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L’industria bellica italiana 1861-1945 149
trato l’attenzione sull’azione dei diversi organi dello Stato — in questo, se si vuole, giustificati dallo scarso peso delle commesse all’industria nei bilanci complessivi delle forze armate —, con detrimento dei risultati analitici conseguibili sul piano della conoscenza storica. In entrambi i casi, anche se per motivi diversivi è prodotta, come si è già avuto modo di ricordare, un’attenzione del tutto insufficiente all’industria degli armamenti in senso stretto.
L’attuale situazione è sicuramente caratterizzata dalla minore “urgenza” di un giudizio complessivo sulle scelte della classe dirigente e da un forte sviluppo della storia d’impresa, che possono essere condizioni per una più articolata riflessione anche sulle vicende che si sono richiamate. A condizione, tuttavia, che l’abbandono di un giudizio sterilmente moralistico tenga in considerazione almeno due necessità. In primo luogo, come si è detto, evitare di considerare isolatamente i vari aspetti dell’attività industriale, dalle scelte organizzative, tecnologiche e finanziarie ai rapporti con le amministrazio
ni pubbliche, alla condizione operaia, o, per meglio dire, del personale nel suo complesso. In secondo luogo, riconsiderare critica- mente il giudizio di matrice liberista, prendendo al contempo in considerazione frodi e speculazioni legate alle commesse pubbliche, dovrebbe portare a studiare le specifiche caratteristiche di una attività che funziona con esigenze particolari e il cui sviluppo è stato giustificato, per un lungo periodo della storia nazionale, sulla base di motivazioni attinenti la più generale crescita industriale del paese e come espressione di scelte complessive della classe dirigente. In questo senso, oltre che per il peso nel contesto dell’industria nazionale, si può parlare di una progressiva perdita di importanza dell’industria degli armamenti con il passaggio dall’età liberale a quella fascista, alla repubblica. Ma a questo punto, con il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, si aprirebbe un discorso completamente diverso.
Andrea Curami Paolo Ferrari
L’Ansaldo industria bellica
Fabio Degli Esposti
Ad oltre trentacinque anni di distanza dalla pubblicazione del volume celebrativo di Emanuele Gazzo per il centenario dell’An- saldo, l’uscita del lavoro di Marco Doria1 costituisce un importante momento di sintesi e di riflessione su un’impresa emble
matica nella storia dell’industria italiana.Se si esclude il contributo di Ernesto Galli
della Loggia2 apparso nel 1970, i diversi lavori relativi all’Ansaldo si sono concentrati nell’ultimo decennio, soprattutto in risposta ad un articolo di Richard A. Webster3 ten
1 Emanuele Gazzo, I cento anni dell’Ansaldo 1853-1953, Genova, 1953; Marco Doria, Ansaldo. L ’impresa e lo stato, Milano, Angeli, 1989.2 Ernesto Galli della Loggia, Problemi di sviluppo industriale e nuovi equilibri politici alla vigilia della prima guerra mondiale: la fondazione della Banca Italiana di Sconto, “Rivista storica italiana”, 1970, n. 4.3 Richard A. Webster, La tecnocrazia italiana e i sistemi industriali verticali: il caso dell’Ansaldo, “Storia contemporanea”, 1978, n. 2.
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dente a presentare i fratelli Perrone come elementi di punta di un fallito tentativo di instaurare nell’Italia uscita dalla grande guerra un regime di tipo tecnocratico. Un’ipotesi azzardata, che ha però stimolato una serie di indagini volte ad approfondire nei loro diversi aspetti i tratti distintivi dell’impresa, ovvero la sua struttura verticalmente integrata. Questo non perché essa costituisca una novità assoluta: il modello dell’integrazione verticale si afferma in tutto il mondo industrializzato a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, ed anche in Italia l’Ansaldo non rappresenta il primo caso in tal senso: si pensi ad esempio al trust siderurgico-cantieristico Terni e alla sua collaborazione con la Vickers nei primi anni del secolo4. Tuttavia le dimensioni raggiunte dal gruppo genovese e la rapidità con cui esso conseguì una posizione di primato hanno sicuramente attirato l’attenzione degli studiosi. Così Anna Maria Falcherò si è occupata dell’organizzazione finanziaria che sosteneva il funzionamento di questo impero industriale, e lo stesso Doria ha indagato su alcuni comparti (siderurgico, elettrotecnico) fon
damentali per il funzionamento di una siffatta struttura produttiva5. A questi vanno aggiunti lavori come quelli di Ferdinando Fasce, di Andrea Curami e Fulvio Miglia, di Luciano Segreto, di Fortunato Minniti6, che prendono invece in considerazione un aspetto più vicino al tema che indaghiamo, e che riveste comunque un’importanza fondamentale: la produzione degli armamenti. L’ampio respiro che caratterizza il lavoro di Doria gli consente di spostare almeno in parte gli indirizzi della ricerca: la questione dell’integrazione verticale viene ricondotta all’interno di un’impostazione teorica più complessiva, che mette in primo piano — e il titolo scelto non potrebbe essere più esplicito — il rapporto ininterrotto esistente fra l’industria e lo stato7.
La società in accomandita Gio. Ansaldo & C. nasce nel 1853 sulle ceneri della ditta Taylor-Prandi, formatasi proprio per sfruttare le commesse di materiale ferroviario da parte del governo piemontese; un’operazione che, per Doria, si connota anche in senso politico, come tentativo di stringere più stretti legami fra stato sabaudo e classe diri-
4 Per le vicende relative alla Terni si vedano l’ormai classico Franco Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. La Terni dal 1884 al 1962, Torino, Einaudi, 1975, e Luciano Segreto, More Trouble than Profit: Vickers’ Investment in Italy 1906-1939, “Business history”, 1985, n. 3.5 Anna Maria Falcherò, Banchieri e politici. Nitti e il gruppo Ansaldo-Banca di Sconto, “Italia contemporanea”, 1982, nn. 146-147; Id., Il gruppo Ansaldo-Banca di Sconto e le vicende bancarie italiane nel primo dopoguerra, in Peter Hertner, Giorgio Mori (a cura di), La transizione dall’economia di guerra all’economia di pace in Italia e in Germania dopo la Prima Guerra Mondiale, Bologna, Il Mulino, 1983; Id., La piramide effimera. Il sistema verticale Ansaldo dai primi passi alla distruzione, in Studi in memoria di Mario Abrate, Torino, Einaudi, 1986; Id., La Banca Italiana di Sconto, (1914-21). Sette anni di guerra, Milano, Angeli, 1990. M. Doria, Dal progetto di integrazione verticale alle ristrutturazioni dellTri: la siderurgia Ansaldo (1900-1935), “Annali della Fondazione Luigi Einaudi”, 1984; Id., Una “via nazionale” all’industrializzazione: l ’Elettrotecnico Ansaldo dall’inizio del secolo alla Seconda Guerra Mondiale, “Annali di storia dell’impresa”, 1988, n. 4. Per le vicende dell’Ansaldo in epoca fascista, si veda anche: Paride Rugafiori, Uomini, macchine e capitali. L ’Ansaldo durante il fascismo 1922-1945, Milano, Feltrinelli, 1981.6 Ferdinando Fasce, Strategie imprenditoriali e mercato mondiale degli armamenti: i rapporti fra l ’Ansaldo e la siderurgia Usa nel primo Novecento, “Società e storia”, 1987, n. 38. Andrea Curami, Fulvio Miglia, L ’Ansaldo e l ’industria bellica, in L ’Italia nella seconda guerra mondiale e nella resistenza, Milano, Angeli/Insmli, 1986. Fortunato Minniti, Il problema degli armamenti nella preparazione militare italiana dal 1935 al 1943, “Storia contemporanea”, 1978, n. 1; Id., Due anni di attività del Fabbriguerra (1939-41), “Storia contemporanea”, 1975, n. 4; L. Segreto, Armi e munizioni. Lo sforzo bellico tra speculazione e progresso tecnico, “Italia contemporanea”, 1982, nn. 146-147.7 II riferimento è ovviamente a F. Bonelli, Il capitalismo italiano. Linee generali d ’interpretazione, in Storia d ’Italia, Annale 1, Torino, Einaudi, 1978.
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gente genovese8. Il tentativo conosce un sostanziale fallimento, soprattutto per effetto della concorrenza straniera. Per i proprietari dello stabilimento, Rubattino e Bombrini, l’unica strada praticabile sembra essere quella della cantieristica, orientata in particolare verso la realizzazione di navi da guerra o di loro componenti. Non casualmente il risultato produttivo più importante fino a tutti gli anni settanta è rappresentato dalla costruzione dell’apparato motore della corazzata Palestro nel 18719. Va anzitutto rilevato come il rapporto con lo stato sia soprattutto rapporto con una sua amministrazione, la Marina, non a caso destinataria delle richieste — e spesso delle critiche — delle industrie private e delle stesse autorità locali che le sostengono10. Si deve inoltre pensare che le difficoltà incontrate dall’An- saldo nel corso degli anni settanta non dipendano solo dall’alto prezzo dei suoi prodotti e dalla scarsità delle commesse, ma anche dal persistere di un’inferiorità tecnologica del suo prodotto, nonostante le dichiarazioni ufficiali in senso contrario11. Il superamento del modello dell’arsenale, sebbene in
atto, non può dirsi ancora del tutto compiuto. Ne sarebbe prova l’accanimento con cui l’amministrazione della Marina sosteneva la necessità di dare lavoro anche ai cantieri degli arsenali, facendo proprie le argomentazioni di salvaguardia dell’ordine sociale avanzate dai critici della politica del ministero: togliere lavoro agli arsenali significava creare disoccupazione in misura ancora maggiore che non affidando le commesse all’industria privata12.
Negli anni ottanta gli industriali cominciano a cogliere i primi frutti del lento formarsi di una visione industrialista nella classe politica alla guida del paese e l’Ansaldo può affrontare con maggiori speranze una congiuntura sostenuta dalla ripresa della spesa pubblica, che si esprime soprattutto in acquisti di materiale rotabile da parte delle società private (che ottengono per questo finanziamenti pubblici) e in commesse per i cantieri navali, principalmente per la costruzione di unità da guerra13. È comunque la vocazione cantieristica a prevalere, anche grazie ad una favorevole congiuntura sul mercato internazionale degli armamenti che
8 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 27.9 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 30.!0 Si veda per questo Archivio Centrale dello Stato (Acs), fondo Presidenza del Consiglio dei Ministri (Pcm), 1879- 80, b. 32, f. 219. In questi mesi si sviluppa una vera e propria polemica a distanza fra il ministro della Marina e il prefetto di Genova, il quale rimprovera all’amministrazione di non aver sufficientemente a cuore le sorti dell’industria nazionale.11 In una lettera in data 10 ottobre 1878 indirizzata dal ministro della Marina a Depretis si ribadiva il fatto che la Marina, pur compiendo ogni sforzo al fine di assegnare le proprie commesse alle industrie nazionali, riteneva che per i lavori più impegnativi — nel caso specifico si trattava della costruzione dell’apparato motore della corazzata Lepanto, che PAnsaldo reclamava per sé — queste non fossero ancora in grado di garantire risultati soddisfacenti, costringendo l’amministrazione del ministero a far eseguire questi lavori all’estero (Acs, Pcm, 1879/80, b. 32, f. 219). La costruzione dell’apparato motore della Lepanto venne poi eseguita dalla Penn & Sons. Per ulteriori dettagli si veda Luigi Orlando e i suoi fratelli per la Patria e per l ’industria italiana, Roma, Forzani, 1898.12 Tale è il parere espresso dal ministro in una sua lettera in data 6 ottobre 1878 al presedente del Consiglio Benedetto Cairoli. La polemica è ancora una volta con il prefetto di Genova, che sosteneva le richieste di lavoro del- l’Ansaldo. Acs, Pcm, 1897/80, b. 32, f. 219.13 L’esordio degli anni ottanta è comunque diffìcile per l’Ansaldo. In un memoriale inviato da Carlo Marcello Bombrini alla Presidenza del Consiglio (17 aprile 1883) si dà notizia dei lavori in corso nello stabilimento e nel cantiere: 12 locomotive per le Ferrovie Romane, le macchine della Amerigo Vespucci, venti piattaforme ferroviarie per la Società Alta Italia, l’allestimento del piroscafo S. Gottardo. Fino a poco tempo prima lo stabilimento impiegava 1180 operai, già ridotti ad 870 per la conclusione di alcuni lavori, e si paventa che il numero dei lavoranti possa diminuire fino a 150 unità, con evidenti gravi conseguenze di ordine sociale. Acs, Pcm, 1883, b. 48, f. 77.
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consente all’Ansaldo di vendere diverse unità alla Spagna, all’Argentina, alla Turchia e al Giappone. Ed è proprio all’attività cantieristica che si legano — come giustamente sottolinea Doria — i primi passi compiuti dalla società genovese sulla via dell’integrazione verticale: l’acquisizione della Delta (1894), la costruzione delle Fonderie e Acciaierie (1898-1900) e dell’Elettrotecnico (1899). All’inizio del Novecento altri progressi verranno compiuti su questa strada: in primo luogo l’alleanza con la Armstrong, uno dei colossi inglesi dell’industria bellica, presente in Italia già dal 1885 con una fabbrica di artiglierie, e poi i contatti, ancorché infruttuosi, con alcune imprese siderurgiche americane14 e con la Skoda, altra produttrice di artiglieria. I rapporti più importanti furono in definitiva con la Krupp e con la Schneider15.
Vale la pena di osservare che le decisioni relative all’integrazione verticale, sia all’interno del complesso Ansaldo sia in collabo- razione con imprese straniere, derivano in parte dalla già ricordata necessità di adeguarsi a strategie industriali generalmente affermate, e in parte dalla continua ricerca di un know how tecnologico di buon livello. La strada battuta dalle imprese italiane è quella dell’acquisto dei brevetti, e solo di rado quella dello sviluppo autonomo di tecnologia propria: per Doria si tratta di un passaggio obbligato per l’acquisizione di un bagaglio di tecnologia che verrà messo a frutto negli anni della guerra. Fino al primo conflitto mondiale l’attività dell’Ansaldo si con
centra sulla cantieristica, sebbene sia proprio il settore delle costruzioni navali a realizzare i risultati gestionali meno soddisfacenti, mentre ottengono le performances migliori lo Stabilimento meccanico, cui i Per- rone dedicano una grande attenzione, soprattutto per attrezzarlo alla produzione di artiglierie, e l’Elettrotecnico16.
Sul periodo bellico, che rappresenta un’occasione irripetibile per realizzare un flusso abbondante e continuo di profitti da impiegare nei programmi industriali, sono stati compiuti i maggiori sforzi interpretativi, anche per la vastità dei progetti messi in piedi dai Perrone e per le loro implicazioni, non solo nel campo della produzione industriale ma anche in quello dell’organizzazione dei rapporti di lavoro e dei legami con il mondo politico. Doria mette in evidenza come la scelta di rafforzamento del sistema verticalmente integrato provocasse alla lunga un’eccessiva sottovalutazione dei costi di produzione, cosa che avrebbe avuto risvolti negativi con il ritorno a condizioni di mercato normali, oltre a causare dei veri e propri errori di programmazione industriale17.
Forse sarebbe stata necessaria una maggiore attenzione agli aspetti più propriamente materiali della questione, ovvero alla produzione di mezzi ed armamenti. Consideriamo ad esempio le produzioni di artiglieria. Un problema sicuramente di assai difficile soluzione, anche perché “inquinato” dalla vastissima letteratura, agiografica o denigratoria, sulla consistenza effettiva della produzione bellica dell’Ansaldo18. Si può esprime-
14 F. Fasce, Strategie imprenditoriali, cit., pp. 920-35.15 Era Krupp il brevetto del 75 mod. 1906, per le cui vicende si veda Carlo Montù, Storia dell’artiglieria italiana, Roma, Rivista di Artiglieria e Genio, 1935, vol. VII, pp. 1337-54. Schneider erano invece i brevetti del 102/35 e del 105/28.16 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 82.17 Si veda a questo proposito il giudizio espresso da Agostino Rocca nel corso delle sedute del Comitato Tecnico per lo studio dei problemi della siderurgia bellica speciale (1934) e negli studi preparati dallo stesso Rocca come base per i lavori del Comitato. Archivio Storico della Banca Commerciale Italiana (Asbci), Archivio Sofindit (Sof), cartella 323, fascicoli 1 e 4.18 Di questa pubblicistica ricorderemo: Tullio Spiller, L ’Ansaldo e l ’Artiglieria durante la guerra, Genova, s.d.;
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re il dubbio che le valutazioni di Bocciardo19 sulle produzioni di artiglieria da parte delle varie industrie italiane nel corso del conflitto non siano del tutto attendibili, soprattutto in considerazione del fatto che l’autore — siamo nel 1924 — è già a capo del complesso Terni, grande rivale della vecchia Ansaldo. Bocciardo parla infatti di 6.737 pezzi di vario tipo, mentre le fonti aziendali Ansaldo propongono stime comunque superiori ai10.000 pezzi. Esistono inoltre alcune stime sui livelli produttivi raggiunti dall’Ansaldo nel periodo del conflitto e dati disaggregati sulla stima fornita da un dossier Iri20.
Un altro argomento di particolare interesse è rappresentato dallo sviluppo delle produzioni aeronautiche; un settore nel quale i Perrone tentarono di inserirsi fin dalla metà del 1916, prima progettando di entrare in forze nella Società per lo sviluppo dell’aviazione in Italia, acquisendo la quota azionaria del senatore Carlo Esterle, e successivamente realizzando i propri cantieri aeronautici (Borzoli, Bolzaneto, Cadimare) e assorbendo alcune delle principali imprese produttrici di apparecchi (la Società Italiana
Transaerea e la ing. Pomilio, entrambe di Torino) e di motori (la Spa e la ex Fiat-S. Giorgio)21. Anche per le forniture di materiale d’aviazione le polemiche postbelliche hanno impedito una precisa valutazione dei risultati produttivi. Nel caso dell’Ansaldo alle valutazioni di fonte aziendale, che, basandosi sulle ordinazioni passate all’impresa, parlano di oltre 3.800 apparecchi prodotti, si contrappongono quelle di Mantegazza22, che, usando la fonte dell’Inchiesta parlamentare per le spese di guerra, stima l’ammontare della produzione diretta dell’Ansal- do a 1.100 unità circa; queste salgono però a più di 3.000 se si aggiunge il contributo delle imprese controllate, ovvero la Sit e la Pomilio. È tuttavia importante rilevare che queste valutazioni sono almeno in parte fuorvianti: non si può infatti attribuire al gruppo Ansaldo l’intera produzione della Transaerea e della Pomilio, dal momento che queste due società vennero assorbite rispettivamente nel 1917 e nel 1918. I dati forniti da Mantegazza paiono comunque confermati da uno studio condotto dalla Direzione tecnica aviazione militare all’inizio del 191923.
Ettore Bravetta, I ‘fabbri di guerra”, Genova, 1930; Pio e Mario Perrone, L ’Ansaldo, la Guerra e il problema nazionale delle Miniere di Cogne, Roma, 1932; Manfredi Palumbo Vargas, La distruzione dell’Ansaldo, Genova, 1924.19 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 115.20 Lettera di Bocciardo, Archivio storico Banca d’Italia, fondo 25, Consorzio sovvenzioni valori industriali, pr. 445 (M. Doria, Ansaldo, cit. p. 115); P. e M. Perrone, L ’Ansaldo, la guerra, cit., p. 27, parlano di 10.900 artiglierie, mentre in Archivio Storico Ansaldo (d’ora in poi Asa), Serie scatole numeri blu, (snb), 532/4 viene proposta la stima di 10.097 artiglierie (M. Doria, Ansaldo, cit. p. 115). Considerando la fonte: Produzione artiglierie, prospetto 3 (Acs, Iri, sr, b. 434), si hanno, per le bocche da fuoco e le masse oscillanti consegnate dall’Ansaldo nel 1914-19 alle forze armate, i seguenti dati. Si indicano di seguito i vari calibri e le consegne fatte rispettivamente a esercito e marina: 70 e bombarde (710; —); 75/27 (2.477; —); 76/17 (12; 54); 76/40. 50 (181; 131); 102/35 (334; 201); 102/45 (—; 100); 105 obice (410; —); 105/28-106 (1736; —); 149/12 (962; —); 149/35 (262; —); 152/45 (62; 40); 210/8 (66; —); 260/9 (138; —); 381/40 (7; 2). Si tratta complessivamente di 7.885 pezzi, 7.357 consegnati all’esercito e 528 alla marina.21 Per i rapporti fra i Perrone e i fratelli Caproni, i dirigenti della Società per lo sviluppo dell’aviazione in Italia con cui si trattò per un eventuale ingresso dell’Ansaldo nella società, si veda la lettera di Pio Perrone a Federico Caproni, 6 luglio 1916, Asa, Snb, 1111/22. Devo il documento alla cortesia di Andrea Curami.22 M. Doria, Ansaldo, cit. pp. 118-9; Amilcare Mantegazza, La formazione del settore areonautico italiano, “Annali di storia dell’impresa”, 1986, n. 2.2’ Direzione Tecnica Aviazione Militare (ma Luigi Moda e Amedeo Fiore), Sviluppo della produzione aviatoria militare nel quadriennio 1918-18, Roma, 1919. Lo studio propone, per quanto riguarda le ordinazioni di apparecchi, le seguenti cifre: Sit 212 (non esiste un’ordinazione per i 51 Blériot prodotti nel 1915); Pomilio 2205; Ansaldo 3435. Nella monografia Ansaldo relativa ai cantieri aeronautici sono riportati poi alcuni dati relativi alla produzio-
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Non è il caso in questa sede di ripercorrere le vicende che portarono, nei primi anni del dopoguerra, alla crisi del sistema verticale Ansaldo, dopo la crescita degli anni del conflitto: si tratta di un fenomeno comune a tutti i maggiori gruppi industriali italiani, anche se va messo in rilievo come l’espansione dell’Ansaldo fosse stata senza dubbio la più cospicua. Sul problema delle cause di questa crisi due sembrano essere gli ordini di fattori da tenere in considerazione. Il primo — sottolineato da Doria e da tutti gli autori che si sono occupati della questione — è legato ad errori strategici di gestione industriale, ovvero all’incapacità da parte dei fratelli Perrone di comprendere che la riconversione postbellica sarebbe passata attraverso una congiuntura di bassi prezzi e di mercati ristretti, rendendo impraticabile il progetto di “conversione espansiva” .
In secondo luogo si dovrebbe riflettere ulteriormente sulla questione della sistemazione finanziaria delle commesse belliche non realizzate al termine del conflitto. Si è osservato come l’Ansaldo ricevesse un trattamento di favore da parte del Comitato interministeriale per la sistemazione delle industrie di guerra, dal quale ottenne, a fronte di commesse rescisse per un valore di 677 milioni, un indennizzo di 664 milioni, mentre per tutte le altre imprese si parla di ordinazioni annullate per ben 5 miliardi, compensate con appena 905 milioni24. Va tuttavia rilevato che il Comitato interministeriale aveva i suoi elementi di punta in uomini come Ettore Conti (presidente) e Arturo Bocciardo (segretario generale), legati stretta- mente alla Commerciale. Non si vede come questi fossero interessati a riservare un trattamento di favore ad un gruppo industriale acerrimo nemico dell’istituto milanese, men
tre le altre imprese — fra cui quelle legate alla Commerciale — dovevano accontentarsi di indennizzi ben più modesti. E, pur ammettendo un’ipotesi di questo tipo, resterebbe da chiedersi quali furono i fattori politici che resero possibile concedere indennizzi così cospicui ad una sola impresa. Ancora motivazioni politiche — ovvero la mancanza di un preciso referente in ambito governativo25 — dovettero essere alla base della successiva decisione di non applicare all’Ansaldo quei provvedimenti da “capitalismo assistito” che pure — rileva Doria — non erano certo mancati nella storia industriale italiana.
Le polemiche che in quegli anni caratterizzarono il dibattito sull’entità delle forniture effettuate dalle diverse imprese e sui pagamenti ricevuti non consentono di dare una risposta sufficientemente persuasiva alla questione. Inoltre, come osserva Doria26 le ampie deroghe concesse dallo stato in materia di stipulazione dei contratti e dei pagamenti rendono meno attendibili le fonti pubbliche. Se è vero che il prezzo delle forniture sfugge in buona misura al controllo pubblico, in particolare a quello della Corte dei Conti, è però forse possibile usare questa fonte documentaria in altro modo, e cioè per cercare di rilevare l’entità dei pagamenti da essa registrati a favore delle imprese, confrontandoli con quelli riportati nei bilanci Ansaldo alla voce “rate incassate in conto lavori”. I dati sono ovviamente parziali, dal momento che comprendono solo i decreti del ministero della Guerra e del ministero per le Armi e Munizioni, prendendo in considerazione solo l’Ansaldo e non le altre società del gruppo, ed escludendo inoltre i pagamenti effettuati dal ministero della Marina, anche se si deve ricordare che nel corso della prima guerra mondiale l’Ansaldo lavo-
ne dello stabilimento Pomilio, che sarebbe ammontata, fra l’ottobre del 1916 e l’ottobre del 1919, a 1872 apparecchi. Asa, Snb, 532/7.24 M. Doria, Ansaldo, cit. pp. 128-9.25 M. Doria, Ansaldo, cit. pp. 144-5.26 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 97.
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rò soprattutto per l’esercito. Più grave è forse l’assenza di riferimenti precisi relativi alle produzioni aeronautiche, sia quelle delle imprese collegate, come la Pomilio o la Sit, sia quelle della stessa Ansaldo. Al di là di questi limiti, un confronto fra le due fonti27 consente alcune brevi considerazioni: in primo luogo non si può non rilevare l’esistenza di una sensibile differenza fra le cifre riguardanti la Corte dei conti (oltretutto, come detto, incomplete) e quelle riportate nei bilanci della società, cosa che può far nascere dei seri dubbi sull’attendibilità di queste ultime. Oltre a ciò è interessante osservare la sensibile diversità di valutazione per ciò che riguarda i tempi in cui vennero effettuati i pagamenti a favore dell’Ansaldo. Emerge in particolare la consistenza degli anticipi concessi alla società all’inizio del conflitto, e, elemento che le registrazioni della Corte dei Conti mettono in evidenza, la tempestività con cui sarebbero state liquidate le spettanze dei Perrone. Questo è un fatto da non trascurare, poiché la disponibilità in tempi rapidi di ingenti mezzi finanziari ha non poca importanza nel determinare le decisioni d’investimento dell’impresa. Purtroppo la scarsa disaggregazione dei dati relativi al 1919, in particolare il pagamento di 300 milioni del febbraio 1919, non ci consente di valutare sia pur approssimativamente l’effettiva consistenza delle liquidazioni per le commesse belliche rescisse.
Con l’uscita di scena dei Perrone alla fine
del 1921, si apre per l’Ansaldo una lunga fase di incertezza, che la rende un’“impresa senz’anima”. Ciò non è da ricollegarsi a un deciso mutamento strutturale dell’impresa; essa perde sì gli impianti di Cogne, la San Giorgio, gli stabilimenti torinesi che avevano prodotto gli aeroplani ed ora si dedicavano agli autoveicoli, ma nel corso degli anni venti ricostituisce quello che era il suo assetto prebellico: stabilimento Meccanico ed Elettrotecnico, stabilimento Fossati, acciaierie, cantieristica. Inoltre, nel 1929, viene assegnato all’Ansaldo lo stabilimento di Pozzuoli ex Armstrong, un chiaro segno della volontà dello stato di fare dell’Ansaldo il nucleo principale della produzione bellica nazionale28. D’altra parte anche le altre principali attività dell’Ansaldo — costruzione di materiale ferroviario, attività cantieristica — sono strettamente legate a commesse provenienti da amministrazioni dello stato. Si comprende dunque come, in assenza di livelli di spesa pubblica elevati, la situazione finanziaria dell’Ansaldo peggiorasse progressivamente fino all’inizio del processo che, con la smobilitazione compiuta attraverso la Sfi, porterà l’impresa genovese sotto il completo controllo dello stato.
Largo spazio viene dedicato da Doria alle vicende degli anni trenta, in particolare ai tentativi di ristrutturazione del complesso Ansaldo da parte di Agostino Rocca. È interessante osservare come la nuova fase della storia dell’Ansaldo che si apre con il passag-
27 Per i bilanci dell’impresa si veda: Archivio società Ansaldo, dati usati da M. Doria, Ansaldo, cit., p. 338; per i dati della Corte dei conti cfr.: Acs, Corte dei conti, Registri decreti guerra, agosto 1914-dicembre 1921. Confrontando i dati si hanno i seguenti risultati (si indica l’anno e, tra parentesi, rispettivamente, le cifre dell’Ansaldo e della Corte dei conti): 1915 (78.125.488; 6.815.588); 1916 (125.255.672; 135.571.646); 1917 (212.987.815; 208.407.907); 1918 (379.196.147; 236.456.977); 1919 (266.527.050; 770.612.215); 1920 (90.009.572; 4.138.794); 1921 (118.472.808; —). I due totali risultano quindi 1.270.574.552 e 1.362.003.127. La cifra indicata dalla Corte dei conti per il 1919 (770.612.215) comprende L. 300.000.000 come acconto sull’importo delle forniture eseguite e sui compensi per rescissioni a carico dei servizi per le armi e munizioni come da decreto del Sottosegretario di Stato per le armi e munizioni e per l’Aeronautica del 6 febbraio 1919 e 400.000.000, divisi in quattro tranches di 100.000.000 ciascuna, versate fra il 31 luglio e il 29 settembre 1919 come acconto sulla somma dovutale dall’amministrazione militare per forniture belliche in corso di liquidazione.28 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 160.
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gio della società nella compagine Iri si identifichi — anche secondo Doria — nel nome del suo massimo dirigente. Un riferimento che ci pare assolutamente non casuale nel senso che l’Ansaldo deH’Iri è in effetti l’Ansaldo di Rocca, come la Terni “irizzata” rimane pur sempre la Terni di Bocciardo. L’impressione che se ne ricava è che l’Iri degli anni trenta, al di là dei tentativi di razionalizzazione di alcuni comparti industriali, ad esempio la cantieristica o la siderurgia bellica — argomento di cui ci occuperemo fra poco — rimanga in buona misura un coacervo di imprese i cui dirigenti, pur essendo divenuti manager di stato, continuano spesso a comportarsi come imprenditori privati, badando più alla redditività della singola impresa che non a strategie di gruppo o agli obiettivi dello stato.
Prima di prendere in considerazione que- st’ultima fase, è opportuno esaminare l’eredità lasciata dalle gestioni precedenti da un punto di vista più strettamente tecnico. Come Rocca osserverà nella sua relazione sulle condizioni del comparto siderurgico Ansaldo, gli impianti denunciavano una gravissima obsolescenza, derivante dall’assoluta mancanza di nuovi programmi industriali dopo l’uscita di scena del vecchio gruppo dirigente che aveva guidato la società nel corso del conflitto29. E questo nonostante fin dal 1927 l’Ansaldo avesse iniziato una colla
borazione tecnica con la Krupp nel campo degli acciai speciali30: un rapporto che proseguì fino al 1934, quando, proprio in occasione dei lavori del Comitato sulla siderurgia speciale bellica, i militari presenti nel comitato esercitarono forti pressioni su Mario Barenghi, da circa un anno presidente del- l’Ansaldo, affinché la presenza di tecnici tedeschi nelle acciaierie genovesi cessasse al più presto31. L’obsolescenza tecnica di cui abbiamo parlato influì negativamente sul livello delle produzioni Ansaldo in un settore delicato come quello delle produzioni belliche.
L’esempio più clamoroso al riguardo è lo “scandalo delle corazze” , che condusse nel 1933 all’abbandono da parte di Ugo Cavaliere della presidenza, che teneva dal 1928, e all’allontanamento del direttore delle Acciaierie, l’ing. Giuseppe Pozzo, e di quello dello stabilimento Artiglierie, il comandante Roberto Antona Traversi. La scoperta di gravi difetti tecnici in alcune piastre di corazze e in componenti meccanici e di artiglieria usciti dagli stabilimenti Ansaldo portò alla costituzione di una commissione d’indagine segreta, che mise in luce una prassi di irregolarità nel funzionamento delle produzioni delle acciaierie, che intervenivano con riparazioni occultatone su pezzi che si sarebbero dovuti scartare32. Ciò rappresenterebbe una prova abbastanza convincente di come
29 Comitato Tecnico per lo studio dei problemi della siderurgia bellica speciale (Comitato Tecnico), Note sugli impiantisiderurgici dell’Ansaldo, 11 luglio 1934, p. 7. Asbci, Sof, cart. 323, f. 4.30 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 165. Si veda per questo anche Lucio Ceva e Andrea Curami, Industria bellica anni Trenta. Commesse militari, TAnsaldo ed altri, Milano, Angeli, 1992, pp. 117-23 (recensito in queste pagine).31 Comitato Tecnico, Prima riunione, 26 giugno 1934, p. 4; Relazione conclusiva sui lavori del Comitato, 10 agosto 1934, fascicolo A, p. 42. Asbci, Sof, cart. 323, f. 1 e f. 2. L’atteggiamento dei militari italiani appare in questo caso poco comprensibile. Già nella seconda relazione conclusiva Nicola Parravano osservava come questo rapporto di consulenza con la Krupp durasse da diversi anni senza che i ministeri militari avessero espresso la minima contrarietà in proposito. Non si vede inoltre in che modo la consulenza potesse trasformarsi in trasferimento in Germania di tecnologia italiana, visto che questa era assai inferiore. Per i rapporti successivi tra acciaieria Ansaldo e Krupp si veda “Accordi stipulati mediante scambio di lettere tra l’Ansaldo S.A. e la Società Italiana Acciaierie di Corniglia- no a complemento di quanto pattuito con atto rogito Benini in data 12 agosto 1935”, in cui si prefigura una collaborazione nel campo della siderurgia speciale civile. Acs, fondo Iri (Iri), serie nera (sn), b. 28.32 Per una ricostruzione dettagliata della vicenda si veda L. Ceva, A. Curami, Industria bellica, cit., pp. 35-47, 131-37 e 140-50.
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le acciaierie riuscissero con sempre maggiore difficoltà a soddisfare i requisiti tecnici richiesti per le forniture militari, e come ciò derivasse in primo luogo dalla scarsa efficienza di impianti invecchiati. Non è possibile stabilire se esistessero dei diretti legami fra la scoperta di queste irregolarità tecniche e la decisione presa ai vertici dello stato di creare il già ricordato comitato per la siderurgia bellica. È tuttavia opportuno fare riferimento a questo dibattito fra vertici militari e dirigenti industriali per inquadrare più da vicino i successivi sviluppi intervenuti nella struttura industriale del gruppo genovese che portarono allo scorporo della componente siderurgica. L’operazione, avvenuta nel settembre del 1934, fu la premessa per la successiva riorganizzazione generale del settore avviata da Rocca, che a partire dal luglio 1935 divenne amministratore delegato tanto dell’Ansaldo quanto della Siacc, la società creata per gestire le acciaierie di Corni- gliano e quelle di Aosta, con il progetto di trasferire anche queste ultime sul litorale ligure. Com’è noto il disegno non si realizzò compiutamente, ma riuscì per la parte che più direttamente ci interessa, ovvero la separazione della siderurgia Ansaldo dal suo gruppo e l’avvio dei progetti di riorganizzazione della sua attività con la creazione di un grande impianto a ciclo integrale33.
Il Comitato tecnico per lo studio dei problemi della siderurgia bellica speciale era stato creato nell’estate del 1934 per suggerire alcune proposte di sistemazione di un settore d’importanza strategica. Non casualmente Beneduce ne aveva aperto i lavori sottolineando come il problema fosse anzitutto di ordine tecnico e solo in secondo luogo economico, anche se con ciò non si intendeva concedere alcun vantaggio alle imprese controllate dall’Iri. Del Comitato erano chiamati a far parte sia militari sia dirigenti industriali34.
Rocca appare il vero dominatore della scena, poiché è sulla base delle relazioni preparate dal suo staff tecnico sulle diverse imprese che vengono discussi i provvedimenti da adottare, mentre il suo parere ha un peso decisivo nel determinare gli orientamenti del comitato. Rocca prepara insomma il canovaccio di una discussione che, sia pur attraverso rapidi scambi verbali e sottintesi, tocca temi che vanno ben al di là della questione della sistemazione delle produzioni di siderurgia bellica speciale, e che riguardano i delicati equilibri del sistema industriale italiano e delle sue due anime, pubblica e privata35.
Tornando all’Ansaldo, gli studi di Rocca sottolineavano che la situazione dell’impresa risentiva ancora dell’impostazione datale dai
33 M. Doria, Ansaldo, cit. pp. 182-90. Per la vicenda dell’impianto a ciclo integrale di Cornigliano si veda Franco Bonelli (a cura di), Acciaio per l ’industrializzazione, Torino, Einaudi, 1982; Ulrich Wengenroth, Il mito del ciclo integrale. Considerazioni sulla produzione dell’acciaio in Italia, “Società e storia”, 1985, n. 30.34 Questi i membri del comitato: il gen. Giovanni Tesio, il gen. Umberto Pugliese, l’amm. Eugenio Minisini, il gen. Giulio Costanzi, Bocciardo della Terni, Barenghi dell’Ansaldo, Forcella e l’amm. Giuseppe Sirianni della Cogne, Orso Maria Corbino, Amilcare De Ambris, Nicola Parravano (presidente) e Agostino Rocca (segretario). Comitato Tecnico, Prima riunione, p. 1-2. Asbci, Sof, cart. 323, f. 1.35 Due soli esempi a questo proposito basteranno. In primo luogo si possono ricordare le puntate polemiche di Bocciardo sulPIri, che, ricordava il capo della Terni (l’unica delle tre imprese siderurgiche a conservare una sensibile presenza di capitale privato), aveva anche il compito di smobilizzare le partecipazioni conseguite. Comitato Tecnico, Prima riunione, p. 5. Asbci, Sof, cart. 323, f. 1. Si debbono poi rilevare le difficoltà incontrare dal Comitato nell’assegnare alla Cogne, che si voleva escludere dalle produzioni di siderurgia bellica speciale, uno spazio d’azione nella siderurgia speciale civile tale da consentirle risultati gestionali non disastrosi, senza però turbare gli equilibri sanciti dagli accordi consorziali. Lo stesso potrebbe dirsi a proposito della propensione di Ansaldo e Terni verso la produzione siderurgica commerciale, propensione che viene nettamente scoraggiata. Comitato tecnico, Note sugli impianti siderurgici dell’Ansaldo, pp. 68-77. Asbci, Sof, cart. 323, f. 2 e f. 4.
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Perrone: un nucleo centrale, il cantiere navale di Sestri, per il quale tutti gli stabili- menti dovevano più o meno direttamente lavorare. Si comprendono così facilmente gli sforzi compiuti durante la precedente gestione per dotare l’Ansaldo di una forte componente siderurgica, elemento animatore del complesso cui forniva i semilavorati. Questa vocazione si era mantenuta anche successivamente, soprattutto per ciò che riguardava la siderurgia bellica (corazze ed elementi per artiglierie: questi ultimi rappresentavano il 27 per cento del valore della quota usata dagli stabilimenti Ansaldo), ma il 50 per cento della produzione veniva ora venduta al di fuori del gruppo. Questo dato offriva il destro a Rocca per affrontare la questione dell’acciaieria separatamente rispetto a quella del gruppo Ansaldo nel suo insieme. Un’impostazione che verrà fatta propria dal Comitato, che nelle sedute successive36 e nella relazione finale parlerà delle acciaierie di Cor- nigliano come di uno stabilimento autonomo a tutti gli effetti37. Va tuttavia rilevato come tra le proposte avanzate in questa sede non ve ne sia una esplicita riguardo lo scorporo delle acciaierie dal resto del complesso, che pure avverrà meno di due mesi più tardi38.
Una seconda considerazione riguarda gli aspetti produttivi. Si è già detto delle deficienze che caratterizzavano l’attività delle acciaierie.
In termini di valore della produzione nel 1934 i prodotti di siderurgia bellica speciale rappresentavano il 24 per cento del totale; il 42 per cento era coperto dalla siderurgia speciale non bellica e il 33 per cento (ma era il 79 per cento in termini di peso dei prodotti) alla produzione commerciale comune39. La sola siderurgia bellica non sarebbe stata in grado di garantire l’efficienza economica dell’esercizio. Il problema, comune anche alla Terni, poteva essere risolto ammettendo una certa quota di produzione civile di qualità. L’obiettivo che si assegnava alla nuova struttura, adeguatamente rifinanziata — quello di concentrarsi soprattutto sulla produzione per usi bellici, con limitati sconfinamenti nel mercato civile — era completamente diverso rispetto a quello che, di lì a pochi mesi, avrebbe impegnato tutte le energie di Rocca: la costruzione dell’impianto a ciclo integrale di Cornigliano, totalmente volto ad un mercato che, nelle intenzioni dell’amministratore delegato della Siac, non doveva essere solo quello interno. Anche in questo caso i passaggi interni che
36 Comitato Tecnico, Sesta riunione, 24 luglio 1934, p. 2. Asbci, Sof, cart. 323, f. 1.37 Comitato Tecnico, Relazione conclusiva, p. 6. Asbci, Sof, cart. 323, f. 2.38 L’unica eccezione sembra essere rappresentata da un accenno di Parravano, che, nella seconda relazione conclusiva, si dichiarava d’accordo con la proposta avanzata da Bocciardo (non riportata nei verbali delle sedute) di mantenere in efficienza entrambi gli impianti di siderurgia bellica speciale, facendone lavorare però solo uno. La prevista gestione unificata di questi impianti non sarebbe però stata affidata ad un ente statale, come proposto da Bocciardo, bensì all’industria privata. Comitato Tecnico, Relazione Parravano, (seconda), pp. 7-8. Asbci, Sof, cart. 323, f. 2. Sulla reale volontà di Bocciardo di cedere l’acciaieria di Terni in modo da separarla dal resto del complesso si veda il giudizio di F. Bonelii in Lo sviluppo, cit., p. 210 e sgg. Anche un’affermazione di Beneduce in occasione dell’apertura dei lavori del Comitato suona in qualche modo sospetta. Citiamo dal verbale di Rocca: “È importante rilevare che S.E. Beneduce non volle precisare i compiti della Commissione, per non dare la sensazione che Iri abbia un programma, per il quale cerchi l’avallo della Commissione stessa, lasciando invece a questa la maggior libertà nello svolgimento dei suoi lavori”. Comitato Tecnico, Prima riunione, p. 2. Asbci, Sof, cart. 323, f. 1. La prima formulazione esplicita sullo scorporo si trova in “Rapporto a S.E. il Capo del Governo sul nuovo assetto degli stabilimenti di siderurgia bellica”, (14 agosto 1934), p. 12. Acs, Iri, sn, b. 27. Nella stessa busta è conservata anche la famosa Nota 28 agosto 1934 di Mussolini a Jung e all’Iri circa la sistemazione della siderurgia bellica, in cui vengono approvate le proposte avanzate nel rapporto.39 Comitato Tecnico, Quarta riunione, 13 luglio 1934, p. 4. Asbci, Sof, cart. 323, f. 1.
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determinarono il mutamento di strategia rimangono poco chiari.
Il giudizio espresso da Doria sull’intera vicenda andrebbe dunque almeno in parte riveduto. Se si può ammettere che l’intenzione dei tecnici Iri fosse quella di attaccare il modello dell’impresa verticalmente integrata per realizzare più facilmente la riorganizzazione del settore siderurgico, è anche vero che nei documenti prodotti dal Comitato manca non solo un riferimento diretto allo scorporo delle acciaierie di Cornigliano dal- l’Ansaldo, ma anche ad un possibile ridimensionamento del complesso Terni, del quale al contrario venivano sottolineati gli organici collegamenti con il settore elettrico, quello minerario e con i cantieri e lo stabilimento artiglierie di La Spezia40.
D’altro canto pare poco esatto parlare di rapporti assolutamente episodici — escludendo il cantiere, lo stabilimento Meccanico e lo stabilimento Artiglierie — fra acciaierie e stabilimenti del complesso. I tre ora citati rappresentavano una componente fonda- mentale dell’intero gruppo41. La già evidenziata propensione verso il mercato viene considerata dai membri del Comitato come una necessità, ma ciò non toglie che essa dovesse essere quanto più possibile ridotta. La preminenza della produzione speciale bellica sembra dunque richiamare ad un più stretto legame di collaborazione con gli altri stabili- menti del gruppo, come del resto pare confermato da precedenti episodi, primo fra tutti la già ricordata attribuzione all’Ansal
do dello stabilimento di artiglierie di Pozzuoli.
Le cose si chiariscono ancor meglio se solo si accetta per un attimo di rovesciare la prospettiva da cui si analizza il problema, considerando il legame esistente fra acciaierie e stabilimenti cantieristici e meccanici non dalla parte della produzione siderurgica, bensì da quella delle lavorazioni meccaniche. Per queste il legame con l’acciaieria appare più stretto ed insostituibile, e l’avvenuto scorporo non doveva rimanere senza conseguenze. Doria osserva che la vecchia dirigenza Ansaldo — il riferimento è, crediamo, al presidente Barenghi — pose non poche difficoltà al passaggio dello stabilimento di Cornigliano alla gestione della Siacc, passaggio realizzato pienamente solo nel settembre 193542. Tuttavia non ci fu solo la comprensibile opposizione del vecchio gruppo dirigente, in buona parte rimosso dai propri incarichi, ma anche quella di importanti esponenti degli ambienti militari. Il capo di Stato Maggiore dell’esercito e sotto- segretario alla Guerra (con funzioni di ministro) generale Baistrocchi sosteneva in una sua lettera al ministro delle Finanze Thaon di Revel che l’operazione di scorporo era stata condotta contro il suo fermissimo parere, dal momento che essa era contraria alla consuetudine tecnica consolidata, in Italia quanto all’estero, che voleva strettamente unite per una proficua collaborazione la produzione di armi e quella dei relativi semi- lavorati siderurgici speciali43.
40 Comitato Tecnico, Relazione finale, fascicolo A, p. 5-6. Asbci, Sof. cart. 323, f. 2.41 Comitato Tecnico, Note sugli impianti siderurgici dell’Ansaldo, p. 24. Asbci, Sof, cart. 323, f. 4. Qui si danno i seguenti valori: Cantiere 10,5%, Meccanico 17%, Artiglierie 4,5%; oltre a ciò le acciaierie venivano valutate circa il 30% del valore degli impianti dell’intero gruppo. Nella valutazione del valore dei diversi impianti così come sono riportati in bilancio occorre togliere un 7,9% rappresentato dalla Sede. Se inoltre si guarda al valore dei lavori in corso (p. 25), abbiamo che il 17,7% spettava allo stabilimento Meccanico, il 23% al Cantiere navale e 1’ 11,5% allo stabilimento Artiglierie (cui occorre aggiungere il 30,6% spettante alle Acciaierie e Fonderie).42 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 183. Si veda anche “Rapporti Ansaldo - Acciaierie di Cornigliano”, 17 giugno 1935, in cui si parla delle voci di un possibile ritorno delle acciaierie alla vecchia Ansaldo. Acs, Iri, sn, b. 28.43 Lucio Ceva e Andrea Curami, La meccanizzazione dell’esercito italiano dalle origini a! 1943, Roma, Ussme, 1989, vol. I, pp. 166-7 e vol. II, pp. 133-4.
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Anche altri documenti sembrano indicare una diversità di intendimenti fra militari e gruppo dirigente dell’Iri. Si può ad esempio ricordare una relazione sull’Ansaldo, risalente al giugno 1934, dell’ammiraglio Eugenio Minisini, che, come abbiamo visto, farà parte di lì a poco del Comitato Tecnico. La questione dello scorporo di alcuni stabili- menti Ansaldo viene vista dal particolare punto di vista della produzione di artiglierie: è infatti lo Stabilimento Artiglierie che deve essere staccato — assieme alle Acciaierie — proprio perché la sua importanza strategica ne suggerisce una gestione separata nel quadro del definitivo riordino di questo tipo di industrie. Sì dunque allo smembramento del pletorico complesso Ansaldo, ma in una prospettiva diversa rispetto a quella che sarà poi effettivamente realizzata44.
Gli effetti delle dispersioni tecniche legate alla creazione della Siacc — allontanamento di tecnici della vecchia Ansaldo, ingresso di personale proveniente dalla Cogne e da altre imprese siderurgiche italiane, spesso non specializzate in lavorazioni di siderurgia bellica — possono essere stati esagerati da Ba- renghi, ma lo stesso Rocca sembra involontariamente confermare queste opinioni quando, nella sua relazione al Comitato per la siderurgia bellica, aveva osservato come quella della Krupp non fosse una semplice consulenza, ma “un organo assolutamente indispensabile per il normale svolgimento
delle lavorazioni belliche. Non si tratta cioè di un organo che entra in funzione soltanto per dare suggerimenti nella soluzione di problemi nuovi, ma di una specie di ‘ufficio lavorazione’ che presiede a tutta la produzione speciale”45.
Sebbene Rocca ipotizzasse che le autorità tedesche imponessero alla Krupp di non passare all’Ansaldo informazioni sulle tecniche più avanzate e lamentasse che questa “direzione occulta” tecnica e scientifica non si fosse risolta in un’apprezzabile formazione di nuovi quadri tecnici italiani, è però vero che la cessazione di questa collaborazione significava la chiusura definitiva di un possibile percorso formativo46.
Carri armati, artiglierie e navi. Questi, così come era avvenuto oltre vent’anni prima, furono i principali campi d’azione in cui la nuova Ansaldo di Rocca si cimentò nell’ambito dei programmi di riarmo del regime e nel corso del successivo sforzo bellico.
Se sui risultati complessivi di questo sforzo esiste un giudizio incontrovertibile, viste le grosse deficienze denunciate dagli armamenti italiani fin dalle prime campagne militari e l’esito finale del conflitto47, assai più controversa è la questione delle responsabilità di una prestazione così poco brillante. Abbiamo da una parte gli ambienti militari, che accusano le imprese di affarismo (Ansaldo compresa), mentre le industrie lamentano il ritardo con cui vennero definiti i pro-
44 “Sopralluogo presso l’Ansaldo”, (giugno 1934), pp. 27 e 40. Asbci, Sof, cart. 258, f. 3. Si veda anche “Note sugli elementi patrimoniali ed economici di un rilievo della Odero-Terni-Orlando da parte di Iri previa cessione alla Terni dello stabilimento artiglierie”, (5 ottobre 1934). Asbci, Sof, cart. 271, f. 1. Come suggerito dal titolo dello studio, per la Oto si pensava ad una separazione delle attività cantieristiche dalle lavorazioni meccaniche e di artiglieria, assegnando le prime, bisognose di una radicale riorganizzazione, alPIri, mentre le seconde sarebbero passate ad una nuova società controllata dalla Terni, al fine di mantenere un legame organico fra produzione siderurgica e utilizzo dei suoi semilavorati. Un destino assai diverso rispetto a quello già deciso per l’Ansaldo, anche se va ricordato che la Oto passò poi per intero sotto il controllo diretto dellTri.45 “Note sugli impianti siderurgici dell’Ansaldo”, p. 80. Asbci, Sof, cart. 323, f. 4. Per il giudizio di Barenghi si veda L. Ceva, A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 170-1 e vol. II, pp. 125-32.46 Comitato Tecnico, Note sugli impianti siderurgici dell’Ansaldo, pp. 81-2 Asbci, Sof, cart. 323, f. 4.47 Sullo sforzo bellico italiano si veda Alan S. Milward, Guerra, economia e società 1939-45, Milano, Etas, 1983; M. Doria, L ’Ansaldo, cit. pp. 211-2.
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grammi industriali, l’incerto andamento delle commesse e dei relativi pagamenti, ed infine la scarsità di materie prime. Ci è parso più interessante cercare di analizzare la questione dal punto di vista delle imprese, anche perché ciò consente di collocare la vicenda Ansaldo in una posizione centrale, ancora una volta esemplificativa dell’intero panorama industriale italiano.
Più in particolare si deve rilevare come P Ansaldo sia stata una delle più importanti “produttrici” di documenti relativi allo sforzo bellico in corso i cui risultati vengono presentati in maniera fuorviante, sotto una luce del tutto particolare, vale a dire quella del confronto con la produzione nel corso della prima guerra mondiale. Si tratta di una prassi che non appartiene esclusivamente al- l’Ansaldo e che, dato interessante, parte già dall’ultimo periodo prebellico4 * * 48.
La produzione delle artiglierie è il settore su cui maggiormente si insiste nella comparazione fra primo e secondo conflitto mondiale operata dalle imprese. Per l’Ansaldo possiamo riferirci alla già ricordata indagine di Curami e Miglia — utilizzata anche da Doria — che prende in considerazione una serie di memoriali preparati dalla ditta genovese i quali, significativamente, rappresentano anche la traccia del principale documento del Fabbriguerra illustrante i risultati dell’industria bellica italiana49.
Esistono alcuni assunti di base che rispecchiano le responsabilità da parte degli organi dello stato. Si debbono infatti registrare tanto il fenomeno delle commesse “a piog
gia”, ovvero delle ordinazioni — spesso in termini quantitativi modesti — di medesimi modelli di artiglierie a più linee di costruzione, quanto la stasi della domanda nel periodo 1918-1934, che compromise almeno in parte il patrimonio di conoscenze creato dal conflitto, quanto, infine, i ritardi con cui vennero delineati i piani di ammodernamento degli impianti. D’altra parte, tuttavia, sono inaccettabili le argomentazioni difensive facenti leva sul forte incremento delle ore lavorative necessarie per la produzione dei pezzi o sulle rigidezze da parte degli organi tecnici dell’esercito a proposito dei procedimenti costruttivi da adottare50.
Ulteriori elementi di valutazione ci vengono forniti dall’esame dei programmi di sviluppo della produzione delle maggiori imprese italiane per le prime fasi del previsto conflitto. A tale scopo si sono presi in considerazione alcuni documenti conservati nel fondo dell’Iri (numerazione rossa): due relazioni, datate dicembre 1939, sulla produzione di artiglierie dei due complessi Terni-Oto e Siac-Ansaldo e sul programma di produzione delle artiglierie, ed uno studio dell’agosto 1940 sul contributo dello stato al potenziamento degli impianti, altro argomento su cui si incentra la critica alle imprese51.
Durante la grande guerra l’Ansaldo aveva prodotto nei propri stabilimenti genovesi (stima Iri) 7.885 pezzi, raggiungendo nel 1918 il massimo delle capacità produttive. Il documento Iri confronta questa capacità produttiva con quella prevista per il 1939- 194152: i dati del 1941 prevedevano 3.700
4S Ad esempio Produzione artiglierie degli stabilimenti meccanici Odero-Terni-Orlando La Spezia, 1939.49 Ministero della Produzione Bellica, Cenni sullo sforzo sostenuto dal Paese per la produzione bellica nella guerra 1940-43 e sua entità nei confronti della guerra 1915-18, Roma, Stab, fotomeccanico dell’Aeronautica, 1943 (luglio).50 A. Curami, F. Miglia, L ’Ansaldo e la produzione bellica, cit., pp. 267-8. Si veda pure Acs, Iri, sr, b. 434, Produzione artiglierie, pp. 17-8 e relativi prospetti e, per la questione degli accordi con il Servizio tecnico Armi e Munizioni, Acs, Iri, sr, b. 434, “Programma produzione artiglierie”, (dicembre 1939), pp. 12-3.31 “Produzione artiglierie acciaierie Terni e Siac e stabilimenti meccanici Ansaldo e Oto”; “Programma produzioneartiglierie”; “Contributo dello stato al potenziamento degli impianti per le artiglierie”. Acs, Iri, sr, b. 434.2 Produzione media mensile massima nel 1918, 1939 e 1941 di bocche da fuoco e masse oscillanti per l’esercito e la
marina: indichiamo lo stabilimento produttivo, l’anno e, tra parentesi, i pezzi rispettivamente di piccolo, medio e
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operai impiegati su due turni giornalieri di 10 ore ciascuno, con 25 giorni lavorativi mensili. La sproporzione rispetto alle potenzialità raggiunte nel 1918 appare enorme, sebbene l’estensore della relazione si affretti a precisare che ciò dipende dalla maggior complessità delle lavorazioni per le artiglierie moderne. Il divario appariva inoltre meno grave se si considerava che si sarebbe prodotta una maggior quota di medi e grossi calibri. Considerazioni che suonano poco convincenti soprattutto alla luce dell’atteggiamento dell’autore di queste note, che, “candidamente”, dichiarava che lo studio non si proponeva di risolvere la questione riguardante l’effettiva corrispondenza della produzione dei nuovi impianti alle esigenze dell’esercito. Va inoltre rilevato che la produzione mensile prevista per il 1941 veniva considerata raggiungibile solo nel caso in cui tutte le altre lavorazioni di artiglierie per la marina e di altri prodotti venissero sospese, destinando tutte le potenzialità ai bisogni dell’esercito53.
I programmi di potenziamento erano comunque già in ritardo: l’Ansaldo doveva ancora ricevere 222 delle 400 macchine utensili ordinate (92 dall’estero). La Oto, che ne aveva ordinate 605, ne attendeva ancora 352 (73 dall’estero). Secondo le previsioni formulate dall’Ansaldo le forniture sarebbero state completate nel primo semestre del 1941; ciò significava che solo nel terzo trimestre dell’anno si sarebbe raggiunta la pie
na efficienza produttiva54. Questo incremento delle potenzialità degli stabilimenti di artiglierie, pur deciso in accordo con le autorità militari, non era tuttavia stato dimensionato sulla base di precise commesse. Pensato per le artiglierie di piccolo e medio calibro, il piano si era rivelato lacunoso per quanto riguardava alcuni tipi di materiali, ad esempio quelli da 90/53 e da 149/40. Per ottenere incrementi sensibili di produzione sarebbe stato necessario ordinare un centinaio di nuove macchine per lo stabilimento di Genova e un’altra cinquantina per quello di Pozzuoli, con una spesa complessiva di circa 25 milioni. La produzione mensile prevista dopo l’integrazione sarebbe stata di 177,6 pezzi tra bocche da fuoco e masse oscillanti55.
Dopo questa integrazione si riteneva che gli impianti non sarebbero stati ulteriormente potenziabili, e dunque per ogni ulteriore incremento di produzione occorrevano altri stabilimenti: ipotesi che avrebbe richiesto per essere sviluppata almeno tre anni di lavoro e alla cui realizzazione, secondo il parere concorde di Ansaldo e Oto, si sarebbero opposte notevoli difficoltà nel reperimento dei macchinari e in quello dei tecnici e delle maestranze specializzate56. Si pensava che le commesse di 3.113 pezzi in corso al dicembre 193957 sarebbero state completate in poco più di 13 mesi. Questo, però, facendo riferimento alla potenzialità massima che si
grosso calibro: Ansaldo-Genova: 1918 (316,2; 70, 7; 3,1); 1939 (10; 5; 2); 1941 (36; 30; 4,8); Ansaldo-Pozzuoli: 1918 (—; —; —); 1939 (5; 8; 1); 1941 (60; 12; 1,2). Totale: 1918 (316,2; 70, 7; 3,1); 1939 (15; 13; 3); 1941 (96; 42; 6). Fonte: “Produzione artiglierie”, p. 5. Acs, Iri, sr, b. 434.53 “Produzione artiglierie”, pp. 6-8. Acs, Iri, sr, b. 434.54 “Produzione artiglierie”, pp. 9-10. Acs, Iri, sr, b. 434.55 Relativamente al “programma produzione mensile bocche da fuoco e masse oscillanti per l’esercito con l’integrazione degli impianti 1941”, indichiamo di seguito calibri e modelli e tra parentesi, rispettivamente, la produzione dell’Ansaldo Genova e dell’Ansaldo Pozzuoli: 75/34 (12; 62,4); 75/46 (—; 15,6); 90/53 (36; —); 149/19 (18; 15,6); 149/40 (12; —); 210/22 (4,8; 1,2). Totale: 177, 6 (Ansaldo Genova: 82,8; Ansaldo Pozzuoli: 94,8). Fonte: “Programma produzione artiglierie”, p. 12, in Acs, Iri, sr, b. 434.56 Produzione artiglierie, pp. 10-1. Acs, Iri, sr, b. 434.57 Di cui 2.111 di piccolo calibro, 916 di medio e 86 di grosso calibro. “Produzione artiglierie”, pp. 15-6. La relazione “Programma produzione artiglierie” (pp. 15-6) riporta invece la cifra di 3157 pezzi, di cui 2155 di piccolo calibro, mentre le altre valutazioni rimangono invariate.
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prevedeva di ottenere nel 1941, e che era ancora ben lungi dall’essere raggiunta58.
Da questa sia pur sommaria trattazione un dato sembra emergere abbastanza chiaramente, e cioè la modestia dello sforzo produttivo previsto per il conflitto che appariva ormai imminente: un risultato imputabile, in parte, al contraddittorio comportamento dei vertici militari e politici, ma del quale anche le imprese erano responsabili, soprattutto in considerazione dell’ingente sforzo finanziario sostenuto dallo stato per il loro potenziamento. Della questione si sono ampiamente
occupati tanto Curami e Miglia quanto Min- niti59, e pertanto ci limitiamo in questa sede a proporre solo alcuni dati relativi alla dimensione finanziaria dei programmi varati fra la fine del 1938 ed il maggio del 194060.
Soprattutto i dati relativi ai preventivi di costo per il potenziamento degli impianti Ansaldo ed alle epoche presunte di consegna delle artiglierie per l’esercito necessitano di un qualche commento: per quanto riguarda i tempi di consegna dei materiali commessi, lo stesso studio, presentando queste previsioni, avvisava che esse sarebbero state valide nel
58 “Produzione artiglierie”, pp. 15-6. Nel “Programma produzione artiglierie” (p. 16) si parla invece di 16 mesi per il completamento delle commesse dei piccoli calibri, di 13,4 mesi per i medi e 9,5 mesi per i grossi calibri, invece degli 8,5 previsti dal precedente studio. Acs, Iri, sr, b. 434.59 A. Curami, F. Miglia, L ‘Ansaldo e la produzione bellica, cit., pp. 266-9 e allegati. F. Minniti, Due anni di attività dei Fabbriguerra, cit., pp. 858-61; Id., Il problema degli armamenti, cit., pp. 11-20; L. Ceva, Un intervento di Badoglio e il mancato rinnovamento delle artiglierie italiane, “Il Risorgimento”, 1976, n. 2.60 “Contributo dello Stato”, pp. 2-14 e relativi prospetti. I dati che seguono comprendono anche la produzione della Oto degli altri stabilimenti incaricati di fornire i semilavorati necessari per la produzione di artiglieria: Terni, Siac, Fossati (Acs, Iri, sr, b. 434). Indichiamo anzitutto le commesse per forniture di artiglierie all’esercito sulle quali è stata riconosciuta la maggiorazione del 15 per cento, (in migliaia di lire):
Stabilimento Prezzo di contratto Maggiorazione 15% Totale
Ansaldo-Genova
132 complessi da 149/40 e 132 tubi anima 192.773 28.916 221.68048 tubi anima da 149/40 3.581 537 4.118408 complessi da 90/53 209.467 31.420 240.887643 cannoni da 47/32 24.434 3.665 28.099228 complessi da 90/53 117.055 17.558 134.613Caricamento e carrelli 5.768 866 6.634Totale 553.078 82.962 636.040
A nsaldo-Pozzuoli76 complessi da 75/18 12.008 1.801 13.809312 complessi da 149/19 279.365 41.905 321.270120 complessi da 75/46 60.096 9.014 69.110116 complessi da 75/46 59.488 8.923 68.411192 complessi da 75/34 32.698 4.905 37.603750 complessi da 47/32 39.888 5.983 45.871Attrezzature da 47/32 2.393 ' 359 2.752Caricamento da 75/46 8.202 1.230 9.432Totale 494.138 74.120 568.258Totale generale 1.047.216 157.082 1.204.298
Il programma di fornitura di artiglierie per l’esercito (base prezzi 15 aprile 1939, espressi in migliaia di lire) prevedeva le seguenti produzioni: Ansaldo Genova: 900 complessi da 90/53 (prezzo: 463.000); 490 complessi da 149/40 (679.000). Ansaldo-Pozzuoli: 400 complessi da 90/53 (205.350); 480 complessi da 149/19 (429.800); 100 complessi da 149/90 (138.600). In totale: 1.915.750. Indichiamo quindi i preventivi di costo per il potenziamento degli impianti Ansaldo, I e II programma (in milioni di lire):
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caso in cui le consegne di macchinari e gli altri lavori per i nuovi impianti si fossero svolti regolarmente. In realtà tanto l’Ansaldo quanto la Oto lamentavano almeno 7-9 mesi di ritardo nelle consegne dei macchinari, con punte previste di 14-16 mesi. Ciò ovviamente avrebbe avuto gravi ripercussioni su programmi di produzione, che forse anche per questo motivo dovettero essere profondamente riveduti61.
Ancor più interessanti sono le questioni relative agli ammortamenti dei nuovi impianti che dovevano essere effettuati anche grazie al cospicuo contributo dello stato erogato sotto la forma della maggiorazione del 15 per cento del prezzo delle forniture di artiglierie. E sulla spartizione di questi fondi non potevano non crearsi contrasti fra le diverse imprese. Per il “I Programma” si era deciso un
contributo di 225 milioni, che non era stato modificato dopo le revisioni dei preventivi di costo dei nuovi impianti, se non per qualche spostamento interno nelle ripartizioni. Sulla base del preventivo 1940 all’Ansaldo, a fronte di 220,5 milioni di spese per nuovi impianti, sarebbero spettati 79 milioni; 53,3 sarebbero andati alla Oto, 55 alla Siac e 37,6 alla Terni.
Si trattava dunque di una divisione pressappoco proporzionale, in accordo con quanto proposto da Bocciardo, i cui calcoli si basavano appunto sulle spese effettive sostenute per gli impianti62.
Di diverso avviso era Rocca, che osservava come per la produzione di affusti di artiglieria l’Ansaldo avesse effettuato acquisti di macchinari per ulteriori 53 milioni, ripartiti fra i diversi stabilimenti del gruppo, che
I programma II programmaStabilimento Prev. 1938 Prev. 1939 Maggiore
spesa ult. Prev. 1940 Prev. 1940 Totale
Ansaldo-Genova 95 101,5 20, l a 121,6 51,5 173,1Ansaldo-Pozzuoli 60 70 19,8b 89,8 26 115,8Fossati — 8,3 0,8 9 ,Ie 9,6 18,7Altri stabilim. — — 53 53“ — 53
Totale generale 155 179,8 93,7 273,5 87,1 360,6
(a) di cui 15,1 per nuovi macchinari; (b) di cui 10 milioni per nuovi macchinari e 7,3 per impianti di fucinatura e stampaggio; (c) per installazione di impianti di fucinatura e stampaggio; (d) gli stabilimenti interessati sono il Meccanico, e l’Elettrotecnico e ancora il Fossati. Indichiamo infine le epoche presunte di consegna delle artiglierie perl’esercito (maggio 1940):
Stabilimento ModelloNumero
I programma
Epoca ultim.
II Programma
Numero Epoca ultim.
Ansaldo-Genova 47/32 643 gennaio 1942 — —Ansaldo-Genova 90/53 636 aprile 1942 900 ottobre 1943Ansaldo-Genova 149/40 132 settembre 1942 490 maggio 1945Ansaldo-Pozzuoli 47/32 750 novembre 1941 — —
Ansaldo-Pozzuoli 75/18 76 dicembre 1941 — —
Ansaldo-Pozzuoli 75/34 192 giugno 1942 — —
Ansaldo-Pozzuoli 75/46 camp. 120 maggio 1942 — —
Ansaldo-Pozzuoli 75/46 Dicat. 116 maggio 1942 — —
Ansaldo-Pozzuoli 90/53 — — 400 settembre 1943Ansaldo-Pozzuoli 149/19 312 giugno 1942 480 febbraio 1944Ansaldo-Pozzuoli
61 “Contributo dello stato’62 “Contributo dello stato’
149/40
, pp. 9-11, Acs, Iri, , pp. 17-8, Acs, Iri,
sr, b. 434. sr, b. 434.
100 maggio 1945
L’industria bellica italiana 1861-1945 165
non erano però compresi nei piani di sostegno dello stato e che avrebbero dovuto essere considerati nell’assegnazione del contributo. Secondo Rocca, si sarebbe dovuto tener conto anche di queste spese, 11,2 milioni63. Un contributo totale (90,2 milioni) certo non disprezzabile, che, aggiungendosi agli utili previsti, calcolati approssimativamente — molto approssimativamente, secondo il giudizio dei responsabili Iri — avrebbero assicurato ampi margini di profitto64.
Nel settore dei carri l’Ansaldo era l’unica impresa produttrice degli scafi, della corazzatura e di parte dell’armamento, mentre l’apparato motore era realizzato dalla Fiat o dalla Spa. Un’impresa pubblica ed una privata, dunque. Caso non isolato, in un settore in cui comunque gli eventuali contrasti fra le due parti erano regolati dalla mediazione del monopsonio statale. In questo caso tuttavia i contrasti non debbono essere cercati tanto fra i due partner industriali (il cui sodalizio, sorto probabilmente fra il 1933 ed il 1934, andò avanti senza grossi disaccordi), quanto piuttosto fra questi e le amministrazioni militari. Nella seconda metà degli anni trenta e durante il conflitto Fiat e Ansaldo riuscirono sistematicamente a sventare tanto i timidi tentativi da parte delle altre imprese del settore meccanico e bellico di inserirsi nel mercato con modelli propri quanto i periodici tentativi del ministero della Guerra di imporre la riproduzione di carri di tipo tedesco o il miglioramento della qualità dei propri prototipi, oltretutto sviluppati con una lentezza esasperante, entrando in produzione già obsoleti65. Più in
particolare, per l’Ansaldo, si confermava la difficoltà del rapporto con gli stessi apparati dello stato da cui partivano le commesse.
Rocca si rendeva conto delle ostilità maturate negli ambienti del ministero della Guerra, dalle quali si difendeva osservando come il patriottismo non potesse essere disgiunto dalla necessità di garantire l’efficienza economica dell’impresa. Un giudizio che, viste le condizioni particolari in cui si trova il paese in quel momento (giugno 1940), non riesce facile condividere66.
Con l’aggravarsi della situazione militare ed economica l’ostilità di settori sempre più ampi del regime nei confronti degli imprenditori diveniva via via più manifesta. Le prime avvisaglie si registrano già alla fine del 1941, quando, presumibilmente su iniziativa del ministero delle Finanze, venne istituita presso l’Ansaldo una commissione ispettiva, incaricata di chiarire le accuse contenute in un memoriale anonimo pervenuto al prefetto di Genova, scritto, come poi si era venuto a sapere, dall’assistente ai lavori, lo squadrista Podestà, e riveduto e corretto dal vice direttore centrale, il rag. Antonelli67.
Va detto che l’Ansaldo esce bene dall’inchiesta; si sottolinea in particolare il grande sforzo di riorganizzazione iniziato nel 1935, che aveva portato ad ottimi risultati tanto nel campo delle tecniche produttive quanto in quello dell’organizzazione del lavoro e della riqualificazione della manodopera. Se qualche rilievo doveva essere mosso, questo era senza dubbio assai meno grave di quelli comunemente accettati, soprattutto negli
63 “Contributo dello stato”, pp. 17-8, Acs, Iri, sr. b. 434.64 “Contributo dello stato”, pp. 12 e 17, Acs, Iri, sr, b. 434.65 Per un esame dettagliato dell’intera vicenda si veda L. Ceva, A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I.66 L’episodio è riferito in L. Ceva, A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 271-2.67 Della commissione facevano parte il dott. Tommaso Lazzari (presidente), ispettore generale capo di finanza, il gen. Erio Zannini, il prof. Pasquale Saraceno e il rag. Luigi Gagliardi (segretario). “Relazione della Commissione Ispettiva presso l’Ansaldo S .A .”, (31 dicembre 1941), p. 14. Acs, Iri, sr, b. 437.
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ambienti politici. Se la macchina produttiva faceva registrare qualche scompenso ciò derivava, oltre che dalle difficoltà di coordinamento di una struttura industriale così complessa, da fattori esterni, come l’irregolarità delle commesse e l’imprevedibilità delle correzioni ad esse apportate o, dato ancor più grave, dai notevoli ritardi negli approvigio- namenti di semilavorati da parte dei fornitori esterni68.
Posizioni che ritroviamo anche nei documenti allegati alla relazione della commissione, ovviamente di provenienza Ansaldo. Basterà ricordare a tale proposito una relazione dell’ing. Giuseppe Rosini, direttore dello stabilimento Fossati, nel quale si costruivano i carri armati69. Rosini riferiva che le produzioni di componenti per carri, per le parti di competenza dello stabilimento, erano arrivate a 100 carri M 13 e a 50 autoblindo Ab al mese, ovvero circa il triplo degli impegni originari. Tuttavia le forniture risultavano inferiori alle cifre indicate perché i carri dovevano essere equipaggiati anche con altre componenti: i gruppi motopropulsori, forniti dalla Spa, gli apparecchi ottici, prodotti dalla San Giorgio, i cannoni da 47, realizzati dallo stabilimento artiglierie Ansaldo e i cannoni da 20 e le mitragliatrici da 8, provenienti dalla Breda. Solo i cannoni da 47 — provenienti da un altro stabilimento Ansaldo — venivano forniti in quantitativi tali da soddisfare il fabbisogno. Per tutti gli altri materiali, motori, armamenti, apparecchiature di puntamento, si lamentavano continue deficienze, che avevano determinato un notevole accumulo di scafi già pronti e costretto i responsabili dello stabilimento a
ridurre da 10 ad 8 ore la durata dei turni lavorativi.
Nonostante le conclusioni ottimistiche della commissione d’ispezione e le dichiarazioni di non responsabilità da parte del gruppo dirigente dell’Ansaldo, i malumori erano destinati ad accrescersi. È probabilmente per difendersi da questi attacchi che Rocca scrisse la nota lettera a Mussolini in cui si illustravano i risultati produttivi dell’Ansaldo nel campo delle artiglierie fra il luglio 1940 e il gennaio 194370. Ritroviamo qui le consuete comparazioni con l’attività dell’Ansaldo per- roniana, sulla base delle quali si affermava il pieno raggiungimento da parte della società degli obiettivi prefissati: una difesa che risulta poco convincente, anche perché nelle statistiche sulla produzione di artiglierie presentate da Rocca è compresa anche la quota realizzata nello stabilimento di Pozzuoli ex Armstrong (1.824 pezzi su 5.049), che, ovviamente, non faceva parte del gruppo Ansaldo nel corso del passato conflitto71.
Un ulteriore peggioramento della situazione doveva verificarsi dopo il 25 luglio e soprattutto dopo l’8 settembre, quando le autorità militari tedesche che avevano preso il controllo della situazione oscillarono per qualche tempo fra la pura e semplice razzia delle materie prime e dei macchinari industriali e una riorganizzazione dell’attività delle imprese impegnate nella produzione di materiali d’interesse strategico. Con la costituzione del Ruk (Reichsminister für Rüstung und Kriegsproduktion), che coordinava l’attività delle imprese italiane controllando direttamente ordinazioni, distribuzione delle materie prime e trasporti, la situazione conobbe un deciso miglioramento. Non a caso
68 “Relazione”, p. 4. Acs, Iri, sr, b. 437.69 “Note sullo stabilimento Fossati’, (11 dicembre 1941). Acs, Iri, sr, b. 437.70 Lettera di Rocca a Mussolini (22 aprile 1943). Acs, Record Office Copy, (Roc), Job 234, 062441-6. Vedi anche A. Curami, F. Miglia, VAnsaldo e la produzione bellica, cit., pp. 272 e 278-80.71 La produzione degli stabilimenti liguri sarebbe dunque stata di 3225 pezzi, contro i 3699 realizzati dalla vecchia Gio. Ansaldo fra il giugno del 1915 e il dicembre del 1917.
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Rocca — osserva giustamente Doria — si dimostrava scettico se non addirittura ostile nei confronti dei tentativi delle autorità della Repubblica Sociale di creare organismi autonomi di organizzazione della produzione, proponendo al contrario di non ostacolare il “comando unico della produzione” che i tedeschi avevano di fatto già realizzato72.
Nonostante la creazione del Ruk l’atteggiamento tedesco non fu univoco: ai provvedimenti organizzativi a favore delle industrie di guerra se ne accompagnano altri di trasferimenti forzati di industrie e di forza lavoro che si richiamano ai già ricordati comportamenti razziatori. In questo contesto contraddittorio, nel quale lo stesso Rocca — oppostosi ai trasferimenti forzati — viene per qualche giorno incarcerato per ordine del tribunale militare tedesco (gennaio 1944), si inserisce un episodio poco noto: un mandato di cattura spiccato nei primi giorni del maggio 1944 dal tribunale straordinario provinciale di Genova nei confronti dell’amministratore delegato dell’Ansaldo73.
Da quanto si può dedurre dallo scarno documento a nostra disposizione si può escludere un coinvolgimento di Mussolini e della stessa massima autorità fascista della provincia, propensa a mantenere Rocca in libertà. Va del resto rilevato come i tedeschi, che pure pochi mesi prima avevano incarcerato l’amministratore delegato dell’Ansaldo, ne avessero ora impedito l’arresto prelevandolo per tenerlo al sicuro, ritenendo evidentemente utile mantenerlo alla guida della so
cietà. È curioso notare come un memoriale anonimo successivo alla fine del conflitto, proveniente dall’archivio Rocca, parli invece proprio per quegli stessi giorni di due arresti successivi da parte dei tedeschi, che accusavano l’Ansaldo di ostruzionismo e sabotaggio nell’ambito di una commessa di 30 sommergibili di piccole dimensioni74. Il documento è una difesa — con toni agiografici — dell’operato della dirigenza Ansaldo all’indomani dell’8 settembre; questa avrebbe cercato di ostacolare in ogni modo la produzione di materiali per le forze armate germaniche.
Non è nelle nostre intenzioni entrare nel merito della questione. Nel caso in cui si volesse dare maggior credito alla prima versione sarebbe interessante riflettere su un episodio che appare circoscritto nei suoi possibili sviluppi, ma che non per questo ci sembra meno significativo. Come spiegare il tentativo di togliere di mezzo Rocca? Si trattò forse di una mossa isolata da parte di settori dirigenziali e fascisti locali che erano stati messi in ombra dall’arrivo del manager di stato? Certo è che l’attiva politica di rinnovamento condotta da Rocca all’Ansaldo gli aveva procurato non pochi nemici: ad esempio quel comandante Roberto Antona Traversi che, vistasi preclusa ogni possibilità di un ritorno a cariche dirigenziali, sfogava la propria acredine in lunghi memoriali indirizzati al duce in cui si farneticava del complotto plutocratico-massonico-giudaico orchestrato da Toeplitz e dalla Banca Commerciale e — con qualche ragione in più — dello
72 M. Doria, Ansaldo, cit. pp. 233-4. Il promemoria di Rocca al generale Graziarli del 5 novembre 1943 in cui si esprimevano le opinioni sopra riportate si trova, oltre che in Fondazione Einaudi, Archivio Agostino Rocca, 49/ 46, anche in Acs, Roc Job 234, 062447-52. Sui programmi tedeschi per l’Ansaldo abbiamo trovato qualche traccia anche presso l ’archivio di Freiburg im Br. per ciò che riguarda la produzione di veicoli corazzati. Fra l’ottobre 1943 e il marzo 1944 si pensava di riuscire a produrre 85 carri del tipo P 40, 45 semoventi 75/18-42, 80 semoventi 75/34- 42, 55 semoventi 105/34-43 (sic. ma 105/25-43) e 150 autoblindo del tipo Ab 43. Bundesarchiv-Militârarchiv, RM 18,8/v , 1517 (19 ottobre 1943).73 “Comunicazione del Capo della provincia di Genova a Mussolini” (5 maggio 1944), Acs, Roc, Job 234, 062457.74 Lettera Marrubini Carlo a CLNAI (15 ottobre 1945). “Appendice B. La produzione industriale dell’Ansaldo dopo l’8 settembre 1943”, p. 3. Fondazione Einaudi, Archivio Agostino Rocca, 61.5.
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scarso patriottismo dimostrato dai dirigenti industriali italiani75.
In conclusione si può dire che né Rocca né tantomeno Antona Traversi o altro personale dirigente avrebbero potuto evitare la paralisi che andava manifestandosi nell’Ansaldo e nelle altre industrie italiane, pubbliche e
non, che si erano impegnate nello sforzo bellico. Il loro obiettivo diveniva ora quello di arrivare per quanto possibile indenni alla fine del conflitto per cogliere al meglio le opportunità che la ricostruzione postbellica avrebbe offerto.
Fabio Degli Esposti
75 “Reports on armaments from Ansaldo by Antona Traversi, 1935-45” . Acs, Roc, Job 242, 064957-065091. In particolare si debbono segnalare: uno studio su alcuni aspetti della ricostruzione dell’industria bellica nel quadro della socializzazione delle imprese, (gennaio 1945), 064977-065017; “Di alcune interessanti vicende per la conquista dell’autarchia nella creazione e produzione delle armi” (gennaio 1941), 065020-36; “Del potenziamento e della riorganizzazione delle industrie a carattere tipicamente bellico” (maggio 1935), 065054-70.
L’Ansaldo di Cavaliere raccontata dagli archivi
Fortunato Minniti
Dopo l’importante lavoro sulla meccanizzazione1, ossia sulle scelte politico-militari operate in Italia tra il primo decennio del nostro secolo ed il 1943 al fine di dotare l’esercito di mezzi a motore da impiegare nel combattimento, e dunque su un altro incontro — dopo quelli relativi alle navi, alle artiglierie marittime e terrestri ed ai mezzi di trasporto di materiali e uomini — tra la domanda di una amministrazione dello Stato e l’offerta di poche imprese private, e poi anche pubbliche, relative a beni industrialmente (o quasi) ideati e prodotti, Lucio Ceva e Andrea Curami hanno ripreso lo studio della industria bellica, circoscrivendolo agli anni trenta, ad una sola impresa, l’Ansaldo, e ad un solo episodio di corruzione che vorrei definire ordinaria2. Questo episodio è infatti rivelatore di condizioni politiche e di merca
to, di attitudini imprenditoriali, di procedimenti tecnico-produttivi e di un (malcostume, che è difficile credere casualmente concentrate da un destino perverso su alcune forniture navali di una sola grande impresa nei primissimi anni trenta. A ragione dunque Ceva e Curami hanno ritenuto importanti queste vicende che altrimenti si limiterebbero a seguire i contorni delle nubi che offuscarono la esperienza imprenditoriale tutta originale del generale Ugo Cavallero, allora presidente e direttore generale del- l’Ansaldo. Due i motivi della originalità: l’essere stato Cavallero — ma posso sbagliare — l’unico esponente dell’esercito con quel grado ad aver cambiato mestiere da soldato a manager privato in età ancora giovane; l’averlo egli fatto non una ma due volte, interrompendo solo momentaneamente la car
1 Lucio Ceva-Andrea Curami, La meccanizzazione dell’esercito italiano dalle origini al 1943, Roma, Stato Maggiore dell’esercito - Ufficio Storico, 1989, 2 voli, (recensito in “Italia Contemporanea”, 1991, pp. 674-681).2 L. Ceva, A. Curami, Industria bellica anni trenta. Commesse militari, I‘Ansaldo ed altri, Milano, Angeli, 1992 (Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia).