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Laura Migotto Giorgio Bartoli Marco Filippetti Dario Puggioni Quattro artisti in mostra Quarta rassegna di arte contemporanea Città di Teggiano Chiostro di San Francesco

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Laura Migotto Giorgio Bartoli Dario Puggioni Marco Filippetti QUADRILATERO Mostra quadripersonale al Chiostro di San Francesco a Teggiano a cura di Angelo Andriuolo e Giorgio Bertozzi di Neo Art Gallery testo critico: Stefano Iatosti progetto grafico e impaginazione: Stefano Ferracci organizzazione logistica: Alberto Barbato e Michele Morena

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Dario Puggioni

Quattro artisti in mostra

Quarta rassegna di arte contemporanea

Città di Teggiano

Chiostro di San Francesco

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Quarta rassegna di arte contemporanea

Città di Teggiano

Chiostro di San Francesco

Dal 12 al 29 luglio 2008

Inaugurazione, 12 luglio ore 19,30

Chiostro di San Francesco

Teggiano (Salerno)

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è un evento a cura di

Angelo Andriuolo e Giorgio Bertozzi

Neo Art GalleryVia Urbana 122 - 00184 Roma

tel. +39 06 4740795

[email protected]

www.neoartgallery.it

testo critico di

Stefano Iatosti

progetto grafico e impaginazione

Stefano Ferracci

organizzazione logistica

Alberto Barbato e Michele Morena

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Il quadrilatero: Dario Puggioni, Laura Migotto, Marco Filippetti e Giorgio Bartoli, quattro

artisti a comporre una figura, ciascuno dal suo lato, a confrontarsi con le diverse idee di

figurazione e i modi espressivi che le sostanziano.

La pittura che riconosce nella figura umana il suo soggetto specifico, nell’indagine sul

corpo e sul suo potenziale espressivo la sua linea di ricerca, senza per questo rinunciare

a tecniche, modi, stilemi nati in altri contesti, lontani dal riferimento alla realtà e da ogni

residua potenzialità mimetica, continua a essere denominata, pur nel trascorrere degli

anni e delle scuole, Nuova figurazione.

Il luogo comune vuole che il pittore figurativo, per il suo approccio sostanzialmente rea-

lista, si esprima in un linguaggio diretto e immediatamente leggibile, almeno rispetto ai lin-

guaggi dell’astrazione o dell’informale. Un corpo umano, per quanto stilizzato, deforma-

to, violentato è pur sempre un corpo e comunica in modo plausibile le emozioni e le idee

dell’artista, la cui visione del mondo e la percezione del reale, per quanto lontane da quel-

le del fruitore, possono essere comprese attraverso immagini che rimandano a una real-

tà da tutti condivisa. Lo scavo interiore, la dimensione psicologica di un ritratto, l’enfasi o

la naturalezza di una posa o di un gesto, la luce di uno sguardo si presumono universali.

Non è la grande pittura, si sostiene, prettamente figurativa e tanto più se in perfetto equi-

librio fra illusionismo e poesia?

Il senso comune, che ha fatto la fortuna di artisti di secondo piano, ma facilmente identi-

ficabili dal pubblico, non gioca tuttavia a favore di quelli che intendono il corpo umano

come un soggetto di ricerca non meno sperimentale di un alfabeto di segni arcani, di un

dialogo fra masse cromatiche e materia e perfino del progetto che riassume l’opera nel

puro assunto teorico. Il realismo, quando non è accademico o illustrativo, implica la

discussione, persino la messa in crisi del concetto di realtà tacitamente assodato.

Diversi sono i lati oscuri del problema e non questa la sede per chiarirli, ma si possono

comunque porre le domande e affidare agli artisti che qui si confrontano quattro diverse

risposte.

La figurazione è realistica perché fa appello a oggetti e segni che hanno un corrispettivo

speculare nell’esperienza percettiva di tutti o soltanto perché presuppone il rispetto di

convenzioni rappresentative generalmente accettate? Per assurdo, ma con qualche buon

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motivo, si può affermare che ogni artista rivendichi, nella sua poetica, una specifica inter-

pretazione del concetto di realtà. Il presunto realismo mimetico non esclude una compo-

nente irreale, una “figurazione dell’invisibile”, secondo la definizione di Balthus. Il dato

empirico, naturale o derivato da un altro medium espressivo, è destinato comunque a

un’elaborazione che lo trasformi in simbolo, epifania, allusione ad altre realtà, al mondo

del sogno e dell’inconscio.

La lettura e la fruizione di un’opera sono esperienze complesse anche perché complesso è

il quadro di riferimento in cui ogni artista si trova ad operare, dal punto di vista diacronico

e sincronico. Il museo sterminato della storia dell’arte ai arricchisce a ogni minuto di nuove

icone e il processo selettivo compiuto dal singolo artista avviene in ambiti differenti e spes-

so in contraddizione. Da qui la sua necessità di creare un suo personale codice, un suo

gergo stilistico in cui l’eterogeneità degli influssi e delle opzioni ritrovi una sua compattez-

za.

Gli artisti del Quadrilatero possiedono tutti una cifra riconoscibile, ma rifiutano le scor-

ciatoie di un’arte pubblicitaria, che si riassuma in una formula e riproponga se stessa con

il pretesto della leggibilità. Ciascuno di loro offre una peculiare modalità interpretativa

della figurazione; si va così dall’approccio neo-espressionista di Puggioni al realismo in bili-

co fra simbolico e pop della Migotto, dalla pittura come esperienza esistenziale di

Filippetti all’eclettismo documentario e virtuosistico di Bartoli.

Le quattro diverse declinazioni s’inscrivono tutte nell’alveo di un fare artistico che non

disconosce l’aspetto artigianale del dipingere senza per questo rinunciare all’uso di mezzi

accessori quali la fotografia o il video. In questa fiducia per il medium pittorico, prima

ancora che nella necessità di rapportarsi alla figura umana, va individuato il tratto comu-

ne agli artisti qui presentati.

Puggioni affronta il tema della corporeità straziata, della sofferenza e della deformazione

che ne consegue, dell’asfissia e del logoramento con una pittura terrosa, della stessa

materia di cui sono fatti i suoi corpi senza speranza. La sua insistenza non è mai compia-

ciuta, ma un continuo studio sulle possibilità evocative del dolore, una progressiva sfida

alla resistenza umana, di esseri ormai irriconoscibili, che emergono a stento dall’ombra, a

cui non è concesso neanche più l’urlo di angoscia, la prepotenza primordiale e regressiva

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del colore. Una figurazione contemporanea che rinnova stilemi tipici del gotico di area

germanica, con le asprezze, le asimmetrie, la resa realistica del dettaglio sgradevole, a cui

non sono estranee le immagini di torture e mutilazioni divulgate quotidianamente dai

mass media nella subliminale indifferenza dello spettatore.

La ricerca di Laura Migotto si concentra sul tema del ritratto, che l’artista affronta con

intenti simbolici, ma con una trattazione cromatica che rimanda piuttosto alla Pop Art. La

sua, è una pittura accattivante, suggestiva, in equilibrio fra realismo fotografico e tensione

verso significati nascosti, evocati tanto nei titoli dei quadri che nelle scritte che a volte

entrano a far parte della composizione. Nei volti femminili, nello sguardo e nell’atteggiarsi

del soggetto, l’artista cerca una verità prima di tutto pittorica e solo in secondo luogo psi-

cologica, interiore. Anzi, quando si fa più palese l’intento allusivo, quei volti sembrano cri-

stallizzati, avulsi da ogni connotazione spazio-temporale, simili a specchi o apparizioni oni-

riche, sfuggenti nella loro corporeità, astratti senza perdere l’effettiva, sostanziale umanità.

Una definizione dell’immagine per frammenti, scorci, apparizioni caratterizza le diverse

opere di Filippetti, ordinate in serie tematiche dove all’affanno, all’urgenza espressiva, alla

rapidità e semplificazione del segno si contrappone una misura compositiva studiata e, a

suo modo, classica. La rilettura del mito e l’uso di un animale totemico danno talvolta alla

sua pittura un connotato arcaizzante, ma più che di richiamo al primordiale di tanta pit-

tura espressionista si tratta della definizione della cifra specifica per un’arte che combat-

te l’angoscia della ripetizione e della dimenticanza opponendo la sua lucidità formale al

nulla in cui l’identità tende a confondersi o frazionarsi in una sequenza irrelata di foto-

grammi, dalla quale è sempre più arduo risalire a un disegno comune.

La ricerca figurativa di Bartoli è caratterizzata dall’accuratezza artigianale, unita a un eclet-

tismo di fondo e al gusto per l’appunto visivo, la notazione colta e registrata al momen-

to. L’artista compone dei veri e propri patchwork d’immagini e scrittura, tessere etero-

genee come pagine di un diario illustrato in cui anche il testo, la calligrafia divengono ele-

mento visuale, reportage del proprio vissuto interiore, dell’oggetto che ha suscitato il

desiderio o l’urgenza di mettere a fuoco e preservare attraverso la rappresentazione o il

commento. L’accostamento di stili, tecniche e modi espressivi differenti e apparentemen-

te incongrui rimanda alla Pop Art inglese, al suo gusto per il collage dipinto, in cui la pit-

tura si fa di volta in volta disegno infantile, riproduzione fotografica, citazione di opere

museali.

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Curve di rosso

lasciano cadere

angoli faticosi

che affannano

lungo

altalene perdute…

porte aprano

petali e fogli

al cuore… alle mani

di pareti di figure

a geometriche

sedute davanti

paesaggi.

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Giorgio Bartoli

Marco Filippetti

Laura Migotto

Dario Puggioni