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LA VALUTAZIONE UNIVERSITARIA: CRITERI E INDICATORI DI DINO RIZZI * * Preside della Facoltà di Economia – Professore ordinario di “Scienza delle finan- ze“ – Università Cà Foscari di Venezia

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LA VALUTAZIONE UNIVERSITARIA:

CRITERI E INDICATORI

DI DINO RIZZI*

* Preside della Facoltà di Economia – Professore ordinario di “Scienza delle finan-ze“ – Università Cà Foscari di Venezia

Dino Rizzi

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Introduzione

Per valutazione si intende un processo che ci permetta di apprezzare e attribuire un valore a delle attività: come il docente a scuola valuta gli studenti, così all’università si parla di valutazione delle attività svolte dall’istituto, dall’ente e dalle personalità che lavorano nell’ambito di un corso di studi. Siamo partiti dall’esempio della scuola poiché il termine valutazione ci richiama sempre l’idea del professore che valuta i risultati ottenuti dallo studente e proprio per questo è molto difficile far accettare l’idea opposta, quella del docente valutato da qualcuno. Tale approccio ha radici poco profonde, dato che solo da una decina di anni si è matu-rato il convincimento che sia necessario esercitare un minimo di control-lo anche su chi insegna all’università e su chi la gestisce.

In questo processo si può scegliere di valutare un intero sistema uni-

versitario, per esempio quello italiano, oppure la performance di un par-ticolare ateneo; oppure ancora quella di una singola facoltà, di un unico dipartimento, scendendo via via sino al livello di un corso di insegna-mento o di un singolo docente. Ovviamente, è opportuno non considera-re solo l’aspetto didattico, bensì anche quelli relativi alla ricerca e all’attività amministrativa.

L'introduzione della valutazione nell'università italiana

L’esigenza di un tale sistema di valutazione è sorta in seguito al so-stanziale mutamento del modo di concepire la pubblica amministrazione, mutamento che affonda le proprie origini all’inizio degli anni ’90, per quanto riguarda l’Italia, e in un periodo poco più remoto per altre parti del mondo. Con questa nuova concezione, la pubblica amministrazione cessò di essere considerata come una macchina che produce adempi-menti, e si iniziò a pensarla come un organismo che dovesse rendere conto anche dei risultati conseguiti e del modo in cui questi sono conse-guiti. Poiché le università statali fanno pienamente parte della pubblica amministrazione, anch’esse furono investite dal cambiamento di pro-spettiva.

In quest’ottica, inoltre, non è più importante solo che l’azione sia svolta, ma si cerca di individuare gli effetti dell’azione per capire se vie-ne raggiunto o no un determinato obiettivo. Le leggi, infatti, prevedono degli obiettivi e i comportamenti prescritti sono validi solo se ci permet-

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tono il loro conseguimento: se ci si dimentica di questa constatazione, si darà vita ad un'amministrazione che compie degli atti disinteressandosi dei risultati.

Proprio per questo il processo di valutazione prevede la verifica del

raggiungimento del risultato, in modo da poter misurare l’efficacia dell’azione svolta.

Accanto al concetto di efficacia sta quello di efficienza, intendendo

con questo termine la capacità di raggiungere un certo livello di efficacia al minor costo possibile. Pensiamo all’ambito sanitario: spesso le cure per una malattia possono essere molto efficaci, ma anche molto costose. In questi casi bisogna capire se il rapporto costo/efficacia delle cure è ragionevole, se vengono effettuate senza sprecare delle risorse.

Ovviamente, quando a dover decidere sono i tecnici, allora ci sarà la

tendenza a privilegiare l’efficacia, non tenendo conto dei costi. Un medi-co tende a curare al meglio, tende ad ottenere la massima efficacia dal suo intervento, ma spesso non ha la preparazione culturale per pensare ad una soluzione che lo porti allo stesso livello di efficacia con costi mi-nori.

Questo comportamento è riscontrabile in molti campi: è sempre meglio avere tre segretarie al posto di due, è sempre meglio avere sette docenti al posto di tre, anche a parità di risultati; ma dal punto di vista di chi investe vi è una differenza fondamentale, perché spendere di più per lo stesso risultato non è accettabile. Nel caso delle imprese private le differenze vengono più o meno assorbite all’interno della struttura e, risolvendosi in maggiori o minori profitti per gli azionisti, spingeranno questi ultimi ad agire in modo da ottenere efficacia ed efficienza.

Nel caso degli enti pubblici, invece, non vi è un controllo così diretto

poiché la minor efficienza non comporta delle perdite immediate. Infatti, non vi sono degli azionisti ben identificabili: l’unico azionista è rappre-sentato dalla collettività. È per questo che governi, comunità locali e na-zionali, tendono a dotarsi di strumenti di valutazione che permettano di ottenere informazioni sul livello di efficacia e di efficienza delle pubbliche amministrazioni, finanziate tassando la comunità. In quest’ottica la valu-tazione fa pienamente parte del controllo democratico delle nostre socie-tà, in quanto permette al cittadino di assicurarsi che i soldi delle proprie tasse non vengano sprecati.

Nei primi anni ’90 sono state varate le prime leggi che regolavano la

valutazione nella pubblica amministrazione e presto esse si estesero an-che all’università. In quest’ultimo ambito la valutazione ottenne anche dei risultati migliori, perché nella pubblica amministrazione essa fu inte-sa in un modo particolare: dovendo valutare una particolare istituzione e i suoi dirigenti, le prime applicazioni della valutazione della pubblica amministrazione italiana sono servirono a giustificare l’aumento di sti-

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pendio ai funzionari e non a valutare l’istituzione in sé. Nell’università, invece, essa è stata intesa in senso molto ampio, in modo da valutare il sistema universitario e gli atenei nel loro complesso.

La valutazione dell'università: modelli possibili Caratteristiche particolari dell'università

L’università ha tre caratteristiche fondamentali. Prima di tutto è un ente pubblico. Secondo, è un ente pubblico autogestito da docenti che pensano di essere anche professionisti. È qualcosa di analogo a quanto avviene nell’ambito sanitario, dove i medici si ritengono portatori di una cultura da professionisti e non da semplici dipendenti. Terzo ed ultimo aspetto, l’università è un’azienda che non produce beni materiali, bensì servizi.

Per organizzare dei sistemi di valutazione soddisfacenti, bisogna con-

siderare tutti i tre aspetti sopra elencati, in caso contrario si perderebbe-ro di vista le particolarità dell'oggetto che si vuole analizzare. Modelli di valutazione

Tentando una semplicistica classificazione dei modelli di valutazione possibili, dovremmo cominciare da quello formale. Esso ha una natura giuridica e viene considerato un controllo di conformità o di legittimità poiché appura che le azioni svolte dall’università abbiano una giustifica-zione normativa e siano conformi alle leggi vigenti.

Un procedimento molto diffuso nella corporazione dei professionisti

universitari, è quello della peer review, che consiste nella valutazione da parte di personale di pari livello e che viene applicata in modo molto ef-ficace nel campo delle ricerca scientifica1.

Poi vi è un controllo di tipo manageriale, tipico delle imprese private

e quindi applicabile alle strutture gerarchiche come la parte amministra-tiva dell’università. Non è possibile utilizzarlo anche per i docenti proprio perché essi non sono organizzati secondo uno schema gerarchico. Co-storo influenzano le decisioni degli organi collegiali che a loro volta rap-presentano le cellule decisionali dell’università. È vero che il rettore è posto al vertice di tale sistema, ma è anche vero che egli non può fare a 1 Ad esempio, quando un docente scrive un articolo al termine di una ricerca e lo manda ad una rivista perché lo pubblichi, altri docenti valuteranno se il lavoro è meritevole di pubblicazione o meno (pag. 8).

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meno dell’appoggio del senato accademico e quindi deve comunque or-ganizzare il consenso per evitare di scontrarsi con i docenti che lo com-pongono.

All’interno della facoltà vi è un procedimento analogo: il preside può

anche avanzare delle proposte, ma se il Consiglio di Facoltà non lo ap-poggia le proposte non passeranno. Dunque, all’interno dell’università non prevale un modello gerarchico, ma piuttosto un modello imperniato sulla democrazia diretta, in cui ognuno può influenzare le decisioni colle-giali. L’aspetto positivo del sistema è rappresentato proprio dalla demo-crazia insita in esso, ma in questo modo è difficile che qualcuno si assu-ma delle responsabilità, essendo molto facile scaricarle su di un’assemblea. Così rettori, presidi, direttori di dipartimento, sono in qualche modo ostaggi della maggioranza dei docenti. Quest’aspetto è essenziale quando ci si domanda perché non si riesca ad individuare dei soggetti fisici a cui imputare delle colpe. L'oggetto della valutazione

Rispetto all’oggetto da valutare, possiamo avere almeno tre tipologie di valutazione. La valutazione istituzionale valuta l’ateneo come l’unico soggetto decisionale: non indaga a fondo sui meccanismi interni all’ateneo stesso, ma lo valuta nella sua complessità. Poi vi è la valuta-zione parziale (P.10) che si concentra su particolari attività dell’ateneo come didattica, ricerca, gestione amministrativa o gestione strategica. Infine, possiamo avere dei programmi di valutazione trasversale che a-nalizzano aspetti simili di atenei diversi attuando una comparazione. Ad esempio, si possono valutare tutti i corsi di laurea in Filosofia d’Italia; oppure potremmo paragonare fra di loro i dipartimenti di Storia di tutta Italia, per vedere quali risorse abbiano o che risultati riescano ad ottene-re.

Il soggetto che valuta

I processi di valutazione possono distinguersi anche in base all’attore, al soggetto che sta valutando. Una distinzione immediata è quella tra la valutazione operata da elementi esterni all’oggetto da esa-minare e quella attuata da soggetti interni ad esso, definita autovaluta-zione.

Ovviamente gli obiettivi che si pone un organismo centrale di valuta-

zione saranno molto diversi da quelli fissati dalle valutazioni interne, e dal diverso punto di vista scaturiranno anche delle diverse tipologie di giudizi. Un’associazione di Atenei, come la Conferenza dei Rettori, avrà certamente un punto di vista diverso da quello del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario.(p. 11) Ma ancora più diffe-rente può essere l’approccio di un valutatore che si disinteressi della

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parte amministrativa: esempi di questo aspetto possono essere la valu-tazione fatta dal giornale “La Repubblica” con la conseguente classifica delle Università, o l’analisi offerta da Confindustria.

Cambiando i punti di vista, cambiano anche le tecniche e gli indicato-

ri e, di conseguenza, cambia lo stesso giudizio finale. Se dobbiamo individuare le università italiane meglio inserite nella ri-

cerca internazionale, ci soffermeremo su determinati fattori; se vogliamo stabilire quale sia l’università migliore per nostro figlio ne sceglieremo altri, magari privilegiando gli atenei che offrono la migliore didattica o i migliori servizi, indipendentemente dalla loro partecipazione ai contesti internazionali di ricerca. Breve storia della valutazione delle università in Italia2 I primi programmi di valutazione

Fino ai primi anni ’90 erano previsti solo dei controlli formali, come quelli affidati alla Corte dei Conti, ma già con la legge 537 del ’93 ven-nero introdotte norme risultate poi decisive per la storia dell’Università. In quel momento, infatti, venne attribuita autonomia di bilancio agli ate-nei e ciò ha comportato l’eliminazione della definizione dell’organico del personale e di una serie di controlli formali, l’istituzione di nuclei di valu-tazione interna e dell'Osservatorio per la valutazione del sistema univer-sitario.(p.13) Con tale procedimento si voleva ridurre al minimo la parte formale dei controlli e concentrare l’attenzione sul nocciolo delle attività universitarie, intese come didattica e ricerca.

Già nel ’92, la Conferenza dei Rettori istituì una commissione di de-legati rettorali (p.13) che tentò un primo approccio alla valutazione in-terna. I lavori durarono per un triennio e nel ’95 venne prodotto un do-cumento che rappresentava una specie di manuale per l’istituzione dei nuclei di valutazione interna: si suggerivano la composizione, le attività da svolgere e le informazioni da raccogliere. Questo è un merito che va certamente riconosciuto alla Conferenza dei Rettori, perché ancor prima della legge 537 del ’93 aveva avviato un ragionamento sulla valutazione interna facendo in modo che l’Università iniziasse ad analizzare il proprio operato. Prima di quel momento i docenti, pur esperti di tutti i settori dello scibile umano, erano chiamati a decidere senza adeguate informa-zioni: le decisioni venivano prese all’interno di atenei che non avevano informazioni sulle proprie attività, non disponendo di indicatori di effica-

2 Il paragrafo è basato sugli articoli di Rizzi e Silvestri (2001, 2002).

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cia e di efficienza. Ovviamente, con l’avvento dell’autonomia di bilancio concessa dalla legge 537/93, la necessità di reperire informazioni del genere fu sempre più avvertita, soprattutto dai Rettori che si trovarono ad avere un potere decisionale indubbiamente maggiore rispetto a pri-ma.

Eppure, quando la legge 537/93 istituì un vero sistema di valutazio-

ne non più autogestito ma esterno, gli stessi Rettori si chiusero a riccio cercando di impedire che le informazioni non uscissero dall’ateneo. In-vece la legge prevedeva proprio che le informazioni raccolte venissero messe a disposizione della collettività e del Ministero e si iniziò anche a paventare l’ipotesi che in base ai dati ottenuti si attribuissero premi o punizioni.

All’estero vi furono nei primi anni '90 anche altre esperienze di valu-

tazione. Ad esempio il progetto pilota dell’Unione Europea (anch’esso gestito in Italia dalla Conferenza dei Rettori), che già nel ’95 prevedeva una relazione di autovalutazione, basata su una batteria di indicatori e di informazioni quantitative sull'attività universitaria, e un rapporto finale redatto da una commissione di valutatori esterni.

Un altro esempio è dato dal Programma di valutazione istituzionale della Conferenza dei Rettori delle Università Europee (CRE) tra il 1995 e il 1997. Il processo prevedeva un rapporto di auto-valutazione (da parte di una commissione di esperti dell'ateneo) e la valutazione esterna (da parte di una commissione composta da rettori stranieri e da esperti di valutazione). L'enfasi era posta sulla gestione strategica dell'ateneo, sul-la mission, sul comportamento degli organi di governo, sulla comunica-zione interna, sulla condivisione degli obiettivi, sulle relazioni con l'e-sterno, soprattutto con il territorio di riferimento.

Le prime università valutate dal programma CRE furono l'Università

Ca’ Foscari di Venezia, le Università di Catania e di Macerata). Ovvia-mente sorsero dei problemi di comunicazione: bisognava far capire ai valutati stranieri il modo di funzionamento delle università italiane, i cui meccanismi sono certamente differenti da quelli delle università estere. L’obiettivo era stimolare una visione d’insieme e strategica delle Univer-sità che non si soffermasse sul singolo docente o sul singolo corso di laurea, ma sull'insieme delle attività dell’ateneo. Senato accademico e Consiglio di amministrazione dovevano avere ben chiara in mente la propria missione, i propri obiettivi, e dovevano condividere questi obiet-tivi con il resto dell’ateneo, per evitare che restassero delle semplici e-nunciazioni, ben note a livello centrale ma sconosciute al resto del per-sonale, docente e non docente.

Inoltre, si puntò molto l'attenzione sulla necessità di relazioni con l’esterno, soprattutto col territorio di riferimento. Con l’autonomia si scoprirono enormi lacune in tal senso, poiché gli atenei erano abituati ad avere un Ministero che decideva tutto, ad esempio quali docenti assu-

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mere, e non era ancora stato avviato il meccanismo per cui, in base agli obiettivi, si stabiliva come gestire e dividere le risorse a disposizione. Fu un cambiamento radicale di mentalità e molte critiche furono mosse dai Rettori europei alle Università italiane, poiché queste non erano neanche in grado di descrivere i propri obiettivi: ogni docente aveva un fine par-ticolare ma non vi erano obiettivi condivisi a livello di istituzione.

Un altro progetto importante fu Campus, rivolto ai corsi di diploma

finanziati dal Fondo sociale europeo. Il progetto Campus fu gestito dalla CRUI e fu imperniato sull’accostamento di autovalutazione e valutazione esterna (Modica, Stefani, 1997). Il progetto Campus è stato molto im-portante perché ha introdotto delle particolari tecniche di valutazione nell’università italiana. Esso, infatti, analizzava un corso di studi isolan-dolo dal contesto dell’Università e in questo modo, pur non riuscendo ad analizzare l’istituzione nel suo complesso, avviava con decisione uno fra i tre tipi di valutazione elencati in precedenza. Il modello di valutazione della CRUI

La Conferenza dei Rettori italiana, attraverso la commissione dei de-legati rettorali per la valutazione, tra il 1992 e il 1995 aveva elaborato un proprio modello (v. Allulli, 1995) in cui i nuclei di valutazione interna erano pensati come organo di consulenza e di supporto per le decisioni del Rettore, del Senato accademico e del Consiglio di Amministrazione. In questo quadro l’autovalutazione era vista ai fini della gestione interna ed intesa come un sistema che permettesse ai manager di conoscere meglio l’ateneo. Le informazioni erano considerate riservate e i dati rac-colti dalla CRUI non vennero mai resi noti per le singole università, bensì in modo aggregato, per gruppi di atenei, in modo che ogni Ateneo po-tesse confrontarsi con una media di atenei con caratteristiche simili, ma mai con un ateneo ben determinato. Questo tipo di valutazione era ispi-rato dal modello che aveva avuto molto successo in Olanda e in Germa-nia.

I delegati rettorali posero più volte l’attenzione sulla necessità che i

risultati della valutazione non venissero affidati a soggetti non controlla-bili e si arrivò persino ad accelerare la defizione di un modello completo di valutazione delle università per evitare che altri lo proponessero pri-ma dall’esterno. Questo è un atteggiamento di autodifesa tipico dei manager di azienda: se chiediamo dei dati ad un'impresa, questa ce li fornirà con il contagocce perché le informazioni potrebbero agevolare i propri concorrenti. Per questi motivi è molto difficile fare valutazione e-sterna nelle aziende private.

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Il modello di valutazione della legge 537 del 1993

La legge 537/93, invece, istituisce i nuclei di valutazione interna per un’analisi comparativa dei costi e dei rendimenti. Lo scopo è verificare la corretta gestione delle risorse pubbliche e la produttività della ricerca e della didattica, con la determinazione di parametri di riferimento. Viene previsto un coordinamento tra i nuclei di valutazione effettuato da un organismo centrale di valutazione.

I primi nuclei furono istituiti nel 1994 e la loro diffusione fu più velo-

ce nell’Università che nel resto della pubblica amministrazione, tanto che dai tre nuclei istituiti nel ’94 si arrivò ad averne 51 (quasi tutte le uni-versità statali) alla fine del ’96.

All’inizio essi attuavano per lo più delle raccolte di informazioni ri-

guardanti la didattica e la ricerca e rivolgevano la loro attenzione più alle performance degli studenti che a quelle dei docenti; inoltre, non essendo ancora sorto l’Osservatorio nazionale previsto dalla legge, le uniche di-rettive in proposito erano quelle fornite dalla CRUI. Vedi p. 21-22

Nella prima fase di avvio della valutazione le università si affidarono

soprattutto ai propri docenti e al personale amministrativo interno, ridu-cendo al minimo la partecipazione di esperti esterni che, si pensava for-se a ragione, spesso avrebbe stentato a comprendere i linguaggi e i comportamenti del mondo accademico.

L'Osservatorio per la valutazione del sistema universitario venne isti-

tuito nel marzo del ’96 ed esso assunse subito il compito di stendere la relazione annuale sulla valutazione complessiva del sistema universitario in base alla relazione dei nuclei. Per questo motivo, fino a quando i nu-clei non produssero delle relazioni ragionevoli e, soprattutto, uniformi, fu difficile per l’Osservatorio produrre delle analisi complessive. Nei primi tempi, dunque, l’Osservatorio dedicò i propri sforzi più al Ministero che alle università, concentrandosi su temi come il fondo di riequilibrio, la si-tuazione del diritto allo studio o il piano triennale di sviluppo dell’università. Svolse anche una prima attività di coordinamento, perfe-zionando, dal proprio punto di vista, la guida alla valutazione redatta dalla Conferenza dei Rettori; introdusse anche una griglia di indicatori e di indicazioni per i Nuclei di valutazione per avere da essi delle relazioni piuttosto uniformi da utilizzare per la propria relazione annuale (Osser-vatorio, 1997a e 1997b).

Con la legge 537 gli organi di valutazione iniziarono a essere definiti come elementi interni all’università, ma privati di quella funzione di sup-porto decisionale che era stata pensata dalla Conferenza dei Rettori. L’autovalutazione era sempre intesa come rivolta alla gestione interna, ma assumeva anche un ruolo fondamentale per la valutazione comples-siva del sistema universitario. Le informazioni, dunque, divennero acces-sibili non solo al Ministero, ma anche a tutti gli altri soggetti interessati:

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dipendenti universitari (docenti e non), studenti dell’ateneo o di altre cit-tà, comunità nazionale e locale. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante, perché è bene ricordare che l’80% dei fondi dell’Università viene dal settore pubblico: è giusto, quindi, che ci sia una rendicontazio-ne accessibile a tutta la collettività.

Dunque il coordinamento nazionale della valutazione, che non era

mai stato ufficialmente affidato alla CRUI, era affidato all'Osservatorio, che rappresenta una parte terza tra le università e il Ministero, ovvero tra le due parti che contrattano i fondi. L’Osservatorio si trova ad avere anche una via di comunicazione privilegiata con i Nuclei di tutti gli Ate-nei, scavalcando l’intermediazione delle università. In questo modo prende vita una rete di valutatori non controllata dal sistema e che sfug-ge al controllo del Ministero e degli organi decisionali delle università. Tutto questo scardina il sistema precedente, in quanto introduce un e-lemento esterno, un cavallo di Troia che si insinua nell’amministrazione. Novità normative di fine secolo

Alla fine del decennio scorso una serie di leggi e decreti assegnaro-no, in modo non sempre coordinato, nuovi compiti ai nuclei di valutazio-ne.

Nel ’98 fu varato il piano triennale di sviluppo ‘98-2000: in base ad

esso gli Atenei devono elaborare dei progetti da presentare al Ministero che li valuterà solo dopo il parere di congruità dei nuclei di valutazione; in questo caso, ed è l’aspetto innovativo del sistema, abbiamo il parere di un organo interno che, una volta dato, assume rilevanza verso l’esterno.

Come altro esempio, potremmo riferirci alla riforma del dottorato di

ricerca. I corsi di dottorato, infatti, erano programmati a livello centrale dal Ministero che decideva se concedere o meno a ciascuna università i fondi per l’attribuzione delle borse di studio. Nel 1999 il Ministero rifor-mò la materia, prevedendo che l'istituzione dei corsi di dottorato deve basarsi preventivamente su un parere dei nuclei di valutazione, che de-vono pronunciarsi sul merito dell’efficacia e dell’efficienza di ciascun cor-so di dottorato, nonché sulla sua coerenza col resto della programma-zione formativa dell’Ateneo e sulla disponibilità delle risorse. Sembrano richieste ovvie, eppure hanno rappresentato un'ulteriore novità all’interno del mondo universitario, che si è visto obbligato a circostan-ziare in modo più dettagliato le proprie richieste dovendo prevedere, all’atto della domanda di istituzione, elementi come la disponibilità di au-le o l’eventuale distribuzione di fondi tra borse di studio, viaggi e attrez-zature.

Inoltre, il nucleo ha anche il compito di valutare, una volta avviato il

dottorato, se i requisiti verificati al momento dell'attivazione continuano ad essere rispettati. Anche in questo caso non si tratta tanto di una con-

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sulenza del nucleo agli organi accademici: il parere arriva fino al Comita-to nazionale della valutazione che poi stende una relazione per il Mini-stero, per il Parlamento e per la Corte dei Conti. Anche in questo caso viene attribuita una valenza esterna alla valutazione interna.

Anche per quanto riguarda la riforma degli ordinamenti didattici, meglio nota con la formula del "3+2", il nucleo è chiamato a fornire un proprio parere. In base ad esso il Ministero può dare un giudizio sull’attivazione dei corsi di laurea. Nel formulare il proprio parere il nu-cleo si espone anche alla valutazione del proprio operato. I componenti dei nuclei iniziano a dibattersi in mezzo ai diversi compiti di natura con-trastante: da un lato devono dare consigli all’ateneo per il miglioramento dei corsi e delle attività in genere, dall’altro prestano attenzione alla coerenza e all'obiettività della loro valutazione, in quanto hanno una re-putazione da salvaguardare di fronte agli altri nuclei e al Comitato per la valutazione.

Infine, nel 1999 venne varata la legge 370 che ridefinisce il sistema

di valutazione, trasformando l’Osservatorio in Comitato e definendolo "organo del Ministero". Viene poi imposto un programma di valutazione esterna all’Università sullo stile di quello proposto dalla Conferenza Eu-ropea dei Rettori.(p. 28). Anche la posizione dei nuclei viene precisata meglio, ma nel complesso la loro configurazione cambia meno rispetto a quella del Comitato: i nuovi compiti vengono fissati in una relazione ob-bligatoria sulla valutazione della didattica (basata sui questionari som-ministrati agli studenti) e nel dovere di fornire annualmente dati e in-formazioni sull’ateneo al Comitato per la valutazione. Ciò che prima era semplicemente un consiglio dato dall’Osservatorio ai nuclei adesso di-viene un obbligo che comporta anche una eventuale sanzione: per la prima volta viene stabilito che se i nuclei non adempiono ai loro compiti l’ateneo può perdere parte dei finanziamenti.

Il rapporto tra il Nucleo di valutazione e il proprio A-teneo

Passiamo ad esaminare più da vicino il rapporto tra il Nucleo di valu-tazione interna e l'ateneo di cui fa parte. Nel 1997 l’Osservatorio per la valutazione elaborò dei documenti (Osservatorio, 1997a e 1997b) in cui si stabiliva che il nucleo deve essere un organo tecnico e non gestionale e quindi, ad esempio, non potrebbe essere presieduto da un prorettore o da un preside, perché ciò creerebbe un evidente conflitto di interessi. Gli organi decisionali non devono condizionare la valutazione, che deve es-sere trasparente e pubblica. I valutatori non devono semplicemente limi-tarsi a segnalare che qualcuno sta facendo male il proprio lavoro, ma devono altresì spiegare le motivazioni di tale giudizio, convincendo il va-lutato ad accettare la valutazione come uno stimolo per la sua attività.

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L'esperienza dei nuclei di valutazione si è rivelata importante, perché negli anni ’90 si è creata una comunità di valutatori che si relazionano tra di loro e che tengono alla loro reputazione in quanto valutatori, cer-cando di non apparire come persone prive di indipendenza di giudizio.

Nel tempo si sono sperimentate difficoltà di rapporto tra il nucleo di

valutazione e l'ateneo di appartenenza. Spesso, al posto della collabora-zione, gli organi decisionali dell'ateneo hanno preferito l'indifferenza ai risultati della valutazione e, in qualche caso, anche l'ostilità.

Per schematizzare la relazione nucleo-ateneo torniamo all’esempio del dottorato di ricerca: provando a ripercorrere le tappe di ipotetici pro-cessi necessari all’approvazione di un progetto. Una prima schematizza-zione descrive un ruolo "naïf" del nucleo di valutazione nella valutazione dei progetti dell'ateneo. Ad esempio (v. fig 1), gli organi decisionali dell’Ateneo preparano un progetto e lo inviano al nucleo di valutazione e al Ministero. Il nucleo lo valuta e invia la propria opinione al Comitato nazionale di valutazione. Questo, a sua volta, deve esprimere un proprio parere e trasmetterlo al Ministero il quale, in base alle due valutazioni, deve decidere se approvare o meno il progetto. In questo modo il nucleo non interagisce col resto dell’Ateneo, mantenendo nei suoi confronti una posizione esterna, come quella del Comitato di valutazione e del Ministe-ro. In questo caso la valutazione o è necessariamente positiva, per non "danneggiare" la propria università, oppure giunge tardivamente e non riesce a correggere eventuali carenze del progetto. Figura 1 - Valutazione e finanziamento dei progetti degli atenei:

ruolo "naïf" del nucleo di valutazione

Organi decisionali

ateneo Nucleo

valutazione progetto

Ministero Comitato valutazione

valutazione

valutazione

finanziamento progetto

progetto

Fonte: Rizzi, Silvestri, 2002

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Viceversa, uno schema diverso (v. fig. 2) implica una collaborazione tra il nucleo e l’Ateneo: quest’ultimo fornisce al primo solo una bozza del progetto. Il nucleo può valutare la bozza e indicare i punti deboli com-piendo una valutazione preventiva. In seguito, il progetto ritorna all'e-same degli organi decisionali, che apportano gli aggiustamenti richiesti e inviano al Ministero il progetto finale. In questo modo, il nucleo di valu-tazione non invia al Comitato il giudizio sul progetto iniziale, bensì quello sul progetto già rielaborato. A questo punto tale giudizio non può che essere positivo, in quanto incorpora le modifiche suggerite dal nucleo.

Questo modo di procedere è il più vantaggioso sia per l'ateneo, che aumenta le probabilità di successo dei propri progetti, sia per il nucleo, che riesce a svolgere un positivo ruolo di valutazione senza scontrarsi con gli altri organi dell'ateneo, sia per il Comitato e il MIUR, che riceve-ranno progetti migliori. Figura 2 - Valutazione e finanziamento dei progetti degli atenei:

coinvolgimento precoce del nucleo di valutazione

Organi decisionali

ateneo

Nucleo valutazione

bozza di progetto

Ministero Comitato valutazione

valutazione finale

valutazione

finanziamento progetto

progetto finale

valutazione in itinere

Fonte: Rizzi, Silvestri, 2002

Il secondo schema descritto porta certamente a risultati migliori, ma purtroppo è il primo esempio ad essere usato più di sovente, anche per-ché necessita di tempi di elaborazione inferiori. Nel secondo schema, in-fatti, si prevede un processo ben più lungo, in cui il nucleo di valutazione entra nel merito delle politiche del Senato accademico valutando, ad e-sempio, come sono distribuite le risorse tra i vari corsi di laurea o tra le diverse attività dell’Ateneo. Poiché spesso gli organi accademici non condividono gli obiettivi del nucleo (l'efficacia e l'efficienza), ma agiscono in relazione a equilibri politici interni, non sempre la collaborazione col nucleo risulta positiva. Così, a volte, accade che il Senato accademico,

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nel tentativo di sfuggire al controllo, presenti il progetto pochissimo tempo prima della data di scadenza, in modo che non ci siano i tempi tecnici per una efficace valutazione da parte del nucleo e per gli even-tuali miglioramenti suggeriti.

L’idea della Conferenza dei rettori riguardo al nucleo corrispondeva

più al secondo tipo di approccio che abbiamo descritto, detto approccio degli organi consultivi interni proprio per questa collaborazione tra nuclei e organi universitari (v. figura 3). Invece il modello che le norme stanno attuando, nella maggior parte dei casi, si basa su una rete di autorità indipendenti: Consiglio di amministrazione, Senato, Facoltà dialogano fra di loro formando una rete che interagisce col Ministero, mentre nuclei e Comitato formano la rete dei valutatori (v. figura 4). I contatti tra le due reti parallele non sono collaborativi, ma tendono alla contrapposizione: i valutatori possono dare o meno il beneplacito per un progetto, possono decidere se concedere un finanziamento, ma non vi è collaborazione. La posizione del nucleo, dunque, è estremamente ambigua perché esso non è fuori dall’Università ma non fa neanche parte di essa: vorrebbe com-portarsi da elemento integrato ma la sua valutazione ha valenza esterna e per questo si crea una situazione conflittuale.

Nella realtà i rapporti tra i nuclei e gli atenei si stanno polarizzando:

in alcuni casi i nuclei si rassegnano diventando accondiscendenti, in altri casi cercano di far valere il loro ruolo entrando in conflitto con l'ateneo. Figura 3 - Approccio degli "organi consultivi interni"

CN VSU

C.A. Senato Facoltà

C.A. Senato Facoltà

nucleo valutazione

nucleo valutazione

Uni versità A Uni versità B

MIUR

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Figura 4 - Approccio delle "reti di autorità indipendenti"

CN VSU

C.A. Senato Facoltà

C.A. Senato Facoltà

nucleo valutazione

nucleo valutazione

Uni versità A Uni versità B

MIUR

Uni versità A Uni versità B

Vi è anche un problema di rapporto tra Comitato e Ministero poiché il

primo, dovendo valutare tutto il sistema universitario, dovrebbe giudica-re anche il Ministero. Finora questo non è ancora avvenuto e non è facile capire se si arriverà a questo tipo di approccio o se il Comitato continue-rà solamente a valutare l’Università per conto del Ministero.

A nostro parere è impossibile attuare un sistema che ci offra una valutazione indipendente, che abbia la possibilità di collaborare con gli atenei e anche valenza esterna per i finanziamenti. Bisogna decidere se si vuole che i nuclei interagiscano con l’Università e ne migliorino la ge-stione oppure che effettuino una valutazione esterna. In quest'ultimo caso non si potrà pretendere una collaborazione, poiché nuclei e Univer-sità entrerebbero da subito in rotta di collisione. È assolutamente oppor-tuno che i due aspetti, valutazione interna volta al miglioramento del servizio e valutazione esterna, restino scissi poiché l’ambiguità non è fo-riera di buon funzionamento.

Nell'articolo di Rizzi e Silvestri (2002) viene avanzata la proposta di

assegnare ai nuclei un ruolo solo interno, in modo da risolvere l'attuale crisi di identità verso una più stretta collaborazione tra organi di governo e di valutazione interna. Come conseguenza logica, si deve però preve-dere che il Comitato sia dotato dei compiti di un vero organo di valuta-zione esterna. Il Comitato dovrebbe essere ulteriormente rafforzato, in termini di indipendenza dal Ministero e di dotazione di risorse, e configu-rarsi come una authority indipendente per la valutazione.

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Le relazioni annuali dei Nuclei e gli indicatori del si-stema universitario

Il Comitato per la valutazione del sistema universitario fornisce degli elementi base su cui incentrare la relazione dei nuclei di valutazione in-terna, stabilendo anche degli indicatori da calcolare. Ciò serve per otte-nere una panoramica di tutte la attività che si possono svolgere nell’ambito universitario e la relazione annuale del nucleo deve tenere conto di questa complessità. Secondo le indicazioni dell'Osservatorio (1998), la relazione annuale del nucleo si articola in sei sezioni che cor-rispondono alle attività di base (gestione strategica, didattica e ricerca), ma anche dei servizi complementari per i dipendenti, per gli studenti e per le imprese ed il mondo esterno.

Inoltre, bisogna considerare l’attività amministrativa e anche gli ele-

menti legati al diritto allo studio, per quanto quest’ultimo aspetto sia di pertinenza anche delle Regioni.

Ovviamente, l'organo centrale di valutazione ha tutto l'interesse a fa-

re in modo che i nuclei utilizzino dati e metodologie confrontabili, in mo-do da poter utilizzare le informazioni e le valutazioni dei nuclei per la stesura del rapporto sul sistema universitario italiano3.

La gestione strategica comprende una serie di attività come i rappor-

ti con l’esterno, l’inserimento dell’Università negli ambiti della ricerca, degli enti locali, delle imprese, dei rapporti internazionali. Vi è poi la ne-cessità di abbozzare una previsione di scenari futuri riguardo aspetti come la domanda di formazione, il fabbisogno di personale, le esigenze edilizie, i fabbisogni finanziari, le strategie di sviluppo. (v. p. 38)

Per la didattica è opportuno che ci sia una rilevazione dell’offerta ol-tre che della domanda. Infatti solo da pochi anni gli atenei si sono resi conto dell’importanza di questo aspetto, poiché in precedenza non era possibile reperire facilmente le informazioni sull’offerta didattica delle di-verse università. Tuttora l’offerta di dottorati e master non è presentata in modo adeguato e nei siti internet delle università è raro trovare una pagina dedicata ai corsi di dottorato, che devono essere rintracciati cer-cando nei siti dei vari dipartimenti. È anche importante segnalare tutte le informazioni possibili sulla domanda, anche tenendo in considerazione il trend degli ultimi anni.

Bisogna fornire delle informazioni sugli scambi internazionali e

sull’analisi della provenienza geografica degli studenti, indicando il baci-no comunale regionale, nazionale, internazionale.(p. 40)

3 Da qualche anno il Comitato raccoglie dei dati in forma comune da tutti gli ate-nei con una procedura unica attraverso internet. per la metodologia e i dati rac-colti si veda il sito: http://www.vsu.it/dati/nuclei/default.asp

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L’analisi dell’attività didattica è essenziale, per evidenziare le diverse condizioni in cui questa si svolge. Non è efficiente che ci siano alcuni do-centi oberati di carico didattico, di lezioni e di esami, mentre altri posso-no dedicarsi maggiormente all’attività di ricerca: è necessaria una certa equità nella distribuzione del carico didattico.

Vi è anche una parte da dedicare alle performance degli studenti, intese come risultati conseguiti in termini di completamento degli studi. In quest’ottica si inserisce l’indicatore degli “studenti equivalenti”, in ba-se al quale si rielabora il numero degli studenti iscritti considerando l’attività che svolgono effettivamente: due studenti che sostengono la metà degli esami previsti sono considerati come un solo studente (equi-valente) poiché gravano sull’ateneo come uno studente “a tempo pieno”, mentre in realtà sono due “a tempo parziale”.

Inoltre sono importanti i dati riguardanti gli studenti fuori corso, co-

loro che abbandonano, quelli che si trasferiscono. Vanno rilevate anche le informazioni sul modo in cui è stata effettuata la valutazione della di-dattica.

Per la ricerca si utilizzano altri indicatori che permettano di eviden-

ziare le caratteristiche della sua organizzazione: in primis, è necessario stabilire se le risorse vengono distribuite secondo criteri equi o secondo logiche politiche che non garantiscono efficacia ed efficienza. Ad esem-pio, avviene che alcuni settori disciplinari, privi di una tradizione radicata nell’Ateneo, siano trascurati a favore di altri, sia nel campo della didatti-ca che in quello della ricerca. Ciò può avvenire anche perché il regime di democrazia diretta che vige all’interno dell’università dà potere ai gruppi più numerosi: poiché i gruppi più numerosi sono quelli che hanno avuto modo di consolidarsi nel tempo, le nuove iniziative sono spesso penaliz-zate dal meccanismo che tende a dirottare le risorse verso i gruppi più potenti.

L’analisi delle fonti di finanziamento della ricerca è importante, so-prattutto ora che vi sono maggiori possibilità di cofinanziamento, ad e-sempio da parte dell’Unione Europea.

Su questo punto si è sviluppato un forte dibattito: all’estero pensano

che sia più facile valutare l’attività di ricerca che non la didattica, mentre in Italia abbiamo assunto l’atteggiamento opposto e abbondiamo sempre con gli indicatori della didattica, mentre sulla ricerca non sappiamo mai come reperire ed elaborarre le informazioni necessarie. (v. p. 42)

Vi sono anche servizi complementari come l’orientamento, il tutora-

to, gli stage e anche in questi casi bisogna indicare come è stata effet-tuata la valutazione. (p. 43)

Per il diritto allo studio, è importante che si evidenzi la parte svolta

dalle Regioni, oltre a quella dell’Ateneo, e la valutazione deve interessa-

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re sia i beneficiari che le fonti di finanziamento utilizzabili per garantire il diritto allo studio.

Ovviamente, è necessario sapere quale processo ha portato ad un

determinato risultato e quali risorse erano disponibili perché il processo potesse avviarsi. Ad esempio, se valutiamo la performance di un ateneo in base al numero degli studenti che trovano lavoro entro tre anni dalla laurea, allora è ovvio che dobbiamo tener conto del bacino di utenza dell’università, poiché le differenze possono dipendere più dal contesto socio-economico che dalla qualità dei corsi. (V. p. 45)

Riassumendo, la struttura della relazione annuale dei nuclei di valu-tazione indicata dall'Osservatorio nel 1998 è illustrata nella figura 5.

L'Osservatorio ha anche indicato una griglia minima di indicatori che

dovrebbero descrivere sinteticamente e in modo quantitativo l'attività delle università (Osservatorio, 1998). Si tratta di 22 indicatori ottenuti come rapporto tra variabili quantitative, a livello dell'intero ateneo, delle singole facoltà, dei corsi di laurea o dei dipartimenti (v. tabelle 6-9, trat-te dal citato documento dell'Osservatorio).

L'utilizzo di queste informazioni quantitiative dovrebbe metter in

grado il nucleo e l'ateneo di formulare giudizi basati sulla comparazione delle performance.4

4 Per un esempio di relazione annuale del nucleo, con i relativi indicatori, si veda Nucleo di valutazione di Ca' Foscari (2002).

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Figura 5: struttura della relazione del nucleo di valutazione

Sezione GS – Gestione strategica dell’ateneo GS1 – Obiettivi a breve e lungo termine GS2 – Posizionamento attuale dell’ateneo GS3 – Riequilibrio interno ed esterno GS4 – Rapporti con l’esterno e posizionamento dell’ateneo GS5 – Attività di previsione di scenari futuri GS6 – Strategie di sviluppo GS7 – Processi decisionali interni GS8 – Commenti e suggerimenti del Nucleo di valutazione sulla gestione strategica Sezione D – Didattica D1 – Rilevazione dell’offerta e della domanda di formazione D2 – Organizzazione dell’attività didattica D3 – Performance dell’attività didattica D4 – Rilevazione di attività di valutazione della didattica (interne o esterne) D5 – Commenti e suggerimenti del Nucleo di valutazione sull’attività didattica Sezione R – Ricerca R1 – Strutture di ricerca e loro collaborazioni R2 – Organizzazione dell’attività di ricerca R3 – Performance dell’attività di ricerca R4 – Rilevazione di attività di valutazione della ricerca R5 – Commenti e suggerimenti del Nucleo di valutazione sull’attività di ricerca Sezione S – Servizi complementari S1 – Rilevazione dell’offerta di servizi complementari S2 – Rilevazione di attività di valutazione dei servizi complementari S3 – Commenti e suggerimenti del Nucleo di valutazione sui servizi comple-mentari Sezione A – Attività amministrativa e di gestione di routine A1 – Rilevazione dell’attività amministrativa e di gestione A2 – Organizzazione dell’attività amministrativa A3 – Rilevazione di attività di valutazione dell’attività amministrativa A4 – Valutazione della gestione A5 – Gestione del patrimonio immobiliare A6 – Valutazione dell’applicazione delle norme A7 – Commenti e suggerimenti del Nucleo sull’attività amministrazione e di ge-stione

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Sezione DS – Diritto allo studio DS1 – Rilevazione degli interventi per il diritto allo studio attuati dall’ateneo DS2 – Rilevazione degli interventi per il diritto allo studio attuati dalla Regione DS3 – Rilevazione dell’attività di valutazione degli interventi per il diritto allo studio DS4 – Commenti e suggerimenti del Nucleo di valutazione sul diritto allo studio Sezione I – Indicatori quantitativi I1 – Indicatori di risultato I2 – Indicatori di risorse I3 – Indicatori di processo I4 – Indicatori di contesto I5 – Valutazione complessiva sulla base degli indicatori I6 – Organizzazione per la gestione delle informazioni necessarie al calcolo de-gli indicatori Appendice: I dati elementari utilizzati nel calcolo degli indicatori Sezione N – Ruolo, organizzazione e impatto del Nucleo di valutazione interna N1 – Posizione del Nucleo nell’ateneo N2 – Dotazioni del Nucleo N3 – Attività del Nucleo Fonte: Osservatorio, 1998 Tabella 6 - Indicatori di risultato

n. Livello Nome Descrizione

1.1 A,F,C Tasso di laure-a/diploma

Rapporto tra i laureati e diplomati dell’a.a. e iscritti al I anno N+2 a.a. prima

1.2 A,F,C Tasso di laure-a/diploma in corso

Rapporto tra i laureati e i diplomati in corso dell’a.a. iscritti al I anno N a.a. prima

1.3 A,F,C Tasso di completa-mento degli studi

Rapporto tra studenti equivalenti in corso e studenti iscritti in corso

1.4 A,F,D Punteggio medio VPS per docente attivo

Rapporto tra il punteggio totale VPS della struttura e il numero di docenti attivi

1.5 A,F,D Punteggio medio VPS per docente afferente

Rapporto tra il punteggio totale VPS della struttura e il numero di docenti afferenti

A = ateneo; F = facoltà; C = corso di laurea o di diploma; D = dipartimento o istituto. Fonte: Osservatorio, 1998

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Tabella 7 - Indicatori di risorse n. Livello Nome Descrizione

2.1 A,F Dotazione spazi per studente in corso

Rapporto tra posti in aula e studenti in corso

2.2 A,F Dotazione docenti per studente in corso

Rapporto tra docenti e studenti in cor-so

2.3 A,F Dotazione personale tecnico e amministra-tivo per docente

Rapporto tra personale tecnico e am-ministrativo (non sanitario) sul totale dei docenti

2.4 A Spesa corrente per studente in corso

Rapporto tra spese correnti totali e studenti iscritti in corso

2.5 A,D Entrate per la ricerca per docente

Rapporto tra entrate per la ricerca (correnti e in conto capitale) e docenti

A = ateneo; F = facoltà; C = corso di laurea o di diploma; D = dipartimento o istituto. Fonte: Osservatorio, 1998 Tabella 8 - Indicatori di processo

n. Livello Nome Descrizione

3.1 A,F,C Tempo medio di laure-a/diploma

Media degli anni di iscrizione dei laure-ati e dei diplomati

3.2 A,F,C Quota di studenti che abbandonano dopo il I anno

Quota di studenti iscritti al I anno nell’a.a. precedente che non si iscrivo-no al II anno

3.3 A,F,C Quota di studenti fuori corso

Rapporto tra studenti fuori corso e stu-denti iscritti in totale

3.4 A,F,C Punteggio valutazione della didattica

Risultato sintetico derivante dalla valu-tazione della didattica da parte degli studenti

3.5 A Quota di docenti affe-renti ai dipartimenti

Rapporto tra docenti afferenti ai dipar-timenti e totale docenti

3.6 A,D Finanziamento esterno della ricerca per do-cente

Rapporto tra il totale di entrate per contratti di ricerca, prestazioni di c/terzi, collaborazioni e contributi e il numero di docenti afferenti

3.7 A Autosufficienza finan-ziaria

Rapporto tra entrate correnti totali al netto del FFO e entrate correnti totali

A = ateneo; F = facoltà; C = corso di laurea o di diploma; D = dipartimento o istituto. Fonte: Osservatorio, 1998

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Tabella 9 - Indicatori di contesto n. Livello Nome Descrizione 4.1 A,F,C Indice di dimensione Studenti iscritti in corso

4.2 A,F,C Indice di rilevanza lo-cale

Rapporto tra studenti iscritti in totale e popolazione di 19-25enni nella regione

4.3 A,F,C Indice di attrazione studenti migliori

Rapporto tra immatricolati con voto di maturità pari o superiore a 50 su 60 e totale immatricolati

4.4 A,F,C Indice di attrazione li-ceali

Rapporto tra immatricolati provenienti dai licei e totale immatricolati

4.5 A Quota docenti area “scientifica”

Rapporto tra docenti area “scientifica” e totale docenti

A = ateneo; F = facoltà; C = corso di laurea o di diploma; D = dipartimento o istituto. Fonte: Osservatorio, 1998

Conclusioni

Sono state qui presentate alcuni aspetti della valutazione delle uni-versità, privilegiando l'aspetto storico dell'evoluzione di questa attività, in modo da permettere una comprensione, più delle tecniche, dell'am-biente in cui si svolge.

Molti argomenti sono stati trascurati, ma non sono certo meno im-

portanti. Vorrei ricordarne uno in particolare, per le sue implicazioni po-tenzialmente dirompenti e invece ancora non sviluppate. Si tratta della valutazione della didattica da parte degli studenti. Iniziata come attività pionieristica in alcune facoltà agli inizi degli anni '90, è stata poi resa obbligatoria dalla legge 370 del 1999 (Osservatorio, 2000 e Comitato, 2001). La legge ha obbligato le università a svolgere una dispendiosa at-tività di distribuzione di questionari a tutti gli studenti frequentanti e di elaborazione dell'enorme massa di informazioni ottenute. Purtroppo la legge non prevede un utilizzo di tali informazioni, quindi le università si guardano bene, al momento, di utilizzare o divulgare i risultati della va-lutazione. Le università sono ora in possesso dei giudizi degli studenti sul comportamento e sulle performance didattiche dei singoli docenti, nonché sulle condizioni in cui si svolge la didattica. Tali giudizi potrebbe-ro guidare gli organi accademici nelle decisioni in merito alle carriere dei docenti o, più semplicemente, per migliorare la fornitura di servizi didat-tici. Invece non avviene niente di tutto questo e rimane per gli studenti solo la scocciatura di dover compilare ogni anno dei questionari con la consapevolezza dell'irrilevanza dei loro giudizi. E' un esempio di come un'attività di valutazione potenzialmente utile (e apparentemente indi-spensabile) stia lentamente degenerando in uno spreco di risorse.

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Osservatorio per la valutazione del sistema universitario (2000), Questionario di base da utilizzare per l'attuazione di un programma per la valutazione della didattica da parte degli studenti, gennaio 2000. Doc 1/00. Reperibile al sito internet: http://www.vsu.it/_library/downloadfile.asp?id=10607 Rizzi D., Silvestri P. (2001), "Mercato, concorrenza e regole nel siste-ma universitario italiano. Riflessioni in margine ad un articolo di H. Han-smann", in Mercato concorrenza regole, anno III, n. 1, aprile, pp. 147-174. Reperibile al sito internet: http://helios.unive.it/~rizzid/rizzi-silvestri.pdf Rizzi D., P. Silvestri (2002) La valutazione del sistema universitario i-taliano: una storia recente, in Lavoro e relazioni industriali, 2002. Reperibile al sito internet: http://www.dse.unive.it/0201.php

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