trasportavano il preziosovetro vulcanico al Fucino, ove è stato trovato a S. Stefanodi Ortucchio, e da lì fino al versante adriatico abruzzese equindi a sud fino in Puglia e nelle Isole Tremiti ove l’ossi-diana di Palmarola é molto presente oppure a nord fino alCarso triestino dove alla grotta della Tartaruga, nei din-torni di Trieste, l’ossidiana è principalmente sotto la for-ma di lame in un contesto del tardo Neolitico (Cultura diDanilo) (Barfield 1972,84).

Lungo tale percorso, abbiamo visto, l’ossidiana di Pal-marola è presente, oltre che alle Caprine, a Grotta Polesi-ni, a S. Cosimato, nella Piana del Cavaliere (a La Botte diRiofreddo e Immagine di Oricola) e nei pressi di Subiaco(La Morra).

Una via alternativa per raggiungere il Fucino dai cen-tri di smistamento costieri del Circeo era quella che, at-traverso la valle dell’Amaseno, raggiunge la Valle Latinanei pressi di Frosinone e da qui, attraverso la valle di Ro-veto, il Fucino.

Lungo tale direttrice l’ossidiana è stata trovata a Casa-le del Dolce, nei pressi di Anagni.

Tale insediamento è situato su una duplice direttricedi transito: quella Nord-Sud lungo il bacino formato daifiumi Sacco-Liri-Garigliano e quella Est-Ovest verso le zo-ne di pascolo montuose dell’Appennino. Il sito è stato fre-quentato per circa due millenni, da un momento mediodel Neolitico fino alla prima età dei metalli.

L’industria litica presenta numerosi elementi in ossi-diana provenienti sia da Palmarola che da Lipari con unelemento proveniente da Monte Arci.

Gli Autori hanno distinto una facies più antica assimi-labile a quella del Sasso datata 4.860 ± 130 a.C. seguitafase del Neolitico più recente collegabile col Ripoli tardodatata 4.320 ± 70 a.C. (Petrassi et al. 1997).

Un’altra via alternativa alla valle dell’Aniene era quel-la che risaliva la valle del Tevere fino a Passo Corese perdeviare poi verso la conca di Rieti, seguendo il percorsodella via Salaria, e da qui attraverso la valle del Salto giun-gere al Fucino.

Lungo tale direttrice l’ossidiana è stata trovata a ValleOttara, presso Cittaducale, in livelli della cultura di Dia-na (Neolitico superiore).

Tale percorso, tuttavia, allo stato attuale delle ricerchesembra essere stato il meno usato in quanto l’ossidiana èstata finora trovata solo a Valle Ottara.

Sul versante tirrenico, seguendo probabilmente per-corsi di piccolo cabotaggio lungo la costa o anche percor-si più tranquilli ma più difficoltosi per via terra, quegli an-tichi mercanti giunsero fino in Liguria scambiando il loroprezioso materiale vetroso con gli abitanti delle AreneCandide i quali però si rifornivano di tale materiale pre-valentemente dai mercanti sardi, come vedremo meglioin seguito.

L’ossidiana nel Lazio settentrionale

Molte sono le località che hanno restituito manufattiin ossidiana nel Lazio settentrionale (Fugazzola Delpi-no1987).

Nella maggior parte dei siti della cultura del Sasso diFurbara (Neolitico inferiore) si nota presenza di ossidianache, con le accettine di pietra verde levigata, costituiscechiaro indizio di relazioni esterne.

A Poggio Olivastro (Canino) in un abitato all’apertodella Cultura di Lagozza (Neolitico superiore) è stata tro-vata abbondante industria litica anche in ossidiana (Bul-garelli et al. 1993).

In questo sito i primi quattro manufatti trovati nellaprima stagione di scavi provengono da Lipari ma nessunodei rimanenti 213 manufatti trovati in seguito proviene daLipari, bensì dalla Sardegna (Tycot 1997).

Alle Solforate nei pressi di Sutri, nell’ambito di un in-sediamento del Neolitico finale, sono stati trovati variframmenti di ossidiana che l’Autore ritiene per la maggiorparte da Palmarola ed in minore quantità da Lipari (Pen-nacchioni 1975).

A Colle della Capriola (Bolsena) è presente una scheg-gia non ritoccata in ossidiana nell’ambito di un insedia-mento del Neolitico della facies Sasso-Sarteano.

Gli Autori fanno osservare come la presenza di ossi-diana alla Capriola ed in altri siti tosco-laziali confermal’esistenza di rapporti di scambio in queste culture, cometestimoniato anche dall’uso in altri siti di pietre verdi emarmo (Cazzella 1992).

A Piana di Stigliano, nei Monti della Tolfa a nord diRoma tra il lago di Bracciano ed il mare, sono presenti unbecco su scheggia ed una lamella non ritoccata in ossidia-na attribuibili al Neolitico o al Bronzo medio (Persiani1992).

Ai confini settentrionali del Lazio con la Toscana, lun-go la valle della Fiora sono stati individuati numerosi sitineolitici che hanno restituito materiali ossidianici attribuitiad un arco di tempo che comprende tutto il Neolitico, dal-l’inferiore al tipo Lagozza.

La distribuzione dell’ossidiana in tali siti appare relati-vamente omogenea con un certa maggiore concentrazio-ne sull’Amiata e lungo il medio corso del fiume.

Diamo una breve indicazione delle località che hannorestituito ossidiana:

– Cave di Castella (Castel delpiano Grosseto): tre stru-menti in ossidiana;

– Vacasio (Pitigliano - Grosseto): strumenti in ossidiana;

– Sorgenti della Nova (Farnese - Viterbo): piccoli manu-fatti in ossidiana;

– Manciano (Grosseto): una punta di freccia in ossidiana;

– Scarceta (Manciano - Grosseto): alcune lamette di os-sidiana;

– Crostoletto di Lamone (Ischia di Castro- Viterbo): pic-coli strumenti in ossidiana;

– Ponte S. Pietro (Ischia di Castro - Viterbo): un piccolostrumento in ossidiana.

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All’epoca della pubblicazione del lavoro le analisi sullaprovenienza geologica dei materiali erano ancora in corso(Negroni Catacchio 1987).

In località “La Marmotta” ad Anguillara Sabazia, nel1989 è stato individuato un insediamento sulla sponda sudorientale del bacino lacustre all’interno di un’insenaturaprotetta, alla profondità di circa otto metri sotto il limolacustre.

Tra i vari materiali rinvenuti spicca per la sua eccezio-nalità una grande piroga lignea monossile lunga oltre 10metri. L’importante reperto risale all’età neolitica ad unperiodo tra il 5.690 ed il 5.260 a.C. Pochissime sono le im-barcazioni dell’epoca palafitticola scoperte finora e tuttesono di rozza fattura. La piroga d’Anguillara, al contrario,mostra una raffinata tecnica costruttiva e getta una nuovaluce sulle conoscenze marinare di quel lontano periodo.

Successivamente nel 1998, è stata portata alla luce unaseconda piroga, più piccola, con una lunghezza di circa seimetri, attualmente in corso di restauro.

Finora sono stati portati alla luce migliaia di reperti tracui abbondantissima industria litica sia in selce che in os-sidiana. Quest’ultima proviene sia da Lipari che da Pal-marola.

6. LA DIFFUSIONE DELL’OSSIDIANA

IN ITALIA

Le isole, fin dalla preistoria, hanno ricoperto un ruoloimportante dal punto di vista economico-militare nellastoria della civiltà mediterranea; la loro favorevole posi-zione geografica consentiva un facile controllo delle rotteche dall’Oriente raggiungevano l’Europa occidentale co-sicché divennero centro di scambio economico ed eserci-tarono la funzione di punto di contatto e di unione tra leculture orientali e quelle dell’Italia e del Mediterraneo oc-cidentale.

I rudimentali mezzi di navigazione allora a disposizio-ne non avrebbero permesso alle genti di quei tempi di af-frontare il mare nei tratti troppo larghi per cui il passag-gio deve essere avvenuto prevalentemente lungo le costee fra le isole per poi proseguire spesso per via terra.

Si è potuto osservare come nel primo Neolitico la Pe-nisola fosse attraversata dalla circolazione (reciprocamen-te esclusiva) di due materie prime particolarmente signi-ficative: l’Italia peninsulare infatti integrava le risorse sel-cifere locali (o comunque più prossime) attingendo allefonti di ossidiana tirreniche mentre l’area padana vedevala circolazione di selce alpina (prelevata nelle formazionigiurassico-cretacee dell’area lessina) che andava a sostitui-re le molteplici fonti di approvvigionamento locali sfrut-tate nel Mesolitico.

Per quanto riguarda la diffusione dell’ossidiana possia-mo sintetizzare come segue:

– Italia settentrionale

Uno studio accurato sulle fonti e sulla distribuzionedell’ossidiana nell’Italia settentrionale (Thorpe et al. 1979)ci riporta che alla fine degli anni 70 in tutta l’Italia del

nord erano stati trovati circa 1200 manufatti in ossidianada un totale circa di 40 siti.

Considerando che 950 manufatti in ossidiana proven-gono dal solo sito di Pescale in Romagna, gli altri 250 pez-zi vanno suddivisi per i rimanenti 39 siti. Quindi, come sivede, l’ossidiana è relativamente scarsa nei siti preistoricidell’Italia del nord.

Probabilmente il più antico manufatto in ossidiana rin-venuto nel nord Italia è un grattatoio trovato nel livello“V” all’Arma dello Stefanin in Liguria e attribuito all’Epi-gravettiano finale. L’età di tale reperto può essere compa-rata con l’evidenza dell’inizio del commercio dell’ossidia-na nell’Egeo dove l’estrazione dell’ossidiana è cominciatadurante le fasi finali del Mesolitico a Franchthi, prima del6000 a.C. (Asinall et al. 1972).

La prima ossidiana neolitica si rinviene ancora il Ligu-ria nei contesti della cultura della Ceramica Impressa alleArene Candide, dove è presente lungo tutta la sequenzaneolitica, mentre le contemporanee culture del primoNeolitico della valle del Po (Fiorano, Vhò, Fagnigola, Iso-lino e Gaban) non hanno restituito ossidiana.

Durante la fase iniziale della cultura dei Vasi a BoccaQuadrata (Finale, Quinzano) l’ossidiana è di nuovo pre-sente nelle Arene Candide e probabilmente per la primavolta appare nella Valle del Po dove è attestata ad Alba manon a Nord del Po.

L’ossidiana trovata nelle grotte nei dintorni di Triestenon può essere correlata con certezza ad alcun ben defi-nito insieme culturale anche perché molti manufatti pro-vengono da contesti non stratigrafici.

L’ossidiana del Neolitico superiore nel nord Italia quin-di è strettamente legata alla cultura di Lagozza. Più scar-sa è l’ossidiana nell’Eneolitico e nell’età del Bronzo.

Per quanto riguarda i siti dell’Italia del nord, analisi ef-fettuate su due elementi principali e cinque elementi mi-nori (secondo le procedure descritte da Hallam, 1976)hanno dimostrato la provenienza dei campioni di ossidia-na presi in esame dai giacimenti del Mediterraneo occi-dentale: Isole Pontine, Lipari, Pantelleria e Sardegna (perquest’ultima tre fonti distinte). Oltre ai giacimenti medi-terranei due pezzi di ossidiana dei Carpazi sono stati iden-tificati in Italia: uno a Grotta della Tartaruga vicino Trie-ste e l’altro a Sammardenchia di Pozzuolo vicino Udinesebbene l’analisi visiva suggerisce che altri pezzi siano pre-senti a Fornace Cappuccini a Faenza. Anche cinque pez-zi dalla Francia meridionale potrebbero essere di prove-nienza dei Carpazi ma tale dato deve essere confermatoda analisi quantitative (Tykot 1996).

Non sono presenti, allo stato attuale delle ricerche, ele-menti provenienti dal Mediterraneo orientale (Egeo edAnatolia).

I soli esempi di ossidiana di Melos ad ovest dei Balca-ni sono tre manufatti della Grotta del Leone di Agnano(Pisa) ma provengono da un contesto dubbio (Bigazzi etal. 1992, 1986, Bigazzi e Radi 1981).

Da tali analisi emerge che la Sardegna, contrariamen-te a quanto pensato originariamente, è solo una delle quat-tro fonti di origine dell’ossidiana trovata nel nord Italia.Infatti un significativo numero di pezzi proviene da Lipa-ri ma anche dalle Isole Pontine ed alcuni dai Carpazi.

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Spesso lo stesso sito restituisce ossidiana provenienteda più fonti diverse.

Per meglio comprendere perché in uno stesso sito ve-niva usata ossidiana proveniente da fonti diverse sarebbeinteressante effettuare esperimenti di scheggiatura e dianalisi delle tracce d’uso delle diverse ossidiane per verifi-care l’uso migliore di ciascuna di esse a seconda delle di-verse categorie di utensili.

Alle Arene Candide sono stati analizzati 54 pezzi diossidiana, di questi 15 manufatti (58%) dai livelli del Neo-litico inferiore provengono dalla Sardegna e 11 da Palma-rola.

Nei livelli del tardo neolitico 7 manufatti su 8 (88%)provengono da Lipari.

Nell’Italia del Nord sono presenti le tre fonti sarde (SA,SB, SC) in quantità pressoché uguali contrariamente aquanto accade in Francia meridionale e sono presenti si-gnificativamente anche le ossidiane di Lipari e di Palma-rola.

A Grotta della Tartaruga, vicino Trieste, è presente os-sidiana sia di Lipari e di Palmarola che dei Carpazi.

Nel sito di Ghiaione (Parma) risalente al Neolitico me-dio alla cultura dei Vasi a Bocca Quadra è presente ossi-diana dalla Sardegna (SC), da Palmarola e da Lipari ed èstato notato che le lame, con tipologie e dimensioni stan-dardizzate, sono state realizzate con materiali da Liparimentre i nuclei preformati con ossidiana sarda, questo fat-to suggerisce una selezione della fonte geologica nella pro-duzione dei diversi manufatti (Tykot 1996).

A Fornace Cappuccini di Faenza (RA), in un insedia-mento risalente ad un momento iniziale della Cultura del-la Ceramica Impressa (metà del V millennio in cronolo-gia calibrata), l’industria litica presenta una forte compo-nente di tradizione mesolitica e l’ossidiana raggiunge il10% dell’industria litica (Montanari et al. 1994).

La presenza di ossidiana dell’Europa Centrale nellaGrotta della Tartaruga testimonia i contatti tra l’Europacentrale e la costa adriatica a partire dal Neolitico.

L’ossidiana è presente quindi a partire dal 7° millennioa.C. fino al 2° millennio a.C.

L’ossidiana sarda è la prima ad apparire (Arene Candi-de e Grotta Pollena) nel neolitico antico e continua lungotutto il Neolitico.

Nel Neolitico medio anche l’ossidiana di Lipari rag-giunge il nord Italia e predomina su quella sarda.

– Italia centrale: l’ossidiana in Umbria, Toscana edAbruzzo

Al di fuori del Lazio, più a nord in Umbria, troviamoil sito di Grotta Bella (Montecastrilli -Terni) (Guerreschiel al. 1992).

Le prime ricerche risalgono agli inizi degli anni 70. LaGrotta ha restituito materiali neolitici attribuiti alle cul-ture di Sasso di Furbara e di Ripoli, nonché dell’età delBronzo.

L’inizio dell’insediamento risale al neolitico inferiore(cultura di Sasso di Furbara) e la quantità di materiali re-stituiti è piuttosto modesta.

Seguono i livelli del Neolitico medio (cultura di Ripo-

li) che sono quelli più consistenti, seguiti dai livelli dellequattro fasi dell’età del Bronzo.

L’industria litica è composta da 1707 reperti tra cui nu-merosi manufatti in ossidiana la cui provenienza, investi-gata dall’Università di Bradford, è stata attribuita a Liparie Palmarola. Sono infatti stati esaminati 22 campioni e diquesti 13 provengono da Lipari e 9 dall’Isola Pontina.

Per la Toscana citiamo solo alcuni dei molti siti chehanno restituito ossidiana, tra di essi Neto di Bolasse (FI).Il sito è localizzato alla periferia di Sesto Fiorentino (FI),è stato investigato negli anni 1984 e 1985 ed è stato in-quadrato dagli Autori in una fase avanzata del Neoliticocon influssi della cultura di Lagozza. I reperti litici resti-tuiti non sono abbondanti ma è presente l’ossidiana conalcune microlamelle non ritoccate, una troncatura ed unalama a dorso. Tale ossidiana proviene sia da Monte Arciche da Lipari (Cioppi 1987).

Una lametta di ossidiana è stata trovata a Grotta delFontino nel Grossetano (Vigliardi 1980) da un contestoattribuito alla Cultura del vaso campaniforme, ma l’Au-trice non fornisce dati sulla provenienza geologica del ma-nufatto.

Anche l’Arcipelago toscano ha restituito ossidiana inmolti siti, nell’isola d’Elba, a Capraia, Pianosa e Giglio.

L’ossidiana di Pianosa, 14 manufatti analizzati dal sitoa ceramica impressa cardiale di La Scola, è di provenien-za sarda, anche due manufatti dell’Elba sono sardi mentrea Capraia è presente sia ossidiana di Lipari che di MonteArci e nel sito del neolitico antico di Le Secche nell’isoladel Giglio è probabilmente proveniente da Palmarola edalla Sardegna (Tycot 1996).

Infine segnaliamo che l’ossidiana del Monte Arci è pre-sente anche a Podere Casanuova, Grotta dell’Onda (Luc-ca), Grotta del Leone (Agnano) ed in numerosi siti del Li-vornese.

Molti siti dell’Abruzzo hanno restituito manufatti diossidiana. Purtroppo le ricerche risalgono agli anni 60 e 70e sulle ossidiane trovate non sono stati fatti studi sulla lo-ro provenienza geologica. Tuttavia diamo un elenco, par-ziale, dei ritrovamenti tratto dalle ricerche di Radmilli(Radmilli 1977).

Da insediamenti attribuiti dall’Autore al Neolitico in-feriore (corrente culturale della ceramica impressa) pro-vengono i seguenti manufatti:

– Grotta S. Angelo a Civitella del Tronto: dai livelli del IIaspetto della ceramica impressa provengono lamette enuclei di ossidiana;

– Villaggio di Fonti Rossi a Lama dei Peligni: una lamet-ta di ossidiana;

– Villaggio di Lanciano: poche lamette di ossidiana.

Da insediamenti attribuiti dall’Autore al Neolitico me-dio (cultura di Ripoli) provengono i seguenti manufatti:

– Villaggio di Ripoli: forte quantità di ossidiana presentenelle capanne di Ripoli 3;

– Piano d’Orta: scarsamente rappresentati i manufatti diossidiana;

– Fossacesia: molto frequenti igli strumentin in ossidiana;

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– Grotta Cola II a Petrella di Cappadocia: qualche stru-mento di ossidiana;

– Località Quarto Grande a Pescocostanzo: qualche fram-mento di ossidiana (Neolitico s.l.);

– Villaggio di Paterno: 50% dell’industria litica in ossidia-na;

– Villaggio di S. Stefano ad Ortucchio nel Fucino: 1 nu-cleo, 2 schegge, 1 frammento di lama, 1 grattatoio(eneolitico);

– Ossidiana di Lipari e Palmarola è stata trovata anche nelvillaggio di Catignano (Chieti).

– Italia meridionale

Nell’Italia meridionale l’ossidiana è molto diffusa, pur-troppo non sempre sono state eseguite ricerche per indi-viduarne la provenienza geologica che tuttavia nella mag-gioranza dei casi è quella di Lipari.

Ci limiteremo pertanto ad analizzare alcuni dei siti piùsignificativi ed importanti.

In Sicilia l’ossidiana proviene principalmente da Lipa-ri, ma a Grotta dell’Uzzo circa il 40% dei manufatti in os-sidiana (152 pezzi) proviene da Pantelleria.

L’ossidiana di Pantelleria è stata identificata anche neicontesti dell’Età del Bronzo a Monte Cofano (Trapani) enell’isola di Ustica.

In Calabria l’ossidiana raggiunge in alcuni siti anche il90% dell’insieme litico.

Un recente studio dell’industria litica rinvenuta in su-perficie in 63 siti dell’area crotoniate ha mostrato che lapercentuale di manufatti su ossidiana in 30 siti oscilla tralo 0% ed il 12% mentre nei restanti 33 siti varia tra il 37%ed il 45%.

Inoltre i siti con assenza o presenza ridotta di ossidia-na corrispondono generalmente a quelli caratterizzati daceramiche impresse di tipo “arcaico” mentre nei momen-ti più avanzati del Neolitico la percentuale di ossidiana au-menta.

Tipico il caso del sito di Capo Alfiere ove negli stratiinferiori l’ossidiana raggiunge il 28% dell’industria litica enello strato superiore il 65% con un evidente e consisten-te incremento nell’approvvigionamento e nella utilizza-zione dell’ossidiana nel corso della vita dell’insediamento(Marino 1989).

L’ossidiana del sito di Capo Alfiere proviene da Liparie precisamente dalla colata di Valle Gabellotto come tut-ta l’ossidiana dei siti del territorio di Crotone e così comel’ossidiana dei siti indagati da Ammerman (Ammerman1985).

Nella locride l’ossidiana è più rara ma è ugualmenteproveniente da Lipari.

Nella Calabria centro-meridionale una delle probabilivie dell’ossidiana proveniente da Lipari passa per la cosid-detta “stretta di Catanzaro” che costituisce la più breve viadi comunicazione tra la sponda tirrenica e quella ionicadella Calabria. Tuttavia altri percorsi alternativi potevanoessere utilizzati percorrendo le numerose fiumare che ta-gliano la piana costiera della Locride fino alle Serre ed al-l’Aspromonte e da lì scendere verso la pianura tirrenica.

Infatti, ad esempio, nella Calabria centrale l’ossidiana

è stata rinvenuta a Timpa del Gigante, nel cuore della Si-la, situato lungo la via di collegamento tra Ionio e Tirrenocostituita dai fiumi Neto e Savuto e dalla vallata del LagoAmpollino.

In Campania degno di segnalazione è l’insediamentoneolitico di Palinuro (SA), situato immediatamente aNord dell’attuale centro abitato. In base ai materiali resti-tuiti nel corso degli scavi il sito è stato attribuito alla cul-tura di Serra d’Alto. La peculiarità però del sito è dovutaalla notevole quantità di manufatti in ossidiana che ha re-stituito. Infatti circa il 90% dell’industria litica è costitui-to da ossidiana con lame e lamelle a bordi paralleli e nu-clei. L’Autore ha avanzato l’ipotesi che si tratti di un em-porio in funzione del commercio liparota.

Le tracce del commercio dell’ossidiana sono state rin-venute anche in un’altra località dell’interno: Ariano, si-tuata su di una importante via commerciale che attraver-sava la Penisola.

È certo che qui venne sfruttata la fonte di Lipari maanche quella di Palmarola.

Ossidiane di Lipari e Palmarola sono state trovate aMasseria di Gioia - Marcianise (Benevento) e a NapoliBotteghelle.

Degli altri siti dell’Italia meridionale in Puglia, Basili-cata, Calabria e Sicilia si è già parlato in altra parte del pre-sente articolo.

7. LA DIFFUSIONE DELL’OSSIDIANA

NEL MEDITERRANEO OCCIDENTALE

E MERIDIONALECome abbiamo detto nel Mediterraneo centro-occi-

dentale l’uso dell’ossidiana è cominciato nel Neolitico in-feriore sebbene singoli manufatti siano stati trovati nei si-ti Mesolitici dell’Arma dello Stefanin in Liguria e di Per-riere Sottano in Sicilia.

Il numero dei siti con ossidiana analizzata nel Medi-terraneo centro-occidentale è ora abbastanza considere-vole con 37 siti in Francia ed oltre 100 in Italia (Tykot1996) (Tav. n. 9).

L’ossidiana nella Francia Meridionale

L’ossidiana fu utilizzata, ma sempre in piccole quan-tità, in numerosi siti della Francia meridionale.

Lo studioso Courtin per primo ha disegnato la carta diquesti siti (Courtin 1973, 1976).

Con l’eccezione di una lamella proveniente dai livellidel Neolitico antico della Grande Baume (Géménops,Bouches-du-Rhone) e tre punte di freccia da un dolmencalcolitico di Plan de la Tour nei pressi di Sainte-Maxime(Var) tutti gli elementi di ossidiana appartengono alloChasseano e possono essere datati tra il 4.000 ed il 2.000a.C.

L’ossidiana utilizzata in Provenza è prevalentemente diorigine sarda ma anche da Lipari (freccia della Grotte del’Eglise supérieure a Baudinard, Var - datata 3810 B.C.) eda Palmarola (sempre Grotte de l’Eglise supérieure a Bau-dinard, Var).

Da segnalare anche che due pezzi da Pantelleria sono

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stati segnalati in una tomba a dolmen del Neolitico finalea San Sebastien, circa 850 km. in linea d’aria dalla lorofonte geologica (Williams-Thorpe et al. 1984b).

Infine c’è da segnalare che cinque campioni di ossidia-na da Le Crestair-Mornas e Beauvallon-Valence potreb-

parte il numero rilevante di questi giacimenti in Proven-za sembra indicare che probabilmente il primo tragitto,metà terraferma e metà marittimo, fu poco seguito. Unacerta concentrazione di giacimenti nella valle dell’Argenspotrebbe significare che l’ossidiana della Sardegna arriva-

bero venire dai giacimenti dei Carpazi (Crisciet al. 1994).

L’ossidiana è stata rinvenuta in siti a nordovest di Tolosa lungo la Garonna ed i suoi af-fluenti, lungo le Alpi meridionali e persino inSpagna, presso Barcellona.

Uno studio risalente al 1984 (Thorpe et al.1984) ha analizzato 162 manufatti di ossidianaprovenienti da 50 differenti località archeologi-che della Francia Meridionale, in particolare dal-la valle del Reno, ma anche dalla regione delDrome e dalla Francia del sud-ovest (Tav. n.10).

La maggioranza dei siti archeologici di pro-venienza dell’ossidiana lavorata risalgono alloChasseano (Neolitico medio - IV - III millennioa.C.), ma uno risale alla Cultura della CeramicaImpressa (Neolitico inferiore) e due all’Età delRame.

Di questi 162 manufatti dieci sono stati ana-lizzati con il metodo INAA (instrumental neu-tron activation analysis) per determinare l’ori-gine geologica del vetro vulcanico.

Sette pezzi sono risultati di provenienza sar-da di tipo SA, uno è risultato proveniente da Li-pari (da un contesto dello Chasseano antico) edue da Pantelleria da un contesto dolmenicodell’Età del Rame.

Il trasporto dalla Sardegna poteva avvenireseguendo tre strade distinte:

– la prima passava per la Corsica, l’arcipelagotoscano e la Liguria;

– la seconda invece era interamente marittima,sia costeggiando la Corsica occidentale e poiraggiungendo la regione di Saint-Tropez e

Tav. n. 9 - MAPPA CON INDICAZIONE DELLE FONTI GEOLOGICHE DI OSSIDIANA E DEI SITIARCHEOLOGICI CHE HANNO RESTITUITO OSSIDIANA (DA TYKOT 2002B)

Tav. n. 10 - MAPPA CON INDICAZIONE DEI SITI ARCHEOLOGICI(INDICATI CON I NUMERI) E DELLE FONTI GEOLOGICHE(INDICATE CON LE LETTERE) DI OSSIDIANA IN FRANCIAMERIDIONALE (DA WILLIAMS-THORPE ET AL. 1984B)

Fréjus, con una traversatadi 175 km, sia prendendodirettamente l’alto maredall’isola dell’Asinara sinoall’isola di Giens, la traver-sata allora era di 280 km;

– la terza strada giungeva inProvenza attraverso le re-gioni del nord Italia, tra-sportata per via terra e pervia fluviale, probabilmen-te insieme ad animali ad-domesticati, a piante e adaltri prodotti di scambio(Tykot 1996).

La rarità relativa dei giaci-menti che hanno restituitol’ossidiana in Liguria e d’altra

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Tav. n. 11 - MAPPA CON INDICAZIONE DEI RITROVAMENTI DI OSSIDIANAIN TUNISIA ED ALGERIA ORIENTALE (DA CAMPS 1974)

ANNALI 200345

È infine da segnalare che recenti ricerche in alcune sta-zioni della Provenza e della Linguadoca sembrano prova-re che la più antica fase del popolamento neolitico in Fran-cia, datato tra 5.800 e 5.600 a.C. e precedente allo svi-luppo della ceramica cardiale, fu opera di gruppi della ce-ramica impressa provenienti dall’Italia.

L’ossidiana nel Nord Africa

Al di fuori del quadro geografico francese notiamo chel’ossidiana di Pantelleria era importata in Tunisia: il giaci-mento di Hergla, che è uno di quelli che hanno restituitoossidiana può essere datato da 3320 + 140 a.C.

Ricordiamo a tal proposito che Pantelleria è a soli 70km da Capo Bon.

Tuttavia ad Hergla è presente anche ossidiana da Lipa-ri.

Anche a Korba, sempre in Tunisia, è stata trovata ossi-diana, in particolare è stata trovata una freccia trasversalein ossidiana (Gobert 1962, pag. 302, fig. 16).

A Bécatheur il sito di Djebel El Dib (Camps et al.1985b) ha restituito una industria neolitica nella quale lo0,5% dell’industria è in ossidiana proveniente, secondol’Autore, verosimilmente da Lipari come quella trovatanella regione di Biserta (a Remel sono stati trovati 2 fram-menti di ossidiana (Camps et al. 1985b), di La Calle (Al-geria) e a La Marsa (Algeria), mentre un grattatoio di os-sidiana è stato trovato a Tebessa (Algeria) (Camps 1974).

Anche nell’isola di Zembra, nei pressi di Capo Bon, nelNord della Tunisia è stata trovata ossidiana proveniente daPantelleria come pure a Ras Ed Drek ed a Kerkouane, nel-la terraferma nei pressi di Capo Bon (Camps et al. 1987).

Una scheggia di ossidiana infine è stata trovata anchenell’isola di La Galite (Camps 1985a).

Allo stato attuale delle ricerche è dubbia nel Nord

Africa la presenza di ossidiana proveniente dalla Sardegnamentre è certa la provenienza sia da Lipari che da Pantel-leria (Tav. n. 11).

L’ossidiana è stata segnalata anche nell’entroterra afri-cano, in pieno Sahara.

Nel 1875 Victor Largeau ha trovato delle ossidiane neidintorni di Ghadames (Lhote 1951) e ossidiana abbon-dante è segnalata nel sito neolitico di Amekni, 40 km adovest/nord-ovest di Tamanrasset (Camps 1974, p. 231).

Non c’è prova che ossidiana dal Tibesti, nel nord-ove-st del Chad, abbia raggiunto la costa del Mediterraneo cir-ca 1800 km più a nord mentre forse avrebbe potuto rag-giungere Amekni.

Infine è da segnalare che l’arcipelago di Malta riceve-va l’ossidiana da Pantelleria che dista circa 200 km a ove-st ma anche e prevalentemente da Lipari.

Infatti l’identificazione a vista di 300 manufatti daSkorba (Malta) indica che più dell’85% di essi proviene daLipari (Caan et al. 1964).

Così già nel IV millennio a.C. i marinai mediterraneierano capaci di coprire delle distanze a volte notevoli e difare delle vere traversate marittime distinte dal semplicecabotaggio.

8. LA DIFFUSIONE DELL’OSSIDIANA

NELL’EUROPA CONTINENTALE

L’ossidiana dei Carpazi

Uno studio sulla provenienza geologica dell’ossidianadei Carpazi ha individuato tre gruppi di fonti situate inUngheria del nord-est e nella Slovacchia del sud-est (Tav.n. 12). Tali gruppi sono stati denominati Gruppo Carpa-

va direttamente in Provenza via maredopo aver cabotato lungo le coste occi-dentali della Corsica.

Sull’origine dello Chasseano dellaProvenza vi sono due ipotesi: la primadice che è una cultura che si è evolutadirettamente sul posto mentre la se-conda ipotesi dice che, senza negarel’importanza del substrato autoctono, fuoriginata da interventi culturali esternioriginari dell’Italia peninsulare ed insu-lare, forse anche del Mediterraneo cen-tro-orientale. A carico di questa secon-da ipotesi conviene segnalare la presen-za nello Chasseano del Midi e della Pro-venza di pezzi di ossidiana importataprincipalmente dalla Sardegna, ma an-che da Lipari.

Un fatto sorprendente è che 110 dei117 manufatti di ossidiana sarda analiz-zata da 27 diversi siti della Francia me-ridionale sono specificatamente del ti-po SA. Questa selezione del tipo di os-sidiana è un fenomeno peculiare dellaFrancia meridionale (Tykot 1996).

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tico 1 (Slovacchia), 2a e 2b (Ungheria) (Williams Thorpeet al. 1984a).

L’ossidiana carpatica fu utilizzata principalmente inUngheria, Slovacchia e Romania ma ha raggiunto anche asud i territori della ex Iugoslavia, ad ovest la Moravia l’Au-stria e l’Adriatico e a Nord la Polonia (Tav. n. 13).

L’ossidiana del Gruppo Carpatico 2a fu usata sin dal-l’Aurignaciano (Paleolitico superiore), quella del GruppoCarpatico 1 nel Gravettiano e nel Mesolitico e tutti e tre

La presenza di influenze culturali dell’Europa centra-le nel nord dell’Adriatico intorno a Trieste riflette lo sta-bilirsi di un commercio più o meno stabile tra l’Europacentrale ed il Mediterraneo attraverso il passo di Postojna.

L’ossidiana dei Carpazi è inoltre probabilmente pre-sente in alcuni siti della Dalmazia (Martinelli 1990) e piùad est nella Macedonia Greca (Kilikoglu et al. 1996) manon sembra aver raggiunto il Medio Oriente e l’Egeo.

ramente ossidiana di prove-nienza non italiana è statatrovata in siti italiani. Un casosi riferisce al già citato sitoneolitico della Grotta dellaTartaruga nel Carso triestinocon un unico manufatto iden-tificato come proveniente daiCarpazi (Thorpe et al. 1979).Nella stessa Grotta due altrimanufatti furono identificaticome provenienti da Palma-rola e da Lipari (Arias et al.1986).

Un altro manufatto in os-sidiana carpatica proviene daSammardenchia di Pozzuoloa Udine, sebbene una analisivisuale suggerisca che possaessere presente anche a For-nace Cappuccini presso Faen-za (Randle et al. 1993, Polgla-se 1989, Antoniazzi et al.1990).

Tav. n. 13 - MAPPA DELLA DISTRIBUZIONE DEI SITI ARCHEOLOGICI CON OSSIDIANANELL’EUROPA CENTRALE ED ORIENTALE (DA WILLIAMS-THORPE ET AL. 1984A)

Tav. n. 12 - MAPPA CON INDICAZIONE DELLE FONTI GEOLOGICHE DI OSSIDIANANEI CARPAZI (DA WILLIAMS-THORPE ET AL. 1984A)

Geological sourceas of obsidian in the Carpathians (after Williams and Nandris, 1977). 1. Tokaj (=Bodrohkeresztúr Lebúj-kanjar), 2. Olaszliszka, 3. Eröbénye, 4. Tolcsva, 5. Csepegö Forrás, 6. Telkibánya, 7.Bysta, 8. Cejkov, 9. Malá Torona, 10. Szöllöske (= Vinicky), 11. Streda nad Bodrogm, 12. Nova Bana, 13.Hlinik nad Hronom, 14. Kremnitz, 15. Sklené Teplice, 16. Banská stiavnica, 17. Mukacevo, 18. Beregovo, 19.Gertsovtse-Fedeleshovtse region, 20. Khust

i tipi durante il Neolitico quandoil tipo Carpatico 1 era il più diffu-so (Tav. n. 14).

Bigazzi riporta una ossidianarinvenuta in un sito preistorico vi-cino a Màd (Ungheria del norde-st) con una età archeologia delmanufatto di circa 28.500 anni eproveniente da una colata situatanella Slovacchia dell’est (Bigazziel al. 1991).

Questo risultato è archeologi-camente significativo in quantorappresenta una conferma che iltrasporto dell’ossidiana dall’estSlovacchia cominciò almeno giàdal Paleolitico superiore. Questofatto è tanto più significativo inquanto il manufatto è stato trova-to vicino a delle fonti ungheresi diossidiana. Ciò implica una accura-ta scelta del materiale poiché l’os-sidiana di provenienza slovacca èdi qualità migliore di quella un-gherese e ciò la fece preferire an-che se di provenienza più lontana.

Come già accennato, molto ra-

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Tav. n. 14 - CRONOLOGIA DEI SITI ARCHEOLOGICI CON OSSIDIANANELL’EUROPA CENTRALE ED ORIENTALE ( DA WILLIAMS-THORPE ET AL. 1984A)

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9. LA DIFFUSIONE DELL’OSSIDIANA

NEI BALCANI, NEL MEDITERRANEO

ORIENTALE E NEL MEDIO ORIENTE

L’ossidiana nei Balcani

Nei Balcani l’ossidiana è stata trovata in numerosi sitidella costa dalmata. Purtroppo i materiali per la grandemaggioranza non sono stati analizzati ma alcuni manufat-ti rinvenuti in Bosnia provengono dalla Sardegna.

Un paio di pezzi di provenienza anatolica sono statitrovati in Grecia e in Europa orientale, tuttavia la maggiorparte dei manufatti dalmati dovrebbe essere di origine car-patica.

L’ossidiana è trovata sporadicamente anche in Albaniama dovrebbe essere originaria di Melos.

L’ossidiana infine è stata trovata anche nell’isola di Su-sac, situata al largo della costa della Dalmazia centrale, inCroazia.

Infatti recenti ricerche in tale isola hanno portato al rin-venimento, in contesti del Neolitico medio, di manufattiin ossidiana (8 elementi) che, secondo le analisi di Tykot,provengono da Lipari (Della Casa et al. 2000). Tale ossi-diana potrebbe essere giunta nell’isola provenendo dallecoste pugliesi con scalo intermedio alle Tremiti ove l’ossi-diana si rinviene abbondante.

L’ossidiana delle Cicladi

Le prime tracce di insediamento nelle Cicladi risalgonoal Tardo Neolitico, circa 5.000 anni a.C. Tuttavia l’ossi-

Il Medio Oriente è stato un altro importante teatro delcommercio dell’ossidiana nell’antichità.

Infatti i siti preistorici del Vicino e del Medio Oriente,dal Mar Egeo al Mar Caspio e dal Caucaso al Golfo Persi-co, hanno utilizzato abbondantemente l’ossidiana dalla fi-ne del Paleolitico fino all’Età del Bronzo (tra 14.000 e3.500 B.P. circa).

Il prezioso vetro vulcanico è geologicamente assente intutti i paesi della Fertile Mezzaluna (Siria, Irak, Giorda-nia, ecc.) e le sole fonti disponibili si trovano in Turchia,nel Caucaso e, molto più a sud, in Etiopia.

La conoscenza delle fonti di ossidiana anatolica (Tur-chia) e dei paesi del Caucaso (Armenia, Azerbaijan, Geor-gia, Russia ed Iran del nord) è ancora incompleta anche sein questi ultimi tempi sono stati fatti notevoli passi inavanti.

Infatti, col progredire degli studi sulla origine geologi-ca delle ossidiane, molte nuove fonti sono state individua-te mentre altre ancora non sono state ad oggi localizzatecon precisione.

Solo nel Caucaso sono state individuate almeno 31fonti di ossidiana (Chatainer et al. 2000) ed altre ne ven-gono individuate mano a mano che gli studi sulle originigeologiche delle ossidiane vengono perfezionati.

Abbiamo detto che l’ossidiana è conosciuta in MedioOriente sin dal 14.000 B.C. e per lungo tempo la sua pro-venienza fu limitata alla Cappadocia (Anatolia centrale),essenzialmente dal massiccio vulcanico di Goluu Dag.

Le fonti più famose sono quelle di Ciftlik ed Acigol.È solo durante il Neolitico recente pre-ceramico

diana di Melos si trova in vari insediamen-ti della Grecia Centrale, dell’Eubea e delPeloponneso sin dal Primo Neolitico e an-che prima a Franchthi (Pèrles 1987). Infat-ti in questa ultima località, situata sulla co-sta occidentale della Grecia ed abitata inin-terrottamente per circa 17.000 anni, si èscoperto nella ricca documentazione stra-tigrafica un rapporto variabile progressivodella percentuale di ossidiana rispetto allaselce quale materia prima. Nel periodo an-teriore al 7.250 a.C. c’è assenza totale dimateriale vetroso e si arriva ad una presen-za di ossidiana del 95% nei manufatti delneolitico finale databile tra 4.000 e 3.000a.C. (Pantelidou Gofas 1996).

I soli esempi di ossidiana di Melos adovest dei Balcani, come già accennato, so-no i tre manufatti dalla Grotta del Leonedi Agnano mentre tuttora non un singolopezzo di ossidiana del Mediterraneo centrooccidentale è stato trovato ad est ella Peni-sola italiana.

L’ossidiana del Medio Oriente:

Anatolia, Armenia, Azerbaijan,

Georgia Russia ed Iran del nord

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(9.500-8.700 B.C.) che appare anche l’ossidiana dall’A-natolia orientale (Bingol e Nemrut Dag, quest’ultima lun-go la costa nord del Lago Van).

Ossidiana proveniente da Ciftlik è stata trovata adoriente in varie località dell’Irak e dell’Iran fino al GolfoPersico (villaggio di Al-Bahrain) e al Mar Caspio (area diTeheran).

Ad occidente l’ossidiana di Ciftlic è stata trovata nelleisole di Cnosso e di Cipro, lungo le coste del Levante inLibano, Israele ed in Giordania fino a Gerico e Beidha.Sempre a occidente tutti gli esemplari da siti neolitici vi-cino ad Istanbul rivelano fonti esclusivamente anatoliche(Ciftlik) in quanto non vi è stata trovata ossidiana prove-niente né dai Carpazi né dall’Egeo.

Anche a Troia è presente ossidiana anatolica (GolluDag) ma anche da Melos.

La fonte principale dei manufatti del famoso sito neo-litico di Cayonu (vicino Ergani) è invece quella di Bingol100 km a nord-est, ma un gruppo di manufatti più recen-ti indica la provenienza dalla sequenza vulcanica pleisto-cenica del Lago Van.

Le fonti di ossidiana nel Mar Rosso, invece, non sonostate ancora completamente investigate. Gli studiosi ri-portano almeno 11 fonti dalla Penisola Arabica (Yemen edArabia Saudita) e 21 dall’Africa (Etiopia) (Tykot 1996).

Quindi in Medio Oriente, durante tutto il Neoliticol’ossidiana ebbe notevole diffusione ed ha viaggiato anchesu lunghe distanze (dall’Anatolia e dal Caucaso fino allesponde del Mar Morto e del Golfo Persico), infatti è stata

trovata fino ad oltre 900 chilometri dalla sua fonte geolo-gica (Tav. n. 15).

Poiché al quel tempo non c’erano né veicoli a ruote, es-si furono inventati circa nel 3.000 a.C, e nemmeno le be-stie da soma, tutte le merci commerciate, tra cui natural-mente l’ossidiana, dovevano essere trasportate a piedi o,ove possibile, con barche scendendo lungo i pochi fiuminavigabili esistenti.

Ciò contrariamente a quanto accadeva nel Mediterra-neo occidentale dove la forma di trasporto privilegiata eraprincipalmente quella per via mare.

Quindi il fatto che si sopportassero tante fatiche e tan-ti sacrifici per portare lontano il prezioso vetro vulcanico cida un’idea del suo valore e della sua considerazione pressole antiche popolazioni medio orientali.

10. LE VIE DELL’OSSIDIANA

E CONSIDERAZIONI SUL SUO

APPROVVIGIONAMENTO,

DIFFUSIONE E COMMERCIO

L’ossidiana in uso nel Mediterraneo Occidentale neitempi preistorici quindi proviene solo dalle quattro isoleitaliane, non c’è evidenza di altra provenienza salvo le po-chissime eccezioni sopra esaminate.

In tutto il Mediterraneo il sistema di scambio dell’os-sidiana appare molto chiuso con scambi inesistenti tra ilMediterraneo orientale e quello occidentale. Infatti nes-sun pezzo delle isole italiane è stato trovato ad est della

Tav. n. 15 - MAPPA DELLE FONTI GEOLOGICHE E DEI SITI ARCHEOLOGICIDI OSSIDIANA NEL MEDIO ORIENTE (DA DIXON ET AL. 1968)

Il Medio Oriente neolitico era un altro teatro del commercio attivo dell’ossidiana. I villaggiciprioti, anatolici e levantini si procuravano l’ossidiana soprattutto da due fonti in Anatolia: Acigöle Çiftlik. I villaggi mesopotamici, a loro volta, dipendevano da fonti armene, di due delle quali,Nemrut Dag e Bingöl, si conosce la posizione. Anche una terza varietà di ossidiana, rinvenuta inmolte località mesopotamiche, è probabilmente armena, ma la sua fonte non è ancora conosciuta.Le linee piene pesanti all’interno di ciascuna area commerciale (linee piene sottili) definiscono learee di provenienza che sono designate dagli autori col nome di «zone di rifornimento»: piùdell’80% degli arnesi di pietra scheggiata nelle località delle zone di rifornimento sono di ossidiana.

FONTE LOCALITÀ

OSSIDIANAARMENA

OSSIDIANAANATOLICA

Penisola mentre solo duepezzi di ossidiana daiCarpazi sono stati identi-ficati nell’Adriatico delNord vicino a Trieste e adUdine ed un solo sicuromanufatto di ossidiana diMelos è stato identificatoin un contesto non data-bile della Grotta del Leo-ne ad Agnano, vicino aPisa.

I manufatti di ossidia-na che si rinvengono neisiti preistorici del Medi-terraneo sono l’evidenzadi una complessa serie diattività tra cui l’approvvi-gionamento ed il traspor-to della materia prima daigiacimenti isolani, la pro-duzione e la distribuzionedi nuclei e manufatti, l’u-so e l’eventuale scarto.L’identificazione dellafonte geologica costitui-sce il primo atto della ca-tena operatoria (chaineopératoire). Infatti la de-

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Tav. n. 16 - SCHEMA DELLA CATENA DEGLI EVENTI (CHAINE OPÉRATOIRE)CHE POSSONO ESSERE RAPPRESENTATI DAI MANUFATTI INOSSIDIANA RINVENUTI NEI SITI ARCHEOLOGICI (DA TYKOT 2002B)

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deducibili da un manufatto in ossidiana può essere sche-matizzata come segue:• acquisizione (estrazione) - riduzione - scambio o tra-

sporto - produzione - scambio o trasporto - uso -modi-ficazione - riuso - scarto (Tykot 2002 b) (Tav. n. 16).

Tuttavia non era la distanza dalle fonti di approvvigio-namento della materia prima l’unico motivo della diffu-sione dell’ossidiana. Se così fosse stato, ad esempio, ci siaspetterebbe che l’ossidiana nell’Italia centrale fosse statafornita dalla fonte più vicina, cioè Palmarola, piuttosto chedalla più lontana Lipari. Ma non è così. In effetti altri fat-tori subentrarono. Nel caso appena citato la grande com-petitività dell’ossidiana di Lipari, per le dimensioni dei no-duli e per la loro qualità, compensava il fattore distanza equindi entrava in concorrenza con quella di Palmarola nel-l’Italia centrale.

Naturalmente i fattori topografici devono comunque,anche se non sempre, aver giocato un ruolo predominantenella diffusione dell’ossidiana ma preferenze culturali pos-sono essere entrate in ballo influenzando l’attrattività inmaniera selettiva e l’efficacia del suo trasporto in differentidirezioni.

A nostro avviso sarebbe molto interessante estenderele indagini agli altri complessi neolitici e controllare se pos-sa configurarsi un uso particolare del nero vetro vulcani-co.

La rara materia prima potrebbe, ad esempio, aver avu-to una funzione “privilegiata” per la realizzazione di stru-menti destinati a pratiche di medicina di ispirazione ma-gico-religiosa (le sottili lamelle si presterebbero bene aoperazioni di tatuaggio, scarificazioni rituali, circoncisio-ne, ecc.). oppure avrebbe potuto rappresentare un ele-mento di prestigio e di distinzione o infine l’ossidiana eraricercata semplicemente perché particolarmente adatta acerti usi di cui oggi ci sfugge l’utilizzo (vedi ad esempio ilbrano riportato a conclusione del presente articolo).

La particolarissima distribuzione delle fonti geologichedell’ossidiana nelle isole del Mediterraneo e ad un tempola sua assenza nel continente europeo e nell’Africa set-tentrionale, Egitto compreso, favorì gli scambi dei prodottiin surplus tra regioni anche piuttosto distanti tra loro, of-frendo una prima formidabile occasione per lo sviluppo

della tecnica della navigazione e per il diffondersi delle di-verse esperienze umane materiali e spirituali, tra l’Est el’Ovest, tra il Sud e il Nord del Mediterraneo.

L’ossidiana fu solo uno, e non necessariamente il piùimportante, degli articoli del commercio, la maggior par-te dei quali erano fatti di materiali deperibili come cibo,pelli, tessuti, ecc. Quindi il commercio di prodotti depe-ribili ebbe sicuramente dimensioni ed importanza econo-mica maggiori di quello dell’ossidiana. Tuttavia il trafficodi gran lunga più importante deve essere stato quello del-le idee con lo scambio di conoscenze ed informazioni sul-le nuove tecniche della produzione del cibo e dell’alleva-mento del bestiame, lo scambio di nuove concezioni reli-giose, la reciproca conoscenza di nuove concezioni sociali.

Tutto questo, in poche migliaia di anni, cambiò com-pletamente la storia sociale ed economica dell’uomo tra-sformandolo da nomade cacciatore a costruttore di civiltà.

Così seguendo le tracce delle ossidiane, dal luogo diestrazione e raccolta fino ai villaggi ove diventavano uten-sili ed altri manufatti, è possibile ricostruire le vie com-merciali di questo antichissimo periodo della storia socia-le ed economica dell’uomo (Tav. n. 17).

Lo studio della distribuzione dell’ossidiana mostra chenon vi è un unico semplice modello: i villaggi venivanoriforniti a volte da una unica fonte, a volte da molte fontidiverse ed in quest’ultimo caso non sempre la fonte piùvicina era la favorita.

Analizziamo alcune delle caratteristiche di tale com-mercio.

Se consideriamo il commercio dell’ossidiana sarda adesempio dobbiamo differenziare tra livelli di scambio lo-cali, regionali e inter-regionali e le differenti economie emeccanismi sociali che li governano ciascuno. Modelli diinsediamento, vie terrestri e traversate marine hanno an-che influenzato come la materia prima è giunta dalla Sar-degna ai vari siti archeologici.

Alcune cose possono essere dette:

1) I dati attuali ci dicono che nel Neolitico esistevano dif-ferenti meccanismi di scambio tra la Sardegna, la Cor-sica ed il continente. L’esame delle quantità relative diossidiana nei siti in Toscana ed in Liguria suggerisce che

terminazione della provenienza geologica diun manufatto di ossidiana ed il luogo del suoritrovamento costituiscono il punto di inizio equello di arrivo della catena operatoria men-tre l’analisi del suo contesto archeologico(stratigrafia, tipologia della ceramica e del-l’industria litica su selce ad esso associata,ecc.), lo studio tecnologico e tipologico delmanufatto ed infine l’esame delle sue tracced’uso possono integrare i livelli intermedi del-la catena operatoria identificando specificheattività intermedie collegate sia all’uso delmanufatto che alla sua distribuzione spazia-le e temporale.

Quindi la catena operatoria degli eventi

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ANNALI 2003 50

i primi navigatori navigavano lungo costa e viaggiava-no di isola in isola.

2) In particolare si è pensato che i commercianti a lungoraggio possono aver trasportato l’ossidiana SA più ac-cessibile direttamente al Golfo di Oristano da dove leimbarcazioni navigavano a nord per la Corsica e poi lacosta toscana.

3) L’ossidiana di tipo SC che si trova sul versante orien-tale del Monte Arci può anche essere stata trasportatanel Golfo di Oristano ma era distribuita principalmen-te attraverso una estensiva rete terrestre.

4) L’ossidiana di tipo SB fu usata solo localmente in Sar-degna probabilmente perché era difficilmente accessi-bile dai mercanti marittimi.

5) La grande quantità di ossidiana in siti continentali co-me Pescale e Faenza ed il grande numero di siti ovel’ossidiana è presente mostra che questo scambio eraalmeno socialmente, se non economicamente, signifi-cativo.

L’uso diverso dei vari tipi di ossidiana in Sardegna, inCorsica e nel continente è statisticamente significativo esuggerisce che esistevano diversi meccanismi di scambiolocale, regionale e con il continente (Tykot 1992).

L’approvvigionamento dell’ossidiana

Nel Neolitico antico la materia prima, cioè i noduli diossidiana, nella terraferma era trasportata probabilmentea mano dal momento che gli animali addomesticati capa-ci di tale trasporto dovevano essere molto rari in quel tem-po. Probabilmente la materia prima veniva raccolta equindi trasportata nel corso di altre attività come ad esem-pio spedizioni di caccia o transumanze stagionali.

Durante il Neolitico medio la nascita sempre più fre-quente di villaggi stabili e l’aumento della pratica dell’a-

Il problema si presenta non solo per l’ossidiana ma an-che, per esempio, nella raccolta e nella lavorazione del ma-teriale litico necessario per la produzione di asce levigate,macine ed altro materiale simile.

A Vieste, nel Gargano, lo studio della miniera neoliticadella Difensola ci ha dato un’idea sullo sfruttamento dellamateria prima necessaria per la produzione di strumenti.Probabilmente la miniera veniva sfruttata lungo tutto l’ar-co dell’anno da un gruppo specializzato che poi scambia-va il materiale prodotto con altri gruppi che provvedevanoalla sua diffusione presso le varie comunità agricole circo-stanti e forse anche alla produzione di oggetti finiti.

La distribuzione dell’ossidiana

La determinazione della provenienza di un numerosempre più grande di manufatti da un numero sempremaggiore di siti neolitici nel Medio Mediterraneo ci hapermesso un notevole passo in avanti nella conoscenza del-la distribuzione dell’ossidiana da ciascuna fonte geologicaisolana (Tav. n. 18).

L’ossidiana del Monte Arci si trova nei complessi delNeolitico antico della Sardegna, Corsica, arcipelago to-scano e nord Italia.

Anche l’ossidiana da Palmarola, Lipari e Pantelleria eradistribuita durante il Neolitico antico ma tale diffusioneraggiunse il massimo durante le fasi successive del Neoli-tico raggiungendo il sud della Francia (Chasseano) ed ilnord Italia (cultura dei vasi a bocca quadra e di Lagozza).

La presenza di ossidiana di Pantelleria nella Grotta del-l’Uzzo vicino Trapani è la testimonianza di traversate amare aperto di circa 100 km ed attesta l’abilità marinaradi tali antichi navigatori capaci di raggiungere la piccolaisola nella grande immensità del mare.

Anche il tragitto in mare aperto dalla Corsica alla Fran-cia meridionale, circa 150 km, testimonia di tali capacitàmarinare.

gricoltura devono aver reso semprepiù rare tali spedizioni per cui si puòipotizzare che le comunità stabili ve-nivano rifornite presso i loro villaggida gruppi che praticavano la raccoltadella materia prima che scambiava-no poi con le comunità agricole. I si-stemi di relazioni tra le varie comu-nità quindi resero superflua la ne-cessità di spedizioni per l’approvvi-gionamento dell’ossidiana.

Questo fatto si è verificato nonsolo, ad esempio, in Sardegna nei vil-laggi della zona di Oristano ma an-che nelle comunità agricole dellaCalifornia e dell’Australia.

Naturalmente non sapremo maiquali e quanti specialisti erano coin-volti nella raccolta e nella distribu-zione dell’ossidiana dal Monte Arcie quanti erano invece adibiti allaproduzione di manufatti.

Tav. n. 17 - LE MOLTE “VIE DELL’OSSIDIANA” (DA TYKOT 2002B)

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Tav. n. 18 - FREQUENZA DELLE DIVERSE OSSIDIANE GEOLOGICHE NELLEDIFFERENTI REGIONI DEL MEDITERRANEO CENTRALE IN BASEAI MANUFATTI ANALIZZATI (DA TYKOT 2002B)

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L’ossidiana di Lipari, con la sua alta qualità unitamen-te alla sua bellezza, predomina nel sud Italia, in Sicilia e aMalta vincendo la concorrenza con quelle di Palmarola eLampedusa più opache e che tuttavia sono diffuse anchein località lontane quali la Provenza ed il Carso triestino.

La frequenza relativa dei tre tipi di ossidiana sarda èparticolarmente significativa per comprendere le attivitàdi approvvigionamento e di distribuzione della materiaprima e solleva questioni nei riguardi della richiesta in fun-zione sia della qualità del materiale che delle sue caratte-ristiche estetiche.

Le navi che raggiungevano la Sardegna per approvvi-gionarsi di ossidiana potevano portare nel continente in-differentemente tutti e tre i tipi di ossidiana.

Il fatto che per esempio in Francia meridionale il 95%dell’ossidiana è del tipo SA deve avere un qualche signifi-cato che ci sfugge ma comunque resta il fatto che i mer-canti francesi chiedevano specificatamente tale tipo di os-sidiana mentre nella vicina Liguria era accettata anche l’os-sidiana di Lipari e di Palmarola come è attestato alle Are-ne Candide.

L’ossidiana continua ad essere usata e richiesta anchedopo il Neolitico a testimonianza del perdurare dei con-tatti tra le isole ed il continente.

Il commercio e lo scambio dell’ossidiana

Nelle società neolitiche del Mediterraneo avvenneromultipli e distinti sistemi di produzione e di scambio del-le varie merci: ceramica, selce, pietra verde (giadeite, ser-pentino, steatite), ossidiana, ecc. Naturalmente la topo-grafia dei luoghi ha avuto un ruolo molto importante sul-le vie di scambio di tali merci. Venivano naturalmente pri-vilegiate le vie più facilmente percorribili come quelle lun-go le coste, lungo le valli e le pianure rispetto a quelle cheprevedevano l’attraversamento di catene montuose o ter-ritori impervi. Oltre alle merci suindicate anche altre ve-nivano scambiate: tessuti, sale, animali domestici e pianteecc. non sempre rilevabili archeologicamente.

Quindi l’ossidiana era solo uno dei tanti beni che ve-nivano scambiati o commerciati.

I ritrovamenti di ossidiana in numerosissime localitàdel Mediterraneo centrale suggerisce che questa aveva unafunzione primaria utilitaria ma anche che la sua presenzaera il risultato di interazioni sociali ed economiche, inclu-so il prestigio sociale.

Lo studio quindi dei materiali ossidianici e della loroprovenienza può fornirci molti dati sulle antiche popola-zioni che usarono tali materiali.

Lo studio è appena all’inizio. L’analisi di un numerosempre maggiore di manufatti provenienti da sempre piùnumerosi siti ci permetterà di comprendere meglio la di-namica dei sistemi socio economici delle varie popolazio-ni ed il loro comportamento.

11. L’OSSIDIANA ED IL PROCESSO

DI NEOLITIZZAZIONE

DEL MEDITERRANEO OCCIDENTALE

Per meglio comprendere la diffusione dell’ossidiana ènecessario esaminare, seppure brevemente, il processo dineolitizzazione del Mediterraneo occidentale che comincianell’Italia meridionale per poi risalire lungo la Penisola fi-no a raggiungere le coste francesi, spagnole e portoghesi(Grifoni Cremonesi 1996).

Tuttavia il problema della neolitizzazione dell’ItaliaMeridionale è molto complesso e non è stato ancora com-pletamente risolto.

Innanzitutto è necessario tenere presente la particolareconfigurazione geografica dell’Italia Peninsulare caratte-rizzata per tutta la sua lunghezza dalla catena degli Ap-pennini che, rendendo difficile la comunicazione, ha con-tribuito in maniera determinante allo sviluppo di fenomeniculturali distinti e diversi per i due versanti opposti.

Allo stato attuale delle ricerche le prime manifestazio-ni neolitiche che si conoscono sono quelle pugliesi e si at-testano intorno ai 7300-7200 anni da oggi, mentre nellafascia medio adriatica il Neolitico sembra arrivare con uncerto ritardo rispetto al Sud infatti le date più antiche siattestano intorno ai 6500 anni da oggi.

Il Neolitico quindi arriva in Italia attorno ai 7300 annida oggi e si diffonde rapidamente dalle zone co-stiere della Puglia verso quelle interne. Il sito piùsignificativo di questa fase è quello di Torre Sa-bea (Gallipoli, Lecce) che presenta una econo-mia prettamente neolitica e che ha restituito ac-canto a ceramica arcaica, decorata a impressionicon raro roker, anche industria litica a forte im-pronta mesolitica ma con alcuni elementi tipicigià neolitici, come elementi di falcetto, macine,accette in pietra levigata e soprattutto, per l’ar-gomento che ci riguarda, ossidiana liparese. Unadatazione del sito indica 6969 ± 130 B.P.

Il popolamento del territorio avviene rapida-mente sia lungo la fascia costiera tra Bari e Brin-disi e lungo il Golfo di Taranto sia verso l’inter-no raggiungendo il Tavoliere foggiano e la Basili-cata.

Gli influssi del neolitico pugliese investono al-

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tre aree dell’Italia meridionale quali alcune aree della Ba-silicata, della Calabria settentrionale ionica e della Cam-pania mentre la Calabria tirrenica, le Isole Eolie e la Siciliarientrano in quel vasto ambito culturale che investe tuttoil Mediterraneo occidentale fino alla Penisola iberica ed al-le coste nordafricane, rappresentato da un momento avan-zato del neolitico a ceramica impressa caratterizzato dal-la Cultura di Stentinello.

In questo ambito ricordiamo che moltissimi siti cala-bresi, fra cui emerge quello di Curinga, hanno restituitoabbondanti resti di ossidiane liparesi.

La presenza di ossidiane liparesi nella Grotta dell’Uz-zo presso Trapani, attesterebbe, assieme a quelle rinvenu-te a Torre Sabea, sopra citata, uno sfruttamento di questamateria prima alle Isole Eolie più antica di quanto suppo-sto e quindi una frequentazione delle isole in un momen-to arcaico, per ora, non documentato.

La diffusione del Neolitico nell’Italia centrale è altret-tanto complessa e presenta una differenziazione tra i dueversanti, quello tirrenico e quello adriatico, ancora piùmarcata dovuta, come sopra già ricordato, alla presenzadella dorsale appenninica che ha sempre rappresentato unostacolo.

La Toscana ed il Lazio rientrano nell’ambito della ce-ramica impressa medio tirrenica inserito ora in una piùampia area di rapporti che interessa anche le isole mag-giori (Corsica e Sardegna), la Liguria e la Provenza.

Nell’area tosco laziale, con particolare riferimento al-l’Isola del Giglio ed alla piana pisana livornese, si hannoconcentrazioni di ossidiane di provenienza liparese, sardae pontina riproponendo il problema dei rapporti con leisole e quello della neolitizzazione dell’area in cui gran par-te deve avere avuto la questione dei rapporti marittimi.Nell’importante sito palafitticolo di La Marmotta nel La-go di Bracciano, datato a circa 6370 anni B.P. è stata rin-venuta una grande piroga, forse simile a quelle usate perraggiungere le isole tirreniche ricche di giacimenti di ossi-diana.

Nell’area medio e alto adriatica si diffonde la Culturadella Ceramica Impressa definita “facies abruzzese-mar-chigiana” (Radmilli 1972, 1977).

Tale cultura si diffonde nell’Abruzzo, nelle Marche e anord fino in Romagna da dove sembra aver influenzato iprimi gruppi neolitici padani.

Ad ovest raggiunge l’Umbria e, attraverso le valli in-terne tra cui la Valle dell’Aniene, giunge fino al Lazio ovea Guidonia è associata a ceramiche cardiali tirreniche(Guidi et al. 1993).

A conclusione di questo quadro complesso relativo al-la neolitizzazione dell’Italia centro meridionale possiamoriassumere che tale processo è cominciato con l’arrivo viamare, probabilmente dall’opposta sponda adriatica, di po-polazioni neolitiche che poi si sono rapidamente diffuseverso ovest e verso nord.

Il quadro che ne scaturisce ci mostra un mondo in cuii contatti culturali e gli scambi di idee e materie prime era-no abbondanti e frequenti.

Passiamo ora all’Italia settentrionale. All’inizio del VIImillennio B.P. gran parte del territorio dell’Italia Setten-trionale si trova ancora in una condizione culturale meso-

litica mentre nello stesso periodo nelle grotte lungo la co-sta ligure e sino a pochi km all’interno appaiono le primemanifestazioni neolitiche costituite da elementi della Cul-tura della Ceramica Impressa (Biagi 1996).

Tali manifestazioni compaiono in una zona costiera li-mitata della Riviera di Ponente ed in Val Pennavaira ed ilsito classico è quello delle Arene Candide, già nota per lesue importanti testimonianze paleolitiche.

Una seconda corrente della Cultura della Ceramica Im-pressa è nota lungo le sponde dell’Adriatico meridionaleed investe, a partire dal VII millennio B.P., anche le costedella Romagna spingendosi all’interno fino all’Emilia Cen-trale mentre poco si sa sulla neolitizzazione della fascia co-stiera del Veneto e del Friuli. Infine nel Carso triestino ilNeolitico antico ha caratteristiche dalmate, infatti il co-siddetto Gruppo di Vlaska, che compare nella prima metàdel VII millennio B.P., è considerato un aspetto setten-trionale della Cultura di Danilo diffusa nel medio Adria-tico orientale.

Dai dati archeologici risulta che i siti della Pianura Friu-lana (Fagnigola, Valer e Sammardenchia) che fiorirono in-torno a 6500 anni B.P. erano già abbastanza evoluti: pra-ticavano l’agricoltura (si sa che coltivavano almeno 5 va-rietà di cereali domestici), producevano ceramiche com-plesse ed importavano varie materie prime tra cui pietreverdi (per la fabbricazione di asce levigate) dal Piemonte,selce (per la fabbricazione di utensili) dai Lessini e ossi-diana sia insulare che carpatica a testimonianza di attivitàdi scambio a largo raggio e con popolazioni diverse.

Con l’inizio del VI millennio B.P. appare e si affermala Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata che raggiunge la suamassima espansione intorno a 5500 anni B.P. occupandoun vasto territorio che va dalla Liguria all’Alto Adige edalla Romagna.

Nel Mediterraneo Occidentale l’apparire delle primemanifestazioni neolitiche (agricoltura, allevamento) coin-cide con la messa in posto degli orizzonti a ceramica im-pressa (cardiale) che può essere datata a circa 7000-6500anni B.P. il che vuol dire a partire dalla prima metà del VImillennio a.C.

I confronti della date disponibili indicano che tra i pri-mi orizzonti della ceramica impressa dell’Italia del sud ela ceramica cardiale portoghese intercorre un periodo dicirca 2000 anni o più. Tale è stato pertanto il periodo ne-cessario per la lenta diffusione del neolitico verso ovest.

La diffusione dei siti a ceramica impressa, provenien-te dall’Italia Peninsulare, è considerata, nella fascia com-presa tra la Liguria al Portogallo, il risultato di una diffu-sione marittima costiera o al massimo nell’immediato en-troterra e la conquista delle terre continentali interne av-viene in un secondo tempo per acculturazione delle po-polazioni indigene mesolitiche. La progressiva conversionedi tali popolazioni alla nuova economia presenta tuttaviavari caratteri che esulano da questo studio e per i quali sirimanda alle pubblicazioni specifiche.

La contemporanea neolitizzazione delle isole (Corsi-ca, Sardegna, arcipelago Toscano) sottolinea il ruolo delmare nell’espansione verso occidente della ceramica im-pressa (Guilaine 1996).

Il Neolitico antico nel Mediterraneo occidentale è de-

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finito dall’apparire della ceramica e dall’addomestica-mento degli animali e delle piante.

I siti del Neolitico antico sono caratterizzati dalla Ce-ramica Impressa Cardiale.

Nella fase Cardiale I compare in Sardegna l’ossidianadai tre siti del Monte Arci mentre in Corsica è ancora rarasebbene la maggioranza dei manufatti litici fosse ricavatada selce proveniente dell’area di Perfugas in Sardegna.

Durante il Cardiale II l’ossidiana diviene abbondantenei siti della Corsica.

L’ossidiana sarda è stata trovata nei contesti del Neoli-tico antico dell’isola di Pianosa, alle Arene Candide, aGrotta Pollera e a Pianaccia di Suvero in Liguria.

È ancora incerto se da questi siti provenga ossidiana dailivelli del Cardiale I.

Lo Chasseano della Francia meridionale è datato tra lametà del V millennio cal. B.C. e la metà del IV millennioCal. B.C. (Neolitico medio).

In questo periodo notevoli quantità di ossidiana è statatrovata nei siti chasseani del sud della Francia e nei siti deiVasi a Bocca Quadra (VSQ) dell’Italia del Nord.

Tardo Neolitico: l’ossidiana sarda continua ad esserediffusa ampiamente nella terraferma italiana ed in Franciadove continua la predominanza del tipo SA nei contestidel tardo Chasseano e della Lagozza in Italia.

Solo pochi manufatti da Lipari sono stati trovati nelsud della Francia.

Post Neolitico: Poca ossidiana è stata identificata neicontesti Calcolitici del continente mentre l’ossidiana con-tinua ad essere usata ampiamente nei coevi contesti sardi.

Questo potrebbe significare che nell’Italia peninsularee nel sud della Francia l’ossidiana aveva una funzione inqualche modo maggiore della semplice utilità funzionalee verso la fine del Calcolitico il suo ruolo fu sostituito daoggetti in metallo.

12. L’OSSIDIANA E LA NAVIGAZIONE

Oltre alla neolitizzazione del Mediterraneo occidenta-le un altro fenomeno ebbe notevolissima importanza nel-la diffusione dell’ossidiana: lo sviluppo della navigazione.

Naturalmente il termine “navigazione” deve riferirsi perspostamenti di una certa importanza. Per far ciò dobbia-mo innanzitutto tener conto del diverso livello medio de-gli oceani nel Quaternario (in certi periodi fino a oltre 130metri più basso del livello attuale).

Ciò ha comportato l’emersione di terre adesso som-merse.

Infatti l’aumento del livello medio degli oceani co-minciò lentamente con la fine dell’ultima glaciazione, cir-ca 12000 anni fa, fino a raggiungere quello attuale.

Ciò ha comportato che le distanze delle isole dalla ter-raferma fossero diverse (minori durante l’ultima glacia-zione) da quelle attuali.

Ad esempio al massimo della regressione tirrenica laCorsica distava dall’Arcipelago toscano solo circa 40 chi-lometri. Oggi tale distanza è di 50 km con l’isola d’Elba e43 km con l’isola di Pianosa.

Infine il problema della nascita della navigazione com-

porta di conseguenza anche quello del primo popolamen-to delle isole mediterranee.

Tenendo conto quanto sopra detto, è noto che l’acquaè sempre stata un asse di circolazione privilegiato.

Il desiderio o la necessità di spostarsi sulla superficiedell’acqua devono essere apparsi molto presto tra gli uo-mini, se non altro per pescare o cacciare gli animali ac-quatici. Difatti tali animali (foche, salmoni, ecc.) sono sta-ti rappresentati frequentemente dagli artisti Magdalenia-ni del Paleolitico superiore.

Come la maggior parte dei “Primitivi” attuali, l’uomopreistorico, ed in particolare l’uomo paleolitico, doveva sa-per nuotare. Ma non era sufficiente: la necessità o il desi-derio di potersi muovere più rapidamente e più a lungonell’acqua deve aver costituito uno stimolo irrefrenabilenel cercare mezzi alternativi al nuoto, molto più lento efaticoso.

Il primo tipo di imbarcazione usato deve essere statodi tipo occasionale: un tronco, un insieme di rami secchie forse un’otre gonfiata. Ma tali mezzi erano lenti, pocogovernabili e poco stabili. Si passò quindi probabilmentead una zattera di tronchi legati tra di loro, più stabile e piùadatta a trasportare dei navigatori oppure un tronco sca-vato in modo da poter accogliere un navigatore.

Infatti il concatenamento di più elementi in legno permezzo di corde o di incastri e l’escavazione di un troncoper mezzo del fuoco o dell’ascia sono le due tecniche piùantiche nell’arte delle costruzioni navali.

Non si hanno testimonianze di navigatori paleolitici. Èprobabile che i primi tentativi di navigazione ebbero luo-go nel corso di traversate di fiumi o di laghi. Comunquese anche sono state usate imbarcazioni primitive nei lunghimillenni prima della oscillazione di Allerod, non ne restaalcuna traccia. Non è dunque possibile al momento par-lare di navigazione paleolitica, almeno nell’Europa occi-dentale.

Il regredire dei ghiacciai wurmiani, il movimento po-sitivo del livello marino che ne seguì, l’importanza dellatrasgressione versiliana ed i cambiamenti climatici con unmiglioramento del clima accrebbero l’interesse verso il ma-re per gli uomini mesolitici e neolitici.

Alle condizioni naturali più favorevoli si aggiunsero iprogressi tecnici ed una maggiore ingegnosità dell’uomo.

Questo concorso di circostanze diverse portò certa-mente al debutto della navigazione della quale però ab-biamo ancora solamente delle prove indirette.

Le più antiche imbarcazioni conservate sono delle pi-roghe monossili scavate in tronchi d’albero, tuttavia ciònon esclude l’esistenza di altri tipi di imbarcazioni otte-nute non scavando un tronco ma assemblando tra di lorodiversi elementi fino a formare una imbarcazione.

I primi battelli egizi, mesopotamici e dell’Africa sahe-liana furono realizzati con fasci di papiro, altre popolazio-ni realizzarono imbarcazioni in pelle con scheletro in le-gno od osso (kajac e umak degli Eschimesi).

Di tutti questi tipi di imbarcazione non restano in Ita-lia che le piroghe monossili scavate in tronco d’albero d’al-to fusto, ciò evidentemente perché sono quelle che si con-servano meglio.

Le più antiche imbarcazioni conosciute sono quindi

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delle piroghe le quali però erano più adatte alla naviga-zione fluviale e lacustre che non a quella di mare aperto.Tutto al più potevano navigare negli estuari e a piccolo ca-botaggio lungo la costa.

Le imbarcazioni utilizzate nel Neolitico per il mareaperto dovevano essere di altro tipo. In mancanza di do-cumenti più precisi relativi alle imbarcazioni preistoricheè tuttavia utile seguire le tracce di possibili scambi com-merciali che implicano il trasporto marittimo come nel ca-so dell’ossidiana che nel Mediterraneo Occidentale si rin-viene appunto solo sulle isole.

Recentemente una scoperta eccezionale ha gettatonuova luce sulla tecnica costruttiva navale in epoca prei-storica. Si tratta della scoperta del già citato villaggio neo-litico della Marmotta nel Lago di Bracciano, non lontanoda Roma. In tale villaggio, sommersa dalle acque del lago,è stata rinvenuta una piroga in ottimo stato di conserva-zione.

La piroga lunga 10,43 m. è ricavata da un unico troncodi quercia-rovere che probabilmente raggiungeva il dia-metro di 1,20-1,30 m. La sezione originaria era probabil-mente ad “U”. Il fondo è stato appiattito nell’area poppie-ra e sagomato a sezione sub triangolare nell’estremità diprua.

La piroga risale a quasi 8.000 anni or sono. Risale in-fatti all’età neolitica in un periodo compreso tra il 5.690e il 5.260 a.C.

Si ricorda che in tale villaggio sono state rinvenute os-sidiane di Lipari e Palmarola.

Studi effettuati sviluppando uno dei modellini in cera-mica provenienti sempre dall’abitato neolitico della Mar-motta hanno dimostrato come si trattasse di una imbarca-zione con una buona tenuta al mare, con una buona sago-ma idrodinamica e capace di trasportare un carico note-vole (Pennacchioni 1996). Una imbarcazione del genereera probabilmente in grado di affrontare il mare aperto edeventualmente raggiungere isole quali, ad esempio Pal-marola o anche la Corsica.

La colonizzazione della Corsica appunto ci porta a sup-porre che popolazioni rivierasche mesolitiche e probabil-mente anche paleolitiche fossero già in grado di organiz-zare esplorazioni marittime verso le isole visibili dalla ter-raferma utilizzando mezzi e tecniche affidabili e sfruttan-do eventualmente anche le correnti marine di superficiee forse anche con l’ausilio di vele oltre che di remi.

A questo punto sarebbe quindi necessario riconsidera-re l’ossidiana dello strato “V” dell’Epigravettiano finale del-l’Arma dello Stefanin in Liguria datata tra il 8.800 e 8.100B.P. (Williams Thorpe et al. 1979) e forse anche l’ossidia-na del Riparo Blanc rinvenuta sotto la sepoltura mesoliti-ca non come una intrusione ma come uno dei primi esem-pi della diffusione di questo materiale a seguito di arditespedizioni marittime.

La più antica evidenza per l’occupazione di un’isola nelMediterraneo viene dalla Grotta di Corbeddu (Oliena), inSardegna dove resti di attività umana sono stati trovati inlivelli datati tra 14500 e 12500 B.P. mentre un livello me-solitico è datato 9120 ± 380 B.P.

Tale datazione si accorda con tre siti aceramici prove-nienti dalla Corsica: Strette (9160 ± 300 B.P.), Curac-

chiaghiu (8560 ± 170 B.P.) e Araguina-Sennola (8250 ±150 B.P.) e con i livelli mesolitici della terraferma.

Tali ritrovamenti suggeriscono che i viaggi per mare ele relazioni a lunga distanza tra la terraferma la Sardegnae la Corsica (all’epoca un’unica terra a causa dell’abbassa-mento del livello del mare) cominciarono molti millenniprima che l’ossidiana dell’isola egea di Melos trovasse lasua strada a verso la Grotta di Franchthi nella terrafermagreca.

All’inizio del Mesolitico il livello del mare salì signifi-cativamente raggiungendo il livello attuale circa 8.000 cal.B.C. (Tykot 1999).

Nessuna ossidiana è stata trovata nei siti pre-neoliticidella Sardegna e della Corsica né nei livelli mesolitici del-la grotta dell’Uzzo in Sicilia o delle Arene Candide in Li-guria. Come già detto gli unici due manufatti di ossidianadel Mediterraneo centro-occidentale scavati da contestipre-neolitici provengono uno da Perriere Sottano (Ra-macco, Catania) dove un singolo frammento di ossidianada Lipari associata ad industria litica su selce è stato data-to al VIII millennio cal B.C. e l’altro dall’Arma dello Ste-fanin in Liguria dal livello “V” dell’Epigravettiano finale(Tykot 1999).

A questi due manufatti si potrebbe aggiungere quellogià citato del Riparo Blanc del Circeo.

13. CONCLUSIONE

A conclusione di questo studio vogliamo riportare unatestimonianza diretta sulla fabbricazione e sull’uso del-l’ossidiana presso delle popolazioni preistoriche.

Si tratta di un brano tratto da un libro di Fra BartoloméDe Las Casas: Apologética Historia (pubblicato in Italiada Feltrinelli con il titolo “La Leggenda Nera. Storia proi-bita degli spagnoli nel Nuovo Mondo).

Il libro riporta il diario delle esperienze di viaggi effet-tuati dall’Autore nei Caraibi a partire dal 1502.

Da tale diario abbiamo tratto il seguente, eloquentebrano:

“...Vi erano coltellinai ed è cosa ammirabile il vederlifare rasoi e che si possano fare come li fanno; e non so seriuscirò a farlo capire.

Si sedevano per terra e prendevano un pezzo di pietranera come lava, che è assai dura, come selce, ed è pietrapreziosa altrettanto e più rilucente che alabastro e diaspro.

Quel pezzo era di un palmo o poco più di lunghezzae di grossezza come la gamba o poco meno, e arrotonda-to; hanno un bastone dello spessore di una lancia e lungoun tre cubiti o poco più, e all’estremità di questo bastonemettono accostato e ben legato un pezzo di bastone di unpalmo, grosso come il polpaccio del braccio e un pò più;e questo ha il davanti piano e tagliato: ciò perché quellaparte sia più pesante.

Allora uniscono i due piedi scalzi e con essi tengono lapietra stretta contro il petto e con ambe le mani prendo-no il bastone e col davanti di questo (che ho dette esserecome bastone di una lancia) il quale pure è piano e taglia-to, lo fanno combaciare con l’estremità della faccia dellapietra, che pure è piana e tagliata, e allora spingono versoil petto, e subito salta un rasoio con la sua punta e suoi fi-

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Questi rasoi escono quasi della stessa forma e aspettodella lancetta con cui i nostri barbieri sono soliti cavar san-gue, salvo che hanno un rigonfio al mezzo, e verso le pun-te escono alquanto graziosamente ricurvi. Con essi taglie-ranno e raderanno la barba la prima volta e al primo col-po poco meno che come con un rasoio; però la secondavolta perdono il filo e ne occorre un altro e un altro anco-ra per finire dì radersi.

Certo il vederli ricavare così è cosa degna di ammira-zione e l’aver colto l’arte di ricavarli non è piccolo argo-mento della vivacità d’ingegno degli uomini che trovaro-no questo modo di ricavarli...”.

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