le età del jazz

22
CLAUDIO SESSA Le eta ` del jazz I CONTEMPORANEI

Upload: marica-fasoli

Post on 13-Mar-2016

228 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

anticipazione

TRANSCRIPT

C L A U D I O S E S S A

Le eta del jazzI C O N T E M P O R A N E I

00_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:32 Pagina 3

Foto di copertina: Brad Mehldau © Luciano Rossetti

www.saggiatore.it

© il Saggiatore S.P.A., Milano 2009

00_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:32 Pagina 4

Presentazione di Uri Caine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

I. Oltre la cronaca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

II. L’interazione fra Stati Uniti ed Europa. . . . . . . . . . . . . 25

III. Radici locali e musica mondiale . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

IV. Il nuovo jazz italiano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73

V. Un jazz neoclassico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99

VI. Lontano dai margini: il camerismo radicale . . . . . . . 123

VII. L’ambiguita elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

VIII. Nuovi racconti, nuovi registi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171

IX. Un jazz postmoderno? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195

Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221

Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223

Discografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 237

Indice dei brani e dei dischi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247

Sommario

00_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:32 Pagina 5

00_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:32 Pagina 6

Se, come ha osservato il critico Whitney Balliett, il jazz è il «suono dellasorpresa», allora è un vero piacere leggere un libro sul jazz che è pienodi sorprese. Una delle prime sorprese è la struttura di questo libro.

Claudio Sessa infatti non compone una semplice cronologia della storia deljazz, bensì sceglie di mettere a confronto registrazioni di diverse generazionied epoche, sottolineando la presenza di temi sotterranei ricorrenti e mo-strandone gli sviluppi nella storia di questa musica. Attraverso l’analisi delleincisioni individua connessioni che qualcuno troverebbe inaspettate, discu-tendole e spiegandole con estrema logica e ragionevolezza. Alcune delle re-gistrazioni esaminate sono sicuramente ben note agli amanti del jazz ma al-tre sono vere e proprie rivelazioni anche per gli intenditori.

Un’altra sorpresa è l’acume e l’entusiasmo con cui Sessa ci parla delle di-verse scuole e correnti di musica improvvisata che oggi convivono. Da Arm-strong a Zorn, Sessa mette in relazione intere generazioni di musicisti e spie-ga come gli artisti di ogni stagione mettano a frutto la tradizione per creareun proprio repertorio.

Il passato non è mai del tutto superato e i musicisti di oggi trovano ispira-zione nei capolavori di ieri. La tradizione è una miniera inesauribile di stu-dio, ispirazione, emulazione e adorazione. Sessa mette in luce come in moltimusicisti di tutto il mondo si riflettano le culture musicali in cui sono cre-sciuti e come essi si rapportino agli stili ormai consolidati considerando lapropria musica il prolungamento di un’orgogliosa stirpe.

Tuttavia nel jazz una delle più importanti tradizioni rimane l’innovazione,la ricerca espressiva sia individuale sia di gruppo, la ricerca quindi del nuo-vo. Per questo il jazz si trasforma nel grido di alcuni contro il conformismo,in una ricerca irrequieta che non ha mai fine. Rappresenta l’afflusso costan-te di energia e innovazione di giovani musicisti pieni di talento dei quali que-sto libro ci invita all’ascolto.

Grande spazio viene lasciato alle opere di quei musicisti che hanno cerca-to di forzare i confini degli stili creando allo stesso tempo percorsi nuovi. Ne-gli ultimi vent’anni infatti i musicisti hanno condotto esperimenti e ricerchenel campo dell’elettronica, improvvisato e creato suoni nuovi, usato incon-sueti metri musicali e complesse strutture ritmiche come basi per l’improv-visazione, adoperato la composizione per dare strutture originali al suono di

Presentazioned i U r i C a i n e

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 7

8 Le età del jazz: i contemporanei

gruppo, attinto a diversi generi di musica popolare, pop ed elettronica e infi-ne utilizzato il computer e Internet per ideare la loro musica. Ovviamentemolti di questi ambiti sono come un prolungamento dei lavori delle genera-zioni precedenti.

Molti musicisti rifiutano di essere catalogati con etichette attribuite da al-tri e cercano di espandere le proprie radici musicali accogliendo le fonti el’influenza della musica di altre culture. Questo libro analizza la forte inclina-zione dei musicisti a esplorare e ascoltare la musica che i colleghi creano intutto il mondo: una curiosità naturale, che è parte integrante dell’ispirazionedi un musicista.

Sessa riconosce i contributi dei musicisti europei (spesso sottovalutati ne-gli Stati Uniti e nelle storie del jazz) illustrando come abbiano saputo mesco-lare la propria sensibilità e il proprio bagaglio musicale a quello d’origine,dando vita a una «voce» personale. Grande sostenitore degli improvvisatoriitaliani che hanno apportato creatività, lirismo e humor alla musica, dedicaun capitolo alla vitale ed eclettica scena jazz della sua nazione. Ma è ugual-mente interessato alle due fazioni apparentemente contrapposte nello sce-nario jazz statunitense: il revival neotradizionalista e la scena downtown. Di-mostra che queste due scene non sono distanti come possono sembrare aun primo ascolto, perché ognuna si preoccupa a suo modo dell’autenticitàdelle diverse tradizioni che convivono nella musica di oggi. E con questo cirestituisce lo stato della musica improvvisata all’alba del ventunesimo seco-lo: invece di uno stile dominante, esiste una grande diversità di stili che riu-niscono in sé molte musiche e tradizioni. Il libro racconta molte di questetendenze con un’analisi brillante di un’ampia e variegata scelta di registra-zioni.

Spero che il libro vi piaccia per tutti i suoi approfondimenti e se anche nondoveste essere d’accordo con tutte le opinioni di Claudio Sessa, that’s Ok. Cisaranno sempre discussioni e controversie appassionate tra i musicisti, ilpubblico e la critica per ciò che riguarda la direzione che la musica sta pren-dendo e su quali siano i musicisti più originali e innovativi. È sempre statocosì. Questa disputa infinita fa parte della vitalità di uno scenario in cui lamusica continua a svilupparsi in modi felicemente sorprendenti.

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 8

Questo libro fa parte di un disegno più vasto che intende rileggere lacomplessa ed esemplare vicenda del jazz dalle sue nebulose origini,più di cent’anni fa, ai giorni nostri. Il progetto nasce da un’esperienza didattica estremamente vitale, una cattedra di storia del jazz per i Cor-

si Sperimentali organizzati presso il Conservatorio Giuseppe Tartini di Trie-ste, che mi ha consentito di ripensare allo sviluppo del jazz da un’ottica nuo-va e soprattutto attuale. Consentito o meglio costretto: anche le più recentistorie dedicate a questa musica, scritte da una parte e dall’altra dell’Atlantico,sono piuttosto reticenti sull’interpretazione degli ultimi trenta o trentacinqueanni, e proporre una chiave di lettura di questo periodo – indispensabile so-prattutto per una nuova generazione di strumentisti – impone di affrontaresotto nuova luce tutto ciò che a esso ha condotto. Da qualche decennio, infat-ti, chi scrive di jazz in modo approfondito ritiene opportuno privilegiare am-biti specifici (regionali, stilistici, biografici); si tratta di «microstorie» spessoutilissime per la nuova concezione metodologica che le anima, ma le modalitàcon cui sono realizzate danno l’impressione che i loro autori considerino inu-tili (o impossibili) le analisi di ordine più generale. Al contrario, il «bisogno distoria», di una storia ampia, che descriva le grandi mutazioni e ci aiuti a capi-re il presente, si sta facendo sempre più impellente; e certo non solo nel jazz.

Il corso di cui mi occupo ormai da sette anni è articolato lungo un triennio;anziché suddividere un secolo di storia in quell’arco di tempo, imponendo aimiei allievi una lunga attesa per scoprire «chi è l’assassino» (cioè che cosaaccade oggi sulla scena che sono pronti a occupare), ho scelto di raccontareloro durante il primo anno l’intera sequenza dei lineamenti storici, giungen-do alle soglie dell’attualità e fornendo quindi gli strumenti per due successi-vi approfondimenti: uno sulle modalità con cui i singoli strumenti sono statiutilizzati dai jazzisti, l’altro sulla scena contemporanea. È appunto l’ultimocorso a costituire il fondamento di questo libro, che quindi va letto comeparte di una trilogia i cui argomenti, pur avendo valore autonomo, si illumi-neranno, spero, a vicenda.

La trasformazione delle parole in scrittura ha richiesto utili riflessioni inpiù, tanto che questo libro è qualcosa di molto diverso (e, spero, più distac-cato e universale) rispetto a una dispensa di studio; ho però voluto mante-nere alcuni aspetti delle lezioni originarie. In primo luogo l’uso di precisi

Introduzione

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 9

10 Le età del jazz: i contemporanei

esempi musicali. Le pagine che seguono possono essere anche una guida al-l’ascolto e, nei limiti del possibile, una discografia essenziale; per questo diogni brano selezionato vengono specificate la formazione e la data d’incisio-ne, mentre in appendice saranno indicati gli album dai quali essi sono statitratti. Questa formula sarà ripresa anche nei prossimi volumi.

I criteri con cui le esecuzioni sono state scelte non riguardano esclusiva-mente la loro riuscita estetica: a volte sono stati preferiti per motivi pratici(legati al loro uso nelle lezioni) come la breve durata, altre volte per le qua-lità simboliche che contengono (la riunione di varie personalità, il caratterepionieristico); spesso per la loro capacità di sintetizzare nel modo più equi-librato appunto questi diversi aspetti. La scelta non ha dunque affatto la pre-tesa di stabilire un «canone» del jazz contemporaneo, anche se vuole senzadubbio esplorarne i risultati che ritengo più originali e significativi. D’altraparte, l’impressionante espansione dei documenti sonori verificatasi pro-prio nell’ultima trentina d’anni (dovuta da un lato alle trasformazioni dell’in-dustria, da un altro alla semplificazione delle procedure che portano alla na-scita di un disco, da un terzo alla globalizzazione del mercato; cui si aggiungela ben maggiore durata di un compact disc rispetto al vecchio long playing)impedisce ormai a qualsiasi osservatore di conoscere l’intera offerta musi-cale teoricamente disponibile. Ho tentato di ovviare a questa impossibilitàsottoponendo le mie scelte ad alcuni «ascoltatori privilegiati»; ma natural-mente ogni lacuna, e ogni miopia analitica, è soltanto mia.

Nei vari capitoli, gli esempi si potrebbero espandere quasi all’infinito; hotrovato una «misura» pratica proprio nel limite temporale delle mie lezioni,che in qualche misura il libro trascrive, e spero che il lettore si accontentidella sintesi operata. Sempre le necessità concrete sono alla base di arbitra-rie selezioni sociogeografiche: il jazz fa parte di una ben più ampia famigliamusicale, quella dei generi afroamericani, alla quale ho potuto solo accenna-re qua e là; inoltre ho concentrato l’attenzione, sebbene in modo non esclu-sivo, sullo scenario statunitense, perché in quella nazione la musica di cui cioccuperemo si è concretamente sviluppata, elaborando i caratteri tipici chene costituiscono tuttora l’eredità.

Il jazz è fatto di forti individualità, mentre io ho cercato di evidenziare al-cune linee di tendenza generali. Da questa inevitabile, ma consapevole, con-traddizione deriva il fatto che alcune figure di rilievo degli ultimi vent’anninon appaiono nella giusta luce o addirittura non appaiono affatto. Voglioperciò scusarmi con tutti quei musicisti che non sono stato capace di inseri-re in un itinerario forzatamente parziale.

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 10

Immagino che tutti gli storici si trovino in simili frangenti quando si accingonoa scrivere gli avvenimenti di un’epoca e intendono seriamente

di riportare il vero. Dov’è il centro degli eventi, il nucleo comune, il puntoa cui si riferiscono e in cui si congiungono? Perché si formi un collegamento,

una certa causalità, un certo significato, in genere perché una cosa diventi narrabile,lo storico deve trovare qualche unità: un eroe, un popolo, un’idea,

e deve attribuire a questa inventata unità ciò che nella realtà si è svolto nell’anonimia.

Hermann Hesse, Il pellegrinaggio in Oriente

Oltre la cronaca

I

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 11

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 12

In che punto corre la linea d’ombra che separa la cronaca dalla storia? Laquestione è al vaglio di ogni singola sensibilità; ma è ragionevole fissareuna soglia non superiore ai quindici o vent’anni, anche per rendere meri-

to a chi giorno dopo giorno dà faticosamente vita a qualcosa di creativo epersonale. Dunque, al momento attuale, si può dire che la storia arriva alla fi-ne degli anni ottanta del Novecento; subito dopo inizia la cronaca, cioè l’og-getto principale di queste pagine. Ma la loro gestazione è iniziata quasi diecianni fa, e alcune considerazioni hanno fatto in tempo a scivolare nel passato.Non per questo si è voluto ignorare tutto ciò che è avvenuto al di là del limi-te simbolico cui si è accennato, anche perché diversi fatti fanno pensare cheuna distinzione fra due periodi si sia delineata qualche tempo prima, versola metà degli anni ottanta.

Non si tentano qui conclusioni definitive. Però questo non vuole neppureessere un semplice catalogo; piuttosto una sorta di itinerario a più strade suciò che sta avvenendo nel mondo. Far cronaca, si sa, solo per i più ingenui si-gnifica dar conto «oggettivamente» di tutto quanto succede. Occorrono dellegriglie interpretative e occorre schierarsi. In fondo è questo che separa la cro-naca dalla storia, il polverone è sospeso nell’aria, non c’è chi sappia orientar-si in modo infallibile.

Quando si tenta un’analisi del jazz contemporaneo molti sono colpiti dallamancanza di una rivoluzione estetica significativa; l’osservatore di cose jaz-zistiche infatti ha sempre conosciuto, almeno fino agli anni settanta, fasi benscandite. Ma l’oggettivo rallentamento nel procedere di questa musica nonimpedisce la radicalità delle trasformazioni. A guardare bene, tra gli anni set-tanta e i novanta il panorama del jazz è interamente cambiato: nella tecnolo-gia alla base delle incisioni, che modifica totalmente il suono; nelle ispirazio-ni espressive e nei modelli di riferimento, oggi molto più mediati dalla mon-dializzazione culturale; nelle strutture tematiche, ammorbidite da concezio-ni musicali decisamente più standardizzate che in passato; negli impasti tim-brici, ormai aperti a ogni avventura strumentale. E l’elenco potrebbe conti-nuare. Chi punta il dito sulla quantità di repliche dei vecchi modelli dovreb-

Nella pagina accanto: Steve Coleman© Roberto Cifarelli

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 13

14 Le età del jazz: i contemporanei

be ricordare che il fenomeno è sempre esistito, ed è soltanto naturale che es-so aumenti con il crescere del periodo storico ormai appartenente a una ri-conosciuta «tradizione». D’altronde, superare un andamento fin troppo im-petuoso ha anche conseguenze positive: sui musicisti, che possono permet-tersi di evitare l’affannoso inseguimento di innovazioni tecniche ed espressi-ve non sempre vincenti sul piano dello sviluppo estetico; e sugli ascoltatori,che un tempo erano adolescenzialmente affascinati da questa convulsa rapi-dità dell’evoluzione jazzistica, ma presto ne venivano frastornati, rimanendoabbarbicati soltanto allo stile che avevano amato in gioventù.

Un’altra delle componenti più importanti (e sconcertanti) del jazz attualeriguarda il suo esteso eclettismo, tanto stilistico quanto ideologico; a esso sipuò addebitare buona parte delle difficoltà nei tentativi di analisi. Ma questedipendono da schemi mentali forgiati piuttosto passivamente sui modellicritici del passato: la varietà espressiva non è affatto una novità, avendosempre attraversato la storia del jazz, ma non è mai stata osservata con ladovuta attenzione. Basteranno due esempi. Negli ultimi anni cinquanta, l’af-fascinante vastità delle poetiche esistenti era basata su una gran quantità diforme diverse, ma la critica si è invece concentrata sulle qualità ideologiche,che permettevano un’analisi omogenea del fenomeno. Negli anni del bebop,invece, si è minimizzata la divaricazione stilistica offerta dal jazz dell’epoca(dal New Orleans Revival al tardo Swing al rhythm and blues) riducendone ilpeso a mero fatto sociologico e ignorandone le eventuali valenze estetiche.

In fondo, la fase attuale ricorda parecchio un altro periodo singolarmenteeclettico, gli anni venti: un’epoca che bisognerebbe riscoprire, perché è ric-ca di indicazioni su modalità «altre» con cui suonare (e ascoltare) il jazz, ri-conoscendo beninteso che fra i due periodi le differenze sono molte, in pri-mo luogo di segno psicologico. La società americana degli anni venti era in-fatti ottimisticamente proiettata verso il futuro; quella attuale è ripiegata suse stessa, conformemente alla crisi delle ideologie e alla (con)fusione di li-velli estetici avviata dal movimento postmoderno.

La staticità e un eclettismo apparentemente privo di coerenza sono duedelle critiche più importanti che vengono rivolte al jazz contemporaneo. Laterza è la mancanza di personalità carismatiche. Ma bisogna riconoscere chequesta non dipende da fattori oggettivi, piuttosto dalle modificazioni inter-venute nella logica stessa di questa musica. Anthony Braxton, per fare un so-lo esempio, in altri periodi sarebbe stato probabilmente riconosciuto comemodello, ma è vissuto in un’epoca che ormai rifiutava la polarizzazione pre-fendo la molteplicità delle figure di riferimento. In effetti proprio le potenzia-lità democratiche del jazz, modello di tante altre musiche a esso successive,hanno finito col minare le qualità esemplari dei suoi maggiori esponenti.

Anche qui, comunque, non è difficile notare cambiamenti potenzialmente

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 14

Oltre la cronaca 15

positivi. In passato la predominanza dei vari Louis Armstrong, CharlieParker, John Coltrane ha causato una riduzione dei linguaggi sonori: i giova-ni che si affacciavano sulla scena erano obbligati a confrontarsi con i loro sti-li, a inventare all’interno di essi. L’affrancamento da quel dominio era lungo,doloroso, non di rado incompleto. Intere epoche jazzistiche sono state se-gnate da un’omologazione espressiva (affiancata, naturalmente, da ingegno-se soluzioni originali interne a quei modi di intendere il jazz) derivata daquesta prevalenza. Oggi i giovani talenti sono liberi, se non di inventare for-mule inedite, di ispirarsi a fonti tra loro diverse, perfino opposte.

In ogni periodo storico, in ogni interpretazione artistica, per fissare dei va-lori è necessario capire che cosa viene prodotto di originale e che cosa re-plica semplicemente elementi già «consumati». Ma in un contesto come quel-lo jazzistico, nel quale uno dei valori estetici fondamentali è la continuitàcon la tradizione, è importante chiarire il senso della parola originalità. Perquesto, focalizzando quelle che paiono le componenti più interessanti degliultimi vent’anni, si è scelto di indagarne il retroterra nei decenni trascorsi. Inquesto modo si effettua una ricognizione dal triplice significato. Innanzituttoessa chiarisce che nessuna idea nasce improvvisamente dal nulla. Al tempostesso permette di verificare che le modalità con cui oggi queste idee si pre-sentano sono radicalmente diverse dal passato. Infine si capisce come que-ste tendenze, ora dominanti, fossero fino a pochi anni fa talmente seconda-rie da non meritare neppure una citazione tracciando per sommi capi la sto-ria del jazz; il fatto che considerazioni fino a ieri «a margine» siano divenutequestioni essenziali del jazz contemporaneo la dice lunga sulla vitalità diquesta musica nel nuovo millennio. D’altra parte, questa nuova centralitàmostra la possibilità di rileggere la storia secondo nuove prospettive; ed èappunto ciò che si farà, sia pure parzialmente, nella prima parte di ognunodei prossimi capitoli.

Esula dai fini di questo volume una discussione delle caratteristiche tipi-che del jazz, quelle rintracciabili in tutto l’arco della sua storia. Basti accen-nare qui che, oltre alle convenzionali (e sempre sfuggenti) qualità di pronun-cia legate al senso del blues e dello swing, il jazz d’ogni tempo si distingueper quattro atteggiamenti culturali ancor prima che formali: la disponibilitàa usare l’improvvisazione in tutti i parametri dell’ideazione di un brano (me-lodia, armonia, ritmo, timbro, dinamica, interazione fra gli esecutori); la for-te pulsione innovativa; la stretta simbiosi con l’evolvere della tecnologia edell’industria dello spettacolo; l’atteggiamento inclusivo nei confronti delletradizioni musicali a esso estranee. Questi elementi hanno conosciuto la pri-ma maturazione in un preciso contesto storico e geografico, gli Stati Uniti acavallo fra Ottocento e Novecento; in un altro luogo o in un altro tempoavrebbero, verosimilmente, dato vita a un fenomeno di tutt’altra natura.

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 15

Stabiliti questi parametri comuni, è forse ne-cessario capire in che modo suona «diverso» iljazz degli ultimi vent’anni rispetto a quello pre-cedente. L’ascolto di alcuni brani legati alle piùvarie ricerche sonore recenti potrà permetteredi individuare alcuni fattori caratteristici dellacontemporaneità. Sono qualità che tornerannonei prossimi capitoli, seppur osservate da altripunti di vista. Confrontiamo, per cominciare,due esecuzioni piuttosto diverse che hannoper protagonisti Steve Coleman e Tim Berne:musicisti accomunati dall’uso dello stessostrumento, il sassofono contralto, nati in due

grandi città (rispettivamente Chicago e New York) a pochi mesi di distanza,nell’ottobre del 1954 Berne, nel settembre del 1956 Coleman.

Steve Coleman, «Genesis – Day One»Ralph Alessi, Shane Endsley, Nabate Isles (tp); George Lewis, Tim Albright,Josh Roseman, André Atkins, Jamal Haynes (tb); Steve Coleman, Greg Osby(as); Ravi Coltrane, Aaron Stewart, Yosvany Terry Cabrera, Greg Tardy (ts);

David Gilmore (gt); Andy Milne (p); Elektra Kurtis-Stewart, Marlene Rice(vl); Judith Insell (vla); Nioka Workman (vcel); Kenny Davis, Reggie

Washington (b); Sean Rickman (dm); Luis Cancino Morales, Ramon GarciaPérez, Josh Jones, Anga Diaz, Barbaro Ramos Aldazabar (perc).

Primavera 1997

Tim Berne, «Mrs. Subliminal/Clownfinger»Tim Berne (as); Marc Ducret (gt); Craig Taborn (elp); Tom Rainey (dm).

12/4/2003

«Genesis» è una composizione in più parti per la quale Coleman utilizzaun’ampia formazione che mischia tradizioni differenti: i fiati delle big band jaz-zistiche, gli archi di derivazione europea, le percussioni d’ispirazione latina.In «Day One» queste «fonti» costruiscono inizialmente blocchi ritmici contrap-posti, creando strati sonori ben definiti, sui quali però interviene l’approccioamalgamante della struttura complessiva. Il risultato supera i riferimenti aogni singola cultura musicale, e questo è sottolineato dall’intreccio delle vocisolistiche in un’interazione sempre più collettiva: l’apertura è affidata a Cole-man stesso, ma poi si aggiungono George Lewis e Ralph Alessi. Il successivoassolo di Andy Milne serve a creare una transizione nella quale il tempo, il rit-mo e l’intera atmosfera si modificano per passare a un’altra sezione.

16 Le età del jazz: i contemporanei

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 16

Oltre la cronaca 17

In questo brano si incontrano alcune qualità sonore di grande interesse edi grande originalità: una particolare tessitura timbrica; una sorta di rifles-sione sulle diverse tradizioni musicali; l’istituzione di un grande, omogeneoblocco narrativo; la creazione di un impasto poliritmico stordente, teso a ri-tualizzare l’ascolto. Sono componenti che ritornano in modo significativonell’esecuzione di Tim Berne, che pure è realizzata secondo criteri di tutt’al-tro genere. Qui siamo di fronte a un brano molto lungo, mezz’ora abbondan-te (più del triplo della già ampia incisione di Coleman), i cui protagonisti so-no solo quattro; ma anch’essi, grazie all’uso dell’elettronica, avvolgono l’a-scoltatore in un flusso continuo e immaginifico.

Nel corso del brano si sussegono varie sezioni basate su una costante ite-razione di brevi figure ritmiche, sopra le quali il solista costruisce intricateimprovvisazioni sottolineate dagli arabeschi degli accompagnatori. La logicadi questa esecuzione, collettiva ed estremamente «fisica», tende ad accen-tuare il carattere ossessivo delle microstrutture di base, di nuovo con un ri-sultato stordente nei confronti dell’ascoltatore; ma qui le singole sezioni siinterrompono di colpo, dopo aver raggiunto la saturazione, per scagliare ilbrano (e chi ascolta) in un nuovo territorio sonoro, nel quale si ricominciaad accumulare tensione seguendo la stessa logica formale.

Ritroviamo come si accennava, permutati secondo una diversa alchimia, iparametri centrali del brano colemaniano: impasti timbrici originali, incro-cio di diverse culture (questa volta appartenenti all’universo «giovanile», siapure ormai storicizzato: chitarra elettrica distorta, tastiere elettroniche,echi del funky e del rock nell’uso della batteria), costruzione di ampie strut-ture, ritualità esecutiva.

Un esempio radicalmente diverso è offerto dal trio del sassofonista ElleryEskelin, completato dalla tastierista Andrea Parkins e dal batterista JimBlack. Il gruppo agisce spesso entro le coordinate di una dichiarata disconti-nuità, che però non si nega affascinanti sviluppi strutturali. L’ascolto di unbrano come «One Great Day...» è inizialmente disarmante; ogni manciata di se-condi l’ambiente sonoro che è stato edificato viene apparentemente abbat-tutto e si ricomincia su nuovi canoni. Così il tema iniziale, molto groovy nelsuo rifarsi a sonorità anni sessanta (un sax tenore grasso e graffiante, la so-norità di un organo elettronico, una batteria incalzante) si scompone in unoschematico stacco di batteria e quando riemerge ha sottilmente cambiato lapropria qualità espressiva, divenendo più elegante e leggero; ma subito doposi assiste a un’astratta evoluzione fra sassofono e fisarmonica, eccetera.

In verità la forma del brano è piuttosto rigorosa. Il tema groovy è l’uniconel quale il trio suona al completo; esso ritorna con costanza nella prima enella terza parte dell’esecuzione, conferendole quasi la logica di un rondò.La parte centrale è invece contrassegnata da un lungo assolo non accompa-

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 17

18 Le età del jazz: i contemporanei

gnato di Eskelin e, specularmente, da un dialogo fra fisarmonica e batteria.Tastierista e percussionista alternano brevi «disturbi» di ampia varietà tim-brica al tema principale a tre voci; ognuno dei due è poi protagonista di unminuscolo controtema e nel finale sono solo questi a rincorrersi, mentre ilsassofono tace.

Ellery Eskelin, «One Great Day...»Ellery Eskelin (ts); Andrea Parkins (acc, sampler); Jim Black (dm). 30/9/1996

Evidentemente, l’intenzione è quella di creare un senso di «falsa informalità»,secondo il criterio della massima divaricazione sonora possibile fra sezionivicine. Anche la parte di sassofono solo, che con la sua durata di quasi dueminuti è l’episodio più lungo del brano, si può scomporre in varie frasi basa-te su tecniche e idee piuttosto contrastanti. Nonostante la profonda diver-sità rispetto ai primi due brani, incontriamo nuovamente una forte origina-lità timbrica (tanto nella formula strumentale quanto nella gestione dei cam-pi sonori durante l’esecuzione), un gioco dichiarato fra ambiti culturali di-versi (il groove contrapposto all’informale, per esempio) e l’attenzione (que-sta volta focalizzata sul «micro» anziché sul «macro») per una particolare du-rata delle forme su cui è costruito il brano.

Qualcosa accomuna questa proposta a quella di un gruppo apparente-mente rivolto a ben diversi canoni stilistici, il quartetto di David S. Ware (an-ch’egli sassofonista, ma di dieci anni più anziano). Nel brano «Jazz Fi-Sci» ilpianista del gruppo, Matthew Shipp, abbandona il suo strumento in favoredel sintetizzatore. Questa fonte sonora però non si amalgama al resto dellaformazione; l’esecuzione mette in scena una teatrale dicotomia, alternandorigorosamente le improvvisazioni solitarie di Shipp a quelle del trio acustico.Anche qui, dunque, ci si trova di fronte a un’esecuzione fortemente fram-mentata (questa volta secondo una logica binaria), nella quale i suoni «futu-ribili» di Shipp si oppongono all’evocazione di un free jazz storicizzato.

David S. Ware, «Jazz Fi-Sci»David S. Ware (ts); Matthew Shipp (synt); William Parker (cb); Guillermo E.

Brown (dm). Febbraio 2001

L’uso dell’elettronica da parte di Shipp, in fondo molto semplificato e mate-rico, contrasta con la sofisticazione di questi strumenti nello scenario attua-le. Essi possono essere un’ottima sorgente per quella divaricazione timbricasu cui ci si è soffermati; tuttavia molto spesso il jazz ne fa un uso diverso.Piuttosto tipico è un brano recente di Wallace Roney (trombettista nato nel1960, celebrato agli esordi come continuatore di Miles Davis), che pare volu-

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 18

Oltre la cronaca 19

tamente costruito sulla stratificazione di echi stilistici diversi: l’apertura ri-manda alle atmosfere costruite da Joe Zawinul, poi interviene un ritmo funkyche deve molto a Herbie Hancock, mentre l’entrata del leader sposta il ber-saglio verso le sonorità esplorate da Davis negli anni ottanta; più avanti siavverte anche un’eco delle ultime orchestre di Gil Evans, e senza dubbio l’e-lenco dei riferimenti non si conclude qui.

Wallace Roney, «Quadrant 329-4-526»Wallace Roney (tp); Geri Allen (p); Adam Holzman (elp); Mattew Garrison

(elb); Eric Allen (dm); Dj Logic (ttbl). 23/2/2004

Si può certamente sottolineare una scarsa originalità nell’impianto sonoro diquesto brano; ma si può anche rilevare come ogni dettaglio stilistico già no-to bilanci tutti gli altri, con un effetto elegantemente citazionistico che fa dacontrappunto alla tensione inventiva dei suoi esecutori. Il controllo di tuttele forme possibili, anche di quelle meno convenzionali, è una componenteforte del jazz di oggi, e non sempre dà vita a prodotti manierati.

È evidente fin dal primo ascolto che alcuni dei brani fin qui presi in conside-razione sono più «sperimentali»: il livello di originalità nelle esecuzioni di Co-leman, di Berne, di Eskelin è senza dubbio superiore a quello delle successive.Questo non significa però che il jazz contemporaneo non possa ricercare ilnuovo anche all’interno di strutture consolida-te. Il sassofonista Mark Turner (nato nell’Ohionel 1965 e cresciuto in California) fa un chiaroriferimento, assieme ai suoi compagni di musi-ca, alle innovazioni introdotte da Miles Daviscon il suo quintetto negli anni sessanta. La pul-sazione ritmica su cui è basato tutto il brano,l’ambiguità armonica del suo andamento, la tra-sparenza dell’intreccio fra gli strumenti condu-cono concordemente a quel grande esempio.

Eppure proprio dal gioco che si sviluppa frail modello e il costante, sottile scostamento ri-spetto a esso emerge il fascino di questa ese-cuzione. Ancora c’è un’invenzione timbrica: èproprio il sound della tromba a mancare, sostituito da quello della chitarraelettrica (a volte raddoppiata con la tecnica dell’overdubbing, a fare anche leveci del pianoforte). E c’è una semplificazione melodica, opposta alla sidera-le astrattezza davisiana, che permette all’ascoltatore di seguire passo dopopasso gli assoli di Rosenwinkel e di Turner (non a caso elaborati su frasi

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 19

20 Le età del jazz: i contemporanei

sempre piuttosto brevi, come mattoni che edificano «a vista» l’improvvisa-zione) e di godere delle perfette cuspidi emotive tracciate da entrambi.

Mark Turner, «Jacky’s Place»Mark Turner (ten); Kurt Rosenwinkel (gt); Reid Anderson (cb); Nasheet

Waits (dm). Gennaio 2001

L’incrocio tra facile e difficile, anzi la complessità camuffata da semplicità,sembra affascinare molti jazzisti d’oggi; forse nessuno è riuscito a esprimer-la in modo più emozionante del pianista Brad Mehldau, nato nel 1970 e giun-to alla fama a metà degli anni novanta. Benché si esprima attraverso organi-ci addirittura inflazionati (il trio pianistico, il piano solo), egli riesce a tra-scendere le convenzioni esecutive grazie a un’appassionata intensità inter-pretativa e a una rara sapienza architettonica.

In che cosa la musica di Mehldau, in particolare quella per trio, è eviden-temente contemporanea? Certo non c’è qui la novità timbrica di tanti altri

gruppi. D’altra parte, il pianista usa una tradi-zione consolidata per parlare con un’altra vo-ce; sia che esegua uno standard come «MoonRiver», sia che recuperi un tema dei Radioheadcome «Exit Music», sia che interpreti una pro-pria composizione come «Convalescent», eglisi rivolge contemporaneamente tanto all’ap-passionato di jazz quanto al pubblico giovanilepiù sofisticato, del quale condivide sensibilitàmelodica e aspettative ideali. Così Mehldau co-struisce i suoi assoli (nei quali, nuovamente,s’incontra un elevato perfezionismo formale)con una precisa cantabilità dalla costante to-nalità malinconica, che rende straordinaria-

mente naturali le più intricate scomposizioni ritmiche e la peculiare capacitàdi ideare distinte improvvisazioni con le due mani.

L’affinità emozionale con le nuove generazioni (un punto che lo avvicina,meglio della presunta identità stilistica, al giovane Keith Jarrett in sintoniacon l’epoca del flower power) dimostra che anche in Mehldau c’è un gioco disovrapposizioni culturali, appunto fra l’antica tradizione afroamericana e lagiovane America bianca; un incrocio reso unico dal fatto che l’intensità in-tellettuale è sempre straordinariamente elevata, mentre in molti altri casi larecente «rinascita» del trio pianistico (dovuta in buona parte proprio al suosuccesso) ammicca in modo meno equilibrato a soluzioni espressive massi-ficanti. Va detto, infine, che la potenza strutturale delle improvvisazioni di

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 20

Oltre la cronaca 21

Mehldau evidenzia ancora una volta la volontà di creare ampi archi narrati-vi, nei quali l’ascoltatore corre felicemente il rischio di perdersi.

Questo trio può essere messo a confronto con quello di Myra Melford, ditredici anni meno giovane ma emersa anch’essa negli anni novanta con ideeche avrebbero meritato più durevole fortuna nel loro mettere a confronto inmodo originale echi che rimandano a Horace Silver, a Don Pullen, a HenryThreadgill. Anche le sue invenzioni fanno pensare a un universo in lenta mainesorabile trasformazione; in lei però sembra di cogliere un sostanziale di-sinteresse verso quell’equilibrio tra partecipazione sentimentale e controllorazionale così fortemente perseguito da Mehldau. La musica di Myra Mel-ford (anche nei suoi successivi sviluppi con formazioni timbricamente piùvariopinte) rigenera l’espressionismo di stampo free in nuovi contesti for-mali, dimostrando come l’esigenza per un’istintiva passionalità non sia igno-rata dal jazz contemporaneo.

Brad Mehldau, «Convalescent»Brad Mehldau (p); Larry Grenadier (cb); Jorge Rossy (dm). Maggio 1998

Myra Melford, «Breaking Light»Myra Melford (p); Lindsey Horner (cb); Reggie Nicholson (dm). 3/2/1993

Si tratta della stessa esigenza percepibile con chiarezza nelle proposte diun altro protagonista di questi anni, il trombettista Dave Douglas. Ascoltan-do una delle sue prime incisioni, «Song For My Father-in-law», realizzato conil Tiny Bell Trio, si resta colpiti dall’inestricabile intreccio di elementi vec-chi e nuovi; ma proprio il modo con cui è realizzata questa commistione è ilprimo e più evidente segno di novità. Douglas non ha paura di usare riferi-menti molto lontani dal jazz; il ritmo base del brano è un umpa-umpa da bal-lo di paese, estraneo a ogni idea di swing; il suono della sua tromba riman-da ben più alle bande di ottoni mitteleuropee o slave che a Miles Davis o aLouis Armstrong; la chitarra accompagna come in una qualsiasi canzonepopolare europea.

Ma tutto ciò è insidiato dalle licenze sempre più radicali che i tre musicistisi permettono, deformando timbri e strutture fino alla totale decostruzione.Uno sberleffo anni settanta? Neppure, perché la «non forma» del brano è ri-gorosa: l’identica impaginazione, sia pur modificando gli equilibri interni deltrio, si ripete tre volte secondo i canoni del jazz più convenzionale; sempli-cemente, ogni ripetizione prevede un crescendo di deviazione (che può por-tare perfino alla citazione di «The Man I Love») rispetto all’atmosfera iniziale.A ben vedere, questa griglia dà piena libertà proprio all’emozione (ora no-stalgica, ora anarchica, ora intimistica, sempre appassionata), vero filo con-

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 21

22 Le età del jazz: i contemporanei

duttore dell’esecuzione. E non stupisce, a questo punto, di riconoscere alcu-ni punti ormai familiari: l’originalità timbrica (nell’organico come nella pro-nuncia dei singoli strumenti), il saporito intreccio di culture, l’attento equili-brio formale.

Dave Douglas, «Song For My Father-in-law»Dave Douglas (tp); Brad Schoeppach (gt); Jim Black (dm). Dicembre 1993

Ritroviamo la stessa semplicità strutturale, al servizio di tutt’altri risultati, inun brano del clarinettista Don Byron. Questa volta il gioco dei riferimenti cul-turali è con i ritmi latini; ma nell’album Music For Six Musicians, da cui è tratta

questa esecuzione, essi sono fortemente stiliz-zati, spesso appena sottintesi, quasi a simbo-leggiare i nuovi rapporti fra le varie comunitàetniche negli Stati Uniti del ventunesimo seco-lo. Non è un caso che nel disco s’incontrinoprecisi richiami alla rivolta razziale scoppiatanel 1992 a Los Angeles, in una California dall’or-mai fortissima dominanza ispanica. I due assoliattraverso i quali si snoda l’esecuzione rappre-sentano come due facce di una stessa realtà:quello di pianoforte è estroverso, solare, di di-sinibita felicità ritmica; quello di clarinetto s’in-treccia con la chitarra per dar vita a un discor-so lancinante e problematico.

Don Byron, «I’ll Chill On The Marley Tapes...»Don Byron (cl); Edsel Gomez (p); Bill Frisell (gt); Kenny Davis (elb); LonniePlaxico (cb); Ben Wittman, Ralph Peterson Jr (dm); Jerry Gonzalez (cga).

1995 ca.

La California delle nuove frontiere etniche è anche al centro della musicacreata dal pianista Jon Jang, uno dei diversi jazzisti statunitensi d’origineasiatica oggi sulla scena. «Diaspora Tale N. 1» è una delle sue opere più com-plesse, mettendo in campo la relazione con la cultura cinese dei suoi ante-nati nell’uso di diversi strumenti tradizionali ma anche di un testo (scritto ecantato dalla poetessa Genny Lim) che dolorosamente rievoca le drammati-che privazioni degli immigranti che attraversarono il Pacifico fra diciannove-simo e ventesimo secolo.

Ciò che conta, sul piano formale, è ritrovare qui ancora una volta molti ele-menti del «nuovo» jazz contemporaneo: un uso disinibito e accurato di tim-

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 22

Oltre la cronaca 23

bri finora inediti, un creativo incontro di culture (in questo caso accompa-gnato da una forza polemica che si rifà alla stagione del free più politicizza-to), un ampio disegno strutturale che supera le formule costruttive di moltojazz genericamente «moderno». Significativamente, ciò che in questo caso èeclettico in modo molto accentuato viene trasformato dalla qualità ideologi-ca sottostante in un prodotto decisamente omogeneo.

Jon Jang, «Diaspora Tale N. 1»Genny Lim (voc); Francis Wong (ts, fl); Jim Norton (ss); Jon Jang (p); Min Xia

Fen (p’ipa); Wang Hong (zhonghu, erhu, guanzi); Elliot Humberto Kavee(vcel); Royal Hartigan (dm). 13/10/1995

L’ultimo esempio di questo piccolo giro d’orizzonte è forse il più eclettico di tut-ti, e anche in questo caso conosce una precisa unificazione grazie all’originaleconcezione dell’autore. Si tratta di una delle celebri «riletture» mahleriane del ta-stierista e compositore Uri Caine. Il profilo melodico dei temi principali e perfinocerti assunti timbrici dell’opera originale vengono rispettati dall’arrangiatore,che però fa emergere in modo esplosivo altri fattori che il compositore boemoaveva tenuto «sottotraccia» o addirittura erano rimasti nel suo inconscio: cosìgli echi della cultura ebraica, o il destabilizzante incontro fra cultura «alta» e«bassa» (tanto più interessante nella nostra epoca segnata dal postmoderno).

Questo itinerario espressivo permette poi a Caine di ampliare l’universoestetico ben oltre i confini del tempo di Mahler; ecco così le improvvisazionibasate su un frenetico ritmo latino o gli interludi espressionistici della vocedi Dean Bowman, sottolineati magari dalla chitarra elettrica distorta o dagliinopinati interventi del giradischi. Ne nasce una stordente fantasmagorianon solo spettacolare e di gran divertimento intellettuale, ma anche forieradi riflessioni sull’attualità dei «classici».

Uri Caine, «The Drunkard In Spring»Dave Douglas (tp); Josh Roseman (tb); Dave Binney (ss); Don Byron (cl); Uri

Caine (p); Danny Blume (gt, elec); Mark Feldman (vl); Larry Gold (vcel);Michael Formanek (cb); Joey Baron (dm); Dj Olive (ttbl); Dean Bowman

(voc). Giugno 1996

Senza dubbio alcune generalizzazioni, in ciò che si è esposto fin qui, posso-no peccare di superficialità. Per questo, dopo aver tentato di definire in mo-do piuttosto impressionistico i caratteri del jazz attuale, bisognerà procede-re a un’ispezione più approfondita. Sono comunque emerse qualità comuni,alcune delle quali rappresentano logici sviluppi dell’epoca appena prece-dente. È stato, quello a cavallo fra gli anni settanta e ottanta, un periodo do-

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 23

24 Le età del jazz: i contemporanei

minato da un ripensamento sugli stili passati e più in generale dalla ricercadi una precisa continuità fra passato e futuro. A questa istanza si rifanno,con soluzioni molto diverse, almeno tre filoni recenti: l’esplorazione di unanuova libertà timbrica che ha le sue fondamenta tanto nel cool degli anniquaranta quanto nelle sperimentazioni radicali dei settanta; la robusta cre-scita di quelle che potremmo chiamare «scuole nazionali», tese (negli StatiUniti come in Europa) a recuperare radici diverse da quelle africane finorapreponderanti; l’affermazione di un sofisticato manierismo sfociato nella na-scita di un jazz «di repertorio», capace di intrecciare la ricerca filologica alleesigenze individualistiche presenti da sempre in questa musica.

Altre proposte degli ultimi anni sembrano rappresentare in maniera piùinattesa, e forse ancora immatura, i caratteri dell’attualità. A questa catego-ria appartengono le nuove modalità con cui gli statunitensi si confrontanocon l’Europa della tradizione e della ricerca, in un interscambio in cui sem-bra perdersi l’antica preminenza americana; l’uso dell’elettronica, tanto nel-la rivoluzione apportata dai nuovi strumenti quanto e soprattutto nell’appli-cazione dell’hardware digitale; le inedite forme di rapporto fra capogruppo epartner, alla ricerca di una gestione dell’improvvisazione collettiva in cui illeader sappia utilizzare forme aperte di direzione.

Sono tutti elementi che si confrontano con le strutture profonde da cui na-sce il jazz: i mezzi produttivi, il rapporto tra scrittura e improvvisazione, l’in-terazione fra diversi microgruppi sociali. Nuovamente, nella sua estrema di-varicazione stilistica, il jazz attuale sembra rispecchiare quello, ancora privodi regole, degli anni dieci e venti del Novecento: una prova in più della sua vi-talità e della necessità di ripensare da una prospettiva contemporanea il suogià lungo passato.

In questo esame sarà volutamente ignorata un’omogeneità metodologica,proprio per cercare di definire meglio l’oggetto della ricerca. Alcuni temi ver-ranno dunque considerati da una prospettiva formale, stilistica; altri appar-tengono a un’area che potrebbe essere definita sociologica; altri ancoraemergeranno da considerazioni di carattere storico e così via. Uno degli ef-fetti di questa scelta è una continua sovrapposizione degli argomenti. Esem-pi musicali assegnati a un determinato capitolo potrebbero illustrarne al-trettanto bene un altro; le materie sono talmente intrecciate che la loro se-parazione, basata soprattutto su comodità di descrizione, potrà appariremolto opinabile. La speranza è che questa difformità descrittiva permetta difotografare con una certa precisione il panorama contemporaneo.

01_237_08_SAGGI_Eta del jazz 19-12-2008 16:27 Pagina 24