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L’industria bellica italiana 1861-1945 149 trato l’attenzione sull’azione dei diversi or- gani dello Stato — in questo, se si vuole, giustificati dallo scarso peso delle commesse all’industria nei bilanci complessivi delle forze armate —, con detrimento dei risultati analitici conseguibili sul piano della cono- scenza storica. In entrambi i casi, anche se per motivi diversivi è prodotta, come si è già avuto modo di ricordare, un’attenzione del tutto insufficiente all’industria degli ar- mamenti in senso stretto. L’attuale situazione è sicuramente caratte- rizzata dalla minore “urgenza” di un giudi- zio complessivo sulle scelte della classe diri- gente e da un forte sviluppo della storia d’impresa, che possono essere condizioni per una più articolata riflessione anche sulle vicende che si sono richiamate. A condizio- ne, tuttavia, che l’abbandono di un giudizio sterilmente moralistico tenga in considera- zione almeno due necessità. In primo luogo, come si è detto, evitare di considerare isola- tamente i vari aspetti dell’attività industria- le, dalle scelte organizzative, tecnologiche e finanziarie ai rapporti con le amministrazio- ni pubbliche, alla condizione operaia, o, per meglio dire, del personale nel suo comples- so. In secondo luogo, riconsiderare critica- mente il giudizio di matrice liberista, pren- dendo al contempo in considerazione frodi e speculazioni legate alle commesse pubbli- che, dovrebbe portare a studiare le specifi- che caratteristiche di una attività che funzio- na con esigenze particolari e il cui sviluppo è stato giustificato, per un lungo periodo della storia nazionale, sulla base di motivazioni attinenti la più generale crescita industriale del paese e come espressione di scelte com- plessive della classe dirigente. In questo sen- so, oltre che per il peso nel contesto dell’in- dustria nazionale, si può parlare di una pro- gressiva perdita di importanza dell’industria degli armamenti con il passaggio dall’età li- berale a quella fascista, alla repubblica. Ma a questo punto, con il periodo successivo al- la seconda guerra mondiale, si aprirebbe un discorso completamente diverso. Andrea Curami Paolo Ferrari L’Ansaldo industria bellica Fabio Degli Esposti Ad oltre trentacinque anni di distanza dalla pubblicazione del volume celebrativo di Emanuele Gazzo per il centenario dell’An- saldo, l’uscita del lavoro di Marco Doria1 costituisce un importante momento di sin- tesi e di riflessione su un’impresa emble- matica nella storia dell’industria italiana. Se si esclude il contributo di Ernesto Galli della Loggia2 apparso nel 1970, i diversi la- vori relativi all’Ansaldo si sono concentrati nell’ultimo decennio, soprattutto in risposta ad un articolo di Richard A. Webster3 ten- 1 Emanuele Gazzo, I cento anni dell’Ansaldo 1853-1953, Genova, 1953; Marco Doria, Ansaldo. L ’impresa e lo sta- to, Milano, Angeli, 1989. 2 Ernesto Galli della Loggia, Problemi di sviluppo industriale e nuovi equilibri politici alla vigilia della prima guerra mondiale: la fondazione della Banca Italiana di Sconto, “Rivista storica italiana”, 1970, n. 4. 3 Richard A. Webster, La tecnocrazia italiana e i sistemi industriali verticali: il caso dell’Ansaldo, “Storia contem- poranea”, 1978, n. 2.

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Page 1: L’Ansaldo industria bellica · L’Ansaldo durante il fascismo 1922-1945, Mila no, Feltrinelli, 1981. 6 Ferdinando Fasce, Strategie imprenditoriali e mercato mondiale degli armamenti:

L’industria bellica italiana 1861-1945 149

trato l’attenzione sull’azione dei diversi or­gani dello Stato — in questo, se si vuole, giustificati dallo scarso peso delle commesse all’industria nei bilanci complessivi delle forze armate —, con detrimento dei risultati analitici conseguibili sul piano della cono­scenza storica. In entrambi i casi, anche se per motivi diversivi è prodotta, come si è già avuto modo di ricordare, un’attenzione del tutto insufficiente all’industria degli ar­mamenti in senso stretto.

L’attuale situazione è sicuramente caratte­rizzata dalla minore “urgenza” di un giudi­zio complessivo sulle scelte della classe diri­gente e da un forte sviluppo della storia d’impresa, che possono essere condizioni per una più articolata riflessione anche sulle vicende che si sono richiamate. A condizio­ne, tuttavia, che l’abbandono di un giudizio sterilmente moralistico tenga in considera­zione almeno due necessità. In primo luogo, come si è detto, evitare di considerare isola­tamente i vari aspetti dell’attività industria­le, dalle scelte organizzative, tecnologiche e finanziarie ai rapporti con le amministrazio­

ni pubbliche, alla condizione operaia, o, per meglio dire, del personale nel suo comples­so. In secondo luogo, riconsiderare critica- mente il giudizio di matrice liberista, pren­dendo al contempo in considerazione frodi e speculazioni legate alle commesse pubbli­che, dovrebbe portare a studiare le specifi­che caratteristiche di una attività che funzio­na con esigenze particolari e il cui sviluppo è stato giustificato, per un lungo periodo della storia nazionale, sulla base di motivazioni attinenti la più generale crescita industriale del paese e come espressione di scelte com­plessive della classe dirigente. In questo sen­so, oltre che per il peso nel contesto dell’in­dustria nazionale, si può parlare di una pro­gressiva perdita di importanza dell’industria degli armamenti con il passaggio dall’età li­berale a quella fascista, alla repubblica. Ma a questo punto, con il periodo successivo al­la seconda guerra mondiale, si aprirebbe un discorso completamente diverso.

Andrea Curami Paolo Ferrari

L’Ansaldo industria bellica

Fabio Degli Esposti

Ad oltre trentacinque anni di distanza dalla pubblicazione del volume celebrativo di Emanuele Gazzo per il centenario dell’An- saldo, l’uscita del lavoro di Marco Doria1 costituisce un importante momento di sin­tesi e di riflessione su un’impresa emble­

matica nella storia dell’industria italiana.Se si esclude il contributo di Ernesto Galli

della Loggia2 apparso nel 1970, i diversi la­vori relativi all’Ansaldo si sono concentrati nell’ultimo decennio, soprattutto in risposta ad un articolo di Richard A. Webster3 ten­

1 Emanuele Gazzo, I cento anni dell’Ansaldo 1853-1953, Genova, 1953; Marco Doria, Ansaldo. L ’impresa e lo sta­to, Milano, Angeli, 1989.2 Ernesto Galli della Loggia, Problemi di sviluppo industriale e nuovi equilibri politici alla vigilia della prima guerra mondiale: la fondazione della Banca Italiana di Sconto, “Rivista storica italiana”, 1970, n. 4.3 Richard A. Webster, La tecnocrazia italiana e i sistemi industriali verticali: il caso dell’Ansaldo, “Storia contem­poranea”, 1978, n. 2.

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dente a presentare i fratelli Perrone come elementi di punta di un fallito tentativo di instaurare nell’Italia uscita dalla grande guerra un regime di tipo tecnocratico. Un’i­potesi azzardata, che ha però stimolato una serie di indagini volte ad approfondire nei loro diversi aspetti i tratti distintivi dell’im­presa, ovvero la sua struttura verticalmente integrata. Questo non perché essa costitui­sca una novità assoluta: il modello dell’inte­grazione verticale si afferma in tutto il mon­do industrializzato a partire dagli ultimi de­cenni dell’Ottocento, ed anche in Italia l’Ansaldo non rappresenta il primo caso in tal senso: si pensi ad esempio al trust side­rurgico-cantieristico Terni e alla sua colla­borazione con la Vickers nei primi anni del secolo4. Tuttavia le dimensioni raggiunte dal gruppo genovese e la rapidità con cui esso conseguì una posizione di primato hanno si­curamente attirato l’attenzione degli studio­si. Così Anna Maria Falcherò si è occupata dell’organizzazione finanziaria che sostene­va il funzionamento di questo impero indu­striale, e lo stesso Doria ha indagato su alcu­ni comparti (siderurgico, elettrotecnico) fon­

damentali per il funzionamento di una sif­fatta struttura produttiva5. A questi vanno aggiunti lavori come quelli di Ferdinando Fasce, di Andrea Curami e Fulvio Miglia, di Luciano Segreto, di Fortunato Minniti6, che prendono invece in considerazione un aspet­to più vicino al tema che indaghiamo, e che riveste comunque un’importanza fondamen­tale: la produzione degli armamenti. L’am­pio respiro che caratterizza il lavoro di Do­ria gli consente di spostare almeno in parte gli indirizzi della ricerca: la questione del­l’integrazione verticale viene ricondotta al­l’interno di un’impostazione teorica più complessiva, che mette in primo piano — e il titolo scelto non potrebbe essere più espli­cito — il rapporto ininterrotto esistente fra l’industria e lo stato7.

La società in accomandita Gio. Ansaldo & C. nasce nel 1853 sulle ceneri della ditta Taylor-Prandi, formatasi proprio per sfrut­tare le commesse di materiale ferroviario da parte del governo piemontese; un’operazio­ne che, per Doria, si connota anche in senso politico, come tentativo di stringere più stretti legami fra stato sabaudo e classe diri-

4 Per le vicende relative alla Terni si vedano l’ormai classico Franco Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. La Terni dal 1884 al 1962, Torino, Einaudi, 1975, e Luciano Segreto, More Trouble than Profit: Vickers’ In­vestment in Italy 1906-1939, “Business history”, 1985, n. 3.5 Anna Maria Falcherò, Banchieri e politici. Nitti e il gruppo Ansaldo-Banca di Sconto, “Italia contemporanea”, 1982, nn. 146-147; Id., Il gruppo Ansaldo-Banca di Sconto e le vicende bancarie italiane nel primo dopoguerra, in Peter Hertner, Giorgio Mori (a cura di), La transizione dall’economia di guerra all’economia di pace in Italia e in Germania dopo la Prima Guerra Mondiale, Bologna, Il Mulino, 1983; Id., La piramide effimera. Il sistema verti­cale Ansaldo dai primi passi alla distruzione, in Studi in memoria di Mario Abrate, Torino, Einaudi, 1986; Id., La Banca Italiana di Sconto, (1914-21). Sette anni di guerra, Milano, Angeli, 1990. M. Doria, Dal progetto di integra­zione verticale alle ristrutturazioni dellTri: la siderurgia Ansaldo (1900-1935), “Annali della Fondazione Luigi Ei­naudi”, 1984; Id., Una “via nazionale” all’industrializzazione: l ’Elettrotecnico Ansaldo dall’inizio del secolo alla Seconda Guerra Mondiale, “Annali di storia dell’impresa”, 1988, n. 4. Per le vicende dell’Ansaldo in epoca fasci­sta, si veda anche: Paride Rugafiori, Uomini, macchine e capitali. L ’Ansaldo durante il fascismo 1922-1945, Mila­no, Feltrinelli, 1981.6 Ferdinando Fasce, Strategie imprenditoriali e mercato mondiale degli armamenti: i rapporti fra l ’Ansaldo e la si­derurgia Usa nel primo Novecento, “Società e storia”, 1987, n. 38. Andrea Curami, Fulvio Miglia, L ’Ansaldo e l ’industria bellica, in L ’Italia nella seconda guerra mondiale e nella resistenza, Milano, Angeli/Insmli, 1986. Fortu­nato Minniti, Il problema degli armamenti nella preparazione militare italiana dal 1935 al 1943, “Storia contempo­ranea”, 1978, n. 1; Id., Due anni di attività del Fabbriguerra (1939-41), “Storia contemporanea”, 1975, n. 4; L. Se­greto, Armi e munizioni. Lo sforzo bellico tra speculazione e progresso tecnico, “Italia contemporanea”, 1982, nn. 146-147.7 II riferimento è ovviamente a F. Bonelli, Il capitalismo italiano. Linee generali d ’interpretazione, in Storia d ’Ita­lia, Annale 1, Torino, Einaudi, 1978.

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gente genovese8. Il tentativo conosce un so­stanziale fallimento, soprattutto per effetto della concorrenza straniera. Per i proprietari dello stabilimento, Rubattino e Bombrini, l’unica strada praticabile sembra essere quella della cantieristica, orientata in parti­colare verso la realizzazione di navi da guer­ra o di loro componenti. Non casualmente il risultato produttivo più importante fino a tutti gli anni settanta è rappresentato dalla costruzione dell’apparato motore della co­razzata Palestro nel 18719. Va anzitutto rile­vato come il rapporto con lo stato sia so­prattutto rapporto con una sua amministra­zione, la Marina, non a caso destinataria delle richieste — e spesso delle critiche — delle industrie private e delle stesse autorità locali che le sostengono10. Si deve inoltre pensare che le difficoltà incontrate dall’An- saldo nel corso degli anni settanta non di­pendano solo dall’alto prezzo dei suoi pro­dotti e dalla scarsità delle commesse, ma an­che dal persistere di un’inferiorità tecnologi­ca del suo prodotto, nonostante le dichiara­zioni ufficiali in senso contrario11. Il supera­mento del modello dell’arsenale, sebbene in

atto, non può dirsi ancora del tutto compiu­to. Ne sarebbe prova l’accanimento con cui l’amministrazione della Marina sosteneva la necessità di dare lavoro anche ai cantieri de­gli arsenali, facendo proprie le argomenta­zioni di salvaguardia dell’ordine sociale avanzate dai critici della politica del ministe­ro: togliere lavoro agli arsenali significava creare disoccupazione in misura ancora maggiore che non affidando le commesse al­l’industria privata12.

Negli anni ottanta gli industriali comin­ciano a cogliere i primi frutti del lento for­marsi di una visione industrialista nella clas­se politica alla guida del paese e l’Ansaldo può affrontare con maggiori speranze una congiuntura sostenuta dalla ripresa della spesa pubblica, che si esprime soprattutto in acquisti di materiale rotabile da parte delle società private (che ottengono per questo fi­nanziamenti pubblici) e in commesse per i cantieri navali, principalmente per la costru­zione di unità da guerra13. È comunque la vocazione cantieristica a prevalere, anche grazie ad una favorevole congiuntura sul mercato internazionale degli armamenti che

8 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 27.9 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 30.!0 Si veda per questo Archivio Centrale dello Stato (Acs), fondo Presidenza del Consiglio dei Ministri (Pcm), 1879- 80, b. 32, f. 219. In questi mesi si sviluppa una vera e propria polemica a distanza fra il ministro della Marina e il prefetto di Genova, il quale rimprovera all’amministrazione di non aver sufficientemente a cuore le sorti dell’indu­stria nazionale.11 In una lettera in data 10 ottobre 1878 indirizzata dal ministro della Marina a Depretis si ribadiva il fatto che la Marina, pur compiendo ogni sforzo al fine di assegnare le proprie commesse alle industrie nazionali, riteneva che per i lavori più impegnativi — nel caso specifico si trattava della costruzione dell’apparato motore della corazzata Lepanto, che PAnsaldo reclamava per sé — queste non fossero ancora in grado di garantire risultati soddisfacenti, costringendo l’amministrazione del ministero a far eseguire questi lavori all’estero (Acs, Pcm, 1879/80, b. 32, f. 219). La costruzione dell’apparato motore della Lepanto venne poi eseguita dalla Penn & Sons. Per ulteriori detta­gli si veda Luigi Orlando e i suoi fratelli per la Patria e per l ’industria italiana, Roma, Forzani, 1898.12 Tale è il parere espresso dal ministro in una sua lettera in data 6 ottobre 1878 al presedente del Consiglio Bene­detto Cairoli. La polemica è ancora una volta con il prefetto di Genova, che sosteneva le richieste di lavoro del- l’Ansaldo. Acs, Pcm, 1897/80, b. 32, f. 219.13 L’esordio degli anni ottanta è comunque diffìcile per l’Ansaldo. In un memoriale inviato da Carlo Marcello Bombrini alla Presidenza del Consiglio (17 aprile 1883) si dà notizia dei lavori in corso nello stabilimento e nel can­tiere: 12 locomotive per le Ferrovie Romane, le macchine della Amerigo Vespucci, venti piattaforme ferroviarie per la Società Alta Italia, l’allestimento del piroscafo S. Gottardo. Fino a poco tempo prima lo stabilimento impiegava 1180 operai, già ridotti ad 870 per la conclusione di alcuni lavori, e si paventa che il numero dei lavoranti possa di­minuire fino a 150 unità, con evidenti gravi conseguenze di ordine sociale. Acs, Pcm, 1883, b. 48, f. 77.

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consente all’Ansaldo di vendere diverse uni­tà alla Spagna, all’Argentina, alla Turchia e al Giappone. Ed è proprio all’attività cantie­ristica che si legano — come giustamente sottolinea Doria — i primi passi compiuti dalla società genovese sulla via dell’integra­zione verticale: l’acquisizione della Delta (1894), la costruzione delle Fonderie e Ac­ciaierie (1898-1900) e dell’Elettrotecnico (1899). All’inizio del Novecento altri pro­gressi verranno compiuti su questa strada: in primo luogo l’alleanza con la Armstrong, uno dei colossi inglesi dell’industria bellica, presente in Italia già dal 1885 con una fab­brica di artiglierie, e poi i contatti, ancorché infruttuosi, con alcune imprese siderurgiche americane14 e con la Skoda, altra produttri­ce di artiglieria. I rapporti più importanti furono in definitiva con la Krupp e con la Schneider15.

Vale la pena di osservare che le decisioni relative all’integrazione verticale, sia all’in­terno del complesso Ansaldo sia in collabo- razione con imprese straniere, derivano in parte dalla già ricordata necessità di ade­guarsi a strategie industriali generalmente affermate, e in parte dalla continua ricerca di un know how tecnologico di buon livello. La strada battuta dalle imprese italiane è quella dell’acquisto dei brevetti, e solo di ra­do quella dello sviluppo autonomo di tecno­logia propria: per Doria si tratta di un pas­saggio obbligato per l’acquisizione di un ba­gaglio di tecnologia che verrà messo a frutto negli anni della guerra. Fino al primo con­flitto mondiale l’attività dell’Ansaldo si con­

centra sulla cantieristica, sebbene sia pro­prio il settore delle costruzioni navali a rea­lizzare i risultati gestionali meno soddisfa­centi, mentre ottengono le performances mi­gliori lo Stabilimento meccanico, cui i Per- rone dedicano una grande attenzione, so­prattutto per attrezzarlo alla produzione di artiglierie, e l’Elettrotecnico16.

Sul periodo bellico, che rappresenta un’occasione irripetibile per realizzare un flusso abbondante e continuo di profitti da impiegare nei programmi industriali, sono stati compiuti i maggiori sforzi interpretati­vi, anche per la vastità dei progetti messi in piedi dai Perrone e per le loro implicazioni, non solo nel campo della produzione indu­striale ma anche in quello dell’organizzazio­ne dei rapporti di lavoro e dei legami con il mondo politico. Doria mette in evidenza co­me la scelta di rafforzamento del sistema verticalmente integrato provocasse alla lun­ga un’eccessiva sottovalutazione dei costi di produzione, cosa che avrebbe avuto risvolti negativi con il ritorno a condizioni di merca­to normali, oltre a causare dei veri e propri errori di programmazione industriale17.

Forse sarebbe stata necessaria una mag­giore attenzione agli aspetti più propriamen­te materiali della questione, ovvero alla pro­duzione di mezzi ed armamenti. Consideria­mo ad esempio le produzioni di artiglieria. Un problema sicuramente di assai difficile soluzione, anche perché “inquinato” dalla vastissima letteratura, agiografica o denigra­toria, sulla consistenza effettiva della produ­zione bellica dell’Ansaldo18. Si può esprime-

14 F. Fasce, Strategie imprenditoriali, cit., pp. 920-35.15 Era Krupp il brevetto del 75 mod. 1906, per le cui vicende si veda Carlo Montù, Storia dell’artiglieria italiana, Roma, Rivista di Artiglieria e Genio, 1935, vol. VII, pp. 1337-54. Schneider erano invece i brevetti del 102/35 e del 105/28.16 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 82.17 Si veda a questo proposito il giudizio espresso da Agostino Rocca nel corso delle sedute del Comitato Tecnico per lo studio dei problemi della siderurgia bellica speciale (1934) e negli studi preparati dallo stesso Rocca come ba­se per i lavori del Comitato. Archivio Storico della Banca Commerciale Italiana (Asbci), Archivio Sofindit (Sof), cartella 323, fascicoli 1 e 4.18 Di questa pubblicistica ricorderemo: Tullio Spiller, L ’Ansaldo e l ’Artiglieria durante la guerra, Genova, s.d.;

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re il dubbio che le valutazioni di Bocciardo19 sulle produzioni di artiglieria da parte delle varie industrie italiane nel corso del conflitto non siano del tutto attendibili, soprattutto in considerazione del fatto che l’autore — siamo nel 1924 — è già a capo del complesso Terni, grande rivale della vecchia Ansaldo. Bocciardo parla infatti di 6.737 pezzi di va­rio tipo, mentre le fonti aziendali Ansaldo propongono stime comunque superiori ai10.000 pezzi. Esistono inoltre alcune stime sui livelli produttivi raggiunti dall’Ansaldo nel periodo del conflitto e dati disaggregati sulla stima fornita da un dossier Iri20.

Un altro argomento di particolare interes­se è rappresentato dallo sviluppo delle pro­duzioni aeronautiche; un settore nel quale i Perrone tentarono di inserirsi fin dalla metà del 1916, prima progettando di entrare in forze nella Società per lo sviluppo dell’avia­zione in Italia, acquisendo la quota aziona­ria del senatore Carlo Esterle, e successiva­mente realizzando i propri cantieri aeronau­tici (Borzoli, Bolzaneto, Cadimare) e assor­bendo alcune delle principali imprese pro­duttrici di apparecchi (la Società Italiana

Transaerea e la ing. Pomilio, entrambe di Torino) e di motori (la Spa e la ex Fiat-S. Giorgio)21. Anche per le forniture di mate­riale d’aviazione le polemiche postbelliche hanno impedito una precisa valutazione dei risultati produttivi. Nel caso dell’Ansaldo alle valutazioni di fonte aziendale, che, ba­sandosi sulle ordinazioni passate all’impre­sa, parlano di oltre 3.800 apparecchi prodot­ti, si contrappongono quelle di Mantegaz­za22, che, usando la fonte dell’Inchiesta par­lamentare per le spese di guerra, stima l’am­montare della produzione diretta dell’Ansal- do a 1.100 unità circa; queste salgono però a più di 3.000 se si aggiunge il contributo delle imprese controllate, ovvero la Sit e la Pomi­lio. È tuttavia importante rilevare che queste valutazioni sono almeno in parte fuorvianti: non si può infatti attribuire al gruppo An­saldo l’intera produzione della Transaerea e della Pomilio, dal momento che queste due società vennero assorbite rispettivamente nel 1917 e nel 1918. I dati forniti da Mantegazza paiono comunque confermati da uno studio condotto dalla Direzione tecnica aviazione militare all’inizio del 191923.

Ettore Bravetta, I ‘fabbri di guerra”, Genova, 1930; Pio e Mario Perrone, L ’Ansaldo, la Guerra e il problema nazio­nale delle Miniere di Cogne, Roma, 1932; Manfredi Palumbo Vargas, La distruzione dell’Ansaldo, Genova, 1924.19 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 115.20 Lettera di Bocciardo, Archivio storico Banca d’Italia, fondo 25, Consorzio sovvenzioni valori industriali, pr. 445 (M. Doria, Ansaldo, cit. p. 115); P. e M. Perrone, L ’Ansaldo, la guerra, cit., p. 27, parlano di 10.900 artiglie­rie, mentre in Archivio Storico Ansaldo (d’ora in poi Asa), Serie scatole numeri blu, (snb), 532/4 viene proposta la stima di 10.097 artiglierie (M. Doria, Ansaldo, cit. p. 115). Considerando la fonte: Produzione artiglierie, prospet­to 3 (Acs, Iri, sr, b. 434), si hanno, per le bocche da fuoco e le masse oscillanti consegnate dall’Ansaldo nel 1914-19 alle forze armate, i seguenti dati. Si indicano di seguito i vari calibri e le consegne fatte rispettivamente a esercito e marina: 70 e bombarde (710; —); 75/27 (2.477; —); 76/17 (12; 54); 76/40. 50 (181; 131); 102/35 (334; 201); 102/45 (—; 100); 105 obice (410; —); 105/28-106 (1736; —); 149/12 (962; —); 149/35 (262; —); 152/45 (62; 40); 210/8 (66; —); 260/9 (138; —); 381/40 (7; 2). Si tratta complessivamente di 7.885 pezzi, 7.357 consegnati all’esercito e 528 alla marina.21 Per i rapporti fra i Perrone e i fratelli Caproni, i dirigenti della Società per lo sviluppo dell’aviazione in Italia con cui si trattò per un eventuale ingresso dell’Ansaldo nella società, si veda la lettera di Pio Perrone a Federico Caproni, 6 luglio 1916, Asa, Snb, 1111/22. Devo il documento alla cortesia di Andrea Curami.22 M. Doria, Ansaldo, cit. pp. 118-9; Amilcare Mantegazza, La formazione del settore areonautico italiano, “An­nali di storia dell’impresa”, 1986, n. 2.2’ Direzione Tecnica Aviazione Militare (ma Luigi Moda e Amedeo Fiore), Sviluppo della produzione aviatoria mi­litare nel quadriennio 1918-18, Roma, 1919. Lo studio propone, per quanto riguarda le ordinazioni di apparecchi, le seguenti cifre: Sit 212 (non esiste un’ordinazione per i 51 Blériot prodotti nel 1915); Pomilio 2205; Ansaldo 3435. Nella monografia Ansaldo relativa ai cantieri aeronautici sono riportati poi alcuni dati relativi alla produzio-

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Non è il caso in questa sede di ripercorre­re le vicende che portarono, nei primi anni del dopoguerra, alla crisi del sistema vertica­le Ansaldo, dopo la crescita degli anni del conflitto: si tratta di un fenomeno comune a tutti i maggiori gruppi industriali italiani, anche se va messo in rilievo come l’espansio­ne dell’Ansaldo fosse stata senza dubbio la più cospicua. Sul problema delle cause di questa crisi due sembrano essere gli ordini di fattori da tenere in considerazione. Il primo — sottolineato da Doria e da tutti gli autori che si sono occupati della questione — è le­gato ad errori strategici di gestione indu­striale, ovvero all’incapacità da parte dei fratelli Perrone di comprendere che la ricon­versione postbellica sarebbe passata attra­verso una congiuntura di bassi prezzi e di mercati ristretti, rendendo impraticabile il progetto di “conversione espansiva” .

In secondo luogo si dovrebbe riflettere ul­teriormente sulla questione della sistemazio­ne finanziaria delle commesse belliche non realizzate al termine del conflitto. Si è osser­vato come l’Ansaldo ricevesse un trattamen­to di favore da parte del Comitato intermi­nisteriale per la sistemazione delle industrie di guerra, dal quale ottenne, a fronte di commesse rescisse per un valore di 677 mi­lioni, un indennizzo di 664 milioni, mentre per tutte le altre imprese si parla di ordina­zioni annullate per ben 5 miliardi, compen­sate con appena 905 milioni24. Va tuttavia rilevato che il Comitato interministeriale aveva i suoi elementi di punta in uomini co­me Ettore Conti (presidente) e Arturo Boc­ciardo (segretario generale), legati stretta- mente alla Commerciale. Non si vede come questi fossero interessati a riservare un trat­tamento di favore ad un gruppo industriale acerrimo nemico dell’istituto milanese, men­

tre le altre imprese — fra cui quelle legate al­la Commerciale — dovevano accontentarsi di indennizzi ben più modesti. E, pur am­mettendo un’ipotesi di questo tipo, restereb­be da chiedersi quali furono i fattori politici che resero possibile concedere indennizzi co­sì cospicui ad una sola impresa. Ancora mo­tivazioni politiche — ovvero la mancanza di un preciso referente in ambito governativo25 — dovettero essere alla base della successiva decisione di non applicare all’Ansaldo quei provvedimenti da “capitalismo assistito” che pure — rileva Doria — non erano certo mancati nella storia industriale italiana.

Le polemiche che in quegli anni caratteriz­zarono il dibattito sull’entità delle forniture effettuate dalle diverse imprese e sui paga­menti ricevuti non consentono di dare una risposta sufficientemente persuasiva alla questione. Inoltre, come osserva Doria26 le ampie deroghe concesse dallo stato in mate­ria di stipulazione dei contratti e dei paga­menti rendono meno attendibili le fonti pub­bliche. Se è vero che il prezzo delle forniture sfugge in buona misura al controllo pubbli­co, in particolare a quello della Corte dei Conti, è però forse possibile usare questa fonte documentaria in altro modo, e cioè per cercare di rilevare l’entità dei pagamenti da essa registrati a favore delle imprese, confrontandoli con quelli riportati nei bilan­ci Ansaldo alla voce “rate incassate in conto lavori”. I dati sono ovviamente parziali, dal momento che comprendono solo i decreti del ministero della Guerra e del ministero per le Armi e Munizioni, prendendo in con­siderazione solo l’Ansaldo e non le altre so­cietà del gruppo, ed escludendo inoltre i pa­gamenti effettuati dal ministero della Mari­na, anche se si deve ricordare che nel corso della prima guerra mondiale l’Ansaldo lavo-

ne dello stabilimento Pomilio, che sarebbe ammontata, fra l’ottobre del 1916 e l’ottobre del 1919, a 1872 apparec­chi. Asa, Snb, 532/7.24 M. Doria, Ansaldo, cit. pp. 128-9.25 M. Doria, Ansaldo, cit. pp. 144-5.26 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 97.

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rò soprattutto per l’esercito. Più grave è for­se l’assenza di riferimenti precisi relativi alle produzioni aeronautiche, sia quelle delle im­prese collegate, come la Pomilio o la Sit, sia quelle della stessa Ansaldo. Al di là di questi limiti, un confronto fra le due fonti27 con­sente alcune brevi considerazioni: in primo luogo non si può non rilevare l’esistenza di una sensibile differenza fra le cifre riguar­danti la Corte dei conti (oltretutto, come detto, incomplete) e quelle riportate nei bi­lanci della società, cosa che può far nascere dei seri dubbi sull’attendibilità di queste ulti­me. Oltre a ciò è interessante osservare la sensibile diversità di valutazione per ciò che riguarda i tempi in cui vennero effettuati i pagamenti a favore dell’Ansaldo. Emerge in particolare la consistenza degli anticipi con­cessi alla società all’inizio del conflitto, e, elemento che le registrazioni della Corte dei Conti mettono in evidenza, la tempestività con cui sarebbero state liquidate le spettanze dei Perrone. Questo è un fatto da non tra­scurare, poiché la disponibilità in tempi ra­pidi di ingenti mezzi finanziari ha non poca importanza nel determinare le decisioni d’investimento dell’impresa. Purtroppo la scarsa disaggregazione dei dati relativi al 1919, in particolare il pagamento di 300 mi­lioni del febbraio 1919, non ci consente di valutare sia pur approssimativamente l’ef­fettiva consistenza delle liquidazioni per le commesse belliche rescisse.

Con l’uscita di scena dei Perrone alla fine

del 1921, si apre per l’Ansaldo una lunga fa­se di incertezza, che la rende un’“impresa senz’anima”. Ciò non è da ricollegarsi a un deciso mutamento strutturale dell’impresa; essa perde sì gli impianti di Cogne, la San Giorgio, gli stabilimenti torinesi che aveva­no prodotto gli aeroplani ed ora si dedicava­no agli autoveicoli, ma nel corso degli anni venti ricostituisce quello che era il suo asset­to prebellico: stabilimento Meccanico ed Elettrotecnico, stabilimento Fossati, acciaie­rie, cantieristica. Inoltre, nel 1929, viene as­segnato all’Ansaldo lo stabilimento di Poz­zuoli ex Armstrong, un chiaro segno della volontà dello stato di fare dell’Ansaldo il nucleo principale della produzione bellica nazionale28. D’altra parte anche le altre principali attività dell’Ansaldo — costruzio­ne di materiale ferroviario, attività cantieri­stica — sono strettamente legate a commesse provenienti da amministrazioni dello stato. Si comprende dunque come, in assenza di li­velli di spesa pubblica elevati, la situazione finanziaria dell’Ansaldo peggiorasse pro­gressivamente fino all’inizio del processo che, con la smobilitazione compiuta attra­verso la Sfi, porterà l’impresa genovese sot­to il completo controllo dello stato.

Largo spazio viene dedicato da Doria alle vicende degli anni trenta, in particolare ai tentativi di ristrutturazione del complesso Ansaldo da parte di Agostino Rocca. È inte­ressante osservare come la nuova fase della storia dell’Ansaldo che si apre con il passag-

27 Per i bilanci dell’impresa si veda: Archivio società Ansaldo, dati usati da M. Doria, Ansaldo, cit., p. 338; per i dati della Corte dei conti cfr.: Acs, Corte dei conti, Registri decreti guerra, agosto 1914-dicembre 1921. Confron­tando i dati si hanno i seguenti risultati (si indica l’anno e, tra parentesi, rispettivamente, le cifre dell’Ansaldo e del­la Corte dei conti): 1915 (78.125.488; 6.815.588); 1916 (125.255.672; 135.571.646); 1917 (212.987.815; 208.407.907); 1918 (379.196.147; 236.456.977); 1919 (266.527.050; 770.612.215); 1920 (90.009.572; 4.138.794); 1921 (118.472.808; —). I due totali risultano quindi 1.270.574.552 e 1.362.003.127. La cifra indicata dalla Corte dei conti per il 1919 (770.612.215) comprende L. 300.000.000 come acconto sull’importo delle forniture eseguite e sui compensi per rescissioni a carico dei servizi per le armi e munizioni come da decreto del Sottosegretario di Stato per le armi e munizioni e per l’Aeronautica del 6 febbraio 1919 e 400.000.000, divisi in quattro tranches di 100.000.000 ciascuna, versate fra il 31 luglio e il 29 settembre 1919 come acconto sulla somma dovutale dall’ammi­nistrazione militare per forniture belliche in corso di liquidazione.28 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 160.

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gio della società nella compagine Iri si iden­tifichi — anche secondo Doria — nel nome del suo massimo dirigente. Un riferimento che ci pare assolutamente non casuale nel senso che l’Ansaldo deH’Iri è in effetti l’An­saldo di Rocca, come la Terni “irizzata” ri­mane pur sempre la Terni di Bocciardo. L’impressione che se ne ricava è che l’Iri de­gli anni trenta, al di là dei tentativi di razio­nalizzazione di alcuni comparti industriali, ad esempio la cantieristica o la siderurgia bellica — argomento di cui ci occuperemo fra poco — rimanga in buona misura un coacervo di imprese i cui dirigenti, pur es­sendo divenuti manager di stato, continuano spesso a comportarsi come imprenditori pri­vati, badando più alla redditività della sin­gola impresa che non a strategie di gruppo o agli obiettivi dello stato.

Prima di prendere in considerazione que- st’ultima fase, è opportuno esaminare l’ere­dità lasciata dalle gestioni precedenti da un punto di vista più strettamente tecnico. Co­me Rocca osserverà nella sua relazione sulle condizioni del comparto siderurgico Ansal­do, gli impianti denunciavano una gravissi­ma obsolescenza, derivante dall’assoluta mancanza di nuovi programmi industriali dopo l’uscita di scena del vecchio gruppo di­rigente che aveva guidato la società nel cor­so del conflitto29. E questo nonostante fin dal 1927 l’Ansaldo avesse iniziato una colla­

borazione tecnica con la Krupp nel campo degli acciai speciali30: un rapporto che pro­seguì fino al 1934, quando, proprio in occa­sione dei lavori del Comitato sulla siderurgia speciale bellica, i militari presenti nel comi­tato esercitarono forti pressioni su Mario Barenghi, da circa un anno presidente del- l’Ansaldo, affinché la presenza di tecnici te­deschi nelle acciaierie genovesi cessasse al più presto31. L’obsolescenza tecnica di cui abbiamo parlato influì negativamente sul li­vello delle produzioni Ansaldo in un settore delicato come quello delle produzioni bel­liche.

L’esempio più clamoroso al riguardo è lo “scandalo delle corazze” , che condusse nel 1933 all’abbandono da parte di Ugo Caval­iere della presidenza, che teneva dal 1928, e all’allontanamento del direttore delle Ac­ciaierie, l’ing. Giuseppe Pozzo, e di quello dello stabilimento Artiglierie, il comandante Roberto Antona Traversi. La scoperta di gravi difetti tecnici in alcune piastre di co­razze e in componenti meccanici e di arti­glieria usciti dagli stabilimenti Ansaldo por­tò alla costituzione di una commissione d’in­dagine segreta, che mise in luce una prassi di irregolarità nel funzionamento delle produ­zioni delle acciaierie, che intervenivano con riparazioni occultatone su pezzi che si sareb­bero dovuti scartare32. Ciò rappresenterebbe una prova abbastanza convincente di come

29 Comitato Tecnico per lo studio dei problemi della siderurgia bellica speciale (Comitato Tecnico), Note sugli im­piantisiderurgici dell’Ansaldo, 11 luglio 1934, p. 7. Asbci, Sof, cart. 323, f. 4.30 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 165. Si veda per questo anche Lucio Ceva e Andrea Curami, Industria bellica anni Trenta. Commesse militari, TAnsaldo ed altri, Milano, Angeli, 1992, pp. 117-23 (recensito in queste pagine).31 Comitato Tecnico, Prima riunione, 26 giugno 1934, p. 4; Relazione conclusiva sui lavori del Comitato, 10 ago­sto 1934, fascicolo A, p. 42. Asbci, Sof, cart. 323, f. 1 e f. 2. L’atteggiamento dei militari italiani appare in questo caso poco comprensibile. Già nella seconda relazione conclusiva Nicola Parravano osservava come questo rapporto di consulenza con la Krupp durasse da diversi anni senza che i ministeri militari avessero espresso la minima contra­rietà in proposito. Non si vede inoltre in che modo la consulenza potesse trasformarsi in trasferimento in Germania di tecnologia italiana, visto che questa era assai inferiore. Per i rapporti successivi tra acciaieria Ansaldo e Krupp si veda “Accordi stipulati mediante scambio di lettere tra l’Ansaldo S.A. e la Società Italiana Acciaierie di Corniglia- no a complemento di quanto pattuito con atto rogito Benini in data 12 agosto 1935”, in cui si prefigura una colla­borazione nel campo della siderurgia speciale civile. Acs, fondo Iri (Iri), serie nera (sn), b. 28.32 Per una ricostruzione dettagliata della vicenda si veda L. Ceva, A. Curami, Industria bellica, cit., pp. 35-47, 131-37 e 140-50.

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le acciaierie riuscissero con sempre maggiore difficoltà a soddisfare i requisiti tecnici ri­chiesti per le forniture militari, e come ciò derivasse in primo luogo dalla scarsa effi­cienza di impianti invecchiati. Non è possi­bile stabilire se esistessero dei diretti legami fra la scoperta di queste irregolarità tecniche e la decisione presa ai vertici dello stato di creare il già ricordato comitato per la side­rurgia bellica. È tuttavia opportuno fare ri­ferimento a questo dibattito fra vertici mili­tari e dirigenti industriali per inquadrare più da vicino i successivi sviluppi intervenuti nella struttura industriale del gruppo geno­vese che portarono allo scorporo della com­ponente siderurgica. L’operazione, avvenuta nel settembre del 1934, fu la premessa per la successiva riorganizzazione generale del set­tore avviata da Rocca, che a partire dal lu­glio 1935 divenne amministratore delegato tanto dell’Ansaldo quanto della Siacc, la so­cietà creata per gestire le acciaierie di Corni- gliano e quelle di Aosta, con il progetto di trasferire anche queste ultime sul litorale li­gure. Com’è noto il disegno non si realizzò compiutamente, ma riuscì per la parte che più direttamente ci interessa, ovvero la sepa­razione della siderurgia Ansaldo dal suo gruppo e l’avvio dei progetti di riorganizza­zione della sua attività con la creazione di un grande impianto a ciclo integrale33.

Il Comitato tecnico per lo studio dei pro­blemi della siderurgia bellica speciale era stato creato nell’estate del 1934 per suggerire alcune proposte di sistemazione di un settore d’importanza strategica. Non casualmente Beneduce ne aveva aperto i lavori sottoli­neando come il problema fosse anzitutto di ordine tecnico e solo in secondo luogo eco­nomico, anche se con ciò non si intendeva concedere alcun vantaggio alle imprese con­trollate dall’Iri. Del Comitato erano chia­mati a far parte sia militari sia dirigenti in­dustriali34.

Rocca appare il vero dominatore della scena, poiché è sulla base delle relazioni pre­parate dal suo staff tecnico sulle diverse im­prese che vengono discussi i provvedimenti da adottare, mentre il suo parere ha un peso decisivo nel determinare gli orientamenti del comitato. Rocca prepara insomma il cano­vaccio di una discussione che, sia pur attra­verso rapidi scambi verbali e sottintesi, toc­ca temi che vanno ben al di là della questio­ne della sistemazione delle produzioni di si­derurgia bellica speciale, e che riguardano i delicati equilibri del sistema industriale ita­liano e delle sue due anime, pubblica e pri­vata35.

Tornando all’Ansaldo, gli studi di Rocca sottolineavano che la situazione dell’impresa risentiva ancora dell’impostazione datale dai

33 M. Doria, Ansaldo, cit. pp. 182-90. Per la vicenda dell’impianto a ciclo integrale di Cornigliano si veda Franco Bonelli (a cura di), Acciaio per l ’industrializzazione, Torino, Einaudi, 1982; Ulrich Wengenroth, Il mito del ciclo integrale. Considerazioni sulla produzione dell’acciaio in Italia, “Società e storia”, 1985, n. 30.34 Questi i membri del comitato: il gen. Giovanni Tesio, il gen. Umberto Pugliese, l’amm. Eugenio Minisini, il gen. Giulio Costanzi, Bocciardo della Terni, Barenghi dell’Ansaldo, Forcella e l’amm. Giuseppe Sirianni della Cogne, Orso Maria Corbino, Amilcare De Ambris, Nicola Parravano (presidente) e Agostino Rocca (segretario). Comitato Tecnico, Prima riunione, p. 1-2. Asbci, Sof, cart. 323, f. 1.35 Due soli esempi a questo proposito basteranno. In primo luogo si possono ricordare le puntate polemiche di Bocciardo sulPIri, che, ricordava il capo della Terni (l’unica delle tre imprese siderurgiche a conservare una sensibi­le presenza di capitale privato), aveva anche il compito di smobilizzare le partecipazioni conseguite. Comitato Tec­nico, Prima riunione, p. 5. Asbci, Sof, cart. 323, f. 1. Si debbono poi rilevare le difficoltà incontrare dal Comitato nell’assegnare alla Cogne, che si voleva escludere dalle produzioni di siderurgia bellica speciale, uno spazio d’azio­ne nella siderurgia speciale civile tale da consentirle risultati gestionali non disastrosi, senza però turbare gli equili­bri sanciti dagli accordi consorziali. Lo stesso potrebbe dirsi a proposito della propensione di Ansaldo e Terni verso la produzione siderurgica commerciale, propensione che viene nettamente scoraggiata. Comitato tecnico, Note su­gli impianti siderurgici dell’Ansaldo, pp. 68-77. Asbci, Sof, cart. 323, f. 2 e f. 4.

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Perrone: un nucleo centrale, il cantiere na­vale di Sestri, per il quale tutti gli stabili- menti dovevano più o meno direttamente la­vorare. Si comprendono così facilmente gli sforzi compiuti durante la precedente gestio­ne per dotare l’Ansaldo di una forte compo­nente siderurgica, elemento animatore del complesso cui forniva i semilavorati. Questa vocazione si era mantenuta anche successi­vamente, soprattutto per ciò che riguardava la siderurgia bellica (corazze ed elementi per artiglierie: questi ultimi rappresentavano il 27 per cento del valore della quota usata da­gli stabilimenti Ansaldo), ma il 50 per cento della produzione veniva ora venduta al di fuori del gruppo. Questo dato offriva il de­stro a Rocca per affrontare la questione del­l’acciaieria separatamente rispetto a quella del gruppo Ansaldo nel suo insieme. Un’im­postazione che verrà fatta propria dal Comi­tato, che nelle sedute successive36 e nella re­lazione finale parlerà delle acciaierie di Cor- nigliano come di uno stabilimento autono­mo a tutti gli effetti37. Va tuttavia rilevato come tra le proposte avanzate in questa sede non ve ne sia una esplicita riguardo lo scor­poro delle acciaierie dal resto del complesso, che pure avverrà meno di due mesi più tar­di38.

Una seconda considerazione riguarda gli aspetti produttivi. Si è già detto delle defi­cienze che caratterizzavano l’attività delle acciaierie.

In termini di valore della produzione nel 1934 i prodotti di siderurgia bellica speciale rappresentavano il 24 per cento del totale; il 42 per cento era coperto dalla siderurgia speciale non bellica e il 33 per cento (ma era il 79 per cento in termini di peso dei prodot­ti) alla produzione commerciale comune39. La sola siderurgia bellica non sarebbe stata in grado di garantire l’efficienza economica dell’esercizio. Il problema, comune anche alla Terni, poteva essere risolto ammetten­do una certa quota di produzione civile di qualità. L’obiettivo che si assegnava alla nuova struttura, adeguatamente rifinanziata — quello di concentrarsi soprattutto sulla produzione per usi bellici, con limitati scon­finamenti nel mercato civile — era comple­tamente diverso rispetto a quello che, di lì a pochi mesi, avrebbe impegnato tutte le energie di Rocca: la costruzione dell’im­pianto a ciclo integrale di Cornigliano, to­talmente volto ad un mercato che, nelle in­tenzioni dell’amministratore delegato della Siac, non doveva essere solo quello interno. Anche in questo caso i passaggi interni che

36 Comitato Tecnico, Sesta riunione, 24 luglio 1934, p. 2. Asbci, Sof, cart. 323, f. 1.37 Comitato Tecnico, Relazione conclusiva, p. 6. Asbci, Sof, cart. 323, f. 2.38 L’unica eccezione sembra essere rappresentata da un accenno di Parravano, che, nella seconda relazione conclu­siva, si dichiarava d’accordo con la proposta avanzata da Bocciardo (non riportata nei verbali delle sedute) di man­tenere in efficienza entrambi gli impianti di siderurgia bellica speciale, facendone lavorare però solo uno. La previ­sta gestione unificata di questi impianti non sarebbe però stata affidata ad un ente statale, come proposto da Boc­ciardo, bensì all’industria privata. Comitato Tecnico, Relazione Parravano, (seconda), pp. 7-8. Asbci, Sof, cart. 323, f. 2. Sulla reale volontà di Bocciardo di cedere l’acciaieria di Terni in modo da separarla dal resto del comples­so si veda il giudizio di F. Bonelii in Lo sviluppo, cit., p. 210 e sgg. Anche un’affermazione di Beneduce in occasio­ne dell’apertura dei lavori del Comitato suona in qualche modo sospetta. Citiamo dal verbale di Rocca: “È impor­tante rilevare che S.E. Beneduce non volle precisare i compiti della Commissione, per non dare la sensazione che Iri abbia un programma, per il quale cerchi l’avallo della Commissione stessa, lasciando invece a questa la maggior li­bertà nello svolgimento dei suoi lavori”. Comitato Tecnico, Prima riunione, p. 2. Asbci, Sof, cart. 323, f. 1. La prima formulazione esplicita sullo scorporo si trova in “Rapporto a S.E. il Capo del Governo sul nuovo assetto de­gli stabilimenti di siderurgia bellica”, (14 agosto 1934), p. 12. Acs, Iri, sn, b. 27. Nella stessa busta è conservata an­che la famosa Nota 28 agosto 1934 di Mussolini a Jung e all’Iri circa la sistemazione della siderurgia bellica, in cui vengono approvate le proposte avanzate nel rapporto.39 Comitato Tecnico, Quarta riunione, 13 luglio 1934, p. 4. Asbci, Sof, cart. 323, f. 1.

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determinarono il mutamento di strategia ri­mangono poco chiari.

Il giudizio espresso da Doria sull’intera vi­cenda andrebbe dunque almeno in parte ri­veduto. Se si può ammettere che l’intenzione dei tecnici Iri fosse quella di attaccare il mo­dello dell’impresa verticalmente integrata per realizzare più facilmente la riorganizza­zione del settore siderurgico, è anche vero che nei documenti prodotti dal Comitato manca non solo un riferimento diretto allo scorporo delle acciaierie di Cornigliano dal- l’Ansaldo, ma anche ad un possibile ridi­mensionamento del complesso Terni, del quale al contrario venivano sottolineati gli organici collegamenti con il settore elettrico, quello minerario e con i cantieri e lo stabili­mento artiglierie di La Spezia40.

D’altro canto pare poco esatto parlare di rapporti assolutamente episodici — esclu­dendo il cantiere, lo stabilimento Meccanico e lo stabilimento Artiglierie — fra acciaierie e stabilimenti del complesso. I tre ora citati rappresentavano una componente fonda- mentale dell’intero gruppo41. La già eviden­ziata propensione verso il mercato viene considerata dai membri del Comitato come una necessità, ma ciò non toglie che essa do­vesse essere quanto più possibile ridotta. La preminenza della produzione speciale bellica sembra dunque richiamare ad un più stretto legame di collaborazione con gli altri stabili- menti del gruppo, come del resto pare con­fermato da precedenti episodi, primo fra tutti la già ricordata attribuzione all’Ansal­

do dello stabilimento di artiglierie di Poz­zuoli.

Le cose si chiariscono ancor meglio se so­lo si accetta per un attimo di rovesciare la prospettiva da cui si analizza il problema, considerando il legame esistente fra acciaie­rie e stabilimenti cantieristici e meccanici non dalla parte della produzione siderurgi­ca, bensì da quella delle lavorazioni mecca­niche. Per queste il legame con l’acciaieria appare più stretto ed insostituibile, e l’avve­nuto scorporo non doveva rimanere senza conseguenze. Doria osserva che la vecchia dirigenza Ansaldo — il riferimento è, cre­diamo, al presidente Barenghi — pose non poche difficoltà al passaggio dello stabili­mento di Cornigliano alla gestione della Siacc, passaggio realizzato pienamente solo nel settembre 193542. Tuttavia non ci fu solo la comprensibile opposizione del vecchio gruppo dirigente, in buona parte rimosso dai propri incarichi, ma anche quella di im­portanti esponenti degli ambienti militari. Il capo di Stato Maggiore dell’esercito e sotto- segretario alla Guerra (con funzioni di mini­stro) generale Baistrocchi sosteneva in una sua lettera al ministro delle Finanze Thaon di Revel che l’operazione di scorporo era stata condotta contro il suo fermissimo pa­rere, dal momento che essa era contraria al­la consuetudine tecnica consolidata, in Italia quanto all’estero, che voleva strettamente unite per una proficua collaborazione la produzione di armi e quella dei relativi semi- lavorati siderurgici speciali43.

40 Comitato Tecnico, Relazione finale, fascicolo A, p. 5-6. Asbci, Sof. cart. 323, f. 2.41 Comitato Tecnico, Note sugli impianti siderurgici dell’Ansaldo, p. 24. Asbci, Sof, cart. 323, f. 4. Qui si danno i seguenti valori: Cantiere 10,5%, Meccanico 17%, Artiglierie 4,5%; oltre a ciò le acciaierie venivano valutate circa il 30% del valore degli impianti dell’intero gruppo. Nella valutazione del valore dei diversi impianti così come sono riportati in bilancio occorre togliere un 7,9% rappresentato dalla Sede. Se inoltre si guarda al valore dei lavori in corso (p. 25), abbiamo che il 17,7% spettava allo stabilimento Meccanico, il 23% al Cantiere navale e 1’ 11,5% allo stabilimento Artiglierie (cui occorre aggiungere il 30,6% spettante alle Acciaierie e Fonderie).42 M. Doria, Ansaldo, cit. p. 183. Si veda anche “Rapporti Ansaldo - Acciaierie di Cornigliano”, 17 giugno 1935, in cui si parla delle voci di un possibile ritorno delle acciaierie alla vecchia Ansaldo. Acs, Iri, sn, b. 28.43 Lucio Ceva e Andrea Curami, La meccanizzazione dell’esercito italiano dalle origini a! 1943, Roma, Ussme, 1989, vol. I, pp. 166-7 e vol. II, pp. 133-4.

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Anche altri documenti sembrano indicare una diversità di intendimenti fra militari e gruppo dirigente dell’Iri. Si può ad esempio ricordare una relazione sull’Ansaldo, risa­lente al giugno 1934, dell’ammiraglio Euge­nio Minisini, che, come abbiamo visto, farà parte di lì a poco del Comitato Tecnico. La questione dello scorporo di alcuni stabili- menti Ansaldo viene vista dal particolare punto di vista della produzione di artiglie­rie: è infatti lo Stabilimento Artiglierie che deve essere staccato — assieme alle Acciaie­rie — proprio perché la sua importanza strategica ne suggerisce una gestione separa­ta nel quadro del definitivo riordino di que­sto tipo di industrie. Sì dunque allo smem­bramento del pletorico complesso Ansaldo, ma in una prospettiva diversa rispetto a quella che sarà poi effettivamente realizza­ta44.

Gli effetti delle dispersioni tecniche legate alla creazione della Siacc — allontanamento di tecnici della vecchia Ansaldo, ingresso di personale proveniente dalla Cogne e da altre imprese siderurgiche italiane, spesso non specializzate in lavorazioni di siderurgia bel­lica — possono essere stati esagerati da Ba- renghi, ma lo stesso Rocca sembra involon­tariamente confermare queste opinioni quando, nella sua relazione al Comitato per la siderurgia bellica, aveva osservato come quella della Krupp non fosse una semplice consulenza, ma “un organo assolutamente indispensabile per il normale svolgimento

delle lavorazioni belliche. Non si tratta cioè di un organo che entra in funzione soltanto per dare suggerimenti nella soluzione di pro­blemi nuovi, ma di una specie di ‘ufficio la­vorazione’ che presiede a tutta la produzio­ne speciale”45.

Sebbene Rocca ipotizzasse che le autorità tedesche imponessero alla Krupp di non pas­sare all’Ansaldo informazioni sulle tecniche più avanzate e lamentasse che questa “dire­zione occulta” tecnica e scientifica non si fosse risolta in un’apprezzabile formazione di nuovi quadri tecnici italiani, è però vero che la cessazione di questa collaborazione si­gnificava la chiusura definitiva di un possi­bile percorso formativo46.

Carri armati, artiglierie e navi. Questi, così come era avvenuto oltre vent’anni pri­ma, furono i principali campi d’azione in cui la nuova Ansaldo di Rocca si cimentò nell’ambito dei programmi di riarmo del re­gime e nel corso del successivo sforzo bel­lico.

Se sui risultati complessivi di questo sfor­zo esiste un giudizio incontrovertibile, viste le grosse deficienze denunciate dagli arma­menti italiani fin dalle prime campagne mili­tari e l’esito finale del conflitto47, assai più controversa è la questione delle responsabili­tà di una prestazione così poco brillante. Abbiamo da una parte gli ambienti militari, che accusano le imprese di affarismo (Ansal­do compresa), mentre le industrie lamenta­no il ritardo con cui vennero definiti i pro-

44 “Sopralluogo presso l’Ansaldo”, (giugno 1934), pp. 27 e 40. Asbci, Sof, cart. 258, f. 3. Si veda anche “Note su­gli elementi patrimoniali ed economici di un rilievo della Odero-Terni-Orlando da parte di Iri previa cessione alla Terni dello stabilimento artiglierie”, (5 ottobre 1934). Asbci, Sof, cart. 271, f. 1. Come suggerito dal titolo dello studio, per la Oto si pensava ad una separazione delle attività cantieristiche dalle lavorazioni meccaniche e di arti­glieria, assegnando le prime, bisognose di una radicale riorganizzazione, alPIri, mentre le seconde sarebbero passa­te ad una nuova società controllata dalla Terni, al fine di mantenere un legame organico fra produzione siderurgica e utilizzo dei suoi semilavorati. Un destino assai diverso rispetto a quello già deciso per l’Ansaldo, anche se va ri­cordato che la Oto passò poi per intero sotto il controllo diretto dellTri.45 “Note sugli impianti siderurgici dell’Ansaldo”, p. 80. Asbci, Sof, cart. 323, f. 4. Per il giudizio di Barenghi si ve­da L. Ceva, A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 170-1 e vol. II, pp. 125-32.46 Comitato Tecnico, Note sugli impianti siderurgici dell’Ansaldo, pp. 81-2 Asbci, Sof, cart. 323, f. 4.47 Sullo sforzo bellico italiano si veda Alan S. Milward, Guerra, economia e società 1939-45, Milano, Etas, 1983; M. Doria, L ’Ansaldo, cit. pp. 211-2.

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grammi industriali, l’incerto andamento del­le commesse e dei relativi pagamenti, ed in­fine la scarsità di materie prime. Ci è parso più interessante cercare di analizzare la que­stione dal punto di vista delle imprese, an­che perché ciò consente di collocare la vicen­da Ansaldo in una posizione centrale, anco­ra una volta esemplificativa dell’intero pa­norama industriale italiano.

Più in particolare si deve rilevare come P Ansaldo sia stata una delle più importanti “produttrici” di documenti relativi allo sfor­zo bellico in corso i cui risultati vengono presentati in maniera fuorviante, sotto una luce del tutto particolare, vale a dire quella del confronto con la produzione nel corso della prima guerra mondiale. Si tratta di una prassi che non appartiene esclusivamente al- l’Ansaldo e che, dato interessante, parte già dall’ultimo periodo prebellico4 * * 48.

La produzione delle artiglierie è il settore su cui maggiormente si insiste nella compa­razione fra primo e secondo conflitto mon­diale operata dalle imprese. Per l’Ansaldo possiamo riferirci alla già ricordata indagine di Curami e Miglia — utilizzata anche da Doria — che prende in considerazione una serie di memoriali preparati dalla ditta geno­vese i quali, significativamente, rappresenta­no anche la traccia del principale documento del Fabbriguerra illustrante i risultati del­l’industria bellica italiana49.

Esistono alcuni assunti di base che rispec­chiano le responsabilità da parte degli orga­ni dello stato. Si debbono infatti registrare tanto il fenomeno delle commesse “a piog­

gia”, ovvero delle ordinazioni — spesso in termini quantitativi modesti — di medesimi modelli di artiglierie a più linee di costruzio­ne, quanto la stasi della domanda nel perio­do 1918-1934, che compromise almeno in parte il patrimonio di conoscenze creato dal conflitto, quanto, infine, i ritardi con cui vennero delineati i piani di ammodernamen­to degli impianti. D’altra parte, tuttavia, so­no inaccettabili le argomentazioni difensive facenti leva sul forte incremento delle ore la­vorative necessarie per la produzione dei pezzi o sulle rigidezze da parte degli organi tecnici dell’esercito a proposito dei procedi­menti costruttivi da adottare50.

Ulteriori elementi di valutazione ci vengo­no forniti dall’esame dei programmi di svi­luppo della produzione delle maggiori im­prese italiane per le prime fasi del previsto conflitto. A tale scopo si sono presi in consi­derazione alcuni documenti conservati nel fondo dell’Iri (numerazione rossa): due rela­zioni, datate dicembre 1939, sulla produzio­ne di artiglierie dei due complessi Terni-Oto e Siac-Ansaldo e sul programma di produ­zione delle artiglierie, ed uno studio dell’a­gosto 1940 sul contributo dello stato al po­tenziamento degli impianti, altro argomento su cui si incentra la critica alle imprese51.

Durante la grande guerra l’Ansaldo aveva prodotto nei propri stabilimenti genovesi (stima Iri) 7.885 pezzi, raggiungendo nel 1918 il massimo delle capacità produttive. Il documento Iri confronta questa capacità produttiva con quella prevista per il 1939- 194152: i dati del 1941 prevedevano 3.700

4S Ad esempio Produzione artiglierie degli stabilimenti meccanici Odero-Terni-Orlando La Spezia, 1939.49 Ministero della Produzione Bellica, Cenni sullo sforzo sostenuto dal Paese per la produzione bellica nella guerra 1940-43 e sua entità nei confronti della guerra 1915-18, Roma, Stab, fotomeccanico dell’Aeronautica, 1943 (luglio).50 A. Curami, F. Miglia, L ’Ansaldo e la produzione bellica, cit., pp. 267-8. Si veda pure Acs, Iri, sr, b. 434, Pro­duzione artiglierie, pp. 17-8 e relativi prospetti e, per la questione degli accordi con il Servizio tecnico Armi e Muni­zioni, Acs, Iri, sr, b. 434, “Programma produzione artiglierie”, (dicembre 1939), pp. 12-3.31 “Produzione artiglierie acciaierie Terni e Siac e stabilimenti meccanici Ansaldo e Oto”; “Programma produzioneartiglierie”; “Contributo dello stato al potenziamento degli impianti per le artiglierie”. Acs, Iri, sr, b. 434.2 Produzione media mensile massima nel 1918, 1939 e 1941 di bocche da fuoco e masse oscillanti per l’esercito e la

marina: indichiamo lo stabilimento produttivo, l’anno e, tra parentesi, i pezzi rispettivamente di piccolo, medio e

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operai impiegati su due turni giornalieri di 10 ore ciascuno, con 25 giorni lavorativi mensi­li. La sproporzione rispetto alle potenzialità raggiunte nel 1918 appare enorme, sebbene l’estensore della relazione si affretti a preci­sare che ciò dipende dalla maggior comples­sità delle lavorazioni per le artiglierie moder­ne. Il divario appariva inoltre meno grave se si considerava che si sarebbe prodotta una maggior quota di medi e grossi calibri. Con­siderazioni che suonano poco convincenti so­prattutto alla luce dell’atteggiamento del­l’autore di queste note, che, “candidamen­te”, dichiarava che lo studio non si propone­va di risolvere la questione riguardante l’ef­fettiva corrispondenza della produzione dei nuovi impianti alle esigenze dell’esercito. Va inoltre rilevato che la produzione mensile prevista per il 1941 veniva considerata rag­giungibile solo nel caso in cui tutte le altre la­vorazioni di artiglierie per la marina e di altri prodotti venissero sospese, destinando tutte le potenzialità ai bisogni dell’esercito53.

I programmi di potenziamento erano co­munque già in ritardo: l’Ansaldo doveva an­cora ricevere 222 delle 400 macchine utensili ordinate (92 dall’estero). La Oto, che ne aveva ordinate 605, ne attendeva ancora 352 (73 dall’estero). Secondo le previsioni for­mulate dall’Ansaldo le forniture sarebbero state completate nel primo semestre del 1941; ciò significava che solo nel terzo tri­mestre dell’anno si sarebbe raggiunta la pie­

na efficienza produttiva54. Questo incremen­to delle potenzialità degli stabilimenti di ar­tiglierie, pur deciso in accordo con le autori­tà militari, non era tuttavia stato dimensio­nato sulla base di precise commesse. Pensa­to per le artiglierie di piccolo e medio cali­bro, il piano si era rivelato lacunoso per quanto riguardava alcuni tipi di materiali, ad esempio quelli da 90/53 e da 149/40. Per ottenere incrementi sensibili di produzione sarebbe stato necessario ordinare un centi­naio di nuove macchine per lo stabilimento di Genova e un’altra cinquantina per quello di Pozzuoli, con una spesa complessiva di circa 25 milioni. La produzione mensile pre­vista dopo l’integrazione sarebbe stata di 177,6 pezzi tra bocche da fuoco e masse oscillanti55.

Dopo questa integrazione si riteneva che gli impianti non sarebbero stati ulteriormen­te potenziabili, e dunque per ogni ulteriore incremento di produzione occorrevano altri stabilimenti: ipotesi che avrebbe richiesto per essere sviluppata almeno tre anni di la­voro e alla cui realizzazione, secondo il pa­rere concorde di Ansaldo e Oto, si sarebbero opposte notevoli difficoltà nel reperimento dei macchinari e in quello dei tecnici e delle maestranze specializzate56. Si pensava che le commesse di 3.113 pezzi in corso al dicem­bre 193957 sarebbero state completate in po­co più di 13 mesi. Questo, però, facendo ri­ferimento alla potenzialità massima che si

grosso calibro: Ansaldo-Genova: 1918 (316,2; 70, 7; 3,1); 1939 (10; 5; 2); 1941 (36; 30; 4,8); Ansaldo-Pozzuoli: 1918 (—; —; —); 1939 (5; 8; 1); 1941 (60; 12; 1,2). Totale: 1918 (316,2; 70, 7; 3,1); 1939 (15; 13; 3); 1941 (96; 42; 6). Fonte: “Produzione artiglierie”, p. 5. Acs, Iri, sr, b. 434.53 “Produzione artiglierie”, pp. 6-8. Acs, Iri, sr, b. 434.54 “Produzione artiglierie”, pp. 9-10. Acs, Iri, sr, b. 434.55 Relativamente al “programma produzione mensile bocche da fuoco e masse oscillanti per l’esercito con l’integra­zione degli impianti 1941”, indichiamo di seguito calibri e modelli e tra parentesi, rispettivamente, la produzione dell’Ansaldo Genova e dell’Ansaldo Pozzuoli: 75/34 (12; 62,4); 75/46 (—; 15,6); 90/53 (36; —); 149/19 (18; 15,6); 149/40 (12; —); 210/22 (4,8; 1,2). Totale: 177, 6 (Ansaldo Genova: 82,8; Ansaldo Pozzuoli: 94,8). Fonte: “Pro­gramma produzione artiglierie”, p. 12, in Acs, Iri, sr, b. 434.56 Produzione artiglierie, pp. 10-1. Acs, Iri, sr, b. 434.57 Di cui 2.111 di piccolo calibro, 916 di medio e 86 di grosso calibro. “Produzione artiglierie”, pp. 15-6. La rela­zione “Programma produzione artiglierie” (pp. 15-6) riporta invece la cifra di 3157 pezzi, di cui 2155 di piccolo ca­libro, mentre le altre valutazioni rimangono invariate.

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prevedeva di ottenere nel 1941, e che era an­cora ben lungi dall’essere raggiunta58.

Da questa sia pur sommaria trattazione un dato sembra emergere abbastanza chiara­mente, e cioè la modestia dello sforzo pro­duttivo previsto per il conflitto che appariva ormai imminente: un risultato imputabile, in parte, al contraddittorio comportamento dei vertici militari e politici, ma del quale anche le imprese erano responsabili, soprattutto in considerazione dell’ingente sforzo finanzia­rio sostenuto dallo stato per il loro potenzia­mento. Della questione si sono ampiamente

occupati tanto Curami e Miglia quanto Min- niti59, e pertanto ci limitiamo in questa sede a proporre solo alcuni dati relativi alla dimen­sione finanziaria dei programmi varati fra la fine del 1938 ed il maggio del 194060.

Soprattutto i dati relativi ai preventivi di costo per il potenziamento degli impianti Ansaldo ed alle epoche presunte di consegna delle artiglierie per l’esercito necessitano di un qualche commento: per quanto riguarda i tempi di consegna dei materiali commessi, lo stesso studio, presentando queste previsioni, avvisava che esse sarebbero state valide nel

58 “Produzione artiglierie”, pp. 15-6. Nel “Programma produzione artiglierie” (p. 16) si parla invece di 16 mesi per il completamento delle commesse dei piccoli calibri, di 13,4 mesi per i medi e 9,5 mesi per i grossi calibri, invece de­gli 8,5 previsti dal precedente studio. Acs, Iri, sr, b. 434.59 A. Curami, F. Miglia, L ‘Ansaldo e la produzione bellica, cit., pp. 266-9 e allegati. F. Minniti, Due anni di attivi­tà dei Fabbriguerra, cit., pp. 858-61; Id., Il problema degli armamenti, cit., pp. 11-20; L. Ceva, Un intervento di Badoglio e il mancato rinnovamento delle artiglierie italiane, “Il Risorgimento”, 1976, n. 2.60 “Contributo dello Stato”, pp. 2-14 e relativi prospetti. I dati che seguono comprendono anche la produzione del­la Oto degli altri stabilimenti incaricati di fornire i semilavorati necessari per la produzione di artiglieria: Terni, Siac, Fossati (Acs, Iri, sr, b. 434). Indichiamo anzitutto le commesse per forniture di artiglierie all’esercito sulle quali è stata riconosciuta la maggiorazione del 15 per cento, (in migliaia di lire):

Stabilimento Prezzo di contratto Maggiorazione 15% Totale

Ansaldo-Genova

132 complessi da 149/40 e 132 tubi anima 192.773 28.916 221.68048 tubi anima da 149/40 3.581 537 4.118408 complessi da 90/53 209.467 31.420 240.887643 cannoni da 47/32 24.434 3.665 28.099228 complessi da 90/53 117.055 17.558 134.613Caricamento e carrelli 5.768 866 6.634Totale 553.078 82.962 636.040

A nsaldo-Pozzuoli76 complessi da 75/18 12.008 1.801 13.809312 complessi da 149/19 279.365 41.905 321.270120 complessi da 75/46 60.096 9.014 69.110116 complessi da 75/46 59.488 8.923 68.411192 complessi da 75/34 32.698 4.905 37.603750 complessi da 47/32 39.888 5.983 45.871Attrezzature da 47/32 2.393 ' 359 2.752Caricamento da 75/46 8.202 1.230 9.432Totale 494.138 74.120 568.258Totale generale 1.047.216 157.082 1.204.298

Il programma di fornitura di artiglierie per l’esercito (base prezzi 15 aprile 1939, espressi in migliaia di lire) preve­deva le seguenti produzioni: Ansaldo Genova: 900 complessi da 90/53 (prezzo: 463.000); 490 complessi da 149/40 (679.000). Ansaldo-Pozzuoli: 400 complessi da 90/53 (205.350); 480 complessi da 149/19 (429.800); 100 complessi da 149/90 (138.600). In totale: 1.915.750. Indichiamo quindi i preventivi di costo per il potenziamento degli im­pianti Ansaldo, I e II programma (in milioni di lire):

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caso in cui le consegne di macchinari e gli al­tri lavori per i nuovi impianti si fossero svol­ti regolarmente. In realtà tanto l’Ansaldo quanto la Oto lamentavano almeno 7-9 mesi di ritardo nelle consegne dei macchinari, con punte previste di 14-16 mesi. Ciò ovviamen­te avrebbe avuto gravi ripercussioni su pro­grammi di produzione, che forse anche per questo motivo dovettero essere profonda­mente riveduti61.

Ancor più interessanti sono le questioni re­lative agli ammortamenti dei nuovi impianti che dovevano essere effettuati anche grazie al cospicuo contributo dello stato erogato sotto la forma della maggiorazione del 15 per cento del prezzo delle forniture di artiglierie. E sulla spartizione di questi fondi non pote­vano non crearsi contrasti fra le diverse im­prese. Per il “I Programma” si era deciso un

contributo di 225 milioni, che non era stato modificato dopo le revisioni dei preventivi di costo dei nuovi impianti, se non per qualche spostamento interno nelle ripartizioni. Sulla base del preventivo 1940 all’Ansaldo, a fron­te di 220,5 milioni di spese per nuovi impian­ti, sarebbero spettati 79 milioni; 53,3 sareb­bero andati alla Oto, 55 alla Siac e 37,6 alla Terni.

Si trattava dunque di una divisione pres­sappoco proporzionale, in accordo con quanto proposto da Bocciardo, i cui calcoli si basavano appunto sulle spese effettive so­stenute per gli impianti62.

Di diverso avviso era Rocca, che osserva­va come per la produzione di affusti di arti­glieria l’Ansaldo avesse effettuato acquisti di macchinari per ulteriori 53 milioni, ripar­titi fra i diversi stabilimenti del gruppo, che

I programma II programmaStabilimento Prev. 1938 Prev. 1939 Maggiore

spesa ult. Prev. 1940 Prev. 1940 Totale

Ansaldo-Genova 95 101,5 20, l a 121,6 51,5 173,1Ansaldo-Pozzuoli 60 70 19,8b 89,8 26 115,8Fossati — 8,3 0,8 9 ,Ie 9,6 18,7Altri stabilim. — — 53 53“ — 53

Totale generale 155 179,8 93,7 273,5 87,1 360,6

(a) di cui 15,1 per nuovi macchinari; (b) di cui 10 milioni per nuovi macchinari e 7,3 per impianti di fucinatura e stampaggio; (c) per installazione di impianti di fucinatura e stampaggio; (d) gli stabilimenti interessati sono il Mec­canico, e l’Elettrotecnico e ancora il Fossati. Indichiamo infine le epoche presunte di consegna delle artiglierie perl’esercito (maggio 1940):

Stabilimento ModelloNumero

I programma

Epoca ultim.

II Programma

Numero Epoca ultim.

Ansaldo-Genova 47/32 643 gennaio 1942 — —Ansaldo-Genova 90/53 636 aprile 1942 900 ottobre 1943Ansaldo-Genova 149/40 132 settembre 1942 490 maggio 1945Ansaldo-Pozzuoli 47/32 750 novembre 1941 — —

Ansaldo-Pozzuoli 75/18 76 dicembre 1941 — —

Ansaldo-Pozzuoli 75/34 192 giugno 1942 — —

Ansaldo-Pozzuoli 75/46 camp. 120 maggio 1942 — —

Ansaldo-Pozzuoli 75/46 Dicat. 116 maggio 1942 — —

Ansaldo-Pozzuoli 90/53 — — 400 settembre 1943Ansaldo-Pozzuoli 149/19 312 giugno 1942 480 febbraio 1944Ansaldo-Pozzuoli

61 “Contributo dello stato’62 “Contributo dello stato’

149/40

, pp. 9-11, Acs, Iri, , pp. 17-8, Acs, Iri,

sr, b. 434. sr, b. 434.

100 maggio 1945

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non erano però compresi nei piani di soste­gno dello stato e che avrebbero dovuto esse­re considerati nell’assegnazione del contri­buto. Secondo Rocca, si sarebbe dovuto te­ner conto anche di queste spese, 11,2 milio­ni63. Un contributo totale (90,2 milioni) cer­to non disprezzabile, che, aggiungendosi agli utili previsti, calcolati approssimativa­mente — molto approssimativamente, se­condo il giudizio dei responsabili Iri — avrebbero assicurato ampi margini di profit­to64.

Nel settore dei carri l’Ansaldo era l’unica impresa produttrice degli scafi, della coraz­zatura e di parte dell’armamento, mentre l’apparato motore era realizzato dalla Fiat o dalla Spa. Un’impresa pubblica ed una pri­vata, dunque. Caso non isolato, in un setto­re in cui comunque gli eventuali contrasti fra le due parti erano regolati dalla media­zione del monopsonio statale. In questo ca­so tuttavia i contrasti non debbono essere cercati tanto fra i due partner industriali (il cui sodalizio, sorto probabilmente fra il 1933 ed il 1934, andò avanti senza grossi di­saccordi), quanto piuttosto fra questi e le amministrazioni militari. Nella seconda me­tà degli anni trenta e durante il conflitto Fiat e Ansaldo riuscirono sistematicamente a sventare tanto i timidi tentativi da parte del­le altre imprese del settore meccanico e belli­co di inserirsi nel mercato con modelli pro­pri quanto i periodici tentativi del ministero della Guerra di imporre la riproduzione di carri di tipo tedesco o il miglioramento della qualità dei propri prototipi, oltretutto svi­luppati con una lentezza esasperante, en­trando in produzione già obsoleti65. Più in

particolare, per l’Ansaldo, si confermava la difficoltà del rapporto con gli stessi appa­rati dello stato da cui partivano le com­messe.

Rocca si rendeva conto delle ostilità ma­turate negli ambienti del ministero della Guerra, dalle quali si difendeva osservando come il patriottismo non potesse essere di­sgiunto dalla necessità di garantire l’effi­cienza economica dell’impresa. Un giudizio che, viste le condizioni particolari in cui si trova il paese in quel momento (giugno 1940), non riesce facile condividere66.

Con l’aggravarsi della situazione militare ed economica l’ostilità di settori sempre più ampi del regime nei confronti degli impren­ditori diveniva via via più manifesta. Le prime avvisaglie si registrano già alla fine del 1941, quando, presumibilmente su ini­ziativa del ministero delle Finanze, venne istituita presso l’Ansaldo una commissione ispettiva, incaricata di chiarire le accuse contenute in un memoriale anonimo perve­nuto al prefetto di Genova, scritto, come poi si era venuto a sapere, dall’assistente ai lavori, lo squadrista Podestà, e riveduto e corretto dal vice direttore centrale, il rag. Antonelli67.

Va detto che l’Ansaldo esce bene dall’in­chiesta; si sottolinea in particolare il grande sforzo di riorganizzazione iniziato nel 1935, che aveva portato ad ottimi risultati tanto nel campo delle tecniche produttive quanto in quello dell’organizzazione del lavoro e della riqualificazione della manodopera. Se qualche rilievo doveva essere mosso, questo era senza dubbio assai meno grave di quelli comunemente accettati, soprattutto negli

63 “Contributo dello stato”, pp. 17-8, Acs, Iri, sr. b. 434.64 “Contributo dello stato”, pp. 12 e 17, Acs, Iri, sr, b. 434.65 Per un esame dettagliato dell’intera vicenda si veda L. Ceva, A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I.66 L’episodio è riferito in L. Ceva, A. Curami, La meccanizzazione, cit., vol. I, pp. 271-2.67 Della commissione facevano parte il dott. Tommaso Lazzari (presidente), ispettore generale capo di finanza, il gen. Erio Zannini, il prof. Pasquale Saraceno e il rag. Luigi Gagliardi (segretario). “Relazione della Commissione Ispettiva presso l’Ansaldo S .A .”, (31 dicembre 1941), p. 14. Acs, Iri, sr, b. 437.

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ambienti politici. Se la macchina produttiva faceva registrare qualche scompenso ciò de­rivava, oltre che dalle difficoltà di coordina­mento di una struttura industriale così com­plessa, da fattori esterni, come l’irregolarità delle commesse e l’imprevedibilità delle cor­rezioni ad esse apportate o, dato ancor più grave, dai notevoli ritardi negli approvigio- namenti di semilavorati da parte dei fornito­ri esterni68.

Posizioni che ritroviamo anche nei docu­menti allegati alla relazione della commis­sione, ovviamente di provenienza Ansaldo. Basterà ricordare a tale proposito una rela­zione dell’ing. Giuseppe Rosini, direttore dello stabilimento Fossati, nel quale si co­struivano i carri armati69. Rosini riferiva che le produzioni di componenti per carri, per le parti di competenza dello stabilimen­to, erano arrivate a 100 carri M 13 e a 50 autoblindo Ab al mese, ovvero circa il tri­plo degli impegni originari. Tuttavia le for­niture risultavano inferiori alle cifre indica­te perché i carri dovevano essere equipag­giati anche con altre componenti: i gruppi motopropulsori, forniti dalla Spa, gli ap­parecchi ottici, prodotti dalla San Giorgio, i cannoni da 47, realizzati dallo stabilimen­to artiglierie Ansaldo e i cannoni da 20 e le mitragliatrici da 8, provenienti dalla Breda. Solo i cannoni da 47 — provenienti da un altro stabilimento Ansaldo — veni­vano forniti in quantitativi tali da soddi­sfare il fabbisogno. Per tutti gli altri mate­riali, motori, armamenti, apparecchiature di puntamento, si lamentavano continue deficienze, che avevano determinato un notevole accumulo di scafi già pronti e co­stretto i responsabili dello stabilimento a

ridurre da 10 ad 8 ore la durata dei turni la­vorativi.

Nonostante le conclusioni ottimistiche del­la commissione d’ispezione e le dichiarazioni di non responsabilità da parte del gruppo di­rigente dell’Ansaldo, i malumori erano desti­nati ad accrescersi. È probabilmente per di­fendersi da questi attacchi che Rocca scrisse la nota lettera a Mussolini in cui si illustrava­no i risultati produttivi dell’Ansaldo nel campo delle artiglierie fra il luglio 1940 e il gennaio 194370. Ritroviamo qui le consuete comparazioni con l’attività dell’Ansaldo per- roniana, sulla base delle quali si affermava il pieno raggiungimento da parte della società degli obiettivi prefissati: una difesa che risul­ta poco convincente, anche perché nelle stati­stiche sulla produzione di artiglierie presen­tate da Rocca è compresa anche la quota rea­lizzata nello stabilimento di Pozzuoli ex Armstrong (1.824 pezzi su 5.049), che, ov­viamente, non faceva parte del gruppo An­saldo nel corso del passato conflitto71.

Un ulteriore peggioramento della situazio­ne doveva verificarsi dopo il 25 luglio e so­prattutto dopo l’8 settembre, quando le au­torità militari tedesche che avevano preso il controllo della situazione oscillarono per qualche tempo fra la pura e semplice razzia delle materie prime e dei macchinari indu­striali e una riorganizzazione dell’attività delle imprese impegnate nella produzione di materiali d’interesse strategico. Con la costi­tuzione del Ruk (Reichsminister für Rüstung und Kriegsproduktion), che coordinava l’at­tività delle imprese italiane controllando di­rettamente ordinazioni, distribuzione delle materie prime e trasporti, la situazione co­nobbe un deciso miglioramento. Non a caso

68 “Relazione”, p. 4. Acs, Iri, sr, b. 437.69 “Note sullo stabilimento Fossati’, (11 dicembre 1941). Acs, Iri, sr, b. 437.70 Lettera di Rocca a Mussolini (22 aprile 1943). Acs, Record Office Copy, (Roc), Job 234, 062441-6. Vedi anche A. Curami, F. Miglia, VAnsaldo e la produzione bellica, cit., pp. 272 e 278-80.71 La produzione degli stabilimenti liguri sarebbe dunque stata di 3225 pezzi, contro i 3699 realizzati dalla vecchia Gio. Ansaldo fra il giugno del 1915 e il dicembre del 1917.

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Rocca — osserva giustamente Doria — si dimostrava scettico se non addirittura ostile nei confronti dei tentativi delle autorità del­la Repubblica Sociale di creare organismi autonomi di organizzazione della produzio­ne, proponendo al contrario di non ostaco­lare il “comando unico della produzione” che i tedeschi avevano di fatto già realizza­to72.

Nonostante la creazione del Ruk l’atteg­giamento tedesco non fu univoco: ai provve­dimenti organizzativi a favore delle industrie di guerra se ne accompagnano altri di trasfe­rimenti forzati di industrie e di forza lavoro che si richiamano ai già ricordati comporta­menti razziatori. In questo contesto con­traddittorio, nel quale lo stesso Rocca — oppostosi ai trasferimenti forzati — viene per qualche giorno incarcerato per ordine del tribunale militare tedesco (gennaio 1944), si inserisce un episodio poco noto: un mandato di cattura spiccato nei primi giorni del maggio 1944 dal tribunale straordinario provinciale di Genova nei confronti dell’am­ministratore delegato dell’Ansaldo73.

Da quanto si può dedurre dallo scarno documento a nostra disposizione si può escludere un coinvolgimento di Mussolini e della stessa massima autorità fascista della provincia, propensa a mantenere Rocca in libertà. Va del resto rilevato come i tedeschi, che pure pochi mesi prima avevano incarce­rato l’amministratore delegato dell’Ansaldo, ne avessero ora impedito l’arresto prelevan­dolo per tenerlo al sicuro, ritenendo eviden­temente utile mantenerlo alla guida della so­

cietà. È curioso notare come un memoriale anonimo successivo alla fine del conflitto, proveniente dall’archivio Rocca, parli invece proprio per quegli stessi giorni di due arresti successivi da parte dei tedeschi, che accusa­vano l’Ansaldo di ostruzionismo e sabotag­gio nell’ambito di una commessa di 30 som­mergibili di piccole dimensioni74. Il docu­mento è una difesa — con toni agiografici — dell’operato della dirigenza Ansaldo al­l’indomani dell’8 settembre; questa avrebbe cercato di ostacolare in ogni modo la produ­zione di materiali per le forze armate germa­niche.

Non è nelle nostre intenzioni entrare nel merito della questione. Nel caso in cui si vo­lesse dare maggior credito alla prima versio­ne sarebbe interessante riflettere su un episo­dio che appare circoscritto nei suoi possibili sviluppi, ma che non per questo ci sembra meno significativo. Come spiegare il tentati­vo di togliere di mezzo Rocca? Si trattò for­se di una mossa isolata da parte di settori di­rigenziali e fascisti locali che erano stati messi in ombra dall’arrivo del manager di stato? Certo è che l’attiva politica di rinno­vamento condotta da Rocca all’Ansaldo gli aveva procurato non pochi nemici: ad esem­pio quel comandante Roberto Antona Tra­versi che, vistasi preclusa ogni possibilità di un ritorno a cariche dirigenziali, sfogava la propria acredine in lunghi memoriali indiriz­zati al duce in cui si farneticava del complot­to plutocratico-massonico-giudaico orche­strato da Toeplitz e dalla Banca Commercia­le e — con qualche ragione in più — dello

72 M. Doria, Ansaldo, cit. pp. 233-4. Il promemoria di Rocca al generale Graziarli del 5 novembre 1943 in cui si esprimevano le opinioni sopra riportate si trova, oltre che in Fondazione Einaudi, Archivio Agostino Rocca, 49/ 46, anche in Acs, Roc Job 234, 062447-52. Sui programmi tedeschi per l’Ansaldo abbiamo trovato qualche traccia anche presso l ’archivio di Freiburg im Br. per ciò che riguarda la produzione di veicoli corazzati. Fra l’ottobre 1943 e il marzo 1944 si pensava di riuscire a produrre 85 carri del tipo P 40, 45 semoventi 75/18-42, 80 semoventi 75/34- 42, 55 semoventi 105/34-43 (sic. ma 105/25-43) e 150 autoblindo del tipo Ab 43. Bundesarchiv-Militârarchiv, RM 18,8/v , 1517 (19 ottobre 1943).73 “Comunicazione del Capo della provincia di Genova a Mussolini” (5 maggio 1944), Acs, Roc, Job 234, 062457.74 Lettera Marrubini Carlo a CLNAI (15 ottobre 1945). “Appendice B. La produzione industriale dell’Ansaldo do­po l’8 settembre 1943”, p. 3. Fondazione Einaudi, Archivio Agostino Rocca, 61.5.

Page 20: L’Ansaldo industria bellica · L’Ansaldo durante il fascismo 1922-1945, Mila no, Feltrinelli, 1981. 6 Ferdinando Fasce, Strategie imprenditoriali e mercato mondiale degli armamenti:

168 Fortunato Minniti

scarso patriottismo dimostrato dai dirigenti industriali italiani75.

In conclusione si può dire che né Rocca né tantomeno Antona Traversi o altro persona­le dirigente avrebbero potuto evitare la para­lisi che andava manifestandosi nell’Ansaldo e nelle altre industrie italiane, pubbliche e

non, che si erano impegnate nello sforzo bellico. Il loro obiettivo diveniva ora quello di arrivare per quanto possibile indenni alla fine del conflitto per cogliere al meglio le opportunità che la ricostruzione postbellica avrebbe offerto.

Fabio Degli Esposti

75 “Reports on armaments from Ansaldo by Antona Traversi, 1935-45” . Acs, Roc, Job 242, 064957-065091. In particolare si debbono segnalare: uno studio su alcuni aspetti della ricostruzione dell’industria bellica nel quadro della socializzazione delle imprese, (gennaio 1945), 064977-065017; “Di alcune interessanti vicende per la conquista dell’autarchia nella creazione e produzione delle armi” (gennaio 1941), 065020-36; “Del potenziamento e della rior­ganizzazione delle industrie a carattere tipicamente bellico” (maggio 1935), 065054-70.

L’Ansaldo di Cavaliere raccontata dagli archivi

Fortunato Minniti

Dopo l’importante lavoro sulla meccanizza­zione1, ossia sulle scelte politico-militari operate in Italia tra il primo decennio del nostro secolo ed il 1943 al fine di dotare l’e­sercito di mezzi a motore da impiegare nel combattimento, e dunque su un altro incon­tro — dopo quelli relativi alle navi, alle arti­glierie marittime e terrestri ed ai mezzi di trasporto di materiali e uomini — tra la do­manda di una amministrazione dello Stato e l’offerta di poche imprese private, e poi an­che pubbliche, relative a beni industrialmen­te (o quasi) ideati e prodotti, Lucio Ceva e Andrea Curami hanno ripreso lo studio del­la industria bellica, circoscrivendolo agli an­ni trenta, ad una sola impresa, l’Ansaldo, e ad un solo episodio di corruzione che vorrei definire ordinaria2. Questo episodio è infatti rivelatore di condizioni politiche e di merca­

to, di attitudini imprenditoriali, di procedi­menti tecnico-produttivi e di un (malcostu­me, che è difficile credere casualmente con­centrate da un destino perverso su alcune forniture navali di una sola grande impresa nei primissimi anni trenta. A ragione dun­que Ceva e Curami hanno ritenuto impor­tanti queste vicende che altrimenti si limite­rebbero a seguire i contorni delle nubi che offuscarono la esperienza imprenditoriale tutta originale del generale Ugo Cavallero, allora presidente e direttore generale del- l’Ansaldo. Due i motivi della originalità: l’essere stato Cavallero — ma posso sbaglia­re — l’unico esponente dell’esercito con quel grado ad aver cambiato mestiere da soldato a manager privato in età ancora giovane; l’averlo egli fatto non una ma due volte, in­terrompendo solo momentaneamente la car­

1 Lucio Ceva-Andrea Curami, La meccanizzazione dell’esercito italiano dalle origini al 1943, Roma, Stato Maggio­re dell’esercito - Ufficio Storico, 1989, 2 voli, (recensito in “Italia Contemporanea”, 1991, pp. 674-681).2 L. Ceva, A. Curami, Industria bellica anni trenta. Commesse militari, I‘Ansaldo ed altri, Milano, Angeli, 1992 (Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia).