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L’ERRORE A REGIME NELLE CATENE DI REGOLAZIONE E CONTROLLO Per errore a regime si intende quello rilevato dopo un intervallo sufficientemente lungo dal verificarsi di variazioni del riferimento o da eventuali disturbi. Dallo studio vengono usualmente esclusi i sistemi ON/OFF e quelli non retroazionati; si fa quindi riferimento al seguente schema a blocchi. K 1 = sistema di controllo K 2 = sistema controllato K 3 = sensore-trasduttore di retroazione F.d.T.: funzione di trasferimento ad anello aperto: K 1 *K 2 *K 3 ; F.d.T.: funzione di trasferimento ad anello chiuso con retroazione negativa: K 1 *K 2 /(1+ K 1 *K 2 *K 3 ) I = grandezza in ingresso definita come riferimento. O = grandezza regolata o controllata. C = valore della grandezza riportata dal sensore-trasduttore E = errore dovuto al confronto nel nodo comparatore, mediante retroazione negativa, tra I e C. Vengono esclusi dalla trattazione i sistemi ON/OFF perché si ritiene che in essi l’errore sia sempre nullo, infatti l’uscita ha solo due stati, e la catena non può avere altro risultato che commutarla in uno dei due; ci si può chiedere pertanto solo se il sistema funziona o no, ma non quale sia il suo errore, infatti se il sistema funziona l’errore è nullo. Vengono esclusi i sistemi a catena aperta perché essi non permettono l’inserimento di blocchi di tipo differenziale. Risulta molto difficile raggiungere una certa posizione con un motore elettrico a c.c. come attuatore senza poter comunicare al sistema alcuna informazione relativa al suo raggiungimento. Lo studio a regime dell’errore risulta facilitato solo nel caso in cui si considerino sistemi lineari, cioè schematizzazioni della realtà in cui ogni “blocco” è così caratterizzato: assenza di attriti interni; risoluzione perfetta; assenza di soglie di funzionamento (errori di soglia); assenza di cicli di isteresi (errore d’isteresi); in queste condizioni le funzioni caratteristiche di ogni blocco sono univoche (uniche) quindi ad ogni valore dell’input corrisponde un solo valore dell’output, sono continue con derivata anch’essa continua. In questo caso vale, per l’analisi, il principio di sovrapposizione degli effetti. Ogni scostamento da tale modello per il sistema reale si traduce in un errore a regime diverso da quello calcolato sul modello lineare.

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Page 1: L’ERRORE A REGIME NELLE CATENE DI REGOLAZIONE ......I servocontrolli tipo 1 sono tutti i sistemi posizionatori, quali il controllo del timone delle navi, il puntamento delle antenne

L’ERRORE A REGIME NELLE CATENE DI REGOLAZIONE E CONTROLLO Per errore a regime si intende quello rilevato dopo un intervallo sufficientemente lungo dal verificarsi di variazioni del riferimento o da eventuali disturbi. Dallo studio vengono usualmente esclusi i sistemi ON/OFF e quelli non retroazionati; si fa quindi riferimento al seguente schema a blocchi.

K1 = sistema di controllo K2 = sistema controllato K3 = sensore-trasduttore di retroazione F.d.T.: funzione di trasferimento ad anello aperto: K1*K2*K3; F.d.T.: funzione di trasferimento ad anello chiuso con retroazione negativa: K1*K2/(1+ K1*K2*K3) I = grandezza in ingresso definita come riferimento. O = grandezza regolata o controllata. C = valore della grandezza riportata dal sensore-trasduttore E = errore dovuto al confronto nel nodo comparatore, mediante retroazione negativa, tra I e C. Vengono esclusi dalla trattazione i sistemi ON/OFF perché si ritiene che in essi l’errore sia sempre nullo, infatti l’uscita ha solo due stati, e la catena non può avere altro risultato che commutarla in uno dei due; ci si può chiedere pertanto solo se il sistema funziona o no, ma non quale sia il suo errore, infatti se il sistema funziona l’errore è nullo. Vengono esclusi i sistemi a catena aperta perché essi non permettono l’inserimento di blocchi di tipo differenziale. Risulta molto difficile raggiungere una certa posizione con un motore elettrico a c.c. come attuatore senza poter comunicare al sistema alcuna informazione relativa al suo raggiungimento.

Lo studio a regime dell’errore risulta facilitato solo nel caso in cui si considerino sistemi lineari, cioè schematizzazioni della realtà in cui ogni “blocco” è così caratterizzato:

assenza di attriti interni;

risoluzione perfetta;

assenza di soglie di funzionamento (errori di soglia);

assenza di cicli di isteresi (errore d’isteresi); in queste condizioni le funzioni caratteristiche di ogni blocco sono univoche (uniche) quindi ad ogni valore dell’input corrisponde un solo valore dell’output, sono continue con derivata anch’essa continua. In questo caso vale, per l’analisi, il principio di sovrapposizione degli effetti. Ogni scostamento da tale modello per il sistema reale si traduce in un errore a regime diverso da quello calcolato sul modello lineare.

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LE VARIAZIONI CANONICHE DEL RIFERIMENTO Il riferimento I di input può variare in infiniti modi possibili, tuttavia lo studio teorico ne limita a tre le variazioni significative, per questo dette canoniche. Per completezza si riporta anche il caso della variazione impulsiva.

A) Variazione impulsiva: la grandezza di ingresso I dura un istante indefinito, tendenzialmente con t0 = 0.

B) Variazione a rampa: il riferimento I cambia valore istantaneamente; questo nuovo valore si mantiene costante nel tempo successivamente all’istante t0 di variazione.

C) Variazione a rampa lineare: in essa il riferimento cambia proporzionalmente al tempo (con velocità di variazione costante).

D) Variazione a rampa parabolica: in essa il riferimento cambia proporzionalmente al tempo (con accelerazione di variazione costante).

E) Variazione a rampa sinusoidale: in essa il riferimento cambia secondo una legge sinusoidale.

TIPOLOGIE DI SISTEMI LINEARI

Sistemi tipo 0. Nella catena che rappresenta il sistema distinguiamo il ramo di azione, comprendente i blocchi K1 e K2 e il ramo di retroazione comprendente K3. Se questi blocchi sono tutti proporzionali il sistema è definito di tipo 0, cioè c’è un legame proporzionale tra l’input e l’output di ciascun blocco.

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Variazione a gradino: l’errore a regime permane costante e dipende proporzionalmente a ciascun blocco. Possiamo diminuire l’errore a regime aumentando i singoli fattori di proporzionalità; ciò equivale anche a rendere il sistema più pronto alle variazioni di regime, ma un’eccessiva prontezza può renderlo instabile. Variazione a rampa lineare: l’errore aumenta progressivamente fino al valore limite infinito. Il sistema non è in grado di seguire le variazioni del riferimento I a rampa lineare che avvengono a velocità di variazione costante. Variazione a rampa parabolica: l’errore aumenta proporzionalmente al quadrato del tempo, fino al valore limite infinito. Quindi ancor meno del precedente il sistema è in grado di far fronte alla situazione. I servocontrolli di tipo 0 sono ad esempio tutti i controlli di motore aventi lo scopo di tenere costante il numero di giri al variare del carico. Tali sistemi un tempo venivano chiamati “di posizione”, perché con un valore costante in ingresso (valore di riferimento) presentano un errore altrettanto costante, chiamato a sua volta errore di posizione. Sistemi tipo 1. In questo tipo di sistemi uno qualunque dei blocchi del ramo di azione è di tipo integrale, cioè in essi l’output è proporzionale all’integrale dell’input nel tempo o, che in termini fisici è equivalente, la derivata dell’output rispetto al tempo è proporzionale all’input. Variazione a gradino: l’errore a regime si annulla. Variazione a rampa lineare: l’errore è costante al termine del transitorio, riducibile aumentando i singoli fattori di proporzionalità; tale aumento può però provocare instabilità come nei caso dei sistemi di tipo 0. Variazione a rampa parabolica: l’errore a regime diventa infinito; Il sistema non è in grado di seguire le variazioni del riferimento I. I servocontrolli tipo 1 sono tutti i sistemi posizionatori, quali il controllo del timone delle navi, il puntamento delle antenne radar, il controllo di assi meccanici, ecc. Essi venivano chiamati sistemi di “velocità” perché con un ingresso variabile a velocità costante presentano errore costante, detto a sua volta errore di velocità. Sistemi tipo 2. In questo tipo di sistemi due dei blocchi del ramo di azione sono di tipo integrale, cioè in essi la derivata dell’output rispetto al tempo è proporzionale all’input. Variazione a gradino: l’errore a regime si annulla. Variazione a rampa lineare: l’errore a regime si annulla. Variazione a rampa parabolica: l’errore a regime diventa costante. I servocontrolli di tipo 2 sono piuttosto rari, perché di difficile stabilizzazione. Il loro impiego è giustificato solo in sistemi di posizionamento e inseguimento ad altissima precisione ( ad esempio in macchine utensili). in cui è accettabile l’uso di dispositivi accessori anche complessi per ottenere un comportamento stabile in ogni circostanza. Venivano chiamati “di accelerazione” perché per ingresso ad accelerazione costante presentano errore costante, detto a sua volta errore di accelerazione. Sistemi di tipo superiore: trova applicazione, a rigore, un ultimo tipo di servocontrollo, il tipo 3; esso presenta errore nullo per ingresso a gradino, a rampa lineare e a rampa parabolica, errore costante per parabola cubica, ed errore crescente per parabola del quarto ordine e superiore. Questi servocontrolli si applicano in campo aeronautico, in particolare nella missilistica, e presentano problemi di stabilità anche più gravi dei sistemi tipo 2.

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B

C

D

Sistemi smorzati Sistemi non smorzati

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LA COMPENSAZIONE NELLA RISPOSTA DI UN SISTEMA AUTOMATICO (RETROAZIONATO). Il comportamento di una regolazione automatica è definito da diversi parametri, che sono: la stabilità, la sensibilità, la precisione, i tempi di risposta nell’intervento correttivo. Queste caratteristiche sono difficilmente ottenibili contemporaneamente e al massimo grado, perché sono in antitesi tra loro. Consideriamo infatti il comportamento di un sistema di tipo 0 di fronte a una variazione a gradino del riferimento. possiamo come visto minimizzare l’errore E aumentando i fattori di proporzionalità Kn, in tal caso però il comportamento nel transitorio è caratterizzato da un’oscillazione che può portare il sistema all’instabilità. L’errore a regime è inferiore (E2<E1), ma la durata del transitorio aumenta fino a pregiudicare la stabilità. In situazioni analoghe di incompatibilità fra le caratteristiche desiderate, dove si impone il raggiungimento di migliori prestazioni da parte del sistema, si introduce la compensazione.

La stabilizzazione di un sistema automatico si può realizzare con l’inserimento di una opportuna rete correttrice, così definita perché modifica l’originaria “funzione di trasferimento” in una più vantaggiosa, soprattutto in termini di stabilità. Le reti corretrici possono essere inserite:

nella linea di andata;

nella linea di ritorno;

in anelli di retroazione a blocchi particolari del sistema, di cui si desidera modificare le prestazioni.

Nei primi due casi si parla di compensazione in cascata, nel terzo di compensazione con retroazione. Ove si scelga l’inserzione in cascata, si dovrà preferire l’inserimento negli stadi a bassa potenza: perciò nella linea di retroazione o immediatamente a valle del comparatore (prima dell’amplificatore). Ciò per minimizzare le perdite di potenza dovute a fenomeni dissipativi che vi hanno luogo. Il fattore di guadagno dell’elemento correttore dovrà essere prossimo all’unità e molto stabile, poiché dal suo intervento dipende l’azione stabilizzatrice.

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Le reti correttrici possono essere realizzate con diverse tecnologie. Le prime realizzazioni erano elettriche (con resistenza e capacità) o meccaniche (con molle e smorzatori) o pneumatiche/idrauliche (con strozzature e serbatoi); quelle moderne sono elettroniche e basate sull’impiego di amplificatori operazionali. Esistono in letteratura delle reti correttive:

anticipatrici;

ritardatrici;

anticipatrici-ritardatrici; Il progetto di una rete correttrice richiede la conoscenza dei modelli matematici dei vari sottosistemi dell’anello di retroazione. In molte circostanze, soprattutto nel caso dei processi termici a carico di fluidi, il modello matematico è invece noto solo attraverso grandi semplificazioni. Perciò, molto spesso, anziché procedere al progetto della rete correttrice per lo specifico sistema di controllo, si preferisce ricorrere a reti correttrici standard, a parametri regolabili, in modo da poterle adattare a qualunque tipo di sistema controllato. Faremo riferimento soprattutto ai regolatori, il cui scopo è quello di mantenere costante una certa grandezza contrastando rapidamente ed efficacemente i disturbi, i quali sono rappresentati dai carichi applicati al sistema regolato. In questo campo le reti correttrici prendono il nome di regolatori standard. REGOLATORI PROPORZIONALI Un regolatore proporzionale presenta la FdT o guadagno di regolazione GREG= KP e pertanto modifica il guadagno statico dell’anello aperto. Di solito, per la stabilizzazione, è richiesta una attenuazione del guadagno. L’operazione tuttavia riesce in un numero limitato di casi, perché l’attenuazione del guadagno implica un peggioramento della prontezza di risposta, della precisione e della fedeltà di risposta.

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8.13 Pendolazione nei sistemi di controllo semplicemente proporzionali (guadagni crescenti) REGOLATORI INTEGRATORI Nei casi in cui non sia applicabile la regolazione semplicemente proporzionale si può inserire un blocco integratore che porti da o a 1 il tipo di sistema. Il regolatore integratore presenta la FdT pari a GREG= KI/t. Se il disturbo è a gradino, la variabile controllata assume oscillazioni permanenti. Appena compare il disturbo si genera un errore: l’azione regolante è inizialmente nulla e cresce col tempo, permanendo l’errore iniziale: appena l’azione regolante raggiunge un valore sufficiente, la grandezza controllata viene indotta a tornare al set-point, ma l’azione regolante cresce ugualmente col tempo (sebbene meno rapidamente di prima perché l’errore è minore); cosicché, per inerzia, la grandezza regolata oltrepassa il set-point, generando un errore di segno opposto; questo innesca fenomeni analoghi a quelli descritti, con un nuovo overshoot da parte opposta; e così si procede. Da quanto visto si deduce che il controllo semplicemente integrale si presta per variazioni di carico (disturbi) lente, anche se ampie. Se invece fossero repentine l’intervento risulterebbe nei primi istanti insufficiente e l’errore persisterebbe per un tempo eccessivo. Il suo grande vantaggio è che può intervenire nel caso di piccoli errori non rilevati dal controllo proporzionale: l’azione correttiva cresce fino a che non raggiunge il valore sufficiente ad annullare l’errore. Ulteriore vantaggio è quello di minimizzare l’effetto dei piccoli errori variabili rapidamente (ad alta frequenza) a valore medio nullo. Poiché la regolazione semplicemente integrale raramente è stabile non viene mai impiegata da sola in concomitanza con l’azione proporzionale.

Guadagno crescente

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Possibile effetto della regolazione semplicemente integrale in conseguenza di un disturbo a gradino.

REGOLATORI DERIVATIVI Il controllo con regolazione derivativa si presenta valido quando il sistema presenta ritardi notevoli. Infatti l’azione della derivazione anticipa la risposta regolante. L’azione regolante è proporzionale alla derivata dell’errore e poiché questa è inizialmente elevata, l’azione regolante risulta più decisa che se vi fosse l’azione proporzionale. Tuttavia, anche l’azione derivativa da sola è instabile, perché svolge una funzione opposta a quella integrale: la decisa azione regolante può spingere oltre il set-point la variabile regolata, con conseguente nuovo errore di segno opposto, e così via. In generale i regolatori standard si utilizzano accoppiati nelle seguenti forme:

proporzionale-integrale: viene identificato con la sigla PI e svolge un’azione del tutto analoga a quella di una rete ritardatrice. Il suo pregio maggiore è quello di una prontezza di risposta superiore ad un semplice regolatore integrale, per questo motivo è uno dei più applicati in pratica.

proporzionale-derivativo: viene identificato con la sigla PD. In alcuni casi, quando in un sistema di regolazione intervengono bruscamente dei disturbi di una certa entità, l’errore può assumere rapidamente valori elevati, In tale circostanza, per limitare l’entità dell’errore, può essere utile introdurre un elemento sensibile alla velocità di variazione dell’errore, in modo che il sistema possa reagire molto più rapidamente di quanto consentito ad una regolazione semplicemente proporzionale.

Questo tipo di regolatore svolge funzioni analoghe a quelle di una rete correttrice anticipatrice.

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proporzionale-derivativo-integrativo: viene identificato dalla sigla PID e presenta tutte etre le azioni elementari sopra descritte. Esso risulta del tutto equivalente ad una rete anticipatrice-ritardatrice. Questo regolatore presenta, rispetto al tipo PD, il vantaggio di consentire, oltre una buona prontezza di risposta, anche un errore statico nullo.

Il regolatore a triplice azione è pertanto il più generale: scegliendo opportunamente i valori dei tre parametri che ne caratterizzano il comportamento dinamico si possono infatti ottenere, come casi particolari, le azioni di tutti i tipi di regolatori precedentemente presi in esame. La sua messa a punto è però la più delicata, e pertanto nella maggior parte delle applicazioni è preferito il regolatore PI. Attualmente, i regolatori standard vengono costruiti in tecnologia elettronica, ma nel passato la maggior parte dei regolatori industriali è stata di tipo pneumatico. Di questi viene tuttora fatto largo uso, specie negli impianti dell’industria petrolchimica, nei quali si vuole evitare il pericolo di incendi, legato a componenti di tipo elettrico.